Disegno di come doveva apparire il Sant’Antioco, ricavato da una foto della gemella Hoxie. Non sono state finora rintracciare fotografie di questa nave |
Piroscafo da carico di 5047,76 tsl, 3023,62 tsn e 7900 tpl, lungo 120,1 metri, largo 15,93 e pescante 8,23-8,99, con velocità di 9,5 nodi. Di proprietà dell'Azienda Carboni Italiana, con sede a Roma, ma in gestione a Carlo Martinolich & Figlio di Trieste (altra fonte lo dà invece come di proprietà della Ditta Martinolich); iscritto con matricola 388 al Compartimento Marittimo di Trieste, nominativo di chiamata ICGV.
Breve e parziale cronologia.
30 ottobre 1919
Completato dai cantieri di Sparrows Point (Maryland) della Bethlehem Shipbuilding Corporation Ltd. come Orient (numero di costruzione 4184), per lo United States Shipping Board (ente governativo statunitense creato nel 1916 ed avente sede a Washington, originariamente con lo scopo di sostenere lo sviluppo della Marina Mercantile statunitense, finalità poi trasformatasi l’anno seguente, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, nella gestione della flotta mercantile statunitense durante il conflitto e nella sua espansione per soddisfare le esigenze belliche americane ed alleate mediante acquisizioni, requisizioni e programmi di costruzione basati su progetti standardizzati, per conto dell’appositamente costituita Emergency Fleet Corporation).
Originariamente si sarebbe dovuto chiamare Huffton, ma il nome è stato cambiato in Gosport prima del varo ed in Orient prima del completamento. Fa parte di un gruppo di dieci navi gemelle, progetto 1046 della Emergency Fleet Corporation, tutte costruite dalla Bethlehem Steel: sei nel cantiere di Sparrows Point (War Dragon, War Mercury, War Shark, War Dolphin, costruite per il Regno Unito ma requisite dallo U.S.S.B. con i nuovi nomi di Hatteras, Cape Romain, Cape Lookout e Cape Henry; Hoxie, Huffton, Huachuca, costruite direttamente per lo U.S.S.B.; l’ordine per altre tre o quattro navi del tipo nel medesimo cantiere sarebbe stato cancellato per la sopravvenuta cessazione delle ostilità) e tre in quello di Wilmington (Benwood, Bercair, Bercamot, costruite per lo U.S.S.B.). Le navi del progetto 1046 sono piroscafi da carico con scafo in acciaio di 7400 tpl, propulsi da una macchina a vapore a triplice espansione a nafta, dimensioni standard metri 114,6 per 15,8 per 8,23.
Stazza lorda 4986 o 4994 tsl.
1920
Acquistato dalla Oriental Navigation Corporation di New York.
1929
Acquistato dalla Pacific-Atlantic Steamship Company di Portland (in gestione alla States Steamship Company) e ribattezzato San Diego. Stazza lorda 4995 tsl, netta 3058 tsn, nominativo di chiamata LTMP, porto di registrazione Portland.
1934
Il nominativo di chiamata viene cambiato in KOLO.
1935
Acquistato dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico e registrato a Trieste.
1936
Rivenduto all'Azienda Carboni Italiani, avente sede a Genova, e ribattezzato Sant'Antioco.
14 aprile 1941
Il Sant'Antioco entra in collisione con il piroscafo Pascoli proprio nel porto di Sant'Antioco.
16 novembre 1942
Requisito a Livorno dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
25 novembre 1942
Il Sant'Antioco ed il piroscafo Honestas salpano da Napoli per Tunisi alle 4.30, scortati dalle moderne torpediniere di scorta Procione (capitano di corvetta Renato Torchiana, caposcorta), Ardente (tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) e Ciclone (capitano di corvetta Luigi Di Paola). Successivamente si aggrega al convoglio anche la motozattera tedesca F 477, proveniente da Trapani. Sulle torpediniere sono imbarcate anche modeste aliquote di personale del Reggimento "San Marco", diretto in Tunisia.
26 novembre 1942
Alle 21.15 il convoglio viene avvistato da ricognitori nemici, ed a partire dalle 22 – a nordovest di Capo Bon – viene ripetutamente e pesantemente attaccato dal cielo (gli attacchi proseguiranno durante la notte); ma nessun mercantile viene colpito, grazie al violento tiro di sbarramento aperto dalle torpediniere, che crea una vera “barriera di fuoco” attorno ai piroscafi.
27 novembre 1942
Alle 00.04 il convoglio viene avvistato, su rilevamento 235°, anche dal sommergibile britannico Una (tenente di vascello John Dennis Martin), che dopo essersi immerso alle 00.06 (mentre il convoglio accosta per 185°), lancia tre siluri da 1370 metri alle 00.47, in posizione 37°34' N e 10°33' E (nella zona settentrionale del Golfo di Tunisi), contro uno dei piroscafi, di stazza stimata in 4000 tsl. Nessuna nave viene colpita; le unità del convoglio avvertono due esplosioni subacquee ed anche sull'Una, 50 secondi dopo il lancio, viene avvertita una violenta esplosione, tanto forte da rompere parecchi vetri a bordo. Sull'Una si crede trattarsi di un siluro andato a segno, ma non è così; forse sono i siluri giunti a fine corsa. Martin decide di non lanciare un quarto siluro, contrariamente a quanto deciso in precedenza, e l'Una si allontana con azione evasiva, ma non subisce contrattacchi.
Il convoglio giunge a Tunisi alle 8.
4 dicembre 1942
Alle 3.30 Sant'Antioco e Honestas lasciano Tunisi per rientrare in Italia, scortati dalle torpediniere Groppo (caposcorta) ed Orione.
Alle 14.53 il sommergibile britannico P 219 (tenente di vascello Norman Limbury Auchinleck Jewell), in agguato a ponente di Marettimo, avvista del fumo su rilevamento 240°, ed alle 15.11 avvista il convoglio italiano (identificate come "due navi trasporto di 5000 tsl scortate da un cacciatorpediniere e due motosiluranti con un idrovolante in pattugliamento sul loro cielo") mentre questo procede a 10 nodi su rotta 050° (verso nordest). Al sommergibile britannico è rimasto un solo siluro, nei tubi di poppa; di conseguenza il P 219 manovra per attaccare con un lancio di poppa, ma alle 15.45, mentre sta per lanciare, l'equipaggio perde il controllo dell'assetto, ed il battello giunge quasi ad affiorare in superficie. Jewell deve quindi ricominciare da capo; alle 17.07, infine, il P 219 lancia il suo ultimo siluro in posizione 38°13' N e 11°44' E, da 3100 metri di distanza, mirando al secondo mercantile (l'orario indicato dalle fonti italiane per questo attacco sono le 17.15). L'arma non va a segno (il Sant'Antioco avvista la scia del siluro, che lo manca), ed il convoglio prosegue per la sua rotta senza che la scorta lanci un contrattacco.
5 dicembre 1942
Alle 14.35 il sommergibile britannico P 217 (poi Sibyl, tenente di vascello Ernest John Donaldson Turner), avvista i fumaioli e le alberature di Sant'Antioco e Honestas e delle unità di scorta (identificate come “tre cacciatorpediniere o torpediniere”) su rilevamento 140°, a 12.800 metri di distanza, una decina di miglia a sudovest di Capri. Alle 15.15, nel punto 40°27' N e 14°02' E (o 40°26' N e 14°06' E), il P 217 lancia quattro siluri da 5500 metri, due contro ciascuno dei piroscafi, ambedue valutati in circa 5000 tsl. Nessuna nave viene colpita, nonostante Turner ritenga di aver sentito tre esplosioni (attribuite ad altrettanti siluri a segno) alle 15.20; la Groppo viene mancata da un siluro ed inizia il contrattacco con bombe di profondità alle 15.35, proseguendo sino alle 17.30 con il lancio in tutto di 62 bombe, ma nessuna viene gettata tanto vicina da danneggiare il P 217 (tanto che alle 15.45 questi può portarsi a quota periscopica ed osservare Groppo e Orione impegnate nel contrattacco). Non avendo ottenuto risultati apprezzabili, la Groppo si riunisce al convoglio e viene rilevata nella caccia da cacciasommergibili della difesa locale.
Le navi giungono a Napoli alle 20.
Disegno ricavato da un altro gemello del Sant’Antioco, l’USS Gold Star |
L'affondamento
Alle 15.15 del 13 dicembre 1942 il Sant'Antioco, al comando del capitano Marco Cucchi, salpò da Napoli diretto a Biserta con un grosso carico di benzina in fusti ed oltre duecento uomini a bordo (un sito Internet afferma che sul Sant'Antioco si sarebbero trovati 292 uomini tra equipaggio e personale di passaggio, ma non è chiara quale sia la fonte). Viaggiava in convoglio con un piccolo piroscafo tedesco, il Brott, e con la scorta delle moderne torpediniere Groppo (capitano di corvetta Beniamino Farina, caposcorta) ed Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), le stesse che l'avevano scortato nella traversata precedente.
Superate le Egadi intorno alla mezzanotte del 14 dicembre, il convoglio incontrò mare vivo in prora che costrinse a ridurre la velocità ad appena tre o quattro nodi: di più il Brott, con la sua modesta potenza motrice, non poteva fare in quelle condizioni di mare, e non si poteva lasciarlo indietro.
Ma a quella velocità da lumaca le navi del convoglio costituivano un bersaglio perfetto, e ad approfittarne fu il comandante tenente di vascello John Samuel Stevens, comandante del sommergibile britannico P 46 (successivamente ribattezzato Unruffled).
Il P 46 era partito da Malta cinque giorni prima, il 10 dicembre, per la sua nona missione di guerra (l'ottava in Mediterraneo), un pattugliamento nelle acque a nord della Tunisia. Grazie alle decrittazioni di “ULTRA” i comandi britannici sapevano fin dal 9 dicembre che il Sant'Antioco ed altri due piroscafi, Castelverde e Honestas, si apprestavano a partire per l'Africa, con arrivo previsto a Tunisi a partire dall'11 dicembre; il 12 dicembre “ULTRA” aveva aggiunto che «Honestas e Castelverde dovranno lasciare Napoli alle 13.00 di oggi 12 (…) Sant'Antioco, Brott e Skotfoss dovranno salpare da Napoli alle 16.00 del 12, velocità 7 nodi, e giungere Biserta alle 13.30 del giorno 14», informazione confermata il giorno seguente, ed il 15 che «Sant'Antioco e Brott hanno lasciato Napoli alle 15.00 del giorno 13 e devono giungere a Biserta alle 13.00 del 15».
Il 14 dicembre il P 46 aveva attaccato al largo di Capo Bon il convoglio formato da Castelverde ed Honestas, affondando il Castelverde (simultaneamente, anche l'Honestas era stato silurato e affondato da un altro sommergibile britannico, il P 212). Dopo questo attacco il P 46 non si era spostato di molto da quella fruttuosa “zona di caccia”, posta proprio lungo la rotta seguita dai convogli dell'Asse diretti in Tunisia, e non passarono neanche ventiquattr’ore prima che a Stevens fosse offerta la possibilità di mietere la vittima successiva. Alle 10.50 del 15 dicembre il P 46 avvistò un aereo che volava in cerchio all’orizzonte, su rilevamento 050°: il sommergibile accostò per avvicinarsi, ed alle 12.40 avvistò due navi mercantili in avvicinamento, con rotta apparente verso Biserta. Il comandante britannico fu molto accurato nell’identificazione delle navi che si presentavano ai suoi occhi: stimò che una delle due navi fosse un mercantile di circa 4000 tsl (era il Sant'Antioco) e l'altra una nave da carico che assomigliava ad una nave cisterna di medie dimensioni (il Brott, che aveva la plancia a centro nave ma macchine e fumaiolo a poppa, come le navi cisterna ed a differenza della maggior parte delle navi da carico dell'epoca), scortate da due torpediniere. Alle 13.30, in posizione 37°32' N e 10°39' E, il P 46 lanciò quattro siluri contro il Sant'Antioco, da 3660 metri di distanza; poi scese in profondità. Alle 13.33, trascorso il tempo previsto dal lancio dei siluri, Stevens avvertì due esplosioni.
E infatti due siluri erano andati a segno: caso raro nella storia della guerra sul mare, l'orario indicato dalle fonti italiane coincide alla perfezione con quello menzionato nel rapporto dell’attaccante, le 13.33 del 15 dicembre. A quell’ora il Sant'Antioco venne colpito sul lato sinistro da uno o due siluri: avvolto dalle fiamme scatenante dall’incendio del carico di benzina, affondò in un paio di minuti in posizione 37°37' N e 10°44' E, a 35 miglia per 335° da Capo Bon (cioè a nord/nordovest del Capo).
I caccia Macchi Mc 202 del 17° Gruppo da Caccia della Regia Aeronautica, che costituivano la scorta aerea (erano decollati dalla base di El Aouina, vicino a Tunisi, dove erano stati dislocati proprio per la scorta ai convogli: la loro missione di scorta era iniziata alle 13.20 e sarebbe terminata due ore più tardi), avevano avvistato quattro scie di siluri e si erano buttati in picchiata su di esse, mitragliandole, nel tentativo cercare di distruggere i siluri e mettere in allarme il convoglio, ma senza successo. (Questo secondo "A History of the Mediterranean Air War, 1940-1945", volume III; il volume USMM "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia" non fa invece menzione di quest’azione, limitandosi ad affermare che contemporaneamente al siluramento del Sant'Antioco, la scorta aerea segnalò un sommergibile a circa seimila metri dalla nave. Per coincidenza quello stesso giorno, alcune ore più tardi, un attacco aereo britannico distrusse o danneggiò otto dei dieci Mc 202 del 17° Gruppo di base ad El Aouina).
Groppo ed Orione si avventarono sulla posizione segnalata e per mezz’ora sottoposero l’attaccante ad intensa caccia, finché il caposcorta Farina non ritenne di averlo affondato o quanto meno gravemente danneggiato; in realtà, il P 46 aveva subito soltanto danni leggeri. (Secondo il rapporto del comandante Stevens, alle 13.36 venne lanciata una prima bomba di profondità, seguita da un paio di altre e poi da una quarta, di nuovo lanciata singolarmente; alle 14.06 venne lanciato un pacchetto di dodici bombe di profondità, che esplosero molto vicine e causarono alcuni leggeri danni, e la caccia si protrasse fino alle 18.30 circa. Il P 46 riemerse alle 20.08).
Terminata la caccia, la Groppo riprese la navigazione verso Biserta scortando il Brott (le due navi giunsero indenni a destinazione il giorno seguente), mentre all'Orione venne affidato il compito di recuperare i molti naufraghi del Sant'Antioco: in mare c’erano più di duecento uomini (per altra fonte, anche la Groppo avrebbe recuperato dei naufraghi prima di proseguire). Per aiutarla nell’opera di salvataggio, venne dirottata sul posto anche la Squadriglia cacciatorpediniere «Mitragliere» (Ascari, Corazziere, Mitragliere), che aveva lasciato Tunisi alle 12.45 per fare ritorno in Italia dopo una missione di trasporto truppe.
Le operazioni di soccorso, ostacolate dal mare agitato, si protrassero fino a tarda sera; nonostante il maltempo, l’incendio e la bassa temperatura dell'acqua venne recuperata la grande maggioranza del personale imbarcato sul Sant'Antioco, compreso il comandante Cucchi, comportatosi valorosamente nella tragica circostanza. Orione (che aveva recuperato 62 superstiti, tra cui cinque feriti gravi e dieci feriti lievi), Ascari e Corazziere sbarcarono i naufraghi a Trapani (dove i due cacciatorpediniere giunsero alle 21.30 del 15 dicembre), mentre il Mitragliere portò i 139 superstiti che aveva raccolto a Palermo, dove giunse all’una di notte del 16.
Nell'affondamento del Sant'Antioco persero la vita 29 uomini. Tra di essi il commissario militare, capitano del Regio Esercito Giuseppe Rea, sedici membri dell'equipaggio civile:
Enrico Barranci (o Marranci), cuoco, 34 anni, da Livorno
Francesco Borriello, fuochista, 40 anni, da Torre del Greco
Giovanni Brozzas, fuochista, 30 anni, da Carloforte
Giuseppe Calci, fuochista, 35 anni, da Tupliaco (fuochista)
Salvatore Cannizzaro, marinaio, 51 anni, da Trapani
Antonio Faiman, secondo ufficiale di macchina, 43 anni, da Valdarsa
Santo Giassi, ufficiale di macchina, 46 anni, da Pirano
Giuseppe Lenci, 28 anni, da Viareggio
Francesco Mazzella, fuochista, da Torre del Greco
Guido Miculicich, cameriere, 27 anni, da Lussinpiccolo
Leonetto Razzanti, marinaio, 30 anni, da Livorno
Emilio Ruozzi, cameriere, 36 anni, da Scandiano
Terzo Solari, carbonaio, 32 anni, da Porto Santo Stefano
Rosario Sorrentino, fuochista, 26 anni, da Torre del Greco
Paolo Testa, cuoco, 38 anni, da Brà
Pietro Venturini, capitano di lungo corso, 34 anni, da Pirano
Verbale di irreperibilità del capitano Giuseppe Rea (g.c. Vincenzo Marasco) |
Vicenda curiosa è quella del marittimo istriano Serafino Tercovich, originario di Buie, noto come “Barba Serafin”. Tercovich era al suo terzo naufragio dall'inizio della guerra: fu anche l’ultimo, perché insieme ad altri sette uomini, venne recuperato non dagli italiani, ma dai britannici, e fatto quindi prigioniero. Mentre annaspava in mare, Tercovich aveva fatto un voto alla Madonna, promettendo di costruirle una cappella se si fosse salvato; recuperato dai britannici in stato di ipotermia, con una gamba semicongelata, si oppose strenuamente ai medici britannici che avrebbero voluto amputarla, e riuscì infatti a salvarla. Emigrato negli Stati Uniti nel dopoguerra, poté finalmente adempiere al suo voto nel 1992, dopo il crollo della Jugoslavia comunista, facendo erigere una cappella che venne consacrata il 5 agosto di quell'anno, in occasione della festa della Madonna delle Nevi; in quell'occasione venne celebrata una messa in memoria di quanti erano morti nell’affondamento del Sant'Antioco. Tercovich morì pochi mesi dopo.
La vicenda di Tercovich, riportata dal giornale “Istarska Danica” nel 1993 e dal sito “Istria on the Internet”, è strana sotto diversi aspetti: in primo luogo, non è chiaro quale fosse l'unità britannica che recuperò Tercovich ed i suoi compagni – certo non il P 46, che non recuperò nessun naufrago –; secondariamente, le fonti italiane non fanno menzione di naufraghi del Sant'Antioco recuperati dai britannici. Non è del tutto impossibile che Tercovich ed il suo gruppetto (che credettero di essere gli unici sopravvissuti tra gli uomini imbarcati sul Sant'Antioco) fossero stati separati dagli altri dal mare mosso e siano stati successivamente recuperati da un'unità britannica. Se così fosse, rimane il dubbio se quegli otto uomini vadano dedotti dal numero dei 29 dispersi, riducendo quindi il totale delle vittime dell’affondamento a ventuno, o se l'USMM seppe di questo salvataggio, pur senza menzionarlo nel citato "La difesa del traffico", e quindi anche questi otto naufraghi fossero già contati nel numero dei salvati. Più semplicemente, esiste anche la possibilità che Serafino Tercovich sopravvisse all'affondamento del Sant'Antioco, fu tra i naufraghi recuperati dalle unità italiane e venne catturato dai britannici in seguito ad un altro, successivo affondamento, confondendo poi gli episodi nella sua memoria a distanza di tanti anni.
Un'altra vicenda singolare è quella del secondo ufficiale di macchina del Sant'Antioco, Antonio Faiman, anch'egli istriano: era iscritto nelle matricole della gente di mare di Trieste con lo stesso numero di matricola del fratello Pietro (6359), disperso nella prima guerra mondiale, il che portò erroneamente la Capitaneria di Porto di Trieste a dichiarare scomparso nell'affondamento del Sant'Antioco Pietro Faiman, in realtà morto da più di vent’anni, ed il Comune di Trieste (dove Antonio Faiman risiedeva da anni) a redigere il suo atto di morte. Ci vollero alcuni mesi perché l'equivoco venisse chiarito.
Il 16 dicembre “ULTRA” poté aggiornare i comandi britannici, sulla base di nuove decrittazioni, sull'affondamento del Sant'Antioco.
Neppure sul fondo del mare il Sant'Antioco poté riposare in pace: tre giorni dopo il suo affondamento, il 18 dicembre 1942, il suo relitto venne bombardato con bombe di profondità dalla torpediniera Orione, impegnata in un rastrello antisommergibili insieme a Cigno, Ardente e Sagittario, che aveva localizzato il relitto al sonar e l'aveva scambiato per un sommergibile immerso.
L'affondamento del Sant'Antioco nel giornale di bordo del P 46 (da Uboat.net):
"1050 hours - Aircraft circling on the horizon bearing bearing 050°. Altered course to close.
1240 hours - Sighted two merchant vessels approaching on a course for Bizerta. These two ships were later seen to be a 4000-ton merchant vessel and a medium sized tanker (which was a merchant ship that looked like a tanker). They were escorted by two torpedo boats.
1330 hours - In position 37°32'N, 10°39'E fired four torpedoes at the 4000-ton merchant ship. Range was 4000 yards.
1333 hours - Heard two timed torpedo explosions. The result could not be observed as P 46 had gone deep.
1336 hours - A depth charge was dropped. This was followed by a pair of charges and then another single one.
1406 hours - A pattern of 12 depth charges was dropped very close causing some minor damage. The hunt continued until about 1830 hours. By then a total of 62 depth charges were counted.
2008 hours - Surfaced".
Il Sant'Antioco sul Libro Registro del RINA del 1938
Steel Shipbuilding Under the U. S. Shipping Board, 1917-1921
Lorenzo buon pomeriggio. Da ciò che mi risulta, sul Sant'Antioco era imbarcato anche il Capitano di Fanteria Rea Giuseppe in qualità di Commissario Militare di Bordo, nato a Scisciano (Na) il 3 novembre 1899 e residente a Trecase. Risultò anche lui disperso nell'affondamento dell'unità navale. Cordialmente, Vincenzo Marasco.
RispondiEliminaBuongiorno Vincenzo, potrei sapere qual è la fonte? Grazie mille
EliminaLorenzo buongiorno. Le ho girato in privato il documento che attesta la presenza del Capitano Rea a bordo del Sant'Antioco al momento dell'affondamento e il suo stato di disperso. Grazie a Lei per l'attenzione. Cordialmente, Vincenzo M.
EliminaBuongiorno Vincenzo, non ho ricevuto niente al mio indirizzo email, dove me l'ha inviato?
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