L’Ondina (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)
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Sommergibile di
piccola crociera della classe Sirena (dislocamento di 678 tonnellate in
superficie, 842 in immersione).
Durante la seconda
guerra mondiale effettuò complessivamente 15 missioni offensive/esplorative e 6
di trasferimento, percorrendo in tutto 11.556 miglia in superficie e 2861 in
immersione.
Breve e parziale cronologia.
25 luglio 1931
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 260).
2 dicembre 1931
Varo nei Cantieri Riuniti
dell’Adriatico di Monfalcone.
Sopra, l’Ondina pronto al varo (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net); sotto, il varo (Archivio Fincantieri, via Rivista Marittima n. 8-9, agosto-settembre 2009, e www.betasom.it)
19 settembre 1934
Entrata in servizio,
ultima unità della classe ad essere completata.
Dislocato a Brindisi,
in seno alla X Squadriglia Sommergibili (alle dipendenze del Comando Divisione
Sommergibili), che forma insieme ai gemelli Sirena, Anfitrite, Galatea, Naiade e Nereide.
1935-1936
Compie crociere
addestrative nel Mediterraneo, facendo scalo in porti italiani.
1937
Anno di intensa
attività addestrativa e prolungate crociere, soprattutto nel Dodecaneso. Opera
alle dipendenze del IV Gruppo Sommergibili di Taranto.
15 agosto 1937
Al comando del
tenente di vascello Stefano Nurra, l’Ondina
salpa da Napoli per effettuare una missione clandestina nell’ambito della
guerra civile spagnola, un pattugliamento a nord di Barcellona.
1° settembre 1937
Conclude la missione
rientrando a Napoli, senza aver avvistato navi sospette.
1938
Dislocato a Brindisi,
assegnato alla XLII Squadriglia Sommergibili insieme a Sirena, Naiade, Nereide, Anfitrite e Galatea.
Trasferito a Tobruk nello
stesso anno, vi rimane fino alla fine del 1939.
Due immagini scattate a bordo
dell’Ondina, a Tobruk nel 1939. A cavallo del cannone è il marinaio cannoniere Corrado Giusto, che prestò servizio sull'Ondina dall'ottobre 1939 agli inizi del 1941 (foto
Giuliano Giusto, da www.naviearmatori.net)
25 ottobre 1939
Il marinaio
elettricista Pietro Cozzarin, diciottenne, di Pordenone, muore a bordo dell’Ondina al largo di Tobruk.
Membri dell’equipaggio dell’Ondina in posa durante le operazioni di
carico delle munizioni (foto Giuliano Giusto, da www.naviearmatori.net).
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1939-1940
Nuovamente trasferito
a Brindisi poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
10 giugno 1940
All’ingresso in
guerra dell’Italia, l’Ondina fa parte
della XLVIII Squadriglia Sommergibili, di base a Brindisi (alle dipendenze del
IV Grupsom di Taranto).
27 giugno 1940
L’Ondina (tenente di vascello Vincenzo
D’Amato) salpa da Brindisi (per altra fonte Taranto) in mattinata diretto a sud
di Creta, per la prima missione di guerra.
29 giugno 1940
In mattinata l’Ondina, in navigazione a circa 65 miglia
da Capo Matapan (54 miglia ad ovest della zona assegnata, che non riuscirà a
raggiungere), viene sottoposto a lunghe ricerche da parte di navi nemiche,
riuscendo infine a sfuggire con manovre evasive.
L’attacco non è
avvenuto per caso: due giorni prima, infatti, alcuni cacciatorpediniere
britannici hanno affondato il sommergibile Uebi
Scebeli, ed in quell’occasione hanno catturato alcuni documenti segreti tra
cui un ordine di operazioni che indicava le posizioni assegnate per gli agguati
dell’Ondina e di un altro
sommergibile, il Salpa (che devono
formare una linea di pattugliamento, con altri sommergibili, tra Creta e
l’Africa Settentrionale).
Il tenente di vascello Vincenzo D’Amato, comandante dell’Ondina dal 5 aprile al 18 novembre 1940 (g.c. Giovanni Pinna) |
1° luglio 1940
In serata, il
sommergibile rileva all’idrofono rumori prodotti da motrici a vapore; emerge ed
avvista due piroscafi che avanzano ad elevata velocità, a considerevole distanza
(tale da impedire di avvicinarsi a sufficienza da poter lanciare i siluri,
stando in immersione). L’Ondina pertanto
si pone all’inseguimento dei piroscafi, procedendo a tutta forza, ed apre il
fuoco col cannone, ma il mare molto burrascoso rende quasi impossibile mirare
con precisione, e la velocità dei mercantili, superiore a quella del
sommergibile, impedisce di ridurre la distanza. L’Ondina deve così rinunciare all’attacco.
Successivamente
trasferito nella base di Lero.
6 settembre 1940
Inizia una nuova
missione, al comando del tenente di vascello D’Amato.
Una foto della torretta dell’Ondina dopo i lavori di
ridimensionamento eseguiti durante il conflitto (g.c. STORIA militare)
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12 settembre 1940
Alle tre di notte il
sommergibile britannico Proteus
(capitano di corvetta Randall Thomas Gordon-Duff) avvista un sommergibile
italiano emerso in posizione 32°21’ N e 24°39’ E, su rilevamento 150°, ma
quest’ultimo s’immerge prima che il Proteus
possa attaccare; alle 4.16 il battello britannico avvista un altro sommergibile
italiano (40 miglia ad est-nord-est di Tobruk), cui lancia infruttuosamente un
siluro da 1370 metri, immergendosi subito dopo. È probabile che il bersaglio di
questo attacco fosse l’Ondina, oppure
un altro sommergibile italiano operante in zona, l’Uarsciek.
19 settembre 1940
Attacca infruttuosamente due
cacciatorpediniere britannici al largo di Tobruk. Elude successivamente la
violenta caccia nemica, non senza riportare serie avarie, che però non gli
impediranno di proseguire nella missione.
25 settembre 1940
Rientra alla base. Il
comandante D’Amato riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per la sua
condotta durante questa missione.
Novembre 1940-Gennaio 1941
Compie una serie di
agguati difensivi nel Golfo di Taranto, con funzione antisommergibili. Non
avvista nessuna unità avversaria.
23-27 gennaio 1941
L’Ondina effettua una missione di
trasporto portando rifornimenti all’isola di Lero, a corto di viveri, come
tutto il Dodecaneso, a causa del blocco navale britannico e greco.
Marzo 1941
Inviato al largo di
Creta per insidiare i convogli che trasportano truppe britanniche in Grecia,
non coglie successi.
L’Ondina a Monfalcone poco dopo il completamento (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
17 giugno 1941
L’Ondina (tenente di vascello Corrado Dal
Pozzo) salpa diretto in un’area di agguato sita sulla congiungente Capo Andreas
(Cipro)-Alessandretta (Turchia).
L’8 giugno le forze
britanniche hanno invaso la Siria, controllata dalle forze della Francia di
Vichy; di conseguenza Maricosom (il Comando della flotta subacquea della Regia
Marina), ritenendo che numerose navi britanniche od Alleate siano presenti nel
Mediterraneo orientale a supporto dell’operazione, ha deciso di inviare in zona
alcuni sommergibili, tra cui l’Ondina.
23 giugno 1941
Intorno alle 20, nelle
acque tra Cipro e la Siria, l’Ondina
avvista il piroscafo turco Refah di
3805 tsl (che pare al comandante Dal Pozzo “un grosso piroscafo”), con rotta
apparente verso Cipro.
Secondo alcune fonti anche
ufficiali italiane, la nave sarebbe stata oscurata e sprovvista dei
contrassegni di neutralità, inducendo il comandante Dal Pozzo a ritenere che
essa fosse al servizio degli Alleati; ma dal rapporto dell’Ondina (consultato presso gli archivi dell’Ufficio Storico della
Marina Militare dal ricercatore Platon Alexiades) risulta invece che il Refah era illuminato, come prescritto
per le navi neutrali, e che la bandiera turca risultava chiaramente visibile.
Dal Pozzo ritenne che si trattasse di uno stratagemma nemico e che il piroscafo
fosse britannico, camuffato da nave turca, così decise di attaccare lo stesso.
Alle 21.30, in
posizione 36°08’ N e 34°44’ E, l’Ondina
lancia due siluri dai tubi 3 e 4 di prua; i siluri passano a proravia del Refah, mancandolo, perciò il
sommergibile si gira ed alle 21.33, da una distanza inferiore al migliaio di
metri, lancia un terzo siluro dal tubo n. 7 di poppa. Dopo 47 secondi il siluro
va a segno: colpito a centro nave, il Refah
viene scosso dallo scoppio delle caldaie, e successivamente affonda, 40 miglia
a sud di Mersina.
Il Refah aveva a bordo ben 200 persone: 28
membri dell’equipaggio, al comando del capitano İzzet Dalgakıran, e
171 passeggeri (19 ufficiali, 72 sottufficiali e 58 marinai della Marina turca,
20 cadetti dell’Aeronautica turca e due civili, nonché un ufficiale di
collegamento britannico), membri di una missione militare turca diretta nel
Regno Unito per prendere in consegna un lotto di aerei e sommergibili costruiti
in cantieri britannici per l’Aeronautica e la Marina turca (le forze armate
turche, pur restando il Paese neutrale, avevano ordinato tali mezzi per
potenziarsi ed essere pronte ad affrontare un’eventuale invasione da parte di
una delle potenze belligeranti), e per addestrarsi con tali unità prima di
portarle in Turchia. Allo scopo, il piroscafo era stato noleggiato dal governo
turco ed aveva lasciato Istanbul il 16 giugno, raggiungendo Mersina il 21
giugno e ripartendone due giorni dopo; si sarebbe dovuto unire ad un convoglio
britannico in partenza da Port Said entro il 25.
Il capitano di
fregata Zeki Işın, comandante della missione militare turca,
aveva ispezionato il Refah e riferito
alle autorità di Ankara che la nave era inadatta ad un viaggio del genere,
mancando cabine, letti e servizi igienici in numero sufficiente, e disponendo
soltanto di due scialuppe da 24 posti l’una; prima della partenza si erano
pertanto frettolosamente compiute alcune modifiche, quali l’aggiunta di servizi
igienici e letti portati dall’accademia navale di Mersina. Per rendere la nave
identificabile come neutrale a sommergibili ed aerei di Paesi belligeranti,
erano state verniciate bandiere turche sulle murate e sul ponte di castello.
Il Refah aveva lasciato Mersina alle 17.30
del 23 giugno, ma alle 22.30 (ora di bordo, discordante di un’ora rispetto
all’orario dell’Ondina per via del
fuso orario), mentre i passeggeri stavano cenando, uno dei siluri lanciati dall’Ondina lo aveva colpito, una decina di
miglia ad est di Cipro. Una delle scialuppe era subito caduta in mare, piena di
passeggeri che vi si erano sistemati per dormire; era mancata la corrente e la
radio era stata messa fuori uso, così non fu possibile lanciare una richiesta
d’aiuto. Diversi passeggeri si erano tuffati in acqua (alcuni erano poi tornati
a bordo, perché la nave non era affondata subito), altri avevano smontato le
porte in legno dei bagni e le coperture delle stive per usarle come zattere; un
ufficiale della Marina turca, pistola alla mano, aveva organizzato l’imbarco di
24 passeggeri nella scialuppa superstite, ma non la si era potuta calare per
malfunzionamento delle gruette. Dopo quattro ore di agonia, il Refah era affondato spezzandosi in due.
La scialuppa rimasta
intatta era riuscita a liberarsi mentre la nave affondava, e si era allontanata
con 28 persone a bordo (i 24 occupanti originari, ed altri quattro naufraghi
recuperati dal mare); aveva issato una vela di fortuna, ma il vento l’aveva
allontanata dalla vicina Cipro, sospingendola invece verso la costa
dell’Anatolia. Solo quando la scialuppa toccò terra, venti ore dopo
l’affondamento, le autorità turche seppero dell’accaduto: mezzi navali ed aerei
vennero inviati a setacciare per tutto il giorno le acque dove il Refah era affondato, ma trovarono
soltanto quattro ulteriori sopravvissuti. La tragedia del Refah costò la vita a 168 persone: di gran lunga il più pesante
tributo umano pagato dalla neutrale Turchia alla seconda guerra mondiale.
L’identità del
responsabile dell’affondamento del Refah
rimase per lunghissimo tempo avvolta nel mistero: giornali britannici
incolparono immediatamente un sommergibile italiano, senza però indicare il suo
nome o la fonte, e lo stesso fece, più genericamente (sommergibile italiano o
tedesco), l’ambasciatore britannico in Turchia, Hughe Knatchbull-Hugessen
(subito smentito dall’agenzia stampa tedesca DNB). È interessante notare che i
britannici, grazie alle intercettazioni di comunicazioni italiane decifrate
mediante “ULTRA”, seppero subito che l’affondatore del Refah era italiano (ed anche che il governo italiano era pronto a
negare ogni coinvolgimento), ma non poterono rivelare la loro fonte,
ovviamente, per non rivelare l’esistenza di “ULTRA”, così l’accusa rivolta da
giornali britannici all’Italia sembrò soltanto una delle tante reciproche
accuse che fioccavano sempre dopo episodi del genere.
Si ipotizzò anche che
l’affondatore fosse un’unità della Francia di Vichy (probabilmente un
sommergibile), che aveva forse scambiato il Refah
per una nave egiziana (alcuni naufraghi avevano visto ricognitori francesi
sorvolare la scena del disastro il mattino successivo, senza riferire
l’accaduto alle autorità turche); si accusò anche lo stesso Regno Unito, che
avrebbe affondato il Refah perché non
intenzionato a consegnare aerei e sommergibili alla Turchia, oppure per
“incastrare” l’Asse e spingere la Turchia all’entrata in guerra a fianco degli
Alleati. Ancora, qualche autore turco ha ipotizzato che la nave sia stata stata
un’altra vittima di Luigi Ferraro, membro della X Flottiglia MAS, il quale,
fingendosi funzionario diplomatico al locale consolato italiano, aveva piazzato
cariche esplosive su quattro navi mercantili nei porti di Alessandretta e,
appunto, Mersina. Ma nel 1941 Ferraro non era nemmeno nella X MAS: vi entrò
solo successivamente, e fu inviato in Turchia solo nel maggio 1943. Una
ulteriore ipotesi fu quella di una mina.
Per lungo tempo
l’ipotesi più accreditata fu quella di un sommergibile della Francia di Vichy,
data la presenza di molte unità francesi in acque turche, la campagna di Siria
in corso in quei giorni, e voci circolanti intorno ad ufficiali francesi che
avrebbero “ammesso” l’affondamento; solo molti anni più tardi ci si rese conto
che luogo ed ora dell’affondamento del Refah
combaciavano con quelli dell’attacco compiuto dall’Ondina.
Anche all’epoca,
l’affondamento del Refah fu
imbarazzante per il governo italiano: era appena iniziata la campagna contro
l’Unione Sovietica, e l’Italia stava cercando di persuadere la Turchia a
scendere in guerra a fianco dell’Asse.
La notizia dell’affondamento del Refah su un giornale turco (da tr.wikipedia.org) |
24 giugno 1941
Rientra alla base.
18 marzo 1942
Alle 15.36 l’Ondina (tenente di vascello Gabriele
Andolfi), che sta rientrando a Brindisi in superficie dopo un’esercitazione mattutina,
viene avvistato in posizione 40°41’ N e 17°57’ E dal sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm
David Wanklyn). Quest’ultimo manovra per attaccare, ma non riesce a ridurre le
distanze a meno di 4600 metri, così rinuncia all’attacco. Poche ore dopo, l’Upholder silurerà ed affonderà invece un
altro sommergibile italiano, il Tricheco,
anch’esso in fase di entrata a Brindisi.
4-16 giugno 1942
L’Ondina viene inviato a pattugliare le
acque al largo della Palestina, unitamente ai sommergibili Sirena, Beilul e Galatea.
L’affondamento
Il 3 luglio 1942 l’Ondina, al comando del tenente di
vascello Gabriele Andolfi, salpò da Lero diretto nelle acque tra Cipro e la
Siria (precisamente, a sud di Cipro), per compiervi un agguato ai danni dell’intenso
traffico britannico tra i porti del Medio Oriente e quelli dell’Egitto. Per
insidiare tale traffico, ben cinque sommergibili erano stati inviati nel
Mediterraneo orientale: oltre all’Ondina,
anche il Perla, l’Alagi, il Nereide e l’Asteria.
Intorno alle ore 14
dell’11 luglio, l’Ondina avvistò al
largo di Beirut quello che al comandante Andolfi parve un piccolo mercantile:
secondo fonti sudafricane (basate sul successivo interrogatorio degli ufficiali
prigionieri) il sommergibile, dopo aver vanamente tentato un attacco in
immersione – impraticabile per via della
sua posizione sfavorevole al lancio dei siluri –, emerse per attaccare il
bastimento con il cannone. Secondo fonti italiane, invece, l’avvistamento
iniziale avvenne mentre il sommergibile era in superficie, e l’Ondina s’immerse per attaccare con il
siluro.
L’unità avvistata non
era però un mercantile, bensì il peschereccio antisommergibili Southern Maid, della Marina del
Sudafrica: al comando del tenente di vascello Leonard John Bangley, era salpato
da Beirut insieme ad un altro peschereccio antisom, il Protea (tenente di vascello G. Burn-Wood), anch’esso sudafricano,
per condurre un rastrello antisommergibili tra il porto di partenza e Famagosta
(Cipro). Le due piccole unità procedevano in linea di fronte ad una distanza di
circa 2,5 chilometri l’una dall’altra, per non perdersi di vista ma al contempo
aumentare le probabilità di rilevare un contatto sonar.
Alle 15, l’ufficiale
di guardia sul Protea avvistò un
oggetto in superficie circa 2,5 miglia a poppa dritta: se fosse stata una nave
di superficie, il Southern Maid, che
distava da essa non più di mezzo miglio, avrebbe dovuto giocoforza avvistarla.
Si concluse pertanto che era la torretta di un sommergibile, impressione
confermata quando, poco dopo, il sommergibile tornò ad immergersi.
L’Ondina, infatti, si era reso conto del
proprio errore, e si era pertanto immerso nuovamente; manovrò per potarsi in
posizione idonea al lancio e tentare l’attacco con i siluri, ma non ne ebbe il
tempo. Il Protea accostò subito in
direzione del punto dove aveva avvistato la torretta, ed ordinò al Southern Maid di fare altrettanto; i due
cacciasommergibili diressero verso il punto in cui si era immerso l’Ondina alla massima velocità.
Al primo passaggio,
né il Protea né il Southern Maid ottennero un contatto
sonar, pertanto ne compirono un secondo. Alle 16.10 il Southern Maid ottenne un contatto, ma così vicino che passò sulla
sua verticale prima di avere il tempo di aumentare la velocità per effettuare
in sicurezza un attacco con bombe di profondità. Il contatto fu così perso;
cinque minuti più tardi, tuttavia, il Protea
localizzò nuovamente al sonar il sommergibile italiano, e gettò sei bombe di
profondità regolate per scoppiare a quote comprese tra i 76 ed i 106 metri di
profondità.
Questo primo attacco
non produsse risultati apparenti, ed il contatto fu nuovamente perso.
Riottenutolo alle 16.25, il Protea
lanciò un secondo pacchetto di bombe di profondità dieci minuti più tardi.
Questa volta le bombe erano regolate per esplodere a profondità comprese tra i
106 ed i 152 metri, e l’Ondina venne
danneggiato; se ne accorsero anche le unità sudafricane, che videro del
carburante affiorare in superficie.
Stavolta il Protea mantenne il contatto ed alle
16.50 lanciò una terza scarica di bombe di profondità, anch’esse regolate per
quote tra i 106 ed i 152 metri, provvedendo inoltre a gettare in mare un
segnale luminoso al calcio, per contrassegnare il punto in cui doveva trovarsi
il sommergibile.
A questo punto,
l’entità dei danni divenne tale da impedire all’Ondina di restare immerso ulteriormente, ed il battello dovette
emergere per non affondare con tutto l’equipaggio. Fonti italiane indicano
l’ora come le 16.35, mentre fonti sudafricane indicano che ciò avvenne un
minuto dopo l’ultimo attacco del Protea
(cioè, alle 16.51 o poco dopo).
L’Ondina emerse fortemente sbandato sulla
dritta, oltre che immobile; mentre tornava lentamente in assetto, venne aperto
il portello della torretta e gli uomini dell’equipaggio iniziarono ad uscire
all’esterno, alcuni di essi tuffandosi in mare.
Subito il Protea ed il Southern Maid si avvicinarono a tutta forza al sommergibile
italiano, aprendo il fuoco con i cannoni da 100 mm e con le mitragliere
Oerlikon da 915 metri di distanza; diversi colpi andarono a segno fin da subito.
(Alcune fonti italiane
parlano di intervento, a questo punto, di altre due navi in aggiunta alle prime
due, ma si tratta di un errore: "Navi militari perdute" menziona i
nomi delle unità attaccanti come "Protea,
Sothern, Maid e Walrus",
evidentemente per grossolano errore nella consultazione della documentazione
britannica. Il Southern Maid, il cui
nome viene storpiato e spezzato in due, "diventa" due unità navali, e
l’idrovolante tipo Walrus – si veda più oltre – viene "scambiato"
anch’esso per una nave dal nome Walrus).
Come se non bastasse,
si unì all’attacco anche un idrovolante Supermarine Walrus, il W2709 (tenente
di vascello D. J. Cook, dal sottotenente di vascello P. E. Jordan e dal
sottufficiale P. Garrett-Reed) del 700th Naval Air Squadron della
Fleet Air Arm, dislocato a Beirut con funzioni di vigilanza antisommergibili al
largo della costa levantina.
Questi, giunto sul
posto da pochi minuti a seguito di una comunicazione radio del Protea a Beirut, col quale si comunicava
la presenza del sommergibile, sganciò due bombe di profondità, che colpirono l’Ondina facendo esplodere la riservetta
di munizioni del cannone di coperta (composta da sette proiettili per il pronto
impiego), con alcune vittime e diversi feriti tra l’equipaggio.
(Fonti sudafricane
attribuiscono invece l’esplosione della riservetta al tiro d’artiglieria dei
due cacciasommergibili, mentre il Walrus avrebbe sganciato le sue bombe subito
dopo, ed esse sarebbero esplose ai lati del sommergibile).
La distruzione della
riservetta impediva l’utilizzo del cannone per difendersi in superficie: a quel
punto, non rimase che l’autoaffondamento. Alle 16.55, mentre le due navi
sudafricane cessavano il fuoco, gli ultimi uomini dell’Ondina, avviate le procedure per l’autoaffondamento, abbandonarono
il battello.
Un minuto più tardi (fonti
italiane indicano invece le 16.45) l’Ondina
s’inabissò nel punto 34°35’ N e 34°56’ E, a sud di Cipro, 60 miglia a ponente
di Beirut ed a sei miglia dalla posizione in cui era stato inizialmente
avvistato.
I naufraghi, 5
ufficiali e 36 tra sottufficiali e marinai (tra questi ultimi vi erano due
feriti gravi), vennero raccolti dalle navi avversarie. Un marinaio, gettato in
mare dall’esplosione della riservetta, aveva perso entrambe le gambe; fu
portato a Cipro, nell’ospedale di Famagosta, e riuscì a sopravvivere.
I morti tra
l’equipaggio dell’Ondina furono
cinque:
Prospero Bentivenga, marinaio fuochista, 21
anni, da Castelsaraceno
Ercole Mardero, sottocapo motorista, 20 anni,
da San Daniele del Friuli
Elio Martinelli, secondo capo motorista, 29
anni, da Terni
Alfio Patanè, secondo capo radiotelegrafista,
27 anni, da Piedimonte Etneo
Amedeo Ricciardolo, sottocapo silurista, 20
anni, da Domodossola
I sopravvissuti,
sbarcati a Beirut, furono inizialmente sistemati in due scuole italiane
requisite dalle autorità britanniche, la Scuola Principessa di Piemonte e la
Scuola Padre Reginaldo Giuliani. Nella prima delle due si trovava già
prigioniero l’equipaggio del sommergibile Perla, catturato in circostanze
simili appena due giorni prima: quel pomeriggio, prendendo aria sulla terrazza,
gli uomini del Perla avevano sentito e riconosciuto le esplosioni di bombe di
profondità, l’epitaffio dell’Ondina.
Dopo una settimana, i
naufraghi di Ondina e Perla furono
caricati su due camion e trasferiti nel campo di prigionia di Latrun, vicino a
Gerusalemme.
Il comandante
Bangley, del Southern Maid, ricevette
la Distinguished Service Cross per l’affondamento dell’Ondina; analoga decorazione fu conferita al sottotenente di
vascello Edward John Raymond Walker, direttore del tiro della stessa nave.
L’Ondina prima del varo (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e
i suoi sommergibili nella storia navale italiana”, di Alessandro Turrini,
Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it)
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