|
Il Capo Alga sotto il precedente nome di Munbeaver (da www.shipscribe.com) |
Piroscafo
da carico di 4723 tsl e 2891 tsn, lungo 117,3 metri, largo 15,5 e
pescante 8,44, con velocità di 10,5-11 nodi ed autonomia di 4100
miglia. Di proprietà della Società Anonima Compagnia Genovese di
Navigazione a Vapore, con sede a Genova, ed iscritto con matricola
2213 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata
IBKZ.
La
storia ufficiale dell’USMM lo descrive così: “Costruita
nel 1918 e destinata a percorrere le rotte dell’Atlantico, era una
nave da carico tozza e pacifica che le vicissitudini della guerra
avevano ora designata a violare per prima il blocco britannico”.
Breve
e parziale cronologia.
25
maggio 1916
Impostato
nei cantieri della Merchant Shipbuilding Corporation (già Chester
Shipbuilding Company) di Chester, Pennsylvania (numero di costruzione
340). È la prima di un gruppo di cinque navi ordinate dalla Shawmut
per sostituire le unità della sua flotta d’altura, vendute in
blocco al governo francese.
29
settembre 1917
Varato
nei cantieri della Merchant Shipbuilding Corporation di Chester come
Sudbury,
per la Shawmut Steamship Company Inc. di Boston. Madrina del varo è
la moglie del presidente della Shawmut Steamship Company, Harris
Livermore, che presenzia al varo insieme ad altri alti funzionari
della società, tra cui il vicepresidente Lester H. Monks ed il
sovrintendente alle attività marittime Moore.
Durante
la costruzione il piroscafo viene requisito dallo United States
Shipping Board (ente governativo incaricato della gestione della
flotta mercantile statunitense durante la prima guerra mondiale, e
nella sua espansione per soddisfare le esigenze belliche americane ed
alleate mediante acquisizioni, requisizioni e programmi di
costruzione basati su progetti standardizzati) per conto della Marina
statunitense.
4
o 5 marzo 1918
Completato
come trasporto USS Sudbury
(ID-2149) per il Naval Overseas Transportation Service della Marina
statunitense (componente della Marina statunitense istituita nel
gennaio 1918 per gestire il trasporto dei rifornimenti per le truppe
statunitensi dispiegate in Europa: al suo apice giungerà ad avere
una flotta di oltre 450 navi da carico), entrando in servizio il
giorno stesso a Filadelfia. Stazza lorda originaria 5075 tsl, netta
3041 tsn, dislocamento 10.400 tonnellate, portata lorda 7200 o 7500
tpl, nominativo di chiamata LJQV, porto di registrazione Boston; è
armato con un cannone da 127/51 mm ed un cannoncino Hotchkiss da 57
mm.
Ne
è comandante il capitano di corvetta Charles F. Smith, della United
States Naval Reserve Force; l’equipaggio è variamente indicato
dalle fonti in 52 (di cui dieci ufficiali) o 104 uomini (in tempo di
guerra; in tempo di pace, 38 uomini).
20
marzo 1918
Il
Sudbury
salpa da Filadelfia per il suo primo viaggio con un carico di
rifornimenti per l’esercito statunitense, dirigendo inizialmente
per New York.
24
marzo 1918
Si
unisce a New York ad un convoglio in partenza per la Francia.
8
aprile 1918
Arriva
a Brest, da dove poi prosegue per Bordeaux, ove scarica il carico.
5
maggio 1918
Lascia
Bordeaux per fare ritorno a New York. Durante il viaggio di ritorno,
qualche giorno dopo aver lasciato la Francia, si verifica un’avaria
alla turbina, con la rottura dei denti del pignone di dritta, il che
costringe ad usare solo la turbina a bassa pressione, con una
velocità massima di nove nodi. Controlli effettuati all’arrivo a
New York mostreranno che i denti del pignone si sono rotti a causa
della cattiva qualità dell’acciaio con cui sono stati realizzati,
probabilmente dovuta ad un errore nel trattamento termico del
metallo; si scoprirà anche che anche alcuni denti del pignone di
sinistra presentano delle fratture, pur non avendo dato problemi
durante la navigazione.
Giugno-Dicembre
1918
Compie
altri tre viaggi dagli Stati Uniti alla Francia.
29
settembre 1918
Il
guardiamarina John Michael White, della United States Naval Reserve
Force, muore per influenza spagnola a bordo del Sudbury.
10
gennaio 1919
Salpa
da Filadelfia diretto a Trieste.
3
aprile 1919
Fa
ritorno a Filadelfia.
11
aprile 1919
Radiato
dai quadri della Marina statunitense, trasferito allo United States
Shipping Board e subito restituito alla Shawmut Steamship Company.
1919-1923
Impiegato
sulla tratta Amburgo-Plymouth-Rosario-New York.
7-9
dicembre 1920
Nella
notte tra il 7 e l’8 dicembre un incendio scoppia a bordo del
Sudbury
(capitano Walter O’Brien), in navigazione da New York a San
Francisco, quando la nave si trova 150 miglia a sud di San Pedro, in
California, ed a 70 miglia dalla costa. L’incendio ha origine in
nella stiva numero 3, dove tra l’altro sono contenuti olii e
vernici; a scatenarlo sono state probabilmente delle scintille
generate dallo sfregamento del carico spostatosi all’interno della
stiva. Il calore generato dall’incendio è tale che i piedi dei
marinai rimangono scottati dal contatto col ponte arroventato, con
formazione di vesciche, ed i gas tossici costringono più volte
l’equipaggio a retrocedere. Il piroscafo chiede aiuto via radio e
vengono preparate le scialuppe quando sembra che la battaglia contro
l’incendio sia irrimediabilmente persa (si teme anche che le fiamme
possano raggiungere l’olio motore e la formaldeide che fa parte del
carico, con conseguenze disastrose), ma alla fine l’equipaggio
riesce a domare le fiamme con i mezzi disponibili a bordo, a
mezzogiorno dell’8 dicembre, ed a raggiungere San Diego nella notte
sul 9 dicembre, con la nave fortemente sbandata a sinistra a causa
della grande quantità d’acqua pompata nella stiva. Dopo l’arrivo
in porto, il mattino del 9 dicembre, l’incendio scoppia nuovamente;
stavolta intervengono i pompieri, che aprono un varco nello scafo con
i cannelli acetilenici per domare le fiamme.
I
danni causati dall’incendio vengono valutati dagli assicuratori in
un milione di dollari; la nave viene riparata a San Francisco, dove
giunge il 16 dicembre dopo aver fatto scalo intermedio a San Pedro.
Già
a fine dicembre, il Sudbury
è in grado di riprendere il servizio tra i porti delle due coste
degli Stati Uniti per la American-Hawaiian Shipping Company, salpando
da Tacoma con un carico di traversine ferroviarie.
Novembre
1924
Mentre
è a bordo del Sudbury,
ormeggiato nel porto di Portland, per ispezionare un carico di vetro
destinato alla W. P. Fuller Company prima che venga scaricato, W. B.
Miller, dipendente di tale società, inciampa in un’apertura non
protetta nel ponte e rimane ferito. Miller farà causa per questo
alla American Ship Commerce Navigation Corporation, ma il giudice
respingerà la sua richiesta di risarcimento non essendosi potuto
dimostrare, come Miller sostiene, che egli fosse salito a bordo su
richiesta degli agenti dell’armatore anziché di sua iniziativa.
1925
Trasferito
alla American Ship & Commerce Navigation Company di New York, che
ha assorbito la Shawmut Steamship Company; in gestione alla United
American Lines di New York.
1926
Mentre
la chiatta Commandant
sta caricando delle billette di acciaio sul Sudbury,
ormeggiato nel porto di Baltimora, una billetta del peso di 17
tonnellate scivola fuori dall’imbragatura e cade dalla gru della
Commandant
nella stiva numero 1 del piroscafo, danneggiandone lo scafo. Ne
seguirà una causa legale presso la Corte distrettuale del Maryland
tra i proprietari del Sudbury
e quelli della Commandant.
Al processo, quattro testimoni chiamati dagli armatori del Sudbury
affermeranno che la billetta è caduta dall’imbragatura dopo aver
urtato la mastra del portellone della stiva numero 1, mentre un
testimone chiamato dai proprietari della chiatta negherà che l’urto
abbia avuto luogo. I proprietari del piroscafo attribuiscono la colpa
dell’accaduto alla chiatta ed al suo equipaggio, mentre quelli
della chiatta incolpano i quattro portuali ingaggiati dagli armatori
della nave per assistere nelle operazioni di caricamento, che non
avrebbero imbragato adeguatamente la billetta (che sarebbe caduta
perché imbragata male e non per aver urtato la mastra per errata
manovra della gru della Commandant,
cosa quest’ultima che negano sia avvenuta); il giudice darà
ragione agli armatori del Sudbury,
sostenendo che gli stivatori, essendo passati di fatto agli ordini
del personale della chiatta durante il caricamento, ricadessero sotto
la responsabilità di quest’ultima (pur essendo stati ingaggiati
dai proprietari del Sudbury)
e che dunque alla chiatta ed ai suoi proprietari vada in ogni caso la
responsabilità dell’accaduto. I proprietari del Commandant
saranno pertanto condannati a risarcire i danni subiti dal Sudbury.
Nel
marzo 1928 il marinaio Otto Wahrenberg, rappresentante del Sindacato
Internationale dei Marinai (International Seamens’ Union),
descriverà in questi termini le condizioni di lavoro a bordo del
Sudbury
nel luglio-agosto 1926, epoca in cui navigava per la United American
Line, davanti al Comitato sulla Marina Mercantile e peschereccia
della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti: “I
salari su questa nave erano di 55 dollari per i marinai: il cibo era
pessimo, ed il personale di coperta era composto in maggioranza da
uomini che non sapevano fare il lavoro del marinaio. Gli alloggi
erano sporchi e malsani, i gabinetti intasati ed allagati, ed il
ponte sopra la mia cuccetta era affetto da infiltrazioni d’acqua.
Ho dovuto farmi dare un pezzo di tela dall’ufficiale per tenere
fuori l’acqua. Avevamo tre giovani dell’Università di Yale, che
si pagavano il passaggio di ritorno da San Francisco, dov’erano
giunti in automobile, alla costa atlantica lavorando. Non erano mai
stati in mare prima, ed erano stati imbarcati con lo stipendio di un
centesimo al mese. Io mi ero imbarcato come marinaio, ma dopo pochi
giorni ero stato promosso a timoniere, ed ho poi fatto le funzioni
del nostromo per il resto del viaggio, perché il nostromo titolare
era rimasto ferito ad un braccio ed ha passato il resto del viaggio
in infermeria. Durante tutto il tempo che ho passato a bordo, non è
mai stato messo un telone sul ponte per riparare dal sole, nonostante
il caldo fosse terribile, salvo che il giorno prima che
raggiungessimo il Canale di Panama. Il telone è durato poche ore, ed
è stato ridotto a brandelli nel cuore della notte quando uno
scroscio di pioggia ha colpito la nave. Era così vecchio da
risultare irreparabile. Un marinaio aveva la febbre, ed è stato
ricoverato nell’ospedale di Savannah, dove sono sbarcati anche gli
studenti di Yale, che hanno preso il biglietto per New York. Il
personale di coperta su questa nave consisteva in un nostromo,
quattro timonieri, due marinai e tre mozzi, per un totale di dieci
uomini in coperta, di cui quattro potevano fare il lavoro dei
marinai. Tre dei quattro timonieri facevano i turni di guardia;
l’altro, cioè io, svolgeva i lavori giornalieri. Di notte c’era
un mozzo di vedetta in coperta dalle quattro a mezzanotte ed un altro
da mezzanotte alle otto. Nessuno dei due aveva esperienza di mare. Il
mozzo di vedetta sostituiva il timoniere al timone alle dieci di sera
ed alle due di notte per mezz’ora. In questo lasso di tempo non
c’era nessuno di vedetta. Chiamava anche il personale di guardia
alla prima campana, portava il caffè all’ufficiale in plancia, e
lasciava il suo posto di vedetta ogni volta che gli veniva ordinato.
Tutto il resto del personale – nostromo, due marinai, un mozzo ed
io – svolgeva i lavori giornalieri. Noi marinai riteniamo che ciò
sia contrario alla legge. (…)
Durante tutto il viaggio
risentii del caldo e della mancanza d’aria negli alloggi. Il carico
di legname sul ponte era accatastato davanti agli oblò a
ridottissima distanza, impedendo all’aria di circolare. Il ponte di
poppa, dove si trovavano il cassero e la stanza del timoniere, era
soggetto ad infiltrazioni d’acqua, e quando pioveva non c’era un
posto asciutto dove dormire o tenere i vestiti”.
1927
Acquistato
dalla Munson Steamship Line Inc. di New York e ribattezzato Munbeaver
(inizialmente, dal 1927 al 1930, ne risulterà proprietaria la
Sudbury
Steamship Corporation di New York, una holding appositamente
costituita dalla Munson Line). Porto di registrazione New York,
nominativo di chiamata WKCO; posto in servizio nei collegamenti tra
le due coste degli Stati Uniti. Stazza lorda e netta sono 4835 tsl e
2980 tsn, portata lorda 7200 tpl.
(Secondo
un sito, il Sudbury
avrebbe brevemente cambiato il nome in Munbeaver
nel 1927, per poi tornare a chiamarsi ancora Sudbury
dal 1927 al 1933, quando assunse definitivamente il nome di
Munbeaver.
Sembra probabile un errore).
1938
Acquistato,
in seguito al fallimento della Munson Line, dalla Compagnia Genovese
di Navigazione a Vapore, con sede a Genova, e ribattezzato Capo
Alga; viene sottoposto a
lavori di raddobbo ed adattamento per il servizio con la nuova
compagnia.
Insieme
ad esso, la Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore acquista anche
un altro piroscafo della Munson Line, il più piccolo Munsomo,
ribattezzato Capo
Orso.
La
Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, nota internazionalmente
come ‘Capo Line’ (dato che tutte le sue navi portano nomi di
Capi), sta rapidamente espandendo la propria flotta: dai tre
piroscafi del 1930, la compagnia è giunta a possederne dieci nel
1938. Sono tutte navi di seconda mano; tutte costruite in cantieri
britannici, tranne Capo
Alga e Capo
Orso,
che sono i primi piroscafi di costruzione statunitense ad essere
acquistati dalla società (sono stati venduti nell’ambito di un
piano per “svecchiare” la flotta mercantile statunitense).
|
Il
varo del Sudbury (New York Commercial) |
Forzare
il blocco
Nel
maggio del 1940 il Capo Alga
compì un viaggio in Sudamerica, dove caricò 5100 tonnellate di
merci di vario genere per conto di varie società italiane, svizzere
e jugoslave. Completato il carico, il piroscafo lasciò Buenos Aires
per tornare a Genova, ma il 6 giugno, mentre ancora era in pieno
Atlantico, ricevette via radio l’ordine del Ministero delle
Comunicazioni (che aveva competenza sulla Marina Mercantile), per
tramite dell’armatore e della Capitaneria di porto, di rifugiarsi a
Santa Cruz de Tenerife, nell’isola omonima dell’arcipelago delle
Canarie. L’Italia stava per entrare nella seconda guerra mondiale,
e per il Capo Alga,
come per duecento altre navi mercantili italiane in navigazione in
quel momento nei mari di tutto il mondo, non c’era più tempo per
rientrare in Mediterraneo prima che la dichiarazione di guerra
italiana portasse i britannici, padroni di entrambi i suoi accessi
(Suez e Gibilterra), a sbarrarli a tutti i bastimenti del nuovo
nemico. Non
restava dunque che rifugiarsi in porti di nazioni che sarebbero
rimaste neutrali, e se possibile favorevoli all’Italia, come
appunto la Spagna franchista: ben 32 bastimenti italiani (20 navi da
carico per complessive 106.608 tsl e 12 navi cisterna per totali
67.952 tsl) vi avrebbero infatti trovato rifugio a ridosso della
dichiarazione di guerra, in parte nei porti della costa atlantica
spagnola ed in parte in quelli delle Canarie.
Il
Capo Alga
arrivò a Santa Cruz de Tenerife proprio il 10 giugno, il giorno
dell’ingresso in guerra dell’Italia. In quel porto, oltre al Capo
Alga, si rifugiarono i
piroscafi da carico Madda,
Andalusia e Teresa
Schiaffino
e le petroliere Recco,
Sangro, Todaro,
Taigete ed
Arcola;
altre sei navi da carico e due navi cisterna si rifugiarono a Las
Palmas, nell’isola di Gran Canaria. Il
19 luglio la Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore informò i
proprietari delle merci trasportate dal Capo
Alga che la nave si era
rifugiata a Tenerife per ordine superiore, fornendo loro le
istruzioni per ritirare le merci a Tenerife, qualora lo avessero
voluto (consegna delle polizze originali firmate, sollevando la
società armatrice da ogni responsabilità sul carico con la consegna
a Tenerife anziché a Genova, e contribuzione in ragione del 10 % del
valore delle merci). Nessuno ne fece richiesta.
Pur
avendo evitato la cattura, il Capo
Alga e le altre navi
rifugiatesi nei porti spagnoli e di altri Paesi neutrali si trovavano
ora bloccate in quei porti, con la prospettiva di passarvi tutta la
guerra senza poter essere in alcun modo di aiuto allo sforzo bellico
italiano. Non la pensavano così vertici della Marina italiana, che
presero la decisione di cercare di trasferire almeno una parte di
quelle navi in porti controllati dall’Asse, violando la
sorveglianza aeronavale britannica: nella fattispecie, quali porti di
destinazione per questi violatori di blocco vennero scelti quelli
della costa atlantica francese, occupata dalle forze tedesche, e
specialmente quello di Bordeaux, frattanto diventato la sede di una
base atlantica di sommergibili italiani, «Betasom». In questo modo
sarebbe stato almeno possibile recuperare i carichi di quei
mercantili, consistenti in gran parte in materiali che sarebbero
stati molto utili per l’industria bellica e le forze armate
dell’Asse. Nella
pianificazione del trasferimento dei mercantili italiani dai porti
neutrali di mezzo mondo a quelli della Francia occupata, la scelta
ricadde, per prima cosa, proprio sui bastimenti rifugiatisi in Spagna
e nelle Canarie: decisione logica, in quanto i porti spagnoli e
canari erano quelli più vicini alla Francia, dunque le navi
provenienti da tali sorgitori avrebbero compiuto un percorso più
breve, e risultavano dunque più facilmente “recuperabili”. Agli
inizi del 1941, le navi mercantili italiane internate in Spagna ed
alle Canarie erano ancora in soddisfacenti condizioni di efficienza,
per quanto la forzata inerzia in porto, protrattasi per diversi mesi,
avesse influito negativamente sia sugli scafi che sugli equipaggi. Le
modalità ed i tempi per il trasferimento delle navi vennero decise
in una serie di riunioni tenutesi a Roma nell’autunno del 1940 tra
rappresentanti dei Ministeri della Marina, delle Comunicazioni, degli
Esteri e degli Scambi e Valute, ed il 14 dicembre 1940 le relative
disposizioni vennero comunicate agli addetti navali italiani in
Spagna ed in Brasile (altro Paese dal quale sarebbero partiti molti
“violatori di blocco” diretti in Francia). Primi a partire furono
due bastimenti che si trovavano in porti della costa atlantica
spagnola, la nave cisterna Clizia (a
San Juan de Nieva) ed il piroscafo Capo
Lena (a
Vigo): il loro viaggio, compiuto nel febbraio 1941, procedette senza
intoppi.
Mentre
si compiva il trasferimento di Clizia e Capo
Lena,
nello stesso mese di febbraio 1941 i mercantili italiani presenti nei
porti delle Canarie vennero concentrati in due soli porti – Santa
Cruz de Tenerife e Las Palmas – in modo da porli al riparo da
eventuali tentativi di colpi di mano di navi da guerra britanniche. A
Santa Cruz de Tenerife era arrivata, già dal precedente novembre, la
pirocisterna Burano,
proveniente da Santa Cruz de la Palma; per il resto le navi presenti
in quel porto erano le stesse del giugno 1940. Sette
delle navi, insieme a due piroscafi tedeschi, erano ormeggiate
affiancate in una lunga fila al centro della rada: tra di esse anche
il Capo Alga,
ormeggiato all’estremità meridionale della fila (da sud verso nord
c’erano Capo Alga,
Arcola,
Burano,
Madda,
una nave tedesca, Taigete,
Teresa
Schiaffino,
Todaro
e l’altra nave tedesca). Le altre tre – Recco,
Sangro
e Andalusia
– erano invece ormeggiate, anch’esse affiancate, accanto al
molo-frangiflutti che delimitava il porto a levante. L’8
febbraio il capitano di vascello Aristotele Bona, addetto navale
italiano a Madrid, ordinò con foglio riservato personale al capitano
di fregata Eugenio Normand (dopo essersi messo d’accordo con il
console italiano a Santa Cruz, Roberto Giardini) di recarsi nelle
Canarie, ispezionare i mercantili italiani ivi internati per
verificare le condizioni di efficienza di ciascuno di essi, ed
iniziare ad organizzarne il trasferimento verso la Francia occupata.
Il comandante Normand volò dunque alle Canarie e, con l’aiuto del
console Giardini, provvide alla sua “ricognizione”, di cui riferì
al capitano di vascello Bona il 5 marzo. Normand poté partire per le
Canarie solo il 13 febbraio, con un aereo spagnolo; atterrò alle 19
di quel giorno a Las Palmas, nell’isola di Gran Canaria, dove il
governatore spagnolo appose la sua autorizzazione sul passaporto
diplomatico di Normand. Più difficile fu raggiungere Tenerife: il
piccolo aereo che collegava quell’isola con Gran Canaria effettuò
due false partenze, e infine raggiunse Santa Cruz de Tenerife
soltanto il 17 febbraio. Nei quattro giorni intercorsi, pertanto,
Normand raccolse informazioni utili per la sua missione, mantenendo
al contempo il segreto sulle sue finalità.
Giunto
infine a Santa Cruz de Tenerife, l’ufficiale si mise all’opera:
fin da subito rilevò che la sosta forzata di otto mesi nei porti
canari – la cui popolazione mostrava quasi all’unanimità
simpatie nei confronti dei britannici – aveva nociuto allo stato di
conservazione e di approntamento degli scafi, anche perché alcuni
armatori avevano ridotto al minimo le spese per la manutenzione delle
loro navi ed anche soppresso diverse indennità senza nemmeno
aspettare provvedimenti ufficiali delle corporazioni interessate.
Normand prese contatto con i comandanti dei vari bastimenti italiani,
iniziando col far notare loro che le lavi si trovavano in una
situazione precaria, esposte a colpi di mano britannici così come a
possibili mutamenti della situazione esterna della Spagna; poi li
invitò a spiegare quali provvedimenti, secondo loro, avrebbero
potuto essere adottati; infine giunse al nocciolo della questione:
nel volgere di qualche giorno, li convinse che far partire le navi
cariche per Bordeaux e Saint Nazaire fosse non solo possibile, ma
addirittura necessario, dando ad intendere che le Marine italiana e
tedesca e la Luftwaffe avrebbero “coperto” la loro traversata con
adeguati appostamenti ed altri provvedimenti, anche se non la loro
presenza non sarebbe risultata visibile. Come ulteriore incentivo,
infine, annunciò che per gli equipaggi delle navi che fossero giunte
in Francia ci sarebbe stato un premio. L’insieme di questi
argomenti finì col convincere anche i più titubanti della necessità
di partire; a questo punto, Normand consegnò ai comandanti le
istruzioni segrete che aveva ricevuto, e che provvide a spiegare.
Tutti i comandanti si dichiararono contrari ad una partenza
simultanea, in massa, pur affermando che se questi fossero stati gli
ordini, li avrebbero eseguiti. Parere contrario ad una partenza
contemporanea venne anche espresso dal console italiano Giardini, dal
console tedesco e dal funzionario consolare tedesco che doveva
organizzare la partenza dei mercantili tedeschi (insieme ai
bastimenti italiani, infatti, c’erano a Santa Cruz anche due navi
tedesche, destinate anch’esse a partire per la Francia).
Dai
tedeschi, che avevano già maturato una certa esperienza in materia
di violatori di blocco, Normand apprese che era pressoché
impossibile tenere segreti i preparativi di partenza, mentre non
altrettanto difficile era mantenere la segretezza sulla data in cui
questa sarebbe avvenuta. Dunque la cosa migliore da farsi era di
compiere simultaneamente i preparativi per la partenza di tutte le
navi, cercando ad ogni modo di occultarli per quanto possibile; poi,
far riprendere alle navi la normale quotidianità dei mercantili
internati per qualche tempo, in modo da far pensare ad una falsa
partenza ed indurre gli eventuali osservatori nemici a rilassare la
vigilanza; indi, trascorso abbastanza tempo, far partire
all’improvviso i mercantili. Era opportuno informare le autorità
locali della partenza, per rispettare le formalità e non
“offenderle”, ma soltanto all’ultimo momento, indicando una
falsa destinazione, oppure il mattino seguente. Altra
cosa che Normand notò era che i mercantili tedeschi a
Tenerife erano stati completamente verniciati di grigio: informandosi
a riguardo, apprese che le sovrastrutture bianche risultavano troppo
visibili anche di notte, e che effettuare la verniciatura durante la
navigazione era molto difficile, perché gran parte dell’equipaggio
doveva vigilare contro eventuali avvistamenti di navi od aerei,
lasciando ben pochi uomini a verniciare la nave (opera che così si
protraeva per parecchi giorni), e per giunta i colpi di mare
rimuovevano la vernice appena stesa, ancora fresca. Dunque, era più
agevole verniciare i bastimenti mentre erano in porto, anche se
questo significava tradirne le intenzioni. Come
prima cosa, per evitare fughe di notizie, Normand troncò tutte le
corrispondenze, sia postali che telegrafiche, tra gli equipaggi dei
mercantili, le loro famiglie e gli armatori; giustificò questo
provvedimento affermando che la precedente corrispondenza era stata
tutta intercettata dal nemico, che ne aveva ricavato importanti
informazioni. D’ora innanzi, spiegò Normand, i marittimi avrebbero
dovuto consegnare tutta la loro posta alle autorità consolari, che
l’avrebbero inviata in Italia per mezzo dell’ambasciata italiana,
in un plico speciale diplomatico sigillato. Per non sollevare
sospetti, ed avendo ogni mercantile un unico radiotelegrafista, venne
ordinato che l’ascolto radio non avesse inizio fino a quando non
fosse stato impartito un apposito ordine dalle autorità consolari,
che avrebbero a loro volta saputo la data di inizio dall’ufficio di
Normand, il quale l’avrebbe comunicata mediante un telegramma
commerciale convenzionale.
Per
quanto riguardava le dieci navi presenti a Santa Cruz de Tenerife,
Normand trovò che Capo
Alga, Recco, Sangro, Todaro, Madda e Burano erano
cariche; Taigete, Arcola, Andalusia e Teresa
Schiaffino erano
scariche, dunque il loro trasferimento non risultava di grande
utilità. Nessuna di queste quattro navi, infatti, lasciò Tenerife;
venne inoltre escluso dalla partenza il Madda,
perché aveva le caldaie in pessime condizioni in seguito alla loro
alimentazione d’emergenza con acqua di mare, avvenuta all’indomani
della dichiarazione di guerra per sfuggire ad una nave francese. In
definitiva, vennero scelte come “violatori di blocco” metà delle
navi presenti nel porto: Capo
Alga, Recco, Sangro, Todaro
e Burano.
Per quanto concerneva le condizioni materiali delle navi, Normand
trovò che alcune delle petroliere avevano le carene in pessime
condizioni, a causa dei lunghi periodi trascorsi dall’ultimo
carenaggio che avevano effettuato, mentre altre navi avevano le
caldaie piuttosto malridotte; niente però che non fosse risolvibile
in tempi ragionevolmente brevi con i mezzi disponibili sul posto. Terminata
la sua “ricognizione”, Normand diede il via ai lavori per
preparare le navi al viaggio. Le sovrastrutture di tutti i mercantili
– anche quelli scarichi, presumibilmente per confondere le idee di
eventuali osservatori circa quali navi sarebbero realmente partite –,
da bianche che erano, vennero riverniciate di grigio; al contempo, su
disposizione del Ministero, tutti i fumaioli vennero dipinti di nero.
Si procedette inoltre alla pulizia degli scafi: nella zona del
bagnasciuga, per circa un metro e mezzo, questo lavoro venne compiuto
dagli equipaggi stessi; per le carene, si ricorse al palombaro di
fiducia già impiegato dai tedeschi, dai quali Normand se ne fece
fornire l’identità. L’ordine e le date di approntamento delle
diverse navi vennero scelte proprio in base ai tempi di pulitura di
eliche e carene.
Molti
dei mercantili presenti alle Canarie vi erano giunti con un numero di
ufficiali minore di quello previsto dalle tabelle d’imbarco, numero
che si era ancora ridotto durante il periodo di internamento; Normand
decise pertanto di spostare alcuni ufficiali da una nave all’altra,
là dove più era necessaria la loro presenza, affinché su ciascun
bastimento che aveva “carenza” di ufficiali il loro numero
risultasse pari a quello che era al momento della dichiarazione di
guerra. Si provvide poi a completare le scorte di provviste di
ciascuna nave in vista di un viaggio che sarebbe durato alcune
settimane: particolare importanza fu data alla farina, necessaria per
poter preparare il pane e la pasta. Dato che il piroscafo Atlanta,
presente a Las Palmas, aveva a bordo tra l’altro un carico di carne
in conserva e di caffè, Normand fece prelevare da quella nave due
tonnellate di carne e 250 chili di caffè, requisiti per mezzo del
console di Tenerife, provvedendo poi a distribuire il tutto a tutte
le navi, sia quelle destinate a partire che quelle che sarebbero
rimaste. Inoltre, Normand dispose che ciascuna nave, senza cambiare
le modalità giornaliere, provvedesse ad accumulare ogni giorno
viveri freschi, frutta e verdura, accrescendo le provviste normali,
per creare delle scorte. I mercantili che non sarebbero partiti
avrebbero dovuto consegnare l’eccedenza a quelli scelti per la
traversata. Per la navigazione, vennero acquistate ed inviate a
Tenerife delle carte nautiche ed idrografiche per arrivare fino al
Golfo di Biscaglia, fornendole a ciascuna nave. Altra questione da
affrontare era quella del carburante, di cui non tutte le navi
destinate a partire disponevano a sufficienza: una delle navi per le
quali ciò rappresentava maggiormente un problema era proprio il Capo
Alga; Normand ordinò che
l’Arcola,
che non doveva partire, gli cedesse 600 tonnellate di nafta. Infine
vennero predisposte le disposizioni per l’autoaffondamento, nel
caso le navi fossero state intercettate da unità da guerra nemiche.
Era, questa, una prospettiva tutt’altro che remota: alle Canarie i
britannici avevano creato un’efficiente e capillare rete di
informatori, e le acque tra quell’arcipelago ed il Golfo di
Biscaglia erano pattugliate da incrociatori ausiliari di base a
Gibilterra ed a Freetown, da sommergibili e da aerei da ricognizione
a lungo raggio. L’addetto navale italiano a Madrid e le autorità
consolari italiane alle Canarie erano al corrente di questi rischi,
di cui avevano avvisato i comandanti dei violatori di blocco.
A
fine marzo 1941 i preparativi erano ormai terminati: si decise di
dare il via alle partenze, anche se diversi comandanti italiani e
tedeschi espressero parere contrario. Fu proprio il Capo
Alga ad essere scelto per
tentare per primo la sorte: avrebbe lasciato Santa Cruz de Tenerife
il 1° aprile, insieme alla nave cisterna Burano.
Le due navi avrebbero navigato separatamente; si riteneva che la
partenza simultanea di due bastimenti avrebbe incrementato le loro
probabilità di successo, ed anche in seguito i violatori di blocco
sarebbero infatti partiti a coppie. I
preparativi per la partenza non erano sfuggiti agli informatori
britannici attivi a Tenerife, che il 29 marzo 1941 segnalarono che
Capo Alga
e Burano
erano pronti a partire, così come una terza cisterna, la Todaro
(come indicato nel "Weekly Intelligence Report" numero 56
del 4 aprile 1941; successivamente, la "Weekly Résumé of the
Naval, Military and Air Situation" n. 83 del War Cabinet
britannico, che copriva il periodo dal 27 marzo al 3 aprile 1941,
riportò puntualmente la partenza del Capo
Alga da Tenerife nella
notte del 1° aprile, ma i britannici non furono comunque in grado di
organizzarne l’intercettazione).
Alle
otto di sera del 1° aprile 1941 il Capo
Alga, al comando del
capitano di lungo corso palermitano Gaspare Bozza, mollò dunque gli
ormeggi ed uscì a lento moto dal porto di Santa Cruz de Tenerife. La
rotta tracciata per raggiungere la Francia si snodava per oltre
tremila miglia, quasi il triplo rispetto alla rotta diretta dalle
Canarie alla Francia, in quanto doveva passare lontano dalla costa
africana e dalle Azzorre, puntando verso il punto 45° N e 30° O –
punto noto tra i violatori di blocco tedeschi come “l’angolo
della strada” – nel quale volgeva ad est verso il Golfo di
Biscaglia e la costa atlantica francese. (I violatori di blocco
avrebbero sostanzialmente compiuto un largo giro, procedendo
inizialmente verso ovest per oltre 850 miglia, allontanandosi dalle
Canarie e dall’Africa, poi accostando verso nordovest e seguendo
tale rotta per altre 250 miglia, indi verso nord per quasi ottocento
miglia; solo a quel punto avrebbe avuto inizio l’avvicinamento alle
coste europee, con rotta dapprima verso nordest per 450 miglia e poi
verso ovest per oltre settecento, atterrando verso Capo Finisterre
per poi seguire la costa settentrionale iberica e risalire il Golfo
di Biscaglia fino all’arrivo a destinazione). Per
confondere eventuali osservatori e per non essere avvistato dagli
innumerevoli pescherecci che infestavano la zona, una volta fuori dal
porto il comandante Bozza assunse inizialmente rotta verso est,
quindi verso nord ed infine verso ovest, passando a nord di Tenerife,
alla massima velocità consentita dalle sue macchine e dalle
condizioni dello scafo (la storia ufficiale dell’USMM afferma che
la sua velocità massima effettiva era compresa tra i 9 ed i 9,5
nodi, a fronte di una velocità massima “teorica” di 10,5, ma
cita anche il rapporto del capitano di fregata Normand che stimava
invece un massimo di 8-8,5 nodi). Dopo
una settimana di navigazione in cui non era stata avvistata anima
viva (di notte, l’avvistamento da parte di unità nemiche era reso
particolarmente difficile dall’assenza di luna, che garantiva così
una buona sicurezza alla nave), l’8 aprile il Capo
Alga raggiunse il meridiano
37° O. L’equipaggio era di buon umore: tutto era filato secondo i
piani, nessuna traccia della Royal Navy o della RAF ed anche il tempo
era bello. Assunta rotta verso nord, il piroscafo la seguì fino
all’11 aprile, quando puntò direttamente verso Belle Ile, sempre
procedendo a tutta forza.
Alle
9.25 del 16 aprile, la quiete di una traversata senza storia venne
turbata dall’avvistamento da parte delle vedette in coffa di un
aereo sconosciuto verso poppa. Avvicinatosi il velivolo, tuttavia, i
contrassegni sulle ali e sulla fusoliera vennero riconosciuti per
quelli della Luftwaffe: era un amico; dopo aver effettuato qualche
evoluzione, l’aereo si allontanò verso sud. Alle 10.05 il Capo
Alga venne sorvolato da un
altro ricognitore tedesco, che si allontanò poi verso sudest.
(Dobrillo Dupuis, nel suo libro "Forzate il blocco!", parla
anche di un grosso quadrimotore che avrebbe sorvolato la nave a più
riprese la notte precedente, proprio mentre il fumaiolo aveva
iniziato ad emettere una colonna di fumo insolitamente denso per via
di un problema alle macchine; di questo episodio non si fa però
menzione nel volume USMM "I violatori di blocco"). Nel
primo pomeriggio dello stesso 16 aprile, in posizione 46°58' N e
05°25' O (a circa 120 miglia dalla costa francese), venne avvistato
del fumo all’orizzonte. Il Capo
Alga accostò subito a
tutta forza verso nord-nord-ovest, per evitare l’incontro, ma dopo
un’ora venne avvistato un veliero verso prua. Il fumo era frattanto
scomparso, pertanto il comandante Bozza ordinò di virare verso
est-nord-est, in direzione della costa francese ormai vicina.
(Secondo Dobrillo Dupuis, una volta superato Capo Finisterre ed
entrato nel Golfo di Biscaglia il Capo
Alga seguì le rotte
costiere). Nella notte vennero avvistati diversi fanali, attribuiti a
pescherecci francesi. Oscurato alla perfezione, il piroscafo italiano
non venne avvistato e superò indenne anche quella notte, per poi
avvistare, alle otto del mattino del 17 aprile – al largo di Belle
Isle –, due dragamine tedeschi (M-Boote), venutigli incontro per
assumerne la scorta nel tratto finale della navigazione. Imboccata la
rotta di sicurezza, nella scia dei dragamine, dopo uno scambio di
saluti e di segnali di riconoscimento, il Capo
Alga giunse a Saint Nazaire
nel pomeriggio (secondo l’USMM; secondo Dobrillo Dupuis, nelle
prime ore della notte); vi sostò però per meno di un giorno, perché
l’indomani mattina, su ordine del Comando tedesco, proseguì per
Nantes, più a monte lungo la Loira, dove entrò con le macchine al
minimo alle 12.30 del 18 aprile, dandovi fondo e concludendo
finalmente il suo viaggio. Tre
giorni dopo, anche la Burano
raggiungeva felicemente Saint Nazaire. Il primo tentativo di
forzamento del blocco dalle Canarie era stato coronato da pieno
successo; il comandante Bozza del Capo
Alga venne decorato con la
Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione “Comandante
di piroscafo, riusciva senza scorta né armamento bellico a
raggiungere un porto alleato, dopo aver compiuto la traversata
dell’Oceano, percorrendo zone intensamente vigilate dal nemico”.
Sbarcato
il carico, il Capo Alga
venne privato anche dell’equipaggio, ormai non più necessario, che
venne rimpatriato. Non avrebbe più lasciato Nantes: adibito a nave
deposito della Kriegsmarine, rimase in quel porto e l’8 settembre
1943, in seguito all’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, vi
venne catturato dalle forze tedesche. Danneggiato da un bombardamento
britannico a Nantes nel marzo 1944 e mai riparato, il 18 agosto 1944
il Capo Alga
venne autoaffondato dai tedeschi all’estuario della Loira, come
ostruzione alla navigazione. (Sembra però esservi qualche incertezza
su dove esattamente la nave venne autoaffondata: il volume USMM "Navi
mercantili perdute" parla della foce della Loira, quindi nei
pressi di Saint Nazaire, e qualche sito menziona esplicitamente tale
porto come luogo dell’affondamento; ma altre fonti parlano invece
di Nantes, compresa l’edizione dell’8 agosto 1946 della "Lloyd’s
Lists and Shipping Gazette", che parla del recupero in corso del
relitto del piroscafo, che giaceva nei pressi dello stabilimento
Brulee. Nantes però era stata liberata dagli Alleati già il 12
agosto 1944, sei giorni prima della data in cui i tedeschi vi
avrebbero affondato il Capo
Alga). Il relitto venne
recuperato e demolito dai francesi nel 1946.
Le
vicende belliche del Capo
Alga ebbero un curioso
strascico giudiziario nel dopoguerra, presso la Corte d’Appello di
Genova. Il Consorzio acquisto semi oleosi ed olii industriali di
Milano, uno dei proprietari delle merci trasportate dal Capo
Alga nel suo ultimo
viaggio, fece causa alla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore
perché questa aveva preteso, per il ritiro delle merci sbarcate a
Nantes, un sovrapprezzo pari al 25 % del loro valore, a titolo di
compenso per la “custodia e magazzinaggio” durante la permanenza
a Tenerife, e per il loro successivo trasporto da Tenerife a Nantes,
considerando il viaggio per cui i destinatari avevano pagato –
quello iniziato a Buenos Aires nel maggio 1940 – come concluso con
l’arrivo a Tenerife il 10 giugno 1940. La società armatrice
adduceva a motivo di tale pagamento il fatto che le traversie che
avevano interessato il Capo
Alga dal 6 giugno 1940 in
poi potessero essere equiparate ad un’«avaria comune» (art. 643
del Codice di commercio: “le
spese straordinarie e i danni sofferti volontariamente per il bene e
per la salvezza della nave e del carico”;
ed articolo 649 del Codice della navigazione: “le
spese e i danni direttamente prodotti dai provvedimenti
ragionevolmente presi, a norma dell’art. 302, dal comandante o da
altri in sua vece, per la salvezza della spedizione
(…) sempre che il danno
specifico volontariamente prodotto non sia quello stesso che si
sarebbe necessariamente verificato secondo il corso naturale degli
eventi”), e che pertanto
i relativi costi supplementari non potessero essere addebitati
all’armatore se non in minima misura. La
corte d’appello di Genova, nella sentenza emessa il 15 aprile 1946,
negò che le peripezie del Capo
Alga tra il giugno 1940 e
l’aprile 1941 potessero costituire un’«avaria comune», mancando
per prima cosa la volontarietà del dirottamento a Tenerife e del
successivo viaggio a Nantes, entrambi non decisi dal comandante o
dall’armatore, ma disposti dal governo dell’epoca con ordine
perentorio e inderogabile. Né questi cambiamenti di programma erano
stati dettati dallo scopo di salvare il carico nell’interesse
dell’armatore e dei proprietari delle merci, bensì per superiori
ragioni di interesse militare (sottrarre nave e carico alla cattura
da parte del nemico, con il dirottamento a Tenerife, e renderli utili
allo sforzo bellico dell’Asse, con il trasferimento a Nantes).
Un’altra
ancor più assurda diatriba legale si svolse nel 1957 in Francia,
dove la Corte delle Prede (Conseil des prises) fu chiamata a
stabilire quale fosse la nazionalità del Capo
Alga per poterne
ufficialmente dichiarare la cattura da parte delle autorità
francesi, pur essendo la nave già stata recuperata e demolita da un
decennio. La corte si rifece ad un vecchio principio della
giurisprudenza francese, che stabiliva che una nave, per essere
considerata come della nazionalità rappresentata dalla bandiera che
batteva, doveva appartenere per più della metà a persona fisica o
giuridica residente in tale Stato. Per determinare la nazionalità
del Capo Alga la
Corte delle Prede considerò il Paese dov’era stata costruita,
quello in cui si trovava il porto di registrazione, la nazionalità
dell’armatore e quella di chi “controllava” effettivamente la
nave; furono presi in considerazione persino la provenienza dei fondi
usati per pagare il cantiere costruttore, la nazionalità di chi
l’aveva pagato e le finalità d’impiego della nave. Venne quindi
deciso che era da considerarsi nave di Paese nemico, e quindi la
cattura (…postuma…) poteva regolarmente avere luogo.
Il Sudbury
su Navsource
Il Sudbury
su Shipscribe
La Munson Line su Theshipslist
Navi costruite dalla Chester Shipbuilding Company
Il Sudbury
sul sito del Naval History and Heritage Command
L’USS Sudbury
Le navi della Munson Line su Histarmar
Lloyd’s List and Shipping Gazette
Weekly Intelligence Report Number 56 – April 4, 1941
War Cabinet – Weekly Résumé (No. 83) of the Naval, Military andAir Situation from 12 noon March 27th, to 12 noon April 3rd, 1941
Sentenza 15 aprile 1946; Pres. Perosio, Est. Costa; Consorzio acquisto semi oleosi (Avv. Bissaldi) c. Compagnia genovese navigaz. (Avv. Filippi), Reale mutua assicurazione (Avv. Casella) e Ministero finanze
The United States Merchant Marine in World War I
The New Navy, 1883-1922
Notizia sul “Riverside Daily Press” del 9 dicembre 1920
Journal of the American Society of Naval Engineers
New York-Old and New
Notizia sul “Morning Oregonian” del 16 dicembre 1920