domenica 25 giugno 2017

Carlo Del Greco

La Carlo Del Greco (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net).

Motonave da carico da 6837 tsl, 4020 tsn e 9185 tpl, lunga 138,68 metri, larga 18,92 e pescante 12,10, con velocità di 15,8 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino, con sede a Trieste, ed iscritta con matricola 452 al Compartimento Marittimo di Trieste.
Faceva parte (insieme a Fabio Filzi, Monginevro, Napoli, Monviso, Nino Bixio, Lerici, Ravello e Gino Allegri) del primo gruppo di nuove, grandi (6000-8000 tsl, 8000-9000 tpl) e veloci (14-16 nodi a pieno carico) motonavi da carico completate tra agosto e dicembre 1941. Robuste e capienti, grazie alla loro elevata velocità queste navi permisero di formare per la prima volta dei convogli veloci di navi da carico (in precedenza ciò era possibile solo per i trasporti truppe), e divennero presto la spina dorsale della flotta di trasporti impiegata nel traffico con la Libia.
Sempre in prima linea, al centro delle più importanti operazioni di rifornimento ed adibite al trasporto dei carichi più preziosi, queste navi pagarono un elevatissimo tributo, affondando quasi tutte sulle rotte dei convogli: per la Carlo Del Greco, il primo viaggio per l’Africa fu anche l’ultimo.

Breve e parziale cronologia.

14 marzo 1940
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1237). Fa parte della serie «Filzi», composta da cinque gemelle (Fabio Filzi, Carlo Del Greco, Gino Allegri, Mario Roselli e Reginaldo Giuliani) ordinate ai CRDA dal Lloyd Triestino (Filzi, Del Greco, Allegri e Giuliani) e dalla società Italia (Roselli) per il servizio merci di linea. Sono propulse da un motore diesel FIAT da 7500 HP ciascuna; andranno tutte perdute in guerra.

Il varo della Del Greco (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

10 ottobre 1940
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. Presenziano al varo, tra gli altri, l’ammiraglio Filippo Camperio, amico del defunto Carlo Del Greco, la vedova del comandante Del Greco, il vescovo di Trieste ed il gerarca fascista Roberto Farinacci.

Vista di poppa della nave (da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, 1997)

5 novembre 1941
Completata per il Lloyd Triestino – Linee Triestine per l’Oriente e subito requisita a Monfalcone dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.



Una serie di foto della Del Greco scattate probabilmente durante le prove in mare (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net).




Operazione «M. 41»

Non appena fu pronta a prendere il mare, all’inizio del dicembre 1941, la Carlo Del Greco fu inviata a Trapani, in preparazione della sua prossima partenza per Tripoli. Era previsto che la motonave avrebbe dovuto effettuare un viaggio veloce da Trapani a Tripoli seguendo la rotta del Canale di Sicilia e di Pantelleria (cioè la rotta di ponente per la Libia, più breve ma anche più vicina a Malta), con la scorta di due cacciatorpediniere, per eludere la sorveglianza aeronavale britannica: le tre unità avrebbero dato meno nell’occhio rispetto ad un convoglio di maggiori dimensioni.
Era un periodo particolarmente critico per la situazione dei rifornimenti in Africa Settentrionale: nel mese di novembre, le perdite nei materiali inviati in Libia avevano sfiorato il 70 % – percentuale mai raggiunta prima e mai più toccata in seguito –, ed addirittura il 92 % per i carichi più preziosi, quelli di carburante. La Forza K britannica, una formazione navale leggera di base a Malta, aveva distrutto due convogli di sette e due navi, il «Duisburg» ed il «Maritza», rispettivamente il 9 ed il 24 novembre, oltre ad affondare altre navi isolate (la grande petroliera Iridio Mantovani, il cacciatorpediniere Alvise Da Mosto che la scortava, e l’incrociatore ausiliario Adriatico); un’altra operazione di rifornimento, iniziata il 21 novembre, era fallita per effetto di attacchi combinati di aerei e sommergibili, che avevano gravemente danneggiato gli incrociatori Trieste e Duca degli Abruzzi.
Proprio in occasione di quest’ultima operazione, la motonave Fabio Filzi, gemella della Del Greco, aveva effettuato una traversata veloce da Trapani a Tripoli con la scorta di due cacciatorpediniere, riuscendo a raggiungere indenne la propria destinazione, a differenza del grande convoglio contemporaneamente in mare.
Si era pensato di ripetere il tentativo con la Del Greco: ma nel frattempo, l’attività delle forze aeree e navali di Malta era pericolosamente aumentata, e la rotta di ponente, pur essendo la più corta delle due, era anche la più esposta: per questo si era infine deciso di annullare questa missione e di aggregare anche la Del Greco ad un più grande convoglio che sarebbe a breve partito per la rotta di levante.
Da Trapani, pertanto, la Del Greco – già carica – venne trasferita a Messina con la scorta dei cacciatorpediniere Saetta, Antoniotto Usodimare e Lanzerotto Malocello, per unirsi al convoglio diretto in Libia lungo la rotta di levante. Giunta a Messina, vi rimase in attesa di ordini.

Le truppe italo-tedesche in Nordafrica, alle prese con la violenta offensiva britannica «Crusader», erano a corto di carburante, mezzi e munizioni; per cercare di porre rimedio a questa drammatica situazione, Supermarina aveva organizzato l’operazione di traffico «M. 41», con la quale mandare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché l’intera flotta in condizioni di efficienza.
Tre sarebbero dovuti essere i convogli che avrebbero preso il mare: l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dalla motonave tedesca Ankara e dai piroscafi italiani Iseo e Capo Orso scortati dai cacciatorpediniere Saetta, Turbine e Strale e dalla torpediniera Procione; ed infine l’«A», formato dalla Carlo Del Greco e dalla gemella Fabio Filzi scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare.
Del Greco e Filzi (che raggiunse la gemella a Messina dopo aver completato il carico a Napoli) si sarebbero dovute dapprima trasferire ad Argostoli, per poi partire per Tripoli nella notte fra il 12 ed il 13 dicembre, scortate da Da Recco ed Usodimare. Durante la navigazione, si sarebbero dovute aggregare al convoglio «L».
Prima che l’operazione prendesse avvio, tuttavia, i piani furono modificati, e si decise di sopprimere il convoglio «A»; Del Greco e Filzi sarebbero invece dovute partire da Taranto insieme al convoglio «L», del quale avrebbero fatto parte fin da subito.

Ciascun convoglio avrebbe fruito della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si sarebbe tenuta in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo assegnato al convoglio «L» era al comando dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini e consisteva nella corazzata Duilio (nave ammiraglia di Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione, formata per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (con a bordo l’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante dell’VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (avente a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona). Il convoglio «A» avrebbe invece goduto della protezione della corazzata Andrea Doria e della VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta.
Inoltre, in supporto all’intera operazione, per contrastare un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, uscì in mare anche la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino): quest’ultima formazione doveva portarsi nel Mediterraneo centrale.
Quale ulteriore precauzione, un gruppo di sommergibili sarebbe stato dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; anche la Regia Aeronautica avrebbe contribuito all’operazione con un notevole dispiegamento di mezzi.
Il primo problema consisté nel reperire tutte le navi da guerra necessarie per un’operazione tanto vasta: non fu sufficiente concentrare a Taranto, Argostoli e Messina tutte le unità sottili presenti nei porti dell’Italia meridionale, e non bastò neanche accelerare il completamento dei lavori in corso su alcuni cacciatorpediniere, per renderli pronti il prima possibile. La data prevista per l’inizio della «M. 41» era il 12 dicembre, ma quel giorno il numero di navi scorta disponibili era tanto ridotto, rispetto al necessario (anche per via del maltempo, che aveva ritardato il trasferimento di varie siluranti nei porti di partenza dei convogli), che Supermarina decise di rimandare l’operazione di ventiquattr’ore. Anche così, le scorte risultarono essere numericamente ridotte, eterogenee e poco affiatate, dato che era stato necessario accontentarsi di quello che c’era a disposizione.
In seguito alla decisione di Supermarina di cancellare il convoglio «A» e trasferire subito Del Greco e Filzi a Taranto per aggregarle al convoglio «L» prima che quest’ultimo partisse, le due motonavi lasciarono Messina alle 10.20 (o 10.30) del 12 dicembre 1941, scortate da Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito) ed Usodimare.

La Del Greco aveva a bordo in tutto 4000 tonnellate di rifornimenti, tra cui 120 tonnellate di munizioni per le forze tedesche e 60 veicoli dell’Afrika Korps; sulla nave erano imbarcati 247 tra marittimi e militari italiani (facenti parte dell’equipaggio, o diretti in Libia) e 51 militari tedeschi. Comandante civile della motonave era il capitano Oscar Suttora, comandante militare il capitano di corvetta Felice Masini.
La parte più importante del carico dei due bastimenti era probabilmente rappresentata dai mezzi corazzati: tra tutte e due, Del Greco e Filzi avevano a bordo 52 carri medi M13/40 per la 133a Divisione Corazzata «Littorio» del Regio Esercito (l’intera dotazione di mezzi ed equipaggiamenti del XII Battaglione Carri) e 43 carri armati tedeschi (11 carri leggeri Panzer II e 34 carri medi Panzer III) per la 3. e 7. Kompanie del 5. Panzerregiment dell’Afrika Korps (di questi ultimi, 23 erano sulla Del Greco, e 22 sulla Filzi).
Durante l’attraversamento della zona di maggior pericolo di attacchi subacquei, a sud dello stretto di Messina, la scorta venne temporaneamente rinforzata (per alcune ore) dalla vecchia torpediniera Giuseppe Dezza, uscita da Messina. Superata la zona pericolosa, Del Greco e Filzi imboccarono le abituali rotte del Mar Ionio, navigando a 16 nodi.
Intercettazioni radio rivelarono che nel primo pomeriggio del 12 dicembre il convoglio era stato localizzato da velivoli nemici, ma gli ordini non vennero cambiati; d’altro canto, nel Golfo di Taranto era già in funzione un considerevole dispositivo antisommergibili (anche e soprattutto per la prevista partenza del convoglio «L», che sarebbe avvenuta il giorno seguente): due MAS e due motopescherecci requisiti effettuavano vigilanza antisommergibili ed ascolto idrofonico a sud di Messina, fino al meridiano di Spartivento, dalle 7 alle 16 del 12 dicembre, mentre idrovolanti CANT Z. 501 svolgevano esplorazione aerea pendolare a sud di Taranto, i MAS 440 e 438 e la motovedetta Marongiu svolgevano rastrello antisom al largo di Punta Alice e Punta Stallitti ed il MAS 439 e la motovedetta Saba facevano lo stesso tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca. Infine, quattro unità della vigilanza antiaerea formavano una catena di vigilanza sulla congiungente Gallipoli-Crotone. Del Greco e Filzi avrebbero anche goduto di scorta e vigilanza antisommergibile da parte di aerei dalla partenza fino al tramonto.
Per tutta la giornata del 12, le due motonavi proseguirono senza che si lamentassero problemi. I due mercantili procedevano a 16 nodi in linea di fronte (Filzi a sinistra, Del Greco a dritta), con i due cacciatorpediniere in formazione di scorta laterale (Usodimare a dritta, Da Recco a sinistra).
Quando il convoglio raggiunse il punto di atterraggio su Taranto, il mare ed il vento erano quasi calmi, la luna era all’ultimo quarto.

Ma alcuni sommergibili britannici attendevano in agguato nel Golfo di Taranto.
Tra di essi c’era l’Utmost, al comando del capitano di corvetta Richard Douglas Cayley: dopo aver rilevato rumore di motori su rilevamento 135°, alle 00.50, il sommergibile avvistò all’1.10 (in posizione 39°47’ N e 17°22’ E) il convoglio italiano, a 6 miglia per 130°, con rotta 330° e velocità 15 nodi.
All’1.32 l’Utmost lanciò quattro siluri, due contro ciascuna motonave (la più vicina distava 4570 metri), poi s’immerse e ripiegò verso sud. Nonostante Cayley ritenesse di aver sentito un siluro andare a segno, seguito dall’1.50 da caccia con una quarantina di bombe di profondità, nessuna nave fu colpita.
Proprio all’1.50, intanto, un secondo sommergibile britannico, l’Upright (lo comandava il tenente di vascello John Somerton Wraith), che si trovava fermo in ascolto ASDIC in posizione 40°08’ N e 17°00’ E, rilevò all’ASDIC il rumore di navi in avvicinamento da sud con rotta stimata 000°. Il sommergibile virò pertanto in quella direzione, assumendo rotta 80°; poco dopo, la luna sorse su rilevamento 100° rispetto all’Upright. All’1.55, sentendo il rumore di motori diventare più forte e spostarsi verso sinistra, Wraith ordinò di virare nuovamente per portarsi in una posizione d’attacco favorevole; alle 2.03 avvistò le navi italiane e manovrò ancora una volta, assumendo rotta 110°, così che la luna si trovasse a 10° a dritta del mercantile di testa al momento del lancio. Alle 2.04 l’operatore dell’ASDIC, rilevando 130 rivoluzioni, stimò che i bersagli avessero una velocità di 14 nodi, ed alle 2.07 uno dei cacciatorpediniere, dopo aver superato il mercantile di testa, passò “davanti” alla luna, permettendo a Wraith, che col suo battello si trovava su rotta 70° e pronto al lancio, di stimare la distanza come compresa tra i 3660 e 4570 metri.

Intanto, il convoglio italiano era giunto a 15 miglia dal faro di San Vito (in posizione 47°10’ N e 17°06’ E): a questo punto, poco prima che cominciasse la rotta di sicurezza per Taranto, i cacciatorpediniere cessarono lo zigzagamento; alle 2.10 del 13 dicembre il caposcorta ordinò di disporsi in linea di fila. Del Greco e Filzi diedero inizio alla manovra per passare dalla linea di fronte alla linea di fila, ma l’avevano appena cominciata – in questo modo, ad un attaccante posizionato sulla sinistra la Filzi, in posizione leggermente più avanzata, si “sovrapponeva” parzialmente alla Del Greco, facilitando un lancio che colpisse entrambe – quando l’Upright, che si trovava in affioramento, lanciò contro di esse una salva di quattro siluri, da 4115 metri di distanza, cogliendo proprio il momento in cui si “sovrapponevano” ed al contempo si stagliavano contro la luna. Come punto di mira, Wraith aveva scelto la prua della nave di testa, la Filzi.
Erano le 2.12; nessuno vide l’Upright, né le scie dei siluri, provenienti da sinistra.

Tutte le armi fecero centro: due raggiunsero la Filzi, ed altrettante colpirono la Del Greco.
Mentre la Filzi si capovolse ed affondò in soli sette minuti, portando con sé 208 uomini, la Del Greco – colpita alle 2.15 – resse inizialmente al danno, e rimase a galla.
Mentre l’Usodimare passava subito al contrattacco, con un sistematico ma infruttuoso lancio di bombe di profondità (l’Upright, che si era immerso subito dopo il lancio, contò 48 esplosioni tra le 2.12 e le 7.37), il Da Recco tentò di prendere la Del Greco a rimorchio, nel tentativo di salvarla; ma dopo poco più di un’ora, anche questa motonave colò a picco, quindici miglia a sud di Capo San Vito.
Al Da Recco non rimase allora che provvedere al recupero dei naufraghi, opera nella quale fu assistito da una torpediniera, due dragamine, tre rimorchiatori e quattro unità d’uso locale, tutte inviate da Taranto.

Fu possibile trarre in salvo la quasi totalità del personale imbarcato sulla Del Greco: 289 uomini, tra cui i comandanti civile e militare, Suttora e Masini.
Morirono cinque membri dell’equipaggio civile (tra cui l’elettricista Giovanni Covelli, il marittimo Giovanni Lasca e l’ufficiale di macchina Carlo Danelon, tutti triestini, ed il marittimo brindisino Teodoro Convertino), due soldati italiani e due soldati tedeschi.
Gastone Bressan, soldato ventenne di Abano Terme diretto in Nordafrica ed imbarcato sulla Del Greco, passò la notte aggrappato ad una zattera insieme ad altri naufraghi (dodici, secondo quanto raccontato in un’intervista a decenni di distanza, ma è probabile che tale numero sia eccessivo, distorto dal tempo passato); al mattino erano rimasti soltanto lui ed altri due. Vennero recuperati da una delle unità militari inviate in soccorso e portati a Taranto, da dove Bressan raggiunse poi la Libia per via aerea.
La vita della Carlo Del Greco, dal suo completamento alla perdita, era durata trentotto giorni.

(g.c. Michele Strazzeri)

L’Upright riuscì a sottrarsi alla morsa dei cacciatorpediniere dopo sette ore di attacchi con bombe di profondità, ma rimase immerso tutto il giorno seguente, fino alle 19. Wraith celebrò il successo con l’apertura di una scatola di asparagi.
La perdita dei 95 carri armati trasportati dalle due motonavi ebbe un impatto rilevante e negativo sull’andamento delle operazioni terrestri in Africa Settentrionale, aggravando ulteriormente la posizione delle forze dell’Asse di fronte all’offensiva britannica «Crusader».
 
(da “Le motonavi italiane nella seconda guerra mondiale” di Achille Rastelli, sulla “Rivista Marittima” del gennaio 1985, via stefsap.wordpress.com)

L’affondamento della Carlo Del Greco nel giornale di bordo dell’Upright (da Uboat.net):

“0150 hours - In approximate position 40°08' N, 17°00' E HE was heard approaching from the South. Turned towards.
0155 hours - HE became louder and was passing down the Port side. Changed course to obtain a favourable attack position.
0203 hours - Sighted a large ship followed by a smaller one. Shortly afterwards sighted another large ship following the other ones. Started attack.
0212 hours - Fired four torpedoes at the two big ships when they overlapped. Shortly after firing Upright dived. All four torpedoes hit the targets. It was thought the first three torpedoes hit the first target and the last torpedo hit the second target. Depth charging started.
0228 hours - A ship was heard breaking up.
0341 hours - A second ship was heard breaking up.
0737 hours - The last depth charge was dropped. In all 48 had been dropped.”
 
Un’altra foto della nave (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)


lunedì 19 giugno 2017

Sibilla

La Sibilla a Venezia nell’immediato dopoguerra (g.c. Marino Miccoli)

Corvetta della serie Artemide della classe Gabbiano (643 tonnellate di dislocamento in carico normale, 740 a pieno carico). Portava la sigla C 49, poi divenuta SB (o SL) nel dopoguerra ed infine F 565 dopo l’ingresso dell’Italia nella NATO, nel 1953.

Negli anni Cinquanta/Sessanta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

Breve e parziale cronologia.

26 giugno 1942
Impostazione nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste (numero di costruzione 1323).
10 marzo 1943
Varo nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste (Cantieri San Marco).

La Sibilla nel marzo 1943 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net).

5 giugno 1943
Entrata in servizio. La cerimonia di consegna alla Regia Marina è seguita da un pranzo speciale offerto dai Cantieri San Marco.
Una volta in servizio, la Sibilla trascorre un’altra ventina di giorni a Trieste, dopo di che si trasferisce a Pola per un mese di addestramento preliminare.

La Sibilla a Trieste intorno al 10-15 giugno 1943 (g.c. Antonio Angelo Caria, via it.wipimedia.org)

Agosto 1943
Dopo il periodo di addestramento preliminare, svolto in Alto Adriatico, la Sibilla lascia Pola e si trasferisce ad Argostoli (Cefalonia), dove entra a far parte della IV Squadriglia Corvette (alle dipendenze del 10° Gruppo Antisommergibili), che forma insieme alle gemelle Fenice, Chimera e Scimitarra.
Per un mese, fino all’inizio del settembre 1943, svolge numerose missioni di scorta convogli e caccia antisommergibili.
22 agosto 1943
La Sibilla va a rinforzare l’anziana torpediniera Enrico Cosenz nella scorta di un convoglio in navigazione da Patrasso a Bari, via Corfù, e formato dai piroscafi HermadaMerano e Caterina M.
23 agosto 1943
Il convoglio fa scalo a Corfù, poi prosegue per Bari.
24 agosto 1943
Alle 16.51 il sommergibile britannico Unseen (tenente di vascello Michael Lindsay Coulton Crawford) avvista il convoglio scortato dalla Sibilla, a cinque miglia per 145° di distanza. Dopo aver manovrato per avvicinarsi, alle 17.24, in posizione 41°07’ N e 16°57’ E (a sei miglia da Bari) l’Unseen lancia tre siluri contro l’Hermada, da una distanza di 1370 metri. Nessun siluro va a segno (l’Hermada avvista le scie dei siluri, che ritiene essere addirittura quattro, mentre gli passano a poppavia), ed alle 17.30 la Cosenz inizia il contrattacco, lanciando in tutto 23 bombe di profondità. Le prime sei esplodono molto vicine all’Unseen, ma senza causare danni.
Poco dopo i mercantili entrano a Bari.
5 settembre 1943
La Sibilla, insieme alla gemella Scimitarra ed alla vecchia torpediniera Giuseppe Cesare Abba, salpa da Bari per scortare a Valona la nave cisterna Dora C.
Alle 14, in posizione 40°36’ N e 18°08’ E, il sommergibile britannico Unshaken (tenente di vascello Jack Whitton) avvista il convoglietto italiano a 8-9 miglia di distanza, su rilevamento 320°, con rotta stimata 100°. Alle 14.02 le navi italiane accostano per 145°, per poi cambiare rotta varie altre volte; alle 14.42, a 9 miglia per 105° da (cioè a sudest di) Brindisi, il sommergibile lancia quattro siluri da 2300 metri di distanza. Uno dei siluri colpisce la Dora C., che rimane a galla e viene rimorchiata a Brindisi.
L’Abba contrattacca con due bombe di profondità a scopo intimidatorio, seguita dalla Sibilla che ne lancia nove, due delle quali non scoppiano; il contrattacco si protrae fino alle 16.20, ma senza che l’Unshaken venga danneggiato.
6-7 settembre 1943
La Sibilla viene inviata nel Golfo di Manfredonia per un pendolamento antisommergibili, dopo la segnalazione di un peschereccio il quale, nottetempo, ha visto un sommergibile nemico emergere per ricaricare le batterie. Per tre giorni, dal 6 all’8 settembre, la nave pendola in tutto il golfo effettuando ascolto ecogoniometrico, ma senza trovare niente. Alla fine, riceve ordine di dirigersi verso sud, passando nelle acque di Barletta, Trani e Bari, continuando ad effettuare ascolto ecogoniometrico.
8 settembre 1943
Le vicende che seguono l’armistizio sono ben descritte dalle memorie di Antonio Angelo Caria, all’epoca imbarcato sulla Sibilla come secondo capo stereotelemetrista. Intorno alle quattro del pomeriggio, superata da poco Bari, un radiotelegrafista lascia il locale radio e prende a correre per tutta la nave, da prora a poppa, gridando ripetutamente "È finita la guerra, è finita la guerra". Il comandante, sentendo le grida, fa chiamare in plancia il radiotelegrafista, chiedendo spiegazioni; il radiotelegrafista risponde di aver ascoltato un comunicato radio che annuncia la firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, raggiungendo che più tardi seguirà un messaggio alla nazione del capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio. Dopo l’effettiva ricezione anche del messaggio di Badoglio, la Sibilla interrompe l’ascolto ecogoniometrico e prosegue nella navigazione verso sud, mantenendosi sempre più vicina alla costa; a Monopoli un marinaio segnalatore, senza bandierine, dall’estremità di un molo esterno del porto comunica alla Sibilla che colonne di autocarri, autoblindo e mezzi corazzati tedeschi stanno ripiegando verso nord. La corvetta riceve poi ordine di recarsi incontro alla motonave Istria, nel Canale d’Otranto, per scortarla fino a Brindisi.
Giunta nella zona dell’incontro, la Sibilla avvista la sagoma di una nave oscurata e si avvicina chiedendo col megafono "Come vi chiamate?", ma viene risposto solo "È finitaaa!". Serrate ulteriormente le distanze, la corvetta ripete la domanda, ma di nuovo la risposta è "È finitaaa!". Siccome la guerra "è finita" e con essa, si spera, i pericoli connessi, la Sibilla finisce con l’abbandonare le cautele ed accendere fanali di via e proiettore, per illuminare l’altra nave e leggerne direttamente il nome: è appunto l’Istria. A questo punto, la corvetta segnala alla motonave col proiettore, in codice Morse, di seguirla, essendo giunta per scortarla fino a Brindisi. Sulla Sibilla molti marinai di leva, avendo già assolto la leva biennale obbligatoria, preparano i bagagli, pensando ingenuamente di poter finalmente tornare a casa l’indomani.
Verso le 23 Sibilla ed Istria entrano infine a Brindisi, dove danno fondo in rada.
Nella città pugliese si sentono innumerevoli spari: non sono combattimenti – a Brindisi non ci sono tedeschi né Alleati – bensì le celebrazioni per quella che si crede essere la fine della guerra. Sulla Sibilla, il comandante, evidentemente più sagace, fa radunare l’equipaggio sopracastello, in assemblea generale, e spiega che la guerra contro gli Alleati è effettivamente finita, ma che inizia una nuova guerra contro i tedeschi, per cacciarli dall’Italia. I marinai che speravano di poter sbarcare e tornare a casa vengono invitati a rimettere vestiario ed effetti personali nei loro stipetti.
9 settembre 1943
La Sibilla si sposta nel porto interno di Brindisi, ormeggiandosi davanti al castello svevo.
10 settembre 1943
Poco dopo le 16, la Sibilla ormeggiata a Brindisi assiste all’arrivo in porto della corvetta Baionetta, proveniente da Ortona, preceduta dall’incrociatore leggero Scipione Africano, sul quale sventola il vessillo reale. A bordo della Baionetta trovano Vittorio Emanuele III, la moglie Elena, il figlio Umberto, il maresciallo Badoglio ed i vertici del governo e delle forze armate (tra cui il generale Vittorio Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e l’ammiraglio Raffaele De Courten, capo di Stato Maggiore della Marina), fuggiti da Roma dopo l’armistizio.
Mentre una numerosa folla osserva da terra – la notizia dell’arrivo dei reali si è già sparsa – la Baionetta si ormeggia proprio accanto alla Sibilla. Così l’arrivo dei reali e del governo è descritto da Antonio Angelo Caria: "[La Baionetta] ha fatto una manovra scalcinata, che più scalcinata non poteva essere, per attraccarsi vicino a noi, corvetta Sibilla. Mentre veniva con la poppa in banchina, lentamente, ho visto che a poppa c'era un gruppo di persone in abiti civili. Mi ha colpito il fatto che fra tali persone c'era uno spilungone, e mentre la Baionetta si avvicinava sempre più alla banchina, ho intravisto che quello spilungone altri non era che il Principe Umberto. Mi sono portato e appoggiato alla draglia del nostro lato destro per vedere meglio tutti quei signori. Ho visto la ReginaVittorio Emanuele III, il Maresciallo Badoglio, il Generale Vittorio Ambrosio, l'Ammiraglio Raffaele De Courten e tutti gli altri membri del Governo. Dopo che la Baionetta ha sistemato la passerella, è scesa a terra per prima la Regina, tenuta per mano da un "Ufficiale e gentiluomo", giacché la passerella aveva il corrimano da un lato solo. E' sceso anche il Re col figlio Umberto. A terra, c'era un'auto pronta per riceverli e per portarli su nel Castello svevo - di proprietà della Regia Marina - proprio di fronte al Sibilla e Baionetta. Del fatto si sono accorte tutte le maestranze dell'arsenale e molte altre persone che vi si trovavano casualmente, perciò una fiumana di gente è accorsa verso la Baionetta. Io sono sceso a terra, e subito dopo è sceso dalla Baionetta anche il Maresciallo Badoglio, trovandosi bloccato da tutta quella gente. Me lo sono trovato di fronte, aveva la barba rasata di fresco - con una "bistecca" al lato sinistro della gola. La gente gli gridava: - avete fatto bene a fare la pace, avete fatto bene a fare la pace - in continuazione. Si è sentito in pericolo, perciò gli è venuto in soccorso il Capo del Parco salvataggio, aprendogli il portone del parco per rifugiarvisi. Tale parco era al di sopra del livello stradale, di un metro e forse più, per cui il Maresciallo Badoglio doveva salire 6-7 gradini, cosa che ha cominciato a fare. Quando era arrivato a metà, si è girato e ha rivolto a tutta quella gente dicendo loro le seguenti testuali parole: - Noi la pace l'abbiamo fatta, però vogliamo vedere se voi, adesso, siete pronti a menare contro i tedeschi per buttarli fuori da casa nostra. La risposta corale è stata "Siiiii! Siiiii!". E' scesa nuovamente la macchina dal Castello, e ha preso lui e altre quattro persone. Tale macchina ha fatto la spola altre tre-quattro volte, cosi ha portato tutta la carovana dei fuggiaschi nel Castello svevo."
Settembre 1943
Nei giorni successivi all’armistizio, la Sibilla rimane ormeggiata a Brindisi, divenuta di fatto capitale provvisoria del Regno d’Italia, ruolo che manterrà fino al febbraio 1944. Di quando in quando l’equipaggio della corvetta ha modo di vedere il re, la regina, il generale Ambrosio od altri membri del governo quando si affacciano alle finestre del Castello svevo che danno sul porto.
Nel frattempo, iniziano anche a manifestarsi le conseguenze più nefaste dell’armistizio e del collasso del Regio Esercito, abbandonato senza ordini proprio dal re e dal governo scappati a Brindisi: dopo circa una settimana, infatti, iniziano ad arrivare nel porto pugliese imbarcazioni di ogni tipo e dimensione – pescherecci, barconi, motovelieri ed altro ancora –, stracariche di civili e militari italiani in disperata fuga dall’altra sponda dell’Adriatico (Dalmazia, Montenegro, Albania), dove ormai gli italiani sono alla mercé tanto dei tedeschi quanto dei partigiani jugoslavi ed albanesi.
I profughi arrivano da Spalato, Sebenico, Ragusa/Dubrovnik, Curzola, Meleda, Antivari ed anche dall’Albania, fuggiti abbandonando ogni cosa. In breve il porto di Brindisi è invaso dai natanti carichi di fuggiaschi, tanto da rendere difficile l’approdo e la manovra alle unità della Regia Marina, tra le quali anche i grandi velieri scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, anch’essi giunti a Brindisi dopo essere fuggiti da Trieste occupata dai tedeschi.
Un giorno si verifica anche un allarme aereo, causato da alcuni Junkers Ju 88 tedeschi che sorvolano la periferia di Brindisi senza sganciare bombe; un caccia Macchi italiano, decollato in quel momento, viene fatto erroneamente oggetto del fuoco delle mitragliere della Baionetta (sempre ormeggiata accanto alla Sibilla) e di altre postazioni a terra, venendo forse colpito. Nella stessa circostanza (sempre secondo i ricordi di Caria), un mitragliere della Sibilla spara invece un intero caricatore della sua mitragliera da 20/65 verso il castello che ospita re e governo, responsabili della guerra e del disastro seguito all’armistizio. Non vi sono conseguenze, né per l’edificio, né per gli occupanti, né per il mitragliere della Sibilla, che non subisce alcuna indagine.
Nella terza decade di settembre arrivano a Brindisi anche le prime truppe angloamericane, a bordo di alcune navi Liberty.
21 settembre 1943
La Sibilla (tenente di vascello Luigi Vaglini), insieme alla vecchia torpediniera Francesco Stocco (tenente di vascello Mario Trisolini), salpa da Brindisi per scortare a Santi Quaranta (oggi Saranda), in Albania, il piroscafo Dubac e la motonave Salvore, che formano il secondo dei convogli organizzati per il rimpatrio del personale militare italiano rimasto bloccato in Albania a seguito dell’armistizio.
22 settembre 1943
Le quattro navi raggiungono Santi Quaranta in serata, trovandovi una situazione già difficile; i soldati in attesa (appartenenti al 129° Reggimento Fanteria della 151a Divisione "Perugia" ed al 130° Reggimento Fanteria e della 49a Divisione "Parma") sono laceri, demoralizzati, in gran parte disarmati ed a corto di provviste. Dubac e Salvore imbarcano circa 1500 militari, poi ripartono per Brindisi scortati da Sibilla e Stocco.
23 settembre 1943
Il convoglio arriva a Brindisi.
24 settembre 1943
Alle 4 (o 5.20) Sibilla e Stocco ripartono da Brindisi per scortare a Santi Quaranta Dubac, Salvore ed un terzo mercantile, la motonave Probitas, per un nuovo viaggio di rimpatrio delle truppe italiane bloccate in Albania. Sui mercantili sono state caricate anche alcune tonnellate di viveri da distribuire ai soldati affamati, come richiesto da alcuni ufficiali nel viaggio precedente, e munizioni.
Durante la navigazione, alle ore 13, la Stocco riceve ordine di lasciare la scorta del convoglio e dirigersi verso Corfù, dove stanno sbarcando truppe tedesche, per aiutare nella difesa dell’isola (non ci arriverà mai, affondata con quasi tutto l’equipaggio dai bombardieri della Luftwaffe). Il convoglio prosegue con la sola scorta della Sibilla, giungendo a Santi Quaranta alle 22.
Subito inizia l’imbarco delle truppe, il cui numero si è ulteriormente accresciuto (sono arrivati anche molti altri soldati, provenienti dall’Epiro ed anche dalla Croazia, in condizioni pietose); le operazioni durano quattro ore ed avvengono in condizioni di totale oscuramento, nella cupa atmosfera creata dalla caduta di Cefalonia, dove è in corso il massacro della guarnigione da parte dei tedeschi, e dalla battaglia che infuria sulla vicina Corfù.
La Probitas, la nave più grande del convoglio (e che potrebbe imbarcare il maggior numero di uomini), entra in porto in lieve ritardo per problemi ai motori, e tali avarie le impediscono di ripartire, costringendo così a lasciare a terra molti uomini.
25 settembre 1943
Terminato l’imbarco, il convoglio riparte per l’Italia verso le due o le tre di notte. A Santi Quaranta rimangono altre migliaia di soldati e ufficiali in disperata attesa, che nessuno verrà a recuperare: Sibilla, Salvore e Dubac sono le ultime navi italiane a lasciare l’Albania, dopo di loro non ne verrà più inviata nessun’altra. La Probitas, impossibilitata a muovere, verrà affondata nel pomeriggio del 25 da ripetuti attacchi aerei tedeschi. Decine di ufficiali della Divisione "Perugia", compreso il suo comandante, generale Ernesto Chiminello, verranno fucilati dai tedeschi dopo la cattura.
Verso le 7.30 si unisce al convoglio, per rinforzare la scorta in sostituzione della Stocco, la torpediniera Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti); questa si posiziona sulla sinistra del Dubac, che procede in testa al piccolo convoglio, seguito dalla Salvore, che è protetta dalla Sibilla sul lato di dritta. Le navi procedono lentamente, dovendosi adeguare alla scarsa velocità del vecchio e lento Dubac.
La Luftwaffe, però, avvista il convoglio intorno alle sei del mattino, in mezzo al Canale d’Otranto. Dapprima appare un ricognitore, che segnala la presenza del convoglio prima di andarsene, dopo di che, verso le 7.45, sopraggiungono dodici bombardieri in picchiata Junkers Ju 87 “Stuka”.
Gli Stukas attaccano in più ondate, di tre velivoli ciascuno, scendendo in picchiata e mitragliando per poi sganciare le bombe; le navi italiane si diradano immediatamente, manovrando con rapide accostate per rendere più difficile il compito ai bombardieri, e reagiscono con le loro armi contraeree, colpendo due dei velivoli tedeschi.
Il vecchio e lento Dubac – armato con una sola mitragliera e definito dal comandante stesso della Sibilla, tenente di vascello Vaglini, "Bersaglio troppo facile da colpire, carretta del mare lenta e poco manovrabile", col commento finale "Si vede che non avevano altro da mandare" – non riesce a manovrare efficacemente, e viene dapprima mitragliato e poi colpito da due o tre bombe.
Tra i soldati disarmati ed ammassati sui ponti scoperti del piroscafo è una carneficina; le vittime sono almeno un’ottantina, ma forse anche più di 200. Molti rimangono uccisi o feriti dalle raffiche di mitragliatrice e dalle bombe, altri annegano dopo essersi gettati in mare.
L’attacco dura circa venti minuti. Il Dubac imbarca acqua da varie falle e sbanda fortemente sulla sinistra, ma nonostante i gravi danni continua a navigare, forzando le caldaie al massimo della pressione per cercare di raggiungere la costa italiana; dietro ordine della Sirio, avvicinatasi per fornire assistenza, il piroscafo viene infine portato ad incagliare sulla costa pugliese, un miglio a nord del faro di Otranto. I feriti vengono trasbordati sulla Sirio, che li porta a Brindisi; il resto dei militari e dell’equipaggio vengono trasferiti a terra con l’ausilio di alcuni motovelieri e motopescherecci.
La Sibilla, per ordine della Sirio, prosegue invece scortando la Salvore (entrambe le navi sono rimaste indenni, grazie alle rapide manovre ed all’efficace reazione delle loro armi contraeree) fino a Brindisi, dove le due navi giungono alle 15.45.
Fine settembre 1943
Pochi giorni dopo l’ultima missione di rimpatrio truppe dall’Albania, la Sibilla si trasferisce a Taranto, rimasta anch’essa in mano italiana.
Da qui, dopo qualche giorno, la nave viene nuovamente trasferita, stavolta a Napoli, frattanto liberata. Il capoluogo campano versa in condizioni pietose, devastato dai bombardamenti e piagato dalla fame; la situazione va lentamente migliorando con l’arrivo delle truppe statunitensi, che ne fanno una base logistica, così favorendo anche una certa rinascita delle attività commerciali. Fioriscono anche, come spesso accade in tempo di guerra, la prostituzione ed il contrabbando: attività quest’ultima alla quale si dedica, in piccolo (sigarette, sale, formaggio acquistati ad Augusta e rivenduti a Napoli), anche l’equipaggio della Sibilla, comandante compreso.
Fine 1943-Primavera 1945
Durante la cobelligeranza tra Italia e Alleati, la Sibilla è adibita alla scorta del naviglio Alleato diretto in porti italiani (principalmente della Sicilia e della costa tirrenica).
Imbarcano sulla corvetta un tenente di vascello della Royal Navy, ufficiale di collegamento con le forze Alleate, ed un marinaio britannico, suo attendente; dopo di che, la nave viene adibita alla scorta di convogli Alleati (carichi di rifornimenti per la 5a Armata statunitense) sulla rotta Augusta-Napoli e ritorno. L’ufficiale di britannico, un professore di latino di Oxford richiamato per la guerra, non interferisce col comando della nave, ma svolge ruolo di collegamento e supervisione durante le navigazioni in convoglio; nel corso di tali missioni le navi dei convogli, tanto i mercantili quanto le altre unità di scorta, devono pertanto fare capo alla Sibilla (scelta per l’imbarco dell’ufficiale di collegamento grazie alla buona conoscenza dell’inglese da parte del suo ufficiale di rotta).
Nelle navigazioni in convoglio la Sibilla assume sempre posizione di scorta sul lato esterno rispetto alla costa, mentre il lato opposto è protetto da unità italiane e da una nave britannica.
Con l’avanzata della 5a Armata statunitense verso nord, anche Livorno viene liberata e diviene nuovo "capolinea" dei convogli di rifornimenti; la Sibilla passa così a scortare convogli sulla rotta Napoli-Livorno e Livorno-Napoli. Le missioni di scorta al traffico Alleato durante la cobelligeranza sembrano quasi delle "passeggiate" per marinai che, prima di imbarcare sulla Sibilla, avevano vissuto l’inferno dei convogli per il Nordafrica: la minaccia degli U-Boote in Mediterraneo è stata ormai pressoché azzerata entro i primi mesi del 1944, le navi di superficie della Kriegsmarine (tra cui, ironia della sorte, molte corvette gemelle della Sibilla, catturate in costruzione a seguito dell’armistizio e completate sotto bandiera tedesca) sono troppo poche e troppo poco potenti per tentare attacchi ai convogli, ed anche la Luftwaffe in Italia è troppo debole per poter operare efficacemente contro i convogli angloamericani. Marinai abituati a scortare "convoglietti" di due o quattro vecchi piroscafi si trovano ora a fare da "cani da pastore" per greggi di decine di nuovissime navi Liberty (in un’occasione, dovendo prendere i nomi di tutte le navi di un convoglio in partenza da Augusta per Napoli, ne vengono contate ben 96).


Membri dell’equipaggio della Sibilla caduti nella seconda guerra mondiale:

Aldo Gnemmi, marinaio, disperso in territorio metropolitano il 26 febbraio 1944
Antonio Landriscina, marinaio motorista, deceduto in territorio metropolitano il 27 febbraio 1944
Valerio Rodenigo, secondo capo meccanico, disperso nel Mediterraneo Centrale il 22 settembre 1943


Un’altra immagine della Sibilla durante la guerra, nel marzo 1943 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net).


1945
Finita la guerra, la Sibilla svolge alcune missioni di trasporto, trasferendo personale e materiale dall’Italia meridionale a quella settentrionale, alle dipendenze del Comando Superiore delle Siluranti.
Le missioni di trasferimento consistono principalmente nel ricongiungimento famigliare degli italiani del centro-nord, rimasti bloccati a sud dopo l’armistizio, e degli italiani del meridione, rimasti parimenti bloccati a nord per il medesimo motivo: fuori uso gran parte della rete ferroviaria, sabotata dalle truppe tedesche in ritirata, il compito di questi ricongiungimenti ricade in parte sul naviglio sottile della Regia Marina.
Il personale proveniente dall’estremo sud e dalla Sicilia viene concentrato presso la Prefettura di Napoli, che, in collaborazione con l’ammiraglio comandante il Dipartimento di Napoli, provvede a scaglionarli per poi avviarli verso Livorno, La Spezia e Genova a seconda della destinazione (Italia centrale, Liguria, Piemonte, Lombardia). Il personale di origine meridionale bloccato al nord, parimenti, viene avviato alle Prefetture di Genova, La Spezia e Livorno le quali, in accordo con l’ammiraglio comandante del Dipartimento di La Spezia, ne organizzano le partenze verso il sud. Per evitare di intasare i porti, il personale viene imbarcato sulla prima nave disponibile, che viene poi subito fatta partire. La Sibilla, non avendo molto spazio disponibile, trasporta solitamente 35 persone per volta; non solo uomini ma anche donne e bambini (che si divertono molto a navigare e vedere l’armamento di bordo e l’equipaggio al lavoro), usualmente con qualche bagaglio. In questo periodo l’equipaggio della corvetta si ritrova ad essere composto interamente di meridionali: i settentrionali, infatti, non fruendo di licenza da più di due anni a causa dell’occupazione tedesca del Nord Italia, hanno ricevuto tutti tre mesi di licenza.
Ottobre 1945
Entra nell’Arsenale di Napoli per tre mesi di grandi lavori, coi quali vengono installate a bordo le attrezzature per il dragaggio delle mine. Vengono invece sbarcati i due tubi lanciasiluri singoli da 450 mm, gli otto lanciabombe ed i due scaricabombe per bombe di profondità, e le due torpedini antisom da rimorchio tipo Ginocchio.
Uno dei primi comandanti della Sibilla, nel dopoguerra, è il tenente di vascello Emilio Legnani, Medaglia d’Oro al Valor Militare.

La Sibilla nel giugno 1946, dopo i lavori di adattamento per essere impiegata nel dragaggio (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net).

1946-1949
Inquadrata nella 1a Flottiglia Corvette (alle dipendenze della III Divisione Navale), la Sibilla svolge intensa (e massacrante, per l’equipaggio) attività di dragaggio nei mari italiani, disseminati di decine di migliaia mine posate durante il conflitto da tutti i contendenti. La nave effettua tale attività inizialmente in Mar Tirreno (tutta la costa da Fiumicino a Piombino, con i divergenti e la sciabica) e sulle coste della Sardegna e dell’Elba, e successivamente in Alto Adriatico, fino alla fine del 1949.



Sopra, il maresciallo cannoniere stereotelemetrista di seconda classe Antonio Miccoli fotografato a bordo della Sibilla. In Marina dal 1929, era sopravvissuto nel 1941 all’affondamento dell’incrociatore Fiume nella battaglia di Capo Matapan; quello sulla Sibilla, dal 16 maggio 1949 al 12 dicembre 1951, fu il suo ultimo imbarco. Di seguito, una serie di foto della Sibilla e di altre corvette della classe Gabbiano a Brindisi, nel periodo 1949-1951, tratte dall’album di Antonio Miccoli (per g.c. del figlio Marino).







Gennaio 1950
Assegnata alla Flottiglia Scuola Comando, viene adibita all’addestramento. Per i successivi sei anni, prende parte ad attività addestrativa, crociere in Mediterraneo ed esercitazioni combinate con la Squadra Navale, intervallate da periodici cicli di grandi lavori.
Nei primi anni Cinquanta subisce inoltre nuove modifiche all’armamento; vengono eliminate le due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm, le tre mitragliere singole Scotti-Isotta Fraschini da 20/70 mm e gli apparati per il dragaggio, mentre vengono installati un cannone contraereo binato Bofors Mk 1 da 40/60 mm, due mitragliere singole Oerlikon da 20/70 mm, due tubi lanciasiluri singoli da 450 mm e quattro lanciabombe per bombe di profondità.


La Sibilla, seguita da altre corvette e navi della Scuola Comando, fotografata a Taranto all’inizio del 1951 in occasione della visita del ministro della Difesa Randolfo Pacciardi (c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net).

1952
Trasferita dalla III Divisione Navale alla I Divisione Navale. Fa parte della VII Squadriglia Corvette e poi della VIII Squadriglia Corvette.


Una cartolina della Sibilla in transito nel canale navigabile di Taranto (g.c. Marino Miccoli)

Giugno 1956
Lascia la Flottiglia Scuola Comando, dopo sei anni e mezzo, e viene posta in riserva a Taranto, alle dipendenze del Comando della 2a Flottiglia Navi Scorta.
Sottoposta in Arsenale a due cicli di grandi lavori di rimodernamento e trasformazione, della durata complessiva di un anno e mezzo, durante i quali viene installata, nella parte sinistra della prua, la catapulta per il lancio dell’aerobersaglio radiocomandato Meteor P1. Vengono contestualmente rimossi il cannone da 100/47 mm e le due mitragliere Oerlikon da 20/70 mm, mentre vengono installati un altro cannone contraereo binato Bofors Mk 1 da 40/60 mm, un lanciabombe antisom Hedgehog Mk 10 (in grado di lanciare simultaneamente 24 piccole cariche di profondità ad una distanza di 178 metri), uno scaricabombe per bombe di profondità, un radar NSM-8 (posizionato sul tripode) ed un sonar QCU-2.
Tornata in armamento a Taranto, la Sibilla partecipa ad innumerevoli crociere della Squadra Navale ed esercitazioni sia a livello nazionale che nell’ambito della NATO, sempre nel ruolo di nave addetta al lancio del bersaglio radiocomandato.
Effettua inoltre numerose uscite per le Scuole CEMM (Corpo Equipaggi Militari Marittimi) di Taranto, per lancio dell’aerobersaglio o per esercitazioni degli ecogoniometristi.

La Sibilla a Taranto nel 1956 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

1959
Trasferita dalla VIII Squadriglia Corvette alla VI Squadriglia Corvette.


La nave in transito nel canale navigabile di Taranto negli anni Sessanta (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

Primi anni ’60
Lavori di modifica: viene realizzata una tuga a prua e sono eliminati il lanciarazzi antisom e la mitragliera binata da 40/56 mm di prua.



Sopra, la Sibilla nel febbraio 1965 (Coll. E. Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it); sotto, la nave a Taranto il 5 ottobre 1965 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)


Gennaio 1966
Trasferita alla III Squadriglia Corvette, alle dipendenze del Gruppo Navale Costiero della III Divisione Navale.

La Sibilla rientra a Taranto nel pomeriggio del 23 marzo 1967 (.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)


Due immagini della Sibilla in Mar Piccolo a Taranto, il 19 agosto 1969 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)





La Sibilla e la fregata Alpino entrano in Mar Piccolo a Taranto il 6 dicembre 1969 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)


1° febbraio 1973
Radiazione, dopo un periodo di disarmo. Successivamente demolita.


Due immagini della Sibilla a Taranto nel gennaio 1971, al termine della sua carriera (foto Giorgio Arra, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)


Ricordi di Antonio Angelo Caria, di Cagliari, sottufficiale cannoniere, imbarcato sulla Sibilla dal 1943 al 1948 (da it.wikipedia.org):

Un bel giorno, é arrivato il movimento anche per me, a Marinalles Trieste per Corvetta Sibilla. Il mio Caporeparto, non volendo perdermi, ha fatto un dispaccio al Ministero comunicando che io ero in licenza di lavori di gg. 30+4 (e non era vero), sperando che il Ministero ripiegasse su un altro nominativo. Non é stato cosi. Dopo 40 giorni, il Ministero ha reiterato il dispaccio ed io ho dovuto fare le valigie per Trieste. (…) io sono sbarcato [dal cacciatorpediniere Corazziere, sua precedente unità, immobilizzata per lunghi lavori di riparazione dopo essere stata gravemente danneggiata da un bombardamento aereo] il 4 giugno '43. Arrivato a Trieste il giorno dopo, ho assistito alla cerimonia della consegna della Corvetta Sibilla alla Regia Marina. Pertanto, ho preso parte al pranzo speciale offerto dai Cantineri Navali S. Marco di Monfalcone, ove é stata costruita la Corvetta. Una ventina di giorni a Trieste, indi un mese a Pola per l'addestramento e, infine, trasferimento a Brindisi-zona di operazione.
6-7-8 SETTEMBRE 1943. Noi Sibilla, in solitario, siamo stati mandati nel golfo di Manfredonia in pendolamento antisommergibile, poichè un nostro peschereccio aveva visto, di notte, emergere un po lontano un sommergibile nemico, sicuramente per caricare le sue batterie, per ossigenarsi, ecc., un posto impensabile per noi. Abbiamo pendolato (in ascolto ecogoniometrico) in lungo e in largo tale golfo, tutto il giorno 6, 7 e parte del giorno 8 settembre, senza trovare alcuna traccia di sommergibili nemici, forse perchè quel sommergibile ha comunicato la sua scoperta da parte nostra. Ci é stato ordinato di venire giù, sempre in ascolto, doppiando Barletta, Trani e Bari. Verso le 16 del giorno 8 settembre, dopo Bari, é sbottato, dalla cabina R.T. un radiotelegrafista che urlava come un ossesso, da poppa a prora, da prora a poppa e sottocastello E' FINITA LA GUERRA...., E' FINITA LA GUERRA.... Io mi trovavo in controplancia, assieme al Comandante, l'Ufficiale di rotta e le vedette a lato. Il Comandante, sentendo quelle urla, ha fatto chiamare il suo "autore" per chiedergli il perchè del suo urlare. Questi lo ha informato che un comunicato radio aveva trasmesso la notizia dell'armistizio, precisando che più tardi ci sarebbe stato il messaggio del Maresciallo Badoglio alla Nazione per informarla dell'armistizio chiesto e accettato dagli alleati. Il messaggio del Maresciallo Badoglio c'è stato. A quel punto, abbiamo cessato l'ascolto ecogoniometrico. Proseguendo verso sud, sempre più vicini alla costa. A Monopoli, dall'estremità di un molo esterno del porto, un marinaio segnalatore (forse in licenza), senza le bandierine, ci ha segnalato che le colonne tedesche (camion, autoblinde e mezzi corazzati) stavano ripiegando verso nord. Abbiamo ricevuto l'ordine di andare a prendere nel canale di Otranto la motonave Istria e scortarla fino a Brindisi. Qui dimenticavo di dire del nostro incontro con la motonave Istria. Vedendo la sagoma di una nave, nell'oscurità del Canale d'Otranto, con i fanali di via spenti (di prammatica)ci siamo avvicinati il più possibile per chiedere col megafono come si chiamava. Al primo "urlo" COME VI CHIAMATE? ci é stato risposto: - E' FINITAAAAA. Altra manovra per avvicinarla il più possibile e chiederle:- come vi chiamate? Stessa risposta:- E' FINITAAAA. Dato che la guerra era "finita" e le cautele erano ormai cessate, abbiamo acceso i nostri fanali di via ed acceso il proiettore di segnalazione per illuminarla e leggere il suo nome nella fiancata. Con lo stesso proiettore, in Morse, le abbiamo segnalato di seguirci perchè mandati per scortarla fino a Brindisi La notizia dell'armistizio ha fatto fare i bagagli ai marinai di leva che già avevano assolto la loro ferma biennale prescritta, credendo che l'indomani sarebbero tornati, finalmente-felici e contenti - a casa loro. Il sottocastello, infatti, era invaso dai bagagli di questi marinai-poveri illusi... Verso le 23 siamo arrivati a Brindisi, con la motonave Istria, dando fondo all'ancora in rada. A Brindisi si sparava da tutte le parti, sembrava di essere in una vera battaglia. In effetti, si sparava da tutte le parti in segno di gioia per la fine della guerra. Il Comandante ha chiamato tutto l'equipaggio in assemblea generale, sopracastello, per dire che la guerra contro gli alleati era finita, ma ne cominciava un'altra contro i tedeschi per cacciarli dal suolo patrio. E ha invitato i marinai (delusi) di rimettere il loro vestiario e gli altri effetti personali nei rispettivi stipetti, giacchè non cambiava nulla. Il giorno dopo, ci siamo ormeggiati nel porto interno di fronte al castello svevo. (...)
10 SETTEMBRE 1943. Poco dopo le ore 16, mi trovavo a poppa sfotticchiando un collega sardo (Sottocapo Torpediniere) mentre si stava sbrugnando (uguale, più o meno, a si stava "sbaffando") il suo turno di Sottocapo di guardia a poppa, 16-24. Casualmente ho rivolto lo sguardo dalla parte del porto esterno e ho visto, quasi di fronte al monumento del Marinaio, un incrociatore leggero della Classe Capitani Romani (come l'incrociatore Attilio Regolo) che issava il vessillo reale.
Di fronte, a terra, c'era tanta gente sicura che vi fossero i reali e di poterli vedere sbarcare. Per vederci meglio, ho fatto un salto in controplancia, ho tirato fuori lo stereotelemetro portatile e sono stato in osservazione una decina di minuti per vedere i reali, ma non li ho visti proprio. Era lo Scipione Africano. Sono sceso di nuovo a poppa e vedo che entrava in porto, alla chetichella, la corvetta Baionetta.
Ha fatto una manovra scalcinata, che più scalcinata non poteva essere, per attraccarsi vicino a noi, corvetta Sibilla. Mentre veniva con la poppa in banchina, lentamente, ho visto che a poppa c'era un gruppo di persone in abiti civili. Mi ha colpito il fatto che fra tali persone c'era uno spilungone, e mentre la Baionetta si avvicinava sempre più alla banchina, ho intravisto che quello spilungone altri non era che il Principe Umberto.
Mi sono portato e appoggiato alla draglia del nostro lato destro per vedere meglio tutti quei signori. Ho visto la ReginaVittorio Emanuele III, il Maresciallo Badoglio, il Generale Vittorio Ambrosio, L'Ammiraglio Raffaele De Courten e tutti gli altri membri del Governo. Dopo che la Baionetta ha sistemato la passerella, è scesa a terra per prima la Regina, tenuta per mano da un "Ufficiale e gentiluomo", giacché la passerella aveva il corrimano da un lato solo. E' sceso anche il Re col figlio Umberto.
A terra, c'era un'auto pronta per riceverli e per portarli su nel Castello svevo - di proprietà della Regia Marina - proprio di fronte al Sibilla e Baionetta. Del fatto si sono accorte tutte le maestranze dell'arsenale e molte altre persone che vi si trovavano casualmente, perciò una fiumana di gente è accorsa verso la Baionetta. Io sono sceso a terra, e subito dopo è sceso dalla Baionetta anche il Maresciallo Badoglio, trovandosi bloccato da tutta quella gente. Me lo sono trovato di fronte, aveva la barba rasata di fresco - con una "bistecca" al lato sinistro della gola. La gente gli gridava: - avete fatto bene a fare la pace, avete fatto bene a fare la pace - in continuazione. Si è sentito in pericolo, perciò gli è venuto in soccorso il Capo del Parco salvataggio, aprendogli il portone del parco per rifugiarvisi. Tale parco era al di sopra del livello stradale, di un metro e forse più, per cui il Maresciallo Badoglio doveva salire 6-7 gradini, cosa che ha cominciato a fare. Quando era arrivato a metà, si è girato e ha rivolto a tutta quella gente dicendo loro le seguenti testuali parole: - NOI LA PACE L'ABBIAMO FATTA, PERO' VOGLIAMO VEDERE SE VOI, ADESSO, SIETE PRONTI A MENARE CONTRO I TEDESCHI PER BUTTARLI FUORI DA CASA NOSTRA. La risposta corale è stata "siiiii! siiiii!". E' scesa nuovamente la macchina dal Castello, e ha preso lui e altre quattro persone. Tale macchina ha fatto la spola altre tre-quattro volte, cosi ha portato tutta la carovana dei fuggiaschi nel Castello svevo.
APPENDICE A MARGINE - L'arrivo dei Savoia e del Governo Italiano a Brindisi non ha influito più di tanto nella vita di quella città. I Savoia e i membri del Governo Italiano, piuttosto, si sono trovati nella condizione di una prigionia dorata nel Castello svevo della Regia Marina. Unico diversivo, per loro, per prendere una boccata d'aria, era affacciarsi alle finestre posteriori del Castello stesso, quelle che spaziavano su tutto il porto interno e in parte su quello esterno. Le Corvette Sibilla e Baionetta erano ormeggiate fianco a fianco proprio di fronte, perciò li si vedeva casualmente durante il servizio a bordo. A me é capitato di aver visto due volte la regina, una volta il re, il principe Umberto non l'ho mai visto, mentre alcune volte ho visto il Generale Vittorio Ambrosio e altri membri del Governo che non conoscevo per nome. Dopo circa una settimana, sono cominciati ad arrivare a Brindisi pescherecci, tartane, barconi e natanti di ogni genere e grandezza, stracarichi di gente che scappava disperatamente, dopo aver abbandonato tutte le loro cose, da SpalatoSebenicoRagusa (oggi Dubrovnik), dalla nostra isola Curzola (oggi Korcula) isola di Meleda (Mljet), dal porto montenegrino di Antivari (detta cosi perché di fronte alla nostra città di Bari - ribattezzata da Tito col nome turco di Bar - oggi ha un altro nome che non saprei, poiché manco dalla Jugoslavia da pochi mesi dopo la morte di Tito). Di tali natanti ne arrivavano molti anche dall'Albania. Il porto di Brindisi si è riempito all'inverosimile di tutti questi mezzi, tanto da trovare molto difficile il riparo e l'approdo della nostra nave-scuola Amerigo Vespucci. Tutto questo avveniva, giornalmente, sotto gli occhi dei Savoia e del Governo Italiano. Un giorno, non ricordo quale, c'è stato allarme aereo, perciò posto di combattimento. Con lo stereotelemetro portatile ho visto che si trattava di 6-7 aerei tedeschi Junkers Ju 88 che hanno girato al largo in periferia senza sganciare bombe. C'è stato che un nostro aereo da caccia Macchi è decollato raso terra, passando di traverso al porto, per cui si è attirato il fuoco delle mitragliere della Baionetta e altre postazioni di terra e, se non ricordo male, è stato abbattuto perché ho visto che cominciava a fiammeggiare. Un nostro mitragliere-veneziano, invece, ha indirizzato il tiro verso i SIGNORI che si trovavano affacciati alle finestre del Castello, scaricando, di proposito, tutto il caricatore della sua mitragliera binata da 20/65, cominciando, però, dallo spigolo del lato sinistro rispetto a noi, solo che la mira, per la fretta, i colpi sono arrivati sotto le finestre. E' ovvio che quei SIGNORI si sono messi in salvo... Non c'è stata alcuna inchiesta e nessun provvedimento. Forse, ancora oggi, ci saranno i segni di quei colpi sparati contro i SIGNORI citati che si "divertivano" a guardare il tutto, dopo essere scappati da Roma pensando solo di mettersi in salvo, senza dare indicazioni e ordini utili per rimediare a quell'immane tragedia causata da una guerra sbagliata.
(Sarei grato a qualche amico-utente brindisino, se mi leggerà, di farmi sapere se i segni di quella sventagliata di mitragliera ci siano ancora, oppure se siano stati "riparati". Lo ringrazio anticipatamente).
Continua l'APPENDICE A MARGINE - Questo periodo si chiude con un altro evento storico capitato a Brindisi. Non ricordo il giorno esatto della terza decade del settembre nero degli Italiani. Con tre navi tipo Liberty, sono arrivati i LIBERATORS, cioè il presidio degli americani e degli inglesi, accolti dalle autorità civili e militari, in primis la folta rappresentanza della Regia Marina con la banda musicale del Corpo (un centinaio di elementi). Ho visto quando due Liberty hanno dato fondo all'ancora in rada, nel porto esterno, e il terzo che si affiancava alla banchina per sbarcare i Comandanti dei due contingenti. Prevedendo che la cerimonia sarebbe stata lunga, me ne sono andato al cinema. Sono ritornato a cose finite. Pertanto, alle 21 in punto, la banda musicale ha preso la via del ritorno, percorrendo tutto il Corso della città sino al Castello svevo, suonando LA RITIRATA DELLA MARINA, seguita dal sottoscritto e da una moltitudine di persone molte delle quali piangevano, forse per la cocente sconfitta, o forse, più verosimilmente, per un inconscio anelito di libertà, di pace e di ritrovato benessere con la fine dei pesanti bombardamenti e del "duro" tesseramento di tutti i generi alimentari, delle privazioni e della fame nera patiti a causa della guerra.
Alla grande confusione e sbandamento generale in cui si é trovata l'Italia, dopo l'8 settembre 1943-in seguito all'armistizio, si é aggiunto il dramma delle nostre Armate dislocate nei balcani e che andavano rimpatriate. I Comandanti di quelle Armate non hanno trovato di meglio ove far convergere i loro soldati nel punto più sbagliato, a Santi Quaranta-in Albania, a uno sputo da Corfù ove i tedeschi avevano un aeroporto agibile ed efficiente. A Santi Quaranta, il Genio Trasmissioni aveva messo su un ponte radio attraverso il quale, insistentemente, quei Comandanti premevano presso il Comando Supremo (che Supremo non era più), affinchè si attivasse per disporre il rimpatrio dei loro soldati. Per tale insistenza, sono stati approntati il piroscafo Dubac e la motonave Salvore, scortati dalla Torpediniera Sirio e dalla Corvetta Sibilla. Arrivati a Santi Quaranta, alcuni Comandanti ci hanno chiesto se avevamo portato dei viveri. La risposta del Comandante del Sirio é stata che non avevamo portato dei viveri perchè non richiesti. Comunque, a presiedere l'imbarco, ordinatamente era stato destinato un Colonello che faceva imbarcare per primi i disarmati. Molti soldati, vedendo come si procedeva e perchè non erano fessi, buttavano le armi un po lontano, cosi potevano imbarcarsi pure loro. Per tale motivo, lontano, si é formata una catasta enorme di moschetti e pistole, buttate e abbandonate.
Siamo ripartiti con i due mercantili, stipati all'inverosimile, raggiungendo Brindisi il giorno dopo. Nel giro di pochi giorni, é stata approntata la nuova missione per Santi Quaranta, con le stesse navi, Dubac e Salvore (cariche di 5-6 tonnellate di viveri richiesti), e la stessa scorta della Torpediniera Sirio e noi Corvetta Sibilla. Navigazione tranquilla all'andata, ma all'arrivo abbiamo trovato una situazione desolante. Desolante per quei soldati calati dalla Croazia orientale (un soldato mi disse che proveniva dalla Slavonia, mai sentita nominare tale regione), un altro mi disse che veniva da Giannina e molti da varie località dell'Epiro. Erano in uno stato pietoso, poiché i partigiani titini li avevano depredati di tutto, scarpe comprese. E' cominciato l'imbarco col solito rituale, solo che tutti quei soldati non erano armati e la maggior parte erano scalzi e con le divise a brandelli. Terminate le operazioni d'imbarco, siamo salpati prendendo la via del ritorno.
Nel bel mezzo del Canale di Otranto siamo stati attaccati da un gran numero di Stukas (decollati dalla vicinissima Corfù). L'attacco é stato repentino, a volo radente sul livello del mare, per cui non abbiamo avuto il tempo di brandeggiare le mitragliere perchè le cabrate e le successive "picchiate" ci hanno costretto a salvarci con estreme virate Il Sirio, noi Sibilla e il Salvore, manovrabilissimi, abbiamo evitato tutte le bombe che ci sono state lanciate. Il Dubac, purtroppo, é stato centrato da 2-3 bombe causando una carneficina fra i soldati stipati all'inverosimile. Per questo, il Dubac ha cominciato a sbandare sul lato sinistro per il cui sbandamento si é cercato di controbilanciarlo facendo affluire tutti i soldati incolumi, all'interno (lato agibile) e all'esterno, del lato destro. Al Comandante del Dubac é stato ordinato di andare avanti con le macchine a tutta forza, fino a raggiungere la costa salentina ove potersi arenare o incagliare, per evitare l'affondamento, cosa che é avvenuta. Alla Torpediniera Sirio é toccato l'ingrato compito di accostarsi al Dubac per prendere i feriti più gravi per portarli immediatamente a Brindisi (quando vi é arrivato, aveva tutta la tolda intrisa di sangue, ma anche il Dubac aveva il lato sinistro sporco di sangue). I feriti meno gravi sono stati soccorsi dai mezzi sopraggiunti da Otranto e trasportati a Lecce. I morti, quasi duecento, sono stati recuperati succesivamente. Noi Sibilla, invece, abbiamo ricevuto l'ordine di scortare la motonave Salvore fino a Brindisi. Sono ancora convinto che se i nostri soldati fossero stati fatti affluire verso il porto di Valona, che é quasi di fronte a Brindisi, molto probabilmente avremmo potuto rimpatriare molti-molti altri soldati. Non é stata progettata ed eseguita altra missione per Santi Quaranta, visto il grande pericolo che occorreva affrontare. Pazienza per quelli che si trovavano molto più a sud (Peloponneso, Morea) e quelli in Tessaglia e a nord della Grecia, compresi i Carabinieri martiri di Cefalonia e quelli del Dodecaneso, Lero compreso-ove c'era un mio cugino. Il destino per quei soldati, marinai, carabinieri che non si sono potuti rimpatriare é stato di finire nei campi di concentramento (o lager) in Germania.
Della coobelligeranza c'é poco da dire. Dopo le quattro giornate di Napoli, noi Corvetta Sibilla abbiamo lasciato Brindisi per Taranto e subito dopo per Napoli. Abbiamo trovato quella città in ginocchio, presa nella morsa della fame. L'arrivo degli americani ha contribuito ad alleviare, progressivamente, le sorti di quella città con la loro presenza, i loro insediamenti che hanno richiesto l'impiego di manodopera locale, oltre ad alimentare le attività commerciali, bar e ristoranti soprattutto, e le poche industrie salvate dai bombardamenti. Gli americani hano fatto della città di Napoli la loro grande base di approdo e smistamento dei rifornimenti per la loro 5^ Armata che si era dispiegata sul fronte a sud di Cassino contro i tedeschi. Il 12 o 13 ottobre c'é stata la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia alla Germania, perciò l'Esercito Italiano rimasto nell'Italia libera é stato via-via riorganizzato, ed é entrato a far parte nei servizi ausiliari dell'Allenza in ossequio alla coobelligeranza chiesta ed accettata. Tali uomini non bastavano più perciò é stata chiamata alle armi la classe 1925. Circa la Regia Marina, posso dire che per quanto riguarda la Corvetta Sibilla, dopo aver imbarcato un Tenente di Vascello della Marina inglese, come Ufficiale di collegamento, ed un marò di carriera-suo attendente, é stata impiegata di scorta ai convogli da Augusta a Napoli e da Napoli ad Augusta. Il Tenente di Vascello inglese (richiamato) era un Professore di Latino all'Università di Oxford. Parlava perfettamente l'italiano, ma con la solita cadenza strascicata degli inglesi. Tale Ufficiale non interferiva minimamente nel comando della nostra nave, ma sovraintendeva solamente alla missione del convoglio. Era un gentiluono, anzi, per dirla all'inglese, era un perfetto gentleman. Con me, saputo che ero sardo, tutte le volte che ci ritrovavamo insieme in controplancia, mi parlava della Sardegna con i suoi nuraghi e che lui conosceva abbastanza bene, meglio di me, e non solo della Sardegna. Aveva preso imbarco da noi poichè il nostro Ufficiale di rotta parlava molto bene l'inglese. Tutte le navi Liberty del convoglio, come pure le nostre navi di scorta, per qualsiasi evenienza, dovevano far capo a noi Sibilla che ospitavamo il citato Ufficiale inglese di collegamento. Il nostro posto in convoglio era sempre il lato esterno rispetto alla costa, mentre sul lato opposto, oltre ad altre nostre unità, c'era sempre un natante inglese, del quale non ricordo il nome della classe, che resisteva molto bene al mare - molto meglio di noi - e che noi impropriamente chiamavamo sciabecco. Di missioni di scorta ai convogli ne abbiamo fatto molte, anzi moltissime, dopo lo sfondamento del fronte di Cassino, lo sbarco di Nettuno, l'occupazione di Roma e la liberazione di Livorno. I convogli per i rifornimenti alla 5^ Armata americana, pertanto, sono stati spostati da Napoli a Livorno e viceversa. Io, come stereotelemetrista, sono rimasto pressochè disoccupato (venivo chiamato alle occorrenze). Ammazzavo il mio tempo riparando in Segreteria Dettaglio dal collega Sottocapo Furiere, perciò ho imparato in toto il suo servizio. Riparavo più spesso in cabina R.T. e anche, col permesso del Comandante, a fare il timoniere. Lo stesso dicasi degli addetti all' ecogoniometro (sonar), data la non presenza di sommergibili tedeschi nel Mediterraneo. Le nostre scorte ai convogli, praticamente, erano delle belle "passeggiate" in mare. Per rendere l'idea della disparità delle forze in campo, debbo dire che i nostri convogli per Tripoli, Bengasi e Tobruk, composti da 2-3-4 carrette del mare, che navigavano si e no a 5-6 nodi all'ora e che per arrivarci si impiegavano 3-4-5-6 giorni,i convogli dei nostri ex nemici (leggasi soprattutto americani) erano una cosa ben diversa. Un giorno é toccato a noi Sibilla dar fondo all'ancora, alle sei del mattino, al di fuori degli sbarramenti nell'ingresso della rada di Augusta, per prendere il nome di tutte le navi Liberty che sarebbero uscite per Napoli. Siamo stati lì tutto il santo giorno fino alle 20,30 prendendo il nome di tutti quei Liberty, e alla fine ne abbiamo contato ben 96 (ripeto: novantasei). Tutte quelle navi hanno raggiunto lo stretto di Messina in due colonne, mentre dopo tale stretto i Liberty si sono messi in quattro colonne. Finita la conta, abbiamo preso il mare per raggiungere la testa del convoglio. L'abbiamo raggiunta verso mezzanotte. Io sono stato svegliato e chiamato in controplancia, salendovi dal nostro lato di babordo (sinistro). Arrivatovi, ancora assonnato, ho visto qualcosa in fiamme per cui ho urlato: - Sig. Comandante, a dritta c'é una nave in fiamme. E lui, bonariamente, mi ha risposto: - si, Caria. Quel che hai visto sarebbe stata una nave in fiamme, se non fosse stato lo Stromboli...... (il vulcano) Finisco di rendere l'idea delle disparità delle forze in campo dicendo che la rada di Augusta era strapiena di navi Liberty provenienti dal nord Africa (anche da Gibilterra), ma altrettanto lo era il golfo di Napoli strapieno di tali navi, in attesa di entrare in porto per potervi scaricare il contenuto delle loro stive. Nelle banchine del porto di Napoli, poi, vi era accatastato ogni ben di Dio, in attesa delle colonne ininterrotte dei loro camion per portare tutto nelle retrovie della 5^ Armata.
DIVAGAZIONI A MARGINE - Inizio le mie divagazioni facendo cenno del marò inglese di carriera accennato, per dire che con quel ragazzo ce la siamo spassata. Gliene abbiamo dette e combinate di tutti i colori. Lui, un buon incassatore, accettava tutto, ma anche lui, nel suo italiano stentato, era "graffiante" all'occorenza. Le nostre battute non riguardavano affatto la guerra vinta e persa, la Marina Inglese o la Marina Italiana, ma erano espressioni dettate dalla esuberanza giovanile, compresi gli "alzabandiera" della sveglia mattutina. Era oltremodo contento di essere imbarcato da noi, poichè, lo diceva lui, da noi aveva trovato fratellanza e vicinanza umana, cosa che negli imbarchi che aveva fatto nella loro Marina non li aveva mai notati. Quando é sbarcato, alla fine della guerra, quasi-quasi gli dispiaceva. Sbarcando, ha abbracciato tutti quelli che ha trovato nel suo percorso da prora a poppa. Detto questo, passo a dire che la vita di Napoli ha avuto un impulso notevolissimo, grazie all'intrallazzo (detto anche contrabbando) e all'industria più vecchia del mondo. Il contrabbando lo hanno esercitato TUTTI, anche noi marinai, ma anche il nostro Comandante. Compravamo sigarette, sale e formaggio ad Augusta e vendevamo tutto a Napoli. Generalemente, davamo fondo all'ancora in rada, nel borgo marinaro-di fronte a Piazza Vittoria. Ad attenderci un mugolo di barche che "compravano" e pagavano a pronta cassa, fidandosi del peso dichiarato da noi, sicuri della nostra onestà. Un giorno, c'é stato un furbo napoletano che, dopo aver preso la merce, con quatro colpi di remi se la stava squagliando senza pagare. Il marinaio "gabbato" era il mitragliere veneziano citato nel mio Racconto dell'arrivo dei Savoia a Brindisi. Egli cosa fa? Va su, inforca la sua mitragliera e gli scarica tutto il caricatore dei traccianti bianchi, rossi, verdi, ecc. facendoglieli fischiare nelle orecchie, costringendolo a tornare indietro e a pagare. Gli ha detto: - ti ti son napoletan, mi son venessian, e un napoletan non fregherà mai un venessian. Dopo gli spari, é salito in coperta il Comandante per chiedere cosa erano quegli spari. Gli ha risposto lo stesso veneziano: - Sior Comandante, go taccao la mitragliera, non ghe s'era la sicura ed é partio tutto il caricatore... Qualcuno di bordo aveva racimolato il milioncino, tutti gli altri il mezzo milioncino (o quasi) che ci permetteva di divertirci. Dell'industria più vecchia del mondo ne ha parlato diffusamente Curzio Malaparte nel suo libro "La Pelle". Una quindicina di episodi narrati da lui, io ne ho avuto conoscenza diretta e qualcun'altra per sentito dire, come quella del soldato negro americano che aveva portato in dono un carro armato alla sua bella napoletana. La famiglia di costei, contenta del dono ricevuto, ha smontato pezzo per pezzo il carro armato e ha venduto tutto ai ferri vecchi ricavandone una bella sommetta. Ho assistito adf altri episodi che Malaparte non poteva vedere nè sapere.... Giornalmente, passavo in Via Chiatamone ove c'era la caserma dei marocchini. Immancabilmente, c'era sempre una fila di mamme che portavano per mano i loro bambini. Leggendo Malaparte, ho saputo il perchè di quella fila...... Per quel libro, Malaparte si é attirato le ire dei napoletani, per aver narrato tutte le loro sozzerie al riguardo dell'industria più vecchia del mondo. Perciò, guai se fosse passato per Napoli perchè, come minimo,l'avrebbero linciato. Raggiungeva la sua villa a Capri con l'elicottero. Mi sfuggiva di dire che con il contrabbando, l'industria accennata e i tanti modi di arrangiarsi, più o meno leciti, i napoletani avevano "acquisito" il benessere della sapravvivenza e il capitone natalizio. Tuttavia, erano rimaste sacche di estrema indigenza e di fame. Un giorno sono passato nell'angiporto della Galleria Umberto, e, uscendo, ho trovato a terra un ragqazzo che si contorceva in convulsioni. Sono saltato subito su Via S.Carlo per chiedere aiuto. Meno male che é passata una camionetta americana con la croce rossa che ho bloccato sbarrandole la strada. Ai due occupanti, occhialuti, ho fatto cenno di seguirmi indicando loro quel ragazzo. Erano due Ufficiali medici. Uno di loro, in italiano stentato mi ha detto: - ragazzo morendo di fame. E se lo sono portato via a sirena spiegata. Quasi la metà del personale dell'equipaggio era settentrionale, perciò il loro moralismo feroce contro i meridionali era di prammatica. Tuttavia, saliti su a Piombino, Porto Ferraio e Livorno non c'era affatto tutto quel "bordello" di Napoli. Liberata Genova, vi siamo arrivati subito e... cosa troviamo e vediamo? Le "segnorine" genovesi sedute in grembo delle sentinelle indiane dentro le loro garitte sistemate nel porto. Si può immaginare la rivalsa moralistica feroce dei meridionali verso i colleghi del settentrione. Finisco queste divagazioni, che mi hanno permesso di "illustrare" l'Italia di quei tempi, facendo cenno ad un fatto raccontatomi dal proprietario del Ristorante Savoia di Piombino, ove andavo sempre a cena. L'ala della 5^Armata americana, nel litorale tirrenico, era formata da soldati della Francia Libera, tutti nordafricani. Il loro Comando (francese), per vendicare la "pugnalata alla schiena" decantata dai francesi, aveva dato loro carta bianca, e cioè di penetrare nelle case, armi alla mano, e di prelevare le ragazze per violentarle. Se i famigliari si opponevano, cosa sempre accaduta, sparavano e... ci é scappato anche qualche morto. Un caso era accaduto a Piombino, un altro a Cecina ed un altro ancora in un paese che non ricordo.
Persa la guerra e liberata l'Italia dall'occupazione tedesca, é rimasto il problema dei ricongiungimenti famigliari degli italiani del centro-nord, rimasti bloccati al sud e i meridionali rimasti bloccati al nord a seguito dell'armistizio dell' 8 settembre '43. I tedeschi man mano che indietreggiavano verso nord, sotto l'incalzare delle offensive alleate, facevano saltare i binari delle ferrovie con cariche esplosive sistemandole a venti metri una dall'altra, cosi le tratte Roma-Livorno-Genova, come la tratta Roma-Firenze-Bologna non erano percorribili da alcun treno. Non so se nella tratta Roma-Ancona-Venezia sia successa la stessa cosa. Io ho visto questo "scempio" nella tratta Roma-Livorno-Genova e la Roma-Firenze-Bologna. Il problema dei ricongiungimenti famigliari é stato demandato alla Regia Marina, con le sue navi del naviglio sottile, e tra queste c'era anche la Corvetta Sibilla. Gli interessati affluivano dall'estremo sud e dalla Sicilia, alla Prefettura di Napoli che, di concerto con l'Ammiragliato di Napoli, organizzava gli scaglioni di persone dirette all'Italia centrale e quelli diretti in Liguria, Piemonte e Lombardia, verso Livorno, La Spezia e Genova. Per i meridionali bloccati a nord, il compito era demandato alle Prefetture di Genova, La Spezia e Livorno che, di concerto con l'Ammiragliato di La Spezia, venivano organizzate le partenze degli stessi verso sud. Le partenze delle navi avvenivano alla spicciolata, cioè in solitario, per non creare problemi e ingorghi nei porti di Livorno, La Spezia e Genova. Noi Sibilla portavamo 35 persone alla volta (uomini, donne e bambini-con pochi bagagli). I più contenti erano i bambini che assaporavano l'ebbrezza del mare, il vedere cannoni e mitragliere e noi marinai al lavoro, molto cortesi con loro. Nel Sibilla, come del resto nelle altre navi, si era creato un vuoto per la concessione di tre mesi di licenza ai militari del settentrione imbarcati, dato che erano due-tre anni che non fruivano di licenze. E cosi, allo scrivente é toccato fare tre mesi di timoniere, di segnalatore ed altro, finchè, per un disturbo-settembre '45, é stato ricoverato in ospedale e sbarcato al Deposito della Regia Marina di Napoli. Lì é stato destinato al Servizio di Rappresentanza (a far niente - ha fatto solo due servizi di rappresentanza e tre missioni all'estero) e, infine, incastrato di servizio alla Segreteria Comando. Nel Giugno '46, e' stato fatto reimbarcare a viva forza nella Corvetta Sibilla, destinata al dragaggio delle mine (considerato a tutti gli effetti operazioni di guerra), insieme ad altre undici Corvette, a partire dal litorale di Fiumicino fino Piombino (tutto minato). E' stato un lavoro massacrante, SOPRATTUTTO PER GLI STEREOTELEMETRISTI (i quali, per il diuturno superlavoro, sono crollati uno dopo l'altro, come birilli), prima con i divergenti e dopo con la sciabica. Per tale lavoro, lo scrivente é crollato e sbarcato (febbraio 1948) con destinazione Maridist Napoli (leggasi Distaccamento Marina Militare). Infine, (novembre '48)si é ammalato di brutto, perciò riformato perchè non più idoneo al servizio militare marittimo e, quindi, congedato (col grado di 2°Capo) e a casa (giugno '50). Pertanto, spiacente, ha dovuto dire ADDIO ALLE ARMI e alla carriera. Tuttavia, nonostante TUTTO, é ancora qui, la pelle c'é ancora.......