L’Ugolino Vivaldi nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125
tonnellate, 2760 in carico normale, 2880 a pieno carico).
Insieme ai gemelli Antonio Da Noli, Antoniotto Usodimare, Leone Pancaldo, Luca Tarigo e Lanzerotto
Malocello, differiva dalle altre unità della classe nell’apparato motore,
costituito da due gruppi turboriduttori Parsons e quattro caldaie Odero. Poteva
trasportare e posare 86 mine tipo P. 200.
Durante gli anni
Trenta svolse intensa attività di squadra; partecipò alla guerra d’Etiopia ed
alla guerra civile spagnola.
Durante il secondo
conflitto mondiale effettuò complessivamente 167 missioni di guerra (51 o 54 di
scorta convogli, 13 di posa di mine, 7 di trasporto, 5 di ricerca del nemico, una
di caccia antisommergibili, 49 di trasferimento, 21 per esercitazioni e 20 di
altro tipo), percorrendo 61.341 miglia nautiche e trascorrendo 3716 ore in mare
e 431 giorni ai lavori.
Dopo un periodo molto
breve di impiego con la squadra navale, divenne tra i protagonisti della
“battaglia dei convogli” combattuta nelle acque del Nordafrica.
Breve e parziale cronologia.
16 maggio 1927
Impostazione nei
Cantieri Odero di Sestri Ponente. È il primo ad essere impostato, tra gli
esploratori della classe Navigatori.
9 gennaio 1929
Varo nei Cantieri
Ansaldo di Genova.
Il varo del Vivaldi (da “Esploratori, fregate, corvette e avvisi italiani” dell’USMM, Roma 1969, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Marzo 1929
Durante
l’allestimento, il Vivaldi viene
visitato da ufficiali della Marina statunitense.
25 luglio 1929
Durante le prove in
mare, con dislocamento di 1942 tonnellate, raggiunge la velocità di 39,69 nodi.
6 marzo 1930
Entrata in servizio, sesta
unità della sua classe. Classificato esploratore leggero. La sua costruzione è
costata 20.650.000 lire.
Nei primi anni di
servizio, assegnato al I Gruppo della Divisione Esploratori, opererà con la
squadra navale, partecipando ad esercitazioni in Mediterraneo e svolgendo
normale attività di squadra.
Nei primi mesi di
servizio è imbarcato sul Vivaldi, col
grado di sottocapo meccanico, Tullio Tedeschi, futura Medaglia d’Oro al Valor
Militare.
Il Vivaldi, il gemello Emanuele Pessagno ed altri due esploratori classe Navigatori all’ormeggio a Malta, probabilmente a Marsa Xlokk, nel periodo 1930-1932. In secondo piano due incrociatori leggeri britannici classe Leander (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
27 aprile-2 ottobre 1930
Primo ciclo di lavori
di modifica, svolti presso l’Arsenale di La Spezia: tali migliorie, apportate a
tutte le unità della classe, sono volte a risolvere i problemi emersi durante i
primi anni di servizio. Per migliorare la stabilità, le sovrastrutture vengono
abbassate di un livello ed alleggerite (con anche l’eliminazione dell’albero a
tripode), i fumaioli vengono anch’essi leggermente abbassati e vengono
eliminati alcuni serbatoi laterali per il carburante, utilizzando al loro posto
i doppi fondi (così riducendo la riserva di nafta da 630 tonnellate a 533
tonnellate). I due impanti lanciasiluri trinati (ciascuno composto da un tubo
lanciasiluri centrale da 450 mm e due laterali da 533 mm) vengono sostituiti,
per lo stesso motivo, con altrettanti impianti binati da 533 mm.
Pur migliorando la
stabilità, questi provvedimenti non risolvono del tutto i problemi di tenuta
del mare dei “Navigatori”.
L’armamento
contraereo viene contestualmente potenziato con l’imbarco di due mitragliere binate
da 13,2/76 mm. Viene, infine, sostituito il timone.
Una fila di torpediniere fotografata da bordo del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
Dicembre 1930-Marzo 1931
Il Vivaldi è tra le unità adibite ad
appoggiare la crociera aerea transatlantica Italia-Brasile di Italo Balbo.
Le navi assegnate a
questo compito, che compongono la Divisione Esploratori (o “Divisione Navale
dell’Oceano”) al comando dell’ammiraglio di divisione Umberto Bucci (con
insegna sul Da Recco), sono
tutte unità della classe Navigatori, suddivise in tre gruppi disposti lungo la
rotta degli idrovolanti: Vivaldi,
Nicoloso Da Recco e Luca Tarigo costituiscono il I
Gruppo, dislocato alle Canarie ed assegnato all’Atlantico centrale, mentre Leone Pancaldo, Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello formano il II
Gruppo (dislocato a Pernambuco, per l’assistenza nella zona americana
dell’Atlantico), ed Emanuele
Pessagno ed Antoniotto
Usodimare formano il III Gruppo (di competenza della parte africana
dell’Atlantico). In tal modo, gli otto esploratori “copriranno” completamente
il tragitto che gli idrovolanti dovranno percorrere, dall’Africa al Brasile.
Il Vivaldi e gli altri “Navigatori” partono
da La Spezia il 1° dicembre 1930 (secondo altra fonte, il 3 gennaio 1931; per
altra fonte ancora partono scaglionati per raggiungere le rispettive posizioni
assegnate, il II Gruppo il 30 novembre e gli altri due il 1° dicembre, seguendo
itinerari differenti) per raggiungere le posizioni assegnate; rimarranno in
mare per quasi quattro mesi. Loro compito è di aiutare gli aerei ad orientarsi,
fungendo da faro di riferimento di notte e fornendo loro rilevamenti
radiogoniometrici di giorno, oltre a prestare soccorso ad eventuali idrovolanti
che fossero costretti ad ammarare nell’oceano.
La crociera aerea
Italia-Brasile costituisce la prima trasvolata oceanica in formazione mai
compiuta: quattordici idrovolanti Savoia Marchetti S. 55, guidati dallo stesso
Balbo, decolleranno da Orbetello (vicino a Grosseto) e raggiungeranno Bahia, in
Brasile, facendo scalo intermedio a Cartagena (Spagna), Kenitra (Marocco),
Villa Cisneros (Marocco), Bolama (Guinea) e Natal (Brasile).
La trasvolata inizia
il mattino del 17 dicembre 1930, con il decollo da Orbetello; dopo aver fatto
scalo alle Baleari (dove si verificano i primi problemi a causa di una tempesta
ciclonica), in Spagna ed in Marocco (sulla costa atlantica e poi nella baia del
Rio de Oro) e poi raggiunto il 25 dicembre la baia di Bolama, nella Guinea
portoghese, i 14 idrovolanti di Balbo decollano tra la mezzanotte e le due di
notte del 6 gennaio 1931 per compiere la traversata dell’Oceano Atlantico,
tremila chilometri da coprire in venti ore. Le condizioni meteorologiche sono
sfavorevoli – gli aerei sono pronti alla partenza fin dal 1° gennaio, ma questa
è stata più volte rinviata a causa del maltempo –, ma si decide di partire lo
stesso per non perdere il plenilunio. In fase di decollo si verificano
purtroppo due gravi incidenti: l’idrovolante I-RECA del capitano Enea Silvio
Recagno, dopo essere salito fino a 45 metri di quota, è costretto ad un
ammaraggio forzato, che provoca il danneggiamento di un galleggiante e la morte
del sergente meccanico Luigi Fois; l’idrovolante I-BOER, del capitano Luigi
Boer, è costretto ad un atterraggio forzato dieci minuti dopo il decollo e
s’incendia, provocando la morte dei quattro uomini dell’equipaggio. Un altro
idrovolante, l’I-VALL pilotato dal generale Giuseppe Valle, ha problemi a
decollare e riuscirà a partire soltanto un’ora e mezza dopo il resto degli
aerei, che tuttavia riuscirà a raggiungere prima dell’arrivo in Brasile (anzi,
arriverà prima di alcuni degli altri idrovolanti, sebbene questi siano
decollati prima di lui, avendo sapientemente sfruttato i venti delle bassissime
quote). Le condizioni meteorologiche sono pessime, rendendo molto difficile il
mantenimento della formazione: buio pesto nelle prime ore di volo, forti piogge
il mattino del 6 gennaio, cielo coperto con piogge occasionali durante il
giorno, e fitte nubi presso la costa brasiliana. Per le prime sei ore di volo
gli idrovolanti la navigazione avviene esclusivamente attraverso la
strumentazione di bordo. Le autorità brasiliane inviano continuamente agli
idrovolanti bollettini sull’evoluzione della situazione meteo, e Balbo si
mantiene costantemente in contatto con le navi appoggio, con Bolama, con Natal
e con Roma. Due degli idrovolanti,
l’I-BAIS e l’I-DONA, sono costretti ad ammarare in pieno oceano a causa di
avarie, ma entrambi vengono raggiunti e soccorsi, rispettivamente, da Pessagno e Da Noli.
Alle 6.06 del 6
gennaio il Vivaldi avvista e segnala
per radio sei aerei che passano sul suo cielo, ed alle 6.25 altri tre.
Alle 19.30 dello
stesso giorno i dieci idrovolanti rimasti raggiungono Porto Natal, in Brasile,
dove l’8 gennaio li raggiunge anche l’I-DONA, riuscito a ripartire dopo aver
riparato l’avaria (non così l’I-BAIS, sfasciatosi dopo essere stato gettato
dalle onde contro lo scafo del Pessagno).
I tremila chilometri tra Bolama e Natal sono stati coperti in 18 ore.
Da Natal gli undici
velivoli ripartono per Bahia, dove giungono l’11 gennaio, da dove proseguono
verso la loro destinazione finale (a 1400 km di distanza): Rio de Janeiro. Qui
la formazione di Balbo giunge alle cinque del pomeriggio del 15 gennaio,
ammarando nella baia della metropoli brasiliana, dopo aver coperto
complessivamente 10.350 km (5600 miglia) in 61 ore e mezzo di volo, concludendo
trionfalmente la traversata. Esploratori – riunitisi in un’unica formazione
proprio quel giorno – ed aerei giungono a Rio simultaneamente: le otto unità
della Divisione Navale dell’Oceano imboccano la baia di Guanahara in linea di
fila, divisi in due colonne, mentre gli idrovolanti di Balbo sopraggiungono in
formazione a cuneo, scortati da biplani dell’aviazione brasiliana. Mentre
l’idrovolante di Balbo, l’I-BALB, alza la bandiera italiana, gli otto
“Navigatori” salutano con 19 salve dei loro 48 pezzi da 120 mm; rendono il
saluto anche le batterie brasiliane situate nelle isole e sulle coste della
baia, nonché le navi brasiliane presenti alla fonda. Assiste all’arrivo degli
idrovolanti un milione di persone.
Il 7 febbraio, a
impresa aviatoria conclusa, la Divisione Esploratori inizia il viaggio di
ritorno, divisa in due gruppi: il Vivaldi fa
parte del II Gruppo, insieme a Da
Recco, Pessagno ed Usodimare.
Novembre 1931
Partecipa alle
celebrazioni per il cinquantenario della fondazione dell’Accademia Navale di
Livorno.
Una foto del Vivaldi, scattata in un periodo compreso tra il 1930 ed il 1932 (Coll. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
8 dicembre 1931
Ormeggiato di poppa
alla calata Gadda del porto di Genova, il Vivaldi
riceve la bandiera di combattimento (offerta proprio dal Comune di Genova,
città di origine dell’eponimo navigatore), insieme ai gemelli Alvise Da Mosto, Lanzerotto Malocello, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Nicoloso Da Recco, Leone Pancaldo ed Antonio Da Noli, nel corso di una grande
cerimonia cui partecipano anche il cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, arcivescovo
di Genova, che benedice le bandiere, il senatore Eugenio Broccardi, podestà di
Genova, e l’ammiraglio Umberto Bucci, comandante della Divisione Esploratori.
La cerimonia inizia
alle 10.30 con la celebrazione della messa da parte del reverendo Nebbiolo,
cappellano della 1a Squadra Navale, al cospetto delle autorità
civili e militari; alle 11 il cardinale Minoretti sale a bordo del Da Noli, nave ammiraglia della Divisione
Esploratori, ed impartisce la benedizione alle otto bandiere di combattimento,
dopo di che il podestà Broccardi pronuncia un discorso e l’ammiraglio Bucci
esprime un breve ringraziamento. Si tiene poi la cerimonia dell’alzabandiera;
le otto bandiere sono issate a riva dell’alberetto poppiero di ciascuna nave,
al grido di "Viva il re" da parte degli equipaggi, mentre i cannoni
sparano le salve regolamentari per la celebrazione. Alle 11.35 la cerimonia ha
termine e le autorità prendono parte ad un rinfresco offerto dal Comando della
Divisione Esploratori a bordo del Da Noli.
1931-1932
È comandante del Vivaldi il capitano di fregata
Ferdinando Casardi. Nel medesimo periodo presta servizio sul Vivaldi Athos Fraternale, futuro asso
della battagliad dell’Atlantico.
Il Vivaldi in transito nel canale navigabile di Taranto nel 1933-1934 (foto Paolo De Siati, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
22 aprile 1934
Il Vivaldi, inquadrato nella I Squadriglia
Esploratori insieme ai gemelli Luca
Tarigo, Alvise Da Mosto ed Antoniotto Usodimare, ed unitamente alla
II Squadriglia Esploratori (formata dai gemelli Emanuele Pessagno, Nicoloso
Da Recco, Lanzerotto Malocello
e Giovanni Da Verrazzano) nonché
alla IV Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco
Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino
Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) ed al posamine Dardanelli, presenzia alla cerimonia per
la consegna della bandiera di combattimento agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni e Luigi
Cadorna, nel bacino di San Marco a Venezia.
1935-1936
Opera in Mar Rosso
durante la Guerra d’Etiopia.
Durante questo
periodo è imbarcato sul Vivaldi il
guardiamarina Bruno Caleari (che aveva già prestato servizio sul Vivaldi nel 1929), futura Medaglia d’Oro
al Valor Militare.
Il Vivaldi a Venezia a inizio 1936 (Coll. Aldo Fraccaroli, via www.associazione-venus.it e Marcello Risolo) |
1937-1938
Partecipa ancora alle
operazioni navali legate alla guerra civile spagnola.
I bastimenti
mercantili adibiti al trasporto di truppe e rifornimenti per le forze
nazionaliste spagnole partono da Napoli con a bordo i “legionari” del Corpo
Truppe Volontarie ed i rifornimenti per le forze nazionaliste spagnole,
usualmente, costeggiano la Sardegna orientale, passano davanti a Cagliari e poi
dirigono a nord verso le coste del Sulcis; al largo dell’isolotto del Toro
vengono raggiunti dalle unità della scorta, che escono da Cagliari o La
Maddalena, e raggiungono Cadice cinque giorni dopo la partenza.
Il Vivaldi è appunto una delle navi
assegnate alla scorta di questi mercantili; ha base a Cagliari, unitamente ai
gemelli Antonio Da Noli e Luca Tarigo, al cacciatorpediniere Maestrale ed agli incrociatori
leggeri Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo (altre navi hanno
invece base a La Maddalena).
Con questo sistema,
che vede l’impiego complessivamente di una quarantina di navi mercantili,
risulta possibile inviare in Spagna 48.000 uomini (in 66 viaggi) e 356.000
tonnellate di materiali (tra cui 488 pezzi d’artiglieria, 706 mortai, 700
velivoli e 46 carri armati).
Ugolino Vivaldi (secondo da sinistra), Antonio Da Noli, Luca Tarigo e Nicolò Zeno a Taranto il 4 maggio 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
5 maggio 1938
Partecipa alla
rivista navale «H» organizzata in occasione della visita in Italia di Adolf
Hitler: nella rivista, il Vivaldi fa
della 1a Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini), formata, oltre
che dal Vivaldi, dagli
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli
Minghetti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), Barone
(Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni) e Romagna (Alberico Da Barbiano, Luigi
Cadorna ed Armando Diaz),
da due squadriglie di esploratori classe Navigatori (Luca Tarigo, Antoniotto
Usodimare, Antonio Da Noli, Nicolò Zeno, Giovanni Da Verrazzano, Alvise
Da Mosto ed Antonio
Pigafetta, oltre appunto al Vivaldi)
e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco).
Il Vivaldi, in particolare, forma la
I Squadriglia Esploratori (capitano di vascello Carlo De Bei) insieme ai
gemelli Da Noli, Tarigo ed Usodimare.
Vivaldi e gemelli navigano in colonna nel Golfo di Napoli durante la rivista "H", in una foto a colori scattata da Hugo Jaeger, fotografo personale di Hitler (archivio "Life") |
Vivaldi e Scirocco durante la rivista
"H", in un’altra foto a colori di Hugo Jaeger (archivio "Life")
5 settembre 1938
Riclassificato
cacciatorpediniere ed assegnato alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere.
Vivaldi (a destra), Da Noli ed Usodimare a Genova nel maggio 1938 (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
15-20 ottobre 1938
Il Vivaldi, insieme ai gemelli Luca Tarigo, Antonio Da Noli ed Antoniotto
Usodimare (che insieme al Vivaldi
formano la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere del capitano di vascello Carlo De
Bei) nonché ai più moderni cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, al comando del capitano di
vascello Gerardo Galatà) ed all’incrociatore pesante Trieste (nave di bandiera dell’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante
della 2a Squadra Navale), scorta da Cadice a Napoli un convoglio
formato dai trasporti truppe Piemonte,
Sardegna, Liguria e Calabria, che
rimpatriano 328 ufficiali e 9369 sottufficiali e soldati del Corpo Truppe
Volontarie, dopo un anno e mezzo di impiego in Spagna a fianco dei
nazionalisti.
Il ritiro di parte
dei volontari (10.000) è stato deciso da Mussolini in seguito al deterioramento
dei rapporti con Francisco Franco, nonché per mostrare al Regno Unito la
volontà di ritirare gradualmente le truppe italiane dalla Spagna, così
adempiendo alla condizione posta dal governo britannico in cambio del
riconoscimento britannico dell’impero italiano in Africa Orientale. Al tempo
stesso, non volendo lasciare la Spagna prima della vittoria finale della fazione
nazionalista, Mussolini vi mantiene ancora un nutrito contingente (Divisione "Littorio"
e divisioni miste italo-spagnole "Frecce Nere", "Frecce Verdi"
e "Frecce Azzurre"), e soprattutto la quasi totalità dell’artiglieria
e dell’aviazione, indispensabili ai franchisti i quali difettano in entrambe le
componenti.
I 10.151 volontari
rimpatrianti s’imbarcano a Cadice il 15 ottobre al termine di una grande
parata, svolta alla presenza del generale franchista Gonzalo Queipo de Llano
(quale rappresentante di Franco); il convoglio parte la sera stessa. La
navigazione si svolge senza eventi di rilievo, con i trasporti truppe disposti
in linea di fila e circondati dalle unità di scorta; al largo di Napoli gli
equipaggi di queste ultime salutano i piroscafi, dopo di che le navi da guerra
lasciano il convoglio e dirigono su Gaeta,
mentre il convoglio entra a Napoli il mattino del 20 ottobre, accolto da
una nutrita folla. Dopo lo sbarco, le truppe vengono passate in rassegna da
Vittorio Emanuele III e da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e
vicesegretario del P.N.F. (nonché genero di Mussolini, e tra le figure chiave
del regime fascista).
L’Ugolino Vivaldi in una foto antecedente il 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
25 ottobre 1938-3 o 8 febbraio 1939
Il Vivaldi è il primo dei “Navigatori” ad
essere sottoposto al secondo ciclo di radicali lavori di modifica, effettuati
nell’Arsenale di La Spezia, volti a risolvere una volta per tutte i problemi di
stabilità (rollio troppo pronunciato, con angoli di sbandamento eccessivi,
causato da un’eccessiva concentrazione dei pesi nella parte alta della nave) e
tenuta al mare di queste navi: la prua viene allungata e completamente
ricostruita, con un nuovo tagliamare dalle slanciate forme a “clipper” in luogo
del precedente dritto verticale e l’allargamento dell’insellatura e del
castello di prua; lo scafo viene allargato di un metro nella parte centrale
(tra il complesso prodiero da 120 mm e gli impianti lanciasiluri poppieri) con
l’aggiunta di nuovo fasciame sui lati, ed i nuovi spazi così ottenuti vengono
sfruttati ricavandovi dei serbatoi supplementari di nafta, il che permette di
aumentare considerevolmente l’autonomia (complessivamente la riserva di nafta
risulterà di 560-680 tonnellate). Si ricava maggiore bordo libero. Il
dislocamento aumenta a 2125 tonnellate standard, 2760 in carico normale, 2888 a
pieno carico e 2975 con 86 mine tipo P. 200 in coperta. Viene contestualmente
modificato l’armamento: i due impianti lanciasiluri binati da 533 mm vengono
sostituiti con altrettanti impianti trinati dello stesso calibro, e vengono
aggiunte altre due mitragliere binate da 13,2/76 mm e due scaricabombe per
bombe di profondità.
Il Vivaldi, primo a ricevere la nuova prua "di
tipo oceanico", servirà come “prototipo” per analoghe modifiche su altri
nove dei dodici “Navigatori” (gli altri due, Nicoloso Da Recco ed Antoniotto
Usodimare, non saranno modificati a causa dello scoppio della guerra), sui
quali però la forma finale della nuova prua risulterà un po’ differente – ed un
po’ più elegante, con un dritto di prora più inclinato ed occhi di cubia in
posizione più elevata – rispetto al Vivaldi
(che invece presenta un tagliamare meno arcuato/slanciato e le cubie ancora ai
lati dei masconi, come in origine, invece che spostate all’altezza del
trincarino, nonché un castello di prua leggermente più basso e con insellatura
meno pronunciata), la cui lunghezza fuori tutto dopo i lavori risulta infatti
di 107,2 metri contro i 110 dei gemelli ricostruiti (la prua del Vivaldi è più bassa e meno arrotondata
rispetto a quelle dei gemelli, con minore cavallino). Il rovescio della
medaglia sarà rappresentato dalla riduzione della velocità (28 nodi di massima)
causato dall’aumento del dislocamento (circa 250 tonnellate) e della larghezza,
ma nel complesso la trasformazione verrà giudicata riuscita, rendendo i
“Navigatori” unità robuste ed affidabili ed adatte ai compiti di scorta
convogli, nei quali non conta tanto la velocità quanto piuttosto l’autonomia e
la tenuta del mare, che con queste modifiche sono state nettamente migliorate.
I “Navigatori” modificati si riveleranno navi robuste, ben armate e con buone
qualità nautiche, e daranno buona prova in innumerevoli missioni di scorta
convogli.
Il Vivaldi a La Spezia nel febbraio 1939, dopo i lavori di modifica (da “Esploratori, fregate, corvette e avvisi italiani”, USMM, 1969, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Un’altra immagine del Vivaldi nel febbraio 1939, dopo i lavori di modifica (da www.naviearmatori.net, utente mmmaaxx) |
Marzo 1939
Partecipa ad una
crociera alle Baleari (secondo una fonte, l’ultima crociera alle Baleari
compiuta da navi italiane durante la guerra civile spagnola, che si concluderà
in aprile con la vittoria delle forze franchiste).
Foto scattata dal sergente cannoniere Gianbattista Pasqua del Vivaldi in acque spagnole, il 17 marzo 1939 (g.c. Adriano Pasqua) |
1939
Fa parte della
Divisione Scuola Comando, con base ad Augusta, insieme al gemello Nicoloso Da Recco, alle
torpediniere Castore, Cigno, Centauro, Circe, Climene, Calliope, Clio, Calipso, Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Luigi Cadorna ed alla 7a,
9a e 10a Squadriglia MAS.
Il Vivaldi e le torpediniere della Divisione Scuola Comando (da sinistra a destra, Cigno, Climene, Centauro, Castore, Lupo, Lince, Libra e Lira) a Milazzo, il 5 luglio 1939 (g.c. Adriano Pasqua) |
Aprile 1939
Durante le operazioni
di invasione ed occupazione dell’Albania, il Vivaldi scorta convogli con truppe e rifornimenti tra Brindisi,
Bari ed i porti dell’Albania.
Una foto scattata dal Vivaldi al largo della costa albanese, aprile 1939 (g.c. Adriano Pasqua) |
Due foto scattate
da Gianbattista Pasqua a Porto Edda nell’aprile 1939 (g.c. Adriano Pasqua)
Il Vivaldi in uscita dal Mar Piccolo di Taranto alla testa di una fila di torpediniere, nel 1939 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati) è
caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, avente base a
Taranto, che forma insieme ai gemelli Antonio
Da Noli, Leone Pancaldo e Lanzerotto Malocello.
La XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere, insieme alla XV Squadriglia (formata dai gemelli Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta, Nicolò
Zeno e Giovanni Da Verrazzano), è
assegnata alla IX Divisione Navale (facente parte della 1a Squadra
Navale), formata dalle nuovissime corazzate Littorio
e Vittorio Veneto, ancora in fase di
addestramento.
25 giugno 1940
Secondo una fonte, il
Vivaldi ed il resto della sua
Squadriglia avrebbero sostituito a Siracusa la IV Squadriglia Torpediniere (Orsa, Procione, Orione, Pegaso) nella scorta dei trasporti
truppe Esperia e Victoria, partiti da Napoli e diretti a
Tripoli con 937 militari e 2775 tonnellate di materiali (il primo convoglio
organico inviato in Libia, preceduto soltanto dall’invio della XII Squadriglia
Cacciatorpediniere con alcune batterie anticarro).
Ha così inizio quella
che prenderà il nome di “battaglia dei convogli”.
26 giugno 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 13.30.
Giugno 1940: “i soli esseri viventi che non pensano ad andare nel rifugio”. Foto scattata da Gianbattista Pasqua, sergente cannoniere del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
9 luglio 1940
Nel corso della
grande operazione che vede l’uscita in mare del grosso della flotta italiana
per proteggere un convoglio diretto in Libia, tra il 7 ed il 9 luglio 1940, la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, composta da Vivaldi, Da Noli e Pancaldo, rimane di riserva a Taranto,
pronta a muovere in caso di necessità. Il 9 luglio, però, la flotta italiana e
la Mediterranean Fleet, anch’essa in mare a protezione di convogli, danno
battaglia al largo di Punta Stilo, e durante la fase di avvicinamento al nemico
anche alle unità della XIV Squadriglia viene ordinato di lasciare Taranto per
raggiungere il resto della flotta (secondo una fonte, per rimpiazzare due
cacciatorpediniere della formazione originaria, che sono dovuti rientrare a
causa di avarie: Dardo e Strale).
Vivaldi (caposquadriglia, capitano di vascello Giovanni Galati), Da Noli e Pancaldo salpano dunque alle 6.18 del 9 luglio, con l’ordine di
raggiungere il previsto punto di riunione delle forze navali italiane (37°40’ N
e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo) entro le 14.
L’Ugolino Vivaldi corre verso il nemico a Punta Stilo (g.c. Adriano Pasqua) |
Nella tarda
mattinata, tuttavia, il Da Noli viene
colto da avarie e costretto a rientrare, riducendo la Squadriglia ai soli Vivaldi e Pancaldo. Alle 13.55 le due rimanenti unità si posizionano a dritta
della IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano), andando a formare, insieme alla IX
Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla IV e VIII Divisione incrociatori, la
colonna sinistra dello schieramento italiano (ossia la quarta ed ultima da
ovest), posta ad est della V Divisione costituita dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (le altre colonne, da
ovest verso est, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra, sono formate
nell’ordine da: VII Divisione; Pola,
I e III Divisione; V Divisione; IV e VIII Divisione).
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica, ed alle 15 il comandante della IV
Divisone, ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo, ordina a Vivaldi e Pancaldo di portarsi a proravia dritta rispetto ai suoi
incrociatori; ma i due cacciatorpediniere non riescono a raggiungere la
posizione assegnata, perché il loro margine di superiorità in velocità rispetto
alla IV Divisione è troppo ridotto.
Sopra, una mitragliera
contraerea del Vivaldi durante la
battaglia di Punta Stilo; sotto, caricamento dei cannoni durante la battaglia
(g.c. Adriano Pasqua)
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). In questo frangente, dalle 15.23, la IV e la VIII Divisione
vengono inquadrate da dieci salve da 381 mm sparate dalle corazzate
britanniche Warspite e Malaya, che cadono molto vicine,
costringendo alle 15.33 le due divisioni a portarsi fuori tiro accostando a
sinistra.
Durante questa fase, in cui gli opposti schieramenti si scambiano
cannonate da grande distanza senza costrutto, la XIV Squadriglia non ha parte
rilevante. Alle 15.59, però, la Cesare,
la nave ammiraglia, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo
ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni,
comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il
contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le
squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della
Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
Un’altra foto scattata sul Vivaldi durante la battaglia di Punta Stilo (g.c. Adriano Pasqua) |
Tiro contro aerosiluranti durante la battaglia di Punta Stilo (g.c. Adriano Pasqua) |
La XIV Squadriglia
riceve l’ordine di attacco alle 16.09, dall’ammiraglio Marenco di Moriondo,
perciò Vivaldi e Pancaldo accostano a dritta, passano a
poppavia della Cesare e danno
inizio alla manovra di attacco, con rotta 15° e beta stimato 90°, da 25.000
metri di distanza. La XIV Squadriglia è l’ultima ad andare all’attacco
silurante. Alle 16.28, però, il comandante Galati constata che le unità
britanniche, distanti ancora 18.000 metri, stanno accostando in fuori per
allontanarsi, rinunciando all’inseguimento, perciò – non avendo ancora riuscito
a portarsi in una posizione favorevole al lancio – rinuncia a sua volta ad
attaccare con i siluri ed assume rotta 240°, emettendo cortine nebbiogene e
seguendo la flotta italiana nella manovra di disimpegno. Il Vivaldi evita con la manovra due siluri.
Vivaldi e Pancaldo vanno all’attacco silurante contro una portaerei (g.c. Adriano Pasqua) |
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi. L’aliquota più
consistente delle unità italiane, compreso il Vivaldi, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio la
corazzata Conte di Cavour, gli
incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia,
gli incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 36
cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XI, XIV, XV e XVI fanno il
loro ingresso nella base siciliana, “saturando” tutti i posti d’ormeggio, sia
in rada che in banchina.
10 luglio 1940
Poco dopo mezzanotte,
a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che
fanno presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio
ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base:
dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di
assegnazione (Napoli e Taranto), lasciando ad Augusta i soli Vivaldi e Pancaldo. La Cavour con
i quattro incrociatori pesanti e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII e
IX partono già alle 00.55 del 10 luglio alla volta di Napoli, su ordine urgente
di Supermarina, mentre Duca degli
Abruzzi, Garibaldi e le
Squadriglie Cacciatorpediniere XV e XVI prendono il mare alle 17.05 dello
stesso giorno, diretti a Taranto; per ultimi salpano Da Barbiano e Di
Giussano con i cacciatorpediniere della XI Squadriglia, anch’essi per
raggiungere Taranto, alle 19.05.
Anche il Vivaldi ed il Pancaldo (capitano di fregata Luigi Merini), una volta finito
di rifornirsi, dovranno lasciare Augusta alla volta di Messina, così da
eliminare qualsiasi possibile bersaglio del previsto attacco aereo britannico.
Nel frattempo, però,
alle 18.50 del 10 luglio, un idroricognitore del 201st Group
della Royal Air Force, decollato da Malta, ha sorvolato la rada di Augusta,
avvistandovi due incrociatori e sei cacciatorpediniere, dato che in quel
momento la IV Divisione (Da Barbiano e Di Giussano) e la XI Squadriglia non sono
ancora partite. L’idrovolante ha comunicato quanto visto ai comandi di
Alessandria ed Hal Far (Malta), che a loro volta hanno poi informato il
comandante in capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne
Cunningham, che si trova ancora in mare con il grosso della Mediterranean
Fleet, 220 miglia a sudest della Sicilia, per l’operazione «MA 5». Tra le navi
in mare con Cunningham c’è l’anziana portaerei Eagle, che ha a bordo 17 aerosiluranti Fairey Swordfish e due
caccia Gloster Gladiator degli Squadrons 813 e 824. Dato che il numero degli
aerei imbarcati è superiore a quello che l’hangar della portaerei può
contenere, alcuni sono stati sistemati sul ponte di volo. Questo fa sì che siano
già pronti per un eventuale decollo: non c’è che da caricarli di bombe o
siluri.
Avuta notizia delle
unità avvistate ad Augusta dal Sunderland, l’ammiraglio Cunningham ordina
immediatamente che i nove Swordfish dell’813th Squadron
decollino per attaccarle con i siluri, ripartiti in due ondate di sei e tre
aerei. Gli Swordfish dovranno condurre l’attacco in rapida successione, con
avvicinamento da sud, regolandosi in modo che i primi sei aerei giungano sulla
rada di Augusta nella fase terminale del crepuscolo (o subito dopo), e che gli
altri tre vi giungano intorno alle 21.30, così da sfruttare la prima luce
lunare.
La Eagle si separa perciò dal grosso
della Mediterranean Fleet, e, scortata da alcuni cacciatorpediniere, si avvicina
maggiormente alla Sicilia; alle 19.30 ha inizio il decollo dei sei Swordfish
della prima ondata, cui seguono poi i tre della seconda. Gli aerei dirigono per
nordovest, in modo da giungere su Augusta provenendo da sud, volando a 600
metri.
Ad Augusta, intanto, Vivaldi e Pancaldo si riforniscono di carburante per poi potersene andare
anche loro: finisce per primo di rifornirsi il Pancaldo, che va poi ad ormeggiarsi al centro della rada (sui cavi
leggeri e pronto a muovere con due caldaie entro le 20.45 e con quattro entro
le 21, come ordinato dal caposquadriglia Galati, dovendo partire di lì a poco),
così che il Vivaldi è l’ultima nave a
fare rifornimento di nafta presso il pontile di Punta Cugno.
Proprio alle 21 i MAS
della IX Squadriglia, in agguato contro forze navali nemiche ed al contempo con
compiti di avvistamento di aerei avversari una trentina di miglia a sud di
Augusta, avvistano i nove Swordfish che volano verso Augusta e lo segnalano con
un messaggio di Precedenza Assoluta, ma i ritardi dovuti alle procedure di
accettazione, smistamento e controllo fanno sì che il messaggio arrivi
all’ufficiale in servizio nella centrale operativa della difesa di Augusta
venti minuti più tardi, ovvero proprio mentre il primo dei siluri scoppia. Non
vi è, così, alcun allarme aereo: sarà l’esplosione del primo dei siluri
lanciati dagli Swordfish ad avvertire le navi italiane che sono sotto attacco.
Alle 21.15 gli Swordfish
della prima ondata avvistano Augusta, ma poi, sorvolando la rada, notano con
delusione che in luogo dei due incrociatori e sei cacciatorpediniere avvistati
dal Sunderland vi sono solo due cacciatorpediniere, perciò si allontanano senza
attaccare, e tornano alla Eagle.
I tre aerosiluranti
che formano la seconda ondata, invece, arrivano alle 21.20 da sudest, sorvolano
la diga foranea, si abbassano sino ad essere a soli trenta metri di quota ed
avvistano a 1500 metri il Vivaldi, che
sta finendo di rifornirsi al pontile di Punta Cugno, ed il Pancaldo, ormeggiato alla boa in mezzo
alla rada. I due cacciatorpediniere sono illuminati dalla luna; è una sera
senza onde né vento. Non visti, i velivoli britannici vanno all’attacco: uno
degli Swordfish si dirige verso il Vivaldi,
gli altri due attaccano il Pancaldo.
Il primo aerosilurante
lancia contro il Pancaldo, ma il
siluro manca il bersaglio ed esplode contro una scogliera vicino alla batteria
di Terre Vecchie: è proprio quest’esplosione, essendo venuto a mancare
l’allarme aereo, ad allertare le navi italiane e le difese di terra dell’attacco
in corso. Vivaldi e Pancaldo aprono subito il fuoco con le
mitragliere, presto imitate dalle vicine batterie contraeree di Terrevecchie e
di Megara-Gennalena, mentre a terra si cerca di capire cosa stia accadendo.
L’aereo che attacca
il Vivaldi compie un’ampia virata ad
est della rada, poi assume rotta nord-nord-ovest puntando sul
cacciatorpediniere fermo ed ormeggiato, che intanto ha aperto il fuoco con il
proprio armamento contraereo; il siluro, tuttavia, manca il bersaglio e finisce
con l’arenarsi, inesploso, su una spiaggia fangosa un poco a sud della foce del
fiume Mulinello.
Non altrettanto
fortunato è il Pancaldo: subito dopo l’esplosione
del primo siluro contro la scogliera, il secondo Swordfish – prima ancora che
il terzo attacchi il Vivaldi – lo
colpisce con un siluro in corrispondenza della sala caldaie prodiera; nel giro
di un quarto d’ora il cacciatorpediniere affonda con la perdita di 16 uomini.
Alle 21.30 il
semaforo di Torre Avolos, situato all’estremità settentrionale della diga
foranea, con visuale su tutta la rada, avverte di aver visto chiaramente la
colonna d’acqua sollevata dallo scoppio del siluro che colpiva il Pancaldo. La centrale operativa della
difesa di Augusta, informata per telefono, invia tempestivamente diversi mezzi
navali in soccorso, prima ancora del cessato allarme. Anche il Vivaldi – che alle 21.40, ultimato il
rifornimento a Punta Cugno, molla gli ormeggi e si porta a lento moto presso la
boa B4 – si dirige subito sul punto in cui è affondato il gemello, insieme ad un rimorchiatore, una bettolina ed altre
imbarcazioni minori. Nel giro di un’ora e mezza vengono tratti in salvo 204 dei
220 uomini che componevano l’equipaggio del Pancaldo.
Alle 22.27, quando
viene dato il cessato allarme, il Vivaldi
si ormeggia alla boa B4.
11 luglio 1940
All’una di notte il Vivaldi lascia Augusta diretto a
Messina.
Ritorno a Taranto del Vivaldi, forse dopo la battaglia di Punta Stilo (g.c. Adriano Pasqua) |
31 luglio-1° agosto 1940
Alle 19 del 31 luglio
il Vivaldi (capitano di vascello
Giovanni Galati) salpa da Augusta insieme al resto della XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (cioè il solo Antonio
Da Noli, essendo il Pancaldo
affondato ed il Malocello
temporaneamente distaccato presso la XV Squadriglia) ed alla XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco,
Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare), per dare la
caccia ad un sommergibile nemico che alle 12.30 del giorno precedente ha
attaccato infruttuosamente un convoglio – formato dai mercantili Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Città di Bari, Maria Eugenia, Gloriastella
e Francesco Barbaro, partiti da
Napoli per Tripoli nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» e
scortati dai cacciatorpediniere Maestrale,
Grecale, Libeccio e Scirocco e
dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso – in
navigazione a sud dello stretto di Messina, 20 miglia a sud di Capo dell’Armi.
Il sommergibile
ricercato è il britannico Oswald (capitano
di corvetta David Alexander Fraser), partito da Alessandria d’Egitto il 19
luglio per una missione ad est della Sicilia: la sua terza missione di guerra
in assoluto. Frettolosamente “rispolverato” dalla riserva e spedito in
Mediterraneo in seguito alla dichiarazione di guerra, l’Oswald non è esattamente in condizioni ottimali: i motori diesel non
funzionano al meglio e sono poco affidabili, la radio dà noie e ci sono
continue infiltrazioni d’acqua da uno dei tubi lanciasiluri poppieri (o dal
pressatrecce di poppa) ed in misura minore da altri punti, che causano seri
problemi di assetto ad un sommergibile appartenente ad una classe che già di
suo risulta, sotto questo aspetto, alquanto delicata.
Dopo essere passato a
sud di Creta, l’Oswald ha raggiunto
la zona d’agguato assegnata, a sudest dello stretto di Messina ed al largo di
Capo Spartivento, ed ha iniziato a pattugliarla – incontrando, tra il 27 ed il
29 luglio, convogli e navi italiane isolate, ma senza mai riuscire a portarsi
all’attacco – fino ad avvistare, alle 12.30 del 30 luglio, il convoglio sopra
citato: dapprima un gruppo identificato come composto da quattro incrociatori
ed alcuni cacciatorpediniere con rotta nord, e poco dopo un convoglio formato
da tre navi mercantili e numerosi cacciatorpediniere, in uscita dallo stretto
di Messina e diretto a Tripoli alla velocità di 7 nodi. Avvicinatosi a
quest’ultimo, alle due del pomeriggio l’Oswald
l’ha infruttuosamente attaccato lanciando una salva di siluri, tre dei quali
sono stati avvistati ed evitati dal cacciatorpediniere Grecale, che ha poi riferito per radio della presenza di un
sommergibile nemico 20 miglia a sud di Capo dell’Armi. Inizialmente il Comando
Militare Marittimo della Sicilia, dal momento che la maggior parte delle
siluranti alle sue dipendenze erano impegnate nella scorta di tre convogli
diretti in Nordafrica, ha potuto inviare soltanto una torpediniera a cercare il
sommergibile britannico; ma essendo prevista la partenza da Augusta per
Taranto, il 1° agosto, della XIV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, si è
deciso di ordinare a queste due squadriglie di condurre, durante la navigazione
di trasferimento, un rastrello antisommergibili a sud di Capo Spartivento e poi
nel Golfo di Taranto.
Secondo il libro "The
Royal Navy and the Mediterranean: Vol. I: September 1939 – October 1940"
di David Brown, il 30 luglio l’Oswald
aveva trasmesso a Malta un segnale di scoperta relativo all’avvistamento di
incrociatori e cacciatorpediniere – facenti parte della forza di scorta del
convoglio sopra citato – e sarebbe stato proprio questo a decretarne la fine:
il segnale, infatti, fu intercettato e radiogoniometrato dai comandi italiani,
che inviarono le due squadriglie di cacciatorpediniere a dargli la caccia.
Anche nella commissione d’inchiesta condotta nel dopoguerra dalla Royal Navy
viene menzionato che “il comandante aveva
deciso di inviare due comunicazioni radio alla base di Alessandria per
informare della posizione di un significativo numero di navi da guerra e da
trasporto italiane. Si pensa che questi segnali attirarono il
cacciatorpediniere italiano Ugolino Vivaldi (…) Il comandante in una deposizione del 1945 alla Commissione d’Inchiesta
disse che in seguito, in prigionia, sentì dagli italiani che questi avevano
cercato un sommergibile per tre giorni”. Uboat.net parla di due distinti
segnali di scoperta lanciati via radio dall’Oswald:
uno relativo al convoglio attaccato, trasmesso il 30 luglio, e l’altro relativo
a degli incrociatori diretti verso nord attraverso lo stretto di Messina,
trasmesso il 1° agosto, per poi spostarsi nel Mar Ionio.
Alle 20.25 (o 20.55) i
cinque cacciatorpediniere italiani iniziano il rastrello disponendosi in linea
di fronte, ad una distanza di quattro miglia l’uno dall’altro (da sinistra a
dritta, nell’ordine, Da Noli – il più
vicino a Capo Spartivento, che è alla sinistra delle navi –, Vivaldi, Da Recco, Usodimare e Pessagno, il più lontano dalla costa), e
procedendo a 19 nodi su rotta 55°, lungo il rilevamento ottenuto dalla
rilevazione radiogoniometrica. La notte è particolarmente buia, serena ma senza
luna; il mare è calmo.
È proprio il Vivaldi a trovare l’Oswald, poco prima delle 23.50 (per altra fonte, alle 23.05),
sorprendendolo in superficie dodici miglia a sudest di Capo Spartivento (nel
Golfo di Taranto): primo ad avvistare l’unità nemica è il cannoniere Angelo
Sandrini, che dà immediatamente l’allarme. Il comandante Galati avvista l’Oswald da circa 2500 metri di distanza,
a circa 70° di prora sul lato sinistro (cioè a proravia sinistra); lo
identifica correttamente come un grosso sommergibile, completamente emerso,
apparentemente stazionario, con rotta quasi parallela a quella del Vivaldi. Subito il cacciatorpediniere
lancia il segnale di scoperta, ed al contempo Galati ordina di portare la
velocità al massimo ottenibile utilizzando tre caldaie, ossia 27 nodi, ed
accosta a sinistra di oltre 100°, con tutta la barra, per mettere la prua sul
sommergibile, con l’intenzione di speronarlo. Quando la distanza è calata a
circa 1000-1500 metri, Galati vede che anche l’Oswald sta accostando a sinistra e si sta portando con un’estremità
verso il Vivaldi, apparentemente in
posizione favorevole per lanciare i siluri.
L’Oswald è emerso alle 21 e, al momento
del suo avvistamento da parte del Vivaldi,
si trova intento a ricaricare le batterie, navigando alla velocità di otto nodi
(il motore di dritta è usato per la propulsione, quello di sinistra per la
ricarica delle batterie, secondo quanto poi dichiarato dal comandante Fraser,
mentre il fuochista Andrews affermerà l’opposto); in plancia sono di guardia il
tenente di vascello Marmaduke Storr Hodson e le vedette Frank Seaton (a dritta)
ed E. R. Burbridge (a sinistra). Alle 23.50 il marinaio Burbridge avvista il
cacciatorpediniere italiano a poppavia dritta (rilevamento “verde” 160°), ad un
miglio e mezzo di distanza, ed informa immediatamente l’ufficiale di guardia,
tenente di vascello Hodson. (Burbridge affermerà in seguito di ritenere che il Vivaldi sia stato nascosto dalla
foschia, verso poppa o verso sinistra, dal momento che la visibilità senza
foschia era, quella notte, di due miglia e mezzo: riteneva impossibile che il
cacciatorpediniere si fosse potuto avvicinare così tanto senza essere visto). Hodson
suona l’allarme notturno, comunicando alla camera di manovra, attraverso il
tubo portavoce, “Nemico in vista”, e chiedendo al comandante Fraser di salire
in plancia; inoltre ordina di accostare di 15° a sinistra, in modo da puntare i
tubi lanciasiluri poppieri – già carichi – verso il cacciatorpediniere in
avvicinamento (del quale stima la velocità in 18-20 nodi: il Vivaldi sta in quel momento manovrando
per portarsi in posizione più avanzata, in modo da speronare l’Oswald al traverso), pronti a lanciare
(tuttavia, a causa della maggior velocità del Vivaldi e delle manovre da esso intraprese, l’Oswald non riuscirà a portare i propri tubi lanciasiluri in
punteria). Al tempo stesso, in camera di manovra il sergente nocchiere Kennedy suona
il segnale di allarme, che ordina all’equipaggio di prepararsi all’immesione;
seguendo la procedura prescritta per tale circostanza, si passa dalla
propulsione diesel a quella elettrica (prima col motore di dritta, poi anche
con quello di sinistra, aventi una potenza di 600 HP ciascuno contro i 2000 HP
di ciascun motore diesel), il che fa sì che la velocità dell’Oswald al momento della collisione si
aggiri sui 6-8 nodi.
In quel momento il
comandante Fraser è impegnato nella decifrazione di un importante messaggio
ricevuto via radio, in quadrato ufficiali, insieme al comandante in seconda
Marsh ed al sottotenente di vascello Michael Kyrle-Pope (ufficiale addetto alle armi),
senza indossare – contrariamente alla prassi – gli occhiali speciali rossi per
la lettura notturna (progettati per consentire un migliore adattamento della
visione in simili condizioni: tuttavia, secondo la testimonianza di Kyrle-Pope
durante l’inchiesta condotta nel dopoguerra, questi occhiali non sarebbero mai
stati distribuiti all’equipaggio dell’Oswald).
Accorso in plancia in circa mezzo minuto, non riesce a vedere nulla perché i
suoi occhi – passando in così poco tempo dal quadrato ufficiali ben illuminato
all’oscurità notturna – non fanno in tempo ad adattarsi all’oscurità prima
dell’impatto; siccome Fraser è sprovvisto di occhiali per la visione notturna,
il marinaio Burbridge gli consegna i suoi, ma il comandante dell’Oswald continua a non riuscire a vedere
la nave italiana, che ormai è ad appena mezzo miglio di distanza, su
rilevamento verde 110°, e sta leggermente allargando. Di conseguenza, mentre il
Vivaldi accosta verso l’Oswald ed aumenta la velocità, il
sommergibile non intraprende alcuna manovra per evitare la collisione, né
l’equipaggio britannico tenta di armare il cannone o di preparare i siluri al
lancio (secondo il marinaio Burbridge, invece, entro quattro minuti e mezzo od
al massimo cinque minuti dall’avvistamento tutti i tubi lanciasiluri erano
stati preparati al lancio, come fu riferito in plancia).
Quando già il Vivaldi è ad appena trenta metri di
distanza, Fraser riesce finalmente a vederlo; a questo punto ordina
all’ufficiale di rotta di mettere tutta la barra a sinistra (l’Oswald, peraltro, sta già virando a
sinistra per via del precedente ordine di Hodson) ed al contempo di prepararsi
ad abbandonare la nave: la collisione, se ne rende conto, è pressoché
inevitabile.
La manovra intrapresa
da Galati infatti riesce ed il Vivaldi
sperona l’Oswald a poppavia della
falsatorre, sul lato di dritta, divellendo e deformando il portello della camera
di lancio siluri poppiera, danneggiando i periscopi, squarciando un serbatoio
di carburante sul lato di dritta ed aprendo una falla dalla quale il
sommergibile inizia ad imbarcare acqua nella camera di lancio siluri poppiera. Sono
passati, probabilmente, tra i cinque e gli otto minuti dal momento
dell’avvistamento del Vivaldi da
parte dell’Oswald (secondo Fraser,
mentre il sottotenente di vascello Kyrle-Pope stimerà tra i tre ed i cinque
minuti).
Subito dopo lo
speronamento, il Vivaldi lancia dieci
bombe di profondità da 100 kg, regolate per profondità variabili tra i 25 ed i
100 metri (è il capo silurista di terza classe Antonio Arnese ad eseguire il
lancio): queste esplodono sotto lo scafo dell’Oswald (e più precisamente sotto il locale motori), scuotendolo
violentemente, facendo saltare le luci e strappando il motore diesel di
sinistra dal suo basamento (così affermerà Fraser in una lettera del 6 giugno
1945, e poi di nuovo davanti alla commissione d’inchiesta quello stesso anno).
Questo secondo il libro "Sea Wolves: The Extraordinary Story of Britain's
WW2 Submarines" di Tim Clayton, mentre "Submarines at War 1939-1945"
di Richard Compton-Hall minimizza i danni causati dalla collisione, sostenendo
che questa sarebbe avvenuta “di sbieco” e che le bombe di profondità lanciate
subito dopo dal Vivaldi non sarebbero
esplose particolarmente vicine.
Secondo Peter D.
Hulme della Barrow Submariners Association, autore di un’approfondita analisi
della perdita dell’Oswald basata
sulla consultazione dei documenti delle commissioni d’inchiesta postbelliche,
l’impatto “fu più una collisione fianco
contro fianco che uno speronamento, con il cacciatorpediniere ad un angolo di
circa 15 gradi”; la collisione, comunque piuttosto violenta e verificatasi
all’altezza del boccaporto poppiero, danneggiò le casse di nafta esterne dell’Oswald, ma non le casse di zavorra, dato
che il sommergibile non rimase sbandato (secondo il libro "Beneath the
Waves: A History of HM Submarine Losses 1904-1971" di A. S.
Evans, invece, le casse di zavorra sarebbero state gravemente danneggiate
quando il Vivaldi, dopo l’impatto,
“strusciò” lungo il fianco dell’Oswald).
Lo scafo resistente non fu, apparentemente, lesionato dalla collisione, ma subì
invece gravi danni per effetto delle bombe di profondità lanciate dal Vivaldi subito dopo l’impatto, mentre si
allontanava dal sommergibile danneggiato; queste esplosioni provocarono vie
d’acqua nei compartimenti poppieri del sommergibile (secondo David Barnes, militare
della Royal Navy in congedo ed anch’esso autore di una ricerca sulla perdita
dell’Oswald, la camera di lancio
siluri poppiera venne evacuata ed isolata in conseguenza delle vie d’acqua in
essa riscontrate). Il Vivaldi, da
parte sua, perse alcune piastre dello scafo nei primi metri della prua, sotto
la linea di galleggiamento, e si ritrovò col dritto di prora leggermente
deformato; un danno tutto sommato di modesta entità.
Al momento
dell’impatto, Fraser dà l’ordine di abbandonare il sommergibile (secondo il
libro "Submarines at War 1939-1945" di Richard Compton-Hall, anzi, “la successiva indagine [secondo quanto
riferito il 7 aprile 1943 in un rapporto sulla perdita dell’Oswald dal comandante della 1st
Submarine Flotilla al Comandante in Capo delle forze navali britanniche nel
Levante] stabilì al di là di ogni
ragionevole dubbio che il comandante aveva ordinato ‘Abbandonare la nave’ prima
che il sommergibile venisse speronato”; un’altra fonte afferma che Fraser
avrebbe dato l’ordine quando il Vivaldi
distava ancora una novantina di metri). Il sottufficiale motorista George
Mitchell, giunto in plancia, chiede a Fraser cosa sia successo: questi indica
verso dritta e gli dice che “la nave
visibile laggiù ci aveva appena speronati. [Fraser] disse che mentre passava, aveva lanciato delle bombe di profondità.
Chiesi cosa intendesse fare. Disse che pensava che sarebbe stato impossibile
per il battello di immergersi di nuovo, e se necessario avrebbe affondato
l’unità”. Ai marinai vengono distribuiti i respiratori Davis disponibili,
non sufficienti per tutti. Il sottotenente di vascello Kyrle-Pope conduce
un’accurata ispezione dei locali interni del sommergibile, per accertarsi che
nessuno sia rimasto di sotto; dopo di che è l’ultimo ufficiale dell’Oswald a salire in coperta.
Mentre gli uomini si
gettano in mare, il comandante Fraser ordina al capo motorista, ancora
sottocoperta, di aprire le valvole di presa a mare per autoaffondare il
sommergibile; poco dopo, tuttavia, annulla l’ordine e fa chiudere nuovamente le
prese a mare dopo che il comandante in seconda Marsh ha ipotizzato che la nave
italiana abbia perso di vista l’Oswald
nell’oscurità. L’affermazione di Marsh viene però rapidamente smentita quando
il Vivaldi (che inizialmente aveva
manovrato in modo da non offrire un bersaglio ai siluri dell’Oswald, non sapendo che l’equipaggio lo
stava abbandonando) inizia a sparare – invero, piuttosto alla cieca – alcuni
colpi di cannone, compresi alcuni proiettili illuminanti, e Fraser ordina
nuovamente di aprire le prese a mare, nonché di lanciare un SOS indirizzato
proprio al Vivaldi (è il tenente di
vascello Hodson a trasmettere l’SOS). Ciò avviene tra i cinque e gli otto
minuti dopo la collisione. Vengono aperti anche tutti i portelli, e l’Oswald affonda abbastanza rapidamente,
dopo essere stato abbandonato da tutto l’equipaggio, nel punto 37°41’ N e
15°38’ E o 37°46’ N e 16°16’ E, dieci o dodici o quindici miglia ad est-sud-est
o sud-sud-est di Capo Spartivento Calabro, a seconda delle fonti. Codici e
documenti segreti affondano con il battello. Il sottufficiale Edwin Clay, uno
dei superstiti, ricorderà in seguito: “…le
prese a mare del sommergibile vennero aperte ed entrammo in acqua. Il
comandante ci fece restare raggruppati, e lanciammo un triplice saluto all’Oswald
mentre s’immergeva. Qualche minuto dopo sentimmo gli accumulatori delle
batterie che esplodevano”. Mentre l’Oswald
affonda sotto i suoi piedi, il sottotenente di vascello Kyrle-Pope tenta di
strappare un marinaio che non sa nuotare dal parapetto cui si è avvinghiato, ma
non ci riesce. Dal primo avvistamento all’inabissamento è trascorsa circa
mezz’ora.
David Barnes fornisce
una versione diversa per quanto riguarda alcuni punti: dopo lo speronamento,
Fraser avrebbe inizialmente ordinato soltanto di “prepararsi ad abbandonare la
nave”, poi mutato in “abbandonare la nave” dopo aver constatato l’entità dei
danni, che comprendevano vie d’acqua nella camera di lancio siluri poppiera e
ingresso d’acqua anche dal portello poppiero, che non poteva più essere chiuso
perché deformato nella collisione. Il sottotenente di vascello Kyrle-Pope
avrebbe in questo frangente attraversato il locale motori (che secondo un
superstite era “completamente in disordine e con ingresso di acqua dal portello
poppiero”) e raggiunto il compartimento poppiero, dove un gruppo di marinai lo
avrebbe informato che la camera di lancio poppiera era stata evacuata ed
isolata per via dell’allagamento in corso, che faceva sospettare l’esistenza di
una falla. Secondo il libro "Beneath the Waves", Kyrle-Pope sarebbe
stato inviato da Fraser a verificare i danni subiti, ed avrebbe riferito che il
locale motori poppieri era allagato, che l’Oswald
stava imbarcando acqua anche dalla camera di lancio siluri prodiera, e che il
boccaporto poppiero era deformato e non più richiudibile.
Tornato sul punto
dell’affondamento dopo oltre un’ora e mezza, il Vivaldi avvista una luce fievole ed intermittente che induce il
comandante Galati a ritenere che il sommergibile sia ancora a galla: in realtà
si tratta di una torcia che Fraser sta usando per segnalare la posizione dei
naufraghi. Il Vivaldi si avvicina, si
ferma e da bordo viene chiesto ai naufraghi di che nazionalità sono, al che
questi ultimi rispondono “inglesi”; dopo di che, inizia il salvataggio dei
superstiti, operazione rapidamente condotta dal sergente infermiere Adolfo
Spano, dal sottonocchiere Salvatore Morales, dal nocchiere Giovanni Monaldi,
dal marinaio Cosimo D’Ovidio e dal fuochista Antonio Di Maio, sotto la
direzione del sottotenente di vascello Giovanni Adorni.
In tutto il Vivaldi recupera 52 dei 55 uomini
dell’equipaggio dell’Oswald, tra cui
il comandante Fraser. Sono tutti illesi, sebbene sporchi di nafta fuoriuscita
dai serbatoi del sommergibile; tre uomini – il capo motorista di seconda classe
William George Chaff, il sottocapo cuoco Leonard Norman Woodfield ed il
fuochista di prima classe Frederick George Young – risultano dispersi,
presumibilmente annegati. A bordo del Vivaldi,
i naufraghi ricevono delle coperte e vengono rifocillati.
Naufraghi
dell’Oswald a bordo del Vivaldi, in una sequenza di fotografie
scattate dal sergente cannoniere Gianbattista Pasqua (per g.c. del figlio
Adriano):
Marinai
dell’Oswald ricevono da mangiare a
bordo del Vivaldi (da La Voce del
Marinaio). Terzo da sinistra, tra i naufraghi seduti, è il marinaio J. E. S.
Tooes, che fu prigioniero dapprima a Poveglia, poi nei campi di Sulmona e
Fontanellato ed infine a Gavi, da dove scappò dopo l’armistizio riuscendo a
raggiungere la Svizzera, dove trascorse un anno per poi recarsi nella Francia
liberata dagli Alleati.
Al suo rientro a
Taranto, il Vivaldi viene accolto trionfalmente:
gli equipaggi di tutte le navi presenti in porto, schierati in coperta, lo
salutano alla voce mentre sfila con la prora danneggiata, segno tangibile del
combattimento appena sostenuto.
I naufraghi dell’Oswald, sbarcati a Taranto e ricoverati
nel locale ospedale della Marina, vi rimarranno per nove giorni per poi essere
trasferiti al nord (il sottotenente di vascello Kyrle-Pope ricorderà in seguito
che il viaggio dei prigionieri da Taranto a Venezia avvenne in prima classe, e
che gli ufficiali avevano ricevuto nuove uniformi, confenzionate da sarti del
posto). Verranno inizialmente internati nell’isola di Poveglia, nella laguna
veneta, sede di un ex manicomio trasformato in provvisorio campo di prigionia
(venendo qui adibiti a giardinaggio e lavori stradali), e successivamente –
nell’ottobre 1940 – nel più grande campo di prigionia n. 78 di Sulmona, in
Abruzzo. Durante la prigionia parecchi uomini dell’Oswald tenteranno la fuga – il sottotenente di vascello Kyrle-Pope,
per ben sei volte tra l’agosto 1940 ed il settembre 1943 –, ma verranno sempre
ricatturati dalle autorità italiane entro pochi giorni; alcuni rimarranno
feriti durante i tentativi di fuga (tra di essi anche il comandante Fraser,
ferito ad un ginocchio da una fucilata). Parte dell’equipaggio dell’Oswald rimarrà a Sulmona fino all’8
settembre 1943, quando il campo passerà in mani tedesche in seguito
all’armistizio; alcuni uomini dell’Oswald
riusciranno a scappare ed a raggiungere terra neutrale o le linee Alleate, ma
la maggior parte finiranno prigionieri in Germania fino alla fine del
conflitto. Uno di essi, il marinaio Ronald Douglas Elliott, verrà ucciso il 19
november 1944 durante un tentativo di fuga. Altri saranno trasferiti in altri
campi di prigionia sparsi in tutt’Italia, tra cui il n. 17 di Rezzanello, il n.
49 di Fontanellato ed il n. 5 di Gavi; la loro sorte non sarà in genere diversa
da quella dei prigionieri rimasti a Sulmona.
Così il sergente Gianbattista
Pasqua del Vivaldi ricorderà, molti
anni dopo, l’affondamento dell’Oswald:
"Nell’oscurità profonda di quella
lontana notte illune, navigavamo da alcune ore senza che gli ecometri ci
segnalassero alcuna presenza importuna. A bordo tutto procedeva tranquillo: i
turni di vedetta montavano e smontavano in modo quasi monotono. Io sonnecchiavo
nel mio turno di due ore di riposo seduto dentro lo scudo dei cannoni di prora.
Avevo in testa la cuffia telefonica perché ero capo-batteria. Poco dopo l’una,
il gracchiare insistente del clacson mi fece sobbalzare quasi impaurito dal mio
seggiolino di manovre dei cannoni. “Allarmi!!… Posto di combattimento!! –
gridai – e, i miei serventi ai pezzi furono pronti d’un balzo colle granate in
mano.” Gli occhi di Lince del manerbiese Sandrini, fendendo le fitte tenebre di
quella notte, avvistarono un sommergibile nemico in emersione a circa 3000
metri sulla nostra dritta. Udii il grido del comandante:- LO VOGLIO SBRANARE –.
Il comandante Galati era il più giovane capitano di vascello della Marina.
Nativo di Modena, figlio di un generale dell’esercito si era già guadagnato due
medaglie d’argento nella guerra di Spagna. Uomo energico, dalle pronte
decisioni, con quella frase: lo voglio sbranare – aveva già stabilito il suo
programma. Accostò a dritta e, dirigendo la prua verso il nemico, lanciò le macchine
a tutta forza. “Azione di speronamento!” – gridò – e d’un balzo fummo addosso
alla preda. Un urto violentissimo ci fece sobbalzare ai nostri posti, uno
stridio di lamiere lacerate ci assordò per un attimo ed il sommergibile inglese
“Oswald” ci sfilò sul fianco ormai colla sua fine segnata. Rallentammo la
marcia mentre dal punto dell’urto potemmo vedere una luce accendersi e
spegnersi con regolare intermittenza. Era il comandante dell’Oswald David
Frazer che, con una torcia impermeabile a pila, lanciava il suo sos. Mi fu
assegnato il compito di andare con una nostra motolancia a recuperare i
naufraghi. Su 55 uomini ben 52 furono salvati. In poco più di un’ora la nostra
azione vittoriosa, col salvataggio dell’equipaggio nemico ebbe termine.
Riprendemmo la navigazione verso Taranto a marcia indietro perché i locali
prodieri facevano acqua. Nella rada era ormeggiata alla boa la nostra flotta
cogli uomini schierati in coperta che accolsero il nostro arrivo con il saluto
alla voce e con calorosi applausi. Già il bacino di carenaggio era pronto ad
accogliere la nostra nave. Sbarcammo i 52 prigionieri consegnandoli alla scorta
armata. Solo quando il bacino mise all’asciutto la carena della nostra nave, ci
rendemmo conto dei danni subiti nell’urto violento. Subito pensammo ad un lungo
periodo di lavori in bacino ed una ben meritata licenza. La radio e la stampa
divulgarono la nostra azione vittoriosa e ci sentimmo fieri certamente della
bella azione di guerra compiuta ma ancor di più fummo felici quando, verso il
10 agosto ci accordarono la licenza di 15 + 4".
Gianbattista Pasqua insieme all’amico con cui sparò sull’Oswald (g.c. Adriano Pasqua). Le sue memorie sono state pubblicate nel 2024 dal figlio Adriano, sotto il titolo di "Memorie di un marinaio" |
Il bollettino di
guerra n. 54 del 2 agosto annuncerà l’affondamento dell’Oswald in questi termini: «Questa
notte il cacciatorpediniere Vivaldi ha affondato con azione di speronamento e
quindi con siluro, nel centro del mar Ionio, il sommergibile inglese Oswald di
1.500 tonnellate armato di cannone da 120 millimetri e di otto lanciasiluri.
Dell'equipaggio, composto di 55 uomini, il Vivaldi ne ha recuperati e fatti
prigionieri 52 tra i quali il comandante capitano di corvetta David Frazer,
tutti incolumi». La vittoria sarà celebrata anche in un cinegiornale Luce
(che, dopo aver annunciato l’affondamento dell’Oswald da parte del Vivaldi
e descritto brevemente le caratteristiche del sommergibile, mostrerà i prigionieri
britannici, adibiti a lavori agricoli, e commenterà in proposito: «I tatuaggi di cui si adorna l’epidermide di
questi marinai dicono fra quali dubbi elementi sono reclutati gli equipaggi
britannici. Si addice il lavoro nei campi a chi ha ridotto la maggior parte
delle campagne della madrepatria a tenute di caccia e campi di golf, vivendo
troppo lautamente dei prodotti raccolti con dura fatica dai sudditi dell'impero»)
ed in una tavola di Achille Beltrame sulla “Domenica del Corriere”, con
didascalia «La gloriosa impresa del
cacciatorpediniere Vivaldi. Avvistato di notte nel Mar Jonio un sommergibile
inglese in emersione, gli si lancia contro a tutta forza, sfidando i siluri, e
squarcia con la prora il fianco della nave nemica. Quasi tutto l’equipaggio
britannico vien poi tratto in salvo dai nostri audaci marinai»; inoltre, il
25 agosto la radio italiana trasmetterà un programma in inglese, indirizzato
appunto al Regno Unito, con l’annuncio dell’affondamento dell’Oswald ed interviste ad alcuni dei suoi
naufraghi. Verrà anche coniata una medaglia commemorativa dell’episodio.
Sopra, lo
speronamento dell’Oswald da parte del
Vivaldi in una tempera di Angiolino
Filiputti (International Bomber Command Digital Archive, University of
Lincoln), e sotto, in una tavola di Achille Beltrame per la “Domenica del
Corriere”.
Il comandante Galati
riceverà, per l’affondamento dell’Oswald,
la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di Squadriglia cacciatorpediniere
in ricerca notturna antisommergibile, avvistato un sommergibile nemico di
grosso tonnellaggio lo attaccava e lo speronava con la sua nave, ed in seguito
alla contRomanovra del nemico impiegava quindi con esemplare tenacia tutte le
armi a sua disposizione finché non ne constatava l'affondamento. (Mare Ionio,
1° agosto 1940)". Il direttore del tiro tenente di vascello Giovanni
Giometti (da Zara), il direttore di macchina capitano del Genio Navale Elia
Damora (da Sorrento), l’ufficiale di rotta sottotenente di vascello Giovanni
Adorni (da Modena) e l’ufficiale di guardia in plancia al momento dell’avvistamento
dell’Oswald, tenente di vascello
Guido Saccardo (da Portici), verranno decorati con la Croce di Guerra al Valor
Militare, così come il capo silurista di terza classe Antonio Arnese (da
Pozzuoli), il cannoniere puntatore scelto Angelo Sandrini (da Manerba), il
sergente infermiere Adolfo Spano (da Tempio), il sottonocchiere Salvatore
Morales (da Genova), il nocchiere Giovanni Monaldi (da Porto Recanati), il
marinaio s.m. Cosimo D’Ovidio (da Gaeta) ed il fuochista Antonio Di Maio (da
Castellammare di Stabia).
Due marinai del Vivaldi leggono sul “Messaggero” la notizia dell’affondamento dell’Oswald (g.c. Adriano Pasqua) |
Di tutt’altro avviso
sarà invece il giudizio espresso nel dopoguerra dalle autorità britanniche
riguardo il comportamento del comandante Fraser dell’Oswald: questi sarà infatti sottoposto a corte marziale nel 1946 e
diverrà l’unico comandante di sommergibili della Royal Navy ad essere giudicato
colpevole per la condotta tenuta nella circostanza della perdita della sua
unità; la commissione d’inchiesta concluderà infatti che l’Oswald si sia dato per vinto troppo facilmente. Secondo il già
citato "Submarines at War 1939-1945" di Richard Compton-Hall, l’Oswald non aveva subito danni fatali
nella collisione, ma fu autoaffondato per ordine del comandante Fraser; “il comandante in capo del Levante poté dire
che ammirevole coraggio e devozione al dovere erano stati dimostrati da molti
membri dell’equipaggio, specie i tenenti di vascello Pope e Hodson, ma che non
era stato un affare di cui andare fieri”.
Le prime avvisaglie
della “tempesta” che travolgerà il comandante Fraser risalgono al 1943, quando
i primi prigionieri britannici saranno rimpatriati dalla prigionia: sulla base
delle frammentarie notizie da essi ottenute, il comandante della 1st
Submarine Flotilla, di base a Beirut, organizzerà due inchieste, una relativa
alla perdita dell’Oswald e l’altra
riguardante la condotta dell’equipaggio. I risultati di queste due inchieste
saranno poi riferiti al Comando in Capo delle forze navali britanniche nel
Levante, al Flag Officer Submarines
(il Comando della flotta subacquea britannica) ed all’Ammiragliato,
prospettando di agire in modo più approfondito in futuro, quando sarà stato
rimpatriato l’intero equipaggio del sommergibile. Tale presupposto si
realizzerà nel 1945, con la fine delle ostilità in Europa; il 20 luglio 1945, una lettera indirizzata alla segreteria
dell’Ammiragliato raccomanderà la conduzione di un’inchiesta. Il Flag Officer Submarines, da parte sua,
non riterrà, dalle sue prime impressioni, che la vicenda debba portare ad una
corte marziale per il comandante o gli ufficiali dell’Oswald, ma giudicherà che le inchieste preliminari condotte a
Beirut nel 1943 abbiano sollevato dei dubbi sul morale dell’equipaggio, e che
pertanto sarebbe meglio condurre un’inchiesta per approfondire l’intera
questione.
I “dubbi sul morale
dell’equipaggio” sono scaturiti da alcuni episodi verificatisi durante la
prigionia degli uomini dell’Oswald in
Italia: alcuni membri dell’equipaggio del sommergibile avevano infatti dato
mostra di insolenza e disobbedienza nei confronti dei propri ufficiali (anche
per via del diverso trattamento riservato ad ufficiali e marinai nel campo di
prigionia: i primi, ad esempio, ricevevano delle sigarette, a differenza dei
secondi, ed alcuni marinai erano incaricati di fungere da servitori per gli
ufficiali), generando l’impressione che i marinai dell’Oswald avessero perso la fiducia nel proprio comandante e nel
proprio “tenente”. Tutti, al campo, parlavano liberamente della perdita del
sommergibile e criticavano apertamente la condotta dei loro ufficiali, tanto
che il tenente di vascello H. R. B. Newton, ex comandante del sommergibile Cachalot e prigioniero in Italia insieme
agli uomini dell’Oswald, al rientro
dalla prigionia nel 1943 dichiarerà che “i
discorsi sulle azioni del comandante [dell’Oswald] costituiscono una
scioccante delusione rispetto a tutte le tradizioni della Marina. Qualsiasi
soldato o marinaio si sente adesso libero di discutere le azioni del comandante”.
Un altro compagno di prigionia degli uomini dell’Oswald, il capitano di corvetta Abdy (ex comandante del perduto
sommergibile P 32), commenterà al
rientro dalla prigionia che l’equipaggio dell’Oswald avrebbe dovuto piuttosto essere grato al proprio comandante
per aver salvato quasi tutti i suoi uomini, esprimendo l’opinione che i marinai
non avessero diritto a criticare le azioni del loro comandante e del loro
“tenente”. Secondo una fonte i marinai dell’Oswald
avrebbero “giudicato molto negativamente
l’atteggiamento di Fraser” e, infastiditi dalle condizioni di prigionia nettamente
migliori dei loro ufficiali, avrebbero preso ad ignorarli del tutto ed infine
sarebbero giunti persino a rivolgersi al Comando del campo per chiedere di
essere trasferiti altrove. (La medesima fonte afferma però che Fraser stesso
avrebbe contribuito al collasso della disciplina, insultando i suoi uomini “in modo estremamente arrogante e volgare”
durante un discorso). David Barnes descrive il comportamento dei marinai dell’Oswald durante la prigionia in Italia
come “rasente l’ammutinamento”; altri hanno osservato che, in generale, questo
comportamento sembra mostrare l’esistenza di una “frattura” tra ufficiali ed
equipaggio dell’Oswald, che
probabilmente aveva avuto effetti negativi sul morale.
Il 28 luglio 1945
verrà formata una commissione d’inchiesta presieduta dall’ammiraglio a riposo
F. A. Buckley e composta dai capitani di vascello G. C. Phillips e H. V. King,
entrambi ex comandanti di sommergibili che avevano avuto incarichi di comando
all’inizio del conflitto. La commissione valuterà la condotta di ciascun
ufficiale dell’Oswald e trasmetterà i
risultati al Comando in Capo a Portsmouth, che ne condividerà le conclusioni e
comunicherà all’Ammiragliato che “in
considerazione di tutte le circostanze attinenti a questo deplorevole episodio,
sono dell’opinione che il capitano di corvetta Fraser ed il tenente di vascello
Marsh [comandante in seconda dell’Oswald]
dovrebbero essere sottoposti a corte
marziale per la loro condotta nell’occasione della perdita dell’HMS Oswald. Per
quanto riguarda la condotta dell’equipaggio in prigionia, sono dell’opinione
che il comportamento di questi ufficiali in queste circostanze abbia lasciato
molto a desiderare (…)”. Il 6 marzo 1946 il Segretario dell’Ammiragliato comunicherà
al Comando in Capo di Portsmouth the il Primo Lord del Mare ha ordinato che
Fraser e Marsh siano sottoposti a corte marziale. Quella di Fraser si svolgerà
a Portsmouth poco più di un mese dopo, il 17 e 18 aprile 1946, nella caserma
denominata “HMS Victory”: la presiederà il capitano di vascello P. W. S.
Brooking, affiancato dai parigrado R. L. M. Edwards (unico membro della corte
con precedente esperienza su sommergibili), T. A. C. Pakenham, H. A. Traill, E.
J. Sheller ed A. J. Wheeler. Difensore di Fraser sarà l’avvocato Fearnly
Whitinsall.
Una delle questioni
affrontate dalla commissione d’inchiesta del 1945 sarà quella
dell’illuminazione sottocoperta e della visione notturna: il marinaio Burbridge
dichiarerà agli inquirenti che in camera di manovra venivano utilizzate luci
offuscate, e che le vedette dovevano passare dieci minuti in questo locale poco
illuminato prima di montare di guardia, in modo da dare agli occhi il tempo di
adattarsi all’oscurità. Anche il comandante Fraser dichiarerà che la camera di
manovra era mantenuta il più buia possibile. Questione molto più importante
sarà quella del lasso di tempo intercorso tra l’avvistamento del Vivaldi da parte dell’Oswald e la collisione: secondo Fraser, nel
momento in cui egli riuscì finalmente ad avvistare il cacciatorpediniere con i
propri occhi ed a rendersi conto della situazione non c’era più abbastanza
tempo per potersi immergere prima della collisione, mentre il pubblico
ministero sarà di parere opposto. La corte marziale darà ragione a
quest’ultimo, giudicando che Fraser avrebbe avuto il tempo di evitare la
collisione immergendosi. Rispondendo ad una domanda, Fraser affermerà che
invece ci sarebbe probabilmente stato il tempo per immergersi se questa
decisione fosse stata presa dall’ufficiale di guardia al momento del primo
avvistamento (prima, dunque, che Fraser avesse il tempo di salire in plancia e
di far adattare i suoi occhi all’oscurità), ma di non ritenere di poter far
colpa ad Hodson per non aver dato quest’ordine. (La commissione d’inchiesta del
1945 sarà critica sull’operato di Hodson, ma riterrà comunque che non si
sarebbe dovuta intraprendere alcuna azione sanzionatoria nei suoi confronti,
essendo la sua inazione dovuta anche alla mancanza di precedenti istruzioni da
parte di Fraser). Durante la corte marziale, Fraser affermerà che Hodson abbia
agito correttamente e coerentemente con i suoi ‘ordini permanenti’ (standing orders), anche se aggiungerà di
ritenere a posteriori che si sarebbe invece dovuto immergere.
Gli ‘ordini
permanenti’ di Fraser – in massima parte coincidenti con quelli del precedente
comandante dell’Oswald, capitano di
fregata Sladden (chiamato anch’egli a testimoniare al processo), ereditati da
Fraser nell’aprile 1940 e lasciati pressoché invariati, con soltanto un paio di
modifiche di limitata importanza – erano andati perduti con l’Oswald, dunque a questo proposito era
giocoforza affidarsi alla memoria dei superstiti, che però risultò alquanto
discordante. Secondo Fraser, i suoi ordini stabilivano che in caso di
avvistamento notturno di unità nemica l’ufficiale di guardia avrebbe dovuto
assumere una rotta favorevole all’attacco, lasciando però facoltà di immergersi
se necessario; secondo Hodson, gli ordini prevedevano che l’ufficiale di
guardia avrebbe dovuto ordinare di suonare l’allarme (anche se non sembra che
Hodson l’abbia fatto: a suonarlo fu invece il sergente Kennedy, senza ricevere
un ordine diretto, quando sentì Hodson annunciare “Nemico in vista”), far
preparare i tubi lanciasiluri e chiamare in plancia il comandante, agendo nel
mentre – in attesa del suo arrivo – nel modo che avesse ritenuto più
appropriato. La commissione d’inchiesta riterrà che Fraser sia stato colpevole
di negligenza per non aver impartito ai suoi ufficiali di guardia specifiche
istruzioni su cosa fare nel caso che l’Oswald
fosse stato sorpreso da un’unità nemica mentre navigava in superficie nelle
vicinanze della costa nemica, dopo la recente trasmissione di due segnali di
scoperta di forze nemiche.
Oggetto di lunga
discussione tra accusa e difesa di Fraser sarà il lasso di tempo intercorso tra
l’avvistamento e l’arrivo in plancia di Fraser (circa mezzo minuto) ed il tempo
necessario per l’adattamento della sua vista all’oscurità notturna (tra i 30 e
i 60 secondi). Secondo il pubblico ministero, l’Oswald avrebbe impiegato 55 secondi, dal momento dell’ordine
d’immersione rapida, a raggiungere la quota periscopica; secondo il
sottotenente di vascello Kyrle-Pope, ci sarebbero voluti circa 50 secondi.
Kyrle-Pope, teste d’accusa della corte marziale, affermerà che se fosse dipeso
da lui si sarebbe immerso al momento dell’avvistamento, ma senza tentare un
attacco col siluro, che non sarebbe potuto riuscire nel buio della notte, bensì
intraprendendo esclusivamente manovre evasive volte ad eludere possibili attacchi
con bombe di profondità (ad ogni modo, riterrà Kyrle-Pope, sarebbe stato
improbabile che il Vivaldi riuscisse
a localizzare l’Oswald se
quest’ultimo si fosse immerso). Viceversa, alla domanda sulla possibilità per
l’Oswald di immergersi dopo la
collisione ed i conseguenti danni, Kyrle-Pope replicherà che il sommergibile si
sarebbe potuto immergere, ma non sarebbe mai più riemerso.
Altro punto di
contrasto sarà la condotta di Fraser dopo la collisione: secondo il pubblico
ministero della corte marziale, dato che l’Oswald
non era affondato dopo l’impatto come invece previsto dal suo comandante,
Fraser avrebbe dovuto annullare l’ordine di abbandonare la nave – in quel
momento la maggior parte dell’equipaggio era ancora a bordo, radunato in
coperta a prua, anche se alcuni uomini erano già in acqua –, ritenuto
prematuro, ed ingaggiare combattimento con il Vivaldi; anche in questo, i giudici della corte marziale daranno
ragione al pubblico ministero. David Barnes ha rilevato che sulla decisione di
Fraser di ordinare l’abbandono dell’unità influì probabilmente il fatto che
questi, nel 1929, avesse assistito all’affondamento del sommergibile H 47, speronato accidentalmente da un
altro sommergibile, l’L 12, ed
affondato in soli quindici secondi con la perdita di 21 dei 24 membri
dell’equipaggio. Questa tragedia, verosimilmente, aveva indotto Fraser a
ritenere che un sommergibile speronato sarebbe affondato molto rapidamente.
Anche la decisione di
navigare con un motore adibito alla propulsione e l’altro alla ricarica delle
batterie sarà oggetto di critica da parte del pubblico ministero, che affermerà
che sarebbe stato meglio utilizzare entrambi i motori, contemporaneamente,
parte per la propulsione e parte per la ricarica. Fraser, a suo dire, avrebbe
fatto meglio a procedere ad una velocità più ridotta, in modo da poter eseguire
ascolto al sonar (che però sarebbe risultato comunque poco efficace con i
motori diesel in funzione), oppure ad una velocità più sostenuta – usando
appunto entrambi i motori per la propulsione, almeno in parte – in modo da
conferire al sommergibile una maggior manovrabilità. In questo, però, la corte
marziale non giudicherà che Fraser abbia sbagliato, date le circostanze
esistenti prima dell’avvistamento del Vivaldi.
Il pubblico ministero contesterà anche il passaggio dalla propulsione diesel a
quella elettrica in seguito all’avvistamento del Vivaldi (operazione che aveva anche lasciato l’Oswald momentaneamente senza propulsione – nell’intervallo tra lo
spegnimento del motore diesel di dritta e l’accensione del corrispondente
motore elettrico –, anche se per un lasso di tempo così ridotto da essere di
ben scarsa importanza), determinato dall’“allarme” lanciato subito dopo
l’avvistamento: non essendo stato dato l’ordine d’immersione, se il sommergibile
doveva restare in superficie sarebbe stato meglio continuare ad usare i motori
diesel – aventi potenza nettamente superiore a quella dei motori elettrici –,
accelerando col motore di dritta già in funzione ed azionando anche quello di
sinistra, dopo averlo staccato dal motore elettrico che stava caricando. In tal
modo, l’Oswald avrebbe potuto
raggiungere i 16-17 nodi di velocità (con il solo motore di dritta, che stava
spingendo il sommergibile a 8 nodi, si sarebbero potuti rapidamente raggiungere
i 10-11 nodi), risultando più manovrabile e dunque maggiormente in grado di
tentare di evadere il tentativo di speronamento intrapreso dal Vivaldi. D’altra parte, quando Fraser
riuscì finalmente ad avvistare il Vivaldi
il passaggio alla propulsione elettrica era già avvenuto, dunque sarebbe stato
comunque troppo tardi.
Inoltre, il pubblico
ministero affermerà che dopo la collisione Fraser avrebbe dovuto ingaggiare
combattimento col Vivaldi con cannone
e siluri, ritenendo che l’Oswald,
benché seriamente danneggiato, con allagamenti a poppa e non più in grado
d’immergersi, fosse ancora in grado di utilizzare il proprio armamento, e di
raggiungere una velocità e manovrabilità sufficiente a puntare i tubi
lanciasiluri prodieri contro il Vivaldi
ed a lanciare. Durante il processo verrà dimostrato che gli organi di governo
erano ormai fuori uso, e che entrambi i motori diesel erano stati gravemente
danneggiati, probabilmente al di là delle possibilità di riparazione con i
mezzi disponibili a bordo; oggetto del contendere sarà pertanto lo stato dei
motori elettrici. Secondo il sottotenente di vascello Kyrle-Pope, dopo lo
speronamento il quadro di controllo di uno dei motori elettrici era inceppato,
ma il relativo motore era ancora in funzione; inoltre, subito prima che venisse
dato l’ordine di autoaffondamento, il sommergibile stava ancora avanzando a
modesta velocità (come dichiarato alla commissione d’inchiesta anche da altri
superstiti dell’Oswald, che in quel
momento si trovavano radunati in coperta a prua) e stava lentamente accostando
verso sinistra. Il sottocapo timoniere Harry Moore testimonierà di aver
lasciato il timone con tutta la barra sinistra e che quando si trovava in
coperta a prua, prima di abbandonare la nave, il sommergibile stava girando in
cerchio verso sinistra perché i motori erano ancora in funzione. Per quanto
riguarda la possibilità di manovrare, Kyrle-Pope affermerà che con gli organi
di governo fuori uso sarebbe stato possibile utilizzare i motori elettrici per
la manovra, ma questa affermazione appare poco verosimile (è effettivamente
possibile usare i motori elettrici per manovre di limitata portata in spazi
ristretti, come l’ormeggio e disormeggio in banchina, ma altra cosa è manovrare
in mare aperto durante un combattimento contro una nave nemica). Sulla base
delle testimonianze raccolte, il pubblico ministero affermerà che dopo
l’abbandono, e fino al momento dell’affondamento, l’Oswald abbia continuato a girare in cerchio con il timone bloccato
con tutta la barra a sinistra ed uno dei motori elettrici ancora in funzione; a
supporto di ciò ci sono le testimonianze di alcuni naufraghi secondo i quali,
mentre loro erano in acqua, il sommergibile avrebbe girato in cerchio,
“lasciandoli” soli in mezzo al mare e poi ritornando da loro.
Su cinque capi
d’accusa avanzati contro Fraser durante la corte marziale del 1946, tenutasi a
Portsmouth in soli due giorni, l’ex comandante dell’Oswald sarà ritenuto colpevole del secondo (“non aver intrapreso
azione evasiva con l’immersione”), terzo (“non aver ingaggiato in combattimento
il nemico quando l’Oswald non era in
grado di immergersi”) e quarto (“non aver impartito ordini specifici
all’ufficiale di guardia”), ed assolto del primo (“non essersi prodigato al
massimo per portare la sua unità al combattimento”) e del quinto (“non essersi
assicurato che l’Oswald fosse in un
adeguato stato di prontezza per l’azione”). Sarà per questo condannato alla
perdita di tutta l’anzianità accumulata come capitano di corvetta (poi ridotta alla
perdita di soli due anni di anzianità, per tener conto dei sei anni intercorsi
tra la perdita dell’Oswald e la corte
marziale, nonché in seguito ad una revisione del processo che ha portato a
separare il giudizio sulle azioni di Fraser prima e dopo lo speronamento), ad
essere sbarcato dalla sua nave ed a subire un rimprovero solenne, sebbene
alcune figure di grado elevato dell’Ammiragliato riterranno il giudizio della
corte marziale troppo severo, specialmente riguardo al verdetto di colpevolezza
relativo al terzo capo d’accusa.
Un’altra corte
marziale, immediatamente antecedente a quella di Fraser (15-16 aprile 1946),
riguarderà il comandante in seconda dell’Oswald,
tenente di vascello Grahame Roy Marsh: questi sarà accusato di negligenza nello
svolgimento dei propri doveri, negligenza nel mantenimento dell’ordine e della
disciplina, e condotta inadatta ad un ufficiale. (Già nel 1943, Fraser aveva
raccomandato al tenente di vascello Newton, ex comandante del sommergibile Cachalot, al momento del suo rilascio
dalla prigionia, di riferire ai suoi superiori che Marsh non avrebbe dovuto più
essere assegnato sui sommergibili se fosse stato rimpatriato, evitando però di
parlare della perdita dell’Oswald e
degli screzi sorti nel campo di prigionia. Fraser lo considerava “soddisfacente
come ufficiale subalterno, ma non come comandante in seconda”; anche secondo il
suo avvocato difensore Marsh, che risentiva di problemi di stomaco cronici – si
era fatto visitare per questo ad Alessandria subito prima della partenza per
l’ultima missione dell’Oswald, ma non
aveva ancora ricevuto cure –, mancava dell’esperienza, salute o temperamento
necessari per l’importante incarico di comandante in seconda, figura cruciale
in un sommergibile. David Barnes ha sottolineato che Marsh non aveva dormito
per tre giorni prima dell’affondamento del sommergibile, essendo costantemente
necessaria la sua presenza in camera di manovra per mantenere l’assetto). Accuse
legate perlopiù alla sua condotta dopo l’affondamento dell’Oswald, durante la prigionia, non avendo egli avuto un ruolo
particolare nelle vicende legate alla perdita del sommergibile; ritenuto
colpevole del primo e del terzo capo d’accusa, Marsh sarà espulso dalla Royal
Navy. Il suo caso, più che altro, mette in evidenza i problemi esistenti
all’interno della gerarchia di comando dell’Oswald.
Secondo David Barnes,
durante la prigionia in Italia alcuni membri dell’equipaggio dell’Oswald avrebbero iniziato una vera e
propria campagna diffamatoria contro Fraser e Marsh, sottoponendoli quasi ad un
“tribunale fantoccio”, e quanto avvenuto durante la prigionia – che fu
ampiamente menzionato durante la corte marziale, pur non avendo nulla a che
fare con la perdita dell’Oswald –
avrebbe influenzato l’atteggiamento delle autorità britanniche verso questi due
ufficiali a guerra finita. Alcuni marinai, per esempio, avrebbero affermato durante
l’inchiesta che l’Oswald avrebbe
potuto “agevolmente” silurare il Vivaldi
mentre questi passava davanti al sommergibile immobilizzato, dopo la collisione
(tale osservazione fu fatta da un marinaio che era salito in coperta a prua
dopo lo speronamento), ma tale affermazione non sembra essere supportata da
fatti: in quel momento mancavano completamente dati per effettuare il lancio,
ma soprattutto la maggior parte dell’equipaggio si trovava già in acqua od era
radunata in coperta ed in procinto di abbandonare l’unità, senza tener poi
conto dei danni subiti dal sommergibile. Altrettanto impossibile appare un
tentativo di attaccare il Vivaldi coi
tubi poppieri prima dello speronamento, mancando il tempo per calcolare i dati
di lancio ed avendo il cacciatorpediniere italiano manovrato in modo tale da
frustrare tentativi del genere. Anche il tenente di vascello Kyrle-Pope, la cui
condotta durante il combattimento venne invece giudicata esemplare, sarebbe
stato tra i protagonisti di questa “campagna” contro Fraser e Marsh, facendo
affermazioni come “avremmo dovuto combattere col cannone” quando ciò non
avrebbe potuto portare ad altro che a maggiori perdite umane, senza salvare il
sommergibile, dato che – ammesso che il cannone di coperta dell’Oswald non avesse subito danni nella
collisione – la disparità di armamento tra il sommergibile ed il
cacciatorpediniere era tale che un simile tentativo sarebbe stato un suicidio
(peraltro, l’Oswald era sprovvisto di
munizionamento senza vampa per il tiro notturno, dunque l’apertura del fuoco
avrebbe accecato i cannonieri ed immediatamente segnalato al Vivaldi la sua posizione); e dichiarando
durante la corte marziale di aver ritenuto stupida (più precisamente, di aver
pensato a riguardo: “What a bloody silly
thing”) la decisione di Fraser di ordinare l’abbandono di “un sommergibile
in perfetto stato”, così sottovalutando i danni causati dallo speronamento e
dalle bombe di profondità, da egli ritenuti non letali. In generale Kyrle-Pope
sembra aver adottato un atteggiamento fortemente critico nei confronti del suo
ex comandante; anche nel libro "The 21 Escapes of Lt. Alastair Cram",
di David M. Guss, si menziona che Kyrle-Pope “…il quale [quando Fraser ordinò di abbandonare la nave] era sottocoperta, vide che il battello era
ancora integro ed avrebbe potuto agevolmente ingaggiare un combattimento, ma
non c’era niente da fare eccetto assicurarsi che tutti gli uomini fossero
saliti in coperta. (…) Non perdonò
mai il comandante, che, insieme al primo ufficiale, venne sottoposto a corte
marziale nel dopoguerra”.
Secondo sia Barnes
che Hulme, peraltro, la corte marziale di Fraser e Marsh si collocherebbe in un
periodo in cui simili, pesanti e forse eccessivi procedimenti disciplinari
vennero aperti nei confronti di parecchi ex sommergibilisti rientrati dalla
prigionia, generando un’atmosfera da “caccia alle streghe” (secondo Barnes) a
tal punto da causare anche un’interrogazione parlamentare a riguardo. Barnes,
particolarmente critico del modo in cui fu condotta l’inchiesta, afferma che: “la corte marziale fu condotta
scorrettamente, male informata, non aveva una reale comprensione della situazione
tecnica ed era faziosa, per conformarsi ad un verdetto concepito prima del
processo; l’Oswald non era in condizioni adeguate per i suoi compiti ed era
male equipaggiato, essendo stato precipitosamente rimesso in servizio dalla
riserva; Grahame Marsh era malato, non aveva dormito per tre giorni ma comunque
adempì ai propri compiti meglio che poté (…); le azioni di David Fraser, lungi dall’essere codarde, salvarono le vite
di 52 uomini. Gli ordini impartiti [da Fraser] vennero decontestualizzati (…); certi
individui fantasticarono sulle circostanze relative alla perdita dell’Oswald ed
alle loro personali azioni. Un ‘tribunale fantoccio’ fu imbastito mentre
l’equipaggio era in prigionia con lo specifico scopo di attribuire la colpa a
David Fraser e Grahame Marsh (…)”.
Il Vivaldi in bacino di carenaggio a Taranto, con la prua danneggiata in seguito allo speronamento dell’Oswald (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
3 agosto-7 settembre 1940
Il Vivaldi trascorre un mese in Arsenale a
Taranto per le riparazioni dei danni causati dallo speronamento dell’Oswald.
1° settembre 1940
In seguito ad una
riorganizzazione delle forze navali, la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere
(composta ora da Vivaldi, Da Noli, Malocello e Tarigo) viene
assegnata alla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Alberico
Da Barbiano, Alberto Di Giussano,
Luigi Cadorna ed Armando Diaz), facente parte della 2a Squadra Navale.
Il Vivaldi rientra a Taranto a fine settembre 1940, al termine di una delle prime missioni eseguite dopo le riparazioni dei danni causati dallo speronamento dell’Oswald (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Dettaglio della foto precedente (da www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org) |
Un’altra foto scattata nella stessa occasione (da www.piombinoestoria.blogspot.com) |
6 ottobre 1940
Il Vivaldi (capitano di vascello
Galati, caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e comandante
superiore in mare) insieme a Malocello (capitano
di fregata Del Buono), Tarigo (capitano
di fregata De Cristofaro) e Da Noli (capitano
di fregata Zoli), lascia Palermo alle 8.25 per partecipare alla posa dello
sbarramento di mine «M 3», a sud di Malta. I cacciatorpediniere imboccano lo
stretto di Messina alle 14.20, dirigono per entrare nella rada di Augusta alle
17.25 e si ormeggiano a Punta Cugno alle 18.40, indi si riforniscono ed
imbarcano le mine.
Imbarco
di mine sul Vivaldi nell'ottobre 1940, in una serie di
foto scattate dal sergente cannoniere Gianbattista Pasqua (si ringrazia il
figlio Adriano)
7 ottobre 1940
Alle 18.20 i
cacciatorpediniere salpano da Augusta, ma alle 19.10 il Malocello comunica al capo
formazione di aver subito un’avaria al timone; alle 20.10 riferisce che è
impossibile riparare l’avaria in tempo utile per completare la missione,
pertanto, dieci minuti più tardi, riceve ordine da Galati di tornare in porto.
8 ottobre 1940
All’1.49 la XIV
Squadriglia riduce la velocità a 12 nodi, ed all’1.56 il Tarigo inizia per primo la
posa; Vivaldi e Da Noli lo precedono in linea di
fila. Alle 2.06 l’ancora di una delle mine s’inceppa mentre scorre sulle
ferroguide: il Tarigo è
così costretto ad interrompere la posa e portarsi in testa alla formazione, per
risolvere l’inconveniente e poi terminare la posa per ultimo, dopo il Vivaldi. Il Da Noli inizia a posare le sue mine alle 2.16 e, dopo che
questi ha terminato, il Vivaldi comincia
a posare le sue alle 2.30. Alle 2.34 viene sentita l’esplosione di una delle
mine appena posate. Alle 2.47, terminata la posa del Vivaldi, riprende quella del Tarigo, ma alle 2.53 lo scorrimento di una delle mine s’inceppa di
nuovo, causando uno spazio vuoto lungo 1500 metri nello sbarramento. Le navi
iniziano la posa nel punto 35°33’40” N e 14°38’ E e da tale posizione
proseguono per 14.400 metri posando le mine su rotta 270°, dopo di che l’ultima
unità accosta a sinistra assumendo rotta 235° e posa le sue mine sulla nuova
rotta per una lunghezza di 5280 metri (sarebbero dovuti essere di meno, ma
l’inceppamento del Tarigo ha causato
un “intervallo” vuoto di 1480 metri dopo i primi 1900).
Alle 2.56 la posa è
terminata, e le navi iniziano la navigazione di ritorno assumendo rotta e
velocità che le facciano trovare all’alba sulla congiungente Bengasi-Stretto di
Messina e con rotta tale che eventuali aerei nemici, qualora avvistassero le
navi italiane, non riuscirebbero a capire da dove realmente provengano.
In tutto sono state
posate 191 mine tipo Elia, alla profondità di 4 metri, con una distanza di 100
metri tra ogni arma (salvo i problemi causati dagli inceppamenti del Tarigo). In queste mine incapperà, l’11
ottobre, il cacciatorpediniere britannico Imperial, che riporterà gravi danni.
Alle 6.55 un
ricognitore britannico viene avvistato a 14-15 km di distanza su rilevamento
90°; si avvicina alle navi italiane e si trattiene nell’area per parecchio
tempo, poi se ne va. Alle 8.20 la XIV Squadriglia viene raggiunta da ricognitori
della Regia Aeronautica, ed alle 10.30 i cacciatorpediniere arrivano ad
Augusta.
Alle 19.55 Vivaldi, Da Noli e Tarigo (il Malocello è ancora bloccato
dall’avaria al timone) ripartono da Augusta per Trapani, imboccando lo stretto
di Messina alle 23.59.
9 ottobre 1940
Alle 9.38 i tre
cacciatorpediniere dirigono per entrare nel porto di Trapani, ed alle 10.15 si
ormeggiano al molo della Colombaia, dove si riforniscono ed imbarcano nuove
mine, destinate allo sbarramento «4 A N» (da posare tra Pantelleria e la
Tunisia, al largo di Capo Bon). Mollati gli ormeggi, lasciano il porto alle
21.15, ed alle 23.38 assumono rotta verso Capo Bon.
10 ottobre 1940
Avvistato il faro di
Capo Bon all’1.35, le tre navi dirigono per il punto ove iniziare la posa alle
3.08. Dopo essersi disposti su linea di rilevamento 50°, con un intervallo di
200 metri tra ogni nave ed una velocità di 12 nodi, la posa è cominciata, alle
3.54, di nuovo dal Tarigo. Due
delle prime mine posate dal Tarigo esplodono
accidentalmente, come talvolta capita. Alle 4.14 inizia la posa il Da Noli, mentre alle 4.31 è il turno
del Vivaldi, che completa la
posa alle 4.46; in tutto sono state posate 174 mine (oltre alle due del Tarigo detonate prematuramente).
Durante la posa il comandante Galati controlla sia la posizione della
Squadriglia (effettuando rilevamenti dei fari visibili) sia la profondità dei
fondali (con l’ecometro); terminata la posa, i cacciatorpediniere dirigono per
atterrare su Marettimo.
A mezzogiorno la XIV
Squadriglia è di nuovo alla banchina Crispi di Palermo. Le condizioni meteo
sono state ottime durante tutta l’operazione; il comandante Galati osserverà
nel rapporto che si è rivelata molto utile, per l’eventualità di un
inceppamento delle mine, la piattaforma girevole di smistamento che era stata
installata sul solo Vivaldi poco
tempo prima.
Sullo sbarramento «4
A N» andrà perduto, il 22 dicembre, il cacciatorpediniere britannico Hyperion.
La posa
delle mine, in una sequenza di fotografie scattate da Gianbattista Pasqua (per
g.c. del figlio Adriano)
12 ottobre 1940
La XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Luca Tarigo) salpa da Messina alle otto
del mattino insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano,
al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti) per dare appoggio al
cacciatorpediniere Camicia Nera,
che sta rientrando alla base inseguito da navi ed aerei britannici dopo che, in
un fallito attacco silurante nella notte precedente e nei suoi successivi
sviluppi il mattino del 12 ottobre, sono stati affondati il
cacciatorpediniere Artigliere (posto
fuori uso dall’incrociatore leggero Ajax e
finito dall’incrociatore pesante York)
e le torpediniere Airone ed Ariel (entrambe dall’Ajax). L’ordine è di supportare il
rientro del Camicia Nera (nonché
dei cacciatorpediniere Aviere e Geniere, anch’essi scampati allo
scontro, l’Aviere piuttosto
danneggiato) e, se possibile, impegnare gli incrociatori britannici. XIV
Squadriglia ed IV Divisione dirigono per il punto in cui si sa essere il Camicia Nera. In base alle
intercettazioni, l’ammiraglio Sansonetti comprende che Aviere, Geniere e Camicia
Nera non necessitano più di protezione, ma prosegue egualmente verso
sud perché gli ordini di Supermarina prescrivono anche di tentare
l’inseguimento del nemico e di attaccarlo se si riesce a raggiungerlo; ma alle
10.15 Sansonetti fa ridurre la velocità da 30 a 25 nodi, continuando a navigare
verso sud fino alle 12.15, quando giunge da Supermarina l’ordine di rientrare
alla base.
7/8 novembre 1940
Secondo una fonte, in
questa data Vivaldi, Da Noli e Malocello sarebbero stati inviati ad intercettare, senza
riuscirci, la Forza F britannica (corazzata Barham, incrociatore pesante Berwick, incrociatore leggero Glasgow, cacciatorpediniere Gallant, Griffin, Greyhound, Faulknor, Fortune e Fury), che sta trasportando 2150 soldati
nonché armi antiaeree da Gibilterra a Malta nell’ambito dell’operazione «Coat»,
iniziata il 6 novembre. Tale operazione vede inoltre in mare una forza di
copertura costituita dalla portaerei Ark
Royal – che lancerà anche un attacco aereo diversivo su Cagliari,
l’operazione «Crack» –, dall’incrociatore leggero Sheffield e da tre cacciatorpediniere, tutti appartenenti alla
Forza H.
(Dal diario di un
marinaio del Malocello risulterebbe i
tre cacciatorpediniere avrebbero ricevuto soltanto ordine di tenersi pronti a
muovere e che il Malocello si sarebbe
trasferito da Messina ad Augusta il 9 novembre, ricevendo la segnalazione di un
convoglio nemico in mare ma non l’ordine di uscire).
12 novembre 1940
Il Vivaldi ed il resto della XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere si trasferiscono nelle prime ore della notte da
Augusta a Palermo, dove dodici ore più tardi arrivano anche gli incrociatori
leggeri della IV Divisione (Bande Nere,
Diaz, Di Giussano, il primo da Brindisi e gli altri due da Augusta), in
seguito all’attacco aerosilurante britannico contro la base di Taranto della
notte precedente: si è infatti deciso di spostare temporaneamente le navi
maggiori – in attesa di potenziare le difese antiaeree delle basi principali –
in porti la cui conformazione e le cui dimensioni rendano impossibile un
attacco di aerosiluranti.
16-18 novembre 1940
Il 16 novembre la XIV
Squadriglia (Vivaldi, Da Noli, Tarigo e Malocello)
salpa da Palermo per unirsi al resto della flotta italiana in un tentativo di
intercettazione di una formazione britannica diretta verso est. Si tratta della
Forza H dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere)
uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di
aerei decollati dall’Argus per
rinforzarne le difese, un’azione di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed il trasporto a Malta di
uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Oltre alla XIV
Squadriglia, prendono il mare le corazzate Vittorio Veneto e Cesare,
l’incrociatore pesante Pola come
nave comando della II Squadra, la I Divisione con gli incrociatori
pesanti Fiume e Gorizia (tutti da Napoli), la III
Divisione con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano (da Messina) e le
Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci),
XII (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere)
e XIII (Bersagliere, Granatiere, Fuciliere, Alpino).
Le navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud
nel Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 la XIV Squadriglia raggiunge il resto
della formazione. La forza così riunita, sotto il comando dell’ammiraglio
Campioni, assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della
Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare
la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da
sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche; solo alle 10.15 del 17
queste vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né
la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di
riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sempre durante il
ritorno il Malocello viene
colto da un’avaria ad un timone, aggravata dalle avverse condizioni
meteomarine, che lo costringe a riparare a Cagliari assistito da Trento, Vivaldi e Da Noli
(nonché, nell’ultimo tratto, dal rimorchiatore Nereo); le altre navi italiane rientrano alle basi tra il mattino
ed il pomeriggio del 18 novembre.
Ancorché non abbia
portato al contatto con la flotta nemica, l’uscita in mare delle forze italiane
ha comunque determinato il parziale fallimento dell’operazione «White»: a
seguito dell’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di
Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei dall’Argus tenendo la portaerei quanto
più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente
pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno
volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e
due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a Malta:
gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito di
errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento.
Il Vivaldi (a sinistra) ed il cacciatorpediniere Scirocco nel 1940 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)
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22 novembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Da Noli
e Tarigo (la XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere) salpano da Palermo alle 17 scortando i trasporti
truppe Esperia e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli.
23 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.
25 novembre 1940
In serata (tra le
19.55 e le 21.30), Supermarina ordina a Marilibia di tenere la XIV Squadriglia
«Vivaldi», che si trova a Tripoli, pronta ad uscire in caso di attacco aereo,
in seguito alla segnalazione della partenza da Gibilterra, alle 8.25 di quel
giorno, di consistenti forze navali britanniche (incrociatore da
battaglia Renown,
portaerei Ark Royal, quattro
incrociatori leggeri e otto cacciatorpediniere) diretta verso est, ed al
successivo avvistamento (alle 11.30), da parte di un aereo civile della linea
Italia-Libia, dell’avvistamento di una formazione di dieci navi da guerra
nemiche, tra cui una portaerei e probabilmente una corazzata, a circa 150
miglia per 110° da Malta, con rotta 330°. È infatti in corso l’operazione
britannica "Collar", l’invio a Malta di un convoglio di rifornimenti
con la scorta ravvicinata di forze leggere e la protezione a distanza della
Forza H di Gibilterra. Lo scopo di tali movimenti, però, non è noto ai comandi
italiani; di qui l’ordine dato a Marilibia in merito alla XIV Squadriglia, dato
che le forze avvistate sarebbero anche in posizione idonea a lanciare un
attacco aereo contro Tripoli.
Il giorno seguente,
chiaritasi maggiormente la situazione, le due squadre navali prenderanno il
mare per contrastare l’operazione britannica, dando luogo all’inconclusiva
battaglia di Capo Teulada; la XIV Squadriglia rimarrà invece a Tripoli e non
sarà coinvolta da tali vicende.
29 novembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Da Noli
e Tarigo partono da Tripoli
per Palermo e Napoli alle 20, scortando Esperia e Marco
Polo che ritornano scarichi.
Nel Canale di
Sicilia, a causa del mare mosso, i cacciatorpediniere devono ridurre la
velocità, ed i due trasporti truppe proseguono da soli.
30 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 7.30; qui rimane il Marco
Polo, mentre le altre navi proseguono per Napoli.
1° dicembre 1940
I cacciatorpediniere
e l’Esperia arrivano a Napoli.
Quattro
immagini scattate dal Vivaldi durante
una navigazione in convoglio nel novembre-dicembre 1940 (g.c. Adriano Pasqua).
Nella seconda si riconoscono il cacciatorpediniere Luca Tarigo ed il trasporto truppe Esperia.
14 dicembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Malocello,
Da Noli e Tarigo lasciano Palermo alle 10.15 e sostituiscono le
torpediniere Generale Antonino
Cascino ed Enrico Cosenz nella
scorta ai trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli. Il convoglio ha anche una scorta indiretta, assicurata dagli
incrociatori leggeri Giovanni delle
Bande Nere ed Alberto Di
Giussano e dai cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere (questi
ultimi per scorta antisommergibile degli incrociatori).
Nei mesi a venire,
il Vivaldi ed il resto
della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere («fra
le più attive e fortunate nella scorta dei convogli, il cui comandante, capitano
di vascello Galati, è considerato uno dei più capaci e competenti ufficiali
della Regia Marina»), verranno continuamente impiegati nella scorta a
«convogli veloci» di grandi navi passeggeri (Esperia, Conte Rosso e Marco Polo, nonché meno di
frequente Victoria, Neptunia, Oceania) adibite al trasporto di truppe, traversate che seguono
sempre uno schema più o meno eguale: all’andata, rotta lungo le secche di
Kerkennah; ritorno, rotte solitamente più ad est; scorta diretta, quasi sempre;
presenza, in caso di fondati timori di attacco da parte di forze navali di
superficie provenienti da Malta, di una Divisione di incrociatori per scorta a
distanza. L’utilizzo in convoglio sempre delle stesse navi (sia i trasporti
truppe, sia i cacciatorpediniere di scorta) permette, oltre ai vantaggi
derivanti dall’impiego di un gruppo di unità dalle caratteristiche omogenee, un
maggiore affiatamento tra di esse.
Il sergente Gianbattista
Pasqua descriverà così l’attività di questo periodo e la figura del comandante
Galati nelle sue memorie, scritte anni dopo: "Come un buon pastore difende il gregge affidatogli dall’assalto dei
lupi, così la mia nave doveva difendere i vari piroscafi dall’assalto delle
forze aero navali nemiche che tentavano di ostacolare in ogni maniera il
normale rifornimento di uomini e materiali lungo il fronte africano. Era per
noi un lavoro estenuante: avvezzi alle alte velocità ed alle manovre rapide,
dovevamo regolare la nostra marcia al lento navigare dei piroscafi e delle
petroliere. Consci della responsabilità del nostro compito, dovevamo
intensificare al massimo la sorveglianza perché i grossi mercantili erano per
il nemico una ambita e spesso, troppo facile preda. Quante ore di ansia in
quelle lunghe navigazioni!! Il servizio di vedetta era stato intensificato. Per
quattro ore si montava e si doveva stare cogli occhi incollati ai telemetri od
ai cannocchiali a scrutare il mare ed il cielo in ogni parte poiché non si
sapeva mai da che punto partisse l’offensiva nemica. Quattro ore di vedetta e
due di relativo riposo seduti ognuno al proprio posto di combattimento. Si
stava in mare per 10 od anche 15 giorni senza potersi rilassare un’ora sola in
branda, senza lavarsi o farsi la barba. Si mangiava a turni vicino ai cannoni
od ai siluri col salvagente legato ai fianchi. Unico conforto nelle due ore di
relativo riposo era quello di toglier le fotografie dal portafogli volgendo il
pensiero ai cari lontani. (...) I
giorni si alternavano ai giorni ed i mesi passavano sempre con la speranza di
una rapida conclusione vittoriosa della guerra. L’unico premio alle nostre
fatiche era il rientro nei porti italiani. (...) Fin verso la metà di novembre (1940) le nostre scorte convogli si
svolsero sempre quasi monotone in una calma assoluta. (…) Di ritorno dall’Africa lasciavamo i
mercantili vuoti alla scorta di piccole torpediniere e noi dirigevamo su
Messina-Catania-Palermo o Napoli a seconda del porto in cui era pronto il
convoglio per la scorta. (…) Sul Vivaldi
in quel semestre [primo semestre del 1941] non si ebbe tregua. Quante missioni di guerra!! Quanti convogli per
l'Africa!! Vivemmo ore veramente gravi in battaglia in mare aperto e nei porti
fatti bersaglio dell'aviazione nemica. La nostra vita si svolgeva in condizioni
che andavano oltre le forze umane. Si rientrava dopo giorni di ansie sul mare
ove spesso, gli eventi scatenati della natura si alternavano alle forze nemiche
a tenerci impegnati. Si pensava ad un po’ di riposo e, quando sembrava giunto
il momento di poter calmare la nostra tensione nervosa un nuovo ordine da
"Super marina" ci faceva ripartire ancor prima di gettatar l'ancora
in porto. Ma noi del Vivaldi eravamo fortunati... la nostra fortuna era
personificata dal nostro Comandante Galati giovane d'età per il suo grado ma
vero vecchio lupo di mare, sapeva usare veramente bene le sue doti. Non temeva
di contravvenire agli ordini degli alti comandi quando dubitava qualche
tranello di spie. Faceva spesso di testa sua e, queste sue spesse
insubordinazioni ci portarono sempre al successo. Era per noi un buon papà...
in lui la nostra fiducia era incrollabile perché sapevamo che, in ogni
avversità avrebbe saputo portarci a salvamento. Abbiamo visto in quei mesi cose
orrende sul mare... Quanti morti!! Giovani marinai come noi spesso immolati
perché ligi agli ordini di gente pagata dal nemico che li guidava da Roma su
rotte tragiche [in realtà, le intercettazioni dei convogli italiani erano
frutto della decrittazione di messaggi in codice italiani da parte
dell’organizzazione britannica “ULTRA”, e non da traditori negli alti comandi:
ma questo i marinai non lo sapevano – quasi nessuno lo seppe fino agli anni
Settanta, quando fu rivelata al mondo l’esistenza di “ULTRA” – e ciò generò
l’idea del tradimento, poi sopravvissuta in certi ambienti, disgraziatamente,
anche quando ormai l’esistenza di “ULTRA” era ormai divenuta di pubblico
dominio. Che poi talvolta le decisioni prese da chi, per dirla come Aldo
Cocchia, pretendeva di dirigere il traffico “dalle scrivanie di Roma” possano
aver contribuito a peggiorare la situazione, è più imputabile alle scarse
capacità di certi ufficiali che non ad un tradimento mai dimostrato. Galati,
preferendo fare affidamento sulla propria percezione ed esperienza, in molte
occasioni seppe giudicare meglio]. Sì, i
nostri marinai consci di fare il loro dovere. Offrivano l'olocausto della loro
giovinezza perché la vittoria arridesse alla nostra Patria. Ma Galati si rodeva
il fegato e frenava la sua ira mordendosi le dita quando vedeva certe cose. Ho
visto veramente il mare intriso di sangue verso le secche di Kerkena al largo
del golfo sirtico. Quante nostre navi tradite da coloro che la guerra la
facevano stando in poltrona ordendo le trame megere di sfacciati tradimenti.
(…) Per altri 40 giorni facemmo la sPola
avanti e indietro dall'Africa. Super marina ci dava gli ordini circa le rotte
da seguire e il nostro comandante faceva tutto il contrario per sfuggire agli
agguati tesi dalle spie. Quanti piroscafi portammo a Tripoli in quel periodo!!
Passammo varie volte a poche miglia da Malta in quelle acque nemiche ove si
poteva supporre di essere attaccati. Le navi avversarie correvano ad attenderci
su quelle rotte segnalategli dai traditori e noi li facevamo restare con un
palmo di naso. Si era giunti al punto che gli inglesi avevano messo la taglia
sul "Vivaldi". Un grosso premio di 100.000 sterline a chi ci avrebbe
messo fuori combattimento. E Galati rideva ogni volta che si giungeva in porto
dicendo: “Anche questa volta il premio tocca a noi”".
15 dicembre 1940
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 15.
19 dicembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Malocello,
Da Noli, Tarigo e la torpediniera Orione partono da Tripoli per Napoli alle 10, scortando i
trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco Polo che rientrano vuoti in
Italia.
20 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.30.
26 dicembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Malocello,
Da Noli, Tarigo e Cosenz partono
da Napoli alle 19 diretti a Tripoli, scortando Esperia, Conte Rosso e Marco Polo. La Cosenz lascia il convoglio a Napoli.
28 dicembre 1940
Le navi giungono a
Tripoli alle 11.30.
30 dicembre 1940
Vivaldi (caposcorta), Malocello,
Da Noli e Tarigo lasciano Tripoli per Napoli alle 17.30, scortando
ancora Esperia, Conte Rosso e Marco Polo. A Trapani i
cacciatorpediniere vengono sostituiti da un’unica torpediniera, la Sirio, che scorta i trasporti fino a
Napoli.
1940-1941
Nuovi lavori di
potenziamento dell’armamento, svolti a La Spezia; vengono eliminati i due
cannoncini singoli Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm e le quattro mitragliere
binate da 13,2/76 mm, mentre vengono installate sette mitragliere Breda singole
da 20/65 mm Mod. 1940. Vengono inoltre prolungate le ferroguide per il
trasporto e la posa delle mine, così permettendo di caricare un maggior numero
di ordigni.
7-8 gennaio 1941
Alle 22.20 del
7 Vivaldi (capitano di
vascello Giovanni Galati, caposquadriglia e comandante superiore in mare per
l’operazione), Malocello (capitano
di fregata Del Buono), Da Noli (capitano
di fregata Zoli) e Tarigo (capitano
di fregata De Cristofaro), unitamente alle torpediniere Vega (capitano di corvetta Fontana)
e Sagittario (tenente di
vascello Cigala Fulgosi), lasciano Trapani (in linea di fila, nell’ordine dal
primo all’ultimo Vivaldi, Malocello, Vega, Da Noli, Tarigo e Sagittario) per partecipare alla posa degli sbarramenti di mine «X
2» ed «X 3», di 180 ordigni ciascuno, a nord di Capo Bon (Canale di Sicilia).
Supermarina ha ordinato il minamento di quella zona a seguito dell’operazione
britannica «Collar» e della conseguente battaglia di Capo Teulada, durante le
quali la Mediterranean Fleet è ripetutamente transitata nel canale di Sicilia
senza subire alcun danno, proprio perché a nord di Capo Bon, dove essa è
passata, non esistono campi minati.
Una volta in mare la
formazione si dispone in linea di fila (nell’ordine, Vivaldi, Malocello, Vega, Da Noli, Tarigo e Sagittario) e fa rotta su Capo Bon,
avvistandone il faro all’1.53 dell’8 gennaio. Dopo aver ridotto la velocità a
dodici nodi, le navi iniziano la posa alle 4.02: per prima la Sagittario (estremità meridionale dell’X
2), poi Tarigo e Da Noli, che con la Sagittario assumono una rotta
parallela alla linea X 2. Vega, Malocello e Vivaldi si portano sull’estremo
meridionale dell’X 2, dopo di che la Vega inizia
la posa per prima alle 5.02, seguita dal Malocello ed infine dal Vivaldi che conclude alle 5.04.
Durante la posa
dell’X 3 esplode accidentalmente una delle mine posate dal Da Noli.
Terminata la posa
delle mine, i due gruppi assumono rotta per Marettimo e poi per Trapani,
navigando separatamente e giungendo nel porto siciliano tra le 10 e le 11 del
mattino. L’operazione, prevista in origine per una notte di novilunio o
comunque prossima ad essa (per maggior sicurezza), ha dovuto essere effettuata,
a causa dei rinvii (dovuti alla carenza di siluranti pronte per la posa,
essendo moltissime unità assorbite dalle missioni di scorta sulle rotte per la
Libia e per l’Albania, in quel momento in situazione particolarmente critica a
causa dell’andamento delle operazioni sul fronte greco) e dell’impossibilità di
rinviarla ancora fino al successivo novilunio, in una notte prossima al
plenilunio (tramonto della luna alle 3.40), ma non vi sono stati egualmente
problemi.
Nel suo rapporto il
comandante Galati, sulla scorta dell’esperienza delle tre missioni di posa mine
eseguite fino a quel momento, affermerà di ritenere opportuno che i
cacciatorpediniere impegnati in tale compito siano accompagnati da altre unità
che si occupino della loro protezione ed assistenza, ed in special modo di
formare una sorta di schermo d’osservazione (in modo da poter avvistare
eventuali navi nemiche e dare subito l’allarme, evitando che queste sorprendano
i cacciatorpediniere impegnati nella posa delle mine, oltre a dare direttamente
sostegno a questi ultimi in caso di attacco) nonché allo scopo di poter dare
assistenza ad un cacciatorpediniere che dovesse eventualmente essere colpito da
grave avaria al timone od alle macchine senza costringere un altro dei
cacciatorpediniere destinati alla posa a gettare in mare le sue mine per
liberare la poppa allo scopo di prendere a rimorchio l’unità avariata.
Il Vivaldi con mine tipo P 200 in coperta,
a inizio 1941 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)
9 gennaio 1941
In seguito ad una
serie di avvistamenti aerei di forze navali britanniche nel Mediterraneo
centrale (si tratta dell’operazione britannica «Excess», l’invio a Malta di un
convoglio di rifornimenti), Supermarina ordina alle 13.10 alla IV Divisione di
mettere a disposizione di Marina Messina la XIV Squadriglia «Vivaldi», per
l’impiego in appoggio alle torpediniere ed ai MAS che dovranno attaccare le
forze britanniche nel Canale di Sicilia ed al largo di Pantelleria.
Alle 14.40
Supermarina ordina alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, che si trova a
Trapani, di trovarsi entro le 7 del 10 gennaio nelle acque di Marettimo, e di
tenersi poi nella zona delle Egadi fino a quando non saranno rientrate in porto
le torpediniere ed i MAS; compito esclusivo della XIV Squadriglia sarà di dare
assistenza ed appoggio a distanza a torpediniere e MAS, purché ciò non la porti
ad impegnare forze nemiche superiori.
Durante la notte
successiva, le torpediniere Circe e Vega salpano da Trapani per compiere una
crociera offensiva al largo di Pantelleria, ed attaccare, se le condizioni lo
permetteranno, il convoglio britannico. Il mattino del 10 gennaio Circe e Vega incontrano infatti le navi di «Excess» e vanno all’attacco; il
lancio dei siluri, però, non produce risultati, mentre la Vega cade vittima della reazione della scorta (incrociatore leggero
Bonaventure, cacciatorpediniere Hereward), inabissandosi con quasi tutto
l’equipaggio.
Incontro nel Basso Tirreno con corazzate uscite da Napoli, forse nel gennaio 1941 (g.c. Adriano Pasqua) |
12 gennaio 1941
Vivaldi (caposcorta), Malocello
e Tarigo sostituiscono a
Trapani la torpediniera Cosenz nella
scorta ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed un altro trasporto truppe, la motonave Calitea, tutti partiti da Napoli e
diretti a Tripoli.
13 gennaio 1941
In serata si unisce
alla scorta anche il Da Noli.
14 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 11.30.
15 gennaio 1941
Vivaldi (caposcorta), Malocello, Da Noli e Tarigo lasciano Tripoli alle 18.30, scortando ancora Esperia, Conte Rosso e Marco
Polo.
A Trapani, i quattro
cacciatorpediniere della XIV Squadriglia sono sostituiti da due torpediniere di
Marina Sicilia per l’ultimo tratto della navigazione (fino a Napoli, dove
arriveranno il 17).
Il Da Noli fotografato dal Vivaldi durante la missione del 15-18 gennaio 1941 (g.c. Adriano Pasqua) |
22 gennaio 1941
A Trapani Vivaldi (caposcorta), Malocello, Da Noli e Tarigo sostituiscono
i cacciatorpediniere Freccia e Saetta nella scorta ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed
alla motonave Victoria,
provenienti da Napoli e diretti a Tripoli.
24 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli in mattinata.
25 febbraio 1941
Il Vivaldi (caposcorta) e le torpediniere Procione, Orsa e Calliope
salpano da Napoli per Tripoli alle 12.30, scortando un convoglio formato dalla
motonave italiana Giulia e
dai piroscafi tedeschi Arcturus, Alicante, Leverkusen e Wachtfels:
si tratta del convoglio "Sonnemblume 4", il quarto convoglio con
truppe e materiali dell’Afrika Korps.
27 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 18.30.
1° marzo 1941
Vivaldi, Procione, Orsa e Calliope e lasciano Tripoli alle 13 per scortare Alicante, Arcturus, Leverkusen e
Wachtfels che ritornano a
Napoli.
3 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 11.
5 marzo 1941
Vivaldi (caposcorta), Malocello, Da Noli ed i
cacciatorpediniere Folgore e Lampo salpano da Napoli alle 17
scortando un convoglio formato dai mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels («Sonnenblume 7»), diretti
a Tripoli.
La
motonave Victoria in due foto
scattate dal Vivaldi durante una
missione di scorta (g.c. Battista Pasqua)
8 marzo 1941
Il convoglio deve
temporaneamente sostare a Palermo, dove arriva alle 7, perché la Mediterranean
Fleet si trova per mare.
9 marzo 1941
Rientrato il
pericolo, il convoglio lascia Palermo alle 4 e prosegue per la Libia.
10 marzo 1941
Raggiunto dalle
torpediniere Centauro e Clio, inviategli incontro da Tripoli, il
convoglio giunge a destinazione a mezzogiorno.
12 marzo 1941
Vivaldi (caposcorta), Da Noli
e Malocello lasciano Tripoli
alle 13 per scortare a Palermo e Napoli i quattro piroscafi del viaggio
precedente.
13 marzo 1941
Alle 20 Ankara e Kybfels arrivano a Palermo.
14 marzo 1941
Alle 7 Marburg e Reichenfels giungono a Napoli.
16 marzo 1941
Vivaldi (caposcorta) e Malocello
partono da Napoli alle 20.30 scortando la motonave italiana Calitea e le tedesche Marburg e Reichenfels, dirette a Tripoli.
17 marzo 1941
Il convoglio sosta a
Trapani e ne riparte alle tre di notte, dopo che ad esso si sono uniti la
motonave Ankara, il Da Noli e le torpediniere Cigno e Polluce.
18 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 12.
20 marzo 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli e Malocello, insieme alla
vecchia torpediniera Giuseppe La Farina, ripartono da Tripoli alle 18
scortando Marburg, Reichenfels e Kybfels.
21 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Palermo alle 22.30, poi prosegue per Napoli.
22 marzo 1941
Le navi arrivano a
Napoli alle 7.30.
L’equipaggio del Vivaldi radunato a poppa per la distribuzione dei doni in occasione della befana del soldato, nel marzo (?) 1941 (g.c. Adriano Pasqua) |
29 marzo 1941
Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati) e Da Noli salpano da Napoli per Tripoli
alle 19.30, scortando un convoglio veloce composto da Calitea, Marburg e Kybfels.
31 marzo 1941
All’alba si aggregano
al convoglio «Vivaldi» anche Malocello
(così riunendo la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere), Ankara e Reichenfels, partiti da Palermo alle 3.30 del 30 marzo e diretti
anch’essi a Tripoli.
Verso le 7 del
mattino, mentre il convoglio «Vivaldi» incrocia non lontano dalle
Kerkennah un altro convoglio (denominato «Clio» e formato dai piroscafi
italiani Caffaro, Beatrice ed Aquitania e dal tedesco Galilea,
scortati dalle torpediniere Cigno, Calliope, Pegaso e Clio) partito da
Tripoli e diretto in Italia, quest’ultimo viene attaccato dal sommergibile
britannico Upright, che silura il Galilea. Lo svolgimento del siluramento,
date le reciproche posizioni dei due convogli, può essere osservato piuttosto
bene dal Vivaldi; il comandante
Galati rileva che, pur essendo ormai giorno fatto, l’altro convoglio sta
procedendo ancora in linea di fila (formazione adottata durante la navigazione
notturna) anziché in linea di fronte (formazione usata di giorno, quando
garantisce maggior sicurezza contro gli attacchi subacquei), e che il Galilea è rimasto molto indietro
rispetto alle altre navi, il che ha facilitato l’attacco dell’Upright.
Avendo assistito al
siluramento del Galilea, ed avendo
così avuto contezza della presenza in zona di un sommergibile nemico, il
convoglio «Vivaldi» manovra immediatamente per allontanarsi da quelle acque,
non prima che il comandante Galati abbia però distaccato le torpediniere Polluce e Centauro per dare assistenza al Galilea (il piroscafo tedesco non affonderà, ma, rimorchiato a
Tripoli dalla Pegaso, non verrà mai
più riparato)
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 14.30, senza che si verifichino altri eventi degni di nota.
2 aprile 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli e Malocello partono da
Tripoli per Napoli alle 11, scortando i piroscafi tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels e la motonave
italiana Calitea.
3 aprile 1941
Poco prima del
tramonto, al largo di Ustica, il comandante Galati nota della nafta e deduce che
essa è causata da una leggera perdita proveniente da un sommergibile nemico in
agguato, che sta iniziando una manovra per attaccare il convoglio. I mercantili
vengono fatti proseguire per la loro rotta con la scorta del Da Noli, mentre il Vivaldi, inizialmente da solo, comincia
subito a dare la caccia al sommergibile, lanciando in tutto 29 cariche di
profondità (21 da 50 kg e 8 da 100 kg) in quattro corse successive; dato il
ritmo serrato con cui vengono lanciate le bombe, anche a grappoli, è
impossibile capire se siano tutte esplose. In un secondo momento si unisce alla
caccia anche il Malocello, che
esegue anch’esso quattro corse lanciando in tutto 8 bombe di profondità da 50
kg e 6 da 100 kg. Tutte le bombe di profondità sono dotate di ritardo pirico a
balistite; tre di quelle lanciate dal Malocello
(una da 50 e due da 100 kg) non scoppiano.
Al termine della
caccia, il Vivaldi si ferma sul punto
in cui si vedono emergere con maggiore abbondanza e continuità delle bolle di
nafta; sulla base di tali bolle, il comandante Galati giudica che il
sommergibile sia stato affondato, ma non è così. (La storia ufficiale
dell’USMM, puntualizzando che nessun sommergibile britannico risulta affondato
nelle circostanze descritte, afferma che sia “molto probabile” che il
sommergibile sia stato almeno danneggiato).
Terminata la caccia, Vivaldi e Malocello si ricongiungono col convoglio.
4 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 7.30.
11 aprile 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli e Malocello salpano da
Napoli per Tripoli alle 17.30, scortando Ankara, Calitea, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
L’affollato porto di Tripoli visto da bordo del Vivaldi, nell’aprile 1941 (g.c. Adriano Pasqua) |
12 aprile 1941
Alle 14.35 il
sommergibile britannico Upholder (capitano
di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista il convoglio del Vivaldi – correttamente
identificato come composto da cinque navi mercantili scortate da tre
cacciatorpediniere classe Navigatori – in posizione 37°07’ N e 11°11’ E. Avendo
già esaurito tutti i siluri, l’Upholder si
trova nell’impossibilità di attaccare; conseguentemente, si limita a lanciare
il segnale di scoperta, che però non sembra venire ricevuto da nessuno. Alle
15.28, pertanto, l’Upholder emerge, a
dispetto della presenza di quattro aerei che pattugliano il cielo nelle
vicinanze, e ripete il segnale di scoperta; di nuovo non riceve risposta,
dunque torna ad immergersi e si allontana verso nordest, mentre il convoglio
prosegue verso sudovest.
Alle 17.15 il
sommergibile britannico Ursula (tenente
di vascello Alexander James Mackenzie) avvista su rilevamento 350°, a 9150
metri di distanza, un cacciatorpediniere classe Navigatori; iniziata la manovra
d’attacco, alle 17.25 si rende conto che l’unità avvistata fa parte della
scorta di un convoglio, appunto il convoglio formato dal Vivaldi e dalle altre unità partite
da Napoli il giorno precedente (Mackenzie stima che si tratti di cinque
mercantili di circa 6000 tsl, scortati da due cacciatorpediniere; alle 17.35
avvista anche due aerei monomotori, probabilmente dei caccia). Alle 17.39, in
posizione 36°40’ N e 11°12’ E (a sud di Capo Bon), l’Ursula lancia quattro siluri da una distanza di 2300 metri,
contro il secondo mercantile della colonna sinistra. Nessuna nave viene colpita,
sebbene sull’Ursula venga udita
un’esplosione attribuita ad un siluro a segno; i siluri mancando di poco
il Reichenfels, passando a
distanze comprese tra i 10 e i 25 metri. Alle 18.01 l’Ursula avverte delle esplosioni piuttosto forti, che a bordo
vengono attribuite a bombe di profondità.
13 aprile 1941
Durante la notte tra
il 12 ed il 13 il convoglio viene ripetutamente attaccato da aerei, con lancio
di numerosi siluri. Grazie anche all’intervento dei velivoli da caccia di base
in Sicilia, tuttavia, tutti gli attacchi falliscono; due aerosiluranti Fairey
Swordfish dell’830th Squadron Fleet Air Arm (sottotenente di
vascello A. P. Dawson e primo aviere A. Todd; sergente pilota C. H. Wines e
primo aviere L. M. Edwards) vengono abbattuti. Gli equipaggi riescono a
raggiungere la costa tunisina, dove saranno internati dalle autorità francesi.
Nella stessa notte, i
cacciatorpediniere britannici Jervis, Janus, Nubian e Mohawk escono
da Malta per intercettare il convoglio, ma non riescono a trovarlo.
14 aprile 1941
Il convoglio,
raggiunto dalle torpediniere Circe e Generale Carlo Montanari (inviategli incontro da Tripoli), giunge nel porto
libico alle 10.
16 aprile 1941
Il Vivaldi (capitano di vascello
Giovanni Galati, comandante superiore in mare), insieme a Da Noli, Malocello, Dardo, alle
torpediniere Clio, Centauro, Perseo, Partenope e Sirtori, alla nave ospedale Arno, alla nave soccorso Giuseppe Orlando ed ai
piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro, partecipa alle operazioni di soccorso ai naufraghi delle
navi del convoglio «Tarigo», distrutto nella notte precedente dai cacciatorpediniere
britannici Jervis, Janus, Nubian e Mohwak (quest’ultimo
affondato a sua volta dal Tarigo).
I cacciatorpediniere Luca Tarigo e Baleno ed i piroscafi Adana, Aegina, Iserlohn e Sabaudia sono stati affondati, il
cacciatorpediniere Lampo ed
il piroscafo Arta sono
stati portati all’incaglio con danni gravissimi. È il comandante Galati a
dirigere i soccorsi in mare; il Vivaldi
recupera 258 naufraghi e quattro salme.
Complessivamente
vengono tratti in salvo 1271 naufraghi, mentre le vittime sono circa 700 (altre
fonti parlano di 1800 vittime, ma sembrano basate su stime errate).
Gianbattista Pasqua
descrive così, nelle sue memorie, il salvataggio dei superstiti di questo
convoglio: "La sera del 16 aprile
1941 svolgemmo la nostra missione pietosa di soccorso ai naufraghi superstiti
di un impari lotta. (…) Fu così che
in quella lontana notte ebbi l'avventura di vedere due relitti di navi da
guerra a 500 metri di distanza l'uno dall'altro. Sull'albero del Tarigo c'era
ancora il tricolore e su quello del Norwork [Mohawk] la bandiera inglese. Le parti emergenti, chiazzate di sangue
reggrumato. Salii sulla plancia del Tarigo. Che orrendo spettacolo!!! a terra
un lago di sangue, pezzi di carne umana scagliata dagli scoppi delle granate
tutt'intorno i corpi avvinti nell'abbraccio della morte del comandante De
Cristoforo e del capitano del genio navale Luca Balsofiore. Giunse presto la
nave ospedale da Tripoli. Recuperammo i feriti sulle zattere preoccupandoci di
scegliere prima i più gravi fra i tanti. Recuperammo molti naufraghi e
lasciammo i cadaveri ancora tenuti a galla dai salvagenti. Li lasciammo così al
mare... quella doveva esser la loro tomba... il loro camposanto. Rientrammo a
Tripoli col cuore straziato. Il nostro comandante ebbe una sola parola da dire
piangendo all'ammiraglio venuto subito a bordo: "Vigliacchi". Si,
vigliacchi i traditori, i venduti al nemico che, per poche sterline cedevano
all'avversario tante giovani vite umane colpevoli solo di eseguire degli ordini
supremi [in realtà, mentre certamente si possono accusare non pochi ammiragli
della Regia Marina di non aver mostrato spiccate qualità di comando, tragedie
come quella del convoglio Tarigo non
erano causate da tradimento, bensì dall’eccellente ricognizione aerea
britannica – in questo caso specifico – o, più avanti, dalle decrittazioni di
“ULTRA”. Come detto, tuttavia, le intercettazioni causate da quest’ultima fonte
fecero nascere in molti, ignari dell’esistenza dei decrittatori britannici, il
sospetto di traditori negli alti comandi]. Nella
nostra navigazione per il rientro a Napoli, dopo 5 giorni da quella notte di
tragedia, vedemmo ancora tanti cadaveri emergenti alla superficie verso i quali
non potemmo far altro che indirizzare la nostra suffragante preghiera".
19 aprile 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli, Malocello ed il
cacciatorpediniere Dardo lasciano
Tripoli alle 16 per scortare a Napoli Ankara, Calitea, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 14.
4 maggio 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli e Malocello partono da
Napoli per Tripoli all’1.15, insieme alle torpediniere Pegaso, Orione e Cassiopea,
formando la scorta diretta di un convoglio (convoglio «Victoria») diretto a
Tripoli e scortato dalle motonavi Victoria, Andrea Gritti, Marco Foscarini, Sebastiano
Venier, Barbarigo, Ankara (tedesca) e Calitea.
Dal momento che a
Malta sono state avvistate unità leggere della Royal Navy, il convoglio gode
anche della scorta a distanza della VII Divisione Navale (ammiraglio di
divisione Ferdinando Casardi), con gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, ed i
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno. Queste navi prendono
posizione in testa al convoglio «Victoria» alle 20.03, a circa tre chilometri
di distanza, con i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata. La
formazione di marcia notturna disposta da Casardi è così articolata:
cacciatorpediniere in scorta avanzata, seguiti dagli incrociatori in linea di
fila, seguiti dal convoglio disposto su tre colonne, con scorta laterale. Ciò
al fine di consentire alle navi della VII Divisione di reagire prontamente
contro unità di superficie che dovessero attaccare dai settori dove ciò appare
più probabile, senza essere intralciati nelle manovre da convoglio e scorta,
che avrebbe inoltre così modo di allontanarsi senza perdite. La scorta diretta,
secondo la valutazione dell’ammiraglio, dovrebbe bastare a proteggere il
convoglio da attacchi nei settori poppieri, che comunque sono poco probabili,
stante la velocità del convoglio e la posizione delle basi britanniche.
Fino al tramonto, il
convoglio fruisce di numerosa scorta aerea con velivoli sia da caccia che da
bombardamento.
5 maggio 1941
La navigazione
notturna si svolge senza inconvenienti. Pigafetta
e Zeno attaccano un contatto
subacqueo.
Alle 5.45 la VII
Divisione si porta sulla congiungente Malta-convoglio, sulla quale poi si
mantiene zigzagando per tutta la giornata, tenendosi in vista del convoglio.
Alle 6.40 sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea (idrovolanti della
ricognizione marittima e bombardieri).
Alle 14.26 viene
avvistato un secondo convoglio, il «Marco Polo», in navigazione su rotta
opposta, e la VII Divisione passa a scortare quest’ultimo, mentre il «Victoria»
dirige su Tripoli.
Dopo un viaggio nel
quale il convoglio «Victoria», continuamente pedinato da ricognitori, ha subito
diversi infruttuosi attacchi aerei, le navi entrano a Tripoli alle 20.45.
12 maggio 1941
Vivaldi (caposcorta), Da
Noli, Malocello ed il
cacciatorpediniere Saetta lasciano
Tripoli alle 19.30 scortando Victoria, Gritti, Venier, Barbarigo ed Ankara che rientrano scariche a
Napoli.
Durante la
navigazione nel Canale di Sicilia, lungo la rotta che passa ad ovest di Malta
(nelle vicinanze delle Kerkennah), il convoglio fruisce della protezione a
distanza della IV Divisione (incrociatori leggeri Bande Nere e Cadorna,
cacciatorpediniere Scirocco, Maestrale ed Alpino) e dell’VIII Divisione
(incrociatori leggeri Duca degli
Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere), oltre che – nelle ore
diurne – di una buona scorta aerea.
Durante la
navigazione non si verniciano eventi di rilievo, eccezion fatta per problemi di
comunicazione all’interno del convoglio e tra le unità della scorta diretta e
le Divisioni di incrociatori. In merito a ciò il comandante Galati farà
presente, nel suo rapporto, che il servizio segnali dei mercantili “lascia molto a desiderare”, come ha già
rilevato in precedenza per altri convogli; la trasmissione di ogni segnale,
specialmente nottetempo, richiede ogni volta troppo tempo, e la causa
principale è l’insufficiente preparazione del personale addetto alle
segnalazioni, nonché l’inadeguatezza dei mezzi di segnalazione (bandierine di
segnalazione troppo piccole, nessun proiettorino per segnalazioni notturne).
Inoltre, i vetri dei fanali donath in dotazione a molti mercantili è verde,
anziché, come dovrebbe essere, azzurro, e la loro luminosità è tale da renderli
visibili a 3-4 km di distanza, con rischio di essere avvistati dal nemico.
Galati aggiungerà di aver già richiamato l’attenzione dei comandanti militari
su questi problemi inerenti alle comunicazioni, sollecitandoli ad intervenire
per porvi rimedio, ma di ritenere necessarie misure radicali da parte dell’ente
della Regia Marina responsabile dell’organizzazione del servizio comunicazioni
sui mercantili requisiti. Altro appunto da Galati riguarda le torpediniere da
600 tonnellate (cioè classe Spica) e gli avvisi scorta (classe Pegaso): anche
con queste navi le segnalazioni risultano sempre difficoltose, probabilmente
anche perché quelle navi, assorbite dai servizi di scorta e dunque disabituate
ad operare in squadriglia, non hanno molte occasioni per addestrare
adeguatamente il personale segnalatore.
14 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.30.
26 maggio 1941
Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati), Da Noli, il cacciatorpediniere Saetta e le torpediniere Pallade, Procione, Pegaso, Castore e Cigno partono da Napoli alle 2.30 (altra versione indica l’orario
di partenza nelle 23 del 25 maggio) per scortare a Tripoli un convoglio formato
dalle motonavi Marco Foscarini, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Barbarigo, Rialto ed Ankara (tedesca).
Il convoglio, che ha
scorta aerea per alcuni tratti, è scortato a distanza dalla III Divisione
Navale, dallo stretto di Messina in poi; segue le rotte che passano ad est di
Malta.
27 maggio 1941
Verso le 13 (poco
dopo che gli aerei dell’Aeronautica di Sicilia della scorta aerea hanno lasciato
il convoglio, mentre i velivoli che avrebbero dovuto sostituirli, provenienti
dalla Libia, non sono potuti decollare a causa del forte ghibli) il Vivaldi avvista a proravia sinistra sei
aerei, a 6-7 km di distanza, che volano a 10-20 metri di quota su rotta opposta
al convoglio. Il comandante Galati li scambia inizialmente per aerei da
trasporto tedeschi tipo Junkers Ju 52, ma in realtà sono bombardieri britannici
Bristol Blenheim decollati da Malta, i quali una volta arrivati al traverso del
convoglio accostano per attaccare a volo radente il gruppo formato da Foscarini, Barbarigo e Venier.
Da Noli e Cigno,
unitamente alle motonavi, aprono subito il fuoco (non appena identificano gli
aerei come nemici); due degli attaccanti (il V6460 del sergente E. B. Inman e
lo Z6247 del capitano G. M. Fairburn) vengono abbattuti (secondo fonti
italiane, tra cui il rapporto del comandante Galati, dal fuoco delle
mitragliere delle navi; per i britannici, ambedue gli aerei sarebbero stati
travolti e distrutti dallo scoppio delle bombe sganciate dallo stesso Inman su
una delle motonavi), ma Foscarini e Venier sono colpite. In tutto,
l’attacco dura tre minuti. Osservandolo dalla sua posizione nella formazione,
per come esso si svolge, il comandante Galati crede inizialmente che si tratti
di un attacco di aerosiluranti; scoprirà che erano bombardieri solo mezz’ora
dopo, quando la Venier gli riferirà
di avere a bordo una bomba inesplosa. Gli aerei conducono il loro attacco a
bassa quota, con una manovra mai compiuta prima di allora; Galati scriverà poi,
in un suo "Rapporto speciale" redatto dopo l’arrivo in porto, che dal
febbraio 1941 (quando i convogli importanti avevano iniziato a godere di scorta
aerea) fino al 27 maggio non c’era mai stato un solo attacco diurno di bombardieri
od aerosiluranti contro convogli in mare; ciò era probabilmente dovuto alla
riluttanza ad attaccare convogli che godevano di scorta aerea (caccia o anche
bombardieri S.M. 79), visto che il primo attacco diurno in quasi quattro mesi –
quello del 27 maggio – si era verificato proprio nell’occasione in cui un
convoglio era rimasto temporaneamente privo di scorta aerea. Da ciò derivava
che garantire ai convogli scorta aerea continuativa aveva un’importanza
fondamentale. (Saputo che la scorta aerea prevista dalla Libia non è potuta
decollare a causa del ghibli, Galati suggerirà, facendo notare che in primavera
accade spesso che il forte ghibli ostacoli la partenza degli aerei dalle basi
libiche, che si facciano scortare i convogli, dalla Sicilia fino alle coste
della Tripolitania, da bombardieri S.M. 79 decollati dalle basi sicule, che a
differenza dei caccia avrebbero autonomia sufficiente per tali mansioni). Si
tratta del primo attacco aereo verificatosi sulla rotta di levante per la
Libia, nonché del primo bombardamento a bassa quota contro navi nella guerra
del Mediterraneo.
La Venier subisce solo danni lievi,
perché appunto l’unica bomba che la colpisce non esplode; ma la Foscarini viene incendiata ed
immobilizzata. Da Noli e Cigno si trattengono presso quest’ultima,
sulla quale l’incendio divampa violento.
Alle 16.10 il Da Noli lancia in rapida successione i
telegrammi di richiesta di intervento della caccia e di scoperta, ed alle 16.21
Galati ordina alla Cigno di riunirsi
alla formazione, ed al Da Noli di
restare con la Foscarini per
prestarle assistenza. Alle 16.25 Galati informa Tripoli sulle condizioni della Foscarini, richiedendo che venga mandato
un rimorchiatore. Il convoglio, meno Da
Noli e Foscarini, prosegue verso
Tripoli; alle 16.40 viene incrociato il convoglio «Freccia», e la III Divisione
ne assume la protezione, lasciando quella del convoglio «Vivaldi». Alle 17.10,
siccome non si è ancora fatto vedere neanche un aereo da caccia e Tripoli è
ancora lontana, il comandante Galati, temendo probabile – considerata anche
l’ora – un altro attacco aereo, chiede di nuovo che intervenga la caccia; alle
17.20 chiede che da Tripoli sia inviata una silurante per cooperare con
il Da Noli, ancora intento a
prestare assistenza alla Foscarini.
Alle 17.45 la Venier comunica al Vivaldi che la bomba inesplosa è stata
rimossa e buttata fuori bordo da alcuni militari tedeschi di artiglieria
(ufficiali e soldati) imbarcati di passaggio e da uomini dell’equipaggio
militare. Cinque minuti più tardi si riunisce alla formazione anche la Cigno, che riferisce di avere a bordo
tredici uomini della Foscarini,
due dei quali feriti, ed un sergente osservatore britannico, anch’esso ferito
in modo piuttosto grave (dovrà subire l’amputazione della gamba sinistra):
quest’ultimo è il sergente K. P. Collins dell’82nd Squadron della
Royal Air Force, l’unico sopravvissuto tra i sei uomini che componevano gli
equipaggi dei due aerei. Il comandante della Cigno riferirà poi a Galati che il prigioniero britannico «si è espresso in termini violenti contro la
guerra ed in principio temeva che gli si volesse fare del male. Appena a bordo
della torpediniera ha domandato con ansia se lo si sarebbe consegnato ai
tedeschi dimostrando di paventare assai tale eventualità».
Alle 18.50, siccome
gli aerei da caccia continuano a non farsi vedere, il comandante Galati ne
chiede ancora una volta l’invio. Finalmente, alle 19.10, vengono avvistati
quattro caccia della Regia Aeronautica (i primi a giungere sul cielo del
convoglio da quando quelli dell’Aeronautica della Sicilia ne hanno lasciato la
scorta prima dell’attacco) ed un bombardiere Savoia Marchetti S.M. 79
“Sparviero”.
28 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli in mattinata.
La Foscarini, raggiunta ed assistita dalla
torpediniera Pallade e dai
rimorchiatori Pronta e Salvatore Primo, potrà essere
rimorchiata fino a Tripoli e portata a poggiare sul fondo dell’avamporto il 30
maggio, scongiurandone l’affondamento, ma non verrà mai recuperata.
Due
immagini dell’incendio della torpediniera Pleiadi,
incendiatasi ed affondata il 30 maggio 1941 nel porto di Tripoli in seguito
allo schianto a bordo di un idrovolante, scattate da bordo del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua)
3 giugno 1941
Il Vivaldi (caposcorta, capitano di
vascello Giovanni Galati), insieme al Da
Noli ed alla torpediniera Castore,
lascia Tripoli alle 20 per scortare a Napoli le motonavi Gritti, Venier, Rialto ed Ankara (tedesca).
Il convoglio imbocca
la rotta di ponente, che passa nelle acque delle Kerkennah; stavolta, a
differenza che all’andata, la scorta aerea (con caccia FIAT CR. 42 e
bombardieri S.M. 79 “Sparviero”) viene organizzata perfettamente, permanendo
anche nel tratto Tripoli-Marettimo dove spesso, nei viaggi precedenti, era
stata quasi mancante. Più incostante è la scorta antisommergibili fornita dagli
idrovolanti CANT Z, venendo a mancare del tutto quella degli idroricognitori di
base in Libia.
Il comandante Galati
scriverà nel rapporto che sarebbe opportuno replicare sempre l’organizzazione
della scorta aerea adottata nella giornata del 4 giugno, ritenendola
particolarmente idonea alla protezione contro gli attacchi aerei, e suggerirà
inoltre di rinforzare la difesa contraerea dei mercantili con l’imbarco di
compagnie mitragliatrici (specialmente da 20 mm) dell’Esercito o del Reggimento
"San Marco". Quest’ultimo suggerimento verrà effettivamente messo in
pratica a partire da giugno.
5 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 15.
7 giugno-4 agosto 1941
In grandi lavori di
manutenzione a La Spezia.
Il sergente Gianbattista
Pasqua, imbarcato sul Vivaldi,
descrive così nelle sue memorie il modo in cui il comandante Galati avrebbe
fatto presente ai suoi superiori la necessità di un periodo di lavori: "Verso i primi di giugno dopo aver subito un
massiccio bombardamento nel porto di Tripoli il comandante ci riunì in
assemblea e ci parlò come un buon Papà. Ci guardò prima a lungo in volto e poi
disse: "Vedo sui vostri visi i segni della stanchezza per le tante
missioni compiute. Anche la nave ha bisogno di riposo e voi più di essa. Non vi
posso dare premi in denaro ma vi farò avere il premio del necessario meritato
riposo." Riportammo a Napoli 8 piroscafi vuoti e, ancor prima di
attraccarci alle banchine ci giunse l'ordine di tenerci pronti a partire in 30
minuti. Il comandante inveì dapprima e prese una decisione irrevocabile. Ci
portò all'ormeggio e partì per Roma. Al ministero della Marina parlò chiaro: Io
non rispondo più dei miei uomini stremati da tante fatiche e della nave
bisognosa di lavoro. Se volete, mettetemi in prigione ma io non parto in queste
condizioni. Giunse a bordo giulivo e disse... accendete che partiamo in
missione straordinaria. Era il 7 giugno, oltrepassate le isole di Ischia e
Procida prendemmo rotta verso il nord e il 9 arrivammo in porto a La Spezia. Cara
città La Spezia... tanto vicina ai miei cari, così tranquilla in confronto ai porti
meridionali e dell'Africa. Sbarcammo le munizioni e i combustibili e ci
portammo in arsenale per i lavori. Il 10 giugno con immensa gioia partimmo per
la ben meritata licenza (…) Rientrato
a La Spezia, trovai il Vivaldi in fase di ultimazione dei lavori. Riprendemmo
imbarco il 28 Luglio e restammo in quel porto sino al 4 agosto ove, imbarcati i
siluri, le munizioni per tutte le artiglierie e le bombe di profondità,
eseguimmo i vari collaudi alle macchine".
5 agosto 1941
Terminati i lavori,
il Vivaldi lascia La Spezia per
trasferirsi a Napoli, scortando l’incrociatore pesante Trento e la corazzata Andrea
Doria, anch’essi di ritorno nelle basi dell’Italia meridionale dopo un
periodo di lavori nell’arsenale spezzino.
Due foto
scattate dal Vivaldi durante una
missione di scorta ad una corazzata, forse l’Andrea Doria (g.c. Adriano Pasqua)
13 agosto 1941
Il Vivaldi (caposcorta, capitano di
vascello Giovanni Galati) lascia Napoli alle 17 insieme ai cacciatorpediniere Malocello, Folgore, Fulmine, Strale ed alla torpediniera Orsa, per scortare a Tripoli le
motonavi Rialto, Andrea Gritti, Francesco Barbaro, Vettor
Pisani e Sebastiano Venier.
Il convoglio viene
più volte attaccato da aerei e sommergibili, ma senza mai riportare danni.
Subito dopo la
partenza si verifica un presunto attacco di sommergibile, senza risultato (in
realtà, si tratta probabilmente di un falso allarme); la scorta reagisce
prontamente. Secondo il ricordo del sergente Gianbattista Pasqua a bordo si
credette – erroneamente – di aver affondato un sommergibile: "Il 14 agosto riprendemmo nuovamente il mare
dopo due mesi trascorsi a La Spezia per i lavori ed i vari collaudi. Dovevamo
scortare un convoglio per Bengasi. Eravamo contenti di ricominciare le nostre
lunghe missioni di guerra... ci sentivamo sollevati dall'incubo delle
incursioni aeree del porto. La nave, appena uscita dai cantieri, aveva ripreso
la sua primitiva efficienza. Tutto funzionava bene e l'equipaggio, ormai
allenato dopo tante battaglie era pronto a difendere tanto ben di Dio affidato
alla nostra scorta per l'Africa. Oltrepassata l'isola di Capri prendemmo rotta
verso sud verso lo stretto di Sicilia. Si navigava sottocosta in acque presunte
tranquille e... nelle ore libere dalla vedetta, ci godevamo lo spettacolo del
panorama splendido della Campania e della Calabria. Ad un tratto, nel riflesso
argenteo del sole specchiantesi sul mare, avvistammo due scie insidiose. In un
attimo fummo pronti ai nostri posti di combattimento. Sparammo due cannonate
coi cannoni di prora per ordinare rapida accostata ai piroscafi onde evitare
l'urto mortale dei siluri e ci lanciammo a dar la caccia al sommergibile
nemico. Un nostro aereo ricognitore ci segnalò il punto ove era immerso con una
fumata bianca ed in breve fummo sopra il luogo dell’agguato nemico. Lanciammo
simultaneamente 4 bombe di profondità regolandone lo scoppio dai 20 ai 100
metri di profondità. L'effetto dello scoppio non tardò a manifestarsi. Col
ribollire della spuma, salirono in superficie pezzi di legno ed una grande
quantità di nafta. Nel breve tempo di 10 minuti si esaurì la nostra azione
seppellendo il nemico in quegli abissi marini nei quali aveva tentato di mandar
noi. Rapida e decisa fu la nostra azione, Galati era lieto della vittoria
ottenuta. Col microfono ordinò: Scopritevi!! e ci raccogliemmo in una breve
preghiera di suffragio per quei poveri morti. Veramente cavalleresco il gesto
del vincitore che si inchina a suffragare le anime dei vinti. Riprendemmo fieri
la nostra scorta ancor più guardinghi di prima. Il comandante ci aveva
avvertiti: attenti ragazzi!! la nostra salvezza sta nella rapidità
dell'avvistamento. (…) Galati aveva
ancora una volta disobbedito agli ordini e... non cademmo in bocca al nemico.
Di tanto in tanto lo vedemmo in lontananza che ci cercava lanciando i
"bengala" e noi eravamo più che mai pronti a rintuzzare ogni offesa".
14 agosto 1941
Poco dopo la partenza
(per altra fonte, probabilmente erronea, durante un attacco aereo), una
cartuccia esplode accidentalmente all’interno di uno dei cannoni da 120 mm
del Vivaldi, facendo scoppiare
tutto il cannone e provocando danni e feriti. In considerazioni delle gravi
condizioni di alcuni dei feriti, nonché dei danni causati dall’esplosione, il
comandante Galati decide di lasciare la scorta e rientrare a Napoli,
trasferendo il ruolo di caposcorta al Folgore,
al comando del capitano di fregata Giuriati. Il convoglio giungerà indenne a
Tripoli alle 14 del 15 agosto.
19 agosto 1941
Alle due di notte
il Vivaldi (caposcorta, avente a
bordo il comandante superiore in mare contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone,
ispettore del naviglio di scorta ai convogli), insieme al gemello Da Recco ed ai più moderni cacciatorpediniere Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, salpa da Napoli diretto a Tripoli per scortarvi
un convoglio veloce composto dai trasporti truppe Esperia, Marco Polo (capoconvoglio,
contrammiraglio Francesco Canzonieri), Neptunia ed Oceania. Il convoglio deve seguire la
rotta che passava a ponente di Malta, passando per il Canale di Sicilia,
Pantelleria e le Kerkennah.
Alle 13.30 si unisce
alla scorta la vecchia torpediniera Giuseppe
Dezza, proveniente da Trapani, ed alle 14.50, sempre quale rinforzo, anche
i cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco.
Vi è inoltre una
scorta aerea, presente continuamente durante le ore diurne fino alle 21 (sia
nel Tirreno che nel Canale di Sicilia), consistente in bombardieri S.M. 79 e
caccia FIAT CR. 42 nonché, nel tardo pomeriggio del 19, idrovolanti CANT Z. 506
in funzione antisommergibili.
Il convoglio procede
a zig zag, seguendo la rotta che passa a ponente di Malta, passando per il
Canale di Sicilia, Pantelleria e le Kerkennah.
Nel tardo pomeriggio
il convoglio, che si trovava a nord di Pantelleria, incappa in uno sbarramento
di sommergibili britannici, venendo attaccato pressoché contemporaneamente
dall’Urge (tenente di vascello
Edward Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten (capitano
di corvetta Edward Arthur Woodward), essendosi trovato a passare proprio tra le
zone d’agguato occupate dai due sommergibili.
L’Unbeaten avvista il convoglio alle 18.18
(inizialmente i soli fumaioli, a 8700 metri di distanza per 325°; le navi
intere alle 18.22, quando la distanza è scesa a 7315 metri) in posizione 37°02’
N e 12°00’ E, circa 15 miglia a nord di Pantelleria, ed alle 18.31 lancia tre
siluri (un quarto non parte) da 5945 metri; le armi passano tutte molto a
proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT Z. 501 della 196a Squadriglia
avvista le scie e lancia due bombe contro l’Unbeaten,
che tuttavia è già sceso in profondità dopo il lancio per via della forte
scorta aerea. L’Urge, invece, avvista
il convoglio (avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N e 11°51’ E (una
quindicina di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a 6400-7315 metri per
30°, e manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra d’attacco viene
interrotta da un’accidentale perdita di assetto; prima che il sommergibile
possa tornare in assetto, un grosso cacciatorpediniere avvistato qualche minuto
prima (18.26) e diretto verso l’Urge
viene sentito avvicinarsi rapidamente, avvisato da un Savoia Marchetti S. 79
che lo ha avvistato alle 18.15. Alle 18.36 il cacciatorpediniere in questione –
probabilmente il Vivaldi –passa sulla
verticale del sommergibile immerso e lancia quattro bombe di profondità; poi si
unisce alla caccia anche un secondo cacciatorpediniere. Tra le 18.36 e le 19.25
Vivaldi e Gioberti bombardano l’Urge con
bombe di profondità, senza riuscire a danneggiarlo (gli stessi comandanti
italiani non riscontrano risultati apprezzabili), ma costringendolo a ritirarsi
verso nordovest ed a rinunciare all’attacco. Prima di questi attacchi, alle
17.20 (a nord di Pantelleria), il Marco
Polo ha già evitato due siluri con la manovra, dopo la diramazione del
segnale «Scie di siluri a sinistra».
20 agosto 1941
All’una di
notte Maestrale e Grecale lasciano il convoglio per
tornare a Trapani, mentre alle 8.30 – quando il convoglio imbocca la rotta di
sicurezza numero 3 (rotta vera 138°) – si aggregano alla scorta la
torpediniera Partenope (con
funzioni di pilotaggio) e due MAS inviati da Tripoli; il convoglio è inoltre
preceduto da un gruppo di dragamine, che già da diverse ore stanno passando a
setaccio quel tratto di mare. Le navi procedono a 17 nodi di velocità,
zigzagando fin dall’alba (tranne la Partenope);
pur essendo già sulla rotta di sicurezza, il caposcorta ha preferito mantenere
la formazione di navigazione in mare aperto e lo zigzagamento, quale ulteriore
precauzione contro i molti sommergibili che si sapeva infestare le acque
antistanti le coste della Libia. In prossimità del punto «A» di atterraggio a
Tripoli, l’Oriani lancia sei
bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio procede
su quattro colonne, due di mercantili e due di navi scorta: da sinistra, una
prima colonna formata da Vivaldi (a
proravia, al traverso a sinistra del Marco
Polo, leggermente spostato in avanti) e Gioberti (poppavia, al traverso a sinistra dell’Esperia), con un MAS sul lato esterno;
più a dritta, la colonna formata da Marco
Polo (a proravia) ed Esperia (a
poppavia); a dritta di queste, la Neptunia seguita
dall’Oceania (al traverso a
dritta dell’Esperia); poi un altro
MAS (a proravia sinistra della Neptunia)
e, sul lato esterno a dritta, una colonna formata da Da Recco (a proravia), Oriani (al centro) e Scirocco (a
poppavia). La Partenope procede
in testa al convoglio, mentre la Dezza lo
chiude in coda, a poppavia di Esperia ed Oceania.
Fin dall’alba del 20
torna sul cielo del convoglio la scorta aerea, costituita da due caccia e da
due idrovolanti CANT Z. 501 per scorta antisommergibili.
Tra le 6.36 e le 7.25
il sommergibile britannico Unique (tenente
di vascello Anthony Richard Hezlet) avvista la Partenope ed i MAS diretti incontro al convoglio e tre dei
dragamine (che passano a circa un miglio di distanza del sommergibile, più
vicini alla costa): ciò gli permette di dedurre la posizione del canale
dragato, e di posizionarsi vicino al suo imbocco per attendere l’arrivo del
convoglio, di cui è già stato informato. Alle 9.56 il sommergibile avvista nel
punto 33°03’ N e 13°03’ E, a otto miglia di distanza su rilevamento 305°,
quattro transatlantici in avvicinamento con rotta 155°; alle 10.10 la distanza
si è ridotta a 5945 metri, e Hezlet inizia a distinguere alcune unità della
scorta, tra cui un cacciatorpediniere classe Navigatori ed una torpediniera
classe Partenope. Alle 10.19, dopo aver superato lo schermo della scorta, l’Unique lancia una salva di quattro
siluri da appena 600 metri di distanza, contro l’Esperia, per poi scendere subito a 27 metri ed iniziare a ritirarsi
verso nord.
Alle 10.20 l’Esperia viene colpito in rapida
successione da tre siluri, ed inizia rapidamente a sbandare sulla sinistra.
(L’ammiraglio Nomis di Pollone, in base alle circostanze in cui si è verificato
il siluramento, ipotizzerà nel suo rapporto che il sommergibile abbia lanciato
i suoi siluri da ridottissima distanza, probabilmente basandosi su rilevamenti
idrofonico; aggiungerà che era inoltre possibile che l’arrivo del convoglio
fosse noto ai britannici, dato che già la sera precedente era stato attaccato
al largo di Pantelleria da un altro sommergibile che aveva lanciato due
siluri).
Il resto del
convoglio accosta immediatamente sulla dritta, come prescritto dalle norme, poi
il Marco Polo segnala alle
altre navi di seguirlo e dirige a tutta forza verso il vicino porto, preceduto
dalla Partenope e seguito
dagli altri trasporti (arriveranno tutti indenni a Tripoli, alle 12.30).
Pochi minuti dopo il
siluramento, i velivoli della scorta aerea – più precisamente, un idrovolante
CANT Z. 501 della 145a Squadriglia pilotato dal guardiamarina De
Solem – sganciano alcune bombe contro l’Unique,
circa un chilometro al traverso a sinistra dell’Esperia; a questo punto l’ammiraglio Nomis di Pollone, acclarato
che la nave è stata silurata da un sommergibile (prima vi era incertezza, sulle
altre unità, se le esplosioni fossero dovute a siluri oppure a mine), ordina
al Gioberti ed ai MAS di
dare la caccia al sommergibile, al Da
Recco di accompagnare i trasporti nel primo tratto dell’allontanamento
(poi lo richiama perché si unisca al Gioberti nella
caccia antisommergibili) ed a Dezza, Oriani e Scirocco di provvedere al salvataggio dei naufraghi, cui
inoltre partecipa con il suo stesso Vivaldi.
In soli dieci minuti
l’Esperia affonda nel punto
33°03’ N e 13°03’ E, a 11 miglia per 318° dal faro di Tripoli, tra il caos
totale dovuto al panico che ha invaso le truppe imbarcate.
Per un’ora e
mezza Vivaldi, Scirocco, Oriani e Dezza recuperano
dal mare centinaia di naufraghi; a mezzogiorno sopraggiungono tre rimorchiatori
ed alcuni motovelieri di Marina Tripoli e, dato che le navi della scorta hanno
già recuperato la maggior parte dei superstiti, ed è pericoloso che si
trattenessero ancora in zona insidiata dai sommergibili con centinaia di
naufraghi a bordo, Nomis di Pollone ordina ad Oriani e Scirocco di
raggiungere Tripoli, e lascia sul posto i rimorchiatori e motovelieri di Marina
Tripoli per completare l’opera di salvataggio, sotto la protezione della Dezza.
Grazie all’operato
delle unità soccorritrici, ben 1139 dei 1182 uomini imbarcati sull’Esperia (oltre il 96 %) vengono
tratti in salvo, nonostante la rapidità e caoticità dell’affondamento. Il Vivaldi, in particolare, recupera 76
naufraghi; per il suo ruolo nei soccorsi il comandante Galati sarà decorato con
la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Comandante di cacciatorpediniere, di scorta
a convoglio, silurato un piroscafo da sommergibile nemico, dirigeva,
prontamente e con sereno coraggio e spirito di abnegazione, le operazioni di
salvataggio dei naufraghi in acque tuttora insidiate dall'unità subacquea
avversaria. Dimostrava nel grave frangente di possedere elevata capacità
organizzativa e belle qualità militari e professionali".
Il salvataggio dei naufraghi dell’Esperia in una foto scattata da bordo del Vivaldi (foto Gianbattista Pasqua, per g.c. del figlio Adriano) |
21 agosto 1941
Il Vivaldi (caposcorta) lascia
Tripoli alle 17 (o 19) insieme ad Oriani, Gioberti, Da Recco e Scirocco,
per scortare a Napoli Marco Polo, Neptunia ed Oceania, che hanno celermente sbarcato
uomini e materiali.
Durante la notte le
navi vengono violentemente attaccate da aerei, ma le unità della scorta
vanificano l’attacco emettendo cortine fumogene e dirottando la formazione.
23 agosto 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 7 (per una fonte, i cacciatorpediniere lo avrebbero però lasciato a
Palermo).
Nel suo rapporto,
relativamente all’attacco aereo notturno, l’ammiraglio Nomis di Pollone
proporrà che per meglio difendersi da simili attacchi la scorta emetta cortine
nebbiogene non appena si accende il primo bengala od anche a scopo preventivo,
a crepuscolo avanzato, prima ancora che appaia traccia di aerei nemici; che
essa navighi con ampi zig zag per impedire agli aerei nemici di determinare la
rotta dei piroscafi e per coprire con la nebbia artificiale un’area più vasta;
che – laddove le circostanze lo consentano – venga compiuta una considerevole
deviazione temporanea dalla rotta, di almeno 45°; che si eviti il tiro di
sbarramento e che sia la scorta che i mercantili aprano il fuoco soltanto se
gli aerei sono stati avvistati con certezza (altrimenti, il tiro delle navi
potrebbe agevolare gli attaccanti nella loro individuazione); che i mercantili
non cambino rotta, velocità e formazione, onde non allontanarsi dall’area
protetta dalle cortine nebbiogene, manovrando soltanto per evitare i siluri, se
osservano dei lanci.
Alcune ore dopo
l’arrivo del convoglio, Vivaldi, Malocello e Da Recco salpano da Napoli per
unirsi alla scorta delle corazzate Littorio e Vittorio Veneto, salpate da Taranto alle
16 del giorno precedente per intercettazione di forze navali britanniche. È in
corso l’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da
Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson,
l’incrociatore leggero Hermione e
cinque cacciatorpediniere, al comando dell’ammiraglio James Somerville) con lo
scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella
Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark
Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine veloce Manxman) e dissuadere, con tale
dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I
veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che
pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di inviare a Malta un
convoglio di rifornimenti. Oltre all’uscita in mare delle forze da battaglia,
l’alto comando della Regia Marina ha anche dislocato otto sommergibili ed
altrettanti MAS in agguato nel Canale di Sicilia ed a nord delle coste
algerine.
Alle 17.52 Vivaldi, Da Recco e Malocello
si uniscono al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio» (corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione
e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia).
Il Vivaldi ha a bordo un gruppo di
crittografi di Supermarina, imbarcati a Napoli, che subito dopo il
ricongiungimento con la IX Divisione provvede a trasbordare sulla Littorio, la quale a questo scopo si
mette alla cappa insieme ai cacciatorpediniere della XIII Squadriglia.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno; durante la notte la
formazione deve tenere una velocità di 16-18 nodi, il massimo che la Vittorio Veneto possa sviluppare, a
causa di problemi alle macchine della corazzata.
24 agosto 1941
Alle cinque del
mattino, risolto il problema, la Vittorio
Veneto può tornare a procedere a tutta forza, e con essa il resto della
squadra. All’alba si uniscono alla formazione anche i cacciatorpediniere Pigafetta e Da Verrazzano, salpati da Trapani, nonché la III Divisione
(incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia)
e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Ascari, Corazziere e Carabiniere),
partite da Messina alle 9.50, ed i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco,
inviati da Palermo.
Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, dieci Fairey Swordfish dell’Ark Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con
bombe e spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta
ed un soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre
alle 7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un
ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta
localizzata 30 miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno nel pomeriggio e di trascorrervi la notte,
dopo aver appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata mandata a
svolgere nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordina poi alla
III ed alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28
miglia per 150° da Capo Carbonara (cioè a sud-sud-est di tale Capo), per
ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 (o 17.22) le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe
probabile il giorno seguente. La Forza H, infatti, si è trattenuta nelle acque
delle Baleari per distogliere l’attenzione della ricognizione italiana dalla
missione del Manxman. Non visto, il
posamine penetra infatti in Mar Ligure e procede a posare quattro campi minati
tra Vada e Livorno, anche se le mine verranno ben presto scoperte e
neutralizzate dalla Marina italiana. Alle 13 del 24 l’ammiraglio Somerville,
informato dal sommergibile Upholder
(che ha infruttuosamente attaccato l’VIII Divisione) della presenza in mare di
forze navali italiane a sud della Sardegna, ha deciso di dirigere verso sudest
per attaccarle con gli aerei dell’Ark
Royal; ma il ricognitore lanciato dalla portaerei non riesce a trovarle, e
quando alle 17 circa un bimotore Martin Baltimore decollato da Malta avvista le
navi di Iachino trenta miglia a sud della Sardegna, Somerville conclude che è
troppo tardi per tentare un attacco aerosilurante.
Durante la notte, in
mancanza di nuovi aggiornamenti sul(l’inesistente) convoglio britannico,
Supermarina annulla la puntata offensiva dell’VIII Divisione e le ordina di
rientrare a Palermo. Intanto il gruppo al comando dell’ammiraglio Iachino, come
da ordini, è tornato in Tirreno.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35 (o 13.36), di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di
rientrare a Napoli con la IX Divisione, e di rimandare la III Divisione a
Messina.
La sera del 25 si
viene a sapere che all’alba la Forza H è stata avvistata ormai già in acque
spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta nord e poi diretta verso sud,
accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è stata vista a sud di Capo
Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate, probabilmente dovute ad
esercitazioni di tiro.
Si è infatti trattata
di una “crociera dimostrativa” condotta dalla Forza H lungo le coste spagnole,
sempre allo scopo di dissuadere Franco dall’entrare in guerra a fianco
dell’Asse. Le navi di Somerville rientreranno a Gibilterra nel pomeriggio del
26.
Il Vivaldi durante un’uscita con la flotta da battaglia, forse nel 1941 (g.c. Adriano Pasqua) |
26 agosto 1941
In mattinata la IX
Divisione raggiunge Napoli.
12 ottobre 1941
Il Vivaldi salpa da Taranto alle 3.40,
insieme a Duca d’Aosta, Eugenio di Savoia, Montecuccoli, Pigafetta, Malocello, Da Verrazzano e due altri
cacciatorpediniere, l’Aviere ed
il Camicia Nera, per effettuare
la posa dello sbarramento di mine «B» al largo di Bengasi.
Il sergente Gianbattista
Pasqua scrive in merito nel suo diario (da non confondere con le sue memore,
scritte invece a distanza di decenni): «E’
stato ultimato il lavoro al mio impianto per la riparazione degli ingranaggi
della manovra d’elevazione. La giornata, passata tranquillamente nella consueta
calma ha avuto finalmente un buon epilogo: mentre stavamo attorno alla radio
ascoltando una trasmissione dell’Ammiraglio Bernotti durante la quale, di tanto
in tanto si immischiava una strana voce di un italiano rinnegato per incitare
il popolo alla rivolta, il Comandante in 2° si è fatto vedere improvvisamente
in un’ora insolita per ordinarci di rollare le brande e di non andar a dormire.
Dopo tanto, c’è in vista un’altra missione di guerra e ben presto sappiamo di
che tipo e di che importanza essa sia. Alle 20:30 [dell’11 ottobre] ci giungono sottobordo appositi pontoni
carichi di torpedini con un fono urgentissimo di accensione immediata. Iniziamo
subito il lavoro di imbarco degli ordigni insidiosi, lavoro che, reso difficile
per la completa oscurità perché nessun occhio indiscreto abbia a vedere le
nostre faccende, si protrae sin verso la mezzanotte. Altri CC.TT. ormeggiati
vicino a noi sono affaccendati nello stesso nostro lavoro; 3 incrociatori della
VII Divisione pure loro, imbarcano mine».
Alle 2.30 del 12
ottobre, completato il carico di mine, il Vivaldi
molla gli ormeggi; presa posizione a poppavia del Montecuccoli, esce dal Mar Piccolo insieme alle altre navi. «…gli occhi di tutti noi fissano la città che
si allontana al nostro sguardo confondendosi come una massa nera nelle tenebre
e sembra che quello sguardo voglia significare un presto arrivederci a missione
ultimata, una certezza di ritorno per poter nuovamente ripartire per altre
belliche missioni. La città dorme, sembra un colosso senza vita, e il popolo
riposa: noi vegliamo e veglieremo sul mare perché il riposo del popolo non sia
disturbato, per stendere sulla strada al nemico una fitta rete offensiva oltre
la quale non potrà passare. Tutti ci sentiamo orgogliosi del compito a cui
siamo stati chiamati e siamo fieri di poter proprio noi, con le nostre mani,
intrecciare un tranello alle navi nemiche», scrive Gianbattista Pasqua.
Superate anche le ostruzioni foranee, il Vivaldi
accelera fino a 22 nodi, ed alle 3.38 avvista Eugenio di Savoia, Duca
d’Aosta, Aviere, Camicia Nera, Pigafetta e Da Verrazzano,
in attesa al largo; assume quindi posizione di scorta laterale sulla sinistra
degli incrociatori. Alle 5.45 le navi iniziano a zigzagare, trovandosi in zona
ove potrebbero esserci sommergibili in agguato; il mare, calmo fino a quel
momento, inizia a divenire via via più mosso a causa di un forte vento da
ovest: «le ondate si susseguono con
violenza sbattendoci quasi con rabbia furiosa sulle torpedini allineate in buon
ordine sulle ferroguide poste ai lati della nave dl centro ed estrema poppa».
Alle 6.35 viene
avvistato il cacciatorpediniere Geniere,
salpato da Messina per rinforzare la scorta della formazione, ma intanto sul Vivaldi vengono riscontrate varie avarie
alle razzature delle mine, causate dalla violenza del mare. Alle 7.15, ottenuta
l’autorizzazione dell’ammiraglio comandante, il Vivaldi esce di formazione e mette la prua al mare, in modo da
poter riparare le avarie causate dal mare mosso: «Il Maggiore di macchina assistito dall’ufficiale e dal personale
Torpediniere si dà da fare per rimetter ogni cosa in efficienza. Bagnati
continuamente dalle ondate che scrosciano in coperta non badando al vento ed al
freddo, dopo circa 3 ore di sforzi, i nostri bravi marinai riescono a riparare
ogni cosa: alle 10 siamo pronti per la rizzatura delle torpedini e ci mettiamo
in rotta navigando ad elevata velocità per raggiunger la formazione che, in 3
ore si è allontanata di parecchie miglia». Alle 12.27 il Vivaldi avvista nuovamente gli
incrociatori, ed alle 14.10 torna ad assumere la posizione di scorta laterale
alla loro sinistra. La formazione procede a zig zag, mentre il mare peggiora
ancora; intorno alle sei di sera, onde enormi spazzano via vari materiali che
si trovavano a proravia del castello.
13 ottobre 1941
Alle 9.15 dei
ricognitori italiani avvistano una formazione britannica composta da due
corazzate, tre incrociatori e dieci cacciatorpediniere a 130 miglia da
Alessandria, con rotta che la porterebbe ad intercettare la squadra italiana.
Si tratta della Mediterranean Fleet, uscita in mare con le corazzate Valiant e Queen Elizabeth, gli incrociatori leggeri Ajax, Hobart e Galatea ed i
cacciatorpediniere Jervis, Jaguar, Jupiter, Kandahar, Griffin, Hasty, Hotspur, Eridge, Decoy e Avon Vale; questa forza navale è salpata da
Alessandria d’Egitto il 12 ottobre per coprire l’operazione
"Cultivate", l’invio a Tobruk di alcune navi da guerra (posamine
veloce Abdiel, cacciatorpediniere Nizam, Kipling e Hero)
per il rifornimento di quella guarnigione assediata, e sta già dirigendo per il
rientro ad Alessandria (dalle cinque del mattino del 13) quando, alle 13.15 del
13, viene informata dell’avvistamento di tre incrociatori e sei
cacciatorpediniere italiani diretti verso la costa nordafricana: ricevuto il
quale, essa dirige verso ovest per intercettarli.
Supermarina ordina
pertanto alle navi di rientrare a Taranto. (Questo è quanto riferisce il volume
USMM "La guerra di mine", mentre Gianbattista Pasqua, nel suo diario,
afferma che l’operazione sarebbe stata cancellata a causa del maltempo: «La navigazione si fa assai cattiva: ormai
non si può più pensare a portar a termine la missione per cui invertiamo la
rotta dirigendo a moderata velocità sulla via del ritorno. Eravamo già quasi
sul posto in cui avremmo dovuto fare il campo minato; la zona prefissa era
davanti a Tobruch. Passiamo la notte assai male sballottati nei marosi che a
volte assumono una tale forza da farci pensare che la nave stessa sia messa a
repentaglio»).
Lo stato del mare,
intanto, rimane cattivo, anzi in peggioramento: il Vivaldi riduce ulteriormente la velocità, onde mitigare gli effetti
del mare mosso, ma senza molto successo. Scrive Gianbattista Pasqua: «…la prua e la poppa si ficcano continuamente
sotto le onde incalzanti: nei locali scorre acqua dappertutto, il quadrato
sottufficiali ed il deposito munizioni vengono allagati. A poppa, nel quadrato
e nei camerini del Comandante e degli ufficiali scorrono vari ruscelli d’acqua
che un po’ alla volta allagano in parte tutte le zone sottocoperta di poppa.
Abbiamo il nostro bel da fare per svuotare i locali allagati. Tutta la giornata
a portar secchi, a trasportare manichette per togliere l’acqua: è un lavoro che
richiede abnegazione e spirito di sacrificio soprattutto per il male fisico che
la tempesta provoca in tanti organismi piuttosto debolucci. Ho la fortuna di
non soffrire per nulla il mal di mare e così passo la giornata meno male degli
altri».
Alle 11.32 un colpo
di mare strappa una bomba di profondità da 50 kg dalla tramoggia: l’ordigno,
caduto in mare, esplode a breve distanza. Altri colpi di mare demoliscono
l’apparato usato per l’addestramento alla punteria dei cannoni. La velocità
deve essere ancora ridotta.
Alle 13.10 vengono
avvistati due ricognitori; alle 18.35 il Vivaldi
assume posizione laterale a dritta degli incrociatori, preceduto dal Malocello. La violenza del mare è
riuscita anche a sfondare tre oblò.
14 ottobre 1941
Alle 00.20 viene
avvistato il faro di San Vito, e l’equipaggio inizia a scaricare i cannoni, le
cui canne sono piene d’acqua. Giunto sottocosta, il Vivaldi entra in acque più calme; all’1.05 la formazione si dispone
in linea di fila per entrare a Taranto, ed il Vivaldi passa a poppavia degli incrociatori.
Ricevuta libertà di
manovra dalla nave ammiraglia alle 2.10, il Vivaldi
entra in Mar Grande mezz’ora più tardi, imbocca il canale navigabile alle 3.24
e si ormeggia in Mar Piccolo (con un’ancora sola, perché l’altra è stata asportata
dalla violenza del mare) alle 4.12.
Il successivo
precipitare degli eventi in Libia e sulle rotte dei convogli impedirà di
ritentare la posa dello sbarramento «B», che non sarà mai effettuato.
2 novembre 1941
Intorno alle sette di
sera, mentre il Vivaldi è ormeggiato
a Taranto, giunge ordine di accendere le caldaie ed uscire in mare appena
pronti; il personale che è a terra per passarvi la notte viene pertanto
richiamato a bordo. Scrive Gianbattista Pasqua: «Non si sa nulla riguardo alla nostra missione, nemmeno il Comandante sa
cosa dovremo fare – tutto è tenuto segreto perché nessun orecchio importuno
venga a sapere quale sia il compito che ci verrà imposto». Alle 21.50 viene
ordinato il posto di manovra, ma si aspettano altri venti minuti prima di salpare,
onde dare ad alcuni graduati il tempo di tornare a bordo; «usciamo dal Mar Piccolo passando il canal navigabile sui cui margini si
vedono rischiarate dal chiaror lunare le mogli ed i parenti di alcuni
sottufficiali che sono accorsi per salutare i loro cari». Una volta
superate le ostruzioni foranee, il Vivaldi
aumenta la velocità a più di 20 nodi, incontrando mare lungo. Viene poi
ricevuto un cifrato del Ministero della Marina che ordina di andare ad Augusta;
viene dunque assunta rotta verso questa base.
3 novembre 1941
Verso le 8.30 il Vivaldi passa al traverso di Capo
Spartivento, due ore dopo accosta per entrare nella rada di Augusta, ed alle
11.15 si ormeggia in quel porto alla banchina di Punta Cogno, dove sono già
attraccati Da Noli e Malocello. Terminato il posto di
manovra, si presenta sul Vivaldi il
capo di Stato Maggiore del Da Noli –
sul quale, secondo Gianbattista Pasqua, sventola l’insegna di un ammiraglio –
che informa il comandante Galati della missione da svolgere: trasporto in Libia
di truppe tedesche. L’imbarco ha inizio alle 11.30, dopo che il Vivaldi ha imbarcato alcune zattere
supplementari e si è rifornito di provviste e carburante; vengono imbarcati
circa trecento militari della Wehrmacht, che vengono sistemati negli alloggi
dell’equipaggio, mentre quest’ultimo rimarrà presso i posti di combattimento
per tutta la durata della missione. Gianbattista Pasqua ha un’impressione
positiva degli alleati tedeschi, che così descrive, nel suo diario, in toni
entusiastici: «Non ho mai avuto modo di
osservare tanto da vicino il soldato tedesco sul quale ho pur sentito tanto
parlare e per cui i giornali abbondano di tanti commenti… L’impressione che di
essi ho avuto non ha fatto che darmi la certezza che sapranno esser pari ai
nostri soldati che combattono in Russia e sapranno pure gareggiare in eroismo
con i nostri in Egitto. A bordo delle nostre siluranti, qui sulla nostra nave
su cui sventola il tricolore innalzato a picco sull’albero di maestra in segno
di guerra e morte i soldati del Reich sono orgogliosi e fieri di navigare coi
marinai italiani per recarsi sul campo di battaglia. Essi fraternizzano con
noi. Ci è difficile comprenderci per il differente idioma ma è facile capirci e
soprattutto capire tutto l’entusiasmo che ci affratella nella lotta comune. E
sono lieti di recarsi verso un fronte sul quale potranno battere gli inglesi
dopo aver battuto tanti popoli aizzati alla guerra dagli inglesi illusi di
poter solo far da spettatori alla lotta per averne i frutti senza combattere».
Alle 18 viene suonato
l’allarme aereo: è stato avvistato un ricognitore nemico, che viene messo in
fuga dalla contraerea.
Alle 18.45 (o 19) Vivaldi (caposquadriglia, capitano
di vascello Giovanni Galati), Da Noli
e Pessagno salpano da
Augusta trasportando complessivamente 788 militari diretti a Bengasi.
Una volta fuori dal
porto, i tre cacciatorpediniere si dispongono in linea di fronte – Vivaldi al centro, Pessagno a dritta, Da Noli
a sinistra – e fanno rotta per la Cirenaica a velocità di 20-24 nodi. Rotta ad
est di Malta.
Truppe
tedesche a bordo del Vivaldi (foto
Gianbattista Pasqua, per g.c. del figlio Adriano)
4 novembre 1941
Dopo essere stati
raggiunti da un idrovolante da ricognizione e da quattro caccia (italiani) a
poche miglia dalla destinazione, i cacciatorpediniere giungono a Bengasi alle
13.30; dopo aver sbarcato i militari tedeschi, che ringraziano per il passaggio
e salutano (più che altro a gesti, per via della differenza di lingua), ripartono
due ore dopo, con a bordo 217 rimpatriandi.
5 novembre 1941
Vivaldi, Da Noli e Pessagno giungono ad Augusta alle
18.15.
9 novembre 1941
A Reggio Calabria, il
Vivaldi imbarca un nuovo gruppo di
soldati tedeschi da trasportare in Cirenaica. L’imbarco ha inizio verso le 13,
un’ora e mezza dopo l’accensione delle caldaie.
Alle 14.45, terminato
l’imbarco delle truppe, viene ordinato il posto di manovra; ma durante le
manovre di partenza un cavo d’ormeggio s’impiglia nell’elica di sinistra, aggrovigliandosi
attorno alla calotta dell’asse dell’elica. Le macchine devono essere fermate,
ed un palombaro mandato a controllare.
Si tenta per ore di
liberare l’elica, ma senza successo, mentre Pessagno
e Da Noli, già usciti in mare con le
truppe, attendono al largo; alle sei di sera, non essendo l’equipaggio riuscito
a risolvere la situazione, il Vivaldi
torna alla banchina e sbarca i soldati tedeschi, tenendo a bordo soltanto i
materiali.
10 novembre 1941
In mattinata,
liberata finalmente l’elica, si ricominciano i preparativi per la partenza;
verso le 12.25 un ricognitore britannico giunge sul porto, ma viene subito
bersagliato dal furibondo tiro delle armi delle navi presenti, Vivaldi compreso, e se ne va poco dopo.
Alle 12.50 ha nuovamente inizio l’imbarco delle truppe tedesche; alle 14.30 Vivaldi (caposquadriglia, capitano
di vascello Giovanni Galati), Da Noli
e Pessagno partono finalmente
da Reggio Calabria, con a bordo in totale 728 militari da trasportare
a Bengasi.
Usciti dallo stretto
di Messina, i tre cacciatorpediniere fanno rotta verso sud, disposti in linea
di fronte con un intervallo di qualche miglio l’uno dall’altro; giunti al
traverso di Taormina, accostano per sudovest in modo da rimanere sottocosta,
mentre a bordo si svolgono esercitazioni di posto di combattimento e di posto
di abbandono nave a beneficio dei soldati tedeschi. Sul cielo delle unità è
presente, fino al tramonto, una scorta aerea costituita da due velivoli da
caccia e da un ricognitore.
Superata Catania, i
cacciatorpediniere accostano verso sud quando sono al traverso di Acireale,
dirigendo per Bengasi a circa 22 nodi.
Dopo il crepuscolo,
tuttavia, si alza una brezza tesa da Libeccio
e lo stato del mare va rapidamente peggiorando, con effetti deleteri per le
truppe imbarcate, poco avvezze al mare.
11 novembre 1941
A causa del maltempo,
i cacciatorpediniere devono dirottare verso la Grecia (la nuova rotta, col mare
in poppa, mitiga gli effetti della burrasca) e puggiare a Navarino. Verso le
7.30 viene avvistato un bombardiere tedesco, che sorvola il Vivaldi salutando; alle 9.10 viene
avvistata la costa greca, ed alle 10.30 i cacciatorpediniere entrano a
Navarino.
Alle 11.48 giunge
sulla baia un ricognitore britannico: tutte le navi presenti, militari e
mercantili, aprono subito un intenso tiro contraereo; il velivolo se ne va poco
dopo. Dal diario di Gianbattista Pasqua: «Il
nostro comandante chiede l’intervento della nostra caccia che venga e rimanga
in volo sul porto credendo probabile un attacco aereo nemico in grande stile.
Passiamo il pomeriggio nella baia ridente
fraternizzando con i camerata germanici. Affluiscono sottobordo vari battellini
di venditori di frutta greci che sanno ricavar un buon guadagno vendendoci la
loro merce in cambio di tozzi di pane e di sigarette. Questi venditori,
abitanti della cittadella di Pylos innanzi alla quale siamo ormeggiati, sono
stati condannati (come tutti i loro concittadini) a restar per ben sei mesi
privi di pane; tale castigo è stato inflitto a codesta città perché, alla fine
della guerra è stata lacerata la bandiera tedesca ed è stato malmenato un
ufficiale germanico. Si vede proprio che qui abbonda la fame; è stato un
castigo ben grave ma anche giusto e tutti i navarrini, se ne ricorderanno per
un pezzo. Verso sera mi reco sopra il castello ove i sodati tedeschi, al suono
delle loro inseparabili fisarmoniche, si sono riuniti per eseguire alcuni tra i
loro migliori cori nostalgici che, al sentirli, fanno ricordare la propria casa
lontana».
Alle 18 il Vivaldi accende le caldaie per
ripartire; alle 18.50 viene ordinato il posto di manovra, ed alle 20.30 i
cacciatorpediniere lasciano Navarino alla volta di Bengasi. Adesso il mare è
calmo.
12 novembre 1941
Intorno alle dieci
del mattino si alza un vento teso da libeccio, che genera alte onde che
provocano notevole rollio. Alle 12.30, giunti in vista della costa cirenaica,
il Vivaldi lancia alcune bombe di
profondità da 30 kg a scopo intimidatorio.
Vivaldi, Da Noli e Pessagno arrivano a Bengasi alle
15; sbarcati i soldati tedeschi, ripartono quattro ore più tardi, trasportando militari
e civili rimpatrianti e quattro prigionieri di guerra britannici (tre ufficiali
ed un sottufficiale).
I prigionieri sono
imbarcati proprio sul Vivaldi: si
tratta di quattro “commandos” catturati dieci giorni prima, dopo essere
sbarcati vicino a Derna dal sommergibile Talisman per condurre una ricognizione
preparatoria dell’Operazione “Flipper”, un’incursione da parte di una trentina
di “commandos” con l’obiettivo di colpire diversi Comandi italiani e tedeschi
tra Apollonia, Slonta e Cirene e soprattutto di catturare o uccidere Erwin
Rommel (l’operazione si concluderà in un totale fallimento, senza raggiungere
nessuno degli obiettivi e portando invece alla cattura di quasi tutti i
“commandos”). Si tratta del capitano James Ratcliffe e del tenente Trevor
Ravenscroft, entrambi della Special Boat Section, del sottotenente Thomas
Macpherson del No. 11 (Scottish) Commando, e del caporale Andrew Evans
dell’Highland Light Infantry. Nella sua
autobiografia ("Behind Enemy Lines"), Macpherson menzionerà anche il
viaggio sul Vivaldi: “Quali prigionieri con alta priorità, venimmo
caricati sul cacciatorpediniere italiano Ugolino Vivaldi dopo pochi giorni e
spediti a tutta velocità attraverso il Mediterraneo, in Sicilia. Questa fu per
la verità un’esperienza piacevole, perché gli ufficiali di Marina italiani
furono estremamente amichevoli, ci diedero dei buoni alloggi e – se vi piace la
pasta, come nel mio caso – ci diedero cibo estremamente buono durante il
viaggio”.
Il sergente Gianbattista
Pasqua, da parte sua, scrive nel suo diario: «Sono di guardia dalle 16 alle 24 e ricevo a bordo l’Ammiraglio di
Divisione Comandante la piazza di Bengasi il quale ci dà notizia che dovremo
portare in Italia 4 ufficiali inglesi da noi catturati in operazioni di
rastrellamento i quali si dovrà sorvegliarli perché hanno già tentato sei volte
di sfuggire alla sorveglianza dei carabinieri. Così, mentre il Pessagno ed il Da
Noli imbarcano alcuni soldati italiani e tedeschi da rimpatriare, noi
imbarchiamo i prigionieri inglesi che giungono a bordo scortati da tre
poliziotti. Appena a bordo vengono accompagnati in quadrato ufficiali ove
faccio montare il picchetto armato di scorta».
Lasciata Bengasi, i
cacciatorpediniere si dispongono in linea di fronte, con il Vivaldi sulla sinistra, ed assumono una
velocità di 23 nodi, navigando col vento in poppa. Intorno alle otto di sera Vivaldi, Pessagno e Da Noli
superano un convoglio di tre mercantili, scortati dalla torpediniera Pegaso, con cui scambiano alcune
segnalazioni ottiche.
13 novembre 1941
Alle otto del mattino
inizia a soffiare un forte vento da sudest, che genera grandi ondate che
investono i cacciatorpediniere da poppa sinistra, per quasi tre quarti,
provocando forti sbandate. I prigionieri vengono fatti salire in coperta, per
loro maggior sicurezza. Il vento va aumentando e degenera verso le 11.30 in una
violenta bufera, che tuttavia si esaurisce ben presto lasciando il posto a dei
piovaschi intermittenti. Anche il mare va calmandosi.
Alle 14.45 Vivaldi, Da Noli e Pessagno
avvistano la costa calabra: alle 15.30, passati in formazione a linea di fila,
imboccano lo stretto di Messina; alle 18 giungono a Reggio Calabria, dove il Vivaldi consegna i quattro ufficiali
prigionieri ad un drappello di carabinieri, comandati da un ufficiale.
Nel suo rapporto, a
proposito dei quattro prigionieri britannici che ha trasportato in Italia, il
comandante Galati scriverà: «Ho ricevuto
l’impressione che siano rimasti come sorpresi dalla normale accoglienza avuta,
giacché all’arrivo a Reggio il più anziano degli ufficiali ha chiesto di
essermi presentato per esprimere la loro riconoscenza per l’ospitalità goduta.
Ricevutolo, mi ha pregato di voler accogliere l’espressione dell’animo grato
suo e dei suoi compagni, dicendomi che – nella dura sorte a loro toccata –
ascrivevano, però, a loro fortuna l’aver potuto viaggiare su una Regia Nave,
trattati come “gentlemen” dalla Marina italiana».
Nelle due missioni,
la squadriglia del Vivaldi ha
trasportato in Libia in tutto 1516 militari tedeschi, circa 300 meno del
previsto, perché l’afflusso a bordo dei cacciatorpediniere dei soldati
tedeschi, con armi e bagagli, è risultato in entrambe le missioni un po’ minore
rispetto al totale preventivato in rapporto allo spazio realmente disponibile
sulle navi.
Una foto di gruppo di alcuni ufficiali e marinai del Vivaldi, datata 15 novembre 1941. Gianbattista Pasqua è il primo in piedi da sinistra (g.c. Adriano Pasqua) |
21 novembre 1941
Alle 18 Vivaldi (capitano di vascello
Giovanni Galati, caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere), Da Noli (capitano di fregata Luigi
Cei Martini) e Pessagno (capitano
di fregata Antonio Dallai) sostituiscono il Da Recco e la torpediniera Enrico Cosenz nella
scorta al convoglio «C» (motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e motonave cisterna Iridio Mantovani, scortate, oltre che da Cosenz e Da Recco,
dal cacciatorpediniere Turbine e
dalla torpediniera Perseo).
Il convoglio fa parte
di un’operazione di traffico volta ad inviare urgenti rifornimenti in
Libia, dov’è iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica (operazione
«Crusader») e dopo che la distruzione del convoglio «Duisburg», avvenuta il 9
novembre ad opera della Forza K britannica, ha provocato la perdita di un
ingente quantitativo di rifornimenti diretti in Africa Settentrionale.
L’operazione vede in
mare anche un secondo convoglio, l’«Alfa», salpato da Napoli alle 19 del 20
(motonavi Ankara e Sebastiano Venier e
cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti). Entrambi dovranno
seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti d Malta (190 miglia).
La III e VIII
Divisione Navale sono in mare per dare loro protezione.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi)
è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la
scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre),
per non dare nell’occhio. Contestualmente sono partiti per Bengasi
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in
missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di Tunisi cariche di truppe
(da Taranto), e vengono fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a
Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero di navi in
movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area,
confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi
a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi
interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del
convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza
(incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
Il convoglio «Alfa» è
stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a
seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta
che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene
dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
Il convoglio «C»,
invece, prosegue; quando Vivaldi,
Da Noli e Pessagno lo raggiungono, ad esso si è già unita per scorta diretta
la VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, nave di bandiera del comandante
superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi, e Giuseppe Garibaldi; cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Corazziere, Carabiniere e Camicia Nera). È in mare anche la III
Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, quest’ultimo nave ammiraglia), per scorta strategica.
Convoglio e scorta
sono stati da poco avvistati da un aereo e da un sommergibile avversari, che
segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane
dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi
i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode,
sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche
modificare la rotta.
Alle 19.50 il
convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo
vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. La
VIII Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la
formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi,
come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina
che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a
tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità
di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio
inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo
con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco
contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di
marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire
il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera
contro tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la
formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio
d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia
notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento
di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di
disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini
dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non
passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei; ed
anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il Trieste viene silurato dal
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley), riportando danni gravissimi: rimane
immobilizzato, e potrà rimettere in moto solo alle 00.38, scortato da Corazziere e Carabiniere, per trascinarsi verso
Messina. Ma non è finita.
22 novembre 1941
Poco dopo le 00.30,
diverse unità sentono rumore di aerei, e dopo pochi secondi molti bengala
iniziano ad accendersi, uno dopo l’altro, nel cielo a nord del convoglio, su
rotta ad esso parallela: l’ammiraglio Lombardi ordina subito a tutte le unità
di accostare a un tempo di 90° verso sud, per dare la poppa ai bengala. Si
prepara infatti un attacco di aerosiluranti: Duca degli Abruzzi, Garibaldi e
le quattro motonavi appaiono ben visibili nella luce dei bengala. L’ordine
viene eseguito, ma alle alle 00.38 anche il Duca degli Abruzzi viene colpito da un siluro d’aereo, e si
ferma con gravi danni.
Il Vivaldi, insieme ad altre unità della
scorta diretta, viene distaccato per proteggere il Duca degli Abruzzi. Alle 7 del mattino l’incrociatore danneggiato è
circondato dai cacciatorpediniere Vivaldi,
Da Noli, Turbine, Granatiere, Fuciliere, Alpino, Corazziere e Carabiniere e dalla
torpediniera Perseo. Tutte le
siluranti evoluiscono intorno al Duca
degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo.
La menomazione della
forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia
della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono l’ammiraglio
Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla
scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia
rimangono ad assistere il Duca degli
Abruzzi. L’incrociatore, assistito dal rimorchiatore Impero e
scortato da Vivaldi, Da Noli, Granatiere, Fuciliere, Alpino e Perseo, riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42.
26 novembre 1941
Vivaldi (caposquadriglia, capitano di vascello Giovanni Galati), Da Noli (capitano di fregata Cei
Martini) e Pessagno (capitano di
fregata Dallai) salpano da Taranto all’una di notte, per una missione di
trasporto a Derna e Bengasi, in un momento particolarmente difficile della
battaglia dei convogli.
Giunto ad Argostoli
(nell’isola greca di Cefalonia) alle 15, il gruppo vi sosta due giorni –
incontrandovi, in questo lasso di tempo, la X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Oriani, Gioberti),
impegnata in analoga missione – per imbarcare il carico: complessivamente 170
tonnellate di benzina avio in fusti, ripartite in parti uguali. Per il viaggio
da Navarino a Bengasi a ritorno, ogni nave consumerà oltre 200 tonnellate di
nafta: ma ora è fondamentale recapitare la benzina, a costo di rimetterci in
nafta (il Vivaldi consumerà
200 tonnellate di nafta per consegnarne 70 di benzina).
28 novembre 1941
Vivaldi, Da Noli e Pessagno lasciano Argostoli alle
13. Per il tratto iniziale, i cacciatorpediniere scortano il piroscafo
tedesco Bellona, diretto a Navarino.
Alle 14.11, in
posizione 38°01’ N e 20°21’ E, il sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta
William Donald Aelian King), in agguato al largo di Argostoli, vede i tre
cacciatorpediniere – correttamente identificati come classe Navigatori –
emergere dalla nebbia ad una distanza di 1370 metri; non riesce però a virare
abbastanza in fretta da poter assumere un’angolazione idonea al lancio dei
siluri, e perde così l’occasione di attaccare.
29 novembre 1941
Vivaldi e Pessagno giungono a
Derna alle quattro del mattino (per altra fonte alle 9.30, ma sembra probabile
un errore), mentre il Da Noli raggiunge
Bengasi. Siccome nel ristretto e scarsamente attrezzato porto di Derna mancano
sia i mezzi sia il personale per provvedere allo scarico, Vivaldi e Pessagno sono
costretti a “scaricare” i fusti gettandoli direttamente in mare, e solo in
parte il personale di terra riuscirà poi a recuperarli (secondo quanto riferito
qualche giorno dopo dal capitano di fregata Ollandini, comandante il
cacciatorpediniere Zeno impiegato in
analoga missione, sulla base di quanto riferitogli sul posto da un ufficiale,
su circa 600 fusti buttati in mare da Vivaldi
e Pessagno soltanto un terzo ha
potuto essere recuperato nelle successive ventiquattr’ore; Ollandini aggiunge in
proposito che un ufficiale sommergibilista gli ha riferito che il recupero dei
fusti a Derna risulta piuttosto difficile).
Alle 9.10, così “sbarcato”
il carico, Vivaldi e Pessagno lasciano Derna per raggiungere
Suda; alle 12.30 si riuniscono col Da
Noli, sul meridiano di Bengasi, ed alle 15 vengono infruttuosamente
attaccati da aerei. Arrivano a Suda alle 22.30.
Da Alessandria
partiranno, il 30 novembre, quattro cacciatorpediniere britannici (Jervis, Jaguar, Kipling e Jackal) per intercettare quelli italiani,
che ai britannici risultano essere diretti a Derna; informazioni giunte in
evidente ritardo, così che le unità britanniche non riusciranno, naturalmente,
a trovare quelle italiane. La formazione britannica verrà anche attaccata da
aerosiluranti italiani, che danneggeranno gravemente lo Jackal.
Sbarco di
fusti di benzina dal Vivaldi (g.c.
Adriano Pasqua)
Novembre 1941
Trasferito a Taranto.
13 dicembre 1941
Il Vivaldi (nave ammiraglia del gruppo
scorta diretta) salpa da Taranto alle 15 insieme ai gemelli Da Recco, Da Noli, Malocello
e Zeno per scortare i
convogli dell’operazione di traffico «M. 41». Dopo le gravi perdite subite dai
convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, infatti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato
su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani, scortate dai
cacciatorpediniere Freccia e Pessagno e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso scortati
dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e
la torpediniera Procione provenienti
da Argostoli.
(Secondo una fonte,
anche Vivaldi, Da Noli, Da Recco, Malocello e Zeno sarebbero partiti da
Argostoli, dopo aver subito un infruttuoso attacco da parte di cinque
bombardieri Bristol Blenheim decollati da Luqa, uno dei quali – lo Z7800 del
sergente A. J. Lee – sarebbe stato abbattuto dal tiro delle navi, della
contraerea di terra o di un caccia Macchi in volo in quel momento).
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a in formazione con essi, incorporata. Il
gruppo assegnato al convoglio «L» dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo
Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli
incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante
della VIII Divisione) e Raimondo
Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona),
mentre il gruppo assegnato agli altri convogli è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) con gli incrociatori
leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta.
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica (comprensivo, tra l’altro, di
ricognizioni su Alessandria e nel Mediterraneo orientale e centro-orientale).
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Le decrittazioni di
“ULTRA” sono stavolta tardive ed erronee: riportano la partenza del convoglio
come prevista per il 14 dicembre, anziché il 13.
Secondo il diario di Gianbattista
Pasqua, Vivaldi e Da Noli sarebbero salpati alle 13.30,
accodandosi alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere e superando le ostruzioni
foranee alle 20.15, per poi fermarsi mezz’ora più tardi in modo da consentire
alla VII Divisione di sorpassarli. Alle 22 il Vivaldi assume la sua posizione in formazione, sulla dritta della Doria, a
circa 2000 metri di distanza, con velocità attorno ai 20 nodi.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
Supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare.
Secondo il diario di Gianbattista
Pasqua, l’ordine di rientro sarebbe stato ricevuto dal Vivaldi alle 22.50; durante la successiva accostata per inversione
della rotta, il Vivaldi rischia di
entrare in collisione con l’Ascari a
causa della scarsa visibilità, ma il disastro è evitato grazie alla pronta
manovra del Vivaldi.
14 dicembre 1941
Alle 00.10 il Vivaldi avvista il faro di Capo San
Vito, all’1.42 attraversa le ostruzioni foranee di Taranto ed alle 2.30 entra
in Mar Piccolo, dove va ad ormeggiarsi alla banchina Sussistenza.
Alle nove del
mattino, il sommergibile britannico Urge silura
la Vittorio Veneto,
danneggiandola gravemente; il Vivaldi,
di conseguenza, insieme al Da Noli
(col quale forma la XIV Squadriglia), ai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere e Camicia Nera della XI Squadriglia
ed alle torpediniere Lince ed Aretusa, viene inviato a rafforzare la
scorta della corazzata danneggiata (che ha imbarcato 3000 tonnellate d’acqua ed
è in grado di sviluppare una velocità di 21 nodi, poi portata a 23,5). L’ordine
di accendere le caldaie ed uscire in mare appena possibile giunge sul Vivaldi alle undici del mattino: alle
12.30 il cacciatorpediniere lascia il Mar Piccolo, seguito da Da Noli e Carabiniere. Superate le ostruzioni foranee, il Vivaldi imbocca le rotte di sicurezza
alle 12.45 e le segue fino alle 16, procedendo a 28 nodi; alle 13.25 viene
avvistata da bordo l’Ankara, che sta
rientrando in porto con la scorta di due cacciatorpediniere.
Le unità inviate da
Taranto raggiungono la IX Divisione alla spicciolata: durante la navigazione
nel Golfo di Taranto, la scorta viene via via ingrossata dalle siluranti
distaccate da Supermarina man mano che queste si liberano dalla scorta dei
convogli e gruppi di sostegno. Per primi, alle 10.50, si sono uniti
all’originaria XIII Squadriglia Cacciatorpediniere i cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti della X Squadriglia e Corazziere, provenienti da Taranto; Vivaldi, Da Noli, Aviere, Geniere, Carabiniere e
Camicia Nera raggiungono la Vittorio Veneto alle 17, ed alla stessa
ora le torpediniere Centauro e Clio lasciano la scorta della
corazzata e raggiungono Messina.
Il
Vivaldi, in particolare, avvista le
corazzate alle 16.25, ed alle 17.15 assume posizione a proravia della Littorio, in esplorazione avanzata
antisommergibili, con Da Noli sulla
dritta ed Aviere e Geniere sulla sinistra.
Si verificano altri
allarmi per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione che un gruppo di
aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non alla fine non
succede niente; alle 20.45 il Vivaldi
avvista il faro di San Vito, ed alle 21.15 imbocca la rotta di sicurezza a
velocità ridotta, in testa alla fila dei cacciatorpediniere. Alle 22.10 supera
le ostruzioni foranee, cinque minuti più tardi entra in Mar Grande, ed alle
22.40 entra in Mar Piccolo, andandosi ad ormeggiare al suo posto abituale;
entro le 23.15 tutta la formazione è in porto.
15 dicembre 1941
In serata e nottata il
porto di Taranto subisce un’incursione da parte di velivoli della RAF decollati
da Malta, ma nessuna nave viene colpita. Da parte italiana si rivendica
l’abbattimento di tre aerei.
16 dicembre 1941
Dopo il fallimento
della «M. 41», viene rapidamente organizzata al suo posto l’operazione «M. 42»,
che prevede l’invio di quattro mercantili (Monginevro, Napoli, Vettor Pisani, Ankara:
le motonavi uscite indenni dalla «M. 41», non essendovene altre pronte) riunite
in un unico convoglio per gran parte della navigazione, ed inoltre l’impiego
delle Divisioni di incrociatori adibite alla scorta secondo la loro struttura
organica, a differenza che nella «M. 41». In tutto le quattro motonavi
trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini.
La scorta diretta è
costituita dal Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), dai gemelli Da Recco, Da Noli, Pessagno, Malocello e Zeno, dal più
piccolo cacciatorpediniere Saetta e
dalla torpediniera Pegaso.
L’ordine d’operazione prevede che le navi procedano in formazione unica, a 13
nodi di velocità, sino al largo di Misurata, per poi scindersi in due convogli:
«L», formato da Monginevro, Napoli, Vettor Pisani ed i cinque “Navigatori” tra cui il Vivaldi, per Bengasi; «N», composto da Ankara, Pegaso e Saetta (caposcorta),
per Tripoli.
I due convogli
partono da Taranto il 16 dicembre, ad un’ora di distanza l’uno dall’altro: alle
15 l’«N», alle 16 l’«L».
Da Taranto esce
inoltre un gruppo di sostegno composto dalla corazzata Duilio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo), dalla VII Divisione
(incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta – nave di bandiera dell’ammiraglio Raffaele De
Courten –, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e dai
cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia; i suoi ordini sono di tenersi ad
immediato contatto del convoglio fino alle 8 del 18, per poi spostarsi verso
est così da poter intervenire in caso di invio contro il convoglio di forza di
superficie da Malta.
Vi è anche un gruppo
di appoggio composto dalle corazzate Giulio
Cesare, Andrea Doria e Littorio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante superiore in mare), dagli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e
dai cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Corazziere, Fuciliere,
Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare delle Squadriglie X, XII e
XIII, nonché ricognizione e scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e
dalla Luftwaffe, l’invio dei sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in agguato nel Mediterraneo
centro-orientale, e la posa di ulteriori campi minati al largo della
Tripolitania.
Gianbattista Pasqua
descrive così, nel suo diario, i preparativi e la prima giornata di navigazione:
«In mattinata imbarca un contrammiraglio
[Nomis di Pollone] che dovrà diriger le
operazioni di scorta ad un convoglio che dobbiamo portar in Libia. Preparativi
per il disormeggio della nave. (…) Verso
mezzogiorno, salpiamo e manovriamo per l’uscita dal canal navigabile. In rada,
i piroscafi sono pronti agli ordini della nostra nave che dovrà dirigere la
manovra del convoglio. Con altri CC.TT. del nostro tipo usciamo dalla rada e
prendiamo il mare aperto seguiti da 4 grossi piroscafi stracarichi di materiale
bellico. Navighiamo a ridotta velocità in attesa che ci raggiunga la formazione
navale composta da una nave da battaglia tre incrociatori e vari
cacciatorpediniere che ci faranno da scorta allontanata per difenderci da un
eventuale attacco nemico con navi da superficie. Un’altra nostra formazione
navale, forte di 3 navi da battaglia, alcuni incrociatori e CC.TT. in gran
numero è uscita prima di noi scortando altri 8 piroscafi diretti a Bengasi.
Verso le 15 siamo in formazione con la divisione di protezione ed iniziamo la
nostra navigazione con una velocità di 12 miglia, la velocità consentita dai
piroscafi. Sappiamo già che nel golfo di Taranto e nello Ionio sono stati
avvistati alcuni sommergibili nemici sulla nostra rotta avviati certamente per
attaccarci ma… nessuno ci fa paura, intensifichiamo il servizio di vedetta e
proseguiamo la nostra navigazione zig – zagando con tutto il vero entusiasmo
che ci anima vedendo che proprio alla nostra nave è stato affidato un compito
delicato e, se lo hanno affidato al Vivaldi vuol dire che lo hanno ritenuto
degno di espletarlo. Al tramonto, la formazione di protezione della posizione
di scorta laterale sulla nostra dritta ci passa di prora per aver maggior campo
visivo in previsione di un attacco navale notturno. Passiamo la notte
relativamente calma ai nostri posti di navigazione in guerra».
Già prima della
partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino sono stati informati
dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore tedesco, di una
formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà, di corazzate
britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato per corazzata
la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei
cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e
Decoy, il tutto sotto il comando
dell’ammiraglio Philip L. Vian. Comunque, Supermarina decide di procedere
egualmente con l’operazione, sia per via della disperata necessità di far
arrivare rifornimenti in Libia al più presto, sia perché la formazione italiana
è comunque molto più potente di quella avversaria. Convoglio e gruppo di
sostegno procedono dunque lungo la rotta prestabilita.
Poco prima di
mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten avvista
parte delle unità italiane e ne informa il comando britannico (messaggio che
viene peraltro intercettato e decrittato dalla Littorio); quest’ultimo ne è in realtà già al corrente grazie alle
decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16 ed il 17 dicembre forniscono a più
riprese molte informazioni su mercantili, scorte dirette ed indirette, porti ed
orari di partenza e di arrivo. Il 16 dicembre “ULTRA” informa che è probabile
un nuovo tentativo di rifornimento della Libia con inizio proprio quel giorno,
dopo quello fallito di tre giorni prima. Il 17 dicembre “ULTRA” aggiunge
informazioni più precise: Monginevro, Pisani e Napoli, scortate dal Vivaldi
e da altri cinque cacciatorpediniere, dovevano lasciare Taranto a mezzogiorno
del 16 insieme all’Ankara, scortata
invece da due siluranti tra cui il cacciatorpediniere Saetta; arrivo previsto a Bengasi alle 8 del 18 per l’Ankara, a Tripoli alle 17 dello stesso
giorno per le altre motonavi; presenza in mare a scopo di protezione
della Duilio, della VII
Divisione e forse anche di altre forze navali, Littorio compresa ("ANKARA
(4770), escorted by destroyer SAETTA and one other. PISANI (6400), MONGINEVRO
(5500) and NAPOLI (5450) escorted by destroyer VIVALDI and five others were to
leave Taranto about noon/16. The first named is due Benghazi 0800/18 and the
rest Tripoli at 1700/18. The convoy will be supported by the battleship DUILIO
and the 7th cruiser division (probably 6” cruisers AOSTA and ATTENDOLO). It is
possible other forces including the battleship LITTORIO may be at sea").
Il 18 aggiungerà che le motonavi sono partite da Taranto alle 13 del 16 e che
sono scortate da 2 corazzate, 2 incrociatori e 12 cacciatorpediniere, più una
forza di supporto di 3 corazzate, 2 incrociatori e 10 cacciatorpediniere a
nordest.
I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
17 dicembre 1941
Alle 16.25 il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; in quel momento la Breconshire e la sua scorta si trovano a
sole 60 miglia di distanza (per altra fonte, il convoglio sarebbe già stato
avvistato una prima volta da ricognitori nemici alle 9.25, ma i britannici non
avrebbero tentato di “pedinarlo” per via della scarsità di aerei da
ricognizione disponibili).
Nel tardo pomeriggio del
17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta della Breconshire, in un breve ed inconclusivo
scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte. Iniziato alle 17.23, lo
scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo le parti; Iachino,
ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire e convinto che navi da battaglia britanniche siano
in mare, attacca gli incrociatori di Vian per tenerli lontani dal suo convoglio
(ritiene infatti che gli incrociatori britannici siano lì per attaccare i
mercantili italiani, mentre in realtà non vi è alcun tentativo del genere da
parte britannica) e rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un
combattimento notturno, per il quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per
evitare un pericoloso incontro del convoglio con unità di superficie
britanniche (si crede ancora che in mare ci siano una o più corazzate
britanniche), il convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un tempo ed
assumono rotta nord (in modo da allontanarsi dalla zona dove si trova la
formazione britannica), sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in base
a nuovi ordini impartiti da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla zona
di destinazione), manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da mantenere
per quanto possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di attacchi
aerei) ed effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su Misurata.
Convoglio e gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica complessa
formazione (i mercantili su due colonne, con Monginevro in posizione avanzata a dritta, Pisani in posizione avanzata a
sinistra, seguite rispettivamente da Napoli ed Ankara; il Vivaldi procede in testa all’intera formazione, mentre Da Noli e Malocello sono posizionati rispettivamente 30° di prora a
dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco
70° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani e Pessagno a
dritta della Napoli; il
convoglio è seguito dal gruppo di sostegno su due colonne, con Duca d’Aosta seguito da Attendolo e Camicia Nera a sinistra, Duilio seguita da Montecuccoli ed Aviere a dritta, più Pigafetta a sinistra di Duca d’Aosta ed Attendolo e Carabiniere a dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra più del previsto perché la
formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò accade alle 22 del 17.
Durante la notte il
convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da ricognitori nemici, ma non
subisce attacchi.
Gianbattista Pasqua
descrive così questa giornata: «Verso
l’alba siamo in stato di allarme al traverso di Malta. Restiamo ai nostri posti
di combattimento sino alle 8 e poi riprendiamo il nostro servizio di
navigazione in guerra. Arrivano sopra le nostre navi vari aerei da caccia e da
bombardamento per farci da buona scorta dal cielo onde proteggerci contro
eventuali attacchi aerei nemici. Le navi maggiori catapultano gli aerei da
ricognizione che prendono rotte diverse onde osservare eventuali movimenti
nemici sul mare. Verso mezzogiorno, veniamo a conoscenza che la ricognizione
dei nostri aerei è stata fruttuosa. Difatti, in prossimità di Kerkenna, è stata
avvistata una formazione navale nemica navigante verso il golfo sirtico ed è
stata segnalata un’altra formazione navale con rotta per W; a sud di Malta è
pure stata avvistata una divisione navale navigante verso sud. Da calcoli fatti
tramite ulteriori avvistamenti, riusciamo a scoprire il piano del nemico:
Manovra di accerchiamento per la totale distruzione del nostro convoglio. Ancor
alle prime luci dell’alba siamo stati scoperti dalla ricognizione nemica; ormai
non c’è alcun dubbio… è in vista una battaglia navale e siamo decisi a stringer
i denti ed a ben proteggere ciò che la Patria ci ha affidato. Verso le 10 il Da
Noli dà l’allarme anti sommergibile: facciamo accostare rapidamente i piroscafi
sulla dritta ed ordiniamo a 3 CC.TT. di dare la caccia al sottomarino nemico. I
nostri cacciatorpediniere dopo aver sgranato un lungo rosario di bombe sul
punto ove è stato avvistato il sottomarino nemico, tornano in formazione per
riprendere la navigazione normale. Intanto, per tutta la giornata ci provengono
varie segnalazioni sulla rotta e sulle approssimate intenzioni del nemico: si
presume che verso il tramonto si avrà battaglia. La nostra squadra navale di
protezione composta dalle navi da battaglia: Littorio, Cesare e Cavour con vari
caccia si allontana decisamente dalla nostra formazione dirigendo verso sud est
incontro al nemico. Alle 19 circa, tramite la ricezione di radio messaggi
apprendiamo con giubilo che le nostre navi sono già a contatto col nemico sul
quale hanno aperto il fuoco: col radiosegnalatore seguiamo le fasi della
battaglia che in breve si rende a noi favorevole. In previsione di altri
attacchi notturni, è rimasta a noi di protezione una nave da battaglia, la Duilio,
3 incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere. Per tutta la notte stiamo in stato
di allarme senza mai riposare, tutti all’erta pronti a sventare qualche
eventuale attacco del nemico. Ma, la flotta inglese ha avuto una dura lezione
dalle nostre navi e, benché in condizioni di superiorità ha preferito fuggire
anziché attaccarci [n.b. in realtà, come scritto più sopra, la formazione britannica
non era in condizioni di superiorità, e non aveva alcuna intenzione di
attaccare il convoglio italiano: Gianbattista Pasqua riporta, ovviamente, le
impressioni dello scontro per come fu percepito da parte italiana, con
informazioni inevitabilmente parziali ed incomplete]».
18 dicembre 1941
Poco prima dell’alba
del 18, i cacciatorpediniere Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della VII Divisione prestano
loro soccorso. Alle 13 la Duilio si
riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la VII Divisione a protezione
immediata dei mercantili.
Poco prima di
mezzogiorno il convoglio avvista la costa della Libia, ed alle 12.30 (in
posizione 33°18’ N e 15°33’ E) le navi mercantili si separano come previsto: il
convoglio «N» dirige per Bengasi, mentre il convoglio «L» prosegue per Tripoli
con la scorta diretta al comando dell’ammiraglio Nomis di Pollone e, fino al
tramonto, anche quella della VII Divisione. Calato il buio, anche la VII
Divisione lascia il convoglio per rientrare a Taranto; a questo punto il contrammiraglio
Nomis di Pollone ordina al convoglio «L» di dividersi in tre gruppi,
ognuno formato da una motonave e due cacciatorpediniere (Pisani con Vivaldi e Pessagno; Monginevro con Da
Recco e Malocello; Napoli con Da Noli e Zeno), in modo da rendere la formazione più maneggevole; i gruppi
devono distanziarsi di 4 miglia l’uno dall’altro.
L’ordine è in corso
d’esecuzione, ed i gruppi si sono già distanziati di 2-3 miglia, quando a
distanza si accendono i bengala che preannunciano un attacco aereo. Nomis di
Pollone ordina di emettere cortine fumogene e di seguire all’ecometro, nel
proseguire la navigazione, la batometrica di 30 metri, cui corrisponde grosso
modo la rotta di sicurezza.
Il gruppo Vivaldi-Pessagno-Pisani non
subisce alcun attacco; il gruppo della Monginevro
viene attaccato da un singolo aerosilurante che viene abbattuto dal Da Recco, mentre ha meno fortuna quello
della Napoli: la motonave viene
colpita all’estrema poppa, subendo pochi danni ma la messa fuori uso del
timone. Nella confusione, lo Zeno entra
in collisione con la Napoli stessa
e riporta una falla (anche se raggiungerà ugualmente Tripoli con i propri
mezzi). (Secondo il diario di Gianbattista Pasqua, il convoglio, prima di
dividersi in gruppi, sarebbe stato attaccato verso le 19.30 da bombardieri ed
aerosiluranti, con lancio di bengala, bombe e siluri; il Vivaldi reagì emettendo cortine fumogene dai fumaioli e dai
nebbiogeni di poppa per occultare il convoglio, ed alcune navi reagirono col
proprio armamento contraereo).
Nella notte tra il 18
ed il 19 dicembre la Forza K britannica, uscita da Malta alle 18 del 18 per
cercare il convoglio, finisce sui campi minati posati al largo di Tripoli:
affondano l’incrociatore leggero Neptune ed
il cacciatorpediniere Kandahar,
viene gravemente danneggiato l’incrociatore leggero Aurora e meno gravemente anche il gemello Penelope. La temuta Forza K ha cessato
di esistere; all’evento assiste da grande distanza, senza poter ben vedere cosa
stia accadendo, anche l’equipaggio del Vivaldi,
come testimoniato dal diario di Gianbattista Pasqua: «Mentre manovriamo per il punto in cui poter dar fondo all’ancora,
avvistiamo due grosse fiammate seguite da forti scoppi verso la zona dei nostri
campi minati a scopo difensivo. Si presume siano stati distrutti due rottami o
due navi di superficie nemiche che avevano intenzione di farci la pelle a
qualsiasi costo».
19 dicembre 1941
Dato che intanto è
iniziato un bombardamento aereo di Tripoli (che si svolgerà in più ondate e si
protrarrà fino alle tre di notte), Nomis di Pollone ordina a Pisani e Monginevro, con i rispettivi cacciatorpediniere, di mettersi alla
fonda presso Tagiura (che è già entro il sistema protettivo di sbarramenti), a
dieci miglia dal porto (dove il Vivaldi
dà fondo alle 3.30), per attendere che terminino il bombardamento e poi il
dragaggio magnetico dell’avamporto di Tripoli (si teme che gli aerei britannici
vi abbiano lanciato delle mine), conclusi i quali dovranno entrare in porto. Al
contempo, l’ammiraglio dà disposizioni affinché venga portato aiuto alla
Napoli: chiede l’invio di rimorchiatori ed ordina a Pessagno e Malocello di
raggiungere la motonave danneggiata, per difenderla dai sommergibili che
frequentano, notoriamente, la zona in cui è stata colpita. Al gruppo della
motonave si uniscono anche le torpediniere Perseo e Prestinari.
Le navi indenni
riescono possono finalmente entrare a Tripoli alle 10.30; la danneggiata Napoli (il cui carico è però
intatto), rimorchiata dal Ciclope,
giungerà in porto alle 16, preceduta di due ore da Malocello, Da Noli, Pessagno e Zeno.
L’operazione «M. 42»
si conclude in un successo, con l’arrivo a destinazione di tutti i rifornimenti
inviati.
22 dicembre 1941
Dopo aver effettuato
degli esercizi di punteria in mattinata, alle 20.45 Vivaldi, Da Recco ed Usodimare lasciano Taranto per trasferirsi
ad Augusta, da dove dovranno effettuare una nuova missione di trasporto verso
la Libia. Superate le ostruzioni foranee, i tre cacciatorpediniere procedono a
22 nodi in linea di fila.
23 dicembre 1941
Verso le nove del
mattino i tre cacciatorpediniere, giunti in vista della rada di Augusta,
riducono la velocità; alle 9.15 superano le ostruzioni foranee e vanno poi ad
ormeggiarsi alla banchina di Punta Cugno, dove inizia l’imbarco delle truppe e
dei materiali da portare in Libia. Il Vivaldi
imbarca truppe tedesche, otto cannoncini anticarro e relative munizioni.
Alle 18.30 Vivaldi (caposquadriglia), Da Recco ed Usodimare lasciano Augusta diretti a Tripoli, navigando di nuovo a
22 nodi in linea di fila. A bordo hanno un reparto anticarro di 600 uomini con
le relative armi, nonché 150 tonnellate di gasolio.
Alle 19.10 le tre
unità passano in formazione a linea di fronte, e mezz’ora dopo avvistano dei
razzi bianchi verso dritta: temendo che si prepari un attacco aereo nemico,
viene ordinato il posto di combattimento, ma quando uno degli aerei passa a
poca distanza viene riconosciuto come italiano dal rumore dei motori. Alle
21.30 la velocità viene portata a 25 nodi.
24 dicembre 1941
Verso le otto del
mattino, in vista della costa africana, viene avvistato un aereo italiano che
alle 9.15 lancia due fumogeni – uno bianco ed uno rosso – a proravia del Vivaldi; le tre navi seguono poi lungo
la costa fino a Tripoli.
Alle 11.45 (o 11.22)
i cacciatorpediniere arrivano a Tripoli, dove si ormeggiano al Molo Sottoflutto;
appena finito il posto di manovra, iniziano a sbarcare rapidamente truppe e
materiali, completando l’operazione alle tre del pomeriggio. Verso le 18
iniziano quindi ad imbarcare profughi civili e militari rimpatrianti (sul Vivaldi) nonché prigionieri di guerra da
trasportare in Italia (su Da Recco ed
Usodimare), per poi ripartire alle 18.30
(o 19).
La partenza avviene
appena in tempo per evitare un’incursione aerea britannica su Tripoli:
l’allarme viene suonato mentre i cacciatorpediniere si apprestano a superare le
ostruzioni, e le difese contraeree del porto aprono il fuoco subito dopo che Vivaldi ed unità dipendenti ne sono
usciti. Qualche aereo attacca anche i cacciatorpediniere, come scrive nel suo
diario, con una buona dose d’ironia, Gianbattista Pasqua: «Come vigilia di Natale non c’è male… si festeggerà la Nascita del
Redentore in alto mare: la festa è già iniziata. I razzi lanciati dagli aerei
nemici stanno a figurare la Cometa che indicò ai Re Magi la via di Betlemme, le
scie bianche, rosse e verdi dei proiettili traccianti, lo scoppio delle granate
e delle bombe servono a dare un tono di festosità allo spettacolo. Ma la festa
non sarebbe riuscita bene se non si fossero visti gli Angeli osannanti “Gloria
in excelsis Deo” e, tali angeli non son mancati – erano rappresentati da 2
aerei nemici che abbiamo visti a bassa quota uno dei quali aveva preso per
Betlemme la nostra nave e stava per volarci sopra (non so poi se per cantar la
ninna nanna a Gesù) e, siccome noi siamo modesti e non tolleriamo tante
manifestazioni di amicizia, abbiamo aperto il fuoco sull’aereo costringendolo a
scappare senza che abbia avuto il tempo di lasciarci i suoi regali che
senz’altro voleva offrirci».
Una volta lasciate le
rotte di sicurezza, Vivaldi, Da Recco ed Usodimare si dispongono in linea di fila facendo rotta verso
l’Italia; alle 21.05 vengono avvistati anche i cacciatorpediniere Bersagliere e Fuciliere (arrivati in porto quasi contemporaneamente alla
Squadriglia Vivaldi, provenendo da
Taranto con un carico di lattine di benzina), che si accodano alla squadriglia.
In tutto i cinque cacciatorpediniere hanno a bordo 870 prigionieri Alleati (460
anglosassoni e 410 coloniali) scortati da 3 ufficiali e 45 militari italiani,
nonché degli operai di passaggio, diretti in Italia.
Le cinque unità,
costituendo un’unica formazione su due colonne (il cui comando va al capitano
di vascello Galati), seguono a 27 nodi una rotta che passa ad est di Malta
anziché, come prescritto dagli ordini ricevuti in precedenza, ad ovest
dell’isola: tale variazione è stata decisa dal comandante Galati di propria
iniziativa, alle ore 21 del 24, sulla base del fatto che i suoi
cacciatorpediniere sono stati attaccati da bombardieri britannici dopo aver
assunto la rotta definitiva per Lampione, il che dà motivo di credere che ormai
i britannici conoscano con certezza gli elementi della navigazione delle navi
italiane, cosa che renderebbe estremamente facile, per il nemico, organizzare
la loro intercettazione nelle acque di Lampedusa. Considerato anche che le sue
navi, avendo a bordo ciascuna circa 300 tra prigionieri, operai e militari di
scorta e di passaggio, sono in condizioni tutt’altro che ottimali per un
combattimento notturno, Galati decide di cambiare radicalmente il percorso da
seguire, e pertanto cambia rotta in modo da passare 100 miglia ad est di Malta,
invece di percorrere il Canale di Sicilia come previsto. La velocità viene
portata a 25 nodi, in modo da essere al traverso di Malta non più tardi delle
prime luci dell’alba.
Imbarco
sul Vivaldi di generali di brigata
britannici prigionieri, da portare in Italia (g.c. Adriano Pasqua)
25 dicembre 1941
Alle 7.30, trovandosi
al traverso di Malta, Galati riferisce l’avvenuta modifica della rotta e la sua
attuale posizione a Supermarina, Marina Napoli e Marina Messina.
Verso le nove vengono
avvistati in lontananza degli aerei di nazionalità sconosciuta, che volano
bassi sull’orizzonte, e viene ordinato il posto di combattimento, ma successivamente
viene dato il cessato allarme in quanto gli aerei vengono identificati come
velivoli da trasporto tedeschi.
Alle 11.25 viene
avvistata la vetta dell’Etna, ed alle 12.30 i cacciatorpediniere sono al
traverso di Capo dell’Armi; sempre in formazione su due colonne, imboccano lo
stretto di Messina. Superato lo stretto, seguono le rotte di sicurezza fino al
largo di Stromboli, poi assumono rotta verso Napoli. Alle 21.30 viene avvistato
il faro di Punta Campanella.
Alle 24 Vivaldi (caposquadriglia), Da Recco, Usodimare, Bersagliere
(capo sezione classe Soldati) e Fuciliere
arrivano indenni a Napoli, dove il Vivaldi
va ad ormeggiarsi alla banchina Costanzo dieci minuti dopo la mezzanotte,
sbarcando subito profughi e rimpatrianti.
28 dicembre 1941
Hanno inizio alcuni
lavori di piccola riparazione alle macchine ed alle caldaie, che si
protrarranno per qualche giorno, nel porto di Napoli.
31 dicembre 1941
Assemblea generale
dell’equipaggio alle dieci di sera (la nave è sempre ormeggiata a Napoli): il
comandante Galati fa gli auguri del nuovo anno ai suoi uomini ed alle loro
famiglie. Chi ha famiglia o conoscenti festeggia a terra.
3 gennaio 1942
Il Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio
Amedeo Nomis di Pollone, comandante dei cacciatorpediniere della scorta diretta)
lascia Messina per Tripoli alle 10.15, insieme ai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere e Fuciliere, scortando le motonavi Nino Bixio, Lerici e Monginevro,
nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». Il Vivaldi e gli altri cacciatorpediniere del suo gruppo si sono
trasferiti da Napoli a Messina il giorno precedente, rifornendosi nel porto
siciliano prima di prendere il mare per la missione.
Le tre motonavi
formano il convoglio n. 1 di tale operazione; la «M. 43» prevede in tutto
l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte
veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa:
oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di
«scorta diretta incorporata nel convoglio» (gruppo «Duilio», al comando
dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere
eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K)
composta dalla corazzata Duilio (nave
ammiraglia di Bergamini) con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio
di divisione Raffaele De Courten), Raimondo
Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i
cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (gruppo «Littorio», al comando
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il
convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato
dalle corazzate Littorio (nave
di ammiraglia di Iachino), Giulio
Cesare ed Andrea Doria
(nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), dagli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave ammiraglia dell’ammiraglio
di divisione Angelo Parona) e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea
concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la
Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in
Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della
Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli
aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui
cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una
volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di
undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica
dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 7 e le 11,
come previsto, il convoglio n. 1 si unisce ai convogli 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da
Taranto e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta
è il contrammiraglio Nomis di Pollone. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce
al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia)
del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta
decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere
riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora
nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Poco dopo le tre di
notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle
12.30 senza aver subito alcun attacco. Complessivamente, con questo convoglio
giungono in Libia oltre 15.000 tonnellate di carburante, 12.500 di munizioni,
650 veicoli e 900 soldati.
7 gennaio 1942
Il capitano di vascello
Galati lascia il comando del Vivaldi
e della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, diventando capo di Stato Maggiore
del Comando Militare Marittimo della Libia.
Per la sua attività
al comando del Vivaldi, Galati ha
ricevuto, oltre alla Medaglia d’Argento al Valor Militare per l’affondamento
dell’Oswald, altre due analoghe
decorazioni con le seguenti motivazioni: "Comandante di Squadriglia ct. dall'inizio della guerra 1940-43, nel
primo ciclo annuale di essa prendeva parte alla battaglia di Punta Stilo ed a
numerose missioni di guerra. Assegnato all'inizio dell'inverno alla protezione
dei convogli di rifornimento per l'A.S., effettuava lungo quelle insidiate
rotte in qualità di Comandante Superiore in mare ben 28 scorte di grossi
convogli, affrontando vittoriosamente per sei volte l'offesa aerea e subacquea
del nemico e portando così a termine, con generoso slancio e profondo senso di
comprensione, difficili missioni di fondamentale importanza per l'alimentazione
delle operazioni di guerra sulla quarta sponda. (Mediterraneo Centrale e Acque
dell'A.S., 10 giugno 1940-9 giugno 1941)"; e "Comandante di Squadriglia Ct. durante
prolungata intensa fase operativa, effettuava numerose missioni di guerra.
Comandante Superiore in mare per oltre 30 missioni di guerra, scortava sulle
acque aspramente contese numerosi convogli alcuni dei quali particolarmente
importanti, per l'A.S., affrontando vittoriosamente le insidie subacquee e le
accanite offese aeree avversarie. Riusciva così ad adempiere con slancio ed
assoluta dedizione al servizio, difficili e pericolosi incarichi affidati alla
responsabilità del suo comando, sapendo ottenere da quanti dipendevano da lui
lo stesso generoso entusiasmo guerriero. (Mediterraneo Centrale e Acque
dell'A.S., 10 giugno 1941-8 gennaio 1942)".
Al suo posto, assume
il comando di Vivaldi e XIV
Squadriglia il capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni.
Nel suo diario, Gianbattista
Pasqua descrive così il commiato dall’amato comandante: «Oggi è una giornata che noi tutti del Vivaldi ricorderemo per sempre:
il nostro beneamato Comandante Galati che per 21 mesi ha comandato in pace e in
guerra la nostra nave e la 14ma squadriglia, passa le consegne al Comandante
Castrogiovanni cedendo a lui il comando per andare a terra onde svolgere la sua
attività in altro settore. A tutti rincresce che Esso sbarchi perché a Lui che
ci ha condotti tante volte alla vittoria eravamo affezionati come ad un padre.
Alle 10, in gran tenuta ci riuniamo in assemblea generale sottocastello. Io ho
l’onore di Comandare il picchetto che renderà gli onori. All’assemblea
intervengono i due Comandanti e, fatta la cerimonia della presentazione, il
nostro Galati ci volge la sua paterna parola di vivo ringraziamento e di
augurio di sempre maggiori vittorie affinché sia continuata la gloriosa
tradizione della nostra nave che, sotto il suo comando ha tenuto fede al Motto
ed al nome che fieramente e degnamente porta sul mare. E ci parla col suo dire
affettuoso e paterno ma non è naturale la sua voce. Si sforza a trattenere i singhiozzi
ma non ci riesce perché varie volte deve interrompere il suo lungo discorso e
stringer i denti per fermare i singhiozzi e per trattenere le lacrime ribelli
che gli bagnano le gote. La sua commozione è uguale alla nostra perché tutti
noi lo amiamo e non possiamo credere che se ne vada lontano. E ci dice la sua
fierezza ed il suo orgoglio di aver combattuto fra noi e parla come un padre
parla ai figli suoi: infine rivolge il suo voto augurale a noi ed alle nostre
famiglie e termina il suo discorso col dirci che, di qualsiasi cosa ne
abbisognassimo di rivolgerci a Lui che si ricorderà sempre di noi. Al suo è
seguito il discorso augurale del nuovo comandante il quale gli ha espresso a
nostro nome il più vivo ringraziamento con i migliori auguri. Il Comandante
Castrogiovanni ha parlato anch’esso a lungo rievocando i fatti più salienti e
le più belle imprese di guerra svolte dalla nostra nave nel periodo d’imbarco
del nostro Galati e gli ha detto che può sbarcare con orgoglio, certo della
riconoscenza di tutto il suo equipaggio e della Patria. Al momento di
lasciarci, Galati piangeva come un bimbo: nobile cuore affettuoso e generoso,
uomo equo e giusto dotato delle più belle virtù militari. Il suo nome sarà
ripetuto spesso dai suoi uomini del Vivaldi. Esso ha lasciato nel nostro cuore
un ricordo che non si cancellerà mai per tutta la vita. Ultimata l’assemblea
generale c’è stata la riunione sottufficiali nella quale ci ha presentato di
persona al nuovo Comandante e ci ha rivolto il suo saluto in particolare individualmente
a ciascuno di noi. Pure il nuovo Comandante lo credo dotato da belle virtù
militari. Il suo aspetto è di uomo buono: speriamo e faccio voti che esso sia
uguale al nostro Galati e che continui la sua gloriosa opera (…) Alle 9:30 – mentre cade copiosa la bianca
neve ammantando il cratere del Vesuvio e le vette dei monti che gli stanno
vicini, avviene lo sbarco del Comandante Galati. Ieri l’altro, sia lui che noi,
eravamo commossi ma la nostra commozione era in parte assopita ancora pensando
che ci saremmo stati vicini ancora qualche giorno mentre doveva passare la
consegna al Com.te nuovo: invece l’Alto Comando della Marina ha voluto il
nostro Galati tutto per lui e così lascia definitivamente la nostra nave che
per 21 mesi fu tutta sua e ci lascia in un modo tanto commovente che rimarrà
impresso in noi tutti per tutta la nostra vita. Già dalle 8:00 a terra sulla
banchina sostava la macchina inviata dall’Ammiraglio per portarci via il nostro
Galati; esso la fece attendere ben a lungo perché da noi non sapeva staccarsi.
Ma quando il dovere chiama altrove, bisogna saper mortificare qualsiasi
sentimento per obbedire agli ordini emanati dagli alti Comandi per il bene
della Patria. Nonostante il freddo intenso, nonostante la neve che cadeva a
fitte e larghe falde, abbiam voluto tributare al Com.te Galati tutta la nostra
illimitata riconoscenza ed il nostro più vivo augurio facendo ressa a poppa per
salutarlo alla voce. Alle 9:30, in abito borghese egli salì dal quadrato
ufficiali e piangendo come un bimbo passò fra tutti noi applaudito ed
acclamato. Nel scendere la passerella, dopo aver salutato la bandiera, si volse
a noi e ci fece un largo gesto come per abbracciarci tutti al suo cuore,
asciugò le lacrime che gli bagnavano le gote e, facendo come uno sforzo immane
salì sulla sua automobile mentre noi, con tutta la forza dei nostri giovani
petti invocavamo scandendo a sillabe il suo nome: Ga-la-ti - Ga-la-ti. Si
affacciò al finestrino laterale della vettura e rispose al nostro saluto
sventolando il fazzoletto sino a che, trasportato dalla macchina veloce, si
sottrasse al nostro sguardo nel fitto velo teso dalla neve cadente».
22 gennaio 1942
Il Vivaldi (capitano di vascello Ignazio
Castrogiovanni; nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone,
caposcorta del convoglio n. 1) salpa da Messina alle otto del mattino insieme
al resto del gruppo di scorta delle motonavi da carico Monviso e Vettor Pisani (convoglio n. 1), dirette a Tripoli nell’ambito
dell’operazione di traffico «T. 18», consistente nell’invio in Libia di 15.000
tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati, 271 autoveicoli e 1467 uomini. Il
gruppo di scorta, denominato proprio «Vivaldi» (essendo questa l’unità capo
gruppo), comprende anche Da Noli e Malocello, che col Vivaldi formano la XIV Squadriglia,
nonché i cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia e le torpediniere Orsa e Castore.
Sul Vivaldi sono imbarcati per questa
missione anche un sottufficiale fotografo tedesco, che dovrà scattare delle
fotografie a scopo propagandistico, e trenta marinai di passaggio diretti a
Tripoli. Una volta uscito dal porto, il Vivaldi
manovra per portarsi in testa al convoglio, che lo attende in rada.
Nello stretto di
Messina si uniscono al convoglio altre due moderne motonavi, la Monginevro e la Ravello, provenienti da Napoli; il
gruppo «Vivaldi» assume la scorta diretta delle quattro navi. Da Taranto escono
in mare anche la quinta nave del convoglio, il grande trasporto truppe Victoria (che costituisce con la sua
scorta il “convoglio 2” fino alla riunione con il convoglio 1), ed i due gruppi
di scorta indiretta: l’«Aosta» (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten,
partito alle 11) con gli incrociatori leggeri della VII Divisione (Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo) e la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Bersagliere, Carabiniere, Fuciliere, Alpino),
ed il «Duilio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, partito alle 17 insieme
alla Victoria) con la
corazzata Duilio e la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio
Pigafetta, Alfredo Oriani, Ascari, Scirocco).
A protezione
dell’operazione, nove sommergibili sono dislocati ad est di Malta e tra Creta e
l’Egitto; la Regia Aeronautica e la Luftwaffe danno il loro contributo con
aerei da caccia (sempre presenti, nelle ore diurne, sul cielo del convoglio),
da ricognizione ed antisommergibili.
Alle 10.20 il
convoglio è in formazione, con le motonavi disposte in linea di fila, e dirige
verso sud a 15 nodi. Alle 10.50 la Ravello
segnala un’avaria al timone e riceve dal Vivaldi
l’ordine di entrare a Messina, scortata dal Geniere
(che, dopo aver lasciato la Ravello a
Messina, si ricongiungerà col convoglio alle 15.20); il resto del convoglio
prosegue ed alle 11.25, al traverso di Capo Spartivento, accosta verso est per
raggiungere il punto prestabilito per l’incontro col gruppo di scorta indiretta
uscito da Taranto, procedendo a zig zag.
Alle 17.25 viene
avvistato il gruppo «Aosta», che raggiunge il convoglio di lì a poco. Alle
19.30 le navi si dispongono nelle posizioni per la scorta notturna.
23 gennaio 1942
Verso le 7.15 il
convoglio accosta verso sudovest; alle 9.27 viene invertita la rotta, ma un’ora
dopo si ritorna sulla rotta originaria.
Alle 15, con un notevole
ritardo rispetto al previsto, ma approssimativamente nel punto prestabilito, il
convoglio si unisce anche al gruppo «Duilio»; le motonavi si dispongono su due
colonne e la Victoria, divenuta
nave capo convoglio, si pone in testa alla colonna sinistra, mentre il gruppo «Vivaldi»
si posiziona attorno ai mercantili ed i due gruppi «Duilio» e «Aosta» si
dispongono sui fianchi del convoglio. Scrive Gianbattista Pasqua: «[alle] 13:30 Si avvista la Vª Divisione Navale di
scorta alla grossa motonave Victoria carica di truppe la quale, verso le 16 si
unisce alla nostra formazione vicino a noi sotto la nostra scorta. Sulla
coperta di detta Motonave fan ressa i soldati italiani e tedeschi i quali, con
uno sventolio generale di fazzoletti ci porgono il loro saluto. La formazione
navale di protezione allontanata ci ha segnalato la presenza di aerosiluranti
nemici e, intensifichiamo la sorveglianza proseguendo sulla nostra rotta quasi
certi di subire qualche attacco aereo nemico».
Le navi seguono rotte
che passano a 190 miglia da Malta, distanza che dovrebbe essere maggiore del
raggio operativo degli aerosiluranti di base a Malta ed in Cirenaica, 180
miglia; la sera del 23 dovranno poi accostare verso Tripoli, mantenendo rotta
tangente al cerchio di 190 miglia di raggio con centro Malta. In realtà, 190 miglia
sono divenute una distanza insufficiente, perché l’autonomia degli
aerosiluranti britannici è aumentata rispetto al passato e perché ora gli aerei
possono decollare da nuove basi cirenaiche, più avanzate di quanto ritenuto dai
comandi italiani, conquistate dai britannici con l’operazione «Crusader».
Già dal giorno
precedente, però, i comandi britannici sono a conoscenza dei movimenti
italiani: sommergibili in agguato nel golfo di Taranti hanno infatti segnalato
il passaggio del gruppo «Aosta», e nella serata e notte successive ricognitori
hanno individuato e pedinato il gruppo «Duilio».
Dopo la riunione, il
convoglio, che procede a 14 nodi sotto la protezione di nove Junkers Ju 88
della Luftwaffe, continua ad essere tallonato dai ricognitori: alle 15.50 uno
di essi viene avvistato 20.000 metri ad est della formazione. Ai ricognitori
seguono gli attacchi aerei: il primo si verifica alle 16.16, quando la Victoria viene mancata da alcune
bombe di piccolo calibro, senza subire danni; poco dopo altre bombe di maggior
calibro sono sganciate contro il gruppo «Aosta» ma ancora senza risultato,
grazie anche alla rabbiosa reazione contraerea delle navi. Di nuovo dal diario
di Gianbattista Pasqua: «…alle 16:35,
molto vicino al Victoria e perciò vicino a noi esplodono 3 grosse bombe. Un
grosso aereo nemico da ricognizione armata ad altissima quota, dopo aver
segnalato la nostra posizione al nemico, ci ha bombardati nella speranza di
poterci colpire. Meno male che tutte le bombe sono cascate a mare. Da parte
delle varie unità e da noi pure si apre un fuoco indiavolato sull’aereo nemico
ma è troppo alto per poterlo colpire: esso si allontana dopo pochi minuti di
fuoco quando già ha avuto tutto il tempo necessario per segnalare tutti i dati
relativi alla nostra posizione, rotta e velocità (…) Alle 16:55 già subiamo un primo attacco aerosilurante in pieno stile.
Appena dato l’avvistamento, il C.T. Malocello (nave scorta di prora a dritta ai
piroscafi, lato sul quale viene effettuato l’attacco) inizia il tiro di
sbarramento coi cannoni e le mitragliere: noi e varie altre unità apriamo il
fuoco con le mitragliere per sconcertare il piano d’attacco del nemico;
purtroppo, questa volta, gli aerei nemici, protetti da un forte contro luce,
hanno avuto fortuna e sono riusciti a sganciare (benché in posizione poco
favorevole) i loro siluri. Le scie
degli ordigni di distruzione passano molto vicine alla nostra nave: con rapida
manovra riusciamo a scansare un siluro che, se non si fosse subito intervenuto
con una forte accostata ci avrebbe certamente colpito».
Su richiesta
dell’ammiraglio Bergamini (che allo scopo contatta direttamente il Comando
della Luftwaffe della Sicilia: è il primo collegamento diretto di questo tipo
tra comandi navali in mare e comandi aerei a terra durante la “battaglia dei
convogli”, e si svolge alla perfezione), la scorta aerea viene prontamente rinforzata
con altri tre Ju 88 del II Corpo Aereo Tedesco.
Alle 17.25 il
convoglio viene nuovamente attaccato da tre aerosiluranti, che volando a quota
molto bassa, provenienti esattamente dalla direzione del sole che sta per
tramontare, si avvicinano con decisione: le torpediniere che si trovano su quel
lato aprono contro di essi un intenso tiro, così che i velivoli, giunti a più
di un chilometro dalla scorta (e più di tre dalla Victoria), scaricano simultaneamente in mare le loro armi, cabrano
ed invertono la rotta. Dapprima le navi italiane pensano che gli attaccanti
abbiano sganciato delle bombe, perché i velivoli sembravano bombardieri e
perché la luce del sole basso negli occhi impedisce di vedere bene: dopo poco
più di un minuto (o forse un minuto e mezzo), però, il Vivaldi avvista due scie di siluri che
gli dirigono incontro a forte velocità, inquadrandolo, una a dritta e l’altra a
sinistra. Il Vivaldi passa in mezzo
alle scie dei siluri, scampando così indenne, ed al contempo dà ordine che le
motonavi accostino urgentemente di 90° a dritta, ma alcune di esse non
interpretano correttamente il segnale.
Alle 17.31 la Victoria viene colpita a poppa dritta
da un siluro: da bordo del Vivaldi si
vede la maestosa motonave accostare perdendo gradualmente velocità, fino ad
arrestarsi del tutto in mezzo alle colonne, assumendo un leggero appoppamento
ma senza sbandare su un fianco. Sulla dritta del convoglio, intanto, gli Ju 88
tedeschi – che non sono riusciti a fermare l’attacco – ingaggiano ed abbattono
uno degli aerei britannici.
Alle 17.35, Nomis di
Pollone ordina ad Aviere (capitano di
vascello Luciano Bigi, caposquadriglia della XI Squadriglia Cacciatorpediniere)
e Camicia Nera di prestare
assistenza alla nave danneggiata. Così fa anche un terzo cacciatorpediniere, l’Ascari, mentre il resto del convoglio e
della scorta, Vivaldi compreso,
prosegue sulla sua rotta (la Pisani
devia però ripetutamente dalla rotta prescritta, costringendo a distaccare
qualche cacciatorpediniere per riportarla i rotta). Sempre dal diario di Gianbattista
Pasqua: «[alle] 17:30 la m/n Victoria,
non avendo la nostra stessa facile manovrabilità non ha potuto evitare il suo
ormai già segnato destino: un siluro, sganciato dagli aerosiluranti la colpisce
a poppa estrema scoppiando con un boato impressionante. Immediatamente, dalla
nave colpita parte il lugubre segnale intermittente di sirene invocante
soccorso. I CC.TT. della squadriglia Aviere manovrano per prestare aiuto alla
nave avariata la quale, benché colpita gravemente, riesce a mantenersi ancora a
galla. Ordiniamo che venga rimorchiata verso il porto più vicino della Grecia e
proseguiamo la nostra navigazione con gli altri 3 piroscafi carichi di
materiale bellico assumendo rotta diretta per Tripoli. L’attacco nemico
prosegue per circa ancora 30 minuti, attacco che riusciamo a sventare col fuoco
celere delle nostre armi».
Due nuovi attacchi di
aerosiluranti, alle 18.40 ed alle 18.45, daranno il colpo di grazia alla Victoria, che affonderà alle 19 con la
perdita di 391 dei 1455 uomini a bordo.
Il resto del
convoglio continua scortato dai gruppi «Vivaldi» ed «Aosta»; a notte fatta il
gruppo «Duilio» si sposta invece a nord del 36° parallelo ed ad est del 19°
meridiano per proteggere il convoglio da eventuali attacchi di navi di
superficie provenienti dal Mediterraneo Orientale, che comunque non si
concretizzeranno. A partire dalle 21.44 si scatena un crescendo di nuovi
attacchi aerei sul convoglio: le navi vengono assalite da aerei di tutti i
tipi, illuminate con bengala e fuochi galleggianti al cloruro di calcio (questi
ultimi servono ad indicare la rotta del convoglio agli attaccanti), bombardate
con bombe di grande e di piccolo calibro, fatte oggetto del lancio di siluri
(specie gli incrociatori), mitragliate a bassa quota, ma la violenta reazione contraerea
delle armi di bordo, le manovre evasive e l’emissione di cortine nebbiogene
permettono di evitare tutti i siluri e sventare ogni attacco senza danni né
vittime. Scrive Gianbattista Pasqua: «Verso
le 18:00 cessa attacco aereo diurno al convoglio. Si prosegue nella nostra
navigazione di scorta. 21:10 Nel bel mezzo della formazione si accende un
bengala (razzo illuminante) mollato da aerei nemici allo scopo di individuare
nelle tenebre le sagome delle nostre unità per colpirci con le loro bombe.
L’attacco notturno in mare da parte di aerei, ha caratteristiche che si
differenziano molto da un attacco diurno. Difatti, mentre di giorno si può far
fuoco diretto sul o sui vari aerei attaccanti, di notte non si può fare che un
esiguo tiro di sbarramento (che spesse volte è bene non farlo) non potendo
vedere nemmeno l’ombra degli aerei nemici. Si è così visti senza poter vedere e
ci si trova perciò in condizioni di assoluta inferiorità. Gli attacchi aerei
nemici si susseguono senza interruzione sino a molto tempo dopo le 01:00.
24-1-42 Gli aerei nemici hanno lanciato molte bombe ed accesi più di un
centinaio di razzi illuminanti. È uno spettacolo veramente infernale il vedere
quei razzi accesi che illuminano di una luce lugubre le sagome delle nostre
navi… ci si aspetta sempre di essere colpiti da qualche bomba da un momento
all’altro senza nemmeno sapere da dove essa venga. Obbiettivi principali degli
attacchi nemici sono stati i piroscafi e sopra ogni altro il Monviso vicino al
quale sono esplose numerose bombe. Da bordo della nostra nave abbiamo potuto
osservare che dato piroscafo è passato più volte nelle colonne d’acqua
innalzata dallo scoppio delle bombe poco discosto dalla sua prora. Alle 2:25 si
spegne l’ultimo Bengala acceso dal nemico che, dopo essersi ben scaricato di
tutte le bombe si allontana. Si prosegue nelle nostre rotte per Tripoli».
24 gennaio 1942
Alle 5.30 si verifica
l’ultimo attacco aereo, con lancio di numerosi bengala, alcuni siluri e
parecchie bombe. Nessun danno.
Alle 7.30, ormai in
vista della costa libica, il convoglio viene raggiunto dalle torpediniere Calliope e Perseo, venute ad esso incontro da
Tripoli; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» lascia la scorta come previsto, e
dopo altri cinque minuti sopraggiunge la scorta aerea con caccia e ricognitori
della Regia Aeronautica.
Alle 8.24 il
sommergibile britannico P 36 (tenente
di vascello Harry Noel Edmonds) avvista prima gli alberi e poi le navi del
convoglio in posizione 32°50’ N e 14°20’ E (a nord di Homs, sulla costa
libica); giudicata la composizione del convoglio come tre navi mercantili di
circa 5000 tsl, scortate da cinque cacciatorpediniere e due aerei, il
sommergibile si avvicina ad alta velocità fino a 4110 metri, poi lancia una
salva di quattro siluri contro i due mercantili di testa, per poi scendere a 40
metri ed allontanarsi su rotta opposta a quella del convoglio, rivendicando
erroneamente un siluro a segno.
Alle 9 uno dei caccia
di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro la superficie del mare,
segnalando la presenza del sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio (cioè
verso il largo): il contrammiraglio Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza
sulla sinistra, che permette alla Monviso di
evitare di pochissimo un siluro. Malocello (capitano
di fregata Mario Leoni), Geniere (capitano
di fregata Baslini) e Castore (capitano
di corvetta Congedo), insieme ad un ricognitore CANT Z. 501 della 196a Squadriglia,
contrattaccano con bombe di profondità (una trentina in tutto); al termine
della caccia si vedrà sulla superficie una chiazza di nafta, ma in realtà
nessuna bomba è esplosa vicina al sommergibile, che non ha subito danni. Gianbattista
Pasqua scrive in proposito nel suo diario: «[alle] 9:30 Il Malocello ed un aereo Cant Z. 501 danno l’avvistamento di un
sommergibile a dritta. Immediatamente diamo ordine di rapida accostata alla
formazione mentre il Malocello ed il Perseo vanno alla caccia del nemico
lanciando numerose bombe da getto. L’aereo da ricognizione marittima con una
bomba ben centrata, ha dato il colpo finale al sommergibile nemico che si
presume sia certamente affondato dopo aver lanciato 3 siluri contro di noi. I
vari aerei da caccia C.R. 42 hanno inseguito e mitragliato i siluri facendone
esplodere 2. Pure questa volta, nessuna nave è stata colpita grazie alla destra
manovra di accostata».
Alle 14.15 il
convoglio entra a Tripoli (il Vivaldi
è il primo ad ormeggiarsi, al Molo Sottoflutto); alle 18 Vivaldi, Malocello, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia
Nera ripartono per tornare in Italia.
Per il suo ruolo
nell’operazione «T. 18», il comandante Castrogiovanni sarà decorato con la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare («Capo
Squadriglia e comandante di silurante nel corso di difficile missione di scorta
ad importante convoglio diretto in Africa Settentrionale, durante la quale
l'azione offensiva nemica diurna e notturna si era prolungata per parecchie ore
con numerosi attacchi di aerei bombardieri, aerei siluranti e di sommergibili,
ha svolto esemplare azione di comando, contribuendo al felice esito della
missione»).
28 gennaio 1942
Esercizi di punteria
mentre la nave è ormeggiata a Palermo.
19 febbraio 1942
Allarme aereo, dalle
11.03 alle 11.20, mentre il Vivaldi è
sempre a Palermo, per un ricognitore giunto sul porto e sceso a media quota.
Tutte le navi presenti aprono il fuoco, costringendo l’aereo a riprendere quota
e nascondersi nelle nubi.
Il sergente Giovanni Battista Pasqua del Vivaldi al suo posto di combattimento, nel febbraio del 1942 (g.c. Adriano Pasqua) |
21 febbraio 1942
Alle 16.30 il Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio
Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta) salpa da Messina insieme ai
cacciatorpediniere Lanzerotto
Malocello, Nicolò Zeno, Strale e Premuda ed alla torpediniera Pallade (queste unità formano appunto il gruppo «Vivaldi»),
scortando un convoglio (il numero 1) composto dalle moderne motonavi Monginevro, Ravello ed Unione nell’ambito
dell’operazione di traffico «K. 7».
I convogli in mare
per questa operazione fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia»
(ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Alfredo Oriani ed Antonio
Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (ammiraglio
di squadra Carlo Bergamini) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera). Sul Vivaldi si sono imbarcati anche quindici marinai destinati a
Marilibia, di passaggio diretti a Tripoli.
Scrive Gianbattista
Pasqua nel suo diario: «In mattinata
imbarca l’Ammiraglio Nomis di Pollone col suo Aiutante di Bandiera Domenico
Delia. Avrà inizio in serata una nuova Missione di Guerra; la nostra nave avrà
come al solito il Comando del gruppo scorta ravvicinata al convoglio che si
dovrà scortare a Tripoli. (…) 16:30
Posto di Manovra: si salpa e dirigiamo per l’uscita dalle ostruzioni. Diversi
CC.TT. attraccati alle varie banchine, manovrano pur essi per l’uscita dal
porto. In rada, nello stretto son già pronti in nostra attesa N° 3 moderne
motonavi cariche di carri armati e di materiale bellico in genere. Pure vari
CC.TT. sono ivi alla fonda in attesa di nostri ordini per la partenza. Appena
fuori dal porto, diamo ordine alla formazione alla fonda in rada di salpare e
manovrare per assumere la formazione stabilita». Alle 17.10 il Vivaldi è in testa alla formazione, che
imbocca lo stretto di Messina con rotta sud; alle 18.30 la formazione è al
traverso di Capo Spartivento. I mercantili sono in linea di fronte; alle 19.15
viene assunta la formazione per la navigazione notturna.
Alle 23.15, la
divisione «Gorizia» (avvistata a poppavia dritta già dalle 20.35) si unisce al
convoglio n. 1, che prosegue per Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190
miglia da Malta.
22 febbraio 1942
Alle 2.18 il Vivaldi avvista un velivolo a proravia
dritta, ad una quota di un migliaio di metri; a bordo si ritiene che si tratti
probabilmente di un ricognitore britannico. Alle 2.30 viene sentito rumore
d’aereo sulla sinistra, ma non succede niente per tutta la notte.
All’alba del 2 il
convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio» (avvistato dal Vivaldi alle 7.30), che lo segue a breve
distanza.
Alle sette del
mattino la formazione viene raggiunta dalla scorta aerea italo-tedesca.
Intorno alle 12.45
(per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, il convoglio
numero 1 si congiunge con il convoglio numero 2 della «K. 7» (avvistato da
bordo del Vivaldi alle 9.20, a
proravia dritta), proveniente da Corfù e formato dalle motonavi Lerici e Monviso e dalla nave cisterna Giulio Giordani, con la scorta dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta,
capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), Emanuele Pessagno, Antoniotto
Usodimare, Maestrale e Scirocco e della torpediniera Circe.
Il convoglio n. 2 si
accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di
cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14
nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei
tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la
sua scorta.
I due convogli
occupano complessivamente uno spazio di mare di circa un miglio per quattro,
con i due gruppi di scorta sulla dritta, a distanza variabile tra uno e quattro
miglia, «complesso (…) abbastanza compatto per poter essere
protetto tutto bene dalla scorta ed abbastanza snello per dare ai singoli
gruppi ampia libertà di manovra».
Dalle prime ore del
mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che
segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si
verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono,
abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a
fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo
calibro contro la Duilio, senza
colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il
collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
Bergamini scriverà poi nel suo rapporto: «…per
la prima volta si è avuta una scorta aerea che ha funzionato veramente in modo
ammirevole (…) circa i velivoli
offensivi, la caccia li ha avvistati tutti e tutti sono stati intercettati ed
attaccati o abbattuti. Il collegamento radiotelefonico con il Duilio è stato
perfetto e lo scambio di notizie rapido ed efficiente. (…) La scorta fatta armonicamente a quota bassa,
media ed alta con Ju. 88 e Me. 110 (…) dava
un senso di sicurezza e di collaborazione veramente soddisfacente. (…) L’intervento di nuovi cacciatori chiesti dal
Duilio, come al solito, direttamente al Comando C.A.T. Sicilia, è stato pronto,
tempestivo, numeroso. Non si può fare a meno di rilevare con vivo senso di
soddisfazione che l’ultimo aereo inglese (un Blenheim) è stato abbattuto alle
15.49 alla distanza di ben 220 miglia dalle basi della Sicilia. C’è molto da
attendersi da questa collaborazione aereo-navale fatta a così notevole distanza
dalla costa (…) L’arrivo degli aerei
tedeschi sulla formazione il giorno 22 si è verificato alle primissime luci
dell’alba e la partenza a buio fatto (19.45). Nel giorno 23 invece gli
apparecchi tedeschi non hanno potuto trovare né il gruppo Duilio né il gruppo Gorizia
ma ciò era realmente quasi impossibile date le condizioni meteorologiche…».
Gianbattista Pasqua
scrive nel suo diario: «14:31 Allarme
aereo. Un quadrimotore inglese da ricognizione sorvola la formazione ad alta
quota: apriamo il fuoco con la 40/39 di dritta ma i colpi non giungono a segno
poiché l’aereo è troppo alto perché il nostro tiro sia efficace. Subito la IIIª
Divisione apre il tiro di sbarramento con i 100/47 e dopo lunga sparatoria
l’aereo, colpito cerca di fuggire al nostro fuoco ma non tarda la sua ultima
ora… colpito nelle parti vitali, lasciando dietro di sé una fitta cortina di
fumo nero, perde continuamente quota sino a che precipita in mare molto lontano
dalla nostra formazione».
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia». Verso le 23 si sente sul Vivaldi rumore d’aereo.
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Alle 00.20 si
avvistano dal Vivaldi due razzi
illuminanti, lanciati da aerei avversari, 30° a dritta, a grande distanza, nella
posizione in cui si trova la III Divisione. Viene ordinato il posto di
combattimento, in previsione di un imminente attacco aereo nemico. Alle 4.22 un
bengala si accende a poppavia dritta, ed aerei britannici sorvolano il
convoglio tentando di localizzarlo; lanciano altri bengala, che però sono
subito trascinati via dal forte vento. Proprio il vento, insieme alla scarsa
visibilità, impedisce ai velivoli avversari di effettuare il loro attacco.
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La
foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed
alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece (alle
8.20), ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42
inviati anch’essi per la scorta. Solo verso le dieci, diradatasi finalmente la
foschia, inizia a sopraggiungere sui cieli dei due convogli – che navigavano di
conserva verso Tripoli senza riuscire a vedersi – un crescente numero di
velivoli di scorta (secondo il diario di Gianbattista Pasqua, alcuni
idrovolanti CANT Z. 501 sarebbero giunti sul cielo del convoglio alle 9.50,
seguiti verso le 11 da numerosi caccia FIAT CR. 42).
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe (“battistrada”
del convoglio n. 2) localizza con l’ecogoniometro il sommergibile
britannico P 38, che sta
tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il
periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere
stato individuato, s’immerge a profondità maggiore); dopo aver ordinato al
convoglio di virare a dritta, alle 10.32 la torpediniera bombarda il
sommergibile con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo
il P 38 affiora in
superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia
anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di
profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile.
L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi
italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre
unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi
ulteriori attacchi, la Circe effettua
un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora
di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata
ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero
equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante,
rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica. Alle 10.30,
intanto, dopo la manovra eseguita per allontanarsi dal pericolo, il resto del
convoglio ritorna in rotta e formazione.
Alle 11 il convoglio
n. 1 avvista la terra, e rettifica la rotta di conseguenza; mezz’ora dopo viene
raggiunto dalle due torpediniere provenienti da Tripoli, cui l’ammiraglio
Parona ha ordinato di unirsi al convoglio.
Alle 11.25 un altro
sommergibile britannico, il P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison), facente parte di uno sbarramento
di tre unità, avvista su rilevamento 040° il convoglio formato da Ravello, Unione e Monginevro e
scortato da Vivaldi, Malocello, Strale, Zeno, Pallade e Premuda, che procede su rotta 250°.
Senza essere rilevato
dalla Pallade (che funge da
“battistrada” per il convoglio, non rileva la presenza del sommergibile), alle
11.49 (fonti italiane parlano delle 12.02), in posizione 32°51’ N e 13°58’ E
(un’ottantina di miglia ad est di Tripoli), il P 34 lancia quattro siluri da 4150 metri di distanza, con
lancio da terra verso il largo (benché il convoglio stia ormai seguendo la
rotta costiera): un caccia facente parte della scorta aerea avvista le scie dei
due siluri e le segnala immediatamente mitragliandole, permettendo così al
convoglio di evitarli con tempestiva accostata (i due siluri mancano l’Unione di pochi metri, passandole uno a
proravia e l’altro a poppavia).
Nessuna nave è
colpita, ed il Vivaldi inizia alle
11.58 un contrattacco nel quale lancia ben 57 bombe di profondità, alcune delle
quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad allontanarsi. La Monginevro subisce un’avaria al timone causata dalla brusca
accostata compiuta per evitare i siluri, e lo Zeno viene distaccato per proteggerla fino a quando non avrà
risolto l’inconveniente.
Gianbattista Pasqua
scrive nel suo diario: «12:02 Un aereo da
caccia spara dei colpi di mitragliera indicando la scia di un siluro lanciato
da un sottomarino nemico al centro della nostra formazione: si fanno i segnali
regolamentari per ordinare la rapida manovra di accostata alla formazione e
pure noi accostiamo per evitare il siluro. La manovra immediata di tutta la
formazione è stata magnifica per ogni dettaglio: nessuna unità è stata colpita
dal siluro grazie all’abilità ed alla rapidità della nostra manovra. Ordiniamo
alla Torpediniera Cigno [in realtà la Circe]
ed ad altri 2 CC.TT. di andare alla
caccia contro il sommergibile nemico. Il Monginevro ci segnala avaria al timone
causata per la rapida manovra di accostata allo scopo di scansare il siluro:
ordiniamo al C.T. Zeno che resti nei suoi pressi. Mentre ormai vicini alla
meta, proseguiamo nella nostra rotta ci vien segnalato che la torpediniere Cigno,
lanciatasi all’attacco contro il sommergibile nemico che ci ha silurato, lo ha
fatto emergere con bombe di profondità e lo ha successivamente affondato a
colpi di cannone facendo inoltre prigionieri [in realtà era la Circe, non la Cigno,
ed il sommergibile affondato era quello responsabile dell’attacco precedente;
inoltre, non vi furono superstiti del sommergibile]. Anche questa volta gli
inglesi hanno avuto una dura lezione… non si molestano impunemente le navi
italiane!!».
Nel frattempo, alle
10.30, lo Scirocco, come
stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega
al gruppo «Gorizia», che – essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non
presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie – si avvia sulla
rotta di rientro.
Alle 13.30 il
convoglio n. 2, avendo forzato l’andatura, giunge in vista del convoglio n. 1;
quest’ultimo giunge indenne a Tripoli alle 15 (primo ad entrare in porto è il Vivaldi, alle 15.05, andandosi ad
ormeggiare al Molo Sottoflutto), ed entro le 16.40 tutte le navi di entrambi i
convogli sono in porto, con un ritardo complessivo di neanche un’ora rispetto a
quanto programmato. Giungono così a destinazione 113 carri armati, 575
automezzi con rimorchio, 11.559 tonnellate di materiali vari, 15.447 tonnellate
di carburanti e lubrificanti, 2511 tonnellate di artiglieria e munizioni e 405
soldati.
Alle 18 Vivaldi (caposcorta) e Malocello lasciano Tripoli per Palermo,
scorando la motonave Vettor Pisani.
25 febbraio 1942
Le tre navi giungono
a Palermo alle 8; Vivaldi e Pisani proseguono per Napoli,
mentre il Malocello si ferma nel
capoluogo siciliano.
27 febbraio 1942
Vivaldi e Pisani raggiungono
Napoli alle 8.30.
Un
convoglio diretto in Nordafrica nel 1942, fotografato da bordo del Vivaldi (g.c. Tobia Costagliola)
2-3 marzo 1942
Il Vivaldi si trova ormeggiato a Palermo
quando il porto e la città vengono sottoposti ad un pesante bombardamento aereo
britannico, iniziato alle 22.29 del 2 marzo e terminato alle 4.45 del 3 marzo.
Tra le navi ormeggiate in porto, oltre al Vivaldi, vi sono i cacciatorpediniere Freccia, Folgore, Saetta, Strale, Malocello, Aviere e Camicia Nera, le torpediniere Partenope e Giuseppe Cesare
Abba e numerose navi mercantili, tra cui la motonave tedesca Cuma, il cui carico comprende 480
tonnellate di benzina nonché carri armati, bombe d’aereo, fusti di benzina,
parti di ricambio, automezzi e munizioni.
Questo bombardamento,
il più violento tra quelli subiti da Palermo tra la fine del 1941 e gli inizi
del 1943 (quando l’arrivo dell’USAAF segnerà l’inizio di un crescendo di morte
e distruzione senza precedenti), è stato deciso dai britannici dopo che un volo
di ricognizione condotto il 2 marzo dal capitano Adrian Warburton – uno dei più
celebri piloti della RAF di base a Malta – ha rilevato la presenza in porto di
alcune grosse navi mercantili cariche, presumibilmente, di rifornimenti diretti
in Nordafrica. Warburton, che ha compiuto il suo volo tra le 13 e le 13.45 a
bordo di un Bristol Beaufighter del 22nd Squadron del Coastal
Command della RAF (in precedenza, il mattino 1° marzo, già un altro Beaufighter
aveva compiuto un primo volo di ricognizione su Palermo, senza incontrare
opposizione; Warburton è invece stato bersagliato per alcuni minuti dalla
contraerea, ma non ha subito danni ed è riuscito anche a sfuggire al caccia
mandato ad intercettarlo), ha scattato varie foto del porto e delle navi
presenti, e dopo averle esaminate i Comandi di Malta hanno pianificato una
missione di entità considerevole in rapporto alle magre forze aeree stanziate a
Malta in quel periodo (l’isola si trova infatti sotto pesantissimo
martellamento da parte dei bombardieri dell’Asse, che ne riducono fortemente le
capacità offensive). Contro Palermo sono stati inviati in tutto 16 bimotori
Vickers Wellington del 37th Squadron della Royal Air Force
(decollati dalla base maltese di Luqa), i quali, privi di scorta di caccia,
conducono l’attacco in due ondate, da una quota di 3000 metri, provenendo dal
mare.
L’allarme aereo viene
dato alle 21 (secondo altra fonte, invece, alle 22.30); al rumore degli aerei
in avvicinamento segue l’apertura di un fitto fuoco di sbarramento da parte
delle mitragliere poste a difesa del porto, che faranno fuoco senza
interruzione fino alla fine dell’incursione. Entrano in funzione anche gli
apparati nebbiogeni, che avvolgono il porto in una fitta cortina di nebbia
artificiale per impedire agli aerei di individuare i bersagli.
La prima ondata, di
dieci aerei, arriva su Palermo alle 22.35 del 2 marzo (secondo altra fonte,
poco prima di mezzanotte) e sgancia 26 bombe sull’area portuale (per
complessive 27 tonnellate di esplosivo): i bombardieri attaccano singolarmente
od in coppia, ad intervalli di una decina di minuti l’uno dall’altro,
sorvolando il porto da nord verso sud. A dispetto dell’attivazione degli
apparati nebbiogeni, i Wellington, al terzo passaggio, colpiscono a poppa la Cuma, ancorata alla testata del Molo
Nord: la nave prende fuoco, illuminando il porto con i bagliori del suo
incendio. Dopo aver colpito il porto, i dieci Wellington lanciano un’altra
sessantina tra bombe dirompenti e spezzoni incendiari sulla città.
Gli incendi scatenati
dalle ondate precedenti, e specialmente quello che divampa sulla Cuma, permettono ora ai bombardieri di
individuare gli obiettivi con maggiore facilità, a dispetto della nebbia
artificiale; come se non bastasse, sulla Cuma
stanno iniziando a scoppiare anche munizioni di maggiore potenza, e si teme che
l’intero, pericolosissimo carico della motonave tedesca possa saltare in aria
con conseguenze disastrose per il porto e le navi ormeggiate nei pressi. La
motonave Gino Allegri, che è la più
vicina ed è anch’essa carica di munizioni, molla gli ormeggi e manovra per
allontanarsi. Diverse bombe cadono vicino al Vivaldi, scuotendo violentemente la nave e causando qualche lieve
danno da schegge, che “innaffiano” la nave sforacchiando qua e là le
sovrastrutture.
La prima ondata
termina il suo attacco alle due di notte del 3 marzo, e già alle 2.14 arriva la
seconda, composta da sei Wellington, che sganciano un’altra cinquantina di
bombe. Alle quattro del mattino viene centrato ed affondato il piroscafo Le Tre Marie (che verrà successivamente
recuperato e riparato). Nonostante il violento e continuo tiro da parte sia
della contraerea di terra che delle armi contraeree delle navi da guerra presenti
in porto, nessuno dei Wellington viene abbattuto; ed a dispetto della vicinanza
della base aerea di Boccadifalco, nessun caccia italiano o tedesco decolla per
tentare il contrattacco.
Così Gianbattista
Pasqua descrive l’attacco aereo nel suo diario: «Palermo, 2 marzo 42. Dalle 13:08 alle 13:30 Allarme Aereo. Un aereo da
ricognizione nemico, protetto dalle nubi, si è portato sulla verticale del
porto. Già la nostra caccia si era levata in volo al primo fischio della sirena
d’allarme. La nostra D.C.A. ha aperto un intenso fuoco sull’aereo nemico che,
colpito, si è allontanato inseguito nelle nubi dalla nostra caccia. Nel tardo
pomeriggio mi reco in città e, al Vittoria assisto alla proiezione del film “Il
primo bacio”. Alle 21:30 faccio ritorno a bordo e, dopo aver mangiato due bei
panini allestitomi dal Maestro di casa, me ne vado in branda con l’intenzione
di darmi presto placidamente a Morfeo. Mentre stavo (come al solito) pensando
lontano alle Persone che mi son tanto care, il clacson di allarme nave, dà il
segnale di Allarme Aereo. Ore 22:25 Subito, per meglio godermi lo spettacolo mi
reco in Controplancia vicino alle mitragliere da 13.2 alle quali è destinato il
mio Amico Botti. Alle 10:30 [22.30] il
Comando D.C.A.T. di Trapani ci telefona che un numero imprecisato di aerei si
dirige verso la città di Palermo: alle 10:35 mentre la D.I.C.A.T. locale ci
comunica che gli aerei son già sopra la città, ha inizio il tiro di sbarramento
delle batterie C.A. Gli aerei nemici non perdono tempo; tale mia osservazione è
comprovata dal fatto che udiamo ben distinto il rumore degli aerei che si
buttano in picchiata sul porto fatto seguito alla caduta di alcune bombe che
cadono disordinatamente in mare. Subito inizia da parte nostra un forte tiro
C.A. I mitraglieri nostri, sanno il fatto loro e sparano all’impazzata
intrecciando nel cielo le numerose scie delle pallottole traccianti. Le
batterie a terra ed i mitraglieri delle varie navi ancorate in porto, cessano
il fuoco per 5 minuti per dar agio agli aerofonisti di distinguere il rumore e
possibilmente la posizione degli aerei. Il porto è letteralmente coperto dai
fumogeni sparsi subito dopo l’allarme dai diversi congegni disposti sulle varie
banchine. Ciò rende difficile al nemico l’individuazione esatta dei singoli
obbiettivi. La Luna è in piena fase di plenilunio. In codesta base vi sono
molti punti di riferimento per il nemico, cominciando dal Monte Pellegrino ai
vari promontori che si elevano al cielo attorno alla conca dando la posizione
approssimativa degli obbiettivi portuali. Verso le ore 23 ha seguito la 2ª
ondata segnalata da un mitragliere Colt che, collegata col centro direzione
aerofoni, spara coi suoi traccianti nel senso di provenienza degli aerei nemici
onde indicare alle Batterie ed alle mitragliere la direzione di essi acciocché
effettuare un tiro più efficace di sbarramento. La 2ª ondata di aerei è stata
più fortunata della prima: delle numerose bombe lanciate, una colpisce un
piroscafo a poppa (ormeggiato alla banchina SANITA’ vicino al altri piroscafi).
Dal bastimento colpito si elevano altissime fiamme che rendono rossastro il
bianco dei fumogeni attorno ad esso. Altre numerose bombe cadono in città e ne
udiamo le forti esplosioni. Fino alle ore 01:00 si susseguono le ondate dei
bombardieri nemici sopra il porto e la città col relativo sgancio di bombe
delle quali varie esplodono a noi molto vicino facendo sussultare la nostra
nave in tutta la sua struttura. Tutt’attorno, in coperta è una vera pioggia di
schegge, schegge di bombe nemiche e di proiettili della nostra difesa
contraerea già diverse hanno sforacchiato in più parti le lamiere delle
soprastrutture. In controplancia per un fortunato caso l’Amico Botti non è
rimasto vittima di una scheggia la quale forando il paraschegge della
mitragliera passava all’altezza del seggiolino dal quale pochi secondi prima,
dietro ordine del direttore del tiro, si era alzato. Alle 01:30 essendo la luna
in fase di eclissi si oscura completamente rendendo la visibilità scarsa agli
aerei nemici i quali si allontanano. Le sirene di piazza danno il segnale di
cessa Allarme. Già pregustavo la gioia di una buona dormita dopo 3 ore di
veglia sotto le bombe quando, dopo solo 15 minuti la D.I.C.A.T. ci comunica che
gli aerei nemici ritornano. Alle 2 meno 5 le sirene lanciano ancora il loro
lugubre ululato: riprende l’allarme, la stessa canzone. Alle 2:03 gli aerei
sono di nuovo sulla verticale del porto e lanciano numerose bombe; anche queste
fortunatamente esplodono su di una banchina al di là del C.T. Freccia ed a noi
arrecano nessun danno. Il C.T. Freccia e Folgore comunicano di avere a bordo
numerosi feriti più o meno gravi a causa delle schegge prodotte dallo scoppio
delle bombe. In un momento di tregua in cui tacciono le armi, si ode a mare il
grido di aiuto lanciato da naufraghi per la maggior parte tedeschi. Il
piroscafo colpito [si trattava del Cuma]
continua ad ardere e si susseguono gli
scoppi crepitanti delle munizioni che aveva in coperta per le armi di bordo. Il
piroscafo Allegri, che si trovava di fianco al piroscafo incendiato, con abile
manovra riesce a scostare portandosi lontano dalla zona pericolosa. Sino alle
5:45 si susseguono le ondate numerose del nemico. Diverse bombe cadono vicino
agli Angar [hangar?] di poppa del
C.T. Malocello il quale è ormeggiato vicino a noi alla nostra stessa banchina.
Il fuoco della contraerea è rabbioso; i nostri mitraglieri sparano a lunghe
raffiche formando in cielo una fitta cortina di ferro e fuoco a protezione
della nostra nave. Sono tutti entusiasti del loro lavoro e, mentre sparano
lanciano epiteti all’indirizzo di Churchill e della R.A.F. Le 13.2 funzionano
bene; ruttano fiamme. Si deve bagnare sovente le canne per farle raffreddare.
Le 40/39 invece sembrano un po’ restie; ogni tanto si inceppano facendo crepar
di rabbia i mitraglieri ivi destinati. Alle 6:45 cessa Allarme… era tempo dopo
8 ore di bombardamento!!! Me ne vado deciso a dormire con l’intenzione di non
alzarmi fino alle 10».
Il bombardamento ha infatti
termine alle 5.50; nel complesso i cacciatorpediniere hanno subito danni
modesti, ma preoccupa la situazione della Cuma, sulla quale le fiamme divampano incontrollabili minacciando
di causare l’esplosione del carico. La catastrofe tanto temuta si verifica
infine alle 7.25: mentre è in corso il salvataggio dei marinai gettatisi nelle
acque del porto e lo spostamento dell’Allegri,
ormeggiata pericolosamente vicino alla Cuma,
la nave tedesca erompe in una colossale esplosione, danneggiando le altre navi
ormeggiate nei suoi pressi e lanciando rottami metallici di ogni dimensione –
alcuni grandi anche diversi metri quadrati – a distanza anche di due
chilometri, fino al Foro Italico ed a Piazza Politeama. Un’enorme onda di
fuoco, alimentata dal carburante sparsosi sulla superficie del mare, avanza
minacciosamente verso le altre navi ormeggiate e verso la città; è l’improvviso
cambio di direzione del vento a salvare le altre navi e Palermo stessa da
maggiori distruzioni. Per il porto ed il centro abitato, l’esplosione della Cuma è risultata più distruttiva che non
il bombardamento stesso.
Anche il Vivaldi, ormeggiato a poche centinaia di
metri di distanza, viene investito dalla terrificante esplosione: la nave viene
scossa violentemente – tanto che a bordo si crede di essere stati colpiti da
bombe –, sbattuta con la poppa contro la banchina (producendo nello scafo
un’ammaccatura di notevoli dimensioni) ed investita da una pioggia di schegge
di ogni forma e dimensione, che crivellano le sovrastrutture (pur senza causare
danni di rilievo) e feriscono diversi membri dell’equipaggio, alcuni anche in
modo grave.
Viene ordinato
l’abbandono della nave, ma non tutti riescono a scendere a terra, perché uno
scossone più forte degli altri provoca la rottura dei cavi d’ormeggio e
l’allontanamento del Vivaldi dal molo
di alcuni metri, così bloccando a bordo parecchi marinai. Passato il peggio, la
nave viene riportata all’ormeggio e l’equipaggio torna a bordo; squadre di
marinai del Vivaldi provvedono a
mettere in sicurezza la nave, a recuperare i naufraghi dalle acque del porto ed
a riportare all’ormeggio un mercantile che sta andando alla deriva. Una
trentina di naufraghi delle navi affondate dalle bombe o dall’esplosione
vengono portati sul Vivaldi, dove
quelli di loro che sono feriti vengono subito medicati; tutti vengono
rifocillati e ricevono vestiti asciutti, offerti dall’equipaggio del
cacciatorpediniere. La motolancia del Vivaldi
viene inviata a portare soccorso agli artiglieri delle batterie contraeree
situate sul molo al quale era ormeggiata la Cuma,
che ora è completamente avvolto dalle fiamme: lottando contro l’incendio, i
marinai del cacciatorpediniere riescono a soccorrere diversi militi.
Gianbattista Pasqua,
nel suo diario, traccia una vivida descrizione di questa apocalittica giornata:
«7:30 mentre mi stavo sognando le cose più
belle, vengo svegliato di botto da uno scossone formidabile: è uno zompo
generale e immediato di tutto il personale dalle proprie brande. Mentre mi
butto velocemente fuori dal mio giaciglio, ancora sotto la scossa ricevuta dal
bastimento che mi fa supporre sia stato colpito a poppa da una grossa bomba, a
circa 3 metri da me cade una scheggia la quale perforando le lamiere del
castello, trapassa il ponte di coperta andando a finire nel locale Dinamo.
Senza sapere come, mi vedo sanguinare una mano, una leggera ferita da nulla.
Tutti scappano dai locali ed anch’io sono dell’intenzione dei più ma mi debbo
fermare perché vicino a me vedo il Sottonocchiere Gianizzo, il quale non può
reggersi all’impiedi ed implora aiuto: è stato ferito in modo grave alle gambe
dalla stessa scheggia che ha sfiorato lievemente la mia mano sinistra. Più alla
svelta che mi è possibile, coadiuvato da alcuni marinai mi affretto a portarlo
fuori convinto che ormai la nave stia affondando. In un caso simile, poche
secondi di ritardo possono costare la vita. Altri due scossoni più forti del
primo mi fanno credere che a bordo sia successo l’inferno. Appena giunto in
coperta rimango abbagliato dal bagliore sinistro delle fiamme; a tutta prima
credo sia incendio a bordo a noi, mi accorgo poi trattarsi di 3 piroscafi alla
banchina Sanità i quali ardono avvolti tutti e tre in un solo, grande,
impressionante ed enorme incendio. Molti marinai hanno fatto in tempo a
scappare a terra; il nostro Commissario ordina l’abbandono della nave per andar
tutti al rifugio più vicino. Io rimango a bordo poiché sotto lo scossone più
forte, la nave (essendosi spezzati i cavi) si è scostata di molto dalla
banchina: con vari marinai anche loro rimasti a bordo cerco poter manovrare per
tirarci vicino al molo e riprendere ormeggio. Mi viene finalmente svelato il
perché di tutto questo trambusto che mi ha reso mezzo intontito. Un piroscafo
(nave cisterna) carico di benzina e di esplosivi, è saltato in aria e,
trovandosi a poco più di 200 metri da noi, l’urto della pressione dell’aria
nello spostamento si è avventato sulla nostra nave in modo talmente
impressionante da metter in pericolo non solo la nostra ma tutte le navi
ormeggiate in porto. La nave cisterna continua a scoppiare lanciando in varie
direzioni grossissime schegge di lamiera e di macchinari varie della quali
superano i 50 kili. In un’ora pericolosa come questa ho avuto modo di osservare
il contegno dei nostri marinai i quali, cessato il primo momento di normale
spavento tutti si son dati da fare sotto la pioggia di schegge di ogni tipo e
dimensione nel prestare la loro opera di soccorso a vari naufraghi,
nell’ormeggiare un piroscafo che andava alla deriva e nel metter la nave in
quelle condizioni di sicurezza atte a salvarla in un caso estremo. Alle 7:40
mentre ancora tutto quest’inferno infuria monto di servizio d’ispezione: è un
servizio molto delicato per i molteplici compiti che mi vengono assegnati e
sono orgoglioso di me stesso potendo cooperare così attivamente allo svolgersi
delle varie operazioni incombenti in questo delicato frangente. Circa una
trentina di naufraghi vengono portati a bordo dai nostri marinai: alcuni di
essi sono feriti e vengono subito medicati. Tutti quanti vengono ristorati e
vestiti con il vestiario che ognuno di noi offre con spontaneo slancio ai
camerati italiani e tedeschi. Gli scoppi continuano a brevi intervalli;
l’incendio si propaga rapidamente sulla banchina a cui sono attraccati i
piroscafi in fiamme. In poco tempo sulla banchina Sanità ove vi sono alcune
batterie, un deposito di nafta e qualche magazzino, non si distingue più nulla
perché tutto è avvolto dalle fiamme! Il lato ovest del porto è un unico e
immane rogo di cui non me ne scorderò mai per tutta la vita. Mando la nostra
motolancia ad effettuare il salvataggio dei superstiti delle Batterie poste sul
molo in fiamme la quale riesce a portar a termine la difficile missione
salvando numerosi militi. Sino alle 9 continuano gli scoppi dei depositi
munizioni delle batterie e dei piroscafi; durante tale tempo tutto il personale
resta a posto di sicurezza pronti a far fronte a qualsiasi pericolo che possa
incombere sulla nostra nave. Dopo le 9, continua l’incendio alla petroliera e
dei piroscafi e cessano gli scoppi delle munizioni. I danni provocati dal
nemico sono ingenti; ad aggravarli è subentrato lo scoppio della petroliera.
Una torpediniera in bacino [la Partenope] è stata colpita in pieno a prora da
una bomba ed ha avuto 20 morti e vari feriti. Alcuni altri colpiti. La nostra
nave ha subito danni prodotti dalle schegge che hanno sforacchiato le lamiere
in varie parti. A poppa sul lato sinistro s’è prodotta una bugna di dimensione
assai grande provocata dallo scossone subito durante lo scoppio della
Petroliera per il quale la nave è stata letteralmente sbattuta contro la
banchina. In città vari palazzi sono stati diroccati dalle bombe. Tutti i vetri
della città sono andati in frantumi per lo spostamento d’aria. Si contano 6
morti e 98 feriti tra la poPolazione civile. Il numero dei morti e feriti fra
il personale militare è molto più elevato. (…) Il Comandante si reca al Comando Marina a chiedere di partire per
Napoli. Alle 12:30 pronti a muovere con le macchine. La partenza viene
rimandata di poche ore. Nel pomeriggio, portati da una leggera brezza, si
avvicinano alla nostra nave i relitti galleggianti che coprono il porto. Alcuni
di essi ardono ancora e li faccio spegnere col getto d’acqua delle manichette
di incendio. In mezzo a tali relitti avvistiamo un’infinità di scatole di
viveri; burro, lardo e carne in scatola, salami, prosciutti eccetera. Quasi
tutti si danno da fare nel recuperare questo ben di Dio e ci è concesso di
tenere ognuno la propria merce pescata. Durante l’allarme sono state sparate N°
4475 cartucce da 13.2 e N° 500 cartucce da 40/39. Nel pomeriggio si imbarcano
le munizioni per mitragliere in sostituzione di quelle sparate nella notte. Il
doPolavoro di Palermo è riconoscente ai marinai della nostra nave per il fuoco
di sbarramento fatto durante la notte che ha certo salvato molte cose, manda a
bordo 200 pacchetti di sigarette e del liquore da distribuire al nostro
personale».
Le vittime, tra
civili e militari, sono infatti diverse decine, soprattutto tra gli equipaggi
delle navi presenti nel porto: in particolare, vi sono 36 tra morti e dispersi
a bordo della motonave Gino Allegri,
19 morti e 10 feriti sulla torpediniera Partenope
(colpita da bombe mentre è in bacino di carenaggio), due morti e dieci feriti
sul piroscafo Assunta De Gregori (colpito da schegge), un
morto e cinque feriti sul caccitorpediniere Freccia
(sforacchiato da innumerevoli schegge), alcuni feriti sul cacciatorpediniere Folgore (che subisce danni da schegge
alle sovrastrutture) e sulla nave officina Antonio
Pacinotti (anch’essa lievemente danneggiata da schegge), oltre ad un
imprecisato numero di vittime tra l’equipaggio della Cuma. In totale i feriti tra i militari sono 127; tra la popolazione
civile palermitana, le vittime sono 6 ed i feriti 108.
Le navi affondate
sono quattro, tutte tra quelle che erano ormeggiate alla testata del Molo Nord:
la Cuma (completamente distrutta,
ovviamente), i piroscafi Securitas e Le Tre Marie (entrambi successivamente
recuperati e riparati) e la piccola nave cisterna Tricolore (anch’essa poi recuperata), oltre alla bettolina militare
G.R. 42. Oltre alle navi citate più
sopra, subiscono danni i piroscafi tedeschi Salvador
e Ruhr, il cacciatorpediniere Strale, la torpediniera Giuseppe Cesare Abba e la cisterna
militare Marte, che tuttavia non
lamentano perdite tra gli equipaggi, ed altre 28 imbarcazioni di ogni tipo e
dimensioni.
A terra, Villa
Lampedusa, l’Opera Pia Collegio di Maria Immacolata al Borgo, lo scalo
d’alaggio Sicari, uno stabilimento per la lavorazione del sommacco e numerose
abitazioni (nelle vie XX Settembre, Siracusa, Trapani, dello Speziale,
Collegio, Ruffino, Vicolo della Cera, E. Amari, La Marmora, Vicolo Fiammetta al
Borgo) sono danneggiate o distrutte dalle bombe; ben 85 edifici lamentano danni
di varia entità per effetto dell’esplosione della Cuma (tra gli altri, un edificio viene gravemente danneggiato da
una lamiera del peso di 400 kg), che ha inoltre scardinato migliaia di infissi
in tutta la città e provocato alcune vittime anche a terra. I Vigili del Fuoco
eseguiranno ben 147 interventi.
Alle 18.45 il Vivaldi, insieme a Folgore e Malocello,
lascia Palermo per scortare a Messina la Gino
Allegri.
7 marzo 1942
Il Vivaldi, insieme al cacciatorpediniere Fuciliere ed alla torpediniera Castore, si unisce alla scorta del
convoglio numero 3 (motonave Monreale e
torpediniera Circe, partite da
Napoli all’1.30) dell’operazione di traffico «V. 5», che prevede l’invio di tre
convogli da Brindisi, Messina e Napoli a Tripoli, per un totale di quattro
moderne motonavi scortate complessivamente da cinque cacciatorpediniere e tre
torpediniere.
Marinai del Vivaldi in tenuta da combattimento (g.c. Adriano Pasqua) |
8 marzo 1942
Alle 7.30 il
convoglio numero 3 si aggrega ai convogli 1 (motonavi Nino Bixio e Reginaldo
Giuliani, cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta e Scirocco) e
2 (motonave Gino Allegri,
cacciatorpediniere Antonio Da Noli e Bersagliere), partiti rispettivamente da
Brindisi e Messina e riunitisi già il giorno precedente.
Entro le 8.30, a 190
miglia da Leuca, si forma così un unico convoglio sotto il comando del capitano
di vascello Enrico Mirti della Valle, imbarcato sul Pigafetta. Poco dopo, alle 9.45, sopraggiunge anche il gruppo di
scorta, al comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, formato
dagli incrociatori Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai
cacciatorpediniere Alfredo Oriani, Aviere, Ascari e Geniere;
tale gruppo zigzaga a 16-18 nodi di velocità mantenendosi poco a poppavia del
convoglio, che procede a 15 nodi verso sud passando a 190 miglia da Malta. La
scorta aerea, mantenuta pressoché senza interruzione durante tutte le ore
diurne, è fornita da due bombardieri medi CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica
e (in media) da sei tra bombardieri Junkers Ju 88 e caccia pesanti
Messerschmitt Me 110 della Luftwaffe; comunque non si concretizza alcuna
minaccia da parte degli aerei di Malta, a causa di un equivoco commesso dai
piloti britannici (vedi 9 marzo). Al tramonto il gruppo di scorta dell’ammiraglio
De Courten viene “incorporato” nel convoglio.
9 marzo 1942
Sulla base delle
informazioni di “ULTRA”, decolla da Malta un ricognitore Martin Maryland del 69th Squadron
R.A.F. con il compito di intercettare il convoglio formato da Bixio, Allegri, Giuliani e Monreale, per guidare sul posto gli
aerosiluranti incaricati di attaccarlo. Il ricognitore trova (e segnala)
effettivamente un convoglio formato da quattro moderne motonavi, tre
cacciatorpediniere e tre torpediniere, circa 200 miglia a sudest di Malta: si
tratta però del convoglio sbagliato, anche se l’equipaggio dell’aereo non può
saperlo. Il convoglio trovato dal Maryland è composto dalla motonave
cisterna Giulio Giordani e
dalle motonavi da carico Unione, Lerici e Ravello, scortate dai cacciatorpediniere Scirocco, Pigafetta e Strale e dalle torpediniere Cigno e Procione; ma queste navi sono dirette verso nord, in viaggio di
ritorno da Tripoli verso l’Italia, mentre il convoglio che comprende il Vivaldi, quello che i comandi di Malta
vogliono attaccare (essendo questo formato da navi cariche di rifornimenti per
il fronte nordafricano, mentre le altre stanno tornando scariche), procede in
direzione opposta, verso sud.
Poco più tardi un
altro ricognitore, un Maryland del 203rd Squadron, avvista il
convoglio “giusto” (quello del Vivaldi):
in seguito a questo avvistamento, i comandi britannici fanno decollare dalla
base libica di Bu Amud (vicino a Tobruk) una formazione di otto aerosiluranti
Bristol Beaufort del 39th Squadron R.A.F. (guidati dal capitano
C. S. Taylor), nonché una di bombardieri Boeing B-17 Flying Fortress del 220th Squadron.
I Beaufort dovrebbero essere scortati da dei caccia Bristol Beaufighter, ma
questi ultimi non si presentano al punto d’incontro; gli aerosiluranti
proseguono ugualmente senza scorta, ed alle 16.40 avvistano un convoglio 170
miglia a nord di Tripoli, passando dunque all’attacco. Ma il convoglio che i
Beaufort hanno trovato e attaccato è quello sbagliato; si tratta infatti di
quello di ritorno dalla Libia, formato da Giordani, Unione, Lerici e Ravello. La composizione molto simile dei due convogli e delle
relative scorte trae in inganno gli equipaggi dei Beaufort: siccome il
convoglio da essi trovato è formato da quattro moderne motonavi scortate da una
mezza dozzina di siluranti, il che corrisponde grosso modo alla descrizione del
convoglio segnalato loro dai comandi sulla base delle notizie dei ricognitori,
i piloti britannici ritengono di aver trovato il convoglio loro assegnato come
obiettivo, senza apparentemente notare, o badare, al fatto che esso stia
seguendo rotta opposta a quella che dovrebbe seguire. L’attacco, ad ogni modo,
è del tutto infruttuoso: nessuno dei siluri lanciati dai Beaufort va a segno,
così come nessuno degli aerei britannici viene danneggiato dal tiro contraereo
delle navi (uno viene invece danneggiato dai caccia tedeschi postisi al loro
inseguimento, ma in modo non grave).
Nel frattempo, ignaro
di tutto ciò, il convoglio che include il Vivaldi prosegue
tranquillo verso la propria rotta. Neanche i B-17 riescono a trovarlo, e la sua
navigazione non viene così molestata durante tutta la navigazione.
Al largo di Ras Cara
(punto d’atterraggio), in mattinata, il gruppo di scorta lascia il convoglio e
si posiziona in modo da coprirlo da eventuali attacchi di navi britanniche, che
però non hanno luogo. Alle 7.30 Scirocco e Pigafetta lasciano anch’essi il
convoglio per rinforzare la scorta di un altro partito da Tripoli per tornare
in Italia (e che ha in quel momento incrociato quello proveniente dall’Italia);
il convoglio entra nel porto di Tripoli tra le 17.30 e le 18.
16 marzo 1942
Il Vivaldi (caposcorta, capitano di
vascello Ignazio Castrogiovanni) parte da Messina alle 13.30 insieme ai
gemelli Malocello, Pessagno e Zeno ed alle torpediniere Pallade e Giuseppe Sirtori (quest’ultima poi rientrata a Messina),
per scortare a Tripoli la motonave Vettor
Pisani. È in corso l’operazione di traffico «Sirio», che vede in mare una
serie di convogli da e per la Libia (motonavi Gino Allegri e Reginaldo
Giuliani da Tripoli a Palermo con le torpediniere Perseo e Circe; piroscafo Assunta
De Gregori da Palermo a Tripoli con il cacciatorpediniere Premuda e la torpediniera Castore; motonavi Nino Bixio e Monreale da Tripoli a Napoli con la
stessa scorta che ha scortato Pisani e
Reichenfels sulla rotta opposta)
fruenti della protezione a distanza dell’incrociatore leggero Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara) e dei
cacciatorpediniere Grecale e Scirocco. Sul Vivaldi sono imbarcati anche militari del Reggimento "San
Marco" diretti in Libia.
Lasciata Messina ed
uscito dallo Stretto, il convoglietto dirige verso sud con il Vivaldi in testa, seguito dalla Pisani, con Malocello e Sirtori in
posizione di scorta laterale. Le navi procedono a zig zag, come precauzione
contro eventuali sommergibili nemici; al traverso di Capo Spartivento accostano
verso est, seguendo la costa della Calabria.
Alle 16.37, al largo
di Capo Bruzzano (Calabria, non lontano da Capo Spartivento), il sommergibile
britannico Unbeaten (capitano
di corvetta Edward Arthur Woodward) avvista la Pisani ed uno dei cacciatorpediniere della scorta, a 7 miglia di
distanza su rilevamento 241°. Iniziata la manovra d’attacco, Woodward
sovrastima la stazza del bersaglio (11.000 tsl) e nota le altre due unità della
scorta (in questo momento la Pisani sta
procedendo con la scorta di Vivaldi, Malocello e Sirtori); alle 17.06 lancia quattro siluri da 3660 metri.
L’idrovolante assegnato alla scorta aerea, il CANT Z. 501 n. 4 della 184a Squadriglia,
avvista il siluro, stimandone la distanza di lancio dalle navi in circa 2000
metri, e dà l’allarme, poi sgancia due bombe da 160 kg sul presunto punto in
cui si dovrebbe trovare il sommergibile. La Sirtori spara una salva per dare l’allarme, poi si dirige
verso il sommergibile, gettando quattro bombe di profondità; il Malocello inverte la rotta e
lancia a sua volta 16 bombe di profondità.
Nessuno dei siluri va
a segno, così come è infruttuoso il contrattacco della scorta (l’ultima bomba
di profondità viene gettata alle 18.25). Dal diario di Gianbattista Pasqua: «Alle 17:10 a poco più di un miglio dalla
costa, nei pressi di Brancaleone veniamo silurati da un sottomarino nemico il
quale lancia 3 siluri in direzione del piroscafo. Ma… ha fatto il conto senza
l’oste: il Malocello di scorta laterale a dritta della formazione, avvista in
tempo le scie dei siluri e dà l’allarme. Accostiamo con rapida manovra a sinistra
evitando così i siluri che passano a poca distanza tra noi di poppa e di prora
al Pisani. Il Malocello ed il Sirtori vanno subito all’attacco del sommergibile
nemico che gli danno una caccia spietata con lancio di bombe subacquee. Noi
torniamo in rotta col piroscafo e lanciamo 5 bombe da getto a scopo
intimidatorio. Alle 18:15 il Malocello rientra in formazione: la Torp. Sirtori
rimane sul posto per dar la caccia al sottomarino nemico e per accertarsi del
relativo affondamento».
Il Vivaldi in navigazione con mare mosso (da “Don Vincenzo racconta”, a cura di Giancarlo Toran) |
17 marzo 1942
Alle 6.30 Vettor Pisani e scorta avvistano un
secondo gruppo proveniente da Napoli, composto dalla motonave tedesca Reichenfels scortata dalla
torpediniera Lince (che
lascia quindi la scorta e raggiunge Messina), e si congiungono con esso.
Il convoglio così
formato procede verso Tripoli lungo la rotta che passa ad est di Malta, con la
protezione a distanza di Duca
d’Aosta, Scirocco e Grecale, che si mantengono in contatto
visivo.
Alle 17.20 viene
avvistata una mina a proravia dritta, e venti minuti più tardi, sempre sulla
dritta, viene avvistato un aereo sospetto che vola tra le nuvole. Viene
intensificata la vigilanza, ma non si verificano attacchi aerei.
Passato a circa 200
miglia dall’isola insieme alla forza di protezione, il convoglio punta poi su
Tripoli. Alle 20.20 Reichenfels, Malocello e Pessagno si separano e formano un gruppo separato per la notte, in
modo da offrire un bersaglio più ridotto in caso di attacco nemico.
18 marzo 1942
Alle 7.15 il gruppo Reichenfels-Malocello-Pessagno viene
avvistato dal gruppo di cui fa parte il Vivaldi,
al quale torna ad unirsi. Verso le nove del mattino viene avvistata la costa
libica; alle 11.25 il Vivaldi lancia
nove bombe di profondità a scopo intimidatorio, per dissuadere eventuali
sommergibili nemici in agguato. In mattinata il convoglio viene raggiunto anche
dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari, inviatagli incontro da
Tripoli.
Alle 12.40 il
convoglio si dispone in linea di fila, ed il Vivaldi assume una velocità di 20 nodi per entrare in porto; alle
14.22 il Vivaldi entra nel porto di
Tripoli e va ad ormeggiarsi al Molo Sottoflutto, dove sbarca subito il
personale del Reggimento "San Marco". Entro le 15.15 tutto il
convoglio è in porto.
Arrivano così in
Libia 2623 tonnellate di carburanti e lubrificanti, 278 tra automezzi e
rimorchi, 36 carri armati, 3501 tonnellate di materiali vari e 103 soldati.
L’ammiraglio comandante la piazzaforte di Tripoli ed il capitano di vascello
Galati, ex comandante del Vivaldi ed
ora capo di Stato Maggiore del Comando Superiore Navale della Libia, si recano
a bordo del Vivaldi per
complimentarsi per il successo dell’operazione.
Alle 19.30 Vivaldi, Malocello, Pessagno, Zeno e Pallade ripartono da Tripoli per scortare a Napoli le
motonavi Nino Bixio e Monreale. Inizialmente le navi prendono
il mare in due gruppi: Vivaldi
(uscito dal porto alle 18.45), Malocello
e Monreale; Pessagno, Zeno, Pallade e Bixio.
I due convogli seguono
le rotte del Canale di Sicilia; il gruppo del Vivaldi procede in linea di fila, con il Vivaldi in testa, seguito dalla Monreale
e per ultimo dal Malocello.
19 marzo 1942
Alle 6.45 il Vivaldi avvista verso poppa il gruppo Bixio-Pessagno, cui si unisce, formando così un unico convoglio, che
viene raggiunto da una scorta aerea di velivoli da caccia.
Alle 10.26 viene
avvistata Pantelleria, alle 16.40 Favignana; un’ora dopo Vivaldi e Malocello lasciano
il convoglio (che prosegue con la scorta di Pessagno,
Pallade e Zeno), diretti a Trapani, dove giungono alle 19. Il resto del
convoglio arriverà regolarmente a Napoli l’indomani.
2 aprile 1942
Il Vivaldi, il cacciatorpediniere Mitragliere e l’incrociatore leggero Eugenio di Savoia (nave ammiraglia)
salpano da Taranto alle 19 per fornire protezione a distanza ad alcuni convogli
in navigazione verso la Libia nell’ambito dell’operazione «Lupo» (tre convogli
partiti da Taranto, Messina ed Augusta e diretti tutti a Tripoli, che
comprendono complessivamente le motonavi Lerici,
Monviso, Unione, Nino Bixio, Gino Allegri e Monreale, con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Emanuele Pessagno, Antonio Da Noli, Premuda,
Antonio Pigafetta, Euro, Folgore, Freccia e Nicolò Zeno e delle torpediniere Pallade, Cigno e Centauro).
3 aprile 1942
Dall’alba al tramonto
del 3 la formazione cui appartiene il Vivaldi
gode della protezione di una formazione aerea di 17 velivoli delle varie sa
formazione aerea di 17 velivoli delle varie specialità.
4 aprile 1942
Continua, durante
tutta la giornata, la protezione aerea sulla formazione. In mattinata, tra le 9
e le 10.30, i convogli dell’operazione «Lupo» raggiungono tutti indenni
Tripoli, ed alle 18.45 Vivaldi, Mitragliere ed Eugenio, compiuta la loro missione, rientrano a Taranto.
Tre foto
della messa pasquale celebrata a bordo del Vivaldi,
ormeggiato a Tripoli, per la Pasqua del 1942 (g.c. Adriano Pasqua):
7 aprile 1942
Alle 16.50 il Vivaldi (temporaneamente al comando del
capitano di fregata Adriano Foscari, essendosi ammalato il comandante
Castrogiovanni) salpa da Taranto insieme a Pigafetta
(al quale, in mancanza del comandante Castrogiovanni, viene ceduto il comando
della Squadriglia), Malocello e Zeno per scortare a Messina la corazzata
Duilio e l’incrociatore leggero Muzio Attendolo. Una volta in mare
aperto, la formazione assume una velocità di 20 nodi; il Vivaldi è in posizione di scorta laterale a dritta.
8 aprile 1942
Alle 2.12 viene
avvistato a poppavia sinistra un bengala lanciato da un aereo britannico; viene
pertanto ordinato il posto di combattimento, e si modifica la formazione per
preparasi a fronteggiare un attacco aereo. Alle 2.35 tutte le unità iniziano ad
emettere una spessa cortina fumogena per occultare la Duilio; questo provvedimento vanifica il lancio di ulteriori
bengala da parte degli aerei avversari, il cui rumore viene avvertito a tratti
sul cielo della formazione.
Alle 3.58, non
sentendosi più rumori sospetti ed essendo ormai cessato il lancio di bengala, i
cacciatorpediniere smettono di emettere cortine fumogene, adottando invece le
precauzioni (a partire dalla navigazione a zig zag) contro possibili attacchi
di sommergibili. Alle 6.05 si uniscono alla scorta due torpediniere e due MAS;
nello stretto di Messina la formazione cambia più volte rotta, per rendere più
difficile un eventuale attacco di sommergibili. Giunti davanti a Messina, la Duilio e l’Attendolo entrano in questo porto, mentre Zeno e Pigafetta fanno
rotta per Reggio Calabria; Vivaldi e Malocello (che in questo frangente è capo
sezione, essendo il suo comandante più anziano di Foscari), invece, proseguono
alla volta di Trapani, dove devono dislocarsi per partecipare alla posa del
campo minato «S 5» nel Canale di Sicilia. Il piano di posa di tale sbarramento
è stato più volte modificato e ridimensionato, per via del mutare delle unità
disponibili e delle condizioni generali; alla fine, data la situazione
favorevole in Mediterraneo (Mediterranean Fleet ridotta al lumicino dopo la
notte di Alessandria, Malta ridotta allo stremo dai bombardamenti aerei) e
l’avanzata ricominciata in Nordafrica, che spingono a ritenere inopportuno
distogliere troppe navi dalla scorta ai convogli, si è optato per un totale di
due linee di mine, composte da 180 ordigni ciascuna, posate da Vivaldi e Malocello (90 mine ciascuno) in due fasi successive.
Usciti a nord dallo
stretto di Messina, Vivaldi e Malocello, procedendo in linea di fronte
alla velocità di 18 nodi, seguono la costa settentrionale della Sicilia e
passano a poca distanza dalle Eolie; alle 12.50, avvistate due mine alla
deriva, fermano le macchine ed aprono il fuoco per fare esplodere gli ordigni.
Successivamente, su ordine del Malocello,
viene sospeso il fuoco e ripresa la navigazione, stavolta in linea di fila;
alle 16.08, giunti al traverso di Capo San Vito siculo, i due
cacciatorpediniere fanno rotta per Trapani, nella cui rada entrano alle 17.30.
Il Vivaldi supera le ostruzioni alle
18.40 e con l’assistenza di due rimorchiatori va ad ormeggiarsi alla banchina
Sanità.
10 aprile 1942
In mattinata il Vivaldi cambia ormeggio, andando al molo
Colombaia: qui inizia subito a caricare mine per la posa dello sbarramento «S
5». Il Vivaldi carica 90 mine del
tipo antisommergibili, con detonatore elettromagnetico; l’operazione è
completata entro mezzogiorno.
11 aprile 1942
Alle 00.45 il Vivaldi inizia ad accendere le caldaie
per prendere il mare alle 4.45, ma il tempo avverso – vento e fitta foschia –
costringe a rimandare la partenza di quattro ore e mezza. Vivaldi e Malocello salpano
infine da Trapani alle 9.15, per posare la spezzata «S 51» dello sbarramento «S
5»; una volta fuori dal porto, i due cacciatorpediniere si dispongono in linea
di fila ed assumono una velocità di 20 nodi, passando a poca distanza da
Favignana. Alle 10.12, al traverso di Marettimo, accostano verso sud; mancando
ormai poco, le mine vengono preparate alla posa. La posa avviene regolarmente
tra le 11.15 e le 11.40; l’operazione è così descritta da Gianbattista Pasqua
nel suo diario: «Ognuno pensa a scriver
qualcosa su questi ordigni destinati a far saltar in aria i sommergibili
nemici… da parte mia non manco di metter anch’io una dedica su varie mine
concepita in tali termini: “A Churchill, Roosevelt e Stalin poso con tutto il
cuore”. Alle 11:15 inizia la posa dello sbarramento che si esegue a scacchiere
fra noi ed il Malocello ad una distanza di circa 200 metri. Come lo scorso anno
faccio parte del gruppo affondatori di dritta ed assumo la direzione della
manovra per la spinta a mare delle mine che riesce con mia particolare soddisfazione.
11:48 Fine della posa dello sbarramento: si inverte la rotta dirigendo per il
rientro a Trapani».
Già alle 14.30 (15.30
per altra fonte) le due unità sono nuovamente a Trapani (il Vivaldi si ormeggia tra le boe 3 e 4),
dove imbarcano subito altre 180 mine.
12 aprile 1942
Caricate le
mine, Vivaldi e Malocello ripartono da Trapani alle
4.55 per posare la spezzata «S 52». Le mine vengono posate tra le 7.12 e le
7.34, senza intoppi, dopo di che i due cacciatorpediniere tornano a Trapani
(dove giungono alle 9.30, ormeggiandosi al molo Sanità) e ricevono ordine di
prepararsi per una nuova missione: la posa degli sbarramenti «M 5», «M 6» e «M
8» a sud di Malta.
18 aprile 1942
Vivaldi e Malocello, dopo aver
caricato le 156 mine (96 tipo Elia e 60 tipo P 200) destinate allo sbarramento
«M 5», lasciano Trapani per eseguire la posa. Lasciata Trapani, le due navi
dirigono immediatamente per passare vicino a Pantelleria; da quell’isola,
invece di dirigersi subito verso la zona in cui posare le mine, fanno rotta per
Linosa, allo scopo di ridurre al massimo la navigazione stimata (da 140 miglia
a 80) e di sfruttare il faro di Linosa per determinare la posizione con
maggiore precisione.
19 aprile 1942
Intorno alle
00.04 Vivaldi e Malocello iniziano a vedere, verso
Malta, accensione di proiettori, bengala e scoppi di proiettili contraerei: si
tratta di un’incursione aerea “di disturbo” concertata con la Luftwaffe, che la
esegue durante la posa. Alle 2.26 i due cacciatorpediniere, dispostisi in linea
di rilevamento, iniziano a posare le mine, su due file, con gli ordigni
sfalsati; alle 2.55 la posa è regolarmente conclusa e le due unità accelerano a
25 nodi, fanno rotta su Linosa e, determinata con precisione la posizione,
dirigono su Augusta, dove arrivano alle 11.35.
20 aprile 1942
In mattinata Vivaldi e Malocello imbarcano ad Augusta le mine destinate allo
sbarramento «M 7» (156 P 200, di cui 136 con antenna e 20 senza), ed alle 13.45
salpano per effettuare la posa, deviando nuovamente verso Linosa per gli stessi
motivi della missione precedente.
21 aprile 1942
Alle 00.43 le due
navi avvistano un bombardiere Bristol Blenheim, proveniente da Malta, puntare
verso di loro volando a circa 250 metri, sorvolarla nel senso della rotta e poi
sparire in direzione di Malta. Subito dopo, sia il Vivaldi che il Malocello intercettano
diverse comunicazioni radio aventi tutta la medesima caratteristica, e che
ritengono dunque provenire dall’aereo: dato che con ogni probabilità esso ha
comunicato a Malta l’avvistamento, la rotta e la velocità delle due navi, la
segretezza necessaria alla riuscita della posa è del tutto sfumata. All’1.05,
pertanto, il comandante del Vivaldi (capo
formazione, capitano di vascello Mario Mezzadra) ordina d’invertire la rotta e
tornare ad Augusta, dove entrambi arrivano alle 10.25.
Sbarcate le
mine, Vivaldi e Malocello ricevono l’ordine di
trasferirsi, rispettivamente, a Messina ed a Napoli.
La posa degli
sbarramenti «M 7» e «M 8» viene rimandata a data da definirsi, ma in realtà non
verrà più eseguita; lo sbarramento «M 5» finirà con l’essere l’ultimo campo
minato posato da navi italiane nelle acque di Malta.
25 aprile 1942
Il Vivaldi salpa da Reggio Calabria alle
11.30 per andare a sostituire il cacciatorpediniere Strale, tornato in porto per un’avaria di macchina, nella scorta ad
un convoglio partito da Brindisi alle 23.45 del 24 e diretto a Bengasi, formato
dai piroscafi Petrarca (italiano) e Savona (tedesco) con la scorta, dopo il
rientro forzato dello Strale, del solo
cacciatorpediniere Freccia. Il Vivaldi raggiunge il convoglio in
serata.
26 aprile 1942
Nel pomeriggio il Vivaldi ed il Petrarca, che è più veloce di un nodo rispetto al Savona (9 nodi anziché 8), si separano
da quest’ultimo e dal Freccia, per
procedere più speditamente. Durante la notte successiva Vivaldi e Petrarca
vengono attaccati da aerosiluranti con il lancio di due siluri, ma nessuna nave
viene colpita.
27 aprile 1942
Alle 12.30 Vivaldi e Petrarca giungono a Bengasi, dove alle sei di sera arrivano anche Freccia e Savona.
Alle 20 Vivaldi (caposcorta) e Freccia ripartono da Bengasi diretto a
Brindisi, scortando il piroscafo Capo
Orso.
28 aprile 1942
Alle 22.20, in
posizione 36°20’ N e 18°21’ E (in Mar Ionio), il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip
Stewart Francis) avvista tre navi oscurate su rilevamento 165°, a circa quattro
miglia e mezzo di distanza; dopo aver messo la poppa su di esse, alle 22.24 le
identifica come un mercantile di circa 3000 tsl scortato da due
cacciatorpediniere, pertanto decide di attaccare. Si tratta di Vivaldi, Freccia e Capo Orso.
Immersosi alle 22.25
per attaccare, alle 22.40 il Proteus
sprofonda a 18 metri a causa di una perdita d’assetto; tornato a quota
periscopica dieci minuti più tardi, alle 22.54 il sommergibile lancia il primo
di due siluri da 2740 metri, ma in seguito al lancio diviene temporaneamente
ingovernabile. Riottenuto il controllo, alle 22.57 lancia anche il secondo
siluro, da una distanza che intanto è calata a 1830 metri. Entrambi i siluri
mancano il bersaglio, e le navi italiane non si accorgono neanche dell’attacco;
alle 23.20 il Proteus emerge e si
mette all’inseguimento del convoglio, ma alle quattro del mattino del 29
aprile, avendo ormai perso il contatto, abbandona l’inseguimento.
29 aprile 1942
Vivaldi, Freccia e Capo Orso raggiungono Brindisi alle
21.30 (per altra fonte, il Vivaldi
avrebbe lasciato il convoglio all’altezza di Messina).
5 maggio 1942
Il Vivaldi (caposcorta, capitano di
vascello Ignazio Castrogiovanni) salpa da Napoli in mattinata insieme al cacciatorpediniere
Turbine ed alle torpediniere Circe ed Enrico Cosenz, per
scortare a Bengasi un convoglio composto dai piroscafi Trapani (tedesco) ed Anna
Maria Gualdi (italiano). La partenza dei piroscafi avviene tra le otto
e mezzogiorno.
In navigazione di guerra (g.c. Tobia Costagliola) |
6 maggio 1942
Nello stretto di
Messina si unisce al convoglio anche un terzo piroscafo, l’italiano Capo Arma, proveniente da Brindisi. La riunione
del convoglio avviene sotto la direzione del Vivaldi.
Alle 22 si aggrega
alla scorta la torpediniera Pegaso,
proveniente da Taranto.
7 maggio 1942
Alle 5.35 la Cosenz lascia la scorta del
convoglio, e la Circe fa lo
stesso alle 16.45.
Alle 16.32 il
sommergibile britannico Thorn (capitano
di corvetta Robert Galliano Norfolk) avvista in posizione 34°34’ N e 17°59’ E
del fumo, su rilevamento 335°. Il sommergibile – indirizzato verso il convoglio
sulla base di decrittazioni di “ULTRA” – accosta nella direzione in cui si
trova il fumo, ed alle 17.02 avvista gli alberi ed i fumaioli dei tre piroscafi
del convoglio, distanti 9150 metri, con rotta 170°. Norfolk avvista anche
cinque aerei di scorta, ed alle 17.15 anche due dei cacciatorpediniere della
scorta, uno a proravia del convoglio e l’altro al traverso a sinistra.
Alle 17.22 (fonti
italiane indicano l’orario dell’attacco nelle 17.30), in posizione 34°34’ N e
17°56’ E (180 miglia a nordovest di Bengasi), il Thorn lancia quattro siluri contro il mercantile di testa, l’Anna Maria Gualdi, da una distanza di
2750 metri: tutte le navi evitano i siluri con rapide manovre, poi Vivaldi e Pegaso contrattaccano, lanciando 35 bombe di profondità nell’arco
di un’ora. La Pegaso è
particolarmente attiva nel contrattacco, e ritiene di aver danneggiato il
sommergibile; in realtà, sebbene due pacchetti di bombe di profondità (composti
da cinque bombe ciascuno, i primi lanciati durante l’attacco) siano esplosi
piuttosto vicini al Thorn, il
sommergibile non ha subito danni.
8 maggio 1942
Tra le 2 e le 5.30 il
convoglio subisce ripetuti attacchi aerei; nessuna nave subisce danni, mentre
uno dei velivoli avversari viene abbattuto.
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 17.
Da Alessandria
d’Egitto, a seguito dell’avvistamento del convoglio, salpano il 10 maggio
(quando le navi sono già giunte a destinazione) i cacciatorpediniere
britannici Jervis, Kipling, Lively e Jackal,
con l’incarico di intercettarlo e distruggerlo al largo di Bengasi: non solo
non riusciranno a trovarlo (visto che è già in porto), ma saranno avvistati ed
attaccati dall’aviazione tedesca di base a Creta. Dei quattro
cacciatorpediniere, soltanto il Jervis riuscirà
a tornare alla base.
Il Vivaldi riparte da Bengasi già alle
19.45 per scortare a Taranto, insieme alla Pegaso,
la motonave Monviso; caposcorta
è ancora il Vivaldi.
9 maggio 1942
Alle 21, al largo
della Cirenaica, il convoglio di cui fa parte il Vivaldi si unisce ad un altro formato dalla motonave
tedesca Ankara e dal
cacciatorpediniere Turbine. A
mezzanotte, il Vivaldi lascia
la scorta diretto a Messina (il resto del convoglio giungerà regolarmente a
destinazione).
17 maggio 1942
Alle 23.45 il Vivaldi, partito da Messina, raggiunge
un convoglio in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle 9.30) a Bengasi,
formato dagli incrociatori ausiliari Città
di Napoli e Città di Tunisi
scortati da Pessagno, Malocello e dalla torpediniera Circe. Una volta raggiunto il convoglio,
il Vivaldi assume il ruolo di
caposcorta.
19 maggio 1942
Il convoglio
raggiunge Bengasi alle 7.45. Lo stesso giorno, dopo aver sbarcato il loro
carico, Città di Napoli e Città di Tunisi ripartono per
Napoli (formando il convoglio «B») con la scorta di Vivaldi (caposcorta) e Malocello.
20 maggio 1942
Alle 7.40 si unisce
alla scorta la torpediniera Circe.
Alle 9.15 un sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio con lancio di
siluri.
21 maggio 1942
Il convoglio arriva a
Napoli alle 6.
26 maggio 1942
Vivaldi (caposcorta), Malocello
ed Usodimare partono da
Napoli per Bengasi alle 9.30, insieme alla torpediniera Lince, scortando il convoglio «F»,
composto dagli incrociatori ausiliari Città
di Genova, Città di Napoli e Città di Tunisi.
27 maggio 1942
A Messina, alle due
di notte, la Lince viene
sostituita dal cacciatorpediniere Turbine.
Il convoglio subisce
due attacchi di sommergibili, alle 18.40 ed alle 19, ma nessuna nave viene
colpita.
28 maggio 1942
Il convoglio «F»
arriva a Bengasi alle 10.30.
Vivaldi (caposcorta), Malocello,
Usodimare e Turbine ripartono da Bengasi alle
10.40, sempre scortando le stesse tre navi del convoglio «F».
29 maggio 1942
Alle 10 il Turbine lascia il convoglio.
30 maggio 1942
Il convoglio «F»
raggiunge Napoli alle 13.30.
5 giugno 1942
Vivaldi (capo sezione, capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni)
e Malocello (capitano di fregata
Mario Leoni) partono da Napoli per Tripoli alle 18.30 in missione di trasporto
truppe, avendo a bordo un reparto organico del Regio Esercito composto in tutto
da 600 uomini.
La torpediniera Cigno accompagna le due navi fino a
Lampedusa, poi viene avvicendata dalla gemella Polluce, uscita da Tripoli.
6 giugno 1942
Vivaldi e Malocello arrivano
a Tripoli alle 19.
7 giugno 1942
Vivaldi (caposcorta), Malocello e
la torpediniera Polluce ripartono
da Tripoli per Napoli alle 22. 20 (o 23), di scorta alle motonavi
italiane Rosolino Pilo e Lerici ed alla tedesca Reichenfels. Le navi formano il
convoglio «K».
8 giugno 1942
Alle 17.25 il
convoglio «K», al largo di Ras Iddah, ne incontra un altro proveniente da
Palermo e diretto a Tripoli, con il piroscafo Numidia e la nave cisterna Caucaso scortate dalle torpediniere Castore e Clio.
La Polluce, come prestabilito,
passa al convoglio nuovo arrivato, assumendone il comando, mentre il «K»
prosegue verso la sua destinazione.
9 giugno 1942
Il convoglio giunge a
Napoli a mezzogiorno (od alle 14.35).
Il Vivaldi esce da Taranto alla testa di una squadriglia di torpediniere, a fine anni Trenta (foto Priore, via USMM e Dante Flore/www.naviearmatori.net) |
Mezzo Giugno ’42
Alle undici del
mattino del 13 giugno 1942 il Vivaldi
(capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni, caposquadriglia della XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere) ed il resto della XIV Squadriglia (Zeno e Malocello), per ordine dell’ammiraglio Luigi Sansonetti (sottocapo
di Stato Maggiore della Marina), lasciarono Napoli per trasferirsi a Messina,
dove dovevano arrivare alle 19. Prima di partire da Napoli, il Vivaldi aveva ricevuto la nafta del
gemello Da Recco, da questi ceduta
per ordine superiore.
Durante la
navigazione verso Messina, la XIV Squadriglia ricevette ordine di raggiungere
invece Palermo, dove i tre cacciatorpediniere diedero fondo alle 17.
Il cambio di
destinazione era scaturito da una telefonata tra Sansonetti e l’ammiraglio
Angelo Iachino, al comando della squadra navale incaricata di intercettare un
convoglio britannico in navigazione da Alessandria d’Egitto a Malta; Sansonetti
aveva informato Iachino di aver ordinato alla XIV Squadriglia di trasferirsi da
Napoli a Palermo (presumibilmente per aggregarla alla formazione di Iachino),
ma Iachino aveva risposto che sarebbe stato meglio inviare tale squadriglia a
Palermo per aggregarla alla VII Divisione dell’ammiraglio Alberto Da Zara,
partita da Cagliari alle 16 del 13 giugno e diretta nel capoluogo siciliano
(ove giunse alle 8.30 del 14), da dove sarebbe dovuta ripartire per attaccare
nel Canale di Sicilia un altro convoglio britannico in navigazione da
Gibilterra a Malta. Stava per avere inizio l’operazione «Mezzo Giugno».
Il mattino del 14
giugno i comandanti del Vivaldi e
delle altre unità della X e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e della VII
Divisione Navale vennero convocati a rapporto dall’ammiraglio di divisione
Alberto Da Zara sull’incrociatore leggero Eugenio di Savoia, sua nave di bandiera. Castrogiovanni fu
informato che la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere passava temporaneamente
alle dipendenze della VII Divisione; le navi, al comando di Da Zara, dovevano
salpare in serata per attaccare un convoglio con rifornimenti in navigazione da
Gibilterra a Malta nell’ambito dell’operazione britannica «Harpoon»: alle 10.40
di quel mattino Supermarina aveva ordinato al comandante della VII Divisione
che «EUGENIO e MONTECUCCOLI con ORIANI, GIOBERTI,
ASCARI, VIVALDI, MALOCELLO, ZENO, PREMUDA si trovino domattina 15 alle 05.00 a
5 miglia sud Pantelleria scopo attaccare convoglio nemico dopo suo transito
Canale Sicilia. Evitate impegnarvi con forze superiori. Sommergibili nazionali
operano tra meridiani 13° e 13°40’ e paralleli 35°40’ e 36°20’. Disposta
protezione aerei da caccia e scorta notturna. Marina Messina disponga scorta
aerea antisom. Comando 7a Divisione impartisca ordini diretti Ct
PREMUDA».
Dopo che una
precedente operazione di rifornimento di Malta svoltasi nel marzo 1942 (e
sfociata nell’inconclusivo scontro navale della seconda battaglia della Sirte)
si era conclusa con la perdita, causata dagli attacchi aerei, di 24.000 delle
25.000 tonnellate di rifornimenti inviati, la situazione dell’isola era
divenuta molto critica: in maggio si era dovuto introdurre il razionamento dei
viveri, e le calorie fornite quotidianamente alla guarnigione erano state
dimezzate (da 4000 a 2000) mentre per la popolazione civile la riduzione era
stata ancora più marcata (1500 calorie).
I comandi britannici,
pertanto, avevano programmato per metà giugno una duplice operazione di rifornimento,
articolata su due sotto-operazioni: “Harpoon”, il cui convoglio sarebbe partito
da Gibilterra, e “Vigorous”, che sarebbe partita invece da Alessandria.
Quest’ultima consisteva nell’invio di un convoglio di undici navi mercantili,
scortati da sette incrociatori leggeri, un incrociatore antiaereo, 26
cacciatorpediniere, 4 corvette, due dragamine, quattro motosiluranti e due navi
soccorso, in aggiunta alla vecchia nave bersaglio Centurion, una ex corazzata camuffata di nuovo, per l’occasione, da
corazzata nel tentativo – fallito – di far credere ai ricognitori italiani che
la scorta includesse appunto anche una nave da battaglia. Contro “Vigorous”
avrebbe preso il mare il grosso della flotta da battaglia italiana, al comando
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino.
Il convoglio
dell’operazione “Harpoon”, denominato W.S. 19/Z e partito da Gibilterra il 12
giugno, era invece composto da sei navi mercantili: i piroscafi britannici Burdwan, Orari e Troilus,
la motonave olandese Tanimbar,
la motonave statunitense Chant e
la nuovissima nave cisterna statunitense Kentucky, che trasportavano in tutto 43.000 tonnellate di
rifornimenti. La scorta diretta del convoglio, denominata Forza X, consisteva
nell’incrociatore antiaerei Cairo (capitano
di vascello Cecil Campbell Hardy, comandante della Forza X), nei
cacciatorpediniere di squadra Bedouin, Marne, Matchless, Ithuriel e Partridge (appartenenti alla 11th Destroyer
Flotilla), nei cacciatorpediniere di scorta (classe “Hunt”) Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak (appartenenti alla 19th Destroyer
Flotilla), nei dragamine Hebe, Speedy, Hythe e Rye ed
in sei “motolance” impiegate per il dragaggio (ML-121, ML-134, ML-135, ML-168, ML-459, ML-462). Tutte le unità della scorta erano
britanniche con l’eccezione del Kujawiak,
che è polacco.
In aggiunta alla
scorta diretta, nel primo tratto della navigazione (da Gibilterra fino a poco
prima dell’imbocco del Canale di Sicilia) il convoglio era accompagnato anche
da una poderosa forza di copertura, la Forza W del viceammiraglio Alban
Curteis: la componevano la corazzata Malaya,
le portaerei Eagle ed Argus, gli incrociatori leggeri Kenya (nave ammiraglia di
Curteis), Charybdis e Liverpool ed i
cacciatorpediniere Onslow, Icarus, Escapade, Wishart, Antelope, Westcott, Wrestler e Vidette.
Secondo lo storico Enrico
Cernuschi, Supermarina era stata allertata dal Reparto Informazioni della
Marina già il mattino dell’11 giugno, in seguito a decrittazioni di
comunicazioni britanniche ed a rilevazioni radiogoniometriche dalle quali era
emerso che un convoglio britannico diretto a Malta si apprestava ad entrare in
Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra. A queste avevano fatto seguito
segnalazioni da parte di osservatori italiani appostati ad Algeciras (vicino a
Gibilterra) e da spie italiane operanti su pescherecci spagnoli che navigavano
in quelle acque; infine, all’una del pomeriggio del 12 giugno, la ricognizione
aerea aveva fugato ogni dubbio.
Secondo la storia
ufficiale dell’USMM, invece, Supermarina aveva ricevuto le prime notizie su
“Harpoon” alle 7.55 del 12 giugno, quando informatori di base nella zona di
Gibilterra avevano comunicato la partenza da Gibilterra di una poderosa squadra
navale composta da Malaya, Eagle, Argus, almeno tre incrociatori e numerosi cacciatorpediniere (la
Forza W), diretta verso est, nonché il passaggio nello stretto, a fanali
spenti, di numerose navi provenienti dall’Atlantico. Il Comando della Marina
italiana aveva correttamente ipotizzato che fosse dunque in navigazione da
Gibilterra a Malta un grosso convoglio proveniente dall’Atlantico, impressione
confermata dai successivi avvistamenti della ricognizione aerea. Per
contrastare tale convoglio, Supermarina aveva messo a punto un piano che
prevedeva: l’invio di un ampio schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
occidentale; la dislocazione di torpediniere e MAS in agguato nel Canale di
Sicilia; la cooperazione con la Regia Aeronautica affinché il convoglio fosse
pesantemente attaccato da aerei a sud della Sardegna, indebolendone la scorta;
e l’invio di una formazione navale leggera, particolarmente adatta ad un
combattimento in acque circoscritte ed insidiate, per attaccare il convoglio a
sorpresa all’alba del 15. Quest’ultimo compito era appunto affidato alle navi
dell’ammiraglio Da Zara, che dovevano partire da Palermo la sera del 14 giugno.
Nella giornata del 14
giugno, le navi di “Harpoon” iniziarono a subire i primi attacchi da parte
degli aerei dell’Asse: operavano contro il convoglio tutti gli aerei
disponibili nelle basi di Sicilia e Sardegna, cioè 56 aerosiluranti italiani,
47 bombardieri orizzontali italiani, 21 bombardieri orizzontali tedeschi e 30
bombardieri in picchiata italiani (in parte Junkers Ju 87 ceduti dalla
Luftwaffe alla Regia Aeronautica, in parte biplani FIAT CR. 42 adattati per
questo ruolo), con la scorta di 103 caccia italiani e 27 tedeschi. Bombardieri
ed aerosiluranti compirono in tutto tredici attacchi (undici da parte degli
aerei italiani, due da parte di quelli tedeschi), scontrandosi con la poderosa
reazione contraerea delle navi britanniche nonché dei velivoli imbarcati sulle
due portaerei (18 caccia Hawker Hurricane e 6 caccia Fairey Fulmar). Nel corso
di questi attacchi, aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” della
Regia Aeronautica affondarono la motonave Tanimbar e silurarono l’incrociatore leggero Liverpool, danneggiandolo gravemente e
costringendolo a rientrare in porto. Dopo aver lanciato i siluri gli S.M. 79 mitragliarono
anche le navi del convoglio, arrecando danni superficiali alla motonave Chant. I FIAT CR. 42, con le loro bombe
alari, danneggiarono ulteriormente il Liverpool
ed arrecarono lievi danni anche al cacciatorpediniere Antelope, che l’aveva preso a rimorchio; i bombardieri tedeschi
danneggiarono leggermente con delle bombe cadute vicino (“near misses”) il cacciatorpediniere Westcott (che ebbe 3 morti e 5 feriti tra l’equipaggio) e l’Argus. Questi risultati furono pagati
con la perdita di diciotto aerei italiani e tre aerei tedeschi; da parte loro,
i britannici persero nove aerei, uno dei quali (un Fulmar) abbattuto dal “fuoco
amico” delle cacciatorpediniere HMS Wrestler
mentre tentava un appontaggio d’emergenza dopo essere stato danneggiato da un
FIAT CR. 42.
Non colsero invece
risultati né gli otto sommergibili italiani in agguato tra Orano e Capo Bon, né
le due torpediniere inviate a sud di Marettimo (nel caso di queste ultime,
perché il convoglio passò troppo lontano, rasentando la costa della Tunisia);
gli otto MAS usciti in mare dovettero rientrare in porto per via del mare
troppo mosso.
La formazione
britannica proseguì fino all’imbocco del Canale di Sicilia; qui (alle 20.15),
come previsto, la Forza W di Curteis invertì la rotta e diresse per rientrare a
Gibilterra, lasciando proseguire verso Malta il convoglio con la scorta della
Forza X di Hardy, alla velocità di 12 nodi.
Il Vivaldi (capitano di vascello
Ignazio Castrogiovanni) salpò da Palermo alle 19.24 insieme al resto della XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanzerotto
Malocello e Nicolò Zeno),
alla X Squadriglia (Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti ed Ascari) ed alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Raimondo
Montecuccoli ed Eugenio di
Savoia, al comando dell’ammiraglio Da Zara, imbarcato sull’Eugenio), per partecipare alla battaglia
aeronavale di Mezzo Giugno.
Nelle ore successive
si unì alla formazione anche il cacciatorpediniere Premuda, proveniente da Trapani. Le navi
ricevettero copertura aerea dall’Aeronautica della Sicilia.
Gli ordini per il
gruppo dell’ammiraglio Da Zara erano di trovarsi alle 5 del mattino del 15
giugno cinque miglia a sud di Pantelleria, in modo da attaccare il convoglio
dopo che esso fosse passato nel Canale di Sicilia, evitando di impegnarsi con
forze superiori.
Subito dopo la
partenza del gruppo da Palermo, tuttavia, Zeno e Gioberti subirono
avarie di macchina non riparabili con i mezzi disponibili, e furono dunque
costretti a tornare indietro; il numero dei cacciatorpediniere venne così
ridotto da sette a cinque (compreso il Premuda,
aggregatosi poco dopo). Le navi erano scortate da una sezione di caccia FIAT
CR. 42.
I due incrociatori
procedevano in linea di fila, Eugenio
(capitano di vascello Francesco Zannoni) in testa e Montecuccoli (capitano di vascello
Arturo Solari) in coda, con Vivaldi
(capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni) e Malocello (capitano di fregata Mario Leoni) sulla dritta, Premuda (capitano di fregata Mario
Bartalesi) sulla sinistra ed Ascari
(capitano di fregata Teodorico Capone) e Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci; a bordo il
caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, capitano di vascello
Aldo Pontremoli) a proravia della formazione. Durante la notte la formazione venne
cambiata, per premunirsi contro eventuali incontri notturni con navi di
superficie britanniche: Ascari, Oriani e Premuda procedettero in testa alla formazione, precedendo gli
incrociatori, mentre Vivaldi e Malocello, non abbastanza veloci, vennero
tenuti in coda alla formazione.
Alle 20.25, al largo
di Palermo, il gruppo di Da Zara venne avvistato da un ricognitore britannico,
che tuttavia non riuscì a seguirlo per verificare quale dovesse essere la sua
definitiva direttrice di marcia. L’ammiraglio Ralph Leatham, comandante della
base navale di Malta, stimò erroneamente che le navi di Da Zara fossero dirette
verso est per ricongiungersi con il grosso delle forze italiane
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto, incrociatori
pesanti Trento e Gorizia, incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Giuseppe Garibaldi e dieci
cacciatorpediniere della VII, XI e XIII Squadriglia) uscite da Taranto e
dirette contro l’altro convoglio britannico diretto a Malta, «Vigorous»,
proveniente da Alessandria. Di conseguenza, si limitò ad inviare aerei a
pattugliare lo Stretto di Messina ed a preparare a Malta un reparto di
aerosiluranti, da far decollare qualora la formazione fosse stata ritrovata dai
ricognitori.
L’ammiraglio Curteis,
che stava navigando verso Gibilterra, venne a sapere dell’avvistamento (proprio
da Letham) alle 22.15. Dopo aver valutato la possibilità di dover rinforzare la
Forza X, che contava soltanto su di un incrociatore contraereo e nove
cacciatorpediniere, Curteis decise di non mandare rinforzi, perché anche lui
non pensava che le navi di Da Zara intendessero far rotta verso ovest per
attaccare il convoglio di notte, né che intendessero entrare nella zona in cui
esso si sarebbe venuto a trovare all’alba, in quanto credeva che le navi
italiane ne rimanessero alla larga per restare fuori del raggio degli aerei di
Malta. Considerando che in precedenza (prima e seconda battaglia della Sirte)
formazioni di consistenza non molto maggiore della Forza X avevano saputo
tenere gruppi italiani di maggior potenza lontani dai convogli scortati,
Curteis decise di non distaccare alcun incrociatore per rinforzare la Forza X,
anche perché così facendo avrebbe indebolito la sua Forza W – lasciando le sue
due portaerei senza sufficiente protezione – nel momento in cui questa si
sarebbe venuta a trovare nel raggio d’azione dell’aeronautica della Sardegna,
dopo essersi già dovuto privare del Liverpool.
(Secondo la
ricostruzione dello storico Francesco Mattesini, invece, Curteis venne
informato dell’uscita in mare delle navi italiane nel pomeriggio del 14 giugno,
in seguito all’avvistamento della VII Divisione, partita da Cagliari e diretta
verso est, da parte dei sommergibili Unison
e Safari, in agguato tra Sicilia e
Sardegna. Al momento dell’avvistamento la VII Divisione era effettivamente
diretta verso est, essendo in trasferimento da Cagliari a Palermo – da dove poi
ripartì insieme ai cacciatorpediniere per andare ad intercettare «Harpoon», ma
questo i britannici non lo sapevano – : fu per questo che i comandi britannici
credettero erroneamente che quella formazione fosse diretta verso lo stretto di
Messina per entrare in Mar Ionio ed unirsi al nucleo principale dell’ammiraglio
Iachino, a sua volta avvistato nel Golfo di Taranto, con rotta verso sud, da un
ricognitore Martin Baltimore del 69th Squadron, decollato da Malta.
Sempre secondo Mattesini i britannici sarebbero stati al corrente dell’operazione
italiana contro il convoglio «Vigorous» anche attraverso le decrittazioni di
messaggi italiani e tedeschi da parte di “ULTRA”; che invece non sarebbe
evidentemente riuscita ad avere sentore della concomitante operazione italiana
contro «Harpoon»).
Contrariamente alle
aspettative di Letham e Curteis, il gruppo di Da Zara era invece diretto verso
ovest proprio con l’intento di attaccare il convoglio di «Harpoon» alle luci
dell’alba. La navigazione notturna delle navi italiane si svolse senza che si
verificassero eventi di rilievo; alle 23.50 l’ammiraglio Da Zara venne
informato che la corazzata e le portaerei (la Forza W) avevano invertito la
rotta al tramonto, ed alle 23.52 Supermarina precisò la composizione del
convoglio in 4-6 mercantili, scortati da 1-2 incrociatori e 10
cacciatorpediniere.
Alle due di notte del
15 giugno apparvero in cielo due bengala, che illuminavano il mare con la loro
luce rossastra. Il mare era calmissimo, con atmosfera limpida e cielo stellato.
Alle 2.52 Supermarina informò Da Zara che il convoglio sarebbe potuto essere in
leggero anticipo.
Alle tre di notte,
superata Marettimo, vennero viste delle vampe di cannonate in direzione di Capo
Bon: le unità della Forza X, di scorta al convoglio di “Harpoon”, stavano
infatti sparando contro illusori avvistamenti di MAS e torpediniere italiane,
dirette ad attaccare il convoglio, che credevano di vedere nel buio della
notte. In realtà, nessuna unità italiana di alcun tipo si trovava nei pressi
del convoglio: il cacciatorpediniere Ithuriel cannoneggiò
dalle 2.12 alle 2.20 quella che riteneva una torpediniera italiana ma che si
rivelò poi essere il relitto incagliato del cacciatorpediniere britannico Havock, qui arenatosi il precedente 6
aprile; il dragamine Rye ed
altre unità spararono contro immaginarie motosiluranti italiane, ma non era
altro che uno scherzo giocato ai marinai britannici dall’effetto combinato
della tensione e dell’oscurità (caso del resto non isolato nella guerra sul
mare).
Alle quattro del
mattino apparve all’orizzonte Pantelleria, e mezz’ora dopo gli equipaggi
italiani passarono dal posto di combattimento notturno al posto di
combattimento generale. Vennero alzate le bandiere di combattimento.
Alle 4.35, con
l’approssimarsi della zona in cui era ritenuto probabile l’incontro col nemico,
l’ammiraglio Da Zara dispose la X Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani, Ascari e Premuda)
a proravia degli incrociatori, e la XIV Squadriglia (Vivaldi e Malocello) a
poppavia. Ciò perché le navi della XIV Squadriglia erano le meno veloci della
formazione: di conseguenza, Da Zara pensò di utilizzarle per attaccare i lenti
mercantili, mentre gli incrociatori e la X Squadriglia avrebbero impegnato la
scorta. Alle 4.40 venne assunta rotta 180°, ed alle 5.05 la velocità venne
portata a 24 nodi.
Il convoglio
britannico, nel mentre, procedeva con i mercantili disposti su due colonne
precedute dal Cairo, con i
cinque cacciatorpediniere di squadra della 11th Destroyer
Flotilla (Bedouin in testa) in
posizione di scorta sulla dritta, ed i quattro cacciatorpediniere di scorta
della 12th Destroyer Flotilla (Blankney in
testa) sulla sinistra, mentre tutti i dragamine erano a poppavia della
formazione.
Poco dopo, le navi
italiane vennero avvistate da un caccia Bristol Beaufighter del 235th
Squadron RAF, decollato da Malta e diretto incontro alla Forza X per assumerne
la scorta aerea, il quale alle 5.20 comunicò per radiotelefono al Cairo che due incrociatori e
quattro cacciatorpediniere erano a 15 miglia di distanza, al suo traverso a
sinistra (però il messaggio, trasmesso dall’aereo alla base a terra e da
quest’ultima al Cairo, raggiunse
quest’ultimo solo alle 5.40, a combattimento già in corso). In quel momento il
convoglio si trovava 25 miglia a sudovest di Pantelleria e procedeva a 12 nodi
su rotta 130°.
Alle 5.27 il Matchless fu la prima nave britannica ad
avvistare le unità italiane, che si trovavano in condizioni di luce per loro
sfavorevoli (il sole stava sorgendo alle loro spalle, così le loro sagome si
stagliavano contro la luce dell’alba, mentre le navi britanniche si trovavano
ancora nella parte più scura dell’orizzonte); pochi minuti dopo, anche il Cairo avvistò in direzione 75° le
navi italiane, identificandole come due incrociatori leggeri tipo “Condottieri”
e cinque cacciatorpediniere, distanti dieci miglia e con rotta stimata 150°. L’avvistamento
delle forze italiane a bordo del Bedouin,
caposquadriglia dei cacciatorpediniere di squadra, è così descritto: “Alle 5.40 stava sorgendo il sole quando la
vedetta in coffa annunciò “Pescherecci algerini in vista”. Il comandante B. G.
Scurfield fissò le navi che apparivano oltre l’orizzonte. Non erano
pescherecci, ma due incrociatori e cinque cacciatorpediniere. La flotta
italiana li aveva trovati”.
L’arrivo di queste
navi fu una sorpresa per il comandante Hardy: durante la pianificazione
dell’operazione, i comandi britannici avevano escluso la possibilità di uno
scontro diurno con navi di superficie italiane nel Canale di Sicilia. Alle 5.31
il Cairo comunicò l’avvistamento al
resto del convoglio, e diede al Bedouin libertà
di movimento per attaccare la formazione italiana con gli altri
cacciatorpediniere di squadra.
Con questa mossa,
pianificata già prima della partenza e concordata con i comandanti dipendenti,
Hardy intendeva tenere a distanza le navi italiane e guadagnare tempo mentre
il Cairo, gli “Hunt” ed anche i
dragamine di squadra coprivano i mercantili con cortine nebbiogene e li dirottavano
verso la costa della Tunisia (il capoconvoglio diede infatti immediatamente ordine
di accostare ad un tempo verso la costa tunisina, poi confermato anche da Hardy
alle 5.45). Alle 5.35 anche il Badsworth
avvistò le navi italiane, confermando l’avvistamento del Matchless; alle 5.38 fu la volta del Blankney. La posizione rispetto al sole, che stava sorgendo alle
spalle delle navi italiane, era favorevole ai britannici, in quanto questi
ultimi erano ancora protetti da una relativa oscurità, mentre le sagome delle
unità di Da Zara si stagliavano contro il sole che sorgeva.
Da parte italiana, la
VII Divisione venne raggiunta dalla prima pattuglia di aerei da caccia alle
5.20 (complessivamente, nel corso della giornata ben 117 aerei si alternarono
sul cielo della Divisione, garantendole una protezione pressoché ininterrotta),
ed alla stessa ora vennero catapultati i due idrovolanti da ricognizione dell’Eugenio e del Montecuccoli. Il primo, tuttavia, venne danneggiato e costretto
all’ammaraggio alle 6.10 da un caccia Bristol Beaufighter proveniente da Malta,
mentre il secondo avvistò e tallonò le navi nemiche dalle 5.37 alle 6.25, ma
non poté comunicare nulla perché la sua radio si era guastata subito dopo il
decollo: in tal modo, Da Zara non ricevette alcun aiuto dai suoi ricognitori.
Alle 5.32, intanto,
il Montecuccoli fu la prima nave
italiana ad avvistare la Forza X su rilevamento 270°, ad una distanza stimata
di 20 km. Da Zara stimò la composizione del convoglio nemico in 6 piroscafi, 12
tra cacciatorpediniere e corvette e due incrociatori, questi ultimi in testa
alla formazione, e decise subito di lanciarsi all’attacco: portata la velocità
da 24 a 28 nodi alle 5.36, Eugenio e Montecuccoli aprirono il fuoco alle
5.39 contro i presunti incrociatori, da 19.000 metri di distanza.
In realtà questi
ultimi erano i due cacciatorpediniere di testa della 11th Flotilla, Bedouin e Partridge, che per le loro grosse dimensioni (il loro dislocamento era
quasi il doppio rispetto a quello degli “Hunt” rimasti con il convoglio) e la
considerevole distanza avevano tratto in inganno l’ammiraglio Da Zara. Alle
5.40 aprirono il fuoco anche Oriani
ed Ascari, sempre da 19.000 metri,
contro il Bedouin ed il Partridge (che li avvistarono nel
momento in cui si videro arrivare addosso i primi colpi), mentre il Premuda sparava contro il mercantile di
testa del convoglio (probabilmente la Kentucky,
che infatti si vide cadere diverse cannonate nelle proprie vicinanze), in
navigazione con rotta est.
Mentre la 11th Flotilla
passava a proravia del convoglio ed andava all’attacco, il Cairo e la 12th Flotilla
risposero al fuoco solo alle 5.50, perché i loro cannoni (erano armati con
pezzi da 102 mm, contro i 152 della VII Divisione) non avevano una gittata
sufficiente per poter rispondere prima in modo efficace. Intenzione di Hardy era
di mascherare il convoglio con le cortine fumogene e condurre un’azione
ritardante in attesa dell’arrivo da Malta di aerosiluranti che avrebbero potuto
attaccare le navi italiane, il cui intervento aveva richiesto alle 5.33, subito
dopo essere stato informato dal Matchless
dell’avvistamento della formazione attaccante (da parte sua, il comando di
Malta aveva già ordinato il decollo di tutti gli aerosiluranti disponibili alle
5.23). Il comandante britannico scrisse poi che il Cairo aveva sparato durante l’azione in modo intermittente e più
che altro per “effetto morale”, dato che gli incrociatori italiani non giunsero
mai a portata dei suoi cannoni.
Le disposizioni
impartite ai comandanti della scorta prima della partenza prevedevano che in
caso di scontro con navi nemiche la scorta avrebbe dovuto occultare il
convoglio con abbondanti cortine fumogene, dopo di che i cacciatorpediniere
sarebbero andati all’attacco silurante; tattica sperimentata con successo
dall’ammiraglio Philip Vian tre mesi prima, durante la seconda battaglia della
Sirte. Ma il complesso di navi a disposizione di Hardy era molto più eterogeneo
e meno addestrato ed affiatato rispetto a quello che Vian aveva avuto ai suoi
ordini; inoltre, di tutti i suoi cacciatorpediniere soltanto il Bedouin aveva esperienza di
combattimento contro navi di superficie. I piani originari prevedevano l’invio
in rinforzo della Forza X dell’incrociatore Liverpool,
qualora se ne fosse presentato il bisogno, ma quest’ultimo era stato gravemente
danneggiato dagli aerosiluranti italiani il giorno precedente e stava
faticosamente arrancando verso Gibilterra.
I cacciatorpediniere
di squadra britannici (Bedouin, Partridge, Ithuriel, Marne e Matchless) si diressero verso gli
incrociatori italiani formando una specie di linea di rilevamento per 180°,
linea molto grossolana e sconnessa perché le navi britanniche, a causa delle
cortine fumogene, faticavano a vedersi: dal Partridge
risultava visibile soltanto il Bedouin
(entrambi procedevano a 20 nodi), mentre l’Ithuriel
rimase arretrato ed ancor più lontani erano Marne
e Matchless, che alle 5.42 accelerarono
a 32 nodi per cercare di raggiungere il resto della flottiglia. Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak erano radunati vicino ai
mercantili, completamente avvolti dalle cortine nebbiogene; Hardy ordinò loro
di raggiungere i cacciatorpediniere di squadra per partecipare al contrattacco,
lasciando i soli dragamine a proteggere i mercantili. Alle 5.42 i quattro
“Hunt”, usciti dalla cortina nebbiogena, vennero presi sotto il tiro del Premuda.
Da parte italiana, la
prima salva risultò corta, ma la seconda cadde già a cavallo del Cairo, che subì qualche modesto danno da
schegge. Alle 5.44 l’ammiraglio Da Zara, avendo ulteriormente accelerato fino a
32 nodi alle 5.38, accostò verso il convoglio per ridurre le distanze e sparare
più efficacemente, indirizzando il fuoco principalmente sul Bedouin (capitano di fregata Bryan
Gouthwaite Scurfield, capoflottiglia della 11th Flotilla) e sugli
altri caccia della 11th Flotilla che stavano andando al
contrattacco. Più o meno nello stesso momento, il Bedouin ordinò alle unità dipendenti di accelerare a 22 nodi ed
attaccare col siluro; alle 5.45 Marne
e Matchless aprirono il fuoco contro
gli incrociatori italiani da 19.000 metri, mentre alle 5.46 Eugenio e Montecuccoli concentrarono il loro tiro sul Cairo. Poco dopo Bedouin
e Partridge, la cui velocità era
giunta a 25 nodi, aprirono anch’essi il fuoco sugli incrociatori italiani da
16.500 metri di distanza.
Ma i
cacciatorpediniere italiani stavano progressivamente perdendo terreno rispetto
ai due incrociatori della VII Divisione: alle 5.48 (per altra fonte già alle
5.38, subito dopo aver ricevuto l’ordine di Da Zara di portare la velocità a 32
nodi) il comandante Castrogiovanni comunicò a Da Zara – come del resto gli
aveva già riferito la sera precedente, prima di partire – che la XIV
Squadriglia non poteva superare i 28 nodi di velocità, il massimo che il Malocello riuscisse a raggiungere, e stava
scadendo di poppa agli incrociatori («Nostra
velocità massima nodi 28»); l’ammiraglio, non volendo ridurre la velocità
di tutta la sua formazione proprio mentre era in corso l’attacco della 11th Flotilla,
ordinò pertanto a Vivaldi e Malocello, alle 5.50 (5.47 per altra
fonte), di manovrare indipendentemente e di attaccare autonomamente le navi
mercantili (“Vivaldi – Malocello
attaccate il convoglio”), che erano visibili più a nord del gruppo
principale di navi da guerra britanniche, come aveva già pianificato (secondo
Marc’Antonio Bragadin, Da Zara avrebbe distaccato i due cacciatorpediniere per
attaccare il convoglio dopo aver visto che quest’ultimo stava allontanando verso
Capo Bon sotto la protezione di una cortina nebbiogena). Con le altre sue navi,
Da Zara si proponeva di tagliare la rotta al nemico, aggirarlo ed attaccare il
convoglio sull’altro lato.
La decisione di Da
Zara di accelerare a 32 nodi, facendo così scadere i cacciatorpediniere (per
primi Vivaldi e Malocello, che si trovavano a poppavia degli incrociatori, ma poi
anche i tre della X Squadriglia, che invece li precedevano) rispetto agli
incrociatori, e quella conseguente di distaccare Vivaldi e Malocello dal
resto della sua formazione per attaccare direttamente il convoglio, furono in
seguito criticate dall’ammiraglio Iachino, superiore di Da Zara, che considerò
inopportuna tale divisione delle forze subito prima dell’attacco (in un
documento denominato “Osservazioni sulla battaglia di Pantelleria”, datato 9
gennaio 1943, Iachino scrisse: «1°)
Velocità e frazionamento della F.N. Queste due questioni vanno esaminate
insieme poiché sono l’uno la conseguenza dell’altra. Ti confesso che le tue
argomentazioni in proposito non mi hanno convinto: rimango dell’opinione che
era preferibile affrontare il primo urto col nemico a forze riunite anziché
sparpagliate, e che perciò era meglio tener bassa la velocità (entro i 28
nodi). L’averla aumentata a 32 nodi non mi pare abbia portato reali vantaggi,
mentre ha certamente sottratto all’azione, nella prima fase del combattimento,
le armi dei 5 nostri CC.TT., proprio quando ve ne era più bisogno per
respingere un ardito attacco di siluranti avversarie. In quella fase
dell’azione gli incrociatori sono rimasti praticamente soli, poiché i due VIVALDI
erano già stati distaccati, ed i tre ORIANI stavano scadendo dalla parte
esterna rispetto al nemico, e perciò non prendevano alcuna parte utile alla
battaglia. L’inoperosità della X Squadriglia in questa fase è in parte da
attribuirsi alla scarsa iniziativa del suo Comandante, ma è certamente stata
provocata dall’eccessivo aumento di velocità degli incrociatori»). Anche il
comandante Malocello, capitano di
fregata Mario Leoni, nelle sue memorie pubblicate nel dopoguerra ("Sangue
di marinai") avrebbe criticato il comandante della VII Divisione,
accusandolo in sostanza di aver cercato per sé la gloria lanciandosi contro la
scorta per affondare qualche nave da guerra, e lasciando ai due soli
cacciatorpediniere della XIV Squadriglia il compito, più importante ai fini
dell’obiettivo dell’operazione, di attaccare il convoglio, compito ineseguibile
data la disparità di forze tra i due cacciatorpediniere della XIV Squadriglia
ed i quattro “Hunt” appoggiati anche dai dragamine (occorre però dire che Da
Zara aveva sovrastimato la composizione della scorta, scambiando alcuni dei
grossi cacciatorpediniere classe “Tribal” per incrociatori, e che la sua
decisione di affrontare prima la scorta era legata alla necessità di
neutralizzare prima quella che riteneva essere una grave minaccia per la VII
Divisione). Lo storico Francesco Mattesini scrive che “Non appena avvistate le navi della formazione britannica l’ammiraglio Da
Zara, nel dirigere all’attacco, partì letteralmente alla carica ordinando di
aumentare la velocità dapprima a 28 nodi per poi raggiungere gradatamente i 32
nodi. Questo fatto (…) ebbe un primo effetto negativo nella condotta dell’attacco
perché lasciò i cinque cacciatorpediniere della 7a Divisione Navale, a dover
inseguire gli incrociatori, perdendo cammino; specialmente le unità più lente
della 14a Squadriglia classe “Navigatori”, il Vivaldi e il Malocello”.
Una volta ricevuto
l’ordine, il Vivaldi si diresse
subito verso i fumi del convoglio assumendo rotta ovest/nordovest, seguito dal Malocello, emettendo fumo ed aprendo il
fuoco alle 5.47 da 18.000 metri contro le sagome dei mercantili che apparivano
saltuariamente in mezzo alla nebbia artificiale emessa dal Cairo e dagli “Hunt”; diversi colpi caddero in mezzo al convoglio
ed inquadrarono la motonave statunitense Chant, cadendo molto vicini ad essa ma senza colpirla.
Vivaldi e Malocello lanciati contro
il convoglio britannico a Mezzo Giugno, in un dipinto di Rudolf Claudus (da “In
Passage Perilous” di Vincent O’Hara, Indiana University Press, 2012)
Alle 5.54 i quattro
“Hunt” rimasti a proteggere il convoglio (Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak,
i primi tre britannici ed il quarto polacco), spuntati all’improvviso dalla
cortina nebbiogena, avvistarono su rilevamento 30° i due cacciatorpediniere
italiani (rispetto ai quali erano a proravia sinistra, su rotta parallela) in
avvicinamento e manovrarono per sbarrare loro la strada, assumendo rotta sud;
le due unità britanniche in posizione più avanzata – tra cui il Blankney, che procedeva in testa alla
formazione – aprirono subito il fuoco da 16.500 metri, la gittata massima dei
loro cannoni, ma il loro tiro risultò corto ed inefficace, e venne interrotto
dopo poche salve. Si unirono poi al tiro anche gli altri due “Hunt”, ed al
contempo (sempre alle 5.54) anche due dei cacciatorpediniere di squadra,
il Marne ed il Matchless – cioè le unità di coda della
“linea di fila” formata dalla 11th Destroyer Flotilla che stava
dirigendo all’attacco degli incrociatori: distavano 18.000 metri da Vivaldi e Malocello (secondo Vincent O’Hara, la distanza sarebbe invece stata
sensibilmente inferiore), rispetto ai quali erano più a sud –, pur continuando
a dirigere incontro alla VII Divisione, spostarono di propria iniziativa il
tiro da quest’ultima sulle unità della XIV Squadriglia, ritenute una minaccia
più immediata per le navi del convoglio (per altra fonte, invece, sarebbe stato
Hardy ad ordinare loro di spostare il tiro su Vivaldi e Malocello, con
un messaggio trasmesso in chiaro). Il Matchless tirò
contro il Vivaldi, il Marne contro il Malocello, entrambi da circa 16.500
metri di distanza; il comandante del Matchless
ritenne che diverse salve “a zig zag” avessero ripetutamente inquadrato i
bersagli. Vivaldi e Malocello, che stavano tentando di
aggirare il convoglio – avvolto dalle cortine fumogene – da sud (come aveva
giustamente intuito il comandante della 12th Destroyer Flotilla
quando li aveva avvistati), si vennero così a trovare sotto il fuoco di ben sei
cacciatorpediniere britannici (secondo il volume dell’U.S.M.M. sulle azioni
navali in Mediterraneo dall’1.4.1941 all’8.9.1943, addirittura di nove
cacciatorpediniere, perché oltre ai quattro “Hunt” avrebbero aperto il fuoco
contro di essi anche tutte le unità della 11th Flotilla, mentre
si dirigevano verso gli incrociatori), rispetto ai quali la distanza andò
calando fino a 7300-8200 metri; ciononostante, proseguirono in direzione del
convoglio. Alle 5.55, frattanto, il capoconvoglio britannico, capitano di
fregata J. P. W. Pilditch, comunicò all’Ammiragliato di essere sotto attacco da
parte di una formazione di consistenza stimata in “due incrociatori armati con cannoni da 203 mm, due incrociatori leggeri
e quattro o più grossi cacciatorpediniere”. Cinque minuti prima, Hardy
aveva ordinato al convoglio di assumere rotta 240°, ma da bordo delle unità
italiane i mercantili furono visti proseguire con rotta verso est.
L’apertura del fuoco da parte del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
Alle 5.58 Vivaldi e Malocello spararono a loro volta contro gli “Hunt”, che sbarravano
loro la strada, ritenendo a torto di aver colpito con un proiettile la terza
unità della formazione (il Badsworth),
che venne vista accostare, seguita per imitazione in tale manovra dal Kujawiak (quarto ed ultimo “Hunt”
della formazione, seguiva il suo capo sezione senza aver ancora potuto aprire
il fuoco; venne inquadrato da una salva ed alcuni colpi caddero nei suoi
pressi, ma senza colpirlo). La rotta verso sud assunta dai caccia britannici
costrinse Vivaldi e Malocello a seguire una rotta parallela
e divergente rispetto a quella dei mercantili, che intanto si allontanavano.
Alle 5.59, essendo
violentemente bersagliati da Marne e Matchless e non ritenendo possibile
serrare ulteriormente le distanze col convoglio, che stava dirigendo verso la
costa tunisina, Vivaldi e Malocello accostarono verso sinistra
(cioè verso sudest) e lanciarono il primo due siluri contro i mercantili più vicini
del convoglio e l’altro un siluro contro un cacciatorpediniere (il Kujawiak, che infatti avvistò ed evitò
un siluro, oppure – secondo Vincent O’Hara – uno dei grossi dragamine di
squadra, scambiato per un cacciatorpediniere), entrambi da circa 5800 metri di
distanza. Il Vivaldi, in particolare,
lanciò contro il Troilus (nave
capofila della sua colonna) ed il Chant,
ma senza successo.
Dopo il lancio, le
due navi della XIV Squadriglia continuarono a sparare alternativamente sui
mercantili, quando questi apparivano in mezzo alla nebbia, e contro i
cacciatorpediniere britannici, che per parte loro seguitavano a bersagliarli
con un fuoco molto intenso e centrato. Alle 6.05 il Vivaldi chiese sostegno nel combattimento alla VII Divisione.
Successivamente gli
“Hunt” vennero richiamati dal Cairo,
il cui comandante ordinò loro di raggiungerlo a tutta forza, e si allontanarono
verso sud, così Vivaldi e Malocello alternarono il loro tiro tra i
mercantili ed il Marne. Anche l’Ithuriel sparò alcuni colpi contro il Vivaldi, che aveva 12.800 metri a poppavia
dritta, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione agli incrociatori di Da
Zara.
Colpo a segno su un cacciatorpediniere nemico, in una foto di Gianbattista Pasqua (g.c. Adriano Pasqua) |
Alle 6.05 le navi
italiane videro un’alta fiammata ed una colonna di fumo nero levarsi al di là
della cortina fumogena, il che indusse gli equipaggi a ritenere che uno dei
mercantili fosse stato centrato dai loro siluri; anche l’ammiraglio Da Zara
ebbe questa impressione, tanto da definire la manovra di Castrogiovanni «brillante e decisiva». In realtà uno dei
bastimenti era stato effettivamente colpito, ma da bombe sganciate dagli aerei:
si trattava della Chant. Proprio a
quell’ora, infatti, otto bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 (secondo Enrico
Cernuschi) o quattro Junkers Ju 88 (secondo Francesco Mattesini) del I./KG. 54 del
II. Fliegerkorps – approfittando del fatto che la maggior parte della scorta
del convoglio, tra cui il Cairo con
il suo poderoso armamento antiaerei, aveva dovuto lasciarlo sguarnito per
affrontare le navi di Da Zara – attaccarono in picchiata i mercantili poco
difesi e colpirono con tre bombe la Chant
(questo secondo i rapporti britannici, mentre quello statunitense parla di una
singola bomba andata a segno sul lato di dritta, a centro nave), incendiandola.
Data la natura del carico (munizioni, benzina per aerei e carbone), che sarebbe
potuto esplodere da un momento all’altro, l’equipaggio della Chant abbandonò precipitosamente la nave
e venne raccolto al completo dalle motolancie ML (ad eccezione di tre uomini,
rimasti su una zattera e non visti dai soccorritori, che dopo aver rapidamente
recuperato gli altri naufraghi si erano allontanati dalla motonave in fiamme
col suo pericoloso carico: i tre vennero recuperati l’indomani dalla nave
ospedale italiana Città di Trapani),
che poi lo trasbordarono sul dragamine Hythe.
Abbandonata alla deriva, la Chant
continuò a bruciare furiosamente per alcune ore, venendo scossa da una prima
esplosione alle 7.17, per poi esplodere e spezzarsi in due alle 11.56 (un
troncone affondò subito, l’altro alle 13.46). Questo secondo la ricostruzione
di Enrico Cernuschi.
“Al sorgere del sole, nemico colpito” (g.c. Adriano Pasqua) |
In totale il
convoglio, che oltre ad essere privo della maggior parte della scorta navale
impegnata contro le navi italiane – il che, come detto, ne indebolì di molto la
protezione antiaerea, così agevolando l’azione dei bombardieri – non poteva
neanche ricevere l’aiuto degli Spitfire di Malta, essendo ancora al di fuori
del loro raggio d’azione, venne attaccato nell’arco di due ore da 30
bombardieri Junkers Ju 88 del I./KG. 54, KGr. 606 e KG. 806, decollati dalle
basi della Sicilia suddivisi in tre formazioni.
Un’altra bomba
(sganciata durante un attacco da parte di sette Ju 88 del KGr. 606 e caduta in
mare a pochi metri dalla poppa, provocando la rottura della condotta principale
del vapore) immobilizzò alle 6.22 la nave cisterna Kentucky, che – subito abbandonata dall’equipaggio, pur non essendo
in pericolo di affondamento – venne presa a rimorchio dal dragamine Hebe; uno degli Ju 88 venne abbattuto
dal Troilus. Il Partridge, che era riuscito a rimettere
in moto, prese frattanto a rimorchio il Bedouin.
Un’altra foto scattata a bordo del Vivaldi durante la battaglia di Pantelleria (g.c. Adriano Pasqua) |
Nel suo libro "In
Passage Perilous", Vincent O’Hara mette tuttavia in discussione la tesi –
universalmente accettata dagli storici che hanno scritto su Mezzo Giugno – secondo
cui il Chant sarebbe stato vittima di
un attacco aereo, evidenziando le discrepanze tra gli orari delle varie
relazioni britanniche e quelli in cui si verificarono gli attacchi aerei
italo-tedeschi sul convoglio. Il caposcorta Hardy, che nel suo rapporto
attribuì la perdita della Chant ad un
attacco condotto da otto Ju 87 intorno alle 6.10, non assisté personalmente
all’attacco, mentre i comandanti di altre unità diedero informazioni
discordanti sull’orario (le differenze tra un rapporto e l’altro arrivano fino
ad un’ora e venti minuti) e sulle modalità dell’attacco: secondo il comandante
della ML 35, la Chant fu colpita da
bombe intorno alle sei del mattino; secondo il capoconvoglio, la motonave fu
colpita durante un attacco aereo iniziato alle 5.40; secondo il comandante
della 3rd Motor-Launch Flotilla,
la Chant venne colpita da degli Ju 88
intorno alle sei del mattino ed affondò in pochi minuti; secondo il comandante
del dragamine Speedy, la Chant venne colpita intorno alle 6.05
durante un attacco di Ju 88 (dei quali il “colpevole” sarebbe stato abbattuto
proprio dallo Speedy) ed affondò in
circa dieci minuti. Secondo il comandante del mercantile che procedeva a fianco
della Chant, quest’ultima venne
colpita da bombe, sbandò fortemente e fu rapidamente avvolta dalle fiamme, per
poi affondare in breve tempo, lasciando in superficie soltanto fiamme e fumo
che permasero sulla zona per la maggior parte della giornata.
Anche il numero
delle bombe che avrebbero colpito la motonave statunitense, da una a tre, varia
a seconda della fonte. O’Hara puntualizza che gli aerei che colpirono la Chant, contrariamente a quanto affermato
da Hardy, non potevano essere degli Ju 87: l’unico reparto aereo dotato di
bombardieri di questo tipo in tutta la Sicilia era il 102° Gruppo della Regia
Aeronautica, che effettuò il proprio attacco soltanto sei ore più tardi. In
tutta la mattinata, anzi, non si verificò alcun attacco da parte
dell’Aeronautica della Sicilia, in quanto gli aerei alle sue dipendenze avevano
già consumato tutti i siluri disponibili, tranne quattro, negli attacchi del
giorno precedente, ed inoltre c’erano stati problemi nel rifornimento di bombe
e di carburante per i bombardieri perché la maggior parte del materiale
necessario e del personale specializzato si trovava nelle basi della Sicilia
occidentale. Inoltre, la Regia Aeronautica non voleva intervenire mentre era in
corso un’azione navale di superficie per il timore – non infondato, come si
vedrà più avanti – di bombardare unità amiche. Per quanto riguarda la
Luftwaffe, secondo la storia ufficiale italiana due gruppi di Ju 88 tedeschi
attaccarono il convoglio durante la mattinata; in particolare, secondo il
resoconto dell’O.B.S. (Oberbefehlshaber
Sud) quattro Ju 88 condussero un attacco tra le 5.43 e le 6.30, affondando
un mercantile, ed altri sette attaccarono tra le 6.06 e le 6.22, colpendo
quattro mercantili tra cui una nave cisterna (la Kentucky).
Secondo O’Hara, considerando la confusione del momento –
l’attacco aereo in corso da parte degli Ju 88, i proiettili navali sparati da
grande distanza che scoppiavano in mezzo al convoglio, il fumo e la scarsa
visibilità –, mentre “la maggior parte
degli indizi indicano che uno Ju 88 bombardò ed affondò la Chant, essi non
escludono la possibilità di un siluro lanciato da un cacciatorpediniere
italiano: l’improvviso ed estremo sbandamento assunto dal trasporto [come
descritto dal comandante del mercantile che si trovava vicino ad esso] ed il suo rapido affondamento indicano danni
al di sotto della linea di galleggiamento, come quelli che sarebbero stati
inflitti da un siluro”. I siluri usati dal Vivaldi, ordigni modello W270f da 533 mm, avevano una velocità di
28 nodi (1667 metri al minuto), il che appare compatibile con un centro sulla Chant a cinque minuti di distanza dal
lancio; cioè il tempo che effettivamente trascorse tra i lanci di Vivaldi e Malocello e l’esplosione verificatasi sulla motonave statunitense.
Il Malocello spara sul nemico durante la battaglia, in una foto scattata dal Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
Colpi nemici in arrivo (g.c. Adriano Pasqua) |
Dopo il lancio dei
siluri, siccome il convoglio era avvolto dalle cortine fumogene continuamente
emesse da dragamine e motolancie, Vivaldi
e Malocello ingaggiarono i
cacciatorpediniere della 12th Flotilla, che si trovavano a sud delle
unità italiane, mentre Marne e Matchless – che erano più a sudest –
sparavano sui due caccia della XIV Squadriglia (ciò fino alle 6.10, quando
spostarono il tiro sugli incrociatori di Da Zara).
Un’altra foto scattata da Gianbattista Pasqua durante la battaglia di Pantelleria (g.c. Adriano Pasqua) |
Alle 6.07 il Vivaldi venne colpito da un
proiettile da 120 mm del Matchless
nella sala macchine prodiera: il colpo causò gravi danni (numerose schegge
crivellarono le tubolature del vapore e della nafta, ed altre ancora
appiccarono un incendio nell’adiacente deposito munizioni principale) ed a
bordo della nave italiana si scatenò ben presto un violento incendio, che si
aggravò rapidamente e già alle 6.15 divenne pressoché incontrollabile,
costringendo il Vivaldi a
ridurre di molto la velocità, navigando a lento moto mentre il Malocello riduceva a sua volta la
velocità a soli 7 nodi e stendeva cortine nebbiogene per proteggerlo ed
occultarlo. (Anche l’origine di questo colpo è oggetto di discussione: la
maggior parte delle fonti identificano l’autore del centro nel Matchless, in quanto il Marne osservò proprio alle 6.07 fuoco e
fumo presso la plancia del Vivaldi
dopo una salva dell’unità gemella; tuttavia Vincent O’Hara, che fornisce un orario
diverso del colpo a segno – le 6.15 – ritiene per questo più probabile che il
colpo sia stato sparato da uno degli “Hunt”, pur restando valida anche la
possibilità del Matchless, e
puntualizza che anche il Partridge
stava sparando su Vivaldi e Malocello in questo periodo, e che
dunque non è del tutto impossibile che il colpo sia venuto anche da questa
nave).
Nel locale colpito,
subito invaso dal vapore surriscaldato fuoriuscito dalle tubolature tranciate,
persero la vita quattro fuochisti (Giuseppe Comino, Ciro De Biase, Alfio
Ridolfi e Luigi Pirone), mentre il tenente del Genio Navale Orazio Calì ed il
capo meccanico di seconda classe Salvatore Cipollone, trattenutisi nel locale
nel tentativo di arginare i danni, rimasero mortalmente ustionati. Sarebbero
spirati entrambi, Cipollone dopo alcune ore, Calì il giorno seguente. Altri tre
uomini – il sottocapo furiere Remo Dondina, il sottocapo cannoniere Oslavio
Sartoris ed il marinaio Edoardo Simonetti –, addetti al rifornimento di uno dei
complessi da 120 mm, rimasero uccisi da un’esplosione verificatasi nel deposito
di munizioni in cui si trovavano, surriscaldatosi a seguito dell’incendio che
divampava nel vicino locale macchine.
L’incendio sul Vivaldi durante la battaglia di Pantelleria (g.c. Adriano Pasqua)
Le navi britanniche
osservarono il colpo a segno sul Vivaldi,
che venne visto allontanarsi emettendo fumo. Nel mentre, alle 6.10 (o 6.12), i
due caccia della XIV Squadriglia videro a loro volta un’esplosione sulla prua
di un cacciatorpediniere britannico, che invertì la rotta facendo fumo: un
proiettile del Premuda era
infatti appena scoppiato vicinissimo al cacciatorpediniere Ithuriel, danneggiandolo in modo lieve,
ed il Matchless lo stava coprendo con
cortine nebbiogene. Nella confusione del momento, tuttavia, gli equipaggi
di Vivaldi e Malocello credettero di essere stati
loro a colpire l’unità nemica, il che ebbe l’effetto positivo di risollevare il
morale degli equipaggi.
Il comandante Leoni
del Malocello avrebbe così descritto
questa fase del combattimento nel suo libro "Sangue di marinai": “La risposta al nostro tiro è immediata ed
energica. Per tre o quattro minuti i colpi nemici cadono solamente attorno al Vivaldi,
che appare abbastanza bene inquadrato. Ma la tregua nei nostri riguardi è di
breve durata perché ben presto i primi colpi cominciano a cadere anche tutto
intorno a noi, mentre la distanza dal nemico scende rapidamente. (…) Qui siamo soltanto in due e, finché avremo
davanti a noi questi quattro cacciatorpediniere che sembrano un vulcano di
fuoco, non potremo certo illuderci di arrivare a contatto con quel dannato
convoglio, che tra poco sarà dove sarà… La situazione si va facendo sempre più
critica perché le distanze diminuiscono ancora, obbligando alle 6.05 il Vivaldi
a chiedere alla Divisione di essere sostenuto nel combattimento. Quasi
contemporaneamente dalla sua coperta si alza una colonna di fumo nero, mentre
dal fianco dritto esce del vapore: è stato colpito! Fino a questo momento gli
inglesi hanno trovato nel comandante Castrogiovanni un degno avversario che per
generosità e per istinto ha cercato di portarsi il più vicino possibile a loro,
ma ora la sua nave è stata colpita al cuore e ha dovuto fermarsi ed i quattro
cacciatorpediniere nemici vengono risolutamente all’attacco mettendoci la prora
sopra. La prima fase della battaglia è finita per noi e sta per iniziarsi
quella che sarà probabilmente decisiva. Sono le 6.07 e stiamo sparando da
diciannove minuti. I colpi arrivano sempre più fitti e precisi. Ordino di
emettere la cortina fumogena per occultare il Vivaldi che quasi
contemporaneamente mi chiede di sostenerlo nel combattimento e, da questo
momento fino alla fine dell’azione, pendolerò tra il mio sezionario e le navi
inglesi alla velocità di 7 nodi per evitare che la cortina di fumo si dissolva
lasciandolo esposto al tiro nemico”.
Alle 6.20 il vento fece
uscire Vivaldi e Malocello dalla cortina fumogena da essi
stesa; il capoflottiglia degli “Hunt” (capitano di fregata Philip Frederick
Powlett, del Blankney) ordinò
allora a Badsworth e Kujawiak – che erano rimasti arretrati a
causa dell’accostata in fuori eseguita poco prima, mentre erano inquadrati dal
tiro della XIV Squadriglia – di dirigersi contro di essi, considerandoli
pericolosi per il convoglio. Dato che il Vivaldi stava per fermarsi, tuttavia, entrambe le unità
italiane ripiegarono di nuovo all’interno della cortina nebbiogena, e poco dopo
(6.22) il Vivaldi rimase
immobilizzato, con un violento incendio a bordo ed anche il timone in avaria.
Badsworth e Kujawiak abbandonarono
allora la manovra di attacco e ripresero a navigare verso il Cairo, ma alle 6.30 le navi della XIV
Squadriglia avvistarono l’Ithuriel in
avvicinamento da una parte, seguito dal Cairo e dal Matchless,
e dall’altra parte il Bedouin (che
si trovava immobilizzato dopo essere stato colpito dal tiro della VII
Divisione) ed il Partridge (che
stava navigando a 15 nodi). Il comandante Hardy stava infatti dirigendo verso
nord per ricongiungersi con i quattro “Hunt” ed impegnare insieme ad essi Vivaldi e Malocello.
Alle 6.30 un
bombardiere ritenuto britannico sganciò infruttuosamente le sue bombe (quattro
ordigni da 250 kg, sganciati “a pacchetto”) contro l’immobilizzato Vivaldi; non si trattava, in realtà, di
un aereo nemico, bensì di un bombardiere tedesco Junkers Ju 88 del KG 54
(decollato dalla base siciliana di Comiso insieme ad un altro aereo dello
stesso tipo, abbattuto durante l’attacco al convoglio), che – avendo dapprima
faticato a trovare il convoglio in mezzo alla nebbia, ed essendo poi
fortunosamente scampato all’attacco di un caccia pesante Bristol Beaufighter
che lo aveva impegnato e gli aveva impedito di attaccare fin dopo le 6.20 – aveva
scambiato l’unità di Castrogiovanni per una nave britannica.
Alle 6.37 (o 6.36) Ithuriel, Cairo e Matchless aprirono
il fuoco contro Vivaldi e Malocello, che risposero al fuoco; i
cacciatorpediniere avversari si avvicinarono fino a 4500 metri, concentrandosi
sul Vivaldi in difficoltà,
con l’intenzione di dargli il colpo di grazia. Da bordo del Vivaldi si riusciva a leggere le lettere
del distintivo presente sulla prua del cacciatorpediniere nemico più vicino: H
68 (evidentemente un errore, perché questa era la sigla identificativa del
Foresight, non presente a Mezzo Giugno: si trattava in realtà del Partridge, la cui sigla era G 30, ed a
causa della distanza “G” e “3” erano stati probabilmente scambiati
rispettivamente per “6” e “8”); contro di esso il cacciatorpediniere
danneggiato lanciò due siluri, senza successo, ma inducendolo ad accostare in
fuori coprendosi con cortine nebbiogene (il lancio fu eseguito dall’impianto
prodiero, benché questo fosse circondato dal fumo e dal vapore surriscaldato, dal
secondo capo silurista Mario Valeri). Anche il Vivaldi emise fumo per coprirsi. Il Malocello, intanto, girava intorno al caposquadriglia ferito
coprendolo a sua volta con ulteriori cortine fumogene, e seguitando a fare
fuoco sulle navi avversarie; queste ultime lanciano due siluri contro il Vivaldi, ma benché questi fosse
immobilizzato, entrambe le armi gli passarono di poppa senza fare danni. Il comandante
Castrogiovanni, ritenendo che per il Vivaldi
fosse giunta la fine, comunicò all’ammiraglio Da Zara «Combatterò fino all’ultimo. Viva il Re!» ed ordinò al Malocello di abbandonarlo e
disimpegnarsi con la sua nave («Abbandonatemi
et allontanatevi alt Vivaldi»), ma il Malocello continuò invece a girargli intorno sparando ed
occultandolo con cortine fumogene, dopo di che andò al contrattacco, lanciando
due siluri da 7000 metri contro un incrociatore (il Cairo) e sparando coi cannoni contro un cacciatorpediniere (l’Ithuriel; ciò secondo Enrico Cernuschi,
mentre Vincent P. O’Hara ritiene che questa azione sia stata diretta contro Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak, emersi in quel momento da una
cortina nebbiogena da una distanza di circa 9150 metri).
Il comandante Leoni
del Malocello avrebbe così ricordato
quei drammatici momenti, anni dopo, nelle sue memorie: “…i quattro cacciatorpediniere si avvicinano sempre di più, mentre il Vivaldi
tenta di rimettere in moto e vi riesce soltanto per qualche minuto perché poi
deve fermarsi nuovamente. Da tutti e due i suoi fumaioli si alzano alte colonne
di fuoco miste a densissime volute di fumo nero: è evidente che ha un incendio
in caldaia. Da questo momento il Vivaldi cessa di sparare, o meglio sparerà
solamente di tanto in tanto qualche colpo isolato (…) La distanza è ormai ravvicinatissima: gli inglesi serrano ancor più le
distanze, tanto che, ad un certo momento, i nostri stereotelemetri danno 5700
metri (4500 secondo il Vivaldi) (…) Non
c’è da sperare di uscir salvi da questa bolgia di ferro e di fuoco che dura
ormai dal momento in cui il Vivaldi è stato colpito, cioè da oltre mezz’ora. Ad
un tratto mi si avvicina rapidamente il radiotelegrafista (…) tiene stretto nella mano un foglio di carta
(…) Leggo: «Abbandonatemi et
allontanatevi alt Vivaldi». Restituisco il foglio, dicendo: “Non lo
abbandoneremo”. (…) Il gesto di
Castrogiovanni è sublime perché, pur di salvare il Malocello, si offre al
sicuro sacrificio. Ma non lo abbandoneremo e, se dovremo perire, periremo
insieme. Tengo sempre d’occhio il Vivaldi in preda alle fiamme: scorgo
distintamente la figura del suo comandante che va e viene sulla plancia in
maniche di camicia e l’equipaggio riunito in due gruppi distinti e separati fra
loro dalla zona incendiata. Non un solo colpo cade in prossimità del Vivaldi, sempre
perfettamente occultato all’osservazione nemica dalla nostra cortina di fumo…».
Il comandante Leoni
parlò di un’azione contro un gruppo di quattro cacciatorpediniere, guidati da
un’unità di maggiori dimensioni, e ritenne che il suo contrattacco li avesse
costretti a ritirarsi dietro una cortina fumogena. Da parte britannica, il
comandante della 12th Destroyer Flotilla ritenne erroneamente che Vivaldi e Malocello stessero ancora tentando di attaccare il convoglio e
decise di inviare contro di essi Badsworth
e Kujawiak, ma prima di poter
segnalare l’ordine con le bandierine i due cacciatorpediniere italiani
scomparvero nella cortina emessa dal Malocello,
così che egli decise di proseguire verso sud con tutti e quattro i suoi “Hunt”).
Anche il Partridge, intanto, si diresse verso Vivaldi e Malocello subito dopo averli avvistati, facendo fuoco contro di
essi, per proteggere il Bedouin che
si trovava immobilizzato. Nel suo rapporto, il comandante del Partridge scrisse poi di aver ingaggiato
due cacciatorpediniere italiani che stavano sparando sul Bedouin, e che si sarebbero poi ritirati verso sudest (secondo
Vincent O’Hara, sarebbe stato questo lo scontro descritto più sopra, durante il
quale il Vivaldi lanciò due siluri
contro il cacciatorpediniere "H 68"/"G 30", anche perché
Castrogiovanni menzionò che una delle unità nemiche – evidentemente il Partridge – appariva danneggiata e si
stava allontanando a 15 nodi).
Alle 6.40 il
comandante Hardy del Cairo,
ritenendo che Vivaldi e Malocello costituissero una
minaccia per il convoglio, ordinò che quest’ultimo – che poco prima aveva
invece ricevuto ordine di riprendere la navigazione verso sudest – si allontanasse
facendo rotta verso nordovest, manovra però che portò a notevole perdita di
tempo.
Vivaldi e Malocello ebbero
poi uno scambio di cannonate con Bedouin e Partridge: alle 6.45 il Malocello concentrò il suo tiro
sul Bedouin, ed il Partridge – che in quel momento era
giunto a 4500 metri – comunicò erroneamente al Cairo, a causa di un errore di cifratura, che i
cacciatorpediniere italiani stavano attaccando il convoglio; pertanto, alle
6.48 il comandante Hardy ordinò ai quattro “Hunt” di invertire la rotta e
tornare presso il convoglio (lo raggiunsero alle 8.40), per difenderlo dal
ritorno dei due cacciatorpediniere della XIV Squadriglia. Hardy, impegnato in quel
momento contro la VII Divisione, dovette così privarsi di metà dei
cacciatorpediniere disponibili; in generale il messaggio del Partridge provocò una certa confusione
sia sul Cairo che sul Troilus, mercantile capoconvoglio. Del
resto, la formazione di quest’ultimo era ormai nel caos, a causa del
susseguirsi di attacchi aerei e navali da esso subiti.
Poco dopo, quando
tutto sembrava perduto per le due navi di Castrogiovanni, le navi britanniche
abbandonarono il loro attacco e si allontanarono verso sud: Hardy, infatti, aveva
richiamato verso di sé il Marne ed il
Matchless per avere un rinforzo
contro gli incrociatori italiani contro i quali stava combattendo, oltre ad
ordinare agli “Hunt” di tornare verso il convoglio.
Il Vivaldi era salvo: rimessa faticosamente
in moto, alle 6.46, la motrice poppiera, iniziò a navigare a bassa velocità con
rotta nordest, verso Pantelleria, scortato dal Malocello, manovrando per aggirare da nord il campo minato 7 AN
(lungo 25 miglia, orientato in direzione nord-sud, e situato ad est dell acque
in cui si stava svolgendo la battaglia). Bedouin
e Partridge, ultime unità britanniche
visibili, vennero perse di vista entro le 7.09. Nel corso dello scontro, il Vivaldi aveva sparato in tutto circa 300
colpi da 120 mm.
L’incendio, però, non
accennava a diminuire: l’intera zona centrale era in preda alle fiamme, che
“tagliavano in due” la nave impedendo a chi si trovava a poppa di andare a
prua, e viceversa. Castrogiovanni chiese a Leoni di mandare sul Vivaldi tutti gli estintori disponibili,
e di prendere a bordo del Malocello i
feriti del Vivaldi.
Membri dell’equipaggio del Vivaldi rifugiatisi a prua, al riparo dall’incendio (g.c. Adriano Pasqua) |
Nel frattempo, infuriava
il combattimento tra le altre navi di Da Zara e la scorta britannica al comando
di Hardy. Eugenio e Montecuccoli ricevettero ciascuno un
colpo a bordo, ma con danni lievissimi; il Cairo venne anch’esso colpito una volta in modo non grave,
mentre subirono seri danni Bedouin e Partridge, che vennero entrambi colpiti
più volte fino a rimanere immobilizzati. Il Marne, il Matchless e
l’Ithuriel subirono modesti
danni da schegge per colpi caduti vicini. Alle 6.17 l’ammiraglio Da Zara,
informato della critica situazione del Vivaldi (che
gli aveva dapprima chiesto sostegno e poi aveva riferito di essere
immobilizzato: in quel momento la nave di Castrogiovanni era infatti ancora
ferma e sotto l’attacco di almeno quattro cacciatorpediniere nemici, difesa dal
solo Malocello), decise di
inviare verso nord in suo soccorso tutta la X Squadriglia Cacciatorpediniere (capitano
di vascello Riccardo Pontremoli dell’Oriani),
mentre proseguiva l’azione con i soli incrociatori. Nel suo rapporto Da Zara
scrisse poi che «Considero la situazione
del VIVALDI assai precaria e la scorta del solo MALOCELLO insufficiente (…)
Decido allora di riunire tutti i Ct in un
unico gruppo la cui consistenza, mentre dà maggiore protezione al VIVALDI, può
costituire anche una seria minaccia al convoglio. Coi due incrociatori, invece,
decido di avvolgere la formazione nemica e di puntare sui piroscafi, ottenendo
così sia di alleggerire un’eventuale pressione sui miei Ct sia di puntare
direttamente all’obiettivo principale (…)». (Lo storico Francesco Mattesini
individua nella decisione di inviare la X Squadriglia in aiuto del Vivaldi uno dei due fattori negativi che
avrebbero contribuito al parziale insuccesso della VII Divisione, che non
riuscì ad annientare completamente il convoglio affondando anche l’Orari ed il Troilus: in tal modo, infatti, la formazione italiana si ritrovò
divisa in tre gruppi – Eugenio e Montecuccoli; Vivaldi e Malocello; Oriani, Ascari e Premuda – molto distanti
fra loro ed impegnati contro altrettanti gruppi britannici di consistenza
numericamente superiore).
Alle 6.18, pertanto, Oriani, Ascari e Premuda accostarono
a dritta ed assunsero rotta nord per raggiungere Vivaldi e Malocello; ma poco
dopo s’imbatterono nei quattro “Hunt”, che impedirono loro di passare. Il
caposquadriglia Pontremoli, non potendosi allontanare verso est perché da
quella parte c’era il campo minato italiano 7 AN, assunse rotta sud/sudest per
aggirarlo sul lato meridionale e risalirne poi il lato orientale (con rotta
nordest) fino a raggiungere il Vivaldi
a nord di quello sbarramento di mine, perdendo parecchio tempo con questa
manovra; la X Squadriglia raggiunse infatti Vivaldi
e Malocello alle 7.55 (per altre fonti,
le 7.15 o le 7.35, mentre secondo Vincent O’Hara la X Squadriglia avrebbe
avvistato Vivaldi e Malocello verso nord soltanto alle 8.45),
quando il Vivaldi non aveva più
bisogno di aiuto, essendosi i cacciatorpediniere britannici già ritirati da
tempo. Dopo la riunione delle due squadriglie, ci si preparò a far prendere il Vivaldi a rimorchio dal Premuda.
Alle 9.05 Da Zara
ordinò a Pontremoli di riunirsi alla VII Divisione con le sue unità,
lasciandone una a cooperare con il Malocello nella
scorta ed assistenza al Vivaldi.
Alle 9.30, pertanto, Oriani ed Ascari ritornarono a ricongiungersi con
la VII Divisione, lasciando sul posto il Premuda (capitano di fregata Mario Bartalesi) che, non
essendosi potuto rifornire a Trapani, era il più a corto di carburante. (La
condotta della X Squadriglia fu per questo duramente criticata dall’ammiraglio
Iachino nelle sue “Osservazioni sulla battaglia di Pantelleria”: «…Né più brillante è stato il comportamento di
questa Squadriglia quando, alle 6.16, è stata mandata verso Nord a prestare
assistenza al 151 gruppo VIVALDI. Essa infatti, dopo invertita la rotta, si è
trovata faccia a faccia con i CC.TT. nemici che, ultimato l’attacco alla nostra
formazione, ripiegavano sul grosso. Scambiandoli per un nuovo gruppo nemico, e
ritenendo che fra essi vi fosse un incrociatore, la Squadriglia ha continuato
ad accostare assumendo rotta a Sud-Est, ed ha poi pensato bene di passare a
levante dello sbarramento per arrivare da Nord sul punto ove il VIVALDI
aspettava la sua assistenza! Fortunatamente il nemico aveva desistito
dall’attacco al VIVALDI, e questo, accompagnato dal MALOCELLO, aveva potuto
riprendere la rotta a Nord, in modo che il congiungimento colla X Squadriglia
ha potuto aver luogo alle 7.55 in acque ormai tranquille». Analoghe
considerazioni vennero ribadite da Iachino in una lettera a Da Zara. Anche lo
storico Vincent P. O’Hara, nel suo libro "In Passage Perilous",
critica la decisione di Pontremoli, che lasciò Vivaldi e Malocello a sé
stessi per un’ora e mezza, ed in "Struggle for the Middle Sea"
scrive: “Questa rotta circolare [seguita
dalla X Squadriglia] consumò tempo e
prezioso carburante, e lasciò il Vivaldi esposto per quasi due ore, se i
britannici fossero stati interessati a finirlo”).
Alle 6.50 il
capoconvoglio britannico accostò verso sudest, sperando di poter proseguire
verso Malta con la protezione della Forza X, che stava continuando a combattere
contro le navi italiane; ma alle 7.40 Hardy gli ordinò di assumere rotta
nordovest, per poi accostare per sud alle 9 e per rotta 130° alle 9.30. Gli
incrociatori di Da Zara, perso il contatto col convoglio alle 8.15 (avvolto
nelle cortine nebbiogene, si era allontanato verso nord), aggirarono da sud lo
sbarramento di mine 7 AN e poi ritornarono verso ovest per intercettare le navi
britanniche; alle 11.23 avvistarono i fumi degli incendi delle navi colpite
dagli aerei, e si diressero verso di esse. Intanto, alle 10.20, anche la Burdwan venne immobilizzata da un altro
attacco aereo tedesco (undici Junkers Ju 88 del I./KG. 54 scortati da
quattordici caccia Messerschmitt Bf 109 del II./JG. 53), venendo presa a
rimorchio dal Badsworth. Sia la Burdwan che la Kentucky erano immobilizzate, ma non avevano subito danni tali da
comprometterne la sopravvivenza, e da parte britannica si sperava di riuscire a
portarle in salvo rimorchiandole fino a Malta con i loro preziosi carichi, come
accaduto in passato con altri mercantili danneggiati dagli aerei; dinanzi
all’incalzare delle navi di Da Zara, tuttavia, i britannici furono costretti ad
interrompere il rimorchio, evacuando gli equipaggi dei due mercantili ed
abbandonando le due navi al loro destino, non prima di aver incendiato la Kentucky evitarne la cattura da parte
delle navi italiane.
Alle 13.25 un
aerosilurante italiano S.M. 79 “Sparviero” affondò l’immobilizzato Bedouin, che nel frattempo aveva
incassato diversi altri colpi sparati dagli incrociatori, mentre Burdwan e Kentucky vennero finiti dall’azione combinata di Oriani ed Ascari e da altri attacchi aerei; il dragamine Hebe venne colpito e danneggiato dal
tiro del Montecuccoli (secondo alcune
fonti, questo sarebbe stato in assoluto il “centro” da 152 mm ottenuto da più
lunga distanza nella storia della guerra sul mare). Le navi di Da Zara colpirono
di nuovo anche il Partridge e tentarono
d’inseguirlo, ma alle 14.20 abbandonarono l’inseguimento, dato che le distanze
non accennavano a diminuire ed anzi andavano aumentando.
Ebbe così termine il
combattimento; i due mercantili britannici superstiti, Orari e Troilus, e la loro scorta (i piani prevedevano che la Forza X
sarebbe dovuta rientrare subito a Gibilterra, ma i consumi di carburante
sostenuti durante il combattimento la costrinsero ad entrare alla Valletta per
rifornirsi) riuscirono a raggiungere Malta, con sei ore di ritardo rispetto ai
programmi, ma a causa di errori nel calcolo della posizione – tra l’altro, le
sei motolancie tipo ML che facevano parte della scorta non erano state
impiegate, come invece era previsto, per dragare la rotta seguita dal convoglio
(durante la notte, anzi, erano state scambiate per motosiluranti nemiche,
gettando la formazione nuovamente nello scompiglio) – uscirono, nel buio, dal
canale dragato e finirono dapprima sugli stessi campi minati difensivi
britannici della Valletta e poi su altre mine posate tempo addietro, a poche
centinaia di metri dall’imboccatura del porto, da MAS italiani e da S-Boote
tedesche (secondo "Struggle for the Middle Sea" di Vincent O’Hara,
invece, il campo minato su cui finì il convoglio «Harpoon» era stato posato il
mese precedente proprio da Vivaldi e Malocello, che avevano usato mine di
fabbricazione svedese e nuove contromisure elettroniche tedesche che avevano
impedito ai radar costieri di Malta di localizzare i due cacciatorpediniere).
Affondarono sulle mine il cacciatorpediniere polacco Kujawiak ed il dragamine ausiliario Justified (quest’ultimo inviato incontro al convoglio da Malta),
mentre rimasero seriamente danneggiati l’Orari
(che perse parte del carico di farina, contaminato dall’acqua mista a nafta che
aveva allagato parte delle stive), l’Hebe ed
i cacciatorpediniere Matchless e Badsworth.
Complessivamente,
nello scontro di Pantelleria vennero stati sparati 3371 colpi di cannone dalle
navi italiane, e circa altrettanti da quelle britanniche; ciò rende questa
battaglia il combattimento navale in cui in assoluto si ebbe il maggior scambio
di colpi tra navi italiane e britanniche nella seconda guerra mondiale. Dei
colpi italiani, oltre ad un numero imprecisato di centri sul Burdwan e sul Kentucky, 15 avevano colpito il Bedouin,
tre il Partridge, due il Cairo ed uno l’Hebe. Da parte britannica erano stati ottenuti tre centri: uno sul Vivaldi, uno sul Montecuccoli ed uno sull’Eugenio.
Complessivamente, su
93.000 tonnellate di rifornimenti partiti da Gibilterra ed Alessandria per
Malta con i due convogli “Harpoon” e “Vigorous”, raggiunsero Malta 15.000
tonnellate di “Harpoon” (su 43.000 partite) e nessuna di “Vigorous” (su 50.000
partite: l’intero convoglio, dopo aver subito perdite per gli attacchi aerei, venne
fatto rientrare per evitare lo scontro con la squadra dell’ammiraglio Iachino,
di gran lunga più potente). La perdita del carburante trasportato dalla Kentucky costrinse a limitare l’attività
degli aerei di base a Malta in attesa dell’arrivo di altri rifornimenti, dando
la priorità all’aviazione da caccia rispetto a bombardieri ed aerosiluranti.
Quanto alla XIV
Squadriglia, alle 6.55 uscirono da Pantelleria quattro MAS (il MAS 557, il MAS 560, il MAS 563 ed il
MAS 564) inviati dal comandante di
tale Zona Militare Marittima, contrammiraglio Amilcare Cesarano, per fornire
protezione a Vivaldi, Malocello e Premuda. In un secondo momento lo stesso
ammiraglio Cesarano si recò sul posto con altri due MAS, per verificare di
persona la situazione ed i provvedimenti da prendere. Il comandante Leoni del Malocello, ritenendo inutile la presenza
dei MAS, suggerì loro di andare ad attaccare il convoglio, ma essi risposero
che i loro ordini erano di fornire scorta antisommergibili ai due
cacciatorpediniere.
La situazione del Vivaldi era estremamente grave: il forte
incendio scoppiato nella sala macchine prodiera si stava estendendo verso
poppa, a dispetto degli sforzi dell’equipaggio che per cercare di circoscrivere
le fiamme stava usando tutti gli estintori e le pompe antincendio; alle 7.57 si
verificò un’esplosione nel deposito munizioni centrale, nonostante questo fosse
stato già allagato a scopo precauzionale. Per ordine del comandante
Castrogiovanni, erano stati infatti allagati tutti e tre i depositi munizioni e
si era provveduto a buttare in mare tutti gli esplosivi che si trovavano nelle
riservette dei complessi da 120 mm, oltre ad ogni altro oggetto infiammabile.
L’ordine non poté essere eseguito per alcune cartucce della riservetta del
complesso centrale da 120 mm, ormai già completamente avvolto dalle fiamme;
queste scoppiarono infatti intorno alle 8.15. Alle 8.30, siccome il Vivaldi aveva completamente esaurito il
contenuto dei propri estintori, un MAS si portò sottobordo a Malocello e Premuda per imbarcare tutti gli
estintori disponibili sulle due unità, che poi portò sul caposquadriglia
incendiato.
Sul Vivaldi, l’equipaggio si fece in quattro
per salvare la nave. Il secondo capo silurista Valeri allontanò dalle fiamme
degli esplosivi che rischiavano di esserne intaccati con conseguenze
disastrose; il secondo capo meccanico Virginio Fasan accorse tra i primi in un
deposito munizioni incendiato e contribuì a spegnere le fiamme, a costo di
restare ustionato; il “maestro di casa” Giovanni Benvenuto, un cameriere civile
militarizzato, soccorse feriti in locali invasi dal vapore surriscaldato e si
distinse nella lotta contro gli incendi; il timoniere Carlo Fiornovelli, messo
fuori uso il timone, mise in funzione quello di fortuna ed aiutò poi a domare
gli incendi; l’ufficiale commissario, tenente Salvatore Falco, ed il marinaio
Bartolomeo Riello entrarono in locali semiallagati e minacciati dall’incendio
per distruggere i documenti segreti e recuperare gli oggetti di valore.
Intanto il Malocello si affiancò al Vivaldi e ne prese a bordo i feriti
gravi, i quali, mancando una vera e propria infermeria, vennero adagiati sul
pavimento della centrale di tiro. I più erano terribilmente ustionati dalle
fiamme e dal vapore e, nonostante le cure prestate con i pochi mezzi disponibili
a bordo (per le quali venne totalmente esaurito il materiale medico di bordo:
le iniezioni di morfina vennero praticate fin quasi al raggiungimento della
dose di tossicità, ma spesso questo non fu sufficiente), molti di essi,
sbarcati a Pantelleria nel pomeriggio, morirono durante la notte seguente. (Per
altra fonte, i feriti più gravi sarebbero stati trasbordati dal Vivaldi direttamente sui MAS, in modo da
poter essere portati a terra il prima possibile). Avrebbe scritto Mario Leoni: “La situazione del Vivaldi appariva di
momento in momento sempre più critica, perché l’incendio si andava sempre più
estendendo e tutto il centro della nave appariva in fiamme mentre di tanto in
tanto avvenivano delle esplosioni di munizioni che erano rimaste nelle norie o
vicino all’impianto centrale. Castrogiovanni mi chiede di inviargli tutti gli
estintori disponibili e di accogliere i suoi feriti a bordo. (…) Nel frattempo arrivano sottobordo tre MAS
provenienti da Pantelleria (…) Da uno
di questi, comandato da un tenente di vascello, si grida rivolti verso di noi:
“Siamo a vostra disposizione!” “Sta bene. Andate ad attaccare i piroscafi che
si vedono laggiù”. “Ma noi abbiamo ordine di farvi la scorta antisommergibile!”
“Non ne abbiamo affatto bisogno” (chissà che razza di sommergibili dovremmo
trovare qui in mezzo ai campi minati, Dio solo lo sa…) “Ma questi sono gli
ordini”. (…) Intanto sono arrivati
sottobordo i feriti del Vivaldi, che appaiono in condizioni spaventose. Il
primo ad essere portato a bordo è un ufficiale di macchina completamente nudo e
che è letteralmente scuoiato: ha le carni scoperte e dal corpo gli pendono
lembi di pelle, mentre, spettacolo orribile, la pelle del braccio si è
rovesciata come un guanto e rimane appesa alle unghie delle dita… Si lamenta
penosamente ed invoca la madre. Anche gli altri sono più o meno nelle stesse
condizioni e passano, trasportati a mano, tra il mio equipaggio ammutolito e
commosso. Fino a questo momento non hanno potuto essere nemmeno medicati, per
cui li affido al medico che, in mancanza di un locale adatto, li fa collocare
sul pavimento della centrale di tiro. Da questo momento un lamento incessante,
lugubre, terribile sale sul ponte di comando. Quando cesserà? Come potrò fare
con questi feriti se dovremo riprendere il combattimento? Dopo qualche tempo
torna sulla plancia il tenente medico che mi comunica d’aver finito di
medicarli e che per tale bisogna è stato impiegato tutto il materiale di
medicazione di bordo. Intanto l’urlo continua, assillante e straziante.
“Dottore, ha fatto loro delle iniezioni di morfina?” “Sì, ma ora non se ne
possono fare delle altre” “Perché?” “Si raggiungerebbe la dose tossica” “Ma
quali sono esattamente le condizioni di questi feriti?” “Gravissime. Nessuno
arriverà a questa sera” “Ma allora che razza di scrupoli sono questi? Prima di
tutto è meglio che non soffrano, le pare?””.
Alle 8.50 il Malocello cercò di prendere a
rimorchio il Vivaldi, ma il cavo
si spezzò. Ci provò allora il Premuda (per
altra fonte, il Premuda avrebbe
preso a rimorchio il Vivaldi fin
dalle 7.57, ma sembra probabile un errore), ma alle 9.36 la formazione venne
attaccata da quattro aerosiluranti Fairey Albacore (altre fonti parlano,
erroneamente, di Fairey Swordfish) dell’828th (o 830th)
Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Malta insieme a due Bristol Beaufort
del 217th Squadron R.A.F. (e ad una scorta di sedici caccia
Supermarine Spitfire del 249th Squadron RAF, che erano però dovuti
tornare indietro prima del previsto per insufficiente autonomia) e guidati dal
capitano di corvetta A. J. J. Roe. Erano questi gli unici aerei che Malta aveva
potuto inviare a protezione del convoglio: erano infatti decollati quattro ore
prima, subito dopo la ricezione a Malta della notizia della presenza di navi da
guerra italiane a sud di Pantelleria.
Malocello e Premuda manovrarono
prontamente per evitare i siluri e girarono intorno al Vivaldi, occultandolo con cortine
nebbiogene mentre gli Albacore si avvicinavano volando a bassa quota: difatti
nessuna delle tre navi venne colpita, benché il Vivaldi fosse immobile ed i siluri fossero sganciati da ridotta
distanza.
Attacco aerosilurante durante la battaglia di Pantelleria, visto da bordo del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua) |
Anziché attaccare
l’immobilizzato caposquadriglia della XIV Squadriglia, bersaglio perfetto, gli
aerosiluranti sembrarono concentrarsi soprattutto sul Malocello, che riuscì a schivare tutti i siluri con rapide manovre;
il rabbioso tiro contraereo di tutte le unità, MAS compresi, ebbe un ruolo
notevole nello sventare l’attacco. (Per altra versione, il Malocello cercò di prendere
il Vivaldi a rimorchio alle
9.25, ma il tentativo era in corso quando, alle 9.30, avvenne l’attacco degli
aerosiluranti: il Malocello,
bersaglio principale dell’attacco, dovette allora accelerare rapidamente,
strappando i cavi di rimorchio – non c’era stato il tempo di mollarli – ed
evitando con rapide manovre i quattro siluri. Arrivò poi il Premuda, che prese il Vivaldi a rimorchio dato che il Malocello non aveva più cavi). I piloti
degli Albacore rivendicarono erroneamente di aver colpito con due siluri “un
incrociatore”, causando una forte esplosione a centro nave, e “forse anche un
grosso cacciatorpediniere”.
Alle 9.50 si verificò
un secondo attacco da parte di sette bombardieri, che sganciarono circa 30
bombe da 1500 metri di quota: tutti gli ordigni caddero in mare, a circa un
chilometro sulla sinistra del Vivaldi.
In realtà, come si seppe in seguito, non erano sette bombardieri ma nove e,
soprattutto, erano italiani: nove Savoia Marchetti S.M. 84 del 4° Gruppo della
Regia Aeronautica, armati con bombe antinave da 160 kg, che li avevano
scambiati per navi nemiche. Era dunque la seconda volta, in poche ore, che
aerei dell’Asse tentavano – per fortuna senza successo – di fare la festa al
povero cacciatorpediniere italiano. (Secondo Vincent O’Hara, questo attacco
ebbe luogo alle 9.37 e gli S.M. 84 sganciarono le bombe da 3000 metri di quota,
avendo scambiato il gruppo del Vivaldi
per una parte del convoglio).
Mario Leoni avrebbe
così descritto, nelle sue memorie, i tentativi di rimorchio del Vivaldi: “Nel frattempo inizio le operazioni per prendere a rimorchio il Vivaldi,
e l’impresa è tutt’altro che facile perché tutto il centro dell’unità è invaso
dalle fiamme e l’equipaggio è rimasto separato parte a prora e parte a poppa.
Alle 9.25, quando finalmente ho già preso a bordo i cavi di rimorchio, le
vedette segnalano degli aerei che dirigono su di noi. (…) mi sembrano degli Swordfish (…) E noi siamo fermi e per di più legati con tanto
di cavi d’acciaio al Vivaldi. (…) Non
resta che tentar di rompere i cavi d’acciaio e mettersi in moto (…) i cavi saltano, fuettando sibilando in aria
e poi cadono in mare: siamo liberi. (…) I
due siluri passano dopo pochi secondi quasi sotto la prora (…) Anche questa è passata: decisamente oggi non
è una buona giornata per gli inglesi. Meglio così: buono per noi, peggio per
loro. L’incarico di rimorchiare il Vivaldi se lo prende ora il Premuda, perché
noi abbiamo perduto i cavi. Tale operazione non è semplice né scevra di
pericoli, non soltanto per l’eventualità di esplosioni, ma anche perché il Vivaldi
è ora alquanto sbandato su un fianco e sembra in procinto di affondare. Il
Premuda (…) con decisa e rapida
manovra, accosta al Vivaldi, cosicché in breve i cavi di rimorchio sono a bordo
del relitto. A noi non resta quindi che scortare il convoglio Premuda-Vivaldi
che si avvia lentamente verso Pantelleria”.
Alle 10.15 il Premuda riuscì finalmente a prendere
il Vivaldi a rimorchio, e
diresse a lento moto verso Pantelleria; sul Vivaldi, intanto, gli incendi continuavano ad estendersi, rendendo
la situazione ogni momento più critica. Alle 10.28 esplosero altre cartucce
rimaste nei pressi del complesso centrale da 120 mm; l’equipaggio lottò
disperatamente contro le fiamme, Castrogiovanni avrebbe scritto nel suo
rapporto: «Il personale si prodiga
instancabilmente nell’intento di circoscrivere il fuoco, incurante delle
fiammate e delle frequenti esplosioni; il contegno di tutti mi riempie di
orgoglio». Alle 12.15, mentre proseguiva il rimorchio verso Pantelleria, la
situazione si aggravò ulteriormente in seguito alla fuoriuscita di getti di
nafta incendiata dagli sfoghi d’aria dei depositi di nafta. Il carburante in
fiamme si sparse sul ponte di coperta, traboccando dai trincarini.
Alle 12.18 si aggregarono
alla formazione due dragamine mandati da Pantelleria, cui Castrogiovanni ordinò
di avvicinarsi e di consegnare al Vivaldi
tutti gli estintori disponibili. Neanche l’impiego di questi estintori, però,
valse ad arginare le fiamme: l’incendio continuava ad estendersi verso poppa,
minacciando gli uomini che erano rimasti bloccati da quella parte, ormai
impossibilitati a raggiungere la prua. Questi uomini, che intanto continuavano
a gettare fuori bordo tutto il materiale infiammabile, vennero successivamente
recuperati dai dragamine, cui il comandante Castrogiovanni aveva ordinato di
affiancarsi alla poppa per trasbordare il personale ivi rimasto tagliato fuori.
Alle 13.10 il comandante del Vivaldi
ordinò invece ai dragamine di affiancarsi alla prua, per prendere a bordo parte
del personale ivi radunato, non necessario alle operazioni in corso per fermare
gli incendi e salvare la nave. Il trasbordo venne completato alle 13.20; rimasero
così sul Vivaldi soltanto gli
ufficiali (tutti), parte dei sottufficiali ed una cinquantina di sottocapi e
marinai. A questo punto Castrogiovanni, ritenendo che le dimensioni ormai
raggiunte dall’incendio rendessero poco probabile di riuscire a salvare la
nave, ordinò al Premuda di
rimorchiare il Vivaldi su
bassifondali dove poter dar fondo all’ancora e, se necessario, mandare la nave
ad incagliarsi per evitarne l’affondamento.
Alle 14 le navi giunsero
nel porticciolo di Scauri, sulla costa sudoccidentale di Pantelleria; il Premuda cedette il rimorchio ad un
dragamine, che portò il Vivaldi quasi
in costa, in acque profonde appena sei metri. Qui il Vivaldi calò l’ancora (secondo Francesco Mattesini, invece, sarebbe
stato portato ad incagliare su un bassofondale); intanto l’incendio continuava
ancora ad aggravarsi: alle 14.20 presero fuoco i depositi laterali di nafta,
estendendo l’incendio anche ai locali caldaia poppieri. «Dense fiamme alte alcuni metri si sprigionano dal fumaiolo di poppa e
dai locali». A centro nave esplosero ancora altre granate da 120 mm.
Alcune
immagini del Vivaldi in fiamme nella
rada di Scauri (Pantelleria) nel primo pomeriggio del 15 giugno 1942:
(da un saggio di Francesco Mattesini su www.academia.edu) |
(www.marina.difesa.it) |
(da www.forummarine.forumactif.com) |
(da Facebook) |
(da Facebook) |
(g.c. STORIA militare) |
Alle 16 sopraggiunse
finalmente un’attrezzatissima bettolina dei pompieri proveniente da Pantelleria:
a bordo c’erano squadre di pompieri dotati di motopompe, estintori, manichette
e lancia-comete. Il loro apporto si rivelò decisivo: finalmente, a poco a poco,
l’incendio venne costretto a indietreggiare.
Alle 16.20 Malocello e Premuda ricevettero ordine
dall’ammiraglio Da Zara di riunirsi alla VII Divisione ed alla X Squadriglia,
che stavano passando in quelle acque mentre rientravano alla base; la loro
presenza non era più necessaria. Alle 16.40 anche il comandante Castrogiovanni
del Vivaldi ordinò a Malocello e Premuda di lasciare la zona; al momento
di separarsi, ringraziò con un telegramma il comandante Leoni del Malocello per la protezione e
l’assistenza ricevuta («Ho ammirato
l’atto assai bello e coraggioso con il quale mi avete protetto in combattimento
sotto il fuoco di quattro unità nemiche durante la mia avaria. Bravo! Vi
abbraccio. Castrogiovanni»).
Alle otto di sera il Vivaldi venne raggiunto dal
rimorchiatore di salvataggio Salvatore
Primo, che si affiancò al Vivaldi
sul lato di dritta ed iniziò a prosciugare i locali allagati dall’acqua
riversata a bordo durante l’opera di spegnimento dell’incendio. Quest’ultimo venne
domato entro le 21; gli ultimi focolai furono soffocati alle 22. Dopo sedici
ore di lotta, il Vivaldi era salvo.
Spegnimento
degli incendi sul Vivaldi a Scauri
(g.c. STORIA militare e Francesco Mattesini/www.academia.edu)
Le fiamme
sono finalmente estinte (g.c. STORIA militare e Francesco Mattesini/www.academia.edu)
Nonostante alcuni
locali del Vivaldi fossero ancora
allagati, e le condizioni meteomarine – mare forza 3, vento fresco da Maestrale in aumento – non fossero molto
favorevoli per un trasferimento a rimorchio, il comandante Castrogiovanni decise
di lasciare Pantelleria in mattinata, ritenendo l’ancoraggio insufficientemente
protetto e troppo esposto ad attacchi aerei e di mezzi insidiosi.
Alle 7.30 del 16
giugno un’altra parte del personale rimasto sul Vivaldi venne trasbordato sulle torpediniere Castore e Polluce,
mandate sul posto per assumere la scorta del cacciatorpediniere; rimasero a
bordo tutti gli ufficiali, parte dei sottufficiali ed i marinai strettamente
indispensabili per la navigazione. Siccome tutte le munizioni erano state
gettate in mare o giacevano nei depositi allagati, Castrogiovanni aveva chiesto
al Comando Marina di Pantelleria di fornirgli delle munizioni per le
mitragliere da 13,2 mm in modo da potersi difendere da eventuali attacchi
aerei; tali munizioni vennero infatti consegnate ed imbarcate sul Vivaldi prima della partenza. Terminata
quest’operazione, il Vivaldi lasciò
Scauri a rimorchio del Salvatore Primo
(il rimorchio era formato da un cavo d’acciaio e da 50 metri di catena). Castore e Polluce fornivano scorta laterale ravvicinata, mentre un altro
rimorchiatore, il Terracina, seguiva il Vivaldi
tenendosi pronto, se necessario, a prestare assistenza.
Alle otto del mattino
il Salvatore Primo venne colto da
un’avaria, e riferì al Vivaldi di non
poter procedere a più di cinque nodi; alle undici il tempo andò peggiorando,
con vento e mare forza 4 da maestrale, che fecero rollare fortemente il Vivaldi (complice anche l’acqua rimasta
nei compartimenti allagati, che si muoveva liberamente e peggiorava la
situazione). Le onde s’infrangevano sul ponte di coperta. La situazione si faceva
sempre più preoccupante: alle 14.30 venne riferito che il livello dell’acqua nelle
due sale macchine e nel locale caldaia numero 3, per via di infiltrazioni e di
una chiusura non ermetica degli sportelli degli osteriggi (che erano stati
deformati dal calore dell’incendio), stava salendo ad un ritmo allarmante. La
motopompa imbarcata a Scauri funzionava in modo irregolare, per via della forte
prevalenza sull’aspirazione. Il comandante Castrogiovanni decise allora di
pompare in mare della nafta e di formare un catena di buglioli con tutti gli
uomini rimasti a bordo per contribuire allo svuotamento dei locali allagati;
ciò permise, se non altro, di impedire al livello dell’acqua di salire, per
quanto non si riuscisse neanche a farlo scendere.
Alle 19.20 il Vivaldi era al traverso di Marettimo, ed
il mare si era un po’ calmato, ma il cacciatorpediniere continuava a rollare
con immutata violenza. Castrogiovanni decise sulle prime di dare fondo a
Favignana, ma poi cambiò idea e decise di continuare subito la navigazione
verso Trapani.
All’1.50 del 17
giugno il Vivaldi approdò finalmente
a Trapani.
Danni subiti dal Vivaldi durante il combattimento, in una foto scattata a Trapani (g.c. STORIA militare) |
Danni alla parte centrale del Vivaldi, in una foto scattata il 17 giugno 1942 (Coll. E. Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it) |
Il bollettino di
guerra n. 748 del 16 giugno annunciò: «Nei
combattimenti navali svoltisi ad oriente e a ponente di Malta abbiamo perduto
un incrociatore pesante [il Trento], colpito da un siluro di un aereo e
successivamente da un altro subacqueo, mentre un cacciatorpediniere [il Vivaldi], gravemente danneggiato, ha potuto raggiungere un porto nazionale».
Durante la battaglia
di Mezzo Giugno, dieci membri dell’equipaggio del Vivaldi erano rimasti uccisi: un ufficiale, un sottufficiale ed
otto tra sottocapi e marinai. Altri nove uomini erano rimasti feriti, parecchi
altri ustionati.
Le vittime:
Orazio Calì, sottotenente del Genio Navale, da
Giarre (deceduto il 16.6.42)
Tullio Carraro, sottocapo fuochista, da Mirano
(deceduto il 15.6.42)
Salvatore Cipollone, capo meccanico di seconda
classe, da Marsala (deceduto il 15.6.42)
Giuseppe Comino, marinaio fuochista, da Torino
(deceduto il 15.6.42)
Ciro De Biase, marinaio fuochista, da Napoli
(deceduto il 15.6.42)
Remo Dondina, sottocapo furiere, da Zelbio
(deceduto il 15.6.42)
Luigi Pirone, marinaio fuochista, da Avellino
(deceduto il 15.6.42)
Alfio Ridolfi, marinaio fuochista, da
Ferentillo (deceduto il 15.6.42)
Oslavio Sartoris, sottocapo cannoniere, da
Milano (deceduto il 15.6.42)
Edoardo Simonetti, marinaio, da Lodi (deceduto
il 15.6.42 in territorio metropolitano)
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente del Genio
Navale Direzione Macchine Orazio Calì, nato a Giarre l’11 novembre 1902:
"Ufficiale imbarcato su silurante più volte
fatta segno in numerose missioni di scorta ai convogli per l'Africa
Settentrionale, ad attacchi aerei e subacquei nemici, disimpegnava sempre con
perizia e serenità il suo servizio. Impegnata l'unità in duro e vittorioso
combattimento contro forze preponderanti avversarie e colpita la motrice di
prora da colpo nemico che squarciava la tubolatura di vapore, tentava di
prendere i provvedimenti del caso ed abbandonava il locale solo dopo constatata
l'inutilità della permanenza, data la enorme quantità di vapore. Benché
gravemente ustionato si prodigava ancora nel dare consigli ed informazioni sui
danni prodotti e sulle operazioni da compiere per ripristinare il parziale
funzionamento dell'apparato motore. Decedeva poco dopo in seguito alle ustioni
riportate. Fulgido esempio di alta dedizione al dovere e spirito di sacrificio.
(Pantelleria, 15 giugno 1942)".
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico
di seconda classe Salvatore Cipollone, nato a Marsala il 7 agosto 1902:
"Sottufficiale imbarcato su silurante più
volte fatta segno in numerose missioni di scorta ai convogli per l'A.S., ad
attacchi aerei e subacquei nemici, disimpegnava sempre con perizia e serenità
il suo servizio. Impegnata l'unità in duro e vittorioso combattimento contro
forze preponderanti avversarie e colpita la motrice di prora da colpo nemico
che squarciava la tubolatura di vapore, tentava di prendere i provvedimenti del
caso ed abbandonava il locale solo dopo constatata l'inutilità della permanenza
data l'enorme quantità di vapore. Benché gravemente ustionato si prodigava
ancora nel dare informazioni e consigli sui danni prodotti e sulle operazioni
da compiere per ripristinare il parziale funzionamento dell'apparato motore.
Decedeva poco dopo in seguito alle ustioni riportate, pronunciando parole di
fede e di attaccamento alla propria nave. Fulgido esempio di alta dedizione al
dovere e spirito di sacrificio.
(Pantelleria, 15 giugno 1942)."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo
furiere Remo Dondina (nato a Zelbio il 25 agosto 1918), del sottocapo
cannoniere artificiere Oslavio Sartoris (nato a Milano l’8 luglio 1917) e del
marinaio servizi vari Edoardo Simonetti (nato a Lodi il 15 luglio 1917):
"Imbarcato su silurante più volte fatta
segno, durante numerose scorte a convogli per l'A.S., ad attacchi aerei e subacquei
nemici, disimpegnava sempre con serenità e perizia il suo servizio. Impegnata
l'unità in duro e vittorioso combattimento contro forze preponderanti
avversarie, disimpegnava le sue funzioni di rifornimento di un impianto da 120
con calma e serenità, curando perché alle armi non mancassero le munizioni.
Colpita l'unità da colpo nemico in vicinanza del deposito munizioni in cui egli
si trovava, rimaneva al proprio posto di combattimento, continuando a rifornire
l'impianto, benché il locale fosse invaso da denso fumo e vapore, causa un
incendio sviluppatosi in seguito a colpo nemico. Colpito da un'improvvisa
esplosione del deposito, spirava serenamente mentre ancora cercava di caricare
la noria. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di ottime virtù militari e
amor Patria.
(Acque di Pantelleria, 15 giugno 1942)".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria dei marinai
fuochisti Giuseppe Comino (nato a Torino il 18 novembre 1920), Ciro De Biase
(nato a Napoli il 2 gennaio 1921), Alfio Ridolfi (nato a Ferentillo il 22 marzo
1919) e Luigi Pirone (nato ad Avellino il 2 marzo 1920):
"Imbarcato su silurante più volte fatta segno
durante numerose scorte a convogli per l'A.S., ad attacchi aerei e subacquei
nemici, disimpegnava sempre con perizia e serenità il suo servizio. Impegnata
l'unità in duro e vittorioso combattimento contro forze preponderanti
avversarie, disimpegnava con slancio e ardimento tutti i suoi incarichi.
Colpita l'unità da proiettile nemico nel locale macchine, subito invaso da
vapore surriscaldato, rimaneva fermo al suo posto del dovere, sacrificando
eroicamente la sua giovane esistenza alla Patria.
(Acque di Pantelleria, 15 giugno 1942)".
Alcune
foto dei danni riportati a centro nave dal Vivaldi
durante la battaglia di Pantelleria, scattate a Trapani (sopra: g.c. STORIA
militare; sotto: da Facebook)
Per la sua condotta
durante la battaglia di Pantelleria, il Vivaldi
divenne uno dei due soli cacciatorpediniere (l’altro era proprio il Malocello) decorati di Medaglia
d’Argento al Valor Militare “alla bandiera”, con motivazione: «Già distintosi per l'affondamento di due
sommergibili nemici uno dei quali arditamente speronato, prendeva poi parte al
combattimento navale di Pantelleria. Nel corso di esso, distaccato con altro
cacciatorpediniere all'attacco di un convoglio nemico protetto da numerose
unità, con decise manovre ed alto spirito aggressivo, si lanciava contro di
esso, sostenendo un rapido scontro nel quale offendeva duramente l'avversario.
Colpito a sua volta e obbligato a fermare le macchine, ricacciava, con l'unità
compagna, le reiterate puntate offensive dell'avversario soverchiante in
numero, costringendolo a rimanere distante, mentre a bordo divampava l'incendio
e l'equipaggio si prodigava contemporaneamente nell'impiego delle armi e
nell'opera di salvezza della nave. Riuscito a disimpegnarsi, veniva attaccato
senza esito da aerei sulla rotta di allontanamento e raggiungeva la base in
virtù della indomita volontà dei suoi marinai decimati e infine esausti, ma
orgogliosi e fieri della tenace lotta valorosamente sostenuta». (Una
curiosità storica: il Malocello, con
la sua strenua difesa, contribuì in modo determinante a salvare il Vivaldi dai cacciatorpediniere
britannici: ciò riflette, in certo qual modo, anche la sorte dei navigatori
eponimi delle due unità: Lanzerotto Malocello, infatti, stava conducendo una
spedizione di soccorso in cerca di Ugolino e Vadino Vivaldi, scomparsi un
ventennio prima, quando scoprì le Canarie nel 1312).
Tra l’equipaggio, ricevettero
la Medaglia d’Argento al Valor Militare il comandante Castrogiovanni («Comandante di Squadriglia CT., impegnata in
lungo, aspro e vittorioso combattimento contro forze prevalenti, ha condotto la
sua formazione, fatta segno alla violentissima azione offensiva del nemico, con
perizia, slancio e serenità, infliggendo le più gravi perdite all'avversario e
contribuendo così all'esito vittorioso del combattimento. Colpita ed
immobilizzata la sua nave, continuava a combattere, mentre prendeva con pronta
energia tutti i provvedimenti atti a domare la minaccia di un violento
incendio, scoppiato a bordo. Dopo lunga e tenace lotta contro le fiamme,
aggravata dall'insidia aerea avversaria, riusciva a condurre in salvo la sua
unità, dando prova di eccellenti qualità marinaresche ed ottime doti di comando»),
il secondo capo meccanico Virginio Fasan, da Udine («Imbarcato su silurante, più volte fatta segno, durante numerose scorte
a convogli per ad attacchi aerei e subacquei nemici, disimpegnava sempre con
perizia e serenità il suo servizio. Impegnata l'unità in duro combattimento
contro forze preponderanti nemiche, si prodigava senza esitazione e risparmi di
energie, per domare un incendio causato da colpo nemico, dando preziosa opera
di collaborazione al direttore di macchina. Sviluppatosi un incendio al
deposito munizioni colpito, si slanciava con superbo sprezzo del pericolo,
preoccupato solo per la salvezza della nave, nel deposito stesso per soffocare
l'incendio, rimanendo ustionato. Presente in ogni punto ove maggiormente
divampava il fuoco ed avvenivano gli scoppi di munizioni in ogni istante dava
prova di indomito coraggio e di assoluta dedizione al dovere») ed altri,
tra cui il comandante in seconda. Il capo silurista di terza classe Salvatore
Fais, da Sorso, ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione «Imbarcato su silurante, più
volte fatta segno, durante numerose scorte convogli per l'A.S. ad attacchi
aerei e subacquei nemici, disimpegnava sempre con serenità e perizia il suo
servizio. Impegnata l'unità in duro e vittorioso combattimento contro forze
preponderanti nemiche collaborava con calma e capacità professionale per
l'approntamento del materiale e del personale da lui dipendente. Essendo
l'unità partita all'attacco di un convoglio nemico si recava all'impianto
infondendo con l'esempio, calma e serenità sui dipendenti in modo che, malgrado
la reazione dei caccia nemici di scorta, i siluri raggiungevano il bersaglio.
In seguito a colpo nemico, sviluppatosi a bordo un violento incendio, si
prodigava nell'opera di spegnimento, dando magnifica prova di sereno coraggio»;
analoga decorazione andò al marinaio S.D.T. Francesco Mibelli, da Portoferraio,
con motivazione «Imbarcato su silurante,
più volte fatta segno, durante scorte convoglio per l’A.S ad attacchi aerei e
subacquei nemici, disimpegnava sempre con serenità e perizia il suo servizio.
Impegnata l'unità in duro e vittorioso combattimento contro le forze
preponderanti nemiche, assolveva con calma e serenità il suo compito. Colpita e
fermata l'unità da colpo nemico, essendosi il Direttore di Tiro allontanato per
accorrere presso un impianto circondato dalle fiamme, avendo visto un cacciatorpediniere
nemico avvicinarsi a distanza di tiro, di propria iniziativa, insieme al capo
torretta, apriva il fuoco sull'unità nemica, correggendo successivamente il
tiro fino al ritorno del Direttore di Tiro. Magnifico esempio di sereno
coraggio, spirito di iniziativa e di elette doti professionali», così come
al sergente meccanico Armando Sighinolfi, da La Spezia («Imbarcato su silurante, più volte fatta segno, durante numerose scorte
convogli per l’A.S., ad attacchi aerei e subacquei nemici, disimpegnava sempre
con serenità e perizia il suo servizio. Impegnata l'unità in duro e vittorioso
combattimento contro forze preponderanti nemiche, espletava le sue funzioni di
capo guardia in caldaia. Essendosi verificata un’avaria ed un incendio in
seguito a colpo nemico in un locale macchine, nonostante che il locale fosse
invaso dal fumo rimaneva al suo posto fino all’estremo limite delle sue
possibilità, allontanandosi solo quando gli veniva ordinato da un suo
superiore. Esempio di attaccamento al dovere e di alte virtù militari»); al
sergente segnalatore Salvatore Geraci, da Pachino («Imbarcato su silurante, più volte fatta segno, durante numerose scorte
convogli per l'Africa Settentrionale, ad attacchi aerei e subacquei nemici,
disimpegnava sempre con perizia e serenità il suo servizio. Impegnata l'unità
in un duro e vittorioso combattimento contro forze preponderanti nemiche,
essendosi sviluppato un incendio, in seguito ad un colpo a bordo, accorreva
volontariamente dove maggiori divampavano le fiamme e si prodigava con grande
sprezzo del pericolo per allontanare cassette munizioni ed altri esplosivi
dalla zona colpita, dando prova di attaccamento al dovere ed indomito coraggio»);
ed al direttore del tiro, tenente di vascello Antonio De Robertis («Direttore del tiro di cacciatorpediniere,
impegnato in un lungo, aspro e vittorioso combattimento, dirigeva con calma e
serenità il tiro della propria unità impegnata con forze prevalenti,
contribuendo validamente al buon risultato del combattimento»). Vennero
decorati di Croce di Guerra al Valor Militare, tra gli altri, il sottotenente
di vascello Giulio Perotti, da Trieste,
ufficiale alle comunicazioni («…coadiuvava
il proprio Comandante con sereno ardimento nell’azione che portava al
danneggiamento di due CC. TT. e due piroscafi. Sviluppatosi un violento
incendio a bordo, in seguito a colpo nemico, si prodigava per mantenere in
efficienza il servizio a lui affidato ed accorreva ove più necessaria era la
sua opera dimostrando di possedere in alto grado calma e sprezzo del pericolo»);
il sottotenente di vascello Lodovico Calderara, da Roma, ufficiale di rotta («…Colpita
l’unità da proiettile nemico che sviluppava un violento incendio accorreva ove
più la sua opera si mostrava necessaria, dando esempio di serenità e sprezzo
del pericolo»); il tenente commissario Salvatore Falco, da Napoli («…Sviluppatosi, in seguito a colpo nemico, un
violento incendio che comprometteva seriamente la sicurezza della Nave,
provvedeva tempestivamente alla distruzione delle pubblicazioni segrete e a
salvare i valori penetrando in luoghi semi allagati e minacciati dalle fiamme»);
il secondo capo silurista Mario Valeri, da Massa Apuana («…Impegnata l’unità in duro e vittorioso combattimento contro forze
preponderanti nemiche, si prodigava nell’esecuzione del lancio dei siluri
dell’impianto prodiero benché questo fosse circondato dal fumo e dal vapore
surriscaldato sprigionatosi dalle tubolature colpite dall’offesa nemica.
Sviluppatosi a bordo un violento incendio si prodigava, incurante del pericolo,
per allontanare dalle fiamme il materiale esplosivo che si trovava in coperta,
dando magnifica prova di sereno coraggio e di grande attaccamento alla sua nave»);
il secondo capo meccanico Carmine Imbrioscia, da Barletta («…Impegnata l'unità in duro e vittorioso
combattimento contro forze preponderanti avversarie, esplicava le sue funzioni
di Capo Guardia in Macchina. Essendosi verificata una avaria in seguito a colpo
nemico che immobilizzava la motrice, si prodigava con tutte le sue forze
malgrado l’intensa offesa nemica collaborando validamente con i suoi superiori
per rimettere in moto le macchine. Magnifico esempio di alte virtù militari e
professionali»); il secondo capo furiere militarizzato Giovanni Benvenuto,
da La Spezia, maestro di casa («…Essendosi
sviluppato un incendio a bordo, in seguito ad un colpo nemico, durante un duro
e vittorioso combattimento contro forze preponderanti nemiche, accorreva
prontamente sul posto colpito, noncurante del pericolo rappresentato da
fuoriuscita di vapore surriscaldato per prestare assistenza ai feriti. Si
prodigava inoltre, sempre primo nei posti dove maggiormente divampavano le
fiamme, nell’opera di spegnimento. Esempio di coraggio e grande attaccamento al
dovere»); il sottocapo nocchiere Carlo Fiornovelli, da Santa Teresa
Gallura, timoniere («…Impegnata l'unità
in duro e vittorioso combattimento contro forze preponderanti avversarie,
esplicava le sue funzioni di timoniere con calma e serenità eseguendo tutte le
manovre che gli venivano ordinate con prontezza e perizia. Essendosi verificata
avaria al timone in seguito a colpo nemico si prodigava per mettere in funzione
il timone di fortuna ed in seguito cooperava efficacemente allo spegnimento
dell’incendio»); il sottocapo meccanico Renato Carminati, da Venezia, e
l’allievo meccanico Alberto Sartori, da Padova («Impegnata l'unità in duro e vittorioso combattimento contro forze
preponderanti avversarie, esplicava le sue funzioni in locale caldaia. Essendosi
verificata una avaria ed un incendio in seguito a colpo nemico in un locale
macchine, nonostante che il locale fosse stato invaso dal fumo rimaneva al suo
posto sino all’estremo limite delle sue possibilità, allontanandosi solo quando
gli veniva ordinato da un suo superiore. Esempio di attaccamento al dovere ed alte
virtù militari»); il marinaio servizi vari Bartolomeo Riello, da Bordighera
(«…Sviluppatosi, in seguito a colpo
nemico, un violento incendio che comprometteva seriamente la sicurezza della
nave, cooperava volontariamente con l’Ufficiale Commissario a salvare
pubblicazioni e valori penetrando in locali semi allagati e minacciati dalle
fiamme»). Altri 184 tra sottufficiali e marinai ricevettero la Croce di
Guerra al Valor Militare con motivazione «Imbarcato
su C.T., impiegato insieme alle unità della propria divisione contro rilevanti
forze nemiche, si prodigava con sereno ardimento e entusiastico slancio
nell’assolvimento del proprio incarico, concorrendo al brillante esito delle
nostre armi sul mare».
Il capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni, comandante del Vivaldi (primo a destra), insieme all’ammiraglio Angelo Iachino (secondo da sinistra) e ad altri ufficiali (da un saggio di Francesco Mattesini pubblicato su www.academia.edu) |
Il comandante della
Squadra Navale, ammiraglio Iachino, nelle sue “Osservazioni sulla Battaglia di
Pantelleria” del 9 gennaio 1943 espresse il seguente giudizio sull’azione di Vivaldi e Malocello: «Azione del VIVALDI
e del MALOCELLO L’attacco di questi due CC.TT. contro il convoglio protetto da
forze superiori è stato condotto molto brillantemente e probabilmente ha
conseguito qualche risultato concreto. Nel disimpegnarsi, il VIVALDI, già sotto
il fuoco concentrato di molte unità nemiche, è stato colpito, e dopo poco si è
fermato. Il MALOCELLO lo ha difeso abilmente, ed ambedue hanno energicamente
reagito colle artiglierie e coi siluri: ma è certo che se il nemico,
preponderante di forze, non avesse, per ragioni tutt’ora sconosciute desistito
dall’attacco di quei due CC.TT., essi ne sarebbero usciti molto malconci.
Tuttavia non vi è nulla da osservare su quanto fatto dal VIVALDI e dal MALOCELLO
in quella fase dell’azione, né tanto meno in quella successiva, in cui il VIVALDI
fu miracolosamente tratto in salvo. L’osservazione che, dopo il lancio contro
il convoglio, il gruppo VIVALDI avrebbe dovuto allontanarsi in direzione
diversa da quella presa verso Sud, non ha grande consistenza, sia perché
bisognerebbe dimostrare che, prendendo una diversa direzione, avrebbe evitato
di essere colpito, sia perché, logicamente, il gruppo tendeva alla riunione
cogli incrociatori. E la rotta che, meglio di ogni altra agevolava la riunione
era certamente quella verso Sud, tanto più che era presumibile che prima o poi
i nostri incrociatori sarebbero ritornati a Nord per avvicinarsi al convoglio,
polo della manovra».
I lavori di
riparazione, effettuati a Napoli, durarono fino all’aprile 1943 (una fonte
afferma che sarebbero terminati il 15 maggio, ma deve trattarsi di un errore,
in quanto già il 22 aprile il Vivaldi
effettuò una missione di posa di mine).
Le gesta
del Vivaldi a Mezzo Giugno ’42 in una
serie di tempere del pittore Angolino Filiputti (da International Bomber
Command Digital Archive, University of Lincoln)
Il sergente Gianbattista
Pasqua avrebbe così ricordato, anni dopo, la battaglia di Pantelleria, i
funerali dei caduti ed i lavori di riparazione: "Il 13 giugno 1942 mentre scortavamo un convoglio di ritorno dall'Africa
per Napoli ricevemmo un messaggio da Supermarina: lasciar proseguire i
piroscafi da soli e noi rientrare a Palermo pronti a partire in 30 minuti. Ci
sembrò strano quell'ordine del quale capimmo in seguito il significato. I
nostri ricognitori avevano avvistato un grosso convoglio inglese scortato dalla
flotta nemica che, varcato lo stretto di Gibilterra dirigeva nel Mediterraneo
verso levante. Il nostro comandante seguiva il lento procedere di quel
convoglio dai bollettini cifrati captati per radio. Il comando supremo decise
di arrestare quel convoglio attaccandolo di sorpresa presso Pantelleria. Le
nostre navi non vennero fatte affluire in grossa formazione per non
impensierire il nemico. A Trapani, Pantelleria, Palermo ed in tutti i porti
della Sicilia c'era una o due navi solo da guerra ma tutte in attesa dello
stesso ordine. Era il 15 giugno verso l'una di notte che ci giunse l'ordine di
partenza. In mare aperto in prossimità di Marittimo (isoletta a ponente della
Sicilia) ci trovammo a contatto visivo colle navi della nostra flotta. Sapevamo
che il nemico era poco distante e navigavamo coi cannoni carichi pronti a far
fuoco. Verso le 3 la nostra formazione navale assunse posizione in linea di
fila ed alzammo a picco dell'albero maestro la bandiera di combattimento. Sapevamo
che in mare, chi apre il fuoco per primo ha maggior probabilità di Vittoria ed
intensificammo la vigilanza. La notte era limpida e il mare calmo. La fitta
oscurità stava per diradarsi con le primissime tenui luci dell'alba quando,
improvvisamente si udì il grido del comandante: "Ecco li!!" E la
prima salva partì e come sempre nel premere il pedale di sparo dei miei comandi
ebbi un pensiero brevissimo la Stella del Mare che ci fosse di aiuto. Un altro
pensiero per tutti i miei cari e poi non ci fu più il tempo di pensare ad altro
che combattere. Erano circa le 4 di quel famoso mattino. La seconda salva
centrò un grosso piroscafo. Avevamo tanti bersagli da centrare non c'era che
scegliere. Il nemico, colto di sorpresa stentò un po' a reagire così noi potemmo
colpire in pieno altri due piroscafi,
i nostri incrociatori "Garibaldi, Duca degli Abruzzi e Montecuccoli"
[in realtà erano il Montecuccoli e l’Eugenio di Savoia, ndr] si erano portati in posizione di battaglia
per affrontare le grosse navi di scorta al convoglio nemico e noi iniziammo il
combattimento contro i cacciatorpediniere inglesi che si erano messi a far
fumogeni per toglierci dalla nostra vista i piroscafi ancora incolumi. Al
nostro comando avevamo altri tre nostri cacciatorpediniere e, il nostro
comandante ordinò loro di tenersi sulla nostra scia. Colle macchine lanciate a
tutta forza circumnavigavamo quella grossa cortina di nebbia artificiale
nell'attesa di avvistare un bersaglio su cui vomitare le nostre cannonate. Il
sole fece capolino in quella foschia e fummo fortunati perché ci trovammo ad
esser di controluce al nemico ostacolando la visuale dei loro telemetri. Oh
come ricordo quel mattino di fuoco!! Gli inglesi ci avevano prescelti a loro
bersaglio preferito indirizzando al Vivaldi (caposquadriglia) le loro granate. Navigavamo
a zig zag con la massima velocità consentita dalle nostre macchine e sparavamo
a ritmo accelerato. Le salve del nemico cadevano in mare vicino a noi: alcune
lontane, altre vicinissime. le 9, una nostra bordata raggiunse in pieno una
nave nemica. Era il cacciatorpediniere inglese capo Sovente le colonne d'acqua
innalzatesi in alto dagli scoppi, ricadevano su di noi facendoci fare docce
salmastre non desiderate. Verso squadriglia che ci aveva preso di mira più
degli altri. Quattro nostre granate gli piombarono addosso e gli vedemmo esplodere
la S. Barbara prodiera. In un attimo colò a picco ormai ridotta a brandelli
[evidentemente si trattò di un’impressione errata, dal momento che il Bedouin non affondò in modo così repentino].
Pensai con commozione a quei caduti.
Anche il nemico era composto su quella nave di giovani come noi, di gente
comandata a fare la guerra avente pur essa come noi un'anima da salvare. Pur
essi avevano i genitori, spose, fidanzate e figli trepidanti in attesa del loro
ritorno e non torneranno più, sepolti in quel lembo di mare di Pantelleria in
cui avevano lottato contro di noi per farci fare la fine che noi abbiamo
inflitta a loro. Non ci fu tempo per fare cerimonie funebri, dovevamo
difenderci contro gli altri. I nostri incrociatori erano impegnati in aspra
battaglia contro il grosso della squadra navale nemica. Ad un certo punto, il
nostro comandante ordinò alle navi della nostra squadriglia di violare quella
cortina di nebbia del nemico nel tentativo di individuare altri piroscafi per
affondarli. Mentre noi tenevamo impegnati in combattimento i superstiti
cacciatorpedinieri nemici ci trovammo fatti bersaglio del tiro concentrico
delle loro artiglierie. Il Vivaldi, in quei minuti tremendi, sembrava una nave
impazzita. Si accostava rapidamente a dritta ed a manca, si passava da lento
moto alla massima velocità onde disorientare le munizioni del nemico. Sparavamo
di continuo a tiro celere e, in mezzo al fragore di quelle battaglie, cogliemmo
ancora una volta nel segno. Una seconda nave nemica da noi colpita fu costretta
ad eclissarsi. Entrò in quella nebbia e trovò il nostro Malocello che, con una
successiva bordata la mandò a picco.
E venne purtroppo anche per il Vivaldi il momento cruciale. Poco dopo le 10
quando ormai il nemico superstite si allontanava dichiarandosi vinto, una
granata inglese ci colpì nel locale macchine. Vicino ai cannoni che sparavano
non mi accorsi nemmeno di essere stati colpiti. Sentii fermarsi le macchine e
pensai ad un'avaria. Ma ben presto si rivelò la verità un enorme incendio si
sviluppò dalle caldaie 3 e 4. Il Malocello e il Da Noli [in realtà il Da Noli non c’era] ci girarono attorno facendo nebbia mentre noi ci preparavamo ad
assistere all'agonia della nostra nave. Le prime invocazioni di aiuto vennero
dal punto della nave ferita. Il vapore surriscaldato fluente dalle tubature
scassate aveva cotto la carne addosso ai superstiti che uscendo dalla bolgia
infernale delle macchine e caldaie si accasciavano senza vita in coperta in un
estremo atto di volontà, per vedere ancora una volta il cielo azzurro ed il
mare testimone del loro eroismo. Quanti ricordi!! In quei primi momenti gli
atti di valore dei singoli uomini meriterebbero ognuno un lungo discorso.
Citerò solo il messaggio in chiaro trasmesso dal comandante. "Siamo
colpiti colle macchine ferme. Combatteremo fino all'ultima cartuccia. W il
RE." (…) Gli inglesi ormai se
n'erano andati, il lungo duello era finito e vinto. Ma un'altra dura lotta
attendeva: "Salvare la nostra nave". Da Pantelleria ci giunsero i
motoscafi che trasbordarono i feriti più gravi per il ricovero in ospedale.
Arrivarono pure i rimorchiatori per trainarci verso il porto. E noi, seminudi,
col solo salvagente e mutandine lavoravamo fino allo stremo delle nostre forze
per tamponare le falle dalle quali entravano rivi di acqua. Tutto era buono per
tappare quelle crepe... assi catramate, le nostre divise usate come stracci,
tutto serviva a tamponare quelle falle che minacciavano di mandarci a picco.
Contro l'incendio che ci dilaniava non si poteva fare nulla perché, ormai senza
corrente, le pompe di spegnimento erano inerti. Col sole a picco, col fuoco a
bordo, affamati ed assetati, come pigmei contro titani, contendemmo per tutto
il giorno la nostra nave al mare che tentava di inghiottirla. Entrammo in porto
a Pantelleria al calar del sole. Ammainammo la nostra bandiera di combattimento
salutata dalla folla che assiepava il porto. Baciammo ad uno ad uno quel
vessillo glorioso prima di riporlo nel cofano dorato e sbarcammo sull'isola. Donne
e bambini, giovani e vecchi ci offrivano di che dissetarci, ci abbracciavano
acclamandoci eroi. I pompieri spegnevano l'incendio a bordo e noi fummo
alloggiati, sfamati e vestiti di nuovo da capo a piedi presso la caserma del
comando marittimo. Finì così per noi quell'epica battaglia vittoriosa che
sarebbe stata l'ultima per il Vivaldi. Dilaniato com'era, ci sarebbero voluti
lunghi mesi prima di poter riprender il mare.
Giunse da Trapani un vaporetto carico di bare zincate. I vigili del fuoco
recuperarono i morti del Vivaldi ammucchiati sulle tolde, li sistemarono alla
bell'è meglio in quelle lugubri casse e li portarono in una chiesetta del
paese. Vorrei veramente aver la mano guidata da uno scrittore per poter
descrivere i sentimenti di quella sera inoltrata del 15 giugno 1942. Tacitate
le armi, ripensavo ad ogni attimo di quella giornata gloriosa senza saper dar
sfogo se a sentimenti di giubilo o di dolore. Eravamo tutti come inebetiti
quasi increduli di essere noi i sopravvissuti da quella dura battaglia. Demmo
sfogo alla nostra gioia verso mezzanotte quando, il nostro ex Comandante Galati
(che da Tripoli aveva seguito trepidante la nostra azione per radio) arrivò con
un idrovolante per farci visita. Abbracciò il nostro Comandante ed uno alla
volta ci abbracciò tutti. Ma... e gli altri dove sono?!- chiese infine.
Castrogiovanni abbassò la testa piangendo e le nostre lacrime furono la prima
palpitante preghiera verso quei nostri cari compagni che ormai tutto avevano
dato per la Patria immolandosi sul Vivaldi vittorioso nell'azzurro mare di
Pantelleria. Certo... quella notte non potei dormire. Il corpo stanco tentava
di assopirsi nel sonno ma lo spirito, sopraffatto da sentimenti nobili e grandi
si ribellava. E pensavo... pensavo ai miei cari compagni, al dolore delle loro
famiglie. Su loro invocavo la misericordia divina con suffraganti preci mentre
mi rendevo conto della grazia ottenuta essendo scampato a tanto pericolo. L'alba
del nuovo giorno (16-6-1942) mi trovò affacciato alla finestra a guardare la
mia nave dalla quale si levavano ancora gli ultimi bagliori di quel lungo
incendio che i vigili del fuoco stavano finalmente per soffocare. Quasi
chiamati come da una voce misteriosa, ancor prima della sveglia ci trovammo in molti
a far ressa al cancello della caserma. L'ufficiale di picchetto ci chiese:
"Ma dove volete andare benedetti figlioli così presto!!". Volevamo
tornare sulla nostra nave. E tornammo... risalimmo su quelle lamiere contorte e
sforacchiate, su quelle tolde bagnate ancora di sangue vermiglio e ci rendemmo
conto della gravità dei danni subiti. Solo il titanico lavoro di tutti noi,
aveva potuto far giungere in porto quella nave ormai ridotta ad un relitto. Una
squadra di infermieri con tute gommate e maschere sul viso frugò nei locali
devastati per estrarre i corpi dilaniati dei morti ivi rimasti. Terminata l'opera pietosa del recupero dei
frammenti più grossi della carne umana, cosparsero la nave di acidi e calce
viva per prevenire possibili fonti di contagio. Giunse da Palermo una
flottiglia M.A.S. Dopo una semplice assoluzione impartita dal vescovo,
portarono quelle bare nella capitale sicula per metterle nelle celle
frigorifere in attesa della data dei funerali solenni. Sostammo 3 giorni a
Pantelleria quel tempo necessario ai saldatori per otturare con pezzi di
lamiera saldata le falle più grosse. Il 19 giugno, due rimorchiatori ci
trainarono a Trapani ove, un bacino galleggiante accolse il nostro scafo.
Prendemmo alloggio al deposito Marina di quella città. Mi fu assegnata una
bella stanzetta e mi trovai subito a mio agio a starmene lungo tempo in
solitudine a pensare... le avarie del Vivaldi erano tali da lasciar supporre
che ormai non avrebbe più potuto riprender il mare per molti mesi.
Egoisticamente, pensavo che per me, la battaglia di Pantelleria, aveva segnato
la fine della guerra in mare aperto e, speravo che ci mandassero nei cantieri
di Trieste o di La Spezia in modo da esser più vicino a casa. Fino al 25
giugno, gli operai del cantiere di Trapani lavorarono attorno al nostro scafo
per rinforzare la carena dal lato esterno quindi, sempre a rimorchio dirigemmo
su Palermo. Qui, in questa città così provata dai bombardamenti, le accoglienze
festose alla nostra nave vittoriosa furono veramente trionfali. Il mattino del
28 si svolsero i funerali. Il nostro Comandante volle che quelle bare fossero
allineate a poppa sul Vivaldi. Si alzò il gran pavese e la bandiera di
combattimento, abbrunata dal lutto, venne alzata a mezz’asta. Erano giunti vari
parenti di quei gloriosi caduti; molti ci abbracciavano e ci baciavano. Volevano
sapere tutto sui loro cari caduti. Com'erano morti... quali furono le ultime
loro parole e... tornavano a prostrarsi su quelle bare invocando il nome dei
loro cari.
I funerali di quegli eroi si svolsero come in un'apoteosi di gloria.
Rappresentanze di tutti i corpi militari erano presenti con la banda,
centododici corone di fiori e di alloro seguivano i reparti militari. Dietro
alle corone, i reparti della Marina, quindi le bare avvolte nel tricolore.
Officiante il cardinale assistito dai cappellani delle varie armi. Seguivano i
parenti, i comandanti Galati e Castrogiovanni e tutti noi del Vivaldi. Dietro
noi autorità e poPolazione. Ma noi del Vivaldi sentimmo nei nostri cuori in
quegli istanti solenni qualcosa di più della commozione. Rividi nella mia mente
quei cari compagni belli e fieri nella baldanza della loro giovinezza. Mi
sembrava di sentire le loro voci. Quasi non potevo ancora convincermi che essi
ormai non c'erano più. All'omelia funebre, il cardinal Ruffini tesse l'elogio
di quegli eroi. Quindi, sulla piazza, davanti alle bare allineate come per
l'ultima rivista, il nostro Comandante chiamò i nomi dei nostri cari compagni
ad uno ad uno. Ventiquattro nomi gloriosi [in realtà, risulterebbe che i
caduti furono dieci], quasi invocati con
voce tremante e cogli occhi lacrimanti. Ad ogni nome pronunciato... la nostra
accorata risposta: "PRESENTE".
Oh! si cari compagni miei di quei tempi lontani, di quell'epica grande
battaglia... SI!! siete ancora presenti nel mio cuore. Nel santo sacrificio
della Messa vi ho sempre ricordati con pensiero riconoscente. La vostra poteva
essere la mia sorte. Voi certamente avete avuto il premio riservato agli eroi
caduti per la Patria. A me... ai superstiti, resta il dovere di ricordarvi con
la preghiera di suffragante riconoscenza.
Fino alla metà di Luglio, nel porto di Palermo gli operai lavorarono a demolire
quelle sovrastrutture della nave ormai rese inservibili. Ripulirono i vari
locali dai residui dell'incendio, estrassero dalle lamiere e dai tubi contorti
del locale macchine ancora qualche pezzo di arti umani ormai decomposti e
fecero un esame sommario dei lavori necessari a rimettere in funzione il "Vivaldi".
Qualcuno parlava di 6-8 mesi... altri di un anno. Noi, con una certa punta di
egoismo, gioivamo in cuor nostro nella certezza di poter ottenere una lunga
licenza. Nel deposito Marina di Palermo ove eravamo ospiti graditi, ci
rifornirono del nuovo vestiario completo, di zaino e valigia e quindi, il 16
Luglio, con treno speciale raggiungemmo Napoli. Venimmo sistemati abbastanza
bene in una casermetta fuori dalla zona militare del porto. Come sottufficiale
ebbi assegnata la mia cameretta privata e fu da quella finestra che vidi
giungere il Vivaldi rimorchiato e seguito dalle altre navi della 7a
Squadra che avevano partecipato alla battaglia di Pantelleria".
La folla radunata a Taranto ad assistere al ritorno del Vivaldi dopo la battaglia di Mezzo Giugno (g.c. Adriano Pasqua) |
10 luglio 1942-Aprile 1943
In riparazione a
Napoli. Durante questi lavori vengono anche installati un ecogoniometro e due
mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm, al posto dell’impianto lanciasiluri
poppiero (secondo una fonte, al termine dei lavori l’armamento contraereo del Vivaldi sarebbe stato costituito da due
mitragliere Breda singole da 37/54 mm e nove Breda anch’esse singole da 20/65
mm).
23 agosto 1942
Il capitano di
vascello Castrogiovanni sbarca dal Vivaldi,
passando al comando del cacciatorpediniere Aviere
e della XI Squadriglia Cacciatorpediniere.
Al suo posto assumerà
il comando del Vivaldi, il 1° marzo 1943, il capitano di
vascello Francesco Camicia.
Il capitano di vascello Francesco Camicia (Monopoli, 1899-1982), ultimo comandante del Vivaldi, qui nel dopoguerra in divisa da ammiraglio di squadra (USMM) |
13 dicembre 1942
Il marinaio Agostino
Patana del Vivaldi, di 22 anni, da Giulianova,
risulterebbe essere deceduto in questa data nel Mediterraneo centrale. Non è
stato possibile reperire notizie sulle circostanze della sua morte, che
risulterebbe essere avvenuta in un’epoca in cui il Vivaldi si trovava in cantiere per riparazioni.
7 febbraio 1943
Mentre si trova in
riparazione a Napoli, il Vivaldi
viene nuovamente danneggiato da un bombardamento aereo statunitense, insieme
alle torpediniere Libra e Generale Carlo Montanari ed alla nave ospedale Sicilia.
L’incursione è
effettuata da venti bombardieri della 9th USAAF (su un totale di 21
decollati dalle basi aeree in Nordafrica), uno dei quali viene abbattuto; oltre
centrare l’obiettivo, cioè il porto e le navi ivi ormeggiate, molte bombe
cadono anche sulla città, nella zona del ponte della Maddalena, causando un
centinaio di vittime civili.
20-21 febbraio 1943
Il sottotenente di
vascello Mario Ciuffarini, 23 anni, da Gorizia, ed il sottocapo cannoniere
Donato Marangi, anch’egli di 23 anni, da Martina Franca, entrambi facenti parte
dell’equipaggio del Vivaldi,
risultano essere deceduto in territorio metropolitano rispettivamente il 20 ed
il 21 febbraio 1943.
Considerato che il Vivaldi si trovava all’epoca in lavori a
Napoli, e che il 20 febbraio 1943 tale città fu colpita da un bombardamento
statunitense con obiettivo il porto, che provocò gravi danni e 186 vittime tra
la popolazione civile, appare verosimile che Marangi e Ciuffarin possano aver
perso la vita nel bombardamento.
Gianbattista Pasqua
descrive così, nelle sue memorie, i bombardamenti di Napoli: "Povera città!! Quanti bombardamenti aveva
subito (…) La popolazione che non
aveva potuto sfollare, viveva giorno e notte assiepata nei molti sicuri rifugi
naturali delle gallerie metropolitane. Interi rioni ridotti a macerie, strade
sconnesse, palazzi sventrati, centinaia di morti e migliaia di feriti avevano
reso la bella Napoli una città martire. E non solo Napoli... tutte le città
portuali del meridione erano prese a bersaglio dall'aviazione nemica. Le super
fortezze anglo-americane scortate da nugoli di aerei da caccia avevano sferrato
la loro offensiva onde colpire i nostri porti e bombardare le città per
fiaccare il morale della poPolazione civile. Si deve dar atto alla lealtà usata
allora dagli americani perché, prima di iniziare i bombardamenti avevano
provveduto ad invitare le popolazioni ad abbandonare le città e rifugiarsi
nelle campagne con lancio di manifestini. Problema certamente grave perché era
impossibile poter pensare ad esodi totali delle città sovraffollate del
meridione. La gente viveva così, nelle viscere della terra, in una promiscuità
impressionante. I più audaci uscivano dai loro rifugi, tra un allarme e
l'altro, per procacciare lo scarso cibo alle loro famiglie. Spesso tornavano a
riferire che la loro casa non c'era più e ritornavano fuori a cercar tra le
macerie quelle poche cose che potevano recuperare. Povere città veramente
martoriate, povere donne, vecchi e bambini innocenti ridotti a vivere peggio
delle bestie in lunghi rifugi maleodoranti ove spesso, chi cercava scampo alle
bombe, incontrava il contagio di malattie letali. Io ho vissuto quei lunghi
mesi di tragedia. Ero arrivato al punto da preferire le insidie ed i pericoli
delle lunghe navigazioni alla permanenza nei porti presi continuamente di mira
dai massacranti bombardamenti. L'intero equipaggio era stato diviso in due
squadre: se la squadra impari era di servizio (quando eravamo attraccati a
qualche troncone di molo), per tutte le 24 ore, doveva stare a bordo durante le
incursioni nemiche. L'altra squadra poteva correre nei rifugi più vicini.
Quante volte fui di servizio sotto la pioggia delle bombe!! Dovevo stare allo
scoperto sulle ali di plancia come dirigente dei mitraglieri per impartire gli
ordini di aprire il fuoco quando gli aerei nemici erano alla portata di tiro.
Ricordo il lavoro massacrante coi nervi tesi fino allo spasimo dover stare ore
e ore colle armi in pugno spesso senza poter sparare sul nemico perché troppo
alto. (fuori dalla portata delle nostre armi) E... vedere i grappoli di bombe
al momento dello sgancio... sentire il lugubre sibilo ed attendere quell'attimo
(che poteva esserci fatale) dello scoppio. Cogli elmetti in testa, ci si
rannicchiava su noi stessi avendo l'illusione di sfuggire il nemico
rimpicciolendosi. In navigazione si poteva manovrare... si accostava
rapidamente a dritta o a manca quando si vedeva l'attimo dello sgancio. In
porto NO!! Bisognava confidare in Dio che ce la mandasse buona... che deviasse
colla Sua Onnipotente mano la rotta delle bombe a noi destinate. E... quanti,
quanti bombardieri! Gli americani avevano dislocato la loro stragrande potente
aviazione nel bacino del Mediterraneo ed avevano intrapreso quei micidiali
bombardamenti a tappeto eseguiti con tanti aerei assieme. Un giorno contai
oltre 800 aerei nemici che, in ondate successive di 18 per volta mollavano le
loro bombe sul porto e sulla città. La notte era diverso... in quasi tutte le
principali zone portuali, si produceva la nebbia artificiale per celare alla
vista del nemico il nostro ambito bersaglio. Quando gli aerei erano vicini, si
sparava nella direzione data dagli aerofoni, formando nel cielo come una coltre
di ferro e di fuoco. E noi si era costretti a tenere per ore la maschera sul
viso perché la nebbia chimica, ci ostacolava il respiro. Spesso la nave
sussultava per lo scoppio di bombe vicino allo scafo: sovente, le colonne
d'acqua elevantesi verso l'alto ricadevano su di noi inzuppandoci di acqua e di
fango. In mezzo a tanto frastuono, al tuonar tambureggiante dei cannoni anti
aerei, al gracidare sibilante delle mitraglie ed agli scoppi delle grosse bombe
il mio pensiero volava lontano (...)".
28 marzo 1943
Il Vivaldi (capitano di vascello Francesco
Camicia), sul quale sono ancora in corso i lavori di riparazione, si trova a
Napoli quando esplode nel porto la motonave Caterina
Costa.
La Caterina Costa, una delle tante navi
impiegate per il trasporto di rifornimenti sulla rotta Napoli-Tunisia, si stava
apprestando a partire in convoglio per Biserta ed aveva imbarcato un carico
particolarmente pericoloso: ben 790 tonnellate di carburante e 1700 tonnellate
di munizioni, oltre a provviste, mezzi corazzati, artiglieria e truppe italiane
e tedesche. La mattina del 28 marzo, durante la fase finale delle operazioni di
caricamento, è scoppiato a bordo un incendio per cause mai chiarite – incidente
o sabotaggio –, incendio che nelle ore successive va estendendosi sempre di più
nonostante gli sforzi, invero piuttosto tardivi e mal coordinati, di Vigili del
Fuoco e Capitaneria di Porto.
L’ammiraglio Lorenzo
Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere della Squadra Navale e
presente per caso a Napoli al momento dell’incendio, prende l’iniziativa di
organizzare un gruppo di marinai per allontanare dalla motonave in fiamme
alcune bettoline cariche di munizioni, onde evitare che, se la Caterina Costa dovesse esplodere, tali
imbarcazioni siano investite dall’esplosione e saltino a loro volta in aria,
aggravando ulteriormente i danni; Gasparri dirige personalmente il tentativo. Anche
una motobarca del Vivaldi, con a
bordo il nocchiere Santo Scarfi, il fuochista Gaetano Eliano ed il timoniere
Egidio Giorgetti, viene inviata sottobordo alla Caterina Costa e contribuisce – nonostante il pericolo costituito
dal carburante incendiato e dai rottami incandescenti che vengono proiettati in
giro dagli scoppi che avvengono sulla motonave – ad allontanare alcune
bettoline cariche di munizioni, che rischierebbero essere coinvolte da un’eventuale
esplosione, così permettendo di spostare in posizione più lontana un’altra
nave, anch’essa con carico pericoloso, ormeggiata vicino alla Caterina Costa. Compiuta
quest’operazione, Gaetano Eliano corre a bordo di un altro mercantile, quasi
interamente circondato da nafta incendiata, e partecipa allo spegnimento
dell’incendio divampato a bordo.
Il comandante della Caterina Costa suggerisce di
autoaffondare la nave per evitare che le fiamme possano raggiungere le
munizioni e provocare una catastrofe, ma l’acqua sotto il suo scafo è troppo
poco profonda; si chiamano allora dei rimorchiatori per tentare di portare la
motonave fuori dal porto, ma è troppo tardi. Alle 17.39 le fiamme raggiungono
le stive in cui sono sistemate le munizioni, e la Caterina Costa salta in aria: la terrificante esplosione, oltre a
disintegrare la nave, distrugge il molo adiacente, danneggia le navi e gli
edifici circostanti, investe ed affonda i rimorchiatori Oriente e Cavour che
stavano cercando di allontanarla dall’ormeggio, devasta il vicino rione di
Sant’Erasmo, lancia in tutta la città rottami infuocati di ogni forma e
dimensione (che provocano ulteriori vittime ed appiccano nuovi incendi), distrugge
cornicioni e scardina porte e finestre un po’ dappertutto. I morti sono almeno
549, tra cui anche l’ammiraglio Gasparri, investito dall’esplosione mentre
ancora dirigeva il tentativo di allontanare le pericolose bettoline; i feriti
più di 3000.
L’esplosione della
motonave provoca danni e feriti anche sul Vivaldi,
che è minacciato anche dall’avanzata degli incendi causati dall’esplosione;
l’equipaggio del cacciatorpediniere, organizzato in squadre e guidato dal
comandante Camicia, dal comandante in seconda Giovanni Peraldo Gianolino, dal
guardiamarina Virgilio Tommasini e dall’aspirante sottotenente del Genio Navale
Umberto Rosa, scende a terra per affrontare gli incendi e riesce ad arginare le
fiamme prima che possano raggiungere il Vivaldi,
allontanare dal cacciatorpediniere il materiale esplosivo che potrebbe
esplodere, e salvare così la nave. Al contempo due imbarcazioni del Vivaldi, con a bordo i fuochisti Michele
Favia, Salvatore Amadei e Giacomo Mich, cooperano nelle operazioni di
spegnimento nonostante siano esse stesse quasi completamente circondate dalla
nafta incendiata che galleggia sulle acque del porto.
Il comandante Camicia
verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione «Comandante di cacciatorpediniere in lavori
minacciato da vasti prossimi incendi provocati da violentissima esplosione di
nave da trasporto carica di esplosivi che causava alla sua unità danni e
feriti, interveniva per circoscrivere i più vicini incendi, guidando i propri
dipendenti, nonostante il grave pericolo prodotto dalle continue esplosioni del
carico della nave, riuscendo ad evitare la perdita della propria unità»;
analoga decorazione sarà conferita al fuochista Gaetano Eliano, da San Giuseppe
Vesuviano, con motivazione «Facente parte
dell’armamento di imbarcazione a motore, si prodigava nell’allontanare da
piroscafo incendiato carico esplosivi, diverse bettoline-munizioni, nonostante
le continue proiezioni di materiale incandescente causato dagli scoppi,
facilitando in tal modo l’allontanamento di altre unità con carico di munizioni
e benzina. In seguito concorreva tra i primi a spegnere un incendio su
piroscafo quasi completamente circondato da nafta infiammata e successivamente
si prodigava ancora per combattere le fiamme che minacciavano da vicino il
cacciatorpediniere su cui era imbarcato. Esempio di entusiastico slancio ed
elevata dedizione al dovere». Riceveranno la Croce di Guerra al Valor
Militare il comandante in seconda, tenente di vascello Giovanni Peraldo
Gianolino da Torino, con motivazione «Ufficiale
in 2a di Unità immobilizzata in cantiere per grandi lavori, nelle
immediate vicinanze di grandi incendi, provocati da violenta esplosione che
aveva già causato danni e feriti a bordo, si prodigava nelle operazioni di
estinzione e nella direzione delle squadre inviate a terra per circoscrivere le
fiamme che minacciavano di estendersi alla Nave e per allontanare materiali
esplosivi. Esempio di sereno ardimento e dedizione al dovere»; il
guardiamarina Virgilio Tommasini, da Lussinpiccolo, e l’aspirante sottotenente
del Genio Navale Umberto Rosa, da Milano, con motivazione «Ufficiale imbarcato su Unità immobilizzata in cantiere per grandi
lavori, nelle immediate vicinanze di grandi incendi, provocati da vasta
esplosione che aveva già causato danni e feriti a bordo, si prodigava nel
circoscrivere le fiamme a terra ed a spostare i materiali esplosivi ed
infiammabili più vicini alla Nave. Esempio di generoso slancio e sereno
ardimento»; il nocchiere Santo Scarfi, da Messina, ed il torpediniere
Egidio Giorgetti, da Oggiona Santo Stefano, con motivazione «Facente parte dell’armamento di una
imbarcazione a motore, si prodigava nell’allontanare da piroscafo incendiato, –
carico di materiale esplosivo – alcune bettoline-munizioni nonostante le
continue proiezioni di sostanza incandescente causate dagli scoppi che
avvenivano sul bastimento, facilitando in tal modo l’allontanamento di altra
unità anch’essa con carico pericoloso. Esempio di generoso slancio e dedizione
al dovere»; i fuochisti Michele Favia, da Bari, e Giacomo Mich, da Venezia,
con motivazione «Imbarcato su motoscafo
quasi completamente circondato da nafta infiammata, si prodigava nella
estinzione di vasto incendio provocato da violenta esplosione e nella
circoscrizione di successivi incendi sviluppatisi nelle immediate vicinanze
della propria unità, impossibilitata a muoversi, riuscendo ad evitare danni
maggiori»; il fuochista Salvatore Amadei, da Rimini, con motivazione «Si prodigava nell’estinzione di vasto
incendio provocato da violenta esplosione su un motoscafo quasi completamente
circondato da nafta infiammata, e nella circoscrizione di successivi incendi
sviluppatisi nelle immediate vicinanze della propria Unità, impossibilitata a
muoversi, riuscendo ad evitare danni maggiori»; il capo cannoniere
puntatore scelto di terza classe Francesco D’Arpino da Alatri, il secondo capo
meccanico Gino Bendini da Tarquinia, il sergente cannoniere puntatore scelto
Antonio Arfiero da Montagnana, il sergente cannoniere armaiolo Giuseppe Corradi
da Chiampo, il sergente S.D.T. Carlo Fontanella da Venezia, il sergente
elettricista Giuseppe Fontana da Genova, il sergente silurista Luigi De Min da
Chies d’Alpago, il sergente radiotelegrafista Armando La Cara da Palermo, il
sergente motorista navale Michele Servidio da Cetrano, il sottocapo cannoniere
puntatore scelto Angelo Sandrini da Manerba, il sottocapo cannoniere puntatore
mitragliere Emilio Alciati da Asti, il sottocapo elettricista Beniamino Censi
da Codevigo, i sottocapi meccanici Franco Mortarotti da Tanco e Sebastiano
Sarcià da Siracusa, il segnalatore Giordano Bianchini da Salò, i cannonieri
armaioli Vittorio Clari da Segrate e Mario Rossini da Marnate, il marinaio
Giuseppe Bassi da Berlingo ed i fuochisti Giovanni Masserdotti da Brescia ed
Enzo Romoli da Firenze, tutti con motivazione «Imbarcato su Unità immobilizzata in cantiere per grandi lavori nelle
immediate vicinanze di vasti incendi provocati da violenta esplosione che aveva
già causato danni e feriti a bordo, si prodigava nel circoscrivere le fiamme a
terra ed a spostare i materiali esplosivi ed infiammabili più vicini alla Nave.
Esempio di generoso slancio e sereno ardimento».
22 aprile 1943
Il Vivaldi ed i posamine tedeschi Pommern e Brandenburg posano un campo minato “antisbarco” composto in tutto
da 222 mine (tutte di fabbricazione italiana) nelle acque del Golfo di Palmas,
di San Pietro e di Sant’Antioco.
Con la fine della
guerra in Africa ormai in vista (le ultime truppe dell’Asse in Tunisia si
arrenderanno il 13 maggio), essendo prevedibile che dopo la fine delle
operazioni in quel teatro gli Alleati tenteranno uno sbarco in Italia o Grecia,
Supermarina ha iniziato a considerare la necessità di posare campi minati
“antisbarco” lungo tutti i tratti di costa minacciati: l’importanza di questi
sbarramenti di mine per ostacolare gli sbarchi nemici è tanto più importante se
si considera che la Marina e l’Aeronautica italiane, fortemente debilitate da
tre anni di guerra, sono sempre meno in grado di contrastare efficacemente
un’operazione del genere. Dal marzo al settembre 1943 verranno pertanto posate
circa 14.000 mine suddivise in 140 sbarramenti (ad opera di 21 navi italiane e
4 tedesche), nelle acque della Sicilia, della Sardegna, della Corsica,
dell’Italia continentale, della Grecia e del Dodecaneso.
In questo periodo di
intensa attività di posa mine, il Vivaldi
(al comando del capitano di vascello Francesco Camicia) viene impiegato in
numerosi missioni di questo tipo lungo le coste della Sardegna: i
cacciatorpediniere classe Navigatori, infatti, sono i più indicati per missioni
di questo genere, ma il loro numero è ormai ridotto a cinque, tre dei quali (Da Recco, Da Noli, Zeno) sono in
lunghi lavori di riparazione per gravi danni (il Da Recco in combattimento contro navi nemiche, Da Noli e Zeno in una
collisione avvenuta proprio durante una missione di posa mine), così che unici
“Navigatori” ancora operativi sono Vivaldi
e Pigafetta, quest’ultimo in mediocri
condizioni di efficienza perché i suoi turni di manutenzione sono stati troppo
a lungo rinviati a causa della sua incessante attività.
Il Vivaldi esegue le sue missioni di posa
mine lungo le coste sarde in una improvvisata “squadriglia” che compone insieme
ai posamine tedeschi Pommern e Brandenburg: nonostante in questo
periodo le relazioni tra italiani e tedeschi, a livello generale, si stiano
sempre più deteriorando, la collaborazione tra il comandante Camicia ed i due
colleghi tedeschi è molto soddisfacente («molto
soddisfacente fu il comportamento dei due comandanti tedeschi per disciplina,
perizia, cameratismo»), e la strana “squadriglia” italo-tedesca porta
brillantemente a termine tutte le sue missioni a dispetto dei continui attacchi
di bombardieri ed aerosiluranti che si trova subire quasi ad ogni uscita in
mare.
In tutto il Vivaldi svolgerà, in questo periodo, 9
missioni di posa mine, posando un totale di 17 sbarramenti nelle acque della
Sardegna (per la maggior parte), del Golfo di Gaeta e del Golfo di Salerno.
Aprile-Maggio 1943
Secondo alcune fonti,
nel corso di lavori effettuati in questo periodo il Vivaldi avrebbe ricevuto un radar EC. 3/ter “Gufo”, mentre per
altre fonti sarebbe stato soltanto predisposto per l’installazione di tale
apparato, che non avrebbe tuttavia mai ricevuto a causa dell’armistizio.
3 giugno 1943
Vivaldi, Pommern e Brandenburg posano due sbarramenti
antisbarco per complessive 434 mine magnetiche (tutte di fabbricazione tedesca)
nel Golfo di Cagliari.
12 giugno 1943
Vivaldi, Pommern e Brandenburg posano un campo minato
antisbarco di 86 mine magnetiche (tutte di fabbricazione tedesca) nelle acque
del Golfo di Palmas, di San Pietro e di Sant’Antioco.
27 giugno 1943
Vivaldi, Pommern e Brandenburg posano altri due sbarramenti
antisbarco per complessive 405 mine magnetiche (tutte tedesche) nelle acque del
Golfo di Palmas, di San Pietro e di Sant’Antioco.
3 luglio 1943
Vivaldi, Pommern e Brandenburg posano due sbarramenti
antisbarco per un totale di 333 mine (tutte tedesche; 80 sono magnetiche, 80
sono dotate di congegno antidragante) a sud di Oristano.
11 luglio 1943
Vivaldi (capitano di vascello Francesco Camicia), Pommern e Brandenburg
posano tre campi minati antisbarco per complessive 844 mine (tutte tedesche,
312 delle quali munite di congegno antidragante) nel Golfo di Cagliari.
Durante la missione
le navi sono molestate da ben tre attacchi di aerosiluranti, anche se per
fortuna nessuno di essi si verifica durante la critica fase della posa delle
mine. All’1.20 dell’11 luglio, durante la navigazione di andata da La Maddalena
a Cagliari, il Vivaldi viene messo al
corrente dal servizio intercettazioni che un ricognitore avversario ha
comunicato di aver localizzato tre cacciatorpediniere (che in realtà sono il Vivaldi ed i due posamine tedeschi), ed
all’1.50 il medesimo servizio informa il Vivaldi
che aerosiluranti nemici sono decollati per attaccare la sua formazione.
Alle 3.25, dopo
l’accensione del faro dell’isola dei Cavoli e quando la formazione
italo-tedesca (Vivaldi, Pommern e Brandenburg procedono in quel momento in formazione triangolare,
con Vivaldi in testa, Brandenburg a dritta e Pommern a sinistra) ha già imboccato la
rotta di sicurezza, viene sentito rumore di aerei piuttosto vicini, seguito
dopo breve tempo dal lancio di numerosi bengala nelle vicinanze delle navi.
Alle 3.42, poco prima dell’alba, viene sentito nuovamente del rumore sulla
sinistra e viene avvistato un aereo in avvicinamento da sud, molto basso sul
mare, diretto contro le navi italo-tedesche le cui sagome sono ben visibili
contro lo “sfondo” luminoso creato dai bengala lanciati sul lato opposto. Il
velivolo sgancia un siluro, dopo di che viene subito perso di vista; il
comandante Camicia ordina a tutta la formazione, con segnali d’urgenza, di
accostare di 100° a sinistra. Alle 4.01 l’attacco è terminato e le tre navi,
ricomposta la formazione originaria, riprendono la navigazione verso Cagliari.
La posa delle mine
avviene senza intoppi, ma alle 14.03 di quel pomeriggio, durante la navigazione
di ritorno verso La Maddalena (quando le tre navi si trovano una decina di
miglia ad est di Capo Bellavista), vengono avvistati numerosi aerei bimotori
bassi sul mare, provenienti da est e diretti verso la formazione italo-tedesca.
Il comandante Camicia dà l’allarme, lancia il segnale di scoperta previsto per
questi casi e fa aprire il fuoco con l’armamento contraereo; non appena viene
visto che gli aerei nemici hanno sganciato i loro siluri, Camicia ordina di
accostare d’urgenza a sinistra. I velivoli avversari si dividono in tre gruppi,
uno dei quali è composto da sei aerei (due per ciascuna nave), mentre gli altri
due gruppi tentano di aggirare la formazione da poppa. Dopo la prima accostata
simultanea, le navi manovrano indipendentemente, con tempestive accostate per
evitare i siluri; gli aerei, una volta sganciati i siluri, sorvolano le navi e
le mitragliano (prendendo di mira soprattutto la plancia), provocando perdite
tra gli equipaggi e sforacchiando gli scafi. Da bordo del Vivaldi viene osservato lo sgancio di quattro siluri; due degli
aerei attaccanti, colpiti, vengono visti prendere fuoco, piastrellare e
precipitare in mare, mentre altri due si allontanano con incendio a bordo. Alle
14.11 i rimanenti aerei si allontanano verso sud/sudest, scomparendo alla
vista; il comandante Camicia decide di non recuperare gli equipaggi dei due
velivoli abbattuti perché teme che potrebbe verificarsi da un momento all’altro
un nuovo attacco aereo, e che possano trovarsi in zona anche dei sommergibili
nemici.
Nessuna nave è stata
colpita dai siluri, ma il mitragliamento ha provocato tre morti ed un ferito
grave sul Vivaldi, un morto ed un
ferito grave sul Pommern, ed un morto
e dieci feriti gravi sul Brandenburg.
I tre caduti del Vivaldi sono il marinaio furiere Cataldo
De Leo, 20 anni, da Mottola, falciato mentre con la sua mitragliera faceva
fuoco contro gli attaccanti; il sergente segnalatore Giovanni Gris, 23 anni, da
Belluno; ed il marinaio carpentiere Luciano Dell’Amico, 19 anni, da Carrara.
Alla memoria di
Giovanni Gris verrà conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione “Destinato al servizio
segnali di un cacciatorpediniere, prendeva parte con slancio ed elevato spirito
combattivo a tutte le missioni di guerra effettuate dalla propria unità.
Durante una di queste, in occasione della posa di due sbarramenti di mine in
collaborazione con altre unità, contribuiva con perizia al buon esito
dell'operazione svolgendo la sua opera fino a che colpito da raffica di
mitraglia di aerosiluranti avversari cadeva al proprio posto di combattimento
nell'adempimento del proprio dovere”; analoga decorazione sarà conferita
alla memoria di Cataldo De Leo, con motivazione “Servente di mitragliera a bordo di cacciatorpediniere, durante una
missione per posa di sbarramenti di mine in collaborazione con altre unità,
contribuiva con serenità ed ardimento al buon esito dell'operazione
prodigandosi per il buon funzionamento della propria arma in occasione di
reiterati attacchi aerei. Collaborava così all'abbattimento di numerosi
velivoli fino a che colpito da raffica di mitragliera cadeva al posto di
combattimento nell'adempimento del proprio dovere”.
Alle 15.25, circa 18
miglia più a nord del punto in cui si è svolto l’attacco precedente, ha luogo
il terzo ed ultimo attacco della giornata: vengono avvistati 7-8 aerei
provenienti da sudest, bassi sul mare, diretti inizialmente verso nord e poi
verso la formazione di Camicia. Il comandante del Vivaldi dà ancora una volta l’allarme, fa aprire il fuoco con i
cannoni ed ordina alla formazione di accostare di 60° a sinistra, poi lancia un
altro segnale di scoperta e chiede l’intervento della caccia. Vivaldi, Pommern e Brandenburg
scatenano un notevole volume di fuoco, che inquadra piuttosto efficacemente gli
attaccanti, i quali si dividono in due gruppi e poi attaccano separatamente,
singolarmente. Anche questa volta, dopo l’accostata iniziale ordinata da
Camicia, le navi manovrano in modo indipendente. Questa volta gli attaccanti
sono del tutto privi del vantaggio della sorpresa, ed attaccano la formazione
da una posizione piuttosto infelice, provenendo dal settore poppiero e con un
angolo piuttosto ridotto tra la loro rotta e quella seguita dalle navi; su 7-8
aerei solo cinque si portano all’attacco, non in massa ma isolatamente, con
intervalli tra un attacco e l’altro. Questo permette alle navi italo-tedesche
di evitare tutti i siluri e reagire in modo più intenso; alcuni degli
attaccanti riescono tuttavia a mitragliarle anche questa volta, e sul Brandenburg viene colpito a morte il
comandante. Alle 15.32 il Vivaldi
vede tre degli aerei allontanarsi verso sud-sud-est, due dei quali
apparentemente danneggiati. Alle 15.55, finito l’attacco, arrivano finalmente
sul cielo delle navi due caccia Macchi della Regia Aeronautica, cui più tardi
se ne aggiunge un altro.
Il direttore del tiro
del Vivaldi, tenente di vascello
Italo De Masi, sarà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare (per
quest’azione e per quella successiva, del 20 agosto), con motivazione: «Direttore del tiro di cacciatorpediniere,
durante una missione di guerra, in occasione della posa di due sbarramenti di
mine in collaborazione con altre unità, dirigeva con perizia e ardimento il tiro
delle proprie artiglierie, riuscendo a scompaginare reiterati attacchi aerei.
La pronta e decisa reazione procurava l’abbattimento di tre aerei, il
danneggiamento di altri tre e faceva desistere gli altri dall’attacco,
permettendo così che l’operazione venisse felicemente portata a termine».
Il tenente del Genio Navale Nicola Costagliola, sottordine di macchina,
riceverà la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione: «Sottordine
di macchina di cacciatorpediniere prendeva parte con slancio ed elevato spirito
combattivo a tutte le missioni effettuate dall’unità. Durante una di queste per
la posa di due sbarramenti di mine in collaborzione con altre unità,
contribuiva con perizia ed ardimento al buon esito dell’operazione svolgendo
con calma la propria opera, malgrado i reiterati attacchi aerei avversari che
causavano perdite di vite umane a bordo».
Il sottocapo cannoniere
Vincenzo Barbato, da Acerra, imbarcato sul Vivaldi,
rievoca in questi termini questa missione nelle sue memorie: “Circa un mese prima dell’armistizio eravamo
intenti a disporre uno sbarramento di mine più al largo, insieme ad un posamine
armato dai tedeschi. Si andava insieme, italiani e tedeschi, a Capo Miseno, per
caricare le mine, da sistemare a bordo del Cacciatorpediniere, dove erano i
binari per lo scarico a mare, che era di nostra competenza; ai tedeschi
spettava il compito di posarle, mentre noi li scortavamo. Durante questa
operazione, vedemmo un aereo che ci sorvolò ad altissima quota, facendo un solo
passaggio, impedendoci, così, di individuarne la nazionalità. Dopo una ventina
di minuti avvistammo cinque o sei aerei ad ore cinque, rispetto alla nave, e
scattò l’allarme. Io ero “a ridosso” come si dice in gergo, cioè a riposo, dopo
aver fatto quattro ore di guardia. Mi trovavo, in quel momento, tra i due
fumaioli della nave, vicino alla mitragliatrice n° 37 a quattro canne. Seduto
su di essa era il sottocapo mitragliere Ciullo. L’allarme rientrò quasi subito,
perché il comandante ritenne trattarsi di aerei italiani. Mi misi a
chiacchierare con Ciullo, che però frattanto continuava, col binocolo, ad
osservare le evoluzioni degli aerei “amici”. All’improvviso gli aerei si
separarono, e presero diverse direzioni, e subito Ciullo prese la posizione di
combattimento: erano aerei inglesi! Un primo aereo scese a quota bassissima,
verso la fiancata destra della nostra nave, sparando senza misericordia, mentre
Ciullo rispondeva da par suo con la mitragliatrice, mettendolo in difficoltà.
Forse fu questo a salvarci: l’aereo sganciò il suo siluro un attimo troppo
tardi. Il siluro cadde in mare, scese per inerzia sotto la chiglia della nave e
passò dall’altra parte senza urtarci, mentre io avevo già le mani sulle
orecchie pronto all’inevitabile scoppio. Pochi attimi, che sembravano non finire
mai: Ciullo, intanto, continuava a seguire e mitragliare l’aereo, colpito prima
al motore destro, poi a quello sinistro, fino al suo inabissarsi tra la nostra
fiancata sinistra e il posamine tedesco. Due aerei ancora furono abbattuti da
altre nostre mitragliatrici, mentre gli altri rinunziarono all’attacco, e si
ritirarono. Terminata la pioggia di fuoco, completammo lo sbarramento di mine.
Poi, i tedeschi del posamine ci segnalarono che la mitragliatrice di centro
(quella di Ciullo), per seguire l’aereo inglese che si spostava a quota
bassissima, aveva colpito a morte il Comandante in prima del posamine, ed altri
cinque uomini dell’equipaggio. Tuttavia il mitragliere era stato segnalato per
una decorazione, perché aveva vanificato le intenzioni degli aerei nemici: che
erano, evidentemente, di distruggere la Vivaldi e il posamine”.
Mine a
bordo del Vivaldi prima della
partenza per una missione di posa nell’estate del 1943 (g.c. Tobia Costagliola)
4 agosto 1943
Il Vivaldi si trova ormeggiato a Napoli
quando, nel pomeriggio, la città partenopea subisce uno dei bombardamenti più
devastanti dell’intero conflitto: 77 bombardieri del 2nd e del
301st Bomb Group della 12th USAAF (su un totale
di 82 decollati dalle basi in Nordafrica) bombardano in modo indiscriminato
l’intera città, seminando ovunque morte e distruzione.
I 37 bombardieri del
301st Bomb Group sganciano le loro bombe – ben 444 ordigni da
500 libbre, cioè un totale di 100 tonnellate di esplosivo – sul porto,
contrastati dal violento fuoco della contraerea e da una ventina di caccia
della Regia Aeronautica, che infliggono danni di varia entità a quasi la metà
degli attaccanti; i 40 bombardieri del 2nd Bomb Group, invece,
dopo aver sganciato parte delle loro bombe sul porto, bombardano anche la
città: nonostante la vivace reazione della contraerea e di una trentina di
aerei da caccia, che abbattono due B-17 e ne danneggiarono molti altri,
innumerevoli bombe cadono sull’abitato, colpendo lo scalo ferroviario ma anche
l’Ospedale Pellegrini, i rioni Mercato, Santa Lucia, Bagnoli, Posillipo,
Mergellina, Spaccanapoli; innumerevoli edifici lungo la via Toledo e la Riviera
di Chiaia vengono distrutti, così come in Piazza Martiri, nella zona compresa
tra Piazza Cavour e Piazza Carlo III, gli alberghi di via Caracciolo, gli
edifici attorno all’Albergo dei Poveri ed in svariate altre parti della città,
con estensione senza precedenti delle zone colpite. Grave anche l’impatto sul
patrimonio artistico, con danni al Palazzo Reale, al Teatro San Carlo, alla
Galleria Umberto I, alla basilica di San Lorenzo Maggiore, alla chiesa del Gesù
Nuovo e soprattutto al trecentesco monastero di Santa Chiara, del quale
rimasero in piedi soltanto i muri perimetrali.
Le vittime civili,
secondo le stime più accreditate, saranno circa 700 (contro le 210 registrate
dal bollettino ufficiale), il che rende l’incursione del 4 agosto la più
sanguinosa tra quelle subite da Napoli nel corso del conflitto.
Tra le navi in porto,
viene affondato dalle bombe il piroscafo Sant’Agata,
mentre subiscono danni che ne provocheranno il successivo affondamento un altro
piroscafo, il Catania, e la
torpediniera Pallade; il relitto del
grande transatlantico Lombardia, già
semiaffondato in acque basse in seguito ad un precedente bombardamento, viene
ulteriormente danneggiato.
Anche il Vivaldi viene danneggiato, ma non vi
sono feriti fra l’equipaggio perché il gruppo di guardia – i membri
dell’equipaggio incaricati di restare a bordo anche in caso di bombardamento,
per far fronte immediatamente ad eventuali danni od incendi – subito dopo
l’allarme è sceso in un vicino rifugio antiaereo. Il sottocapo cannoniere
Vincenzo Barbato, responsabile di tale iniziativa, così riassumerà poi le sue
ragioni: “era più intelligente pensare
che i vivi potessero salvare la nave dagli incendi, piuttosto che i morti e i
feriti”; ma per questa infrazione agli ordini i componenti del gruppo di
guardia saranno puniti dal sottotenente di vascello Sergio Attianese, secondo
direttore del tiro ed ufficiale alle armi subacquee, con il massimo di rigore.
Così Vincenzo Barbato
ricorda questo bombardamento: “Puntuale,
arrivò l’attacco aereo: centinaia di velivoli oscurarono il cielo, e tutti
scappammo verso il rifugio. Una piccola folla di curiosi rimase sull’ingresso,
affascinata dallo spettacolo impressionante: ma la curiosità fu loro fatale
perché, di lì a poco, una bomba cadde proprio fra la nave e il rifugio.
Terminato l’allarme, al nostro rientro a bordo, vedemmo una scena da
Apocalisse: gente che urlava, sirene di ambulanze, tanti morti per terra. Il
porto aveva subito danni gravissimi, e anche la nostra nave era stata colpita
in più punti”.
16 agosto 1943
Vivaldi (capitano di vascello Francesco Camicia), Pommern e Brandenburg
posano tre campi minati antisbarco per totali 360 mine (tutte tedesche; tipo
U.M.B. con 109 boe strappanti e 6 boe esplosive) nel Golfo di Gaeta, tra Capo Circeo
e Gaeta.
Alle 6.38 il Vivaldi avvista dei caccia italiani sul
suo cielo, ed alle 7.56 i due posamine tedeschi iniziano a posare lo
sbarramento "4 AN", mentre il Vivaldi
si tiene parallelo alla formazione, circa 800 metri più a sud, con rotta est.
Alle 8.03, mentre le due navi tedesche sono intente alla posa delle mine e
quando i due caccia italiani di prima sono scomparsi (non ricompariranno per
tutta la durate dell’attacco: ciò indurrà il comandante Camicia a scrivere nel
suo rapporto di ritenere più opportuno che i velivoli della scorta aerea,
invece di tenersi a quota molto elevata come sono soliti fare, si tengano a
quota abbastanza bassa, dal momento che ormai la minaccia principale sono
diventati gli aerosiluranti – che attaccano a bassa quota – invece dei
bombardieri – che sganciano da alta quota –), vengono avvistati a circa 10 km
di distanza su rilevamento 140° nove aerei bassi sul mare, di colore scuro, che
puntano sulla formazione italo-tedesca con rotta leggermente convergente. La
loro fusoliera è simile a quella dei Savoia Marchetti S.M. 79 della Regia
Aeronautica, e qualcuno di essi presenta una sorta di fascia bianca sulla
fusoliera; dato però che non fanno segnali di riconoscimento e che la loro
manovra appare sospetta, il Vivaldi
apre il fuoco da 8000 metri, con tiro che appare centrato ed efficace. Un aereo
viene colpito e si allontana verso sud lasciando dietro di sé una scia di fumo
e fiamme, mente gli altri si sbandano e si dividono, proseguendo l’attacco in
modo disordinato. Il Vivaldi esegue
rapide contromanovre e continua a sparare: su tre aerei diretti verso la prua
del cacciatorpediniere, uno viene colpito dal tiro delle mitragliere, abbandona
l’attacco e si allontana emettendo fiamme e fumo; gli altri due passano larghi
di prora il Vivaldi e si dirigono
verso Pommern e Brandenburg. Altri cinque aerei, divisi in tre gruppi, passano di
poppa al Vivaldi, dirigendosi verso i
posamine. Il Vivaldi spara con le
mitragliere di dritta sul gruppo centrale, e con quelle di sinistra sull’aereo
più scaduto e più vicino: il fuoco di cannoni e mitragliere appare di nuovo ben
centrato, ed intanto anche le due unità tedesche aprono un intenso tiro
contraereo e schivano i siluri lanciati con la manovra, il tutto senza
interrompere la posa delle mine. Il Vivaldi
apre ancora il fuoco con le mitragliere contro due aerei che, tornando indietro
dopo aver attaccato i posamine, gli passano di prora; uno dei due viene
inquadrato dal tiro, accosta e sbanda, lancia un siluro con rotta quasi
parallela a quella del cacciatorpediniere e poi si allontana, emettendo una
scia di fumo.
Mentre Pommern e Brandenburg posano le mine, in questa missioni il Vivaldi ha l’incarico di posare le linee
antidraganti, destinate ad ostacolare il dragaggio delle mine da parte delle
unità nemiche: dapprima il cacciatorpediniere posa due boe strappanti, poi due
boe esplosive, poi quattro boe strappanti, poi altre due esplosive, poi una
fila ininterrotta di boe strappanti tranne la penultima e la terzultima, che
sono di nuovo esplosive.
L’intera operazione,
tuttavia, viene vanificata proprio dall’attacco degli aerosiluranti: avendo
questi sorpreso le navi proprio mentre erano intente alla posa, l’esistenza ed
ubicazione del nuovo campo minato – facilmente individuabile usando come
riferimenti i vicini punti cospicui come Capo Circeo od il Promontorio di
Sant’Erasmo – sono state scoperte, rendendolo dunque del tutto inutile, giacché
gli Alleati ora sanno che è lì, e lo potranno evitare (presupposto fondamentale
di ogni operazione di posa di mine è la segretezza, che qui è andata perduta).
Bossoli
di mitragliera accumulatisi sul ponte del Vivaldi
dopo un attacco aereo durante una missione in Tirreno, nell’estate del 1943
(g.c. Tobia Costagliola)
21 agosto 1943
Vivaldi, Pommern e Brandenburg posano altri due sbarramenti
antisbarco, per un totale di 350 mine (tutte tedesche, con 141 boe strappanti),
nel Golfo di Gaeta, più precisamente a sudest di Gaeta. La missione si svolge senza
intoppi; le tre navi intente nella posa sono scortate dalle corvette Ibis e Persefone.
È probabilmente su
queste mine (o su quelle posate il 16 agosto) che il 6 settembre andrà
accidentalmente perduto il piroscafetto Giuseppe
Magliulo.
Per le operazioni di
posa condotte nel luglio-agosto 1943, il comandante Camicia sarà decorato con
la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di un gruppo di unità, eseguiva
due importanti pose di sbarramenti in zona sottoposta ad intensa offesa aerea.
Fatto segno a reiterati attacchi di aerosiluranti e ad azioni di mitragliamento
aereo, malgrado le perdite di vite umane a bordo delle proprie navi, riusciva a
sventare l'azione avversaria con abile manovra e preciso fuoco delle armi di
bordo abbattendo numerosi aerei. Con elevata perizia e sereno ardimento portava
brillantemente a termine le missioni affidategli".
23 agosto 1943
A bordo del Vivaldi, mentre questo si trova ormeggiato
in rada a Pozzuoli, il marinaio cannoniere Arturo Volpato (21 anni, da Venezia)
rimane ucciso da un colpo partito accidentalmente dalla pistola del sergente cannoniere
Antonio Caserta. Il sottocapo Vincenzo Barbato, che assisté al tragico
incidente, così lo descrive nelle sue memorie: “Un giorno eravamo in rada, nella baia di Pozzuoli. Era il mio turno di
guardia, di prima comandata, cioè dalle otto alle sedici. Il mio compito di
sottocapo era quello di annotare tutto ciò che accadeva a bordo. Erano le nove
del mattino, e stavo annotando sul giornale di bordo i nomi del personale che
scendeva a terra per una visita medica: a bordo, infatti, non era prevista la
figura del medico, ma solo quella di un sottocapo infermiere. Ero vicino alla
scaletta che collegava la nave al battello, che di lì a poco avrebbe portato a
terra il personale che ne aveva fatto richiesta. Avevo le spalle volte ai
siluri, e si presentò alla mia destra, spalle alla poppa della nave, il
sergente di guardia Caserta, lamentando che mancavano dei proiettili nel
caricatore delle pistole. Poiché l’addetto alle armi, e responsabile della
Santabarbara ero proprio io, lo invitai più volte a non dire nulla, perché
avrei potuto risolvere facilmente la faccenda: con la mia qualifica potevo
entrare e uscire a piacimento dal deposito delle munizioni. Se, invece, il comandante
fosse stato informato della cosa, avremmo ricevuto tutti una severa punizione.
Mentre gli spiegavo tutto questo, l’allievo cannoniere Volpato venne alla mia
sinistra, spalle a prua, a torso nudo, e iniziò subito a raccontarmi cosa gli
era accaduto: stava facendo la doccia con altri commilitoni, quando un
guardiamarina aveva attraversato i bagni, ed era stato accolto da un
inconfondibile verso. Credendolo l’autore dell’impertinente pernacchia, il
guardiamarina si era voltato verso di lui, e i due avevano iniziato a
discutere. Volpato mi raccontava l’episodio sperando che, in qualche modo, io
potessi appoggiarlo, evitandogli una punizione. Io ascoltavo e intanto, a testa
china, continuavo a fare il mio lavoro, quando, all’improvviso, dalla pistola che
Caserta mi stava mostrando, partì un colpo. Sentii il colpo sfiorarmi la tempia
destra, e subito Volpato si portò le mani al petto gridando: “Barbato aiutami!
…Barbato aiutami!”, poi si accasciò al suolo. Dal piccolo foro provocato dal
proiettile, a pochi centimetri dal cuore, usciva un piccolo rivolo di sangue.
Mi resi conto allora della gravità dell’accaduto: Volpato era ormai morto, e
non potevo fare più nulla per aiutarlo. Ero tremendamente scosso per
l’accaduto, per la morte del commilitone e per il rischio che avevo corso.
L’emozione prese il sopravvento, sentii venir meno le forze, e la lucidità
abbandonarmi. Di lì a poco, Volpato fu portato a poppa, coperto dalla bandiera
italiana. Dopo qualche ora giunse a bordo la commissione d’inchiesta. Recatomi
sotto castello per mettermi in ordine, notai in un angolo il sergente Caserta,
che mi disse: “Barbato, bada a quello che dici!”, ed io: “Cosa dovrei dire?”.
Mi rispose di raccontare che la pistola era rivolta verso il mare, e non verso
la prua. Gli dissi allora che era una bugia molto stupida: era evidente che, se
avesse puntato la pistola verso il mare, Volpato, che era alla mia sinistra,
non sarebbe stato colpito. Durante l’inchiesta, riferii l’accaduto nei minimi
particolari, e dovetti convenire che la fatalità era da imputare alla
negligenza ed alla superficialità di Caserta. Ero ancora sconvolto all’idea che
il proiettile che aveva ucciso il povero Volpato avrebbe potuto, invece,
uccidere me. Caserta fu prelevato da bordo e portato a terra. Non ne seppi più
nulla fino a quando, terminata la guerra, lo incontrai a Napoli, mentre
passeggiavo per via Caracciolo. Lo riconobbi da lontano, e stavo per cambiare
direzione, per evitare l’imbarazzo dell’incontro. Ma lui mi vide, e mi venne
incontro, deciso. Con mia grande sorpresa, volle abbracciarmi e ringraziarmi.
Grazie a quell’episodio e alle mie dichiarazioni, mi disse, aveva evitato la
tragedia dell’affondamento della Vivaldi, scampando ad una probabile morte,
come tanti nostri compagni di equipaggio. Non ho mai saputo, né ebbi allora il
coraggio di chiederglielo, a quale pena era stato condannato per l’uccisione di
Volpato”.
4 settembre 1943
Il Vivaldi posa uno sbarramento antisbarco
di 96 mine (tutte tedesche, da 40 kg) nel Golfo di Salerno (a nord di Punta
Licosa; è il più a sud dei quattro campi minati antisbarco posati nel Golfo –
altri tre sono stati posati il 7 agosto da Pommern
e Brandenburg). È in assoluto
l’ultimo campo minato antisbarco ad essere posato, appena quattro giorni prima
dell’annuncio dell’armistizio: quest’ultimo, anzi, è già stato segretamente
firmato il giorno precedente, ma nessuno in Italia, al di fuori della cerchia
Badoglio-Vittorio Emanuele III, ne è stato informato.
6 settembre 1943
Nel primo pomeriggio
il Vivaldi, ormeggiato nella rada di Pozzuoli,
assiste all’ultimo bombardamento di Napoli prima dell’armistizio: venti
bombardieri dell’USAAF – ne sono decollati ben 144 dalle basi in Nordafrica, ma
la formazione si è dispersa, e molti aerei colpiranno invece Caserta, Gaeta,
Maddaloni e Villa Literno – attaccano gli aeroporti di Capodichino e
Pomigliano, ma colpiscono anche la città, causando un centinaio di vittime tra
la popolazione civile. Sono particolarmente colpiti i quartieri del Vomero,
Mergellina e Piedigrotta; viene quasi completamente distrutto l’antico teatro
San Ferdinando, e subisce gravi danni l’ospedale Pellegrini.
Poco dopo, in
esecuzione di un ordine ricevuto in mattinata, il Vivaldi lascia Pozzuoli diretto a Genova, dove dovrà sottoporsi ad
un breve periodo di lavori (la durata prevista è di una decina di giorni).
Il bombardamento ed
il trasferimento a Genova sono così descritti dal marinaio fuochista Battista
Manenti, da Chiuduno: “Sono le 10 siamo
con la nostra nave nella baia di Pozzuoli, poco distante da Napoli, sebbene
tutti gli allarmi che c'è, la vita è sempre più quieta che alla banchina di
Napoli sotto la pioggia delle bombe. Come dicevo, alle dieci arriva l'ordine di
partenza, i fuochisti subito si occupano per l'accensione delle caldaie e
riscaldamento delle macchine che dura fino alle ore 15, poco prima che suonasse
posto di manovra, suona allarme aereo, dopo circa 10 minuti vediamo davanti
alla nostra prora una nuvola d'aerei quadrimotori americani, accompagnati dalla
rispettiva caccia, saranno stati per lo meno 200 aerei, un bello spettacolo fu
quello dell'arrivo della nostra caccia, fu una battaglia aerea che durò più di
mezzora, nel frattempo che tutti osserviamo la battaglia aerea, sentiamo una
voce gridare "una formazione aerea sulla nostra sinistra!" e poi
"due! tre! quattro!" tutti guardiamo per aria e vediamo sopra di noi
la prima formazione, poi la seconda e via di seguito, insomma, passarono sopra
di noi alti 300 aerei circa, ma tanto bassi che potevamo leggere il numero che
portavano sulla carlinga, ma che bestioni, fortunatamente non hanno sganciato,
e andarono tutti su Napoli, poco dopo si sentì lo sgancio e ritornarono sempre
sulla stessa rotta, e poco dopo cessò l'allarme. Alle ore 15.45 suona posto di
manovra e si partì per Genova, subito dopo si seppe che si andava per fare i
lavori, si può immaginare la gioia di tutti e specialmente per i genovesi,
tutti speravamo di una licenza o per lo meno di un permesso. Dopo aver
viaggiato per tutta la nottata all'alba si avvista Genova ed alle 8 si entra in
porto. Tutti eravamo in coperta per ammirare la bella città sebbene un po'
martellata dai "libertador" e dalla squadra navale”. Il
cannoniere puntatore scelto Augusto Pizzoleo, da San Cassiano, ricorda a sua
volta la gioia provata alla prospettiva di trascorrere finalmente qualche
giorno a casa, lontan dagli orrori della guerra: “Il comandante ci comunica
che dobbiamo trasferirci a Genova perchè la nave ha bisogno di urgenti lavori
di riparazione. Incontenibile la gioia di tutto l’equipaggio: lavori di
riparazione significa periodo di licenza per tutti. Si salpa immediatamente e
come per incanto è sparita la stanchezza. Ormai nella mia mente si susseguono
velocemente mille progetti. Mi è difficile sceglierne uno. Tutti hanno però lo
stesso sfondo, cioè i familiari, i parenti, gli amici, San Cassiano insomma.
Ciò che apprezzo di più è il periodo in cui posso godere della mia licenza:
settembre, i primi giorni della vendemmia. Sembra un sogno poter trascorrere le
giornata tra i filari del vigneto a conversare con le signorine e pigiare poi
l’uva a piedi scalzi parlando della guerra a chi vive in una zona cara al
Signore perchè risparmiata dalle distruzioni che inevitabilmente ogni conflitto
armato porta con sé. Il tempo passa veloce come non mai”.
Tobia Costagliola,
allora bambino, figlio del tenente del Genio Navale Nicola Costagliola (di
Napoli), traccia questo ricordo del Vivaldi
che visitò mentre era a Procida nei primi giorni del settembre 1943, pochi
giorni prima del suo affondamento: “Era
la prima settimana di settembre del 1943: il VIVALDI era a PROCIDA «di
poggiata», ancorato a ridosso della punta di Solchiaro con tutti i cannoni
puntati verso il mare ed una bandiera enorme che sventolava di poppa. Arrivai
sotto bordo in braccio a mia madre su una piccola barca di pescatori. A mia
madre non fu concesso il permesso di salire a bordo e, mentre mio padre, sceso
nella barca, salutava mia madre, io fui preso in braccio da un ufficiale che mi
portò sulla nave. Pochi ricordi, poche nitide immagini che sono ancora oggi
scolpite nella mia mente: un barboncino nero che abbaiava e mi faceva festa; i
marinai ed alcuni ufficiali che mi coccolavano; un ferito, con la testa
bendata, dalla sua cuccetta che mi porgeva una scatoletta metallica contenente
della cioccolata e dei biscotti; il quadrato ufficiali con un lungo tavolo e
tante poltroncine tappezzate in rosso... Poi il saluto affettuoso di papà...
che portavo sempre nel mio cuore specialmente quando, durante la notte, mia
nonna, svegliata dal ticchettio del telegrafo che proveniva dall’ufficio
postale sottostante, chiamava mia madre che era nella camera accanto e
ripeteva: «Chiara... senti... forse ci sono buone notizie...» ed io mi rigiravo
nel letto ascoltando mia madre che piangeva e pregava”.
7 settembre 1943
In mattinata il Vivaldi raggiunge Genova, dove inizia a
sbarcare le munizioni, l’acqua e la nafta prima di entrare in bacino di
carenaggio.
Alla data
dell’armistizio, il Vivaldi è unità
caposquadriglia della XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (che con le
Squadriglie Cacciatorpediniere X, XI e XIV forma il Gruppo Cacciatorpediniere
di Squadra, che ha l’incrociatore leggero Attilio
Regolo come nave ammiraglia), composta, oltre che da esso, dai gemelli Da Noli e Zeno e dal più piccolo Dardo.
All’8 settembre, tuttavia, Dardo e Zeno sono immobilizzati per lunghi
lavori, così che la XVI Squadriglia è di fatto dimezzata e ridotta ai soli Vivaldi e Da Noli.
(continua - parte 2)