L’Espero in navigazione a lento moto a Gaeta nel maggio 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della classe Turbine (1220 tonnellate di dislocamento standard, 1560 in carico
normale e 1715 a pieno carico).
Caposquadriglia della II Squadriglia Cacciatorpediniere, fu (per la Regia Marina) la prima unità di questa categoria ad andare perduta durante la guerra, e la prima della lunga lista di navi perdute sulle rotte tra l'Italia ed il Nord Africa nel corso del conflitto.
Caposquadriglia della II Squadriglia Cacciatorpediniere, fu (per la Regia Marina) la prima unità di questa categoria ad andare perduta durante la guerra, e la prima della lunga lista di navi perdute sulle rotte tra l'Italia ed il Nord Africa nel corso del conflitto.
Breve e parziale cronologia.
29 aprile 1925
Impostazione nei cantieri
Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente (Genova).
31 agosto 1927
Varo nei cantieri
Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente (Genova).
30 aprile 1928
Entrata in servizio.
L’Espero fotografato durante le prove a mare (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
1929
Fa parte, con i
gemelli Ostro, Zeffiro e Borea, della I Squadriglia della 1a Flottiglia
della I Divisione Siluranti, facente parte della 1a Squadra
Navale, di base a La Spezia.
L’Espero nel 1930 (da www.wrecksite.eu) |
1929-1930
Effettua delle
crociere nelle acque della Spagna ed in Mar Egeo.
L’Espero in navigazione a tutta forza durante un’esercitazione (g.c. Mauro E. Vampi, via www.naviearmatori.net) |
5 febbraio 1932
L’Espero (capitano di corvetta Luigi
Corsi) e l’incrociatore pesante Trento,
avente a bordo l’ammiraglio Domenico Cavagnari (nominato comandante della
Divisione Navale dell’Estremo Oriente), salpano da Gaeta diretti in Cina, dopo
aver imbarcato una compagnia da sbarco (200 uomini) del Reggimento "San
Marco". Loro compito è tutelare gli interessi dei cittadini italiani
residenti in Cina, minacciati dall’instabilità politica causata dalla guerra
sino-giapponese scoppiata in Manciuria.
Espero e Trento attraversano
il Canale di Suez e fanno scalo a Hierapetra, Porto Said, Aden, Colombo e
Singapore durante la lunga traversata verso la Cina; l’Espero fatica a mantenere la stessa velocità del Trento (che, per l’urgenza con cui le
navi sono richieste in Cina, è molto sostenuta), e nell’ultimo tratto (da
Singapore a Shanghai) un monsone lo costringe a sostare a Saigon, mentre il Trento prosegue da solo, in linea retta,
alla massima velocità.
L’Espero in navigazione nell’Oceano Indiano durante il viaggio verso l’Estremo Oriente, in una foto scattata dal Trento (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net) |
L’Espero viene rifornito di nafta dal Trento durante la navigazione verso la Cina (Coll. Giuseppe Fiorelli, via www.associazione-venus.it) |
L’Espero a Shanghai (Coll. Armando Calligaris, via www.trentoincina.it) |
7 marzo 1932
Arriva a Shanghai,
preceduto di tre giorni dal Trento,
dopo aver percorso 19.240 miglia nautiche.
Nei mesi successivi
opera sui fiumi e nei porti cinesi a tutela degli interessi italiani; si reca
sull’Espero anche Galeazzo Ciano, genero
di Mussolini e console italiano a Shanghai.
L’Espero ormeggiato accanto al Trento a Shanghai, sul fiume Huangpu,
nel marzo 1932 (Coll. Giuseppe Fiorelli, via www.associazione-venus.it)
5 ottobre 1932
Lascia Shanghai per
tornare in Italia, da solo (il Trento
è rientrato in maggio).
L’Espero, a destra, ed il Trento
a Shanghai nel 1932, in due foto scattate dall’incrociatore pesante USS Houston (da www.history.navy.mil)
Ottobre 1932
1934
Espero, Ostro, Zeffiro e Borea formano la IV Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme
alla VIII Squadriglia (Aquilone, Turbine, Euro e Nembo),
è aggregata alla II Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Fiume e Gorizia.
L’Espero in transito presso il ponte girevole di Taranto il 12 settembre 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net) |
Lancio di un siluro da parte dell’Espero, durante un’esercitazione tenuta in Mar Ionio nel 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net) |
Espero (a destra), Ostro e Aquilone al pontile rifornimento nafta di La Maddalena nell’ottobre 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net) |
8 marzo 1936
L’Espero (capitano di corvetta E.
Giuriati) riceve a Taranto la bandiera di combattimento.
20 ottobre 1936
Assume il comando dell'Espero il capitano di corvetta Vittorio Chinigò (35 anni, da Bologna).
20 ottobre 1936
Assume il comando dell'Espero il capitano di corvetta Vittorio Chinigò (35 anni, da Bologna).
Cerimonia di consegna della bandiera di combattimento, Taranto 8 marzo 1936 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net). |
Agosto 1937
Durante la guerra
civile spagnola, l’Espero partecipa,
con altre unità (incrociatori leggeri Luigi
Cadorna ed Armando Diaz,
cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Borea, Ostro e Zeffiro,
torpediniere Cigno, Climene, Centauro, Castore, Altair, Aldebaran, Andromeda, Antares) al blocco del Canale di
Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle
forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito di
richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono,
esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze
repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici
motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere
che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica
francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro
sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti
dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle
dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare
marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre
siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna, Bartolomeo Colleoni).
Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro
incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere tra cui l’Espero (gli altri sono Freccia,
Dardo, Saetta, Strale, Fulmine, Lampo, Ostro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere (Cigno,
Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La Masa, Generale Carlo
Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli
incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di
operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle
in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei
Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono
segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di
Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche
questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali)
troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della
Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che
riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato
lungo le coste della Spagna.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai
repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col
Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed
internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in
totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina
italiana, ripetute anche dal primo ministro britannico Churchill.
L’Espero durante la guerra civile spagnola, il 27 luglio 1936 (Foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
1937-1938
Partecipa alle
operazioni navali connesse alla guerra civile spagnola, effettuando con
successo 22 missioni di contrasto al contrabbando di rifornimenti militari per
le forze spagnole repubblicane (tre delle quali con base ad Augusta,
nell’agosto 1937, nell’ambito del blocco navale sopra descritto) e di
protezione del traffico, nel Mediterraneo occidentale.
Successivamente
stanziato a Taranto, con periodiche dislocazioni a Tobruk.
L’Espero in navigazione nelle Bocche di Bonifacio con mare furioso, nel 1937 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net). |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale l’Espero
(capitano di vascello Enrico Baroni) è il caposquadriglia della II Squadriglia
Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Ostro, Zeffiro e Borea. La squadriglia, avente base a
Taranto, è comandata da Baroni.
Sacrificio
La Regia Marina aveva
realizzato fin dal 1938 un accurato studio (D.G. 10/A2) col quale si pianificava
l’organizzazione dei convogli per il trasporto dei rifornimenti verso la Libia
in caso di guerra.
Fu però solo il 9
giugno 1940, alla vigilia dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra
mondiale, che il Ministero della Guerra informò la Marina della volontà del
capo del governo di inviare immediatamente in Libia tutto il personale e
materiale accumulato nel porto di Napoli, che non si era potuto inviare prima:
personale il cui ammontare fu poi specificato, il 13 giugno, in 7000 uomini da
inviare con urgenza, e che già il 23 giugno era stato portato a ben 13.000
uomini, 1250 veicoli, 18.000 tonnellate di carburante, 40.000 tonnellate di
provviste, 800.000 bombe per mortaio, 48.000.000 di cartucce e 1.700.000
proiettili d’artiglieria. Al contempo, la Regia Aeronautica comunicò la
necessità di trasportare con urgenza in Libia 5000 tonnellate di materiali,
compresi più di 20.000 fusti di benzina per aerei.
Invano Supermarina
aveva richiesto, nei mesi precedenti, che Esercito ed Aeronautica provvedessero
ad accumulare in Libia i materiali necessari alle operazioni prima che la
guerra scoppiasse: l’autonomia logistica ed operativa dell’Armata d’Africa, che
nei calcoli di Supermarina avrebbe dovuto essere di almeno tre mesi allo
scoppio del conflitto, non arrivava neanche a dieci giorni.
Particolarmente
pressante divenne l’urgenza, dopo la resa della Francia (e la conseguente
cessazione di ogni minaccia sul confine libico-tunisino), di inviare
rifornimenti in Cirenaica, per preparare un’offensiva da sferrare contro
l’Egitto: Tripoli, raggiungibile in sicurezza, risultava troppo lontana fronte
cirenaico-egiziano, mentre Tobruk, molto più vicina, era però anche molto più
esposta alle offese provenienti dalle basi britanniche in Egitto (in
particolare, Alessandria), il che rendeva lunghi tempi di preparazione per
convogli che avrebbero dovuto essere fortemente scortati.
Dinanzi a tale
situazione, ed a tutte queste impreviste richieste urgenti, la Marina dovette
gettare alle ortiche i piani meticolosamente preparati anteguerra (che
prevedevano – data un’autonomia logistica, per le forze dislocate in Libia, di
tre mesi allo scoppio del conflitto – l’invio di un solo grande convoglio di
rifornimenti al mese, scortato dal grosso della flotta e da consistenti forze
aeree), ripiegando sull’impiego di unità militari – in primis
cacciatorpediniere e sommergibili – per missioni di trasporto rapido verso
l’Africa Settentrionale, allo scopo di sopperire alle esigenze più urgenti.
In questo quadro si
colloca la missione della II Squadriglia Cacciatorpediniere del 27-29 giugno
1940.
Alle 22.45 del 27
giugno 1940 l’Espero, al comando del
capitano di vascello Enrico Baroni (caposquadriglia della II Squadriglia
Cacciatorpediniere), salpò da Taranto diretto a Tobruk, insieme ai gemelli Ostro e Zeffiro.
I tre
cacciatorpediniere erano in missione di trasporto: avevano a bordo due batterie
anticarro (per altra fonte, contraeree) della Milmart (Milizia marittima di
artiglieria, una specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale),
ed il relativo personale. In tutto, 10 cannoni, 273 casse di munizioni, e 162
uomini (6 ufficiali, 22 sottufficiali e 134 camicie nere), oltre a 37 casse di
materiali del Regio Esercito.
A bordo dell’Espero, in tutto, si trovavano 255
uomini: 198 membri dell’equipaggio e 57 militari di passaggio (in massima parte
camicie nere della XI e XII Legione, oltre a due militari della Regia Marina,
un cannoniere ed un sottocapo fuochista).
Per tutta la notte ed
il mattino successivo la navigazione trascorse tranquilla, ma alle 12.10 del 28
giugno un idrovolante Short Sunderland del 228th Squadron RAF,
decollato da Malta, avvistò le unità della II Squadriglia a ponente delle Isole
Ionie, riferendone prontamente di aver avvistato tre cacciatorpediniere 50 miglia
a ponente di Zante, con rotta apparente verso Cerigo. Anche i
cacciatorpediniere avvistarono l’aereo, che scambiarono per un bombardiere.
All’insaputa dei
comandi italiani, una considerevole aliquota della Mediterranean Fleet era
uscita in mare il 27 giugno per fornire supporto ad alcuni convogli in
navigazione nel Mediterraneo e nell’Egeo; si trattava corazzate delle Ramillies e Royal Sovereign, della portaerei Eagle e del 7th Cruiser Squadron, composto dagli
incrociatori leggeri Orion (capitano
di vascello Geoffrey Robert Bensly Back), Neptune
(capitano di vascello Rory Chambers O’Conor), Gloucester (capitano di vascello Reginald Percy Tanner), Liverpool (capitano di vascello Arthur
Duncan Read) e Sydney (quest’ultimo
australiano; capitano di vascello John Augustine Collins). Insieme a sette
cacciatorpediniere (Hasty, Hero, Hereward, Havock, Hypterion, Janus e Juno) dovevano
dare appoggio a tre convogli, due provenienti da Malta (Operazione M.A.3) ed
uno dalla Grecia (AS. 1, di undici mercantili, in navigazione da Port Helles a
Port Said con la scorta degli incrociatori leggeri Caledon e Capetown e dei
cacciatorpediniere Garland, Vampire, Nubian e Mohawk), diretti
ad Alessandria.
La squadra britannica
era a sudovest di Creta quando ricevette il segnale di scoperta del Sunderland;
Eagle, Ramillies e Royal Sovereign
proseguirono per la loro rotta, insieme ad otto cacciatorpediniere, mentre gli
incrociatori del 7th Squadron (al comando del viceammiraglio John
Tovey, con bandiera sull’Orion)
diressero verso nord, regolando rotta e velocità in modo tale da intercettare
le navi della II Squadriglia.
Alle 16.40, un nuovo
messaggio da parte di un ricognitore (il Sunderland L.5803, in volo da
Alessandria a Malta; anch’esso avvistato dalle unità della II Squadriglia) segnalò
a Tovey che i cacciatorpediniere italiani si trovavano nel punto 36°00’ N e
20°26’ E, 35 miglia ad ovest della sua posizione, diretti verso sud;
l’ammiraglio britannico divise i suoi incrociatori in due gruppi, li dispose in
linea di rilevamento e virò verso sudovest.
Verso le 18.30 dello
stesso 28 giugno, quando le navi di Baroni – che procedevano in linea di fila,
con Espero in testa, Zeffiro al centro ed Ostro in coda – erano ormai giunte poco
più di un centinaio di miglia a nord di Tobruk, vennero improvvisamente avvistati
alcuni incrociatori nemici: erano le cinque unità dell’ammiraglio Tovey.
Più o meno allo
stesso momento (le 18.33 secondo il rapporto britannico) anche Liverpool e Gloucester avvistarono le sagome delle navi italiane, che si
stagliavano contro il sole ormai prossimo al tramonto (su rilevamento 235°
rispetto all’Orion), 60 o 75 miglia
ad ovest/sudovest di Capo Matapan. I due incrociatori accelerarono fino alla
velocità massima, ed accostarono per ridurre le distanze.
L’Espero (secondo da sinistra), il Borea, il Turbine e due altre unità della stessa classe ormeggiate alla stazione torpediniere di Brindisi (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net) |
Il primo a sparare fu
il Liverpool, già tre minuti dopo
l’avvistamento, da 20.000 metri di distanza, ben al di fuori della portata dei
cannoni dei cacciatorpediniere. La prima salva da 152 cadde 400-500 metri a
sinistra dell’Espero, la seconda
circa 500 metri a dritta, sollevando giganteschi spruzzi; l’Espero virò immediatamente verso
ovest/sudovest ed incrementò anche la velocità, ma un problema di macchina
impedì l’accensione della terza caldaia, limitando la velocità massima dell’Espero a 25 nodi. La situazione era
difficile anche per Ostro e Zeffiro: in teoria le unità della classe
Turbine avevano una velocità
superiore a quella degli incrociatori inseguitori (36 nodi contro 32,5), ma i
dodici anni di servizio sulle spalle si facevano sentire (le unità britanniche,
invece, erano di costruzione molto più recente), ed il peso delle truppe e dei
materiali imbarcati le rallentava ulteriormente.
Il secondo gruppo di
incrociatori, composto da Orion, Neptune e Sydney, ricevette il segnale di scoperta del Liverpool ed avvistò a sua volta le navi italiane alle 18.55;
quattro minuti dopo, l’Orion aprì il
fuoco da 16.500 metri. Gli incrociatori britannici manovrarono in modo da
avvolgere i cacciatorpediniere italiani da due lati: Liverpool e Gloucester da
una parte (sulla sinistra), Orion, Neptune e Sydney dall’altra (sulla dritta).
Non appena alcuni
incrociatori, quelli del gruppo di sinistra, furono sufficientemente visibili,
il direttore del tiro fece brandeggiare le artiglierie verso di essi, e fu
aperto il fuoco.
Capendo che le navi
nemiche avrebbero sopraffatto la sua, impossibilitata a superare i 25 nodi,
prima dell’arrivo del buio, Baroni ordinò alla squadriglia di prendere caccia
(ossia di ripiegare per allontanarsi) alla massima velocità, tenendo il suo Espero in coda alla formazione; in
questo modo avrebbe potuto coprire Ostro
e Zeffiro con cortine fumogene (sia
fumo emesso dal fumaiolo, che cortine di fumo clorosolfonico), e proteggerne il
ripiegamento col tiro delle proprie artiglierie. Il tiro dei cacciatorpediniere
era diretto principalmente contro Orion,
Liverpool e Gloucester.
Per meglio coprire le
unità gemelle, l’Espero iniziò anche
a zigzagare; ma proprio la manovra di zigzagamento portò alla progressiva
riduzione della distanza tra l’Espero
e gli incrociatori nemici.
Con questa manovra,
potendo emettere cortine fumogene più ampie e meglio distese, Baroni salvò Ostro e Zeffiro, che riuscirono ad allontanarsi senza danni, ma decise di
fatto di sacrificare la sua nave per permettere la loro ritirata.
(Per altra versione,
l’Espero ordinò ad Ostro e Zeffiro di ripiegare, dopo di che diresse contro gli incrociatori
nemici allo scopo di trattenerli, per impedire che inseguissero le due unità
dipendenti. Per versione ancora differente, l’Espero diresse verso gli incrociatori di Tovey dopo essere stato
raggiunto dai primi colpi, per cercare di attaccare con i siluri e permettere
ad Ostro e Zeffiro di ritirarsi).
Gli incrociatori del
7th Squadron, specialmente Liverpool
e Gloucester, concentrarono tutti il
loro tiro sull’Espero, rimasto solo:
la nave di Baroni rispose animosamente al fuoco coi propri cannoni, e lanciò
anche tre siluri contro l’Orion, che
lo inseguiva da poppa dritta. Alle 19.05 il Neptune
avvistò le scie dei siluri; alle 19.12 Tovey ordinò pertanto di accostare,
facendo assumere alle sue navi rotta parallela a quella dei siluri per evitare
che fossero colpite (le navi rimasero sulla nuova rotta per tre minuti, prima
di ritornare sulla rotta originaria). Il gruppo Orion-Neptune-Sydney manovrò poi per cercare di
aggirare la cortina fumogena e raggiungere Ostro
e Zeffiro, lasciando a Liverpool e Gloucester il compito di neutralizzare l’Espero.
L’impari
combattimento si protrasse per più di due ore: abilmente manovrato, l’Espero si rivelò un bersaglio assai
difficile per i cannonieri britannici, "inseguendo" le colonne
d’acqua sollevate dai colpi mancati (per confondere il tiro ai puntatori
nemici), confondendo il tiro al nemico con continue accostate, stendendo
efficacemente delle cortine fumogene dalle quali entrava ed usciva di tanto in
tanto per sparare qualche salva da 120 mm contro i suoi inseguitori.
Alle 19.20 il Liverpool aveva ridotto la distanza fino
a 12.800 metri (ed in quel momento accostò in modo da continuare a fare fuoco
con tutti i pezzi, così aumentando la distanza), ma non aveva ancora messo un
colpo a segno; fu anzi l’Espero a
colpire per primo, mettendo a segno un singolo colpo da 120 mm un metro sopra
la linea di galleggiamento del Liverpool.
I danni furono pochi; venne tranciato un cavo dei paramine ed alcune schegge
penetrarono le testate di due siluri, che però non esplosero.
Sull’Espero, qualcuno gridò "L’abbiamo
colpito!", e Baroni, dalla plancia, esortò i cannonieri: "Bravissimi,
continuate così". Il complesso prodiero da 120 accelerò il ritmo del tiro
fino al massimo possibile, continuamente alimentato dal deposito munizioni.
Dopo il colpo a
segno, il Liverpool ripiegò (ed alle
20.06 segnalò a Tovey che gli erano rimasti solo 40 colpi per cannone: ne aveva
sparati quasi 2500 fino a quel momento), seguito dal Gloucester; osservando la scena, Tovey decise di interrompere
l’inseguimento di Ostro e Zeffiro e dirigere con gli altri tre
suoi incrociatori contro l’Espero,
che ben presto si ritrovò sotto una pioggia di colpi da 152 mm.
Per riuscire a
colpire il piccolo cacciatorpediniere italiano, gli incrociatori del 7th
Squadron dovettero sparare quasi 5000 proiettili da 152 mm, cioè circa l’85 %
delle riserve di munizionamento di quel tipo disponibile in quel momento nella
Mediterranean Fleet (dopo questo scontro, ne rimasero solo 800). Un simile
dispendio di munizioni, e la conseguente riduzione delle riserve disponibili
per le operazioni successive, avrebbe comportato il temporaneo rinvio di due
convogli per Malta («MF1» e «MS1»), originariamente previsti per il 29 giugno
(e poi effettuati il 7-8 luglio).
Alla fine,
inevitabilmente, prevalse la disparità di forze: la quindicesima salva sparata
dalle navi britanniche raggiunse infine il suo bersaglio, ed entro le 20 l’Espero venne colpito ripetutamente,
specie in sala macchine. I primi colpi che giunsero a segno provocarono molti
morti e feriti tra le camicie nere radunate in coperta; poi venne centrata la
caldaia n. 1, e poco dopo anche la n. 2, mentre altri colpi cadevano a poppa,
in prossimità del deposito munizioni. Un proiettile scoppiò sotto la plancia,
incendiando un fusto di benzina sistemato lì. Con la centrale di direzione del
tiro ormai fuori uso, i cannoni continuavano a sparare individualmente, a
punteria diretta: il sottotenente di vascello Gualtiero Corsetti dirigeva il
tiro dei cannoni poppieri, mentre il secondo capo cannoniere Franco Lo Mastro (cui
Baroni raccomandò "Segui sempre la caduta dei proiettili") assunse la
direzione del tiro del complesso prodiero da 120 mm, che sparò fino
all’esaurimento delle munizioni.
Il comandante Baroni
scese momentaneamente dalla plancia in coperta, per rincuorare i suoi uomini, e
proprio in quel momento un proiettile nemico centrò la sala nautica, uccidendo
due ufficiali (Lo Mastro, che stava salendo in plancia in quel momento, venne
scaraventato sul ponte dallo spostamento d’aria). Uno di essi, il sottotenente
di vascello Giussani, "in ginocchio con un braccio sul tavolo e il capo
poggiato sopra, sembrava pregare".
In breve tempo l’Espero si ritrovò immobilizzato ed
incendiato, con vie d’acqua a bordo, ridotto ad un relitto in attesa di
affondare. Invano il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Luigi De
Ritis, si prodigò con i suoi uomini per mantenere la nave a galla e garantire
il funzionamento degli apparati: non c’era più nulla da fare. De Ritis sarebbe
perito con la nave poco dopo.
A questo punto, Tovey
si volse nuovamente all’inseguimento di Ostro
e Zeffiro; ma l’arrivo del buio e
l’assottigliamento delle sue riserve di munizioni, insieme al sapiente utilizzo
delle cortine fumogene ed alle continue manovre a zig zag dei rimanenti
cacciatorpediniere italiani – che rendevano l’avvistamento e la punteria molto
difficili – lo indussero a rinunciare dopo soli dieci minuti (i due
cacciatorpediniere raggiunsero Bengasi il mattino del 29), facendo rotta per
Malta e lasciando al Sydney il
compito di finire l’Espero.
Separatosi dalle
altre unità, il Sydney sparò da
12.800 metri una devastante bordata, poi si avvicinò ulteriormente all’agonizzante
Espero per dargli il colpo di grazia
e raccogliere i naufraghi: ma anche in quelle condizioni, ormai in procinto di
affondare, il cacciatorpediniere italiano rispose rabbiosamente al fuoco,
sparando ancora con i due cannoni ancora funzionanti (due colpi, che caddero
corti), e lanciando anche due siluri (il lancio fu eseguito dal tenente di
vascello Giovanni Chiabrera e dal capo silurista di prima classe Giovanni
Baldazzi, che scomparvero in mare entrambi in seguito all’affondamento).
Collins aveva prudentemente mantenuto la sua prua sull’Espero nell’avvicinarvisi, proprio per minimizzare il bersaglio
offerto ad un eventuale ultimo lancio di siluri, che infatti mancarono il Sydney. Ridotta la distanza a circa 5500-6000
metri, l’incrociatore australiano aprì nuovamente il fuoco contro il
cacciatorpediniere, sparando altre quattro salve e mettendo altri dieci colpi a
segno (in tutto, il Sydney sparò
oltre 800 colpi da 152 mm durante il combattimento). Gli ultimi colpi furono
sparati dal Sydney da appena 1830
metri di distanza, con alzo zero, praticamente a bruciapelo.
Intanto, esaurite
anche le ultime munizioni, l’ultimo complesso da 120 mm dell’Espero ancora funzionante tacque per
sempre. Gli incendi a bordo divampavano furiosi; tuga e fumaiolo erano
sforacchiati qua e là, anche se i danni non erano molto vistosi.
L'Espero emette una cortina fumogena poco prima di essere affondato, foto scattata da bordo del Sydney (Australian War Memorial). |
A questo punto, al comandante Baroni non rimase che ordinare l’abbandono della nave, il cui affondamento venne accelerato mediante l’allagamento dei depositi munizioni.
L’abbandono della nave
fu diretto dai sottotenenti di vascello Gualtiero Corsetti e Gaetano Giussano; dal
lato sinistro furono calate tre zattere ed un battello, mentre la motolancia
non poté essere calata a causa di un guasto ai paranchi. Sebbene ferito e
sanguinante (era stato colpito da una scheggia di uno dei primi colpi giunti a
bordo), il comandante Baroni aiutò a liberare le zattere di salvataggio, nelle
quali prese posto l’equipaggio superstite, ed aiutò alcuni feriti ad
imbarcarvisi.
Quando alcuni dei
suoi uomini lo esortarono a porsi in salvo, Baroni scosse la testa e rispose
che un comandante muore con la sua nave. Il capitano medico Lorenzo Lotti, capo
servizio sanitario dell’Espero,
rimase con lui, deciso ad assistere i feriti fino all’ultimo.
Il secondo capo segnalatore
Remigio Doria, in servizio in plancia, era rimasto ferito mortalmente nel
combattimento; esortò i compagni a lasciarlo, e mettersi in salvo. Affondò con
la nave.
Il seondo capo
cannoniere Lo Mastro si recò da Baroni, in attesa sul castello, per tentare
un’ultima volta di convincerlo a mettersi in salvo sull’ultima zattera rimasta
sottobordo; il comandante dell’Espero
scosse la testa senza rispondere, poi ordinò a Lo Mastro di controllare se vi
fosse a bordo ancora qualcuno, e poi di abbandonare la nave.
Enrico Baroni affidò
ad un sottufficiale l’ultimo saluto da portare alla sua famiglia, dopo di che
si recò a prua, e seguì il suo Espero
in fondo al mare. Alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor
Militare.
Mentre l’ultima
zattera si allontanava, l’Espero
sbandò sempre più sulla sinistra, mentre il tiro nemico continuava; poi il
cacciatorpediniere si raddrizzò per un momento, dopo di che, riprese a
sbandare, stavolta verso dritta. Dai fumaioli uscirono delle fiamme; alla fine,
alle 20.40 (per altra fonte, le 20.15) la nave si capovolse ed affondò nel
punto 35°18’ N e 20°12’ E (sul meridiano di Bengasi e sul parallelo di Creta,
all’incirca), levando la poppa alta nel cielo prima di sparire per sempre.
L’Espero fu il primo dei 58 cacciatorpediniere
italiani affondati nella seconda guerra mondiale, e la prima delle 174 navi
mercantili e militari dell’Asse affondate sulle rotte della Libia tra il giugno
del 1940 ed il gennaio del 1943.
Alle 20.35 il Sydney, avvicinatosi al luogo dell’affondamento,
si mise alla ricerca dei sopravvissuti dell’Espero,
le cui grida potevano essere avvertite nell’oscurità che era frattanto calata. Calati
in mare entrambi i cutter, in un’ora e tre quarti l’incrociatore australiano recuperò
47 naufraghi, molti dei quali feriti, prima che l’ordine di riunirsi al resto
della squadra, ed il timore di un attacco di sommergibili, lo inducessero ad
interrompere il soccorso ed allontanarsi. Prima di andarsene, comunque, il Sydney lasciò sul posto una scialuppa
(per la precisione, un cutter) con remi, provviste ed acqua, affinché eventuali
altri superstiti dell’Espero – si
sentiva ancora gridare nel buio – potessero servirsene; lo illuminò anche con i
proiettori, prima di andarsene, per renderlo più visibile ai naufraghi. Collins
spiegò poi questo gesto cavalleresco in questi termini: "Pensavo che
l’equipaggio di una nave che si era difesa così valorosamente meritasse ogni
possibilità di sopravvivere, anche a costo della perdita di un [nostro] cutter".
I 47 superstiti recuperati
dal Sydney vennero medicati e
rifocillati, e ricevettero dei vestiti asciutti; tre di essi, però, morirono a
bordo dell’incrociatore per le ferite riportate. I 44 sopravvissuti – 3
ufficiali e 41 tra sottufficiali e marinai – furono sbarcati ad Alessandria
d’Egitto (secondo una fonte australiana, al momento dello sbarco presentarono
una petizione chiedendo di poter restare prigionieri degli australiani, in
riconoscimento del buon trattamento ricevuto), da dove furono inviati nel campo
di prigionia di Geneifa (Egitto), ove venivano concentrati i primi prigionieri
italiani catturati in Nordafrica e nel Mediterraneo. Da qui sarebbero stati
successivamente trasferiti in India.
I tre ufficiali
sopravvissuti erano il capitano medico Lotti ed i sottotenenti di vascello
Giussano e Corsetti (quest’ultimo avrebbe trascorso sei mesi in ospedale in
Egitto, seguiti da cinque anni di prigionia in India).
Funerale di due naufraghi dell’Espero deceduti a bordo del Sydney, 29 giugno 1940 (Australian War Memorial) |
Alcuni superstiti dell’Espero dopo il funerale (Australian War Memorial) |
Un gruppo di sopravvissuti dell’Espero a bordo del Sydney (da www.navy.gov.au) |
I cannoni del Sydney con la vernice fusa e scrostata per l’intenso ritmo di tiro sostenuto durante il combattimento contro l’Espero (Australian War Memorial) |
Per gli altri
naufraghi dell’Espero, in mare e
sulle zattere di salvataggio, iniziava una terribile odissea. Erano soli, alla
deriva senza cibo né acqua (la lancia del Sydney,
evidentemente, non venne trovata dai naufraghi), a più di cento miglia dalla
terra più vicina.
In breve le zattere e
le imbarcazioni si persero di vista tra di loro, scomparendo per sempre nel
buio della notte. La loro triste sorte è nota solo al mare, con una eccezione.
Di un’unica zattera, infatti (quella che per ultima si era allontanata dalla
nave), qualcuno sopravvisse per raccontarne la storia.
36 erano gli uomini
che si trovarono su questa zattera quando l’Espero
affondò. Tra di essi un unico ufficiale, il comandante in seconda; questi si
era gettato in mare quando le zattere erano già lontane, ma era riuscito
ugualmente a raggiungerne una. Altri due marinai, arrivati alla zattera ancora
più tardi, raccontarono di aver visto il comandante Baroni salire in plancia, e
di avere poi avvertito due colpi di pistola. Il secondo capo cannoniere Lo
Mastro, già in salvo sulla zattera, si tuffò in mare due volte per aiutare
altri due naufraghi a salire a bordo: prima il comandante in seconda, e poi un
marinaio.
Gli occupanti della
zattera videro il proiettore del Sydney
spazzare il mare per breve tempo, poi più nulla, solo il buio della notte
(secondo una versione, i naufraghi sulla zattera si allontanarono
deliberatamente dal luogo dell’affondamento, per evitare di cadere prigionieri).
Furono avvistate ed
avvicinate delle altre zattere, ma si decise di non tentare di legarsi insieme,
nel timore di rompere le camere d’aria; le altre zattere finirono così con
l’allontanarsi e scomparire.
Molti dei naufraghi
erano feriti; dato che la zattera era sovraccarica e non c’era posto per tutti,
gli uomini sani o meno feriti scendevano in acqua, a turno, restando aggrappati
fuoribordo, mentre i feriti più gravi restavano sempre a bordo. Ma ad ogni
"cambio di turno", tra il buio, la stanchezza e la confusione del
momento, i più deboli si lasciavano andare e scomparivano tra le onde.
La luce del sole non
portò alcun miglioramento. Nei giorni successivi, la sete mieté inesorabilmente
le sue vittime. Alcuni uomini morirono di sete; altri, spinti dalla
disperazione a bere acqua di mare, furono presi da allucinazioni. Qualcuno
gridò di vedere la terraferma, ed altri furono a loro volta presi da quella
visione, metà allucinazione e metà speranza: i loro occhi videro la nitida
sagoma di una montagna all’orizzonte, ma era solo illusione.
Il comandante in
seconda fu il primo ad impazzire: chiese dell’acqua, chiamò il suo attendente,
si arrabbiò e disse di lasciarlo scendere nel suo camerino, dove aveva ancora
dell’acqua minerale. Calmato dai compagni, sembrò aver riottenuto il controllo
di sé stesso, spronando i rematori ad un ultimo sforzo per raggiungere la terra
vicina (ma frutto dell’immaginazione); ma quando gli altri naufraghi ebbero
smesso di tenerlo d’occhio, si tuffò in mare e scomparve.
Altri fecero lo
stesso, impazziti per la fame e per il sole: nel volgere di tre giorni, il
numero dei superstiti era già sceso da 36 a 14. Morto il comandante in seconda,
ad assumere il comando della zattera fu il secondo capo cannoniere Franco Lo
Mastro, il più alto in grado ancora in vita.
Nella notte seguente
si levò un forte vento, che spinse la zattera verso ovest, lontano dalla terra
immaginaria che i naufraghi avevano "visto"; molti morirono durante
la notte, gli altri si abbandonarono sul fondo del galleggiante, ormai
rassegnati. Nelle acque intorno alla zattera si vedevano anche degli squali, in
attesa del loro pasto.
L’indomani, quinto
giorno alla deriva, i sopravvissuti erano scesi a sette. Quando il sole era già
alto, si presentò loro quella che poteva sembrare un’altra allucinazione: una
lancia di salvataggio, vuota, in mezzo al mare.
Spingendo la zattera
con l’ultimo remo rimasto e con la forza delle braccia ormai scheletrite, i
sopravvissuti riuscirono a raggiungere la lancia, che si rivelò essere reale.
Era di grandi dimensioni, simile ad una baleniera; a bordo aveva dodici remi,
quattro barilotti d’acqua da 50 litri, un proiettore Donath, una bussola a
sospenzione cardanica, un fanale a candela, tre impermeabili con fiammiferi e
sciarpe nelle tasche, elmetti che ritennero essere "di tipo francese",
una pistola Very con 30 razzi, bucce di banana, stagnola con residui di
marmellata e cera d’api.
Ai sopravvissuti
dell’Espero, la barca sembrò un
miracolo, forse la reliquia di un altro naufragio; ma sembra più che probabile
che questo fosse il cutter con le provviste lasciato dal Sydney prima di andarsene, a disposizione degli altri naufraghi non
raccolti. Alla fine era stato trovato: purtroppo, troppo tardi per i più.
I naufraghi affamati
si avventarono su tutto quello che sembrava commestibile, poi intervenne il
secondo capo Lo Mastro: ristabilì l’ordine, razionò l’acqua, per farla durare
di più, e fece alzare due remi con un camisaccio e delle mutande, per rendere
la lancia visibile da maggiore distanza. Fu appurato che non c’era più cibo a
bordo; di acqua, però, ce n’era in abbondanza, tanta da garantire la
sopravvivenza dei naufraghi ancora per molti giorni.
Uno dei sette
naufraghi era ferito; morì il sesto giorno, ventiquattr’ore dopo il
ritrovamento della lancia. Il suo corpo venne gettato in mare.
Dieci giorni dopo
l’affondamento dell’Espero, i
sopravvissuti avvistarono un idrovolante all’orizzonte: Lo Mastro sparò un
razzo di segnalazione, e quando il velivolo si avvicinò per osservare meglio, i
naufraghi videro che era italiano. Segnalarono con la lampada Donath «Siamo
italiani, naufraghi dell’Espero»;
l’idrovolante rispose «Ricevuto», poi se ne andò.
Anche il giorno
successivo, l’undicesimo, venne avvistato un aereo, ma anche questo
avvistamento non ebbe seguito.
Il problema della
sete era temporaneamente risolto, ma la fame si faceva sentire: ora però i
superstiti erano più che mai decisi a resistere, ed escogitarono vari modi per
procurarsi un po’ di cibo. Un naufrago sparò un razzo in mezzo ad uno stormo di
gabbiani che volavano nelle vicinanze: un gabbiano, investito dall’esplosione,
cadde in mare morto. Raccolto e pulito, venne "cucinato" in un
elmetto, nel quale i naufraghi accesero un fuoco bruciando un pezzo di legno
asportato da un remo con un coltellino. Il risultato fu un gabbiano in parte
crudo ed in parte bruciacchiato; ma per degli uomini che stavano morendo di
fame, era comunque meglio di niente.
Si cercò anche di
pescare, usando l’asta di una bandiera come canna da pesca e del filo di ferro
come amo e lenza; venne però pescato soltanto un pescetto di ridotte
dimensioni, la cui suddivisione fruttò razioni miserevoli, che furono mangiate
crude. Per la disperazione, i sopravvissuti giunsero a mangiare anche il cuoio
delle cinture.
Passarono ancora due
giorni, alla deriva sotto il sole cocente. Il 12 luglio, quando i naufraghi
erano ormai giunti allo stremo, sentirono all’improvviso dei rumori di
ventilatori: a pochi metri di distanza, si era materializzato il sommergibile Topazio (capitano di corvetta Emilio Berengan).
Erano finalmente in salvo: erano passati quattordici giorni dall’affondamento
dell’Espero, e la deriva li aveva
portati ad una cinquantina di miglia dalla costa della Cirenaica.
Dei 36 uomini che si
erano trovati su quella zattera dell’Espero,
in sei erano ancora vivi: il secondo capo cannoniere Franco Lo Mastro (che fu
decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare per le sue azioni durante
il combattimento e nelle due settimane alla deriva), il sottocapo cannoniere
Antonio Spagnolo, il cannoniere Giuseppe La Tella, il sottocapo fuochista
Giuseppe Palumbo, il cannoniere Lorenzo Raneo, la camicia nera Alessio Delucca.
I sei superstiti dell’Espero raccolti dal Topazio (da "Il naufrago dell'Espero. Storia vera di un sopravvissuto", di Anna Rita Delucca) |
In tutto, tra i naufraghi
raccolti dal Sydney e quelli salvati
dal Topazio, soltanto 50 dei 255
uomini imbarcati sull’Espero
sopravvissero. Morirono in combattimento, per le ferite od in mare 157 dei 198
uomini dell’equipaggio (6 ufficiali, 15 sottufficiali e 136 tra sottocapi e
marinai) e 48 dei 57 militari di passaggio (compresi entrambi i militari della
Regia Marina). Dei nove superstiti tra il personale di passaggio, due erano
rimasti feriti e due mutilati.
La salma di un
marinaio dell’Espero, il sorrentino
Antonino Russo, di vent’anni, venne ritrovata il 19 luglio 1940 sulla spiaggia
di Ras el Tin, vicino a Tobruk. Sepolto nel cimitero militare di Derna, sarebbe
tornato nel suo paese natale solo 72 anni più tardi.
Caduti e dispersi tra l’equipaggio dell’Espero:
Nicola Ambrosini, capo meccanico di terza
classe, disperso
Raffaele Aprea, marinaio, disperso
Martino Antonio Arianese, marinaio
segnalatore, disperso
Giovanni Baldazzi, capo silurista di seconda
classe, disperso
Fausto Balzarini, marinaio fuochista, disperso
Alessandro Bandiera, marinaio
radiotelegrafista, disperso
Enrico Baroni, capitano di vascello
(comandante), deceduto
Spartaco Barucci, sottotenente del Genio
Navale, disperso
Dino Bellini, marinaio fuochista, disperso
Trento Benetti, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Ugo Beni, marinaio fuochista, disperso
Romualdo Bergonzo, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Bertini, secondo capo meccanico,
disperso
Gaetano Blo, marinaio elettricista, disperso
Francesco Bondi, marinaio cannoniere, disperso
Ernesto Bonzanini, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Boraso, sottocapo meccanico, disperso
Giorgio Borzone, guardiamarina, disperso
Silvio Boscu, marinaio cannoniere, disperso
Tommaso Botticini, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Bottino, marinaio cannoniere, disperso
Wilson Bottoglia, marinaio fuochista, disperso
Modesto Bovino, marinaio cannoniere, disperso
Dante Braschi, marinaio, disperso
Ermenegildo Brero, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Brizzi, marinaio, disperso
Francesco Busciumi, marinaio, disperso
Ferruccio Cacus, marinaio cannoniere, deceduto
Guido Carcas Regnand, sergente
radiotelegrafista, disperso
Salvatore Gennaro Carnevale, marinaio,
disperso
Enrico Carzana, marinaio fuochista, disperso
Francesco Causarano, secondo capo (operaio
militarizzato), disperso
Paolo Cecinati, marinaio fuochista, disperso
Carmine Cementano, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Chiabrera, tenente di vascello,
deceduto
Michele Ciampa, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Gerlando Ciffa, marinaio fuochista, disperso
Andrea Colaianni, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Comis, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Bruno Conte, sottocapo cannoniere, disperso
Vinicio Convalle, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Coppolino, marinaio, deceduto
Vincenzo Cordaro, sergente cannoniere,
disperso
Raffaele Cortese, marinaio furiere, disperso
Celestino Cozzarin, sottocapo infermiere,
deceduto
Pacifico Crudo, sergente cannoniere, disperso
Antonio D’Isa, marinaio fuochista, disperso
Angelo De Marchi, marinaio segnalatore,
disperso
Donato De Nunzio, capo cannoniere di prima
classe, disperso
Luigi De Ritis, capitano del Genio Navale,
deceduto
Antonio Dessi, marinaio fuochista, disperso
Alvise Di Bernardo, marinaio segnalatore,
disperso
Amleto Di Liberto, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Donzelli, capo radiotelegrafista di
seconda classe, disperso
Remigio Doria, secondo capo segnalatore,
disperso
Elio Dossi, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Drago, marinaio cannoniere, deceduto
Edoardo Esposito, sergente silurista, disperso
Guerrino Fabbri, marinaio fuochista, disperso
Natale Faccioli, sottocapo elettricista,
disperso
Mario Fantini, marinaio S.D.T., disperso
Armando Farnocchia, marinaio cannoniere,
disperso
Vincenzo Fazzolari, marinaio, disperso
Vincenzo Ferrigno, marinaio, disperso
Giuseppe Fiorello, sergente cannoniere,
disperso
Armando Formichella, sottocapo nocchiere,
disperso
Nello Gazzari, marinaio silurista, disperso
Giovanni Gereon, marinaio, deceduto
Giuseppe Ghitz, marinaio, disperso
Francesco Giampaglia, marinaio segnalatore,
deceduto
Guido Giannotti, sottocapo S.D.T., disperso
Giuseppe Giordano, marinaio cannoniere,
disperso
Orazio Giuffrida, marinaio, disperso
Francesco Alberto Grassi, marinaio fuochista,
disperso
Raffele Greco, marinaio, deceduto
Rosario Greco, marinaio motorista, disperso
Nicola Gregoris, marinaio nocchiere, disperso
Sante Guarini, secondo capo meccanico,
disperso
Antonio Guglielmi, marinaio, disperso
Rocco Guida, marinaio carpentiere, disperso
Vittorio Iannaccone, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Iatrino, marinaio, disperso
Antonio Inverno, marinaio S.D.T., disperso
Silvio La Sorsa, marinai S.D.T., disperso
Mario Lazzarini, marinaio cannoniere, disperso
Clodoveo Luigi Liguori, sottotenente di
vascello, disperso
Mario Liguori, secondo capo meccanico,
disperso
Pasquale Liotta, marinaio, disperso
Antonio Lipari, capo nocchiere di terza
classe, disperso
Aristide Livieri, marinaio, disperso
Antonino Longo, marinaio, disperso
Luigi Longo, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Maggi, marinaio, disperso
Antonio Mallia, marinaio, disperso
Renato Marcolin, marinaio S.D.T., deceduto
Cosimo Marfeo, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Martella, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Marzella, marinaio fuochista,
disperso
Silvio Massignan, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Serafino Maxia, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Mario Mazzola, marinaio, disperso
Raffaele Menolascino, capo meccanico di
seconda classe, disperso
Alfredo Minazzi, marinaio, disperso
Francesco Molinelli, secondo capo cannoniere,
deceduto
Natale Montecampi, marinaio fuochista,
deceduto
Costantino Montinaro, sottocapo S.D.T.,
disperso
Celeste Morandini, sergente cannoniere,
disperso
Giovanni Morello, marinaio fuochista, disperso
Andrea Moro, sottocapo meccanico, disperso
Mario Nebuloso, marinaio cannoniere, disperso
Emanuele Nocera, sottocapo segnalatore,
disperso
Matteo Oddone, sergente nocchiere, deceduto
Orlando Orsini, sottocapo S.D.T., disperso
Giacomo Palvario, marinaio cannoniere,
disperso
Vittorio Parretti, marinaio cannoniere,
deceduto
Carlo Persico, capo furiere di prima classe,
disperso
Salvatorigo Pes, capo elettricista di terza
classe, disperso
Evio Pescucci, marinaio S.D.T., disperso
Angelo Pintossi, marinaio fuochista, disperso
Stefano Plasa, marinaio cannoniere, disperso
Enrico Porceddu, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Provenzano, marinaio fuochista,
disperso
Orazio Pulvirenti, marinaio cannoniere,
deceduto
Sebastiano Quattrocchi, marinaio cannoniere,
disperso
Placido Ricceri, marinaio cannoniere, disperso
Werther Ricci, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Rocco Richichi, sottocapo S.D.T., disperso
Osvaldo Rossi, marinaio carpentiere, disperso
Carlo Rozzoni, sergente S.D.T., disperso
Giuseppe Rusconi, marinaio fuochista, disperso
Antonino Russo, marinaio, deceduto
Giuseppe Russo, marinaio cannoniere, disperso
Felice Schepis, sottocapo cannoniere, deceduto
Mario Scognamiglio, marinaio elettricista,
disperso
Luigi Spalladore, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Spartaco Spicciariello, marinaio fuochista, disperso
Carlo Tamiati, secondo capo S.D.T., disperso
Celestino Tarantino, marinaio silurista,
disperso
Ivo Teofoli, marinaio cannoniere, disperso
Sebastiano Tito, sottocapo cannoniere,
disperso
Luigi Togni, marinaio, disperso
Osvaldo Tozzini, marinaio fuochista, disperso
Renato Tucci, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Tutone, marinaio fuochista, disperso
Giacomo Vaccaro, marinaio furiere, disperso
Luigi Vaia, sergente cannoniere, disperso
Dante Vando, marinaio torpediniere, disperso
Pietro Vanoncini, marinaio silurista, disperso
Luigi Velluso, marinaio fuochista, disperso
Vito Vento, marinaio, disperso
Antonio Verdone, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Versace, sergente cannoniere, disperso
Carlo Villa, marinaio fuochista, disperso
Eugenio Zanchi, marinaio cannoniere, disperso
Felice Zoppo, marinaio fuochista, deceduto
Libero Zuccarino, marinaio cannoniere,
disperso
L’equipaggio dell’Espero (da www.secondocircoloercolano.gov.it) |
Sopra, il
marinaio Luigi Giuseppe Togni, da Paladina (BG); sotto, il marinaio cannoniere
Pietro Eugenio Zanchi, da Villa d’Ogna (BG). Entrambi ventenni, entrambi
dispersi sull’Espero (g.c. Rinaldo
Monella/www.combattentibergamaschi.it)
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
vascello Enrico Baroni, nato a Firenze il 24 novembre 1892:
"Comandante di
una squadriglia cacciatorpediniere durante un combattimento contro reparti
nemici soverchianti, dava prova di salde qualità di comando, di grandezza e di
serenità di animo. Colpita la sua nave da numerosi proiettili che ne avevano
fortemente diminuita l'efficienza, senza esitazione e con profondo sprezzo del
pericolo, accostava verso gli incrociatori britannici per portarsi a distanza
di lancio. Dopo prolungata azione di fuoco, ultimate le munizioni dell'unico
complesso da 120 ancora in condizioni di sparare, mentre il cacciatorpediniere
lentamente affondava sotto il tiro nemico, scendeva dalla plancia in coperta
per provvedere alla salvezza del personale superstite che si gettava in mare al
suo ordine, dopo aver inneggiato al Re e alla Patria. Date disposizioni per
assicurare un più rapido affondamento del cacciatorpediniere, sebbene
insistentemente invitato dalla sua gente a prendere posto sui mezzi di
salvataggio, risaliva sulla plancia per morire, secondo la più nobile tradizione
navale, con il bastimento del quale aveva il comando.
Mar Jonio, 28 giugno 1940."
Il capitano di vascello Enrico Baroni (g.c. Giovanni Pinna) |
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di
vascello Giovanni Chiabrera, nato a Ponti (Alessandria) il 12 maggio 1901:
"Ufficiale in 2a
di cacciatorpediniere impegnato in lunga, impari lotta contro forze
preponderanti, incurante dell'offesa avversaria che provocava gravi danni e
perdite di uomini, con indomita energia si prodigava per mantenere alto lo
spirito dell’equipaggio ed attiva la reazione dell’unità. Irrimediabilmente
colpita la nave, lanciava ancora contro l’avversario gli ultimi siluri e
scompariva in mare, lasciando l’esempio di tenace, sereno coraggio e di
completa dedizione alla Patria.
Mediterraneo Centrale,
28 giugno 1940."
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
Genio Navale Direzione Macchine Luigi De Ritis, nato ad Ancona il 21 ottobre
1902:
"Capo Servizio
G.N. di CT. impegnato in lunga impari lotta contro preponderanti forze
avversarie la cui offesa provocava gravi danni, con instancabile energia e
sprezzo del pericolo, presente in ogni istante dove più necessaria era la sua
opera, si prodigava per assicurare la galleggiabilità della nave ed il
funzionamento dei macchinari, trascinando il personale all’assolvimento del
proprio dovere.
Scompariva con
l’unità, esempio di tenace coraggio e di completa dedizione alla Patria.
Mediterraneo
Centrale, 28 giugno 1940."
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al secondo capo cannoniere
armaiolo Franco Lo Mastro, nato a Leporano (Taranto) il 9 febbraio 1912:
"Sorvegliante al
complesso di prora da 120 durante un combattimento sostenuto dal
cacciatorpediniere ESPERO contro forze
nemiche preponderanti, avvenuta avaria alla centrale di tiro, assumeva la
direzione del tiro del complesso che continuava a sparare efficacemente fino
all’esaurimento della
dotazione di
munizioni. Lanciatosi in mare poco prima dell’affondamento del cacciatorpediniere,
saliva su di una zattera, dalla quale due volte si gettava a nuoto per aiutare
il comandante in 2a ed un marinaio a raggiungere la zattera stessa.
Alla morte del
comandante in 2a, avvenuta la notte successiva all’affondamento
dell'ESPERO, assumeva il comando del
personale rifugiatosi sulla zattera al quale dava mirabile esempio di serenità,
di fiducia e di fermezza d’animo durante i 13 giorni passati in mare
dai naufraghi prima del loro salvataggio effettuato dal sommergibile TOPAZIO.
Mediterraneo
Centrale, 28 giugno-10 luglio 1940."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo cannoniere
di prima classe Giovanni Baldazzi, nato a Favignana (Trapani) il 22 ottobre
1901:
"Capo silurista
a bordo di cacciatorpediniere impegnato in lunga impari lotta contro forze
preponderanti, infondeva con l’esempio e la parola, nel personale a lui
sottoposto, la calma e lo spirito combattivo che permettevano di lanciare le
ultime armi rimaste illese dalla distruzione provocata dai proiettili nemici,
estrema reazione della nave in procinto di affondare. Esempio di sprezzo del
pericolo e di tenace coraggio.
Mediterraneo
Centrale, 28 giugno 1940."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottotenente di vascello
Gualtiero Corsetti:
"Ufficiale
imbarcato su cacciatorpediniere impegnato in lunga impari lotta contro
preponderanti forze avversarie, la cui offesa provocava danni e perdite di
uomini, incurante del rischio si prodigava per assicurare il funzionamento dei
servizi affidatigli, trascinando con l’esempio e la parola l’equipaggio al completo
nell’assolvimento del proprio dovere; assicurava infine l’ordinato sbarco della
gente nei pochi mezzi di salvataggio rimasti intatti, quando il comandante dava
l’ordine di abbandono della nave in procinto di affondare.
Esempio di sereno
coraggio ed elevato spirito bellico.
Mediterraneo
Centrale, 28 giugno 1940."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo
segnalatore Remigio Doria, nato a Trieste il 26 febbraio 1913:
"Imbarcato su
cacciatorpediniere impegnato in lunga, impari lotta contro preponderanti forze
avversarie assolveva in plancia, con serenità e perizia, i propri compiti.
Fra le distruzioni
provocate dallo scoppio di proiettili, incurante del rischio, infondeva al
personale dipendente la propria indomabile energia.
Colpito a morte rifiutava
ogni aiuto e, nell’imminenza dell’affondamento della sua nave esortava i
compagni a lasciarlo ed a porsi in salvo. Scompariva in mare lasciando esempio
di serenità, di coraggio e di dedizione alla Patria.
Mediterraneo
Centrale, 28 giugno 1940."
L’Espero nel 1930 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Due interessanti aggiunte, 15 giugno 2018:
Ulteriori dettagli e testimonianze sugli
ultimi momenti dell’Espero, dal
saggio di Francesco Mattesini "Operation
M.A.3 – L’eroico combattimento del cacciatorpediniere Espero e l’affondamento,
con l’asportazione di documenti segreti, del sommergibile Uebi Scebeli, 28
giugno 1940":
"L’affondamento
dell’Espero, era avvenuto dopo ben
due ore di combattimento, nel corso del quale, oltre a lanciare i tre siluri,
colpì il Liverpool, come abbiamo
detto, con una granata da 120 mm, e dopo che l’equipaggio aveva accelerato la
sua fino allagando i depositi munizioni. Il comandante Baroni, dopo aver
ordinato di cessare il fuoco e di abbandonare la nave, aiutò l’equipaggio a
mettersi in salvo sulle zattere di salvataggio. Quindi rifiutò di abbandonare
la sua nave e affondò con essa. Gli fu concessa una meritatissima Medaglia
d’Oro alla memoria, il riconoscimento più alto per le Forze Armate italiane.
Nella relazione del Sydney la versione sulla morte del
comandante Baroni, fornita dalle dichiarazioni di un superstiti dell’Espero, è alquanto controversa. Il
decesso si sarebbe verificato in seguito ad un’esplosione avvenuta
probabilmente in un deposito di munizioni di piccolo calibro vicino alla
plancia, dove si trovava Baroni, e determinando l’immediato incendio di tutta la
parte centrale del cacciatorpediniere che fu subito avviluppato dalle fiamme
della nafta incendiata. Diverso è invece il racconto fatto su Baroni dal
capitano medico Lotti, nel descrivere quanto avvenne al momento in cui l’Espero fu immobilizzato per poi
affondare: "Verso le 20 l’ESPERO colpito, nel locale
macchine rimaneva immobilizzato. Si seguitava a sparare da ambo le parti,
finché due imbarcazioni (i ciambellani) venivano calate in mare; in queste
trovavano rifugio dai 40 ai 50 uomini, la maggior parte ferita, ma non in modo
grave; erano troppi uomini per simili imbarcazioni, molti erano aggrappati con
le mani, mentre il loro corpo era in acqua; una di esse fu colpita in pieno dal
nemico. Io, che sebbene ferito, sia pure in forma leggera e in due punti
dell’arto superiore destro, seguitavo da un capo all’altro del bastimento a
prestare la mia opera … Eravamo rimasti a bordo non più di 10, oltre al
Comandante, il Segretario di Squadriglia S.T.V. Giussani ed io; il Comandante
Baroni e il S.T.V. Giussani feriti al braccio e gravemente, grondanti sangue
dalle loro divise lacere. Mentre ancora cercavo di curare e consolare i
pochissimi rimasti, nonché i feriti più gravi, mi accorsi che il Comandante
stava scendendo dalla plancia in coperta; mi avvicino a lui e mi accingo a
dargli ancora del rum e a fasciargli la ferita; il Comandante mi risponde di
pensare agli altri; indicandomi con un largo gesto del braccio sano tutta la
coperta piena di corpi feriti da cui si alzava qualche lamento. Alla mia
preghiera di cercare di gettarsi in mare insieme a me e agli altri rimasti
rispondeva che il suo destino era legato a quello della nave, dopodichè mi
esortava a buttarmi in mare, raccomandandomi, qualora mi fossi salvato, di
andare a Roma a riferire al Ministero che Egli aveva cercato di fare tutto il
suo dovere, ma contro un nemico così enormemente superiore non si poteva fare
nulla di più." Il sottotenente di vascello Giussani, aggiunse nella
sua relazione: "In tutto questo
periodo il contegno del personale fu esemplare ed io non sentii una sola parola
di sconforto o di abbattimento. Il Comandante Capitano di Vascello Baroni,
veniva ferito al braccio dallo stesso colpo che feriva me, ma non gravemente:
poi non lo rividi più. Dopo il mio recupero (da parte di una imbarcazione del Sydney)
un sottufficiale mi disse di averlo visto in piedi, sulla poppa della nave
sprofondare con essa, dopo aver risposto negativamente ai suoi ripetuti inviti
a salvarsi". Questa dichiarazione di Giussani fu confermata dal capo
cannoniere Franco Lo Mastro, il quale, dopo aver aiutato i feriti a prendere
posto su una delle tre zattere (canotti "Carley") messe in mare dal
personale dell’Espero, manovra resa
più facile dal fatto che ormai l’acqua era a pochi centimetri dal trincarino,
si recò "dal comandante per invitarlo prendervi posto" ma il capitano
di vascello Baroni, non era intenzionato a salvarsi, per condividere la sorte
della sua nave. Dichiarò, infatti, Lo Mastro: "Al mio invito negò recisamente, mi strinse la mano elogiandomi e infine
mi ordinò di abbandonare la nave ed allontanarmi prima che fosse troppo tardi.
Eseguii il suo ultimo ordine e dopo aver preso posto sulla zattera notai un
marinaio offrire al Comandante il proprio salvagente perché si salvasse. Questi
rifiutò abbracciando il marinaio, e dopo avergli rimesso il salvagente lo aiutò
a scendere in mare perché raggiungesse la nostra zattera. Al contabile
meccanico, il Comandante disse queste testuali parole: “Contabile, ha visto
come siamo stati sfortunati?”. Ed al nuovo invito del Sottufficiale a salvarsi
con lui, rispose: “No, il Comandante muore con la propria nave”. Poco dopo,
ritornando nei suoi passi disse al contabile: “Se avrete fortuna di far ritorno
in Patria, direte ai nostri superiori che abbiamo compiuto il nostro dovere
sino all’ultimo. Viva l’Italia”. Indi si allontanò verso poppa". Dopo
l’affondamento dell’Espero il Sydney ammainò le sue due imbarcazioni
di salvataggio e dispose gli spezzoni di cima lungo i bordi della nave, facendo
poi ogni sforzo generoso per recuperare i superstiti, che si trovavano a bordo
dei battellini Carley o aggrappati ad essi, oppure a delle tavole di legno.
L’incrociatore ne prese a bordo quarantasette (trentotto uomini dell’equipaggio
e nove Camicie Nere), incluso il Dottor Lotti, e i sottotenenti di vascello Giussani
e Corsetti, che poi al rientro dalla prigionia fornirono le preziose
testimonianze sull’episodio che abbiamo descritto. Purtroppo, tre dei marinai
decedettero per le gravi ferite riportate nel combattimento. Il Sydney, che rimanendo immobile nella
zona stava correndo un grande rischio, a causa della presenza dei sommergibili,
nonostante i suoi sforzi non poté salvare altri naufraghi, perché non avvistati
nell’oscurità della notte illuminata soltanto dai proiettori dell’incrociatore
che scrutavano il mare senza luna, nero come la pece. Fu questa la sorte del
Carley in cui aveva preso posto il capo cannoniere Lo Mastro assieme ad altri
trentasei naufraghi. Le perdite umane dell’Espero
aumentarono poi per il fatto che un altro dei tre Carley, anch’esso carico di
naufraghi, fu centrato in pieno da un proiettile del Sydney, prima che all’incrociatore fosse ordinato di cessare il
fuoco contro il cacciatorpediniere immobilizzato. Fortunatamente per una parte
di quegli uomini il Sydney, prima di
allontanarsi per raggiungere gli altri incrociatori della Forza A, lasciò in
mare una attrezzata imbarcazione di salvataggio, che poi permise il salvataggio
di altri naufraghi del Carley di Lo Mastro. A bordo di quel canotto, su cui si
trovavano i feriti, mentre gli altri uomini vi si tenevano aggrappati immersi
in acqua, i naufraghi trascorsero tre giorni: in questo periodo di tempo, essi
si assottigliarono di numero, perché il Carley ogni tanto, a causa del peso,
affondava o si capovolgeva. Molti feriti annegarono e morirono per quella
causa, e a Lo Mastro, aiutato dai pochi marinai ancora lucidi di mente, risultò
difficile calmare parte degli altri uomini del canotto, che non capivano più
nulla. Altri, ancora, per la mancanza d’acqua, impazzirono letteralmente, come
accadde all’ufficiale in seconda dell’Espero,
tenente di vascello Giovanni Chiabrera. Poi, il quarto giorno di quel martirio,
fu individuata l’imbarcazione del Sydney,
e i superstiti, facendo notevoli sforzi riuscirono a raggiungerla e salirvi a
bordo, per poi trascorrendovi altri undici terribili giorni alla deriva,
vedendo morire di inedia un altro uomo. Nell’interno dell’imbarcazione non
furono trovati viveri, ma vi erano 200 litri d’acqua distribuita in quattro
barili nonché un fanale da segnalazione Donath completo di batteria e in
perfetto stato di funzionamento, alcuni impermeabili, una bussola, dodici remi
e sei elmetti di tipo francese. Finalmente, il 12 luglio, i sei superstiti,
compreso Lo Mastro, che durante tutto quel tempo aveva preso in mano la
situazione, cercando di calmare gli uomini, distribuendo ordini e razionando la
scorta d’acqua, furono avvistati e salvati dal sommergibile italiano Topazio (capitano di corvetta Emilio
Berengan), che stava rientrando a Taranto da una missione di guerra. Il
salvataggio si verificò con mare molto mosso. Tutti i dettagli di quel tragico
avvenimento, furono scritti da Lo Mastro nella sua relazione scritta dopo il
rientro del Topazio a Taranto. Ha
scritto il capo cannoniere Lo Mastro: "Razionai
subito l’acqua. Nello stesso giorno uno dei componenti morì; lo tenni a bordo
per qualche giorno nella speranza di essere salvati da un momento all’altro,
allo scopo di consegnare la salma alla famiglia. Non mi fu possibile portare a
termine il mio proponimento perché col passare dei giorni il cadavere andava
vieppiù in putrefazione ed anche perché il sottocapo motorista mi aveva
espresso il desiderio di sfamarci con il cadavere. A detta proposta mi opposi
spiegandogli le conseguenze che potrebbero derivare dall’atto inumano; infine,
facendo opera di persuasione, mi fu permesso di sfilarlo in mare". I
sei naufraghi dell’Espero erano: 2°
Capo Cannoniere Franco Lo Mastro, Sottocapo Cannoniere Antonio Spagnolo,
Cannoniere Giuseppe La Tella, Cannoniere Lorenzo Romeo, Sotto Capo Fuochista
Giuseppe Palombo, e Camicia Nera Alessio Delucca, del 2° Gruppo del 4°
Battaglione Antiaereo “Napoli”. Il sommergibile Topazio avvistò l’imbarcazione lasciata dal Sydney (dipinta in bianco e con i remi alzati a prua e a poppa
portanti indumenti come segnali) alle 18.45 del 12 luglio, nel punto a miglia
46 per 0° da Ras el Tin. Avvicinatosi, il comandante Berengan constatò che vi
erano a bordo sei persone che facevano segni di soccorso. Provvide ad
imbarcarle, constatando che, pur non essendo ferite e avendo soltanto alcune
abrasioni rimarginate e ustioni, “erano in stato di grande prostrazione
fisica”. L’imbarcazione, a tredici remi, era completamente attrezzata, con una
pistola e fuochi da segnali, due barili d’acqua di circa dieci litri ciascuno,
salvagente e cassa per indumenti, ma non vi erano viveri. A causa delle
condizioni del mare, forza 5, che causò difficoltà nel trasbordo dei naufraghi,
e per la necessità di non soffermarsi più a lungo nella zona, Berengan preferì
abbandonarla, senza asportare da essa qualche strumento. Dall’interrogatorio
dei naufraghi, fu appreso che l’acqua, che servi a tenere in vita gli uomini
per tanti giorni, era stata razionata, con disposizioni impartite dal 2° Capo
Lo Mastro. Sul suo comportamento, il comandante del Topazio scrisse nel suo rapporto inviato a Marina Taranto: “Mi è doveroso segnalare il comportamento del
2° Capo LO MASTRO Franco, saggio nelle disposizioni prese, risoluto nella
disciplina impartita, malgrado loro, ai compagni scoraggiati ed abbattuti:
calmo e sereno nel coadiuvare le operazioni di salvataggio. Gli è stato di
valido aiuto il Cann. O. Romeo Lorenzo”."
Inserto al numero 135 del giornale "Quotidiano" del 9 giugno
1990, con il racconto di Franco Lo Mastro (si ringrazia il figlio Francesco Paolo)
"Fine gloriosa del C.T. Espero", opuscolo edito nel 1942 dall'"Editoriale
di Propaganda" di Roma (g.c. Francesco Paolo Lo Mastro)
L’affondamento dell’Espero ed il recupero dei naufraghi in un’intervista al marinaio
australiano Thomas Fisher, all’epoca imbarcato sul Sydney (da http://australiansatwarfilmarchive.unsw.edu.au/archive/1236-thomas-fisher):
"Well before we get to the Colleoni action after Bardia – What was
the next action?
The Espero destroyer.
What led up to that action?
Well the fleet were
doing a sweep when we came across three destroyers and the seven cruiser
squadron three ships were detailed out for the three destroyers but the destroyers
fanned out, see. We were given one called Espero
to sink. Well we sank that one and we picked up the survivors and that is the
saddest part of my trip because they grabbed out turret to take the lifeboat
away. They sent two lifeboats away and we went away and of course the Italians
were yelling in the water because their ship had been sunk. They were screaming
and yelling in the water. So when we got alongside a group of them they all
grabbed hold of the cutter to try and climb onboard. Our cutter was going over
like this see and the petty officer gave me a tiller handle and said, smack
them on the knuckles and make them get back so we can bring them in orderly. I
was panic-stricken and they were panicking too and one chap wouldn’t let go. I
think I broke his hands but he wouldn’t let go, so I belted him across the
head. Because he just let go then and that’s something that’s stayed with me
for the rest of my life. I often think, “Did he leave a wife and family?” I
know I killed him and that’s something that I’ve lived with for a long, long
time and I’ve tried to put out of my mind but war – one’s war [?UNCLEAR] .
Sounds like a desperate situation.
Well actually as I
said there were some men and they could have capsized us. Of course the captain
was yelling get a move on, get a move on. We were in danger waters. They had a
signalling projector lamp, like a small searchlight shining down on the water
and of course we didn’t know where the submarines were or anything. So later on
in the war they decided not to pick up any survivors.
I think the important thing is the men that
you rescued?
Well we looked after
them. They gave them all a sailor’s old uniform, especially the sailors old
duck ones which we didn’t use any more. Because their uniforms were oil soaked and
covered in oil. So took them round to the bathroom and gave them hot showers
and got the oil off them. They put them all in the recreation room for sleeping
and gave them food. Gave them chocolates and cigarettes and that and I’ve got
photos of them here, now on the deck. And when we got to Alexandria, several of
them wanted to stay on the ship – they didn’t want to go ashore.
That’s interesting. Why do you think that was?
The way they were
treated I think onboard. See a lot of them were peasants too. They were called
up and put in the navy just before the war broke out and not much training. I
don’t think that they had the national pride that the Australians have, you
know. As soon as they reckon the food was good –
How many men did you have onboard?
I think we had
twenty-eight so a lot were killed. We left a cutter with supplies onboard and a
humorous thing. The cutter, a thirty-two foot boat and we left it there with
supplies on.
Just left it adrift?
Yes. And we caught up
with a chap called Cantoni in North Perth, who was a survivor and got away in
that cutter. He was an electrician and he died only a couple of years ago, he
was in North Perth.
That’s remarkable. What was that meeting like
when you discovered that?
He was a little bit
anti-social but another chap that we met up with on the Colleoni we used to take him to our reunions. So when we get the Colleoni. Do you want that now?
No. But can you describe your action with the Espero before she sunk?
I couldn’t see
anything because I was in the turret. Being a rammer my job was just to ram
shells home and to keep on my feet, you know. So all I remember was enemy in
sight, range 19 terro. Now 19 terro is nineteen thousand two hundred yards that
they open fire at. Nearly ten miles. And one thing I do remember, after we’d ceased
firing, just before we took the lifeboat crews away there was a terrific
underwater explosion and they think that as the Espero sunk depth charges or the boiler blew up. It was a terrific
explosion and I think that killed a lot of chaps in the water before we picked
them up.
What is your overall knowledge of that day?
Were there any other vessels involved in that battle?
Well there was two
other cruisers and two other destroyers that escaped. They got away. There was
only one destroyer sunk and that’s the one we were given.
And did the Sydney take these ships on by herself?
Took one on. No, see
the admiral, when he sent the signals, he said we have allocated one to the Sydney – the one on the – They didn’t
know the name of it but they took the bearing of that ship and the others were
to engage the other two separately. But the other two got away. It was just on
dark then too. It was dark when we were picking up the survivors.
The only thing I can
remember is the engineer, he was on a camp stretcher in one of the officers
cabins. See, I had a job at sea in those days as what they called a signal deck
officers messenger boy. I had to take the signals round on a clipboard to the
officers but nothing of a confidential nature. Just the general signals that
come through. You know, the oiler will come along at such and such a time. Just
general ordinary things. And I can remember going to the chap and he could
speak English and he said, “Are you an Australian?” And I said, “Yes.” “Is Australia
a good place?” He was an officer and he spoke well too. “Yes.” You know. A
little simple thing because his is still an officer. So he was an engineer
officer but in the engineer officers’ cabin, sleeping on the deck on a
stretcher. A canvas stretcher.
That’s interesting. You were travelling with
the fleet before you sunk the Espero
and then the admiral gave you all different ones to attack?
Yes. There was no
good all of us rushing around trying to concentrate on one and the others
getting away.
The Italian found themselves out numbers that
day?
Yes. Very much so."