mercoledì 20 dicembre 2023

Avvenire

La nave sotto il precedente nome di Allan (da www.marhisdata.nl)


Piroscafo da carico di 957 tsl e 575 tsn, lungo 68,89-73,2 metri, largo 9,64-9,66 e pescante 3,96-4,49, con velocità di 8-8,5 nodi. Di proprietà dell’armatore Matteo Scuderi di Catania, iscritto con matricola 173 al Compartimento Marittimo di Catania, nominativo di chiamata IKOD. Aveva due stive.

Breve e parziale cronologia.

17 maggio 1882
Impostato nei cantieri Rijkee & Co. N. V. di Rotterdam/Katendrecht, Paesi Bassi (numero di costruzione 31).
6 febbraio 1883
Varato come Alblasserdam nei cantieri Rijkee & Co. di Rotterdam.
Febbraio 1883
Completato come Alblasserdam per la Firma Vroege & De Wijs di Rotterdam. Stazza lorda originaria 1035 tsl, netta 747 tsn, portata lorda 1400 tpl, capacità delle stive 1784 metri cubi, velocità otto nodi. Porto di registrazione Rotterdam, nominativo di chiamata NCGR; suo primo comandante è il capitano Cornelis Hoek.
1885
È comandante dell'Alblasserdam il capitano W. Taat.
1886
È comandante dell'Alblasserdam il capitano B. Potjer.
1899
Si avvicendano al comando dell'Alblasserdam i capitani T. G. Mulder ed A. Ruyg.
1901
Dai Lloyd’s Registers stazza lorda e netta dell'Alblasserdam risultano ridotte a 929 tsl e 564 tsn.

La nave quando si chiamava Alblasserdam (da www.marhisdata.nl)


Aprile 1905
Acquistato dalla Ångfartygs A/B Arvid di Göteborg e ribattezzato Hildur Gertrude. Registrato a Göteborg, in gestione ad Alexander O. Nelson di Helsingborg (Svezia); nominativo di chiamata JPGM, stazza lorda 936 tsl e netta 564 tsn.
Febbraio 1910
Trasferito alla Rederi A/S 'Alex' di Copenhagen e ribattezzato Alex O. Nelson; in gestione a Svend Thorsten Larsen di Copenhagen. Porto di registrazione Copenhagen, nominativo di chiamata NRKB, stazza lorda 977 tsl, netta 596 tsn, portata lorda 1025+150 tpl. (Altra fonte data il cambio di nome al 1909, o la cessione alla Rederi A/S 'Alex' al 27 aprile 1910).
2 dicembre 1910
S'incaglia presso Vlissingen durante un viaggio da Anversa a Neufahrwasser, ma riesce a disincagliarsi con i propri mezzi.
Febbraio 1911
Trasferito ad Alexander O. Nelson di Helsingborg, senza cambiare nome. Stazza lorda 951 tsl, netta 558 tsn, porto di registrazione Helsingborg. (Per altra fonte il trasferimento avrebbe avuto luogo il 13 dicembre 1911).
Gennaio 1913
Acquistato dalla Höyrylaiva O. Y. 'Uno' (o Ångfartygs A/B 'Uno') di Helsinki (all’epoca parte dell’Impero russo) e ribattezzato Uno. Porto di registrazione Helsinki, nominativo di chiamata SRCG; in gestione al capitano Väinö Bergman di Helsinki (o ad Aina Bergman, sempre di Helsinki), che ha lasciato la carriera da primo ufficiale nella compagnia Finska Ångfartygs Aktiebolag per fondare una nuova compagnia di navigazione, della quale l'Uno è la prima ed unica nave. Oltre che gestore e fondatore della compagnia, Bergman è anche il comandante dell'Uno.
Stazza lorda 971,5 tsl, netta 555,17 tsn; viene impiegato prevalentemente nel trasporto di legname tra la Finlandia e porti esteri. (Altra fonte data la cessione al 1912).
1915
Acquistato da Stone & Rolfe di Llanelly (Galles) e ribattezzato Morlais. Porto di registrazione Llanelly, nominativo di chiamata JLRB, stazza lorda 950 tsl e netta 582 tsn. Lo comanda il capitano John Jenkins.
26 ottobre 1916
In navigazione da Swansea a Rouen con un carico di carbone, il Morlais viene attaccato con il cannone da un U-Boot tedesco nel Canale della Manica, circa 25 miglia ad ovest-sud-ovest dell’estremità meridionale dell’isola di Lundy, al largo del Devon. Sebbene danneggiato, riesce a sfuggire all’attacco.
Luglio 1924
Acquistato dalla Rederi A/B 'Allan' di Landskrona (Svezia) e ribattezzato Allan. Porto di registrazione Landskrona, in gestione ad Harry Persson di Landskrona. Stazza lorda 959 tsl, netta 671 tsn (per altra fonte 974,94 tsl e 657,73 tsn).
1934
Acquistato da Angelo Bertorello fu A. di Genova e ribattezzato Avvenire. Porto di registrazione Genova.
1939
Acquistato da Matteo Scuderi di Catania, senza cambiare nome. Il porto di registrazione diventa Catania.

L’Avvenire in manovra nel porto di Genova; in secondo piano si riconosce il transatlantico Rex (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)


Mine

L'
Avvenire fu una delle prime vittime della battaglia del Mediterraneo, prima ancora che questa avesse ufficialmente inizio. Il 7 giugno 1940 il piccolo piroscafo, al comando del capitano Placido Lizzio, salpò da Civitavecchia alla volta di Tripoli, carico di fusti di benzina: sebbene la nave non fosse stata requisita dalla Regia Marina, sorge spontaneo pensare che quella benzina fosse destinata alle truppe italiane di stanza in Libia, in vista delle ostilità ormai imminenti.
Un’altra cosa che da parte italiana si era provveduto a fare in previsione dell’imminente dichiarazione di guerra era la posa di numerosi campi minati lungo le coste italiane: le "Direttive per il dispositivo del Canale di Sicilia", emanate il 30 maggio 1940 e finalizzate a costituire un sistema di sorveglianza ed interdizione aeronavale che impedisse alle forze navali britanniche e francesi il transito nel Canale di Sicilia, prescrivevano tra le "Operazioni iniziali da compiere" la posa di sbarramenti offensive di mine tra la Sicilia e Pantelleria. Altri sbarramenti, a carattere difensivo, sarebbero stati posati lungo le coste italiane ed in prossimità dei porti principali. Le operazioni di posa erano iniziate il 6 giugno 1940, ed in particolare la posa dei principali sbarramenti del “dispositivo” del Canale di Sicilia ebbe luogo ella notte tra l’8 ed il 9 giugno. Lo stesso 6 giugno Supermarina aveva diramato alla stampa un primo avviso ai naviganti, con cui si annunciava che «La fascia di 12 miglia di ampiezza che circoscrive le coste del Regno d’Italia e di Albania, dell’Impero e delle Colonie è pericolosa alla navigazione. Le navi, per accedere ai porti delle coste predette, dovranno essere autorizzate ed aver ricevuto le necessarie istruzioni. Le navi già in navigazione dirette a tali porti dovranno preavvisare tempestivamente il giorno e l’ora in cui si troveranno al limite della zona pericolosa indicando la loro posizione approssimata. Esse saranno pilotate. Le navi che non si atterranno alle predette disposizioni lo faranno a loro rischio e pericolo»; ma gli sbarramenti offensivi posati nel Canale di Sicilia nel quadro del citato “dispositivo” erano in gran parte situati al di fuori della fascia costiera di 12 miglia, pertanto il 9 giugno venne diramato un altro avviso ai naviganti, con cui si dichiarava tutto il Canale di Sicilia pericoloso «per mine alla deriva». Troppo tardi per chi aveva già iniziato l’attraversamento del Canale.

Alle 2.30 del 9 giugno 1940 l'Avvenire urtò una mina in posizione 37°20' N e 12°13' E: sbandato e avvolto dalle fiamme scatenate dall’incendio del carico di benzina, il piroscafo affondò rapidamente di prua, una ventina di miglia a nord di Pantelleria (una fonte precisa, del semaforo di Pantelleria).
Alcuni motovelieri, sopraggiunti sul luogo dell’affondamento insieme a due MAS, recuperarono nove sopravvissuti: il comandante Lizzio, il direttore di macchina Silvestro Mirabella, i primi ufficiali di coperta e di macchina, il cuoco di bordo, un fuochista, un ingrassatore e due marinai.
Persero la vita cinque membri dell’equipaggio, che vennero dichiarati scomparsi in mare:

Carmelo Caltabiano, da Giardini Naxos
Luigi Ciccione, 40 anni, da Formia
Salvatore D’Andrea, 48 anni, da Catania
Antonino Scala, 50 anni, da Pozzallo
Orazio Scuderi, 19 anni, da Riposto

La nave era probabilmente incappata nello sbarramento 1 AN, posato nella notte tra l’8 ed il 9 giugno tra i punti 37°02' N e 12°01',2 E e 37°24',5 N e 12°07',8 E dal posamine ausiliario Scilla (un traghetto ferroviario requisito, al comando del capitano di fregata Mario Menini), uscito da Trapani con la scorta della torpediniera Altair (capitano di fregata Adone Del Cima). Tale sbarramento, composto da 400 mine tipo Elia regolate per quattro metri di profondità e distanziate di cento metri l’una dall’altra, faceva parte del più grande sbarramento offensivo «G P» (Capo Granitola-Pantelleria) composto da un totale di 1280 ordigni. La posa da parte dello Scilla aveva avuto inizio alle 00.15 del 9 giugno e si era conclusa alle 2.12: neanche venti minuti prima che l’ignaro Avvenire vi incappasse.
Nei giorni immediatamente successive quello stesso sbarramento avrebbe causato altre due vittime tra il naviglio neutrale, i piroscafi greci Makis e Zinovia; altre navi italiane si persero su altri sbarramenti nelle ore precedenti la dichiarazione di guerra: il piroscafo Angiulin, inabissatosi con tutto l’equipaggio al largo di Capo Granitola, e la piccola goletta San Teodoro, saltata fuori Brindisi con sei vittime tra l’equipaggio, entrambi il 9 giugno; il brigantino Danilo B., affondato al largo di Capri il 10 giugno con la perdita di due vite.

La Capitaneria di Porto di Trapani, nei documenti relativi all'affondamento dell'Avvenire (che avvenne all’interno della sua giurisdizione), attribuì la perdita del piroscafo ad una mina alla deriva.
L’«ora delle decisioni irrevocabili» non era ufficialmente ancora giunta, la guerra sarebbe stata dichiarata soltanto l’indomani; ma gli uomini dell'Avvenire non erano nemmeno i primi marittimi italiani a perdere la vita in quella guerra, che aveva cominciato a mietere vittime tra le loro fila fin dal novembre 1939, soprattutto a causa delle mine, arma ben poco incline alla distinzione tra amici, nemici e neutrali.
Il 10 giugno l’avviso ai naviganti numero 11467 rese finalmente noto che «Le acque tra la Sicilia e la Tunisia sono intransitabili perché minate».

venerdì 1 dicembre 2023

Clio

La Clio in una foto d’anteguerra (da www.academia.edu)

Torpediniera della classe Spica tipo Alcione (dislocamento standard di 670 tonnellate, in carico normale 975 tonnellate, a pieno carico 1050 tonnellate).
Dall’inizio della guerra alla seconda metà del 1942 fu adibita alla scorta del traffico di cabotaggio lungo le coste libiche, dopo di che alternò il servizio su tali rotte a missioni di scorta tra la Cirenaica e la Grecia. In tutto svolse 255 missioni (122 di scorta convogli, 14 di caccia antisommergibili, quattro di trasporto, una di posa mine, 54 di trasferimento, 23 per esercitazione e 37 di altro tipo) durante il periodo di guerra contro gli Alleati (giugno 1940-settembre 1943), percorrendo 68.586 miglia nautiche e trascorrendo 5921 ore in mare e 126 giorni ai lavori. Dopo l’armistizio partecipò a missioni di evacuazione di personale italiano rimasto isolato in Grecia ed Albania, e poi effettuò missioni di scorta per gli Alleati.
 
Breve e parziale cronologia.
 
29 ottobre 1936
Impostazione presso i cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.
3 aprile 1938
Varo presso i cantieri Ansaldo di Sestri Ponente. Presenziano al varo, tra gli altri, l’ingegner Agostino Rocca, amministratore delegato dell’Ansaldo, insieme a vari dirigenti e procuratori della società, il tenente colonnello del Genio Navale Mario Ortalda e le autorità cittadine, nonché gli apprendisti della scuola interaziendale Ansaldo e gli avanguardisti della Legione "Ubaldo Rebora" della Gioventù Italiana del Littorio.
Madrina della Clio è la contessa Giuseppina Rizzo, moglie dell’eroe di guerra Luigi Rizzo, affondatore della Wien e della Szent Istvan durante la Grande Guerra; prima del varo la nave viene benedetta dal cappellano militare, don Giuseppe Boris.

Il varo della Clio (g.c. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

2 ottobre 1938
Entrata in servizio.
Uno dei suoi primi comandanti è il tenente di vascello Costantino Borsini, 33 anni, da Milano, che terrà il comando della Clio fino al gennaio 1940.

Il capitano di corvetta Costantino Borsini (da www.movm.it)

1938
Terminati i collaudi e l’addestramento preliminare in Alto Tirreno, viene assegnata alla Divisione Scuola Comando, con base ad Augusta, insieme alle gemelle CastoreCignoClimeneCentauroCirce, Calipso, Calliope, Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Nicoloso Da Recco, agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Luigi Cadorna ed alla VII, IX e X Squadriglia MAS (MAS 424432437509512513514515516517518 e 519). Con esse la Clio svolge intensa attività addestrativa, toccando tutti i porti della Sicilia.

Siluranti italiane ormeggiate a Genova nel 1938, sullo sfondo dello splendido transatlantico Rex: la Clio è la quarta da sinistra. Si riconoscono anche le torpediniere Lira, Circe, Calipso e Calliope ed il cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

Febbraio 1940
Durante una sosta nel porto di Licata, la Clio, insieme alla Polluce, viene visitata dagli allievi del corso di cultura militare del locale ginnasio, su iniziativa del preside. Accompagnati dal loro insegnante, professor Antonio Ferrara, gli allievi visitano la plancia e la coperta mentre gli ufficiali delle due torpediniere fungono loro da guide, illustrando il funzionamento dell’armamento, della bussola, del telemetro e di altri apparati.
6 giugno-10 luglio 1940
La Clio partecipa, insieme alle gemelle CirceCalliope, Pallade, AlcioneAironeAretusa ed Ariel, alla posa di quattro campi minati antinave, per complessive 200 mine (50 in ogni sbarramento), tra Marsala e Capo Granitola.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Clio (tenente di vascello Emanuele Bertetti) forma, insieme alle gemelle Circe, Calipso e Calliope, la XIII Squadriglia Torpediniere, di base a Messina ed alle dipendenze del Comando Militare Marittimo della Sicilia.
La XIII Squadriglia, insieme alla XIV composta da Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, forma la 1a Flottiglia Torpediniere, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Sicilia; la 1a e la 2a Flottiglia Torpediniere (la 2a Flottiglia è composta dalle Squadriglie Torpediniere I e XII, anch’esse composte da navi classe Spica), insieme alla V Squadriglia Torpediniere (vecchie unità del tipo “tre pipe”), alla II Flottiglia MAS ed ai posamine AdriaticoScillaBuccari e Brioni, nonché alle forze aeree dell’Aviazione della Sicilia, costituiscono il «dispositivo» del Canale di Sicilia, il cui compito è di ostacolare alle forze navali nemiche il transito nel Canale di Sicilia, passaggio di importanza strategica cruciale per il controllo del Mediterraneo. Tale dispositivo prevede continua vigilanza aerea diurna e, su alcune rotte, anche notturna; posti di vedetta e di ascolto idrofonico a Capo Granitola, Pantelleria, Linosa e Lampedusa; agguati di sommergibili; crociere di torpediniere ed altre siluranti (preferibilmente notturne ed in aree non interferenti con quelle dei sommergibili); posa di campi minati offensivi e difensivi; attacchi aerei contro unità nemiche avvistate in mare. La 1a Flottiglia Torpediniere ha base a Porto Empedocle, la 2a a Trapani.
Poco tempo dopo l’entrata in guerra, la Clio sarà posta alle dipendenze del Comando Superiore della Marina in Libia.
14 giugno 1940
La Clio e le gemelle PolluceCirce e Calliope (tutte unità della 1a Flottiglia Torpediniere) effettuano un rastrello antisommergibile al largo di Siracusa. Alle 4.10, mentre le navi stanno rientrando in porto, la Polluce viene mancata da un siluro; probabilmente lo ha lanciato il sommergibile britannico Grampus.

La Clio a La Spezia nel 1940 (Coll. Erminio Bagnasco, via www.naviearmatori.net)

16 giugno 1940
Alle 18.30 la Clio (tenente di vascello Emanuele Bertetti) e le gemelle Circe (comandante e caposquadriglia, capitano di fregata Aldo Rossi, che è anche capoflottiglia della 1a Flottiglia Torpediniere), PolluceCalliope salpano da Siracusa per un nuovo rastrello antisommergibili. Il mare è calmo, il cielo sereno.
Una volta uscite dal porto le torpediniere incrementano la velocità a 25 nodi, dirigendo verso est, e mezz’ora dopo la partenza s’irradiano in rastrello di ricerca; già alle 19.02, a tre miglia per 087° da Siracusa, le vedette della Circe avvistano una torretta di sommergibile a 3-4 km di distanza (altra fonte parla invece di un periscopio a 55 metri a sinistra), pertanto il comandante Rossi ordina d’invertire la rotta (virando cioè a sinistra, e risalendo la scia della squadriglia) ed apre il fuoco con cannoni e mitragliere, sparando dieci colpi con i pezzi da 100 mm e 336 colpi con le mitragliere da 20 mm; poi, alle 19.04, inizia a lanciare bombe di profondità. Anche la Clio apre il fuoco sul sommergibile, sparando tredici colpi da 100 mm e 417 da 20 mm. Dopo mezzo minuto (tra le 19.04 e le 19.05), a tre migla per 87° da Siracusa, due ufficiali della Circe avvistano scie di siluri lanciati contro la Polluce da un sommergibile immerso; anche altre torpediniere le avvistano, alcune una scia, altre due. Il comandante della Circe la fa rilevare alla bussola, ed intanto accosta per mettervi la prora sopra, per poi riprendere il lancio delle bombe torpedini da getto; alle 19.09 la scorta di bombe di profondità pronte in coperta si esaurisce, così la torpediniera si allontana verso sudovest e poi verso sud per mettere a mare la torpedine da rimorchio, ordine che il caposquadriglia Rossi dirama anche alle altre torpediniere.
Le altre torpediniere, in base agli ordini ricevuti, gettano anch’esse le proprie bombe di profondità nel punto in cui sono stati visti il periscopio e le scie dei siluri; il comandante Agretti della Clio, osservando la Circe accostare, accosta a sinistra e segue la Circe, lanciando a sua volta bombe di profondità. La Polluce (tenente di vascello Ener Bettica), dopo aver evitato due siluri lanciati contro di essa, contrattacca con il lancio delle sue bombe e vede emergere una crescente quantità di bolle d’aria; si mette allora a seguire la scia lasciata dalle bolle lanciando altre bombe, e dopo il lancio della nona (da 50 kg, regolata per esplodere a 50 metri di profondità) vede erompere in superficie una colonna d’acqua, rottami e schiuma nera, che una volta calmatesi le acque lasciano il posto ad una chiazza di nafta in progressiva espansione. Tornata sul punto, la Polluce lancia altre bombe di profondità e vede emergere altre bolle, nafta e rottami.
Il sommergibile è stato affondato, in posizione 37°00' N e 15°30' E (o 37°05' N e 17°30' E), sei miglia ad est di Siracusa: si trattava del britannico Grampus (capitano di corvetta Charles Alexander Rowe), partito da Malta il 10 giugno per posare un campo minato nel canale dragato tra Augusta e Siracusa, cosa che aveva fatto il 13 giugno, per poi rimanere in agguato nei dintorni. Nessun superstite tra i 59 membri dell’equipaggio.
Il caposquadriglia Rossi non è molto convinto né degli avvistamenti delle scie dei siluri (date le condizioni del mare, che renderebbero difficile avvistarle) né dell’avvenuto affondamento del sommergibile, tanto che ordina un ulteriore rastrello antisom. I comandi italiani considereranno l’affondamento del sommergibile nemico come “probabile”; il suo mancato rientro a Malta ne darà la conferma.
Nel corso dell’azione, Circe e Polluce hanno lanciato 19 bombe di profondità ciascuna, la Clio tredici e la Calliope dieci. Commenta lo storico britannico Arthur S. Evans: "Una volta identificata la presenza di un sommergibile, gli italiani avevano agito velocemente. Le manovre della squadriglia, che si svolsero in un’area circolare di poco più di 800 iarde [730 metri], erano state effettuate con competenza e sicurezza. Il sommergibile era stato affondato entro appena quindici minuti dall’avvistamento".
4 luglio 1940
Assume il comando della Clio il tenente di vascello Mario Agretti.
13 luglio 1940
La Clio compie un’uscita da Napoli per esercitazione di lancio siluri, insieme al sommergibile Leonardo Da Vinci (capitano di corvetta Ferdinando Calda).
29 luglio 1940
La Clio e le gemelle Circe (caposcorta), Centauro e Climene (la XIII Squadriglia Torpediniere) salpano da Napoli alle 00.30, per scortare fino a Messina un convoglio formato dal trasporto truppe Marco Polo e dagli incrociatori ausiliari (impiegati come trasporti) Città di Palermo Città di Napoli. Il convoglio ha come meta finale Bengasi, nell’ambito dell’operazione di traffico «Trasporto Veloce Lento» (che vede in mare in tutto tre convogli diretti in Africa Settentrionale, con un totale di 11 trasporti e 12 torpediniere, più la copertura a distanza di un’aliquota delle forze navali da battaglia: il convoglio scortato dalla XIII Squadriglia è il convoglio veloce dell’operazione, mentre gli altri due sono i convogli lenti); le navi procedono a 16 nodi.
Poche ore dopo la partenza, a seguito dell’avvistamento di notevoli forze navali britanniche uscite in mare sia da Alessandria (il grosso della Mediterranean Fleet) che da Gibilterra (l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Valiant e Resolution e le portaerei Argus ed Ark Royal), i convogli dell’operazione T.V.L. ricevono ordine da Supermarina di rifugiarsi immediatamente nei porti della Sicilia. Il convoglio scortato dalla XIII Squadriglia Torpediniere giunge a Messina alle 13.30 (o nel pomeriggio).
Qui si esaurisce il compito della Clio e del resto della XIII Squadriglia: il convoglio proseguirà l’indomani, ma scortato non più dalle unità della XIII Squadriglia, bensì dalle gemelle della I Squadriglia (AlcioneAironeArielAretusa).
22 agosto 1940
La Clio e la Circe salpano da Napoli alle otto di sera di scorta al trasporto truppe Esperia, diretto in Nordafrica.
A Palermo (per altra fonte, al largo di Marettimo) le due torpediniere vengono rilevate nella scorta dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Ottobre 1940
Assume il comando della Clio il tenente di vascello Pasquale Giliberto, 32 anni, da Messina.

Il tenente di vascello Pasquale Giliberto (da “Dizionario biografico Uomini della Marina 1861-1946” di Paolo Alberini e Franco Prosperini, USMM)

21 ottobre 1940
Clio e Calliope salpano da Napoli alle 21 per scortare nel tratto iniziale della navigazione i trasporti truppe Esperia e Marco Polo, diretti a Tripoli.
22 ottobre 1940
Alle 8.20 il convoglio giunge a Palermo, dove le torpediniere vengono sostituite dalla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta, Strale).
5 novembre 1940
La Clio salpa da Napoli per Tripoli alle otto di sera, di scorta alla motonave Calino.
7 novembre 1940
Dopo una breve sosta a Palermo, Calino e Clio raggiungono Tripoli alle 17.30.
22 novembre 1940
Alle 20.30 la Clio salpa da Tripoli per scortare a Palermo la gemella Calipso.
24 novembre 1940
Clio e Calipso arrivano a Palermo alle 7.
8 dicembre 1940
La Clio parte da Napoli alle 15 di scorta ai piroscafi Fenicia, Capo Vita e Castelverde, diretti a Tripoli. A Trapani viene avvicendata nella scorta dalla torpediniera Generale Achille Papa.
13 dicembre 1940
La Clio salpa da Napoli per Tripoli alle 20, di scorta alla motonave Sebastiano Venier. A Trapani viene sostituita nella scorta dalla gemella Sagittario.
18 dicembre 1940
Secondo alcune fonti, tra cui il libro "Beneath the Waves" di Arthur S. Evans, la Clio (tenente di vascello Pasquale Giliberto) avrebbe attaccato in questa data un sommergibile al largo di Corfù, nella zona in cui operava il sommergibile britannico Triton (tenente di vascello Guy Claud Ian St. Barbe Slade Watkins), partito da Malta il 28 novembre per un pattugliamento nel Canale d’Otranto tra i paralleli 40° N e 42° N e scomparso con tutto l’equipaggio di 54 uomini dopo aver silurato il piroscafo Olimpia il 6 dicembre. Si tratta però di un errore, in quanto in realtà in questa data la Clio si trovava in porto a Trapani e non svolse alcuna azione antisommergibili. D’altra parte, il 18 dicembre il Triton, se non fosse già andato perduto su mine (causa ritenuta più probabile), avrebbe già dovuto essere lontano, avendo ordine di lasciare la sua area d’agguato il 13 dicembre per rientrare a Malta il 17. Un’altra possibilità è che il Triton sia rimasto vittima del contrattacco della scorta dell’Olimpia (torpediniere Altair ed Andromeda), che tuttavia non rivendicò l’affondamento del sommergibile attaccante. (Altri siti inglesi dicono solo che il Triton fu dichiarato perduto il 18 dicembre 1940 e che da parte italiana si indica un attacco antisommergibili della Clio come possibile causa dell’affondamento, senza specificare la data in cui questo sarebbe avvenuto. In effetti, sarebbe utile verificare se i riferimenti ad un attacco della Clio avvenuto il 18 dicembre non siano soltanto il risultato dell’erronea combinazione tra la notizia di un’azione antisommergibili della Clio, avvenuta magari qualche giorno prima, e la data in cui il Triton fu considerato perduto, appunto il 18 dicembre).
20 dicembre 1940
Alle 11.49 la Clio (tenente di vascello Pasquale Giliberto) salpa da Trapani per andare a sostituire l’anziana torpediniera Enrico Cosenz nella scorta ad un convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli, formato dalla motonave Rialto e dai piroscafi Aquitania e Bainsizza.
Alle 14.33 la Clio viene sorpassata da un altro convoglio diretto anch’esso a Tripoli, formato dai piroscafi Norge e Peuceta, dalla nave scorta ausiliaria F 113 Luigi Rizzo e dalla torpediniera Vega, ed alle 15.40 raggiunge il convoglio di cui deve assumere la scorta, rilevando la Cosenz. Contestualmente, il comandante Giliberto avvista sulla dritta anche la motonave Rialto, in navigazione isolata da Napoli a Tripoli, e le segnala di accodarsi al suo convoglio per godere anch’essa della sua scorta. Alle 16.16 il convoglio, al largo di Marettimo, assume rotta verso Capo Bon; la velocità è di otto nodi, il massimo che l’Aquitania, interpellato in proposito dalla Clio, ha risposto di poter raggiungere.
21 dicembre 1940
Alle 9.20 il convoglio accosta verso Kerkennah, ed alle 10.13 viene sorpassato sulla dritta da un aereo identificato dal comandante Giliberto come un idrovolante CANT Z. 501, che segue rotta parallela ad una distanza di circa 6 km, volando a duecento metri di quota.
Alle 12.15 vengono avvistati cinque bombardieri ed un aerosilurante, che sorpassano la Clio con rotta stimata est, a circa 6 km di distanza sul lato sinistro. Non essendo possibile stabilire l’identità degli aerei, Giliberto lancia il segnale di scoperta, ma dal momento che questi non manifestano intenzioni ostili, giunge alla conclusione che siano italiani.
Alle 12.44 la Clio intercetta un segnale di scoperta trasmesso da Supermarina, che a modifica di segnale precedente avvisa della presenza di due corazzate, una portaerei ed otto cacciatorpediniere ad un centinaio di miglia dal convoglio, con rotta 18 nodi e rotta proprio verso di esso. Invertita la rotta, la torpediniera comunica a voce ai mercantili “Hanno segnalato la presenza della squadra inglese. Al mio segnale E 9 accostate di 90° a dritta, aumentate alla massima velocità e dirigete in costa. Se necessario, perché attaccati da navi nemiche, arenatevi con doppi fondi allagati”, dopo di che riassume la sua posizione nella formazione, aumentando al massimo la vigilanza.
Il 16 dicembre la Mediterranean Fleet, al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, è infatti salpata da Alessandria con le corazzate Valiant, Warspite (nave ammiraglia di Cunningham) e Malaya, la portaerei Illustrious (nave di bandiera dell’ammiraglio Arthur Lumley Lyster), l’incrociatore pesante York, l’incrociatore leggero Gloucester ed undici cacciatorpediniere, per compiere un’operazione complessa (anzi, due operazioni simultanee, "MC. 2" e "MC. 3") che comprendeva la copertura di convogli in navigazione tra Malta, la Grecia e Gibilterra (convoglio MW.5A da Alessandria a Malta, MW.5B da Port Said a Malta, MG. 1 da Alessandria e Malta a Gibilterra, ME.5A da Malta ad Alessandria, AS.9 dal Pireo ad Alessandria, trasporto truppe Ulster Prince con truppe per la Grecia e Creta) e del trasferimento della corazzata Malaya da Alessandria a Gibilterra (dove deve andare a rinforzare la Forza H), il bombardamento navale di Valona ed attacchi aerei su Rodi e Stampalia da parte degli aerei della Illustrious. Il bombardamento di Rodi e Stampalia è stato effettuato il mattino del 17 dicembre, senza causare danni di rilievo; nel pomeriggio dello stesso giorno la squadra britannica si è rifornita di carburante a Suda, dopo di che ha distaccato l’Illustrious e si è diretta verso il Canale d’Otranto, dove York e Gloucester hanno condotto un’infruttuosa ricerca di convogli italiani da attaccare, mentre Valiant e Warspite, nelle prime ore del 19 dicembre, cannoneggiavano Valona, sparando un centinaio di colpi senza arrecare danni. Il 20 dicembre la Warspite è entrata alla Valletta, trattenendovisi fino alla sera del 22, mentre la Illustrious con le altre navi si è spinta verso il Canale di Sicilia per proteggere la navigazione verso ovest della Malaya e di un convoglio.
Alle 13.01, al largo di Sfax ed una quarantina di miglia a nord delle Kerkennah, la Clio avvista un aereo che sulle prime vola a circa 10.000 metri di quota, con rotta opposta a quella del convoglio; mantenendosi a circa 10 km di distanza a proravia del convoglio, incrocia trasversalmente a dritta e sinistra di esso. Quando inizia ad avvicinarsi, la torpediniera manovra a 24 nodi in modo da tenerlo sotto il tiro di cannoni e mitragliere. Il convoglio non ha nessuna scorta aerea.
Alle 13.13 l’aereo prende quota e sale a circa 1500 metri, poi sorvola il convoglio lateralmente sulla sinistra, tenendosi sempre fuori tiro. È molto somigliante ai caccia italiani FIAT CR. 42, ma non si distingue la croce bianca che contrassegna i velivoli della Regia Aeronautica; il comandante Giliberto esita di conseguenza ad aprire il fuoco e lanciare il segnale di scoperta. Rimanendo a 1500 metri di quota, l’aereo sorvola il convoglio con rotta parallela, passandogli sulla sinistra, a circa duemila metri di distanza. Sempre nel dubbio che si tratti di un CR. 42, la Clio esita ad aprire il fuoco, continuando a manovrare ad alta velocità per tenersi pronta a reagire in caso di attacco; attacco che si concretizza alle 13.18, quando l’aereo si lancia in picchiata sull’Aquitania, che procede in testa alla formazione e dista un migliaio di metri dalla Clio. Subito la torpediniera apre il fuoco con le sue mitragliere da 20/65 mm, con le quali spara 132 colpi: l’aereo viene colpito un attimo prima di poter sganciare le bombe, a circa duecento metri di quota, sulla verticale dell’Aquitania, e precipita in mare una cinquantina di metri sulla dritta del piroscafo. Alcune bombe inesplose cadono in mare tra l’aereo, che subito s’incendia, e l’Aquitania.
Avvicinatasi al relitto dell’aereo, alle 13.27 la Clio mette in mare la baleniera con a bordo il comandante in seconda, con l’ordine di recuperare eventuali codici e superstiti; non vengono trovati né gli uni né gli altri, alle 13.38 l’imbarcazione rientra recando un pezzo di tela cerata della carlinga con i colori della Royal Air Force e la sigla “5Q”, ed un battellino gonfiabile con due segnali luminosi.
Il comandante Giliberto giudica che l’aereo attaccante fosse un Blackburn Shark II; in realtà si trattava di un Fairey Swordfish, decollato insieme ad altri otto velivoli dello stesso tipo (appartenenti agli Squadrons 815 e 819 della Fleet Air Arm) dalla Illustrious, in mare nel quadro della già citata operazione complessa, che li ha lanciati per attaccare due convogli italiani fortuitamente avvistati dai ricognitori, quello scortato dalla Clio e quello scortato dalla Vega che l’ha sorpassato il giorno precedente (e che subirà la perdita di Norge e Peuceta, silurati dagli aerei dell’Illustrious).
Terminato l’attacco, la Clio torna ad assumere la sua posizione in testa al convoglio.
22 dicembre 1940
Raggiunto anche dalle torpediniere Castore e Centauro, uscite da Tripoli, il convoglio entra nel porto libico alle 19.
23 dicembre 1940
La Clio viene inviata da Tripoli ad assumere la scorta del piroscafo Caffaro, in navigazione da Bengasi a Tripoli, dopo che la torpediniera Fratelli Cairoli, che lo scortava in origine, è saltata su una mina in posizione 32°48' N e 14°50' E, a nordovest di Tripoli e venti miglia a nordovest di Misurata.
Clio e Caffaro, quest’ultimo avente a bordo i naufraghi della Cairoli, entrano a Tripoli alle 14.
7 gennaio 1941
In serata la Clio (tenente di vascello Pasquale Giliberto) si unisce alla gemella Castore nella scorta ad un convoglio formato dalla motonave Assiria e dai piroscafi Edda e Fianona, partiti da Tobruk alle 18 e diretti a Tripoli, via Bengasi.
Alle 22.25 la Clio avvista una sagoma confusa a proravia sinistra (verso terra), distante circa duemila metri; la torpediniera accelera e mette subito la prua sull’ombra avvistata, che alle 22.26 riconosce come la torretta di un sommergibile in affioramento, diretto verso il convoglio. Il comandante Giliberto decide di manovrare per speronarlo, ma quando la distanza è di soli duecento metri il sommergibile s’immerge rapidissimamente, anche se rimane chiaramente visibile il punto d’immersione. Un attimo dopo la Clio viene scossa da un forte urto, e Giliberto ordina di lanciare le bombe di profondità sia con le tramogge che con i lanciabombe laterali; in tutto vengono lanciate tre bombe di 100 kg dalla tramoggia poppiera di sinistra, tre da 50 kg dalla tramoggia poppiera di dritta e due da 50 kg dai lanciabombe laterali. Compiuto questo passaggio, la Clio accosta con tutta la barra a dritta e ripassa nel punto in cui il sommergibile è scomparso: sulla superficie galleggia una chiazza circolare di nafta avente un diametro di circa 50 metri, al cui centro viene nitidamente osservato un soffio continuo d’aria. Ciò induce il comandante Giliberto a ritenere che il sommergibile si affondato, ma a scanso di equivoci il comandante della Clio ordina di lanciare un’altra bomba di profondità di 100 kg con la tramoggia di sinistra, tre di 50 kg con quella di dritta e due di 50 kg con i lanciabombe laterali. Poi, la torpediniera accosta con tutta la barra a sinistra e passa un’altra volta sul presunto punto di affondamento del sommergibile. La chiazza di nafta, sempre quasi circolare, si è adesso estesa ulteriormente, raggiungendo un diametro di un centinai di metri; la Clio lancia ancora due bombe di 100 kg dalla tramoggia di poppa sinistra frattanto fatta rifornire, due di 50 kg dalla tramoggia di poppa dritta e due di 50 kg dai lanciabombe laterali. Sicuro di aver affondato il sommergibile nemico – considerati “l’urto per lo speronamento, il lancio e relativo scoppio delle bombe nella posizione visibilissima d’immersione e affondamento del sommergibile, la zona circolare di nafta sempre più crescente che si spande alla superficie e il soffio d’aria, chiaramente visibile” –, mentre la chiazza di nafta continua ad allargarsi, il comandante Giliberto dirige per tornare ad assumere il proprio posto nella formazione. Il punto dell’affondamento è 32°13'10" N e 23°39'45" E (al largo di Derna e venti miglia a nordovest di Tobruk), in una zona in cui la profondità è compresa tra i 29 ed i 42 metri.
9 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Bengasi alle undici. Una volta in porto il comandante Giliberto della Clio chiede di far ispezionare lo scafo della torpediniera da un palombaro, per verificare eventuali danni causati dallo speronamento del sommergibile; l’ispezione rivela un forte strisciamento dal dritto di prua fino a centro nave sul lato sinistro, e grosse chiazze di pittura saltata sul lato destro della carena. Giliberto viene anche informato da un ufficiale di Marina Bengasi che un MAS di Marina Tobruk, mandato appositamente sul luogo dell’attacco quel mattino, ha constatato che continua ad affiorare nafta in superficie (il diario di Supermarina riporta infatti che il MAS riscontrò alle 16.35 dell’8 “abbondante gorgoglio di nafta dal fondo”). (Qualche fonte afferma anche che il MAS avrebbe recuperato un salvagente con la scritta “NARVAL” – vedi sotto – ma di questo non si fa menzione nella storia ufficiale dell’USMM, ed in considerazione di quanto spiegato di seguito, sembra probabile trattarsi di un particolare apocrifo).
A quest’azione, che valse (unitamente all’abbattimento di due aerei, più altri due “condivisi”, da parte della Clio mentre si trovava ormeggiata in porti nordafricani nel medesimo periodo) al comandante Giliberto il conferimento della Medaglia di Bronzo al Valor Militare, è stato attribuito per lungo tempo l’affondamento del sommergibile Narval (capitano di corvetta François Drogou), della Francia libera. Salpato da Malta il 2 dicembre 1940 per un pattugliamento lungo le coste orientali della Tunisia, il Narval non era mai rientrato alla base, andando perduto con tutto l’equipaggio di 50 uomini; l’8 gennaio 1941, giorno successivo all’azione antisom della Clio, il viceammiraglio francese Émile Muselier, comandante della Marina della Francia Libera, aveva annunciato a Radio Londra la perdita del Narval, notizia subito associata da parte italiana all’azione della Clio, con conseguente rivendicazione dell’affondamento del Narval da parte della torpediniera a mezzo radio e giornali il giorno seguente. Nel dopoguerra, questa convinzione venne rafforzata da notizie erronee trasmesse dall’Ammiragliato britannico all’Ufficio Storico della Marina Militare (e riprese anche nella storia ufficiale della Royal Navy, in particolare il volume "The Royal Navy and the Mediterranean, Volume II, November 1940 – December 1941", ripubblicato ancora nel 2002), in cui si affermava che il Narval fosse partito da Malta il 29 dicembre per un pattugliamento nelle acque della Cirenaica (al largo di Derna), venendo considerato perduto in seguito al suo mancato rientro a Malta, previsto per l’11 od il 14 gennaio 1941. La versione che dà il Narval come affondato dalla Clio è pertanto stata riportata per decenni dalle storie ufficiali italiana e britannica, ed è tutt’ora citata in numerosi libri (come l’ottimo "The Fighting Tenth" di John Wingate, che afferma erroneamente che la Clio avrebbe “recuperato diversi salvagenti del Narval”) e siti.
In realtà, il Narval andò perduto settimane prima dell’azione antisom della Clio, probabilmente tra il 13 ed il 16 dicembre 1940 (forse il 15 dicembre), in acque molto lontane da Derna: a circa dodici miglia dalla boa numero 3 delle secche di Kerkennah (od a nove miglia per 68° da tale boa), al largo della costa tunisina. Il settore d’agguato assegnato al Narval per la missione non era al largo della costa cirenaica, bensì tra Lampedusa e le Kerkennah, a ben seicento miglia dal punto in cui si svolse l’attacco della Clio; e la prevista data di rientro a Malta era il 16 dicembre 1940, tre settimane prima dell’azione della torpediniera. Già il 18 dicembre 1940 l’ammiragliato britannico lo considerò perduto e nell’agosto del 1941 il suo relitto, che giaceva a soli 24 metri di profondità, venne avvistato da un idrovolante francese, non lontano dal punto in cui giaceva il relitto del suo gemello Morse, saltato il 15 giugno 1940 su una mina appartenente ad uno sbarramento francese posto a difesa del porto di Sfax. E proprio le mine furono anche la causa della perdita del Narval, anche se non è certo se si trattò delle stesse mine francesi dello sbarramento che causò la perdita del Morse o, più verosimilmente, di quelle dello sbarramento italiano "LK", posato dai cacciatorpediniere Lanciere e Corazziere il 10 giugno 1940 proprio nel punto in cui giace il relitto del sommergibile francese (35°03' N e 11°53' E). Il relitto venne identificato come quello del Narval ed ispezionato solamente nel novembre 1957, da subacquei della società italiana MICOPERI, che constatarono che la prua del Narval era completamente distrutta, danno compatibile con l’urto contro una mina.
Il Narval, prima unità della Marina francese ad aderire alla causa della Francia Libera (sorpreso in mare dalla resa della Francia nel giugno 1940, il comandante Drogou aveva deciso di raggiungere Malta per continuare a combattere a fianco dei britannici, comunicando alla radio “tradimento su tutta la linea, faccio rotta per un porto inglese”), fu anche la prima unità della Marina degaullista ad andare perduta. Aveva effettuato, dal giugno al dicembre 1940, tre missioni in acque libiche, con partenza da Malta, senza conseguire successi.
L’attacco della Clio aveva invece avuto come bersaglio il sommergibile britannico Rover  (capitano di corvetta Hubert Anthony Lucius Marsham), che alle 22.08 dell’8 gennaio aveva avvistato in posizione 32°13' N e 23°40' E (o 32°15' N e 23°36' E; una quindicina di miglia ad ovest/nordovest di Tobruk, o per altra fonte 25 miglia ad ovest di tale porto) Edda ed Assiria in navigazione verso ovest a proravia sinistra, ed aveva manovrato per attaccarli in superficie. Pur avendo poco dopo avvistato anche Clio e Castore, identificate come due “cacciatorpediniere”, il comandante britannico aveva proseguito la sua manovra d’attacco ed alle 22.22 aveva lanciato quattro siluri contro il mercantile di testa, l’Edda, di cui aveva sovrastimato la stazza in 7000 tsl, da 1370 metri di distanza; intenzione di Marsham era di lanciare una salva di sei siluri, ma poco prima di iniziare i lanci il Rover era stato localizzato dalle due torpediniere, che avevano accostato verso di esso, e 40 secondi dopo il lancio del primo siluro – mentre l’equipaggio britannico si preparava a lanciare il quinto – il sommergibile era stato scosso da una violenta esplosione, attribuita da Marsham al lancio di un siluro da parte di una delle unità italiane, seguita da tre esplosioni più piccole mentre il Rover s’immergeva, ritenute erroneamente essere causate da altrettanti siluri andati a segno. La prima esplosione aveva causato seri danni alle batterie del Rover, e la cupola dell’ASDIC era stata danneggiata alle 22.29, andando a sbattere contro quello che Marsham ritenne essere il fondale; più probabilmente l’urto era stato contro lo scafo della Clio, risultato della sua manovra di speronamento che lasciò segni ben tangibili anche sullo scafo della torpediniera. L’esplosione che aveva danneggiato le batterie, naturalmente, non era stata causata da un siluro (nessuna delle navi italiane ne aveva lanciati) ma dalle bombe di profondità (un’altra ipotesi consiste nell’esplosione prematura di uno dei siluri lanciati dallo stesso Rover, od in una sua esplosione contro il fondale). Marsham aveva poi rilevto il lancio di dieci bombe di profondità da parte della Clio nella successiva mezz’ora, ma queste non avevano causato altri danni al sommergibile.
Dopo un attacco abortito con il cannone contro il motoveliero italiano Celestina, in navigazione lungo la costa cirenaica, la sera del 9 gennaio, il Rover aveva dovuto interrompere la missione e dirigere per il rientro a Malta il 10 gennaio, in seguito alla scoperta di numerose altre celle rotte nella batteria. Era poi rimasto in riparazione alla Valletta fino al 4 febbraio 1941, entrando in bacino dal 31 gennaio al 4 febbraio.

L’affondamento del Narval sulla copertina della "Domenica del Corriere" (da www.cr.piemonte.it)

11 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 9.30.
20 gennaio 1941
La Clio e la più vecchia torpediniera Giuseppe La Farina sono designate da Marilibia quali unità incaricate della scorta dell’incrociatore corazzato San Giorgio, qualora questi venisse autorizzato da Supermarina a salpare da Tobruk, durante il viaggio di trasferimento da quella base, ormai completamente circondata dalle forze britanniche, a Tripoli. Dopo essersi inizialmente mostrata possibilista, tuttavia, Supermarina ordinerà alla fine, su indicazione del Comando Supremo, che il San Giorgio rimanga a Tobruk per contribuire con il suo armamento alla difesa ad oltranza della piazzaforte; questa si concluderà due giorni dopo con la caduta di Tobruk e l’autoaffondamento dell’incrociatore.
23 gennaio 1941
Alle 18 la Clio lascia Bengasi per scortare a Tripoli i motovelieri Rosa e Maria.
25 gennaio 1941
Il piccolo convoglio arriva a Tripoli alle 19.30.
27 gennaio 1941
Alle 15 la Clio lascia Tripoli per scortare a Palermo la motonave Maria ed i piroscafi Menes (tedesco) ed Amsterdam (italiano).
29 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Palermo alle 20.
1° marzo 1941
La Clio (caposcorta) e le torpediniere Orione e Pegaso salpano da Napoli per Tripoli alle 4 (o 4.15), scortando i piroscafi AmsterdamCastellonRuhr e Maritza (italiano il primo, tedeschi gli altri), carichi di rifornimenti per l’Afrika Korps.
3 marzo 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 18.
10 marzo 1941
Clio e Centauro escono da Tripoli per rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Lanzerotto Malocello, Folgore e Lampo) del convoglio «Sonnenblume 7», proveniente da Napoli e formato dai mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kibfels. Il convoglio giunge a destinazione a mezzogiorno.
11 marzo 1941
Clio e Centauro escono da Tripoli per andare incontro ad un convoglio in arrivo da Napoli, formato dalle motonavi Andrea Gritti e Sebastiano Venier con la scorta delle torpediniere Alcione, Pallade e Polluce (convoglio «Sonnenblume 9» per il trasferimento in Libia dell’Afrika Korps). Il convoglio arriva a Tripoli alle 13.30.
13 marzo 1941
Clio (caposcorta) e Centauro partono da Tripoli alle 6.30 per scortare in Italia la nave cisterna Rondine e la motonave Cilicia.
14 marzo 1941
Il maltempo costringe le due torpediniere a lasciare il convoglio e rientrare a Tripoli alle 9.
15 marzo 1941
Migliorate le condizioni meteomarine, Clio, Centauro e Pegaso ripartono da Tripoli alle 8 per raggiungere Rondine e Cilicia ed assumerne la scorta. La Pegaso raggiunge la Rondine, che scorta a Napoli, mentre la Clio assume la scorta della Cilicia.
17 marzo 1941
Clio e Cilicia giungono a Palermo alle 9.
23 marzo 1941
La Clio, insieme alle torpediniere CastoreCirce (caposcorta), CentauroCalliope e Pegaso, salpa da Napoli per Tripoli tra le 5 e le 15, di scorta ad un convoglio composto dai piroscafi AmsterdamCaffaro e Capo Orso e dalle motonavi Giulia e Col di Lana.
27 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 14.
30 marzo 1941
La Clio (caposcorta, capitano di corvetta Pasquale Giliberto) lascia Tripoli alle 14.30 unitamente alle torpediniere CignoCalliope e Pegaso, scortando un convoglio di ritorno formato dai piroscafi AquitaniaGalilea (tedesco), Caffaro e Beatrice Costa.
31 marzo 1941
Alle sette del mattino il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista in posizione 33°38' N e 12°40' E (una sessantina di miglia a nordovest di Tripoli) il convoglio, su rilevamento 220° e con rotta 350°. Inizialmente Norman avvista solo Caffaro, Aquitania e Beatrice Costa, scortati da quelli che ritiene erroneamente essere tre cacciatorpediniere classe Navigatori.
In quel momento il convoglio, in procinto di raggiungere la zona delle secche di Kerkennah, incontra un convoglio veloce di mercantili tedeschi scortati dalla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere; il comandante di quest’ultima (capitano di vascello Giovanni Galati, del Vivaldi) nota che, pur essendo ormai giorno fatto, il convoglio procede ancora in linea di fila (formazione adottata durante la navigazione notturna) anziché in linea di fronte (formazione usata di giorno, quando garantisce maggior sicurezza contro gli attacchi subacquei), e che il Galilea è rimasto molto indietro rispetto alle altre navi.
Anche il comandante dell’Upright si accorge che il Galilea – che avvista alle 7.28, quasi mezz’ora dopo il resto del convoglio, insieme ad un quarto “cacciatorpediniere”, stimandone la stazza in 5000 tsl – è più arretrato degli altri mercantili di circa tre miglia, e che sembra parzialmente carico (a differenza degli altri tre, che appaiono scarichi): così lo sceglie come bersaglio e, alle 7.39, gli lancia due siluri da 915 metri. Una delle armi colpisce il Galilea, provocando seri danni, due vittime e tre feriti; Calliope e Pegaso vengono distaccate per prestargli assistenza. Il resto della scorta inizia alle 7.51 il contrattacco, lanciando quattro bombe di profondità, seguite da altre due alle 8.06 (che scoppiano piuttosto vicine al sommergibile, causando alcuni danni leggeri); alle 8.55 l’Upright torna temporaneamente a quota periscopica, osservando il Galilea appoppato ed assistito da due “cacciatorpediniere”, per poi tornare a 45 metri alle nove, dopo l’arrivo di un aereo. Alle 9.21 subisce un ultimo attacco con bombe di profondità, che non causa danni.
La Pegaso (tenente di vascello Gian Luigi Sironi), intanto, prende a rimorchio il Galilea e, sotto la scorta della Calliope, fa rotta per Tripoli. Più tardi sopraggiunge il rimorchiatore Polifemo, che sostituisce la Pegaso nel rimorchio; alle 00.30 del 31 il Galilea viene portato all’incaglio nei pressi di Tripoli, in modo da evitarne l’affondamento. Non verrà mai riparato.
(Secondo Uboat.net, dopo il siluramento del Galilea, essendosi la scorta dovuta privare di Pegaso e Calliope, sarebbe giunta in rinforzo alla scorta la torpediniera Pleiadi; sempre secondo Uboat.net, anche la Cigno si sarebbe aggregata alla scorta solo dopo il siluramento del Galilea).
2 aprile 1941
Clio, Cigno, Caffaro, Aquitania e Beatrice C. arrivano a Napoli alle 20.30.
9 aprile 1941
La Clio, le torpediniere Enrico Cosenz e Generale Achille Papa ed il cacciatorpediniere Dardo (caposcorta) salpano da Napoli alle 14.30, scortando un convoglio formato dalle motonavi da carico RialtoBirmaniaBarbarigoAndrea Gritti e Sebastiano Venier.
11 aprile 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 11.30.
16 aprile 1941
La Clio, insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati, che assume la direzione dei soccorsi), Antonio Da NoliLanzerotto Malocello e Dardo, alle torpediniere PartenopeCentauroCigno, Giuseppe Missori, Generale Achille Papa e Perseo, alla nave ospedale Arno, alla nave soccorso Giuseppe Orlando, ai piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro ed ai rimorchiatori Pronta, Trieste, Ciclope, Montecristo e Salvatore Primo, partecipa alle operazioni di soccorso ai naufraghi delle navi del convoglio «Tarigo», distrutto nella notte precedente dai cacciatorpediniere britannici JervisJanusNubian e Mohwak (quest’ultimo affondato a sua volta dal Tarigo) nelle acque della Kerkennah. Nel violento combattimento notturno sono stati affondati i cacciatorpediniere Luca Tarigo e Baleno ed i piroscafi AdanaAeginaIserlohn e Sabaudia, mentre il cacciatorpediniere Lampo ed il piroscafo Arta sono stati portati all’incaglio con danni gravissimi.
L’operazione di ricerca e soccorso, organizzata da Marilibia non appena tale Comando ha ricevuto notizia dell’accaduto, si protrae per tre giorni, in cooperazioe con idrovolanti ed aerei da trasporto che perlustrano la zona. Complessivamente vengono tratti in salvo 1271 naufraghi, mentre le vittime sono circa 700 (altre fonti parlano di 1800 vittime, ma sembrano basate su stime errate).
19 aprile 1941
La Clio, la torpediniera Giuseppe Missori ed il cacciatorpediniere Dardo (caposcorta) lasciano Tripoli alle 15, scortando le motonavi BarbarigoBirmaniaRialtoAndrea Gritti e Sebastiano Venier, di ritorno a Napoli.
20 aprile 1941
Alle nove del mattino il convoglio viene attaccato da bombardieri britannici in più ondate al largo di Pantelleria, ma soltanto la Clio è colpita, subendo solo danni leggeri.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 11.
30 aprile 1941
La Clio (caposcorta) e le torpediniere Enrico CosenzGenerale Carlo Montanari salpano da Palermo per Tripoli alle 22, scortando i piroscafi tedeschi Brook e Tilly L. M. Russ, l’italiano Bainsizza, la pirocisterna italiana Sanandrea ed il rimorchiatore tedesco Max Behrendt. Successivamente alla scorta si uniscono anche le torpediniere Polluce e Centauro e l’incrociatore ausiliario RAMB III, mentre se ne separa la Cosenz.
1° maggio 1941
Il convoglio viene infruttuosamente attaccato a più riprese da ondate di aerei nemici.
Una formazione navale britannica, composta dall’incrociatore leggero Gloucester e dai cacciatorpediniere Kelly, Kelvin, Kashmir, Kandahar, Jersey e Jackal, tenta di intercettare il convoglio di cui fa parte la Clio dopo essersi lasciato sfuggire un altro più grande convoglio, in arrivo dall’Italia, per intercettare il quale è uscita da Malta. Anche questo tentativo d’intercettazione fallisce, a causa del mare mosso di prua che ostacola la formazione britannica.
2 maggio 1941
Alle 16.23, in posizione 33°59' N e 12°01' E (una cinquantina di miglia a sudest delle secche di Kerkennah), il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Russell Stanhope Brookes) avvista su rilevamento 260° il fumo generato dalle navi del convoglio di cui fa parte la Clio, e si dirige verso di esso per vedere di cosa si tratti; alle 16.38 avvista le navi, che giudica essere tre mercantili di circa 4000 tsl e due di circa 2000 tsl, scortate da due cacciatorpediniere e due aerei. L’Upright manovra per attaccare, ma a causa dell’inesperienza di Brookes finisce col trovarsi proprio davanti ad una delle navi di scorta, a soli 270 metri di distanza, al momento di lanciare, pertanto alle 16.52 è costretto ad abbandonare l’attacco e scendere in profondità.
Tornato a quota periscopica alle 17.28, l’Upright nota che uno dei mercantili, l’ultimo della colonna di sinistra, è rimasto leggermente arretrato rispetto al resto del convoglio, ed alle 17.43 lancia contro di esso un siluro da 5500 metri; l’arma non va a segno.
3 maggio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli tra le 9 e le 11. Nel tratto finale della navigazione, durante un violento attacco aereo, Polluce e Tilly Russ s’incagliano presso Zliten, ma vengono rapidamente disincagliati grazie all’intervento del rimorchiatore Salvatore Primo, uscito da Tripoli.

12 maggio 1941
Alle dieci la Clio (caposcorta), insieme ad Orione e Pegaso, salpa da Tripoli scortando i piroscafi Nicolò Odero e Maddalena Odero, diretti in Italia. Il convoglio (che gode della scorta indiretta dell’VIII Divisione Navale, con gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e dei cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere), in base agli ordini ricevuti, deve seguire la costa della Tripolitania fino all’altezza di Zuara, per poi fare rotta per Trapani.
Alle 18.40, a nord di Tripoli ed al largo di Zuara, uno dei velivoli della scorta aerea segnala la presenza di un sommergibile sul lato rivolto verso il mare aperto; la Pegaso (capitano di corvetta Gian Luigi Sironi), che in quel momento dista diverse miglia dal convoglio, lascia la formazione e si dirige sul posto indicato dall’aereo. La nave attacca il presunto sommergibile con bombe di profondità, dopo di che vede emergere in superficie vaste chiazze di nafta; alle 20.28, ritenendo di aver affondato il sommergibile, la Pegaso ritorna in formazione, comunicando alla Clio quanto accaduto.
È possibile che il sommergibile attaccato dalla Pegaso fosse il britannico Undaunted (tenente di vascello James Lees Livesay), alla sua prima missione in Mediterraneo, scomparso negli stessi giorni e nella stessa zona. A favore dell’ipotesi di un suo affondamento da parte della Pegaso, vi sono l’avvistamento da parte dell’aereo di scorta, l’abbondante quantità di nafta vista affiorare in superficie, ed il fatto che l’attacco della Pegaso avvenne effettivamente nel settore d’agguato assegnato all’Undaunted; contro quest’ipotesi, invece, vi è il fatto che il 12 maggio l’Undaunted, in base agli ordini, non si sarebbe dovuto trovare nella zona dove avvenne l’attacco, bensì già in navigazione di ritorno verso Malta (ma è possibile che il suo comandante avesse deciso di restare in zona per un altro giorno, o che qualche avaria avesse impedito al sommergibile di tornare). Rimane anche la possibilità che il sommergibile sia affondato su un campo minato.
15 maggio 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 5.
25 maggio 1941
La Clio, inviata da Messina insieme alle gemelle Cigno e Pallade, partecipa al salvataggio dei naufraghi del trasporto truppe Conte Rosso, silurato ed affondato la sera precedente dal sommergibile britannico Upholder, durante la navigazione da Napoli a Tripoli, circa dieci miglia ad est (per 85°) di Capo Murro di Porco. Oltre a Clio, Cigno e Pallade, i soccorsi sono condotti dalle torpediniere Procione e Pegaso (che facevano già parte della scorta originaria del convoglio), dai cacciatorpediniere Lanciere e Corazziere e dalle navi ospedale Arno e Sicilia. In tutto vengono salvati 1432 o 1441 uomini, su 2729 imbarcati sul Conte Rosso; vengono anche recuperate 239 salme, mentre i dispersi sono più di mille.
26 maggio 1941
Alle 19.40 la Clio (capitano di corvetta Pasquale Giliberto), insieme alle gemelle Circe (caposquadriglia della XIII Squadriglia Torpediniere, capitano di fregata Carlo Unger di Lowenberg), Calliope (tenente di vascello Carmelo Oliva) e Perseo (tenente di vascello Domenico D’Elia), salpa da Augusta per effettuare la posa degli sbarramenti di mine «M 4» e «M 4 bis», da posare ad est di Malta (in un settore che l’osservazione delle rotte seguite dalle navi britanniche fa presumere piuttosto “trafficato”) per ostacolare il transito di convogli con rifornimenti destinati all’isola, od anche di forze navali che la Royal Navy vi potrebbe dislocare. Ciascuna torpediniera ha a bordo 25 mine tipo P 200 preparate dal Parco Torpedini di Augusta, e dotate di congegno acustico di produzione tedesca (utilizzato per la prima volta nel Mediterraneo). A protezione dell’operazione contro l’eventuale intervento di navi britanniche, è stato disposto che dalle 00.30 del 27 due MAS si posizionino in agguato una decina di miglia a nordest dell’isolotto di Gozo.
Le torpediniere procedono a 20 nodi lungo le rotte costiere fino al punto prestabilito «A» al largo di Capo Passero, dove giungono alle 22.51; assunta poi rotta 187°, sempre a 20 nodi, dirigono per il punto prestabilito «B». Verso le 23.30 si inizia a vedere, in lontananza, il tiro di sbarramento delle batterie contraeree di La Valletta.
27 maggio 1941
Alle 00.54, le torpediniere giungono nel punto «B»; riducono la velocità a dieci nodi (la velocità prevista per la posa) ed accostano per 180°, dividendosi in due sezioni incaricate di posare i due sbarramenti, che devono essere posati simmetricamente uno a nord e l’altro a sud del punto «B»: quello a nord da Clio e Perseo, quello a sud da Circe e Calliope. La sezione formata da Clio e Perseo inverte la rotta sulla sinistra ed accosta per rotta 0°, con analoga velocità. Perseo e Calliope iniziano per prime la posa del primo grappolo di mine, alle 00.57.40; l’operazione dura esattamente un’ora, concludendosi all’1.57.20 con la posa del terzo grappolo da parte di Circe e Clio. La Perseo prima, e la Clio poi, posano lo sbarramento «M 4 bis»; contemporaneamente la Calliope prima, e la Circe poi, posano lo sbarramento «M 4», sul lato opposto rispetto al punto «B». Le cento mine vengono posate a grappoli, su rotte serpeggianti, con una distanza di 60-80 metri tra le armi di ciascun grappolo (e di 55-60 metri tra le armi di uno stesso grappolo), tutte regolate per una profondità di 20 metri. Grazie alla luce lunare, è possibile eseguire tutte le operazioni per la preparazione e la posa (rimozione delle rizze e dei cappellozzi, spostamento delle mine) senza dover accendere luci in coperta; c’è mare mosso con onda lunga da Scirocco, ma alla velocità di posa di 10 nodi questo non crea problemi (a 20 nodi, invece, bagnava le mine a poppa). La stabilità delle navi, anche con tutte le mine a bordo, risulta buona con mare lungo al mascone; non altrettanto con il mare al traverso. L’unico inconveniente durante la posa riguarda la Perseo, che a causa di un momentaneo ingombro di una ferroguida posa tre mine del secondo grappolo con un intervallo maggiore rispetto a quanto previsto.
Unico evento da segnalare, all’1.32, l’avvistamento da parte della Circe (intenta ad ancorare il primo grappolo) di una luce di prora sinistra, subito spenta; si ritiene che sia un’unità britannica della vigilanza foranea, ma la posa prosegue. Si vedono ancora bagliori di tiro contraereo verso La Valletta; all’1.20, all’1.30, all’1.45 ed alle 2.16 si avvertono delle scosse allo scafo che sembrano causate da esplosioni subacquee, ma troppo deboli per essere di mine esplose prematuramente. Le si attribuisce a bombe cadute in mare non vicinissime.
Terminata la posa, tutte e quattro le torpediniere accostano per 035° ed assumono velocità di 20 nodi, riformando le sezioni Circe-Calliope e Clio-Perseo, che procedono senza essere in vista l’una dell’altra. Alle 2.25 le due sezioni, accelerato a 25 nodi, dirigono verso il punto «A» di Capo Passero.
Entro le 5.55 la squadriglia è riunita in linea di fila ad est di Capo Murro di Porco; alle 7.20 le navi entrano ad Augusta. Il comandante e caposquadriglia Unger di Lowenberg, nel suo rapporto, elogia tutto il personale coinvolto nell’operazione (in special modo comandanti, comandanti in seconda e personale addetto alle mine, sia quello facente parte degli equipaggi che quello appositamente imbarcato per l’operazione dal Parco Torpedini di Augusta) per la precisione, perizia ed entusiasmo mostrati.
10 giugno 1941
Alle 14.30 la Clio salpa da Trapani insieme alla nave appoggio sommergibili Antonio Pacinotti, andandosi ad aggregare al largo di Favignana ad un convoglio proveniente da Napoli e diretto a Tripoli, formato dai piroscafi italiani AmsterdamErnesto e Tembien, dal tedesco Wachtfels e dalle motonavi italiane Giulia e Col di Lana, con la scorta del cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (caposcorta, capitano di fregata Nicolò Del Buono) e delle torpediniere Procione, Orsa e Pegaso. Le navi procedono a 10 nodi.
11 giugno 1941
Alle 18.30, a sud di Pantelleria, due bombardieri britannici Bristol Blenheim appaiono a poppavia del convoglio, volando a bassissima quota, e si avventano sul Tembien, secondo mercantile della colonna di sinistra, mitragliando e sganciando bombe. Prima dello sgancio, tuttavia, il tiro contraereo di Tembien e Wachtfels colpisce uno dei due aerei attaccanti: il bombardiere perde quota, urta l’albero del Tembien e precipita in mare, incendiandosi. Il secondo bombardiere, eseguito lo sgancio delle bombe, si allontana inseguito da un Savoia Marchetti S.M. 79 (che, al momento dell’attacco, era l’unico velivolo dell’Asse in visto del convoglio, 5 km a proravia) e poi da due caccia della scorta aerea, nonché dal tiro delle mitragliere della Pegaso (secondo una fonte, sarebbe stato poi anch’esso abbattuto).
Il Tembien non viene colpito dalle bombe e non subisce danni di rilievo, ma deve lamentare parecchi feriti per il mitragliamento.
12 giugno 1941
Il convoglio arriva a Tripoli tra le 19 e le 21.
21 giugno 1941
Alle 15 la Cigno salpa da Tripoli insieme al cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (caposcorta, capitano di fregata Nicolò Del Buono) ed alle torpediniere Enrico CosenzProcioneOrsa e Pegaso, scortando un convoglio composto dai piroscafi Wachtfels (tedesco), AmsterdamGiuliaErnesto e Tembien, e dalla motonave Col di Lana.
22 giugno 1941
Alle 12.08 sei bombardieri Bristol Blenheim, che volano a bassissima quota, vengono avvistati sulla dritta del convoglio (che in quel momento ha una scorta aerea formata da due caccia biplani FIAT CR. 42 e da un idrovolante antisommergibili CANT Z. 501). Il caposcorta apre il fuoco con le mitragliere per dare l’allarme, e poi, quando possibile, anche con i cannoni; il CANT Z. 501 s’interpone tra i bombardieri ed i piroscafi, sparando con le proprie mitragliere (tornerà poi in posizione di scorta al termine dell’attacco). Anche le altre navi della scorta ed i mercantili aprono il fuoco; la formazione nemica si divide in due gruppi di tre bombardieri ciascuno, che attaccano uno la prima linea di piroscafi e l’altro la seconda. I mercantili accostano in modo da volgere la poppa agli aerei; due o forse tre dei velivoli vengono abbattuti (due colpiti dal tiro delle siluranti: uno cade in mare, l’altro s’incendia in volo e poi precipita; un terzo è forse abbattuto dai FIAT CR. 42 della scorta aerea) ed altri si allontanano scaricando le bombe in mare, ma due riescono a portare a termine l’attacco, sganciando le loro bombe su Tembien e Wachtfels.
Entrambi i piroscafi riportano danni gravissimi, imbarcando molta acqua; solo grazie all’assistenza prestata da Orsa e Procione, che li prendono a rimorchio, i due mercantili rimangono a galla.
Proprio mentre le torpediniere stanno prestando assistenza a Tembien e Wachtfels, viene avvistato un sommergibile nemico, probabilmente intenzionato ad attaccare i due piroscafi immobilizzati e danneggiati: si tratta del britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), che alle 11.25, cinque minuti dopo aver avvistato fumi ed un aero su rilevamento 140°, ha avvistato le navi del convoglio, della cui presenza era già stato precedentemente informato. Alle 12.03 il sommergibile osserva il convoglio accostare da 320° a 265°, e quattro minuti dopo Collett nota che le navi della scorta sembrano avvicinarsi al suo battello: l’Unique è stato infatti avvistato da un aereo, ed OrsaProcione e Pegaso provvedono subito a dargli la caccia. Collett abbandona l’attacco ed ordina subito di scendere in profondità.
La Pegaso, particolarmente attiva nel contrattacco, inizia a lanciare bombe di profondità alle 12.54; terminata la prima corsa con lancio di bombe, viene avvistata una bolla d’aria a circa 1500 metri dalla poppa, dopo di che il sommergibile emerge parzialmente, mostrando tutto il fianco e la parte superiore della torretta, sbandato a dritta di circa 70°. Poco dopo il sommergibile torna ad immergersi; la Pegaso inverte immediatamente la rotta. Gli equipaggi di Pegaso e Tembien hanno assistito quasi al completo alla scena, che desta grande entusiasmo; si ritiene che il sommergibile sia ormai agonizzante, e gli uomini celebrano la vittoria con applausi ed acclamazioni (il comandante del Tembien grida “Viva l’Italia” tanto forte da essere sentito fin sulla Pegaso). Alle 12.59 la Pegaso inizia un secondo lancio di bombe, dopo di che, perlustrando l’area a lento moto, nota grosse chiazze di nafta sulla superficie del mare.
Nonostante le apparenze (che apparentemente dovevano comprendere una vera e propria illusione collettiva, non infrequente in tempo di guerra), tuttavia, il sommergibile attaccante non è stato affondato, e nemmeno danneggiato. Alle 12.37 l’Unique ha sentito la prima scarica di bombe di profondità, gettate singolarmente, esplodere “piuttosto vicine”, seguite da ulteriori e più intensi lanci alle 12.50, 12.55 e 13.14, quando in certi casi vengono lanciate fino a 17 bombe di profondità tutte insieme. L’ultima bomba ad esplodere “piuttosto vicina” (le esplosioni più vicine vengono avvertite a 180-270 metri di distanza), la cinquantaduesima, scoppia alle 13.35, dopo di che le bombe successive (le ultime delle quali sono gettate alle 13.51) scoppiano a maggiore distanza. In tutto l’Unique conta l’esplosione di un’ottantina di bombe di profondità, ma non subisce danni.
Verso le 16 l’Orsa recupera da un battellino tre aviatori britannici di uno degli aerei abbattuti: il maggiore John Davidson-Broadley ed i sergenti Stewart Carl Thompson e Leonard Felton, quest’ultimo ferito gravemente.
Dopo alcune ore di rimorchio, Tembien e Wachtfels riescono a riparare le avarie ed a contenere le infiltrazioni d’acqua, così riuscendo a rimettere in moto con le proprie macchine. Stante comunque la gravità dei danni, entrambi i piroscafi devono raggiungere Pantelleria, scortati da Procione ed Orsa, cui poi si aggiungono anche i cacciatorpediniere Maestrale e Grecale inviati in loro soccorso da Palermo.
Il resto del convoglio, intanto, prosegue verso Napoli.
23 giugno 1941
In rinforzo alla scorta del convoglio viene inviata la X Squadriglia Cacciatorpediniere, con MaestraleGrecale ed Antoniotto Usodimare.
24 giugno 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 3.30.
Alle 8.30 la Clio parte da Tripoli per scortare a Bengasi il piroscafo Motia.
26 giugno 1941
Clio e Motia arrivano a Bengasi alle 13.
6 luglio 1941
Alle 18.30 la Clio salpa da Bengasi per scortare a Tripoli il piroscafo Pertusola.
9 luglio 1941
Le due navi arrivano a Tripoli alle nove.
27 luglio 1941
La Clio lascia Tripoli a mezzogiorno per scortare a Napoli la motonave Francesco Barbaro, avente a rimorchio la torpediniera Antonio Mosto, danneggiata da un bombardamento aereo a Tripoli.
28 luglio 1941
Alle 18.30 la Mosto viene lasciata in sosta temporanea all’imboccatura del porticciolo di Lampedusa.
29 luglio 1941
L’insolito convoglio arriva a Napoli alle 21.30.
3 agosto 1941
Clio, Calliope, Cigno e Centauro salpano da Trapani per cercare una forza navale nemica, ma senza risultato. Alle 4.45 vengono avvistate in posizione 37°55' N e 12°00' E, a sudovest di Marettimo, dal sommergibile britannico Talisman (tenente di vascello Michael Willmott), che le identifica erroneamente come cacciatorpediniere classe Navigatori, valutandone la rotta come 290° e la velocità come 20 nodi; il sommergibile prepara sei tubi lanciasiluri, ma rinuncia ad attaccare non riuscendo ad avvicinarsi a meno di 5700 metri.
26 agosto 1941
La Clio (capitano di corvetta Pasquale Giliberto), le torpediniere Orsa e Procione ed i cacciatorpediniere Euro ed Alfredo Oriani (caposcorta, capitano di fregata Vittorio Chinigò) salpano da Napoli alle 5.30 scortando i piroscafi ErnestoAquitania e Bainsizza, le motonavi Col di Lana e Riv e la nave cisterna Poza Rica, dirette a Tripoli.
Da Trapani esce per rinforzare la scorta anche la Pegaso.
27 agosto 1941
Alle 6.30 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio italiano, che identifica come composto da cinque mercantili e tre navi scorta, più due aerei in pattugliamento sul suo cielo, ed alle 6.42, in posizione 38°11' N e 12°07' E (una decina di miglia a nord di Marettimo ed a sette miglia da Trapani), lancia quattro siluri contro uno dei mercantili (quello di testa della colonna più vicina, la cui stazza Tomkinson valuta in 6000 tsl; sono nella “linea di tiro” anche la nave di testa della colonna più lontana e la Poza Rica, di cui Tomkinson stima la stazza in 5000 tsl), da 4115 metri di distanza. Uno dei siluri, quello nel tubo numero 3 (ultimo ad essere lanciato), rimane però bloccato per metà dentro e per metà fuori dal tubo, con l’elica in funzione; l’Urge finisce così con l’affiorare involontariamente in superficie a meno di tremila metri dal convoglio, venendo subito avvistato.
È però troppo tardi per evitare i siluri ed alle 6.50 (ora italiana), poco dopo che il convoglio ha superato Punta Mugnone (Trapani), l’Aquitania viene colpito.
Sull’Urge, intanto, l’equipaggio ripristina l’assetto, ed a questo punto il siluro esce dal tubo; il sommergibile torna ad immergersi rapidamente, mentre la Clio, che l’ha visto affiorare da tremila metri di distanza, gli si dirige incontro incrementando la velocità a 22 nodi. Anche un idrovolante CANT Z. 501 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica, di scorta al convoglio, sgancia una bomba contro l’Urge (che la evita di stretta misura mentre s’immerge), precedendo l’arrivo della Clio; quest’ultima, giunta sul posto quando l’attaccante si è ormai immerso, vi lancia sette bombe di profondità di vario calibro, regolate per esplodere a quote comprese tra i 50 ed i 100 metri. Effettuato questo primo passaggio, la torpediniera inverte la rotta e ritorna sul punto in cui il sommergibile si è immerso, dove ora sono visibili gorgoglio d’aria ed una chiazza di nafta. Alle 6.52 un altro idroricognitore giunge sul posto e lancia a sua volta una bomba di profondità, una cinquantina di metri ad est del punto in cui è caduta la bomba lanciata dal primo aereo. Un minuto dopo la Clio si porta su tale punto e vi lancia due bombe di profondità da 50 kg, regolate per 75 metri, con i lanciabombe laterali e quattro (due da 50 kg e due da 100 kg), regolate per 100 metri, con le tramogge poppiere. Gli aerei, nel frattempo, si allontanano e ritornano sul cielo del convoglio.
Invertita nuovamente la rotta, la Clio ripassa ancora una volta sulla stessa zona e vi lancia altre due bombe da 50 kg con i lanciabombe laterali e due sempre da 50 kg con la tramoggia poppiera di dritta, regolate per 100 metri. Anche la Procione inverte la rotta e partecipa al contrattacco, lanciando sette bombe di profondità. L’Urge, benché la Clio ritenga di averlo certamente danneggiato se non affondato («dal lancio delle bombe sul punto di immersione del sommergibile, punto individuato anche dai due apparecchi da ricognizione, che hanno lanciato una bomba ciascuno, dalla opportuna regolazione delle bombe, tutte regolarmente esplose, dalla osservazione di macchie di nafta e dal gorgoglio di aria, ritengo che il sommergibile sia stato certamente colpito e probabile il suo affondamento»), si ritira verso nordovest alla velocità di tre nodi, senza subire danni; a bordo del sommergibile sono state contate venti esplosioni di bombe di profondità.
Dopo l’ultimo passaggio, il comandante Giliberto nota che l’Aquitania è fermo ed appoppato e che l’Orsa è ferma anch’essa nei suoi pressi, intenta a recuperarne l’equipaggio, dunque si dirige verso di essi per fornire loro protezione contro i sommergibili. Successivamente la Clio assume la scorta dell’Aquitania, preso a rimorchio dall’Orsa (capitano di corvetta Cesare Biffignandi), che alle 8.45 inizia il traino dirigendo verso Punta Mugnone. Dieci minuti dopo la scorta antisommergibili viene rinforzata da un MAS frattanto sopraggiunto; davanti a Trapani l’Orsa cede il rimorchio al rimorchiatore Trieste, appositamente fatto uscire, che poi viene rilevato a sua volta dai rimorchiatori Liguria, Marsigli e Montecristo. L’Aquitania entra infine a Trapani alle 20.45.
Il resto del convoglio prosegue nella navigazione.
29 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 7.45 (o 7).
2 settembre 1941
La Clio parte da Tripoli alle 19 per scortare a Bengasi il piroscafo Cadamosto.
5 settembre 1941
Clio e Cadamosto arrivano a Bengasi alle otto.
6 settembre 1941
La Clio salpa da Bengasi alle 18 per scortare a Taranto la nave cisterna tedesca Ossag. La lascia a mezzanotte, venendo sostituita da altre unità.
7 settembre 1941
La Clio e la cannoniera Alula salpano da Bengasi per Tripoli alle 18, scortando i piroscafi Prospero e Pertusola, che hanno a rimorchio rispettivamente i motopescherecci Trieste e Stefano Padre.
10 settembre 1941
Il piccolo convoglio giunge a Tripoli alle otto.
Settembre 1941
Il capitano di corvetta Giliberto lascia il comando della Clio.
14 settembre 1941
Alle 22 la Clio salpa da Trapani per scortare a Tripoli, via Pantelleria, un convoglio formato dal motoveliero Filuccio, dal piroscafetto Ascianghi e dalla piccola nave cisterna Mirabello del Parco, avente a rimorchio il dragamine ausiliario DM 21 Pietrino.
17 settembre 1941
Alle quattro del pomeriggio (per altra versione, all’alba) il convoglietto viene attaccato da bombardieri quindici miglia a nord di Zuara; nessuna bomba va a segno e l’acceso tiro contraereo delle navi abbatte tre degli attaccanti (da parte britannica viene confermata la perdita di due aerei, pilotati dal sottotenente Peter Edmund Covell Robinson del 107th Squadron RAF e dal sergente Jack Bendall del 105th Squadron RAF, con perdita totale degli equipaggi), ma uno di essi precipita sul Filuccio, incendiandolo ed affondandolo. L’Ascianghi recupera i dieci superstiti del motoveliero, mentre tre uomini hanno perso la vita.
Da parte britannica viene rivendicato l’incendio di un motoveliero, ridotto ad una “ammasso di fiamme”, e la distruzione di un altro, visto “esplodere e disintegrarsi”. In realtà doveva trattarsi in entrambi i casi del Filuccio.
18 settembre 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 9.
Subito dopo la Clio riprende il mare, avendo ricevuto ordine da Marina Libia di unirsi appena possibile alle gemelle CirceCentauro e Perseo, inviate poco prima sul luogo del siluramento dei grandi trasporti truppe Neptunia ed Oceania, attaccati dal sommergibile britannico Upholder al largo di Tripoli ed in corso di affondamento. Marina Libia ha ordinato alle torpediniere di recarsi immediatamente sul posto non appena ha avuto notizia del siluramento, avvenuto alle 4.15; la Neptunia affonderà alle 6.15, mentre l’Oceania, che si era sperato di poter rimorchiare in porto, affonderà alle 8.57 dopo essere stata silurata una seconda volta. La terza motonave che componeva il convoglio, la Vulcania, è scampata indenne agli attacchi ed è proseguita per Tripoli, scortata dal cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare, poi tornato indietro a recuperare naufraghi e rilevato dalla Perseo (arriverà a Tripoli alle 9.30).
Grazie all’opera di soccorso prestata dai cacciatorpediniere della scorta e, in misura minore, dalle torpediniere, si riescono a salvare ben 5434 dei 5818 uomini imbarcati sulle due navi. La Clio salva 163 naufraghi, mentre 2083 sono stati salvati dal cacciatorpediniere Emanuele Pessagno, 1302 dal Nicoloso Da Recco, 683 dall’Antonio Da Noli, 582 dal Vincenzo Gioberti, 485 dall’Usodimare, 131 dalla Perseo, tre dalla Circe e tre da idrovolanti di soccorso.
1941
Lavori di modifica dell’armamento: viene eliminata una delle due poco efficaci mitragliere binate da 13,2 mm, sostituita da quattro singole del più moderno tipo Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm (per altra fonte, otto da 20/65 mm; per altra ancora, tale modifica sarebbe avvenuta nel 1942-1943). Vengono inoltre installati due lanciabombe per bombe di profondità.
14 dicembre 1941
Alle 7.40 Clio e Centauro raggiungono davanti a Messina la IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), che sta rientrando a Taranto dopo l’annullamento dell’operazione di traffico «M. 41» verso la Libia. Le due torpediniere hanno il compito di svolgere scorta antisommergibili a protezione delle corazzate, in rinforzo alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino); anche alcuni idrovolanti CANT Z 501 dell’Aviazione Ausiliaria della Marina forniscono scorta antisommergibili, mentre aerei da caccia forniscono scorta contro eventuali attacchi aerei. Alle 7.50 la scorta aerea delle corazzate viene rinforzata da quattro caccia Macchi Mc 200 del 54° Stormo da Caccia Terrestre dell’Aeronautica della Sicilia, per protezione contro eventuali attacchi aerei, e successivamente da alcuni caccia bimotori FIAT CR. 25 della 173a Squadriglia; dopo altri venticinque minuti arrivano altri due CANT Z. 501. La formazione procede con la Littorio in testa seguita dalla Vittorio Veneto, in linea di fila, circondate dalle siluranti di scorta, alla velocità di 18 nodi, che alle 8.15, superata la parte più stretta dello stretto di Messina e giunti in zona di alto rischio di attacchi di sommergibili, vine portata a 20 nodi. Simultaneamente, le navi iniziano a zigzagare sulla direttrice di marcia 200°, la rotta di sicurezza di uscita dallo stretto. Alle 8.50, poco prima di passare sulla rotta 132°, l’ammiraglio Iachino ordina di cessare lo zigzagamento.
Alle nove del mattino, a tredici miglia da Capo dell’Armi, entrambe le corazzate – in navigazione verso nord attraverso lo stretto di Messina – avvistano sulla sinistra delle scie di siluri diretti verso di esse; né gli aerei (in quel momento ce ne sono dieci, due idrovolanti ed otto caccia, cinque dei quali in volo a bassa quota) né le siluranti della scorta si sono accorte della presenza di un battello subacqueo, o del lancio dei siluri. Il comandante della Clio spiegherà in seguito che le scie dei siluri ed il periscopio non sono stati avvistati per tempo perché i siluri venivano esattamente dalla direzione del sole, mentre il mare leggermente mosso ha nascosto la scia generata dal periscopio.
I siluri sono stati lanciati dal sommergibile britannico Urge (capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), in agguato a sud dello stretto di Messina insieme al gemello Unique, che alle 8.40 si è portato a quota periscopica dopo aver rilevato rumore di navi ed ha avvistato la formazione italiana, in navigazione verso sud a 17 nodi (in posizione 37°53' N e 15°20' E o 37°53' N e 15°29' E o 37°52' N e 15°30' E, una decina di miglia ad ovest-sud-ovest di Capo dell’Armi) attraverso lo stretto, apprezzandone correttamente la composizione come due corazzate (ritenute però erroneamente della classe Cavour) e quattro cacciatorpediniere, ed alle 8.58 ha lanciato quattro siluri dai tubi di prua, da 2740 metri, contro la corazzata di coda.
Le due corazzate accostano subito a dritta per evitare i siluri, ma la Vittorio Veneto (capitano di vascello Giuseppe Sparzani) ha appena iniziato l’accostata quando viene colpita da un siluro a centro nave, che uccide 40 uomini e provoca seri danni. Alcune delle siluranti si avvicinano per fornirle assistenza, mentre altre scortano la Littorio (capitano di vascello Vittorio Bacigalupi; a bordo il comandante superiore in mare, ammiraglio Angelo Iachino) che, evitato un siluro che l’ha mancata di poco passandole a poppavia, si allontana rapidamente dal luogo dell’attacco. Alcune, tra cui la Clio, danno per mezz’ora la caccia all’Urge in cooperazione con gli aerei, lanciando 40 bombe di profondità ma senza risultato. Tomkinson riterrà, con eccessivo ottimismo, di aver colpito la corazzata con due siluri e forse anche tre.
La Vittorio Veneto rallenta e sbanda a sinistra, imbarcando in breve tempo tremila tonnellate d’acqua; inizialmente l’ammiraglio Iachino, sopravvalutando la gravità del danno, ordina alla Vittorio Veneto di dirigere per Messina e distacca il Clio, Centauro e Fuciliere per scortarla, mentre gli altri tre cacciatorpediniere della XIII Squadriglia rimangono con la Littorio, che è tornata a zigzagare su rotta 132°. Le tre unità si avvicinano alla corazzata danneggiata, che intanto ha ridotto la velocità per verificare l’entità dei danni, per prestarle assistenza, ma in breve viene constatato che le controcarene di protezione "Pugliese" hanno assorbito gran parte della forza dell’esplosione e che la Vittorio Veneto, pur sensibilmente appoppata, ha macchine e caldaie ancora tutte funzionanti e riesce a sviluppare una velocità di 21 nodi. Lo sbandamento a sinistra viene ridotto ad un solo grado mediante manovre di controallagamento, ed il comandante della corazzata può comunicare all’ammiraglio Iachino che il danno è meno grave di quanto temuto e che non necessita di dirigere su Messina; alle 9.12 la Vittorio Veneto riesce ad assumere rotta 150° ed a seguire la Littorio verso Taranto. Alle 9.18 la Vittorio Veneto avvista un periscopio e manovra per schivare un siluro, ed alle 9.23 informa l’ammiraglio Iachino di aver ripreso la rotta per Taranto e di intendere raggiungere la Littorio navigando a 23,5 nodi (tale incremento di velocità viene compiuto un minuto dopo).
Alle 12.45 la Vittorio Veneto si ricongiunge con la Littorio, riassumendo la sua posizione in formazione a poppavia dell’ammiraglia; entrambe riducono la velocità a 20 nodi.
Nelle ore seguenti si verificano altri allarmi per sommergibili, sia da parte degli idrovolanti che dei cacciatorpediniere della scorta, e si giunge anche un’erronea segnalazione (da parte di un CANT Z. 501) relativa ad un gruppo di aerosiluranti diretto verso la IX Divisione (che induce Iachino a chiedere un rinforzo della scorta aerea di caccia all’Aeronautica della Sicilia: arriveranno infatti i Macchi Mc 200 della 4a Squadra Aerea, mentre per la scorta antisom i CANT Z. 501 verranno sostituiti dai più moderni CANT Z. 506), ma alla fine non succede niente. In realtà, l’unico altro sommergibile in zona oltre all’Urge è l’Unique, che avvista la Littorio alle 9.21 ma non riesce ad avvicinarsi a sufficienza per poter attaccare.
Durante la navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti della X Squadriglia ed il Corazziere, provenienti da Taranto; Maestrale e Gioberti rinforzano la scorta della Littorio, mentre Oriani e Corazziere vengono mandati ad assumere quella della Vittorio Veneto, che alle 10.05 ha comunicato di aver evitato altri due siluri, passati a meno di cento metri.
Alle 17 arrivano da Taranto le Squadriglie Cacciatorpediniere XI (AviereGeniereCamicia Nera, più il Carabiniere) e XIV (Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli), mandate da Supermarina come ulteriore rinforzo, ed alle 17.24 l’ammiraglio Iachino ordina a Clio e Centauro di lasciare la scorta e rientrare a Messina.
Le due corazzate arriveranno a Taranto in serata.

Fusti di carburante sistemati sulla poppa della Clio durante una missione di trasporto, 23 dicembre 1941. Il luogo della foto viene indicato da fonti diverse come Tripoli o La Spezia (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it)

30 dicembre 1941
La Clio salpa da Tripoli alle 23 per andare ad assumere la scorta del piroscafo tedesco Achaia, salpato da Susa (dov’è precedentemente giunto da Palermo) a quell’ora e diretto appunto a Tripoli.
1° gennaio 1942
Clio ed Achaia arrivano a Tripoli.
19 gennaio 1942
La Clio ed i cacciatorpediniere Saetta ed Antonio Da Noli (caposcorta) partono da Tripoli per Trapani alle 19.30, scortando le motonavi Lerici e Gino Allegri.
20 gennaio 1942
Il convoglio giunge a Trapani alle 20.20.
8 febbraio 1942
La Clio salpa da Tripoli alle 18 scortando il piroscafo Delia, diretto a Palermo via Sfax. Lo accompagna fino alle Kerkennah, dopo di che il piroscafo prosegue da solo per Sfax.
22 febbraio 1942
Salpa da Tripoli alle 16.30 per scortare a Bengasi il piroscafo tedesco Sturla.
24 febbraio 1942
Clio e Sturla arrivano a Bengasi alle undici.
27 febbraio 1942
In serata la Clio, insieme alla più vecchia torpediniera Generale Antonio Cantore, viene fatta salpare da Tripoli per partecipare al salvataggio dei naufraghi del piroscafo Tembien, silurato dal sommergibile britannico Upholder alle 19.06 a 24 miglia da Tripoli, durante la navigazione da quel porto a Trapani con la scorta del cacciatorpediniere Strale (capitano di corvetta Enea Picchio). Il Tembien è affondato in soli quattordici minuti, senza poter calare le lance a causa del repentino sbandamento subito assunto; lo Strale si è subito messo a recuperare superstiti, venendo raggiunto da Circe e Cantore alle 22. Il mare mosso ed il forte vento di ghibli ostacolano i soccorsi; su 654 uomini imbarcati sul piroscafo, compresi 498 prigionieri britannici, soltanto 157 vengono tratti in salvo, tra cui 79 prigionieri, oltre a 69 marittimi e militari italiani (compresi il comandante, capitano di lungo corso Antonino Cappiello, ed il commissario di bordo) e dieci tedeschi. I naufraghi vengono sbarcati a Tripoli.
11 marzo 1942
Salpa da Tripoli alle 19 per scortare nuovamente a Bengasi lo Sturla.
13 marzo 1942
Clio e Sturla arrivano a Bengasi alle 21.
8 aprile 1942
Compie un’uscita da Napoli per esercitazione, insieme al cacciatorpediniere Folgore ed al sommergibile Emo (tenente di vascello Giuseppe Franco).
10 aprile 1942
La Clio, il cacciatorpediniere Premuda (caposcorta) e le motosiluranti tedesche S 9 e S 15 salpano da Palermo alle dieci per scortare a Tripoli la motonave Giulia ed il piroscafo Amsterdam. A causa della fitta nebbia, del tutto insolita per la zona, il convoglio si disperde: perso il contatto l’una con l’altra, le navi tornano indietro e si radunano poi a Trapani, da dove proseguiranno insieme.
In serata, prima di entrare a Trapani, l’Amsterdam s’incaglia a nordest di Favignana, subendo lievi danni allo scafo.
11 aprile 1942
Il convoglio, rimesso in ordine, riparte da Trapani alle 23. (Ciò secondo "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1941 al 30 settembre 1942", dell’USMM. Secondo "Navi mercantili perdute", sempre dell’USMM, l’Amsterdam si sarebbe disincagliato alle 7.40 del 12 aprile e sarebbe entrato a Trapani alle 12.15, dopo di che il convoglio sarebbe partito da Trapani per Tripoli la sera dello stesso 12 aprile).
12 aprile 1942
Alle 11.05 il sommergibile britannico Urge (capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), che quattro ore prima (alle 7.18) ha avvertito il rumore di bombe di profondità lanciate a notevole distanza, sente rumore di navi in avvicinamento in posizione 36°21' N e 12°39' E (a nord di Lampedusa e 30 miglia a sudest di Pantelleria), e tre minuti dopo avvista due navi mercantili stimate in circa 7000 tsl scortate da due cacciatorpediniere e due idrovolanti su rilevamento 005°, a 7300 metri di distanza. Si tratta di AmsterdamGiuliaPremuda e Clio. Iniziata la manovra d’attacco, alle 11.20 l’Urge lancia quattro siluri contro il convoglio da 4600 metri di distanza: subito dopo il lancio, però, un idrovolante sorvola l’Urge e Tomkinson ritiene che abbia avvertito il convoglio, in quanto il rumore di macchine cessa subito e le navi iniziano a contromanovrare.
Nessuno dei siluri va a segno; la Giulia avvista tre scie, e la Clio avverte due esplosioni. Alle 11.43 l’Urge torna a quota periscopica e vede che il convoglio si sta allontanando verso sud, indenne.
Alle 12.30 il Premuda informa la torpediniera Centauro, di scorta alla motonave Gino Allegri che a breve dovrà transitare in zona, della presenza di un sommergibile 45 miglia a nord di Lampedusa (il messaggio viene intercettato da Roma, inducendo Supermarina ad ordinare la temporanea sospensione del traffico locale tra Pantelleria e Lampedusa).
Alle 18.30 quattro aerei tedeschi (due Dornier Do 17 dell’8a Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da caccia della Luftwaffe e due Messerschmitt Bf 110 della 10a Squadriglia del medesimo gruppo, tutti decollati dall’aeroporto di Castel Benito vicino a Tripoli), di scorta aerea al convoglio di cui fa parte l’Amsterdam, attaccano con lancio di bombe un sommergibile avvistato in posizione 35°07' N e 13°15' E, a 40 miglia per 126° (cioè a sudest) da Lampedusa, con esito incerto. Secondo lo storico Francesco Mattesini, il sommergibile in questione sarebbe stato l’Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), scomparso in questo periodo al largo della Libia: probabilmente intercettò il segnale di scoperta lanciato dall’Urge dopo aver attaccato il convoglio e diresse per intercettarlo a sua volta, venendo però bombardato ed affondato dalla scorta aerea.
13 aprile 1942
Alle 3.50 l’Amsterdam entra in collisione con la Giulia, ma entrambe le navi sono in grado di proseguire.
Alle 6.50 la scorta del convoglio viene rinforzata dalla torpediniera Generale Carlo Montanari e dai motodragamine tedeschi R 9R 12 e R 15, appositamente usciti da Tripoli quattro ore prima (prima di unirsi al convoglio, hanno condotto un rastrello antisom preventivo nelle acque che esso dovrà attraversare per giungere a destinazione, senza riscontrare tracce della presenza di battelli nemici).
Il convoglio giunge a Tripoli alle 9.45.
14 aprile 1942
La Clio, insieme alle vecchie torpediniere Generale Carlo Montanari e Generale Marcello Prestinari, esce da Tripoli per andare a rinforzare la scorta del convoglio "Aprilia", in arrivo dall’Italia e formato dal piroscafo Amsterdam e dalle motonavi Giulia, Ravello, Reichenfels (tedesca), Vettor Pisani e Reginaldo Giuliani, scortate dai cacciatorpediniere Freccia, Mitragliere, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno e dalla torpediniera Pallade.
15 aprile 1942
Il convoglio arriva a Tripoli tra le 9.30 e le 10.
17 aprile 1942
Alle 16 la Clio salpa da Tripoli per scortare a Bengasi i piroscafi Brook (tedesco) ed Una (italiano).
20 aprile 1942
Nella notte l’Una s’incaglia sulla secca di Zuetina. Potrà essere disincagliato alle quattro del mattino del 24 con l’aiuto dei mezzi di Marina Bengasi, raggiungendo quel porto alle 11.30 dello stesso giorno. Il Brook raggiunge invece Bengasi alle 9.30 del 20.
25 aprile 1942
Salpa da Bengasi alle 19.30 per scortare a Tripoli il piroscafo Sturla.
27 aprile 1942
Le due navi arrivano a Tripoli alle 9.45.
2 maggio 1942
La Clio salpa da Tripoli per andare incontro ad un convoglio in arrivo dall’Italia, formato dalle motonavi Lerici e Nino Bixio scortate dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta) e Nicolò Zeno e dalla torpediniera Orsa. Il convoglio giunge in porto alle otto.
6 maggio 1942
La Clio salpa da Tripoli alle 13.45 per scortare a Bengasi i piroscafi Brook (tedesco) e Bravo (italiano).
8 maggio 1942
Il convoglietto effettua una sosta a Buerat, dov’è raggiunto dalle motosiluranti tedesche S 13 e S 15, provenienti da Bengasi per rinforzo alla scorta dalle sei del mattino dell’8 alle 2.15 del 9.
10 maggio 1942
Il convoglio arriva a Bengasi alle otto; nell’ultimo tratto della navigazione, ad ovest di Ras Tajunes, si unisce alla scorta anche il motodragamine tedesco R 16.
Già alle 10.30 la Clio ne riparte per scortare a Tripoli la piccola motonave frigorifera Amba Aradam.
12 maggio 1942
Le due navi arrivano a Tripoli alle otto.
17 maggio 1942
Alle 7.25 la Clio, salpata da Tripoli, va ad unirsi al convoglio «C», in navigazione da Napoli a Tripoli e formato dalla motonave Lerici e dalla torpediniera Perseo: si tratta di uno dei tre convogli diretti in Libia nell’ambito dell’operazione di traffico «Lero».
Alle 8.30, 70 miglia a sud di Capo Spartivento, il convoglio «C» si congiunge con i convogli «R» (motonave Mario Roselli e cacciatorpediniere Nicolò Zeno, provenienti da Brindisi) e «X» (motonave Nino Bixio e cacciatorpediniere Turbine, provenienti da Taranto), già unitisi in precedenza, formando un convoglio unico avente come caposcorta lo Zeno.
Tale convoglio procede sulla rotta a levante di Malta, fino alle 19.45: a quell’ora, giunte le navi a 80 miglia da Tripoli, il convoglio «C» (Clio, Lerici e Perseo) si separa nuovamente dagli altri (che sono diretti invece a Bengasi) e fa rotta per Tripoli.
18 maggio 1942
Clio, Lerici e Perseo entrano a Tripoli all’alba.
20 maggio 1942
La Clio (caposcorta) e la torpediniera Generale Carlo Montanari salpano da Tripoli per Bengasi alle 8.30, di scorta al piroscafo tedesco Trapani ed alla nave cisterna italiana Alberto Fassio.
22 maggio 1942
Il convoglietto giunge a Bengasi alle undici.
25 maggio 1942
Alle 19 la Clio salpa da Bengasi per scortare a Tripoli il piroscafo tedesco Trapani e la nave cisterna Alberto Fassio.
26 maggio 1942
Alle 00.45 viene avvistato un sommergibile sulla rotta del convoglio; la Clio lo costringe ad immergersi e lo sottopone a caccia.
27 maggio 1942
Il convoglio arriva a Tripoli alle 12.30.
1° giugno 1942
Salpata da Sfax di scorta al piroscafo San Luigi, diretto a Palermo, alle 10.30 la Clio assume anche la scorta della nave cisterna Alberto Fassio, proveniente da Tripoli ed unitasi ad essa.
3 giugno 1942
Clio, Fassio e San Luigi arrivano a Palermo alle 9.15.
7 giugno 1942
La Clio e la gemella Castore lasciano Palermo alle 7.45 (9.45 per altra versione) scortando il piroscafo Numidia, carico di carbone, e la motonave cisterna Caucaso.
8 giugno 1942
Alle 17.25, al largo di Ras Iddah, le navi incontrano il convoglio «K» (motonavi Lerici, Rosolino Pilo e Reichenfels, cacciatorpediniere Vivaldi e Malocello, torpediniera Polluce, in navigazione da Napoli a Tripoli) dal quale si distacca la torpediniera Polluce, che assume il comando del convoglio «Numidia» come pianificato in precedenza.
11 giugno 1942
Il convoglio arriva a Tripoli all’una di notte.
27 giugno 1942
La Clio lascia Tripoli a mezzogiorno per scortare a Bengasi il piroscafo Tripolino e la piccola motonave frigorifera Amba Aradam.
29 giugno 1942
Il piccolo convoglio arriva a Bengasi alle 11.30.
2 luglio 1942
Alle sei del mattino la Clio riparte da Bengasi per scortare a Tobruk il piroscafo Petrarca.
3 luglio 1942
Clio e Petrarca arrivano a Tobruk alle 8.30.
6 luglio 1942
Alle 16 la Clio salpa da Tobruk per scortare a Bengasi il piroscafo tedesco Trapani.
8 luglio 1942
Clio e Trapani arrivano a Bengasi alle 7.30. Alle 13 la Clio (caposcorta) ne riparte insieme alla torpediniera Generale Antonio Cantore, per scortare a Tobruk la motonave tedesca Ankara.
9 luglio 1942
Clio, Cantore ed Ankara arrivano a Tobruk alle 10.30.
12 luglio 1942
La Clio viene inviata a cercare eventuali superstiti di un aereo da trasporto tedesco precipitato al largo del Peloponneso. Alle 2.40 viene probabilmente avvistata in posizione 37°00' N e 23°10' E dal sommergibile Zoea (che non è in grado di identificare esattamente la nave avvistata), che s’immerge per evitarla.
22 luglio 1942
La Clio esce da Bengasi per andare a rinforzare la scorta del piroscafo tedesco Wachtfels, in arrivo da Napoli con la scorta del cacciatorpediniere Grecale (caposcorta) e delle torpediniere Pallade e Circe.
Il convoglio giunge a Bengasi alle 12.30, e subito dopo Clio e Circe si trasferiscono da Bengasi a Navarino, dove insieme alla gemella Polluce vanno a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, caposcorta, e Premuda) della motonave Rosolino Pilo, diretta a Bengasi con a bordo, tra l’altro, parte delle batterie costiere destinate alla difesa di Tobruk, riconquistata il mese precedente (convoglio «M»). Partita originariamente da Brindisi con la scorta dei soli Pigafetta e Premuda, la Pilo è stata dirottata a Navarino a seguito di alcuni attacchi aerei, scatenati dalle intercettazioni di “ULTRA”, per poi ripartire con la scorta rinforzata dalle tre torpediniere. “ULTRA” continua ad intercettare e decifrare le comunicazioni relative al viaggio, riferendo la nuova rotta del convoglio alle 3.34.
23 luglio 1942
Dodici bombardieri Consolidated B-24 “Liberator” attaccano il convoglio al largo di Bengasi, ma non vi sono danni. Le navi arrivano a Bengasi alle 17.
24 luglio 1942
Alle 17.30 la Clio salpa da Bengasi per scortare a Tobruk, insieme alla cannoniera-cacciasommergibili Oriole, i piroscafi Tripolino e Pertusola.
26 luglio 1942
Il convoglio arriva a Tobruk alle 7.40.
30 luglio 1942
Clio e Circe salpano da Bengasi alle 8.30 scortando la motonave Lerici, diretta in Italia con tremila prigionieri.
31 luglio 1942
Alle 23 la Circe lascia la scorta del piccolo convoglio.
La Clio scorta la Lerici fino a Navarino, dove viene rilevata dal cacciatorpediniere Freccia.
Agosto 1942
Sottoposta ad un periodo di lavori di manutenzione.
26 settembre 1942
Alle 12.30 la Clio, la gemella Partenope ed il cacciatorpediniere Lampo salpano da Brindisi per scortare a Bengasi la motonave Francesco Barbaro, avente a bordo 175 militari, 21 carri armati, 151 tra automezzi e rimorchi, 547 tonnellate di nafta e carbone, 1217 tonnellate di munizioni e materiale d’artiglieria e 2334 tonnellate di materiali vari.
27 settembre 1942
Alle sette del mattino Clio, PartenopeLampoBarbaro si uniscono ad un altro gruppo, partito da Taranto e diretto anch’esso a Bengasi, formato dalla moderna motonave Unione (avente a bordo 3562 tonnellate di benzina e gasolio, 829 di munizioni e materiali vari e 192 tra automezzi e rimorchi) scortata dal cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi, caposcorta) e dalle torpediniere Aretusa e Lince; i due gruppi formano così un unico convoglio (denominato appunto «Barbaro»), del quale è caposcorta il Da Verrazzano.
Procedendo a 14 nodi, il convoglio imbocca le rotte costiere della Grecia occidentale, ma fin dal mattino del 27 settembre inizia ad essere tallonato da velivoli da ricognizione nemici.
La loro presenza non è casuale: già il 26 settembre l’organizzazione britannica “ULTRA” ha intercettato e decifrato messaggi italiani dai quali ha potuto apprendere che «L’Unione partirà da Taranto alle 20.30 del 26 e la Barbaro da Brindisi alle 22.30 del 26, per riunirsi in mare alle 06.00 del 27 e procedere per Bengasi dove giungeranno alle 16.00 del 28». Ne è stato informato il sommergibile britannico P 35 (poi divenuto Umbra), al comando del tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon.
Alle 15.40 del 27 settembre il P 35 avvista un aereo che vola in cerchio ad otto miglia per 280° e, presumendo che si tratti di uno dei velivoli della scorta aerea del convoglio segnalato da “ULTRA”, porta la velocità al massimo per portarsi in quella zona. Alle 16.02 il sommergibile avvista infatti il convoglio, formato da due grossi mercantili scortati da cinque tra cacciatorpediniere e torpediniere più degli aerei, su rilevamento 285°. Alle 16.30 Maydon sceglie come bersaglio il mercantile più vicino, ossia la Barbaro; il comandante britannico stima rotta e velocità del convoglio come 150° e 14 nodi, e ritiene che vi siano sei tra cacciatorpediniere e torpediniere a scortarlo.
Alle 16.33, in posizione 37°04' N e 20°36' E (35 miglia a sud di Capo Marathia sull’isola di Zacinto, ed al largo di Cefalonia), il P 35 lancia quattro siluri verso la Barbaro, da una distanza compresa tra i 7300 e gli 8300 metri.
I velivoli della scorta aerea avvistano le scie dei siluri dopo il lancio, e vi si avventano contro aprendo il fuoco con le mitragliatrici, nel tentativo di colpirli e farli esplodere prima che possano raggiungere il bersaglio; ma alle 16.40 uno di essi colpisce la Barbaro a prua, sul lato sinistro, a circa 60 miglia per 275° (ad ovest) da Navarino.
Sebbene gravemente danneggiata, la motonave rimane a galla, ed il caposcorta ordina al Lampo di prenderla a rimorchio e portarla a Navarino, ed a ClioPartenope di dare la caccia al sommergibile attaccante, per poi assumere la scorta del gruppetto formato dal Lampo con la Barbaro a rimorchio. L’Unione, col resto della scorta, prosegue invece per la sua rotta.
Frattanto il P 35, dopo aver lanciato, è sceso in profondità, ha assunto rotta 300° ed ha fatto uno “scatto” a tutta forza per cinque minuti, allo scopo di allontanarsi dal convoglio prima che inizi la reazione della scorta.
Questa ha inizio alle 16.43, quando una bomba di profondità scoppia piuttosto vicina al sommergibile; quest’ultimo accosta allora per 270°, ma seguono altre bombe d’aereo, dieci in tutto, l’ultima delle quali alle 17.57. Alle 17.06, tra un attacco e l’altro, il P 35 ha modo di tornare a quota periscopica e di osservare il proprio bersaglio, che si trova ora su rilevamento 176°: la Barbaro è leggermente appoppata ed appare immobilizzata, con un cacciatorpediniere nei pressi; si leva da essa parecchio fumo nero. Essendovi aerei tutt’intorno, Maydon scende a 15 metri ed assume rotta 200°, ed alle 17.13 inizia a ricaricare i tubi lanciasiluri per tentare un nuovo attacco. Alle 17.33, vedendo che dalla motonave non si leva più del fumo, il P 35 accosta per 240°, ma alle 17.34 ha inizio un pesante contrattacco da parte della scorta, che costringe il sommergibile a scendere a 60 metri ed a manovrare per sottrarsi alla caccia. Ne esce comunque di nuovo indenne, ed alle 17.52 rileva il bersaglio su rilevamento 155°, notando dopo cinque minuti che ci sono tre cacciatorpediniere o torpediniere in un raggio di 3660 metri (evidentemente LampoPartenope e Clio).
Alle 18.25 il P 35 torna a quota periscopica: avvistato un cacciatorpediniere o torpediniera a poppavia, distante 1370 metri, diretto verso di lui ed in avvicinamento, Maydon se ne torna a 60 metri. La nave italiana lancia undici bombe di profondità, che esplodono piuttosto vicine, arrecando alcuni lievi danni al P 35; alle 19.03 seguono altre sei bombe di profondità, esplose molto vicine al sommergibile, che tuttavia prosegue nella manovra di attacco. Alle 19.36 il battello britannico accosta per 250° per portarsi ad ovest prima di sferrare l’attacco, in modo da godere del vantaggio dato dalla luna che sorge; viene ultimato il ricaricamento dei tubi lanciasiluri. Alle 20.06 il P 35 riemerge nel punto 37°06' N e 20°28' E; la Barbaro appare ancora a galla ma sempre ferma, su rilevamento 070°, ad una distanza di circa quattro miglia. Tre tra cacciatorpediniere e torpediniere le girano intorno in cerchio, ad un distanza di un paio di miglia. Nelle due ore seguenti il P 35 si mantiene in contatto visivo col bersaglio, per attaccare col favore del buio una volta calata la notte, e riduce le distanze procedendo in superficie, per poi tornare ad immergersi alle 22.25. Cinque minuti dopo, in posizione 37°09' N e 20°27' E, il sommergibile lancia due siluri contro l’immobile Barbaro da una distanza compresa tra i 5500 ed i 7300 metri, per poi scendere subito dopo a 36 metri di profondità, mettendo tutta la barra a dritta.
Maydon avverte un’esplosione dopo dieci minuti, molto più tardi di quanto da lui calcolato in base alla distanza stimata: in realtà, questa volta nessun siluro è giunto a segno.
Alle 23.10 il P 35 avvista quattro navi sui rilevamenti compresi 079°, 073°, 067° e 061°, l’ultima delle quali (rilevamento 061°) è la Barbaro. Maydon fa ricaricare gli altri due tubi lanciasiluri.
28 settembre 1942
Alle 00.34 il P 35 assume rotta 360°, allo scopo di portarsi nuovamente in posizione favorevole rispetto alla luna; alle 00.45 avvista due cacciatorpediniere o torpediniere su rilevamenti 044° e 058°, e cinque minuti dopo riemerge in posizione 37°07' N e 20°21' E. La motonave italiana appare ancora a galla, ma avvolta da un “velo” di fumo, con le navi scorta che continuano a girarle intorno. Il P 35 si trattiene in zona, senza per il momento lanciare nuovi attacchi.
Nonostante il fallimento del secondo attacco del P 35, gli sforzi del Lampo per rimorchiare la Barbaro a Navarino non sono comunque coronati da successo: l’incendio scoppiato a bordo della motonave dopo il primo siluramento, infatti, si rivela incontenibile, ed alle 4.41 del 28 settembre le fiamme raggiungono le munizioni che facevano parte del carico (altra versione parla di un’esplosione verificatasi durante la notte all’interno della stiva colpita dal siluro ed incendiata), e la Francesco Barbaro esplode ed affonda punto approssimato 37°15' N e 19°55' E, una cinquantina di miglia a sudovest di Capo Marathia nell’isola di Zacinto.
Su un totale di 278 uomini, tra equipaggio e militari di passaggio, imbarcati sulla Francesco Barbaro, le vittime sono 30; la Clio ha recuperato 125 superstiti, il Lampo altri 123.
Alle 10.30 dello stesso 28 settembre Clio, PartenopeLampo arrivano a Navarino, e vi sbarcano i naufraghi della BarbaroClio e Partenope ripartono poi per andare incontro all’Unione che, silurata da aereo alcune ore prima, sta arrancando verso quel porto a rimorchio del Da Verrazzano.

La Clio con colorazione mimetica (foto A. Gunetti, tratta da “Marinai in guerra” di Guido Alfano)

29 settembre 1942
ClioPartenopeLinceAretusaUnione e Da Verrazzano arrivano a Navarino alle 7.40.
30 settembre 1942
Alle 18.10 Clio, PartenopeAretusaLampo (caposcorta) lasciano Bengasi per scortare a Brindisi, via Navarino, le motonavi Ravello e Monginevro.
1° ottobre 1942
A mezzogiorno, il convoglio si divide: Clio, LampoMonginevro fanno rotta per Navarino, mentre PartenopeRavello ed Aretusa dirigono verso il Pireo.
Alle 17.40 il gruppo che comprende la Clio viene attaccato da nove bombardieri, ma nessuna unità subisce danni; le navi arrivano a Navarino quattro ore più tardi.
12 ottobre 1942
La Clio (tenente di vascello Ugo Tonani), i cacciatorpediniere Folgore (capitano di corvetta Renato D’Elia) e Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Aldo Cocchia) e la moderna torpediniera di scorta Ardito (tenente di vascello Emanuele Corsanego) salpano da Brindisi alle 20 diretti a Bengasi, scortando la motonave D’Annunzio.
13 ottobre 1942
Alle 7, al largo di Corfù, si uniscono al convoglio la motonave Foscolo, il cacciatorpediniere Lampo (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti) e la torpediniera Partenope (capitano di corvetta Pasquale Senese); caposcorta è sempre il Da Recco. Nonostante un temporale in corso, i velivoli della scorta aerea raggiungono il convoglio, che procede a 14 nodi (per altra fonte, a 15: Foscolo e D’Annunzio, moderne unità della nuova classe "Poeti", sono infatti tra le più veloci navi da carico della Marina Mercantile italiana), sin dalle prime luci dell’alba, rimanendo poi sul suo cielo per tutto il giorno.
Durante il pomeriggio il sommergibile britannico Porpoise (tenente di vascello Leslie William Abel Bennington) viene informato della presenza di un convoglio di due navi mercantili, scortate da sei cacciatorpediniere, in posizione 38°14' N e 19°35' E, con rotta 180° e velocità 15 nodi: si tratta del convoglio di cui fa parte la Clio. Il Porpoise sembra trovarsi in posizione perfetta per intercettare il convoglio, ma non avvista nulla all’infuori di alcuni aerei: le navi italiane, infatti, passano un po’ più ad est di quanto previsto dai britannici.
Alle 21.58 si accende un bengala, lontano sulla dritta, e si sente rumore di aerei; pertanto viene dato l’allarme e tutte le navi iniziano ad emettere cortine nebbiogene. Alle 22 un aereo sgancia due bombe che cadono tra il Folgore (che si trova a poppavia del convoglio) e le motonavi (che sono disposte in linea di fronte); alle 23.07 si sente ancora rumore di aerei ed alle 23.30 si accendono tre nuovi bengala, sempre lontani e sulla dritta.
Alle 23.56 un aereo sgancia due bombe di piccolo calibro, che cadono cinque metri al traverso a sinistra del Folgore; le schegge delle bombe investono la nave, arrecandole modesti danni e ferendo non gravemente cinque serventi del complesso poppiero da 120 mm. Al tempo stesso, il Folgore avvista due aerei a circa 200 metri di quota ed apre il fuoco contro di essi, imitato dalle altre navi che procedono a poppa del convoglio.
14 ottobre 1942
Alle 00.30, quando il convoglio si trova a cento miglia da Bengasi, cessa l’allarme e si smette di emettere nebbia, dato che non si sentono più rumori di aerei da mezz’ora. Nessuna nave è stata colpita e nessuna, a parte il Folgore, ha subito alcun danno, grazie alla violenta reazione contraerea delle navi di scorta, che hanno disorientato i piloti nemici. Il caposcorta Cocchia del Da Recco riterrà che più che un vero e proprio attacco aereo si sia trattato di qualche aereo di passaggio che ha trovato per caso il convoglio e vi ha sganciato contro le bombe che aveva. Il convoglio giunge a Bengasi alle 13.30.
Dopo appena mezz’ora, non appena le motonavi sono entrate in porto, Clio, Da Recco (caposcorta), FolgoreLampoArdito e Partenope ne ripartono scortando la motonave italiana Sestriere e la tedesca Ruhr, scariche, uscite da Bengasi incrociandosi con Foscolo e D’Annunzio in arrivo.
16 ottobre 1942
Nel pomeriggio l’Ardito subisce un’avaria e deve lasciare il convoglio, dirigendo per Argostoli; la Clio la scorta fino a tale porto, dove arriva alle 15.20.
20 ottobre 1942
La Clio e la moderna torpediniera di scorta Animoso scortano da Taranto a Patrasso la nave cisterna Giorgio.
4 novembre 1942
Clio, Animoso ed i cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta), Grecale, Velite, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti salpano da Napoli alle 17 per scortare a Tripoli il piroscafo Veloce e le motonavi Giulia e ChisoneGrecale e Gioberti, oltre a far parte della scorta, sono anche in missione di trasporto di 52 tonnellate di munizioni.
5 novembre 1942
Alle dieci del mattino un sommergibile attacca il convoglio, ma l’attacco è sventato dalla scorta. Alle 19.40 inizia una serie di pesanti attacchi aerei, che si protrarranno fino all’una di notte del 6, sempre senza causare danni.
7 novembre 1942
L’Animoso lascia la scorta del convoglio alle otto del mattino; le altre navi arrivano a Tripoli alle 18.15.
Si tratta di uno degli ultimi convogli a raggiungere la Libia senza subire perdite.
10 novembre 1942
Clio e Calliope salpano da Trapani alle quattro del mattino per trasferirsi a Napoli, dove giungono alle 18. Durante la navigazione effettuano esercitazioni di tiro e ricerca antisommergibili.
11 novembre 1942
ClioMaestrale (caposcorta), Grecale, Oriani e Gioberti salpano da Napoli alle 16, per scortare a Biserta la motonave Caterina Costa e l’incrociatore ausiliario Città di Napoli.
12 novembre 1942
Il convoglio giunge a Biserta alle 16.
13 novembre 1942
Alle 10.23 la Clio salpa da Biserta per scortare a Palermo la motonave Città di Napoli.
Alle 11.25 il sommergibile britannico P 48 (tenente di vascello Michael Elliot Faber) avvista Città di Napoli (di cui valuta la stazza in 7000 tsl) e Clio (identificata come un cacciatorpediniere) su rilevamento 197°, ed alle 11.50, in posizione 37°23' N e 10°00' E (una decina di miglia a nordest di Biserta), lancia tre siluri contro la Città di Napoli da 5000 metri di distanza. I siluri non vanno a segno, e le navi italiane non si accorgono neanche di essere state attaccate.
14? novembre 1942
Le due navi arrivano a Napoli (?) alle 23.06.
15 novembre 1942
Clio (caposcorta, tenente di vascello Ugo Tonani) e Calliope (tenente di vascello Marcello Giudici) salpano da Palermo per Biserta alle 8.30, scortando il piroscafo tedesco Menes e la piccola motocisterna italiana Labor.
Verso mezzanotte la Clio perde di vista Labor e Calliope, a causa di continui piovaschi che limitano fortemente la visibilità; c’è anche mare molto mosso, che ostacola la navigazione, causando forte rollio e beccheggio.
16 novembre 1942
Alle due di notte la Calliope deve lasciare la scorta del piccolo convoglio in seguito ad un’avaria all’impianto elettrico; la Labor prosegue da sola, raggiungendo Biserta sei ore più tardi. Clio e Menes, per ordine di Supermarina, invertono la rotta e la percorrono a ritroso per cinque ore, per poi dirigere nuovamente verso Biserta.
Alle 8.55 il sommergibile britannico P 247 (poi Saracen; tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby) avvista in posizione 37°30' N e 10°40' E Clio (che identifica come un cacciatorpediniere) e Menes (di cui stima la stazza in 4000-5000 tsl) su rilevamento 110°, da 2300 metri di distanza. Lumby apprezza la velocità delle navi come 9 nodi, la rotta come 240°; alle 9.07 lancia tre siluri da 1370 metri, ma il Menes avvista le scie di due delle armi ed apre il fuoco contro il periscopio del sommergibile con una delle sue mitragliere contraeree da 20 mm, evitando i siluri e manovrando per speronare l’attaccante. La Clio lancia poi alcune bombe di profondità (nove, secondo il rapporto del P 247) a scopo intimidatorio. (Fonti italiane indicano l’orario dell’attacco come le 9.15, la posizione come 37°40' N e 10°40' E, a nord del golfo di Tunisi e 36 miglia a nord di Capo Bon).
Alle 10.22 un altro sommergibile britannico, il P 221 (poi Parthian; tenente di vascello Michael Frederic Roberts Ainslie), avverte rumori di motrici navali su rilevamento 030° e si porta a quota periscopica per vedere di che si tratti, avvistando il Menes (di cui stima la stazza in 5000 tsl) e la Clio (identificata come un cacciatorpediniere classe Dardo, che precede il piroscafo di un migliaio di metri) insieme a due idrovolanti CANT Z. 506. Alle 10.42 il battello britannico lancia quattro siluri; benché Ainslie abbia annotato nel giornale di bordo di aver “osservato” due siluri colpire, in realtà nessuna delle armi va a segno. La Clio avvista le scie di tre siluri ed alle 10.51 contrattacca lanciando tre bombe di profondità – due delle quali esplodono vicine al sommergibile, che non subisce danni – prima di riunirsi al Menes.
(L’orario indicato da parte delle fonti italiane sono le 10.45, la posizione come 38°03' N e 11°51' E, a nordest di Marettimo e 35 miglia a nordovest di Capo Bon).
Clio e Menes, raggiunte nel pomeriggio dalla Climene in rinforzo alla scorta, entrano a Biserta alle 16.45.
Alle 20 la Clio riparte da Biserta per scortare a Palermo la motonave Città di Napoli.
17 novembre 1942
Alle 6.40 il sommergibile britannico P 37 (poi divenuto Unbending, tenente di vascello Edward Talbot Stanley), in pattugliamento a nord di Capo San Vito siculo, avvista in posizione 38°27' N e 12°43' E il convoglio formato da Clio e Città di Napoli (di cui Stanley sovrastima sensibilmente la stazza in 10.000 tsl). Alle 7.01 il sommergibile lancia quattro siluri da 1370 metri di distanza contro il Città di Napoli, ma la motonave evita le armi con la manovra (l’orario dell’attacco è indicato dalle fonti italiane nelle 7.30).
Clio e Città di Napoli arrivano a Palermo alle 10.30.
1° dicembre 1942
Alle dieci (o 10.15) del mattino la Clio (temporaneamente al comando del comandante in seconda, tenente di vascello Vito Asaro, essendo il comandante titolare ammalato) salpa da Palermo insieme ai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (capitano di vascello Aldo Cocchia, caposcorta), Folgore (capitano di corvetta Ener Bettica) e Camicia Nera (capitano di fregata Adriano Foscari) ed alla torpediniera Procione (al comando del capitano di corvetta Renato Torchiana) per scortare a Biserta il convoglio «H». 
Quest’ultimo è inizialmente composto da tre bastimenti, i trasporti truppe Aventino e Puccini ed il piccolo trasporto militare tedesco KT 1, ma prima di imboccare la rotta del Canale di Sicilia il convoglio passa davanti a Trapani, da dove esce, alle 15.30, il traghetto requisito Aspromonte, che due ore più tardi si aggrega ad esso come prestabilito (per altra fonte, ciò sarebbe avvenuto ale 20).
Il convoglio trasporta complessivamente 1766 tra ufficiali e soldati in prevalenza della 1a Divisione Fanteria «Superga» (equamente distribuiti su Aventino e Puccini), 698 tonnellate di rifornimenti (di cui 120 di munizioni, il tutto sul KT 1), dodici pezzi da 88 mm con le relative dotazioni, 32 veicoli e quattro carri armati.
Il convoglio «H» non è l’unico in mare quella notte: altri tre convogli si trovano in navigazione nel Canale di Sicilia. Il «B», con cinque mercantili (piroscafi ArlesianaAchille LauroCampaniaMenes e Lisboa) e cinque navi scorta (le torpediniere SirioGroppoOrionePallade ed Uragano) è diretto da Napoli verso la Tunisia, il «C» con tre trasporti (piroscafi Chisone e Veloce e cisterna militare Devoli) e quattro torpediniere per la scorta (LupoArdenteAretusa e Sagittario) procede da Napoli verso Tripoli, ed il «G» (nave cisterna Giorgio scortata dal cacciatorpediniere Lampo e dalla torpediniera Climene) è in rotta da Palermo a Tunisi. I convogli «G» e «H», partiti a poca distanza temporale l’uno dall’altro, rimaranno in contatto per buona parte della traversata del Canale di Sicilia.
I comandi britannici sono a conoscenza di questi movimenti, e si sono preparati a contrastarli: se fino a questo momento il traffico con la Tunisia non è stato granché disturbato – perché gli Alleati hanno preferito concentrarsi sulla distruzione degli ultimi convogli diretti in Libia e necessitavano di tempo per riorganizzare le loro forze nel Nordafrica francese appena occupato –, la situazione è ora giunta ad una svolta. A Bona, in Algeria, è stata costituita una forza navale leggera incaricata, come la Forza K aveva fatto un anno prima, di compiere scorrerie ai danni dei convogli italiani: la Forza Q. Questa formazione è composta da tre incrociatori leggeri, l’Aurora (nave di bandiera del viceammiraglio Cecil Halliday Jepson Harcourt) che proprio della Forza K è un reduce (il suo comandante, capitano di vascello William Gladstone Agnew, era stato il comandante della Forza K nel 1941), il Sirius (capitano di vascello Patrick William Beresford Brooking) e l’Argonaut (capitano di vascello Eric William Longley Longley-Cook), e da due cacciatorpediniere, il Quiberon (della Marina australiana, al comando del capitano di fregata Hugh Walters Shelley Browning) ed il Quentin (capitano di corvetta Allan Herbert Percy Noble).
Nel pomeriggio del 1° dicembre si susseguono gli avvistamenti dei convogli italiani da parte dei ricognitori britannici: dapprima il «B», alle 14.40, indi il «C», alle 15, poi il «G» un quarto d’ora dopo. L’unico convoglio a non essere ancora stato avvistato al momento della partenza della Forza Q – le 17.30; per altra fonte, le 17.05 o le 19 – è proprio quello che ne cadrà vittima, l’«H»: esso viene difatti avvistato solo alle 20.15.
Ad ogni modo, i britannici dispongono di mezzi anche migliori per sapere se e quali convogli italiani siano in mare: già il 29 novembre “ULTRA” ha decrittato messaggi italiani che rivelano che PucciniAventinoKT 1Giorgio ed Anna Maria Gualdi (quest’ultimo rimasto poi in porto per avaria) dovevano partire da Palermo alle 6.30 del 1° dicembre, i primi tre diretti a Biserta e gli ultimi due a Tunisi, dopo che la loro partenza era stata ritardata di 24 ore; e che al largo di Trapani si sarebbe unito a loro l’Aspromonte, dopo di che avrebbero imboccato il canale di Sicilia alla velocità di 9 nodi. Nel riferire tali informazioni ai comandi delle forze britanniche nel Mediterraneo, l’Operational Intelligence Centre dell’Ammiragliato britannico ha anche suggerito quale strumento sarebbe più idoneo per l’intercettazione del convoglio: la Forza Q. Il 1° dicembre “ULTRA” ha poi fatto avere ai comandi britannici maggiori particolari sui convogli «G» e «H».
Dopo aver lasciato Bona, le navi di Harcourt assumono la velocità di 27 nodi, dirigendo verso il banco di Skerki, presso la costa tunisina: lì dovranno passare i convogli diretti in Tunisia. Basandosi sulle informazioni che aveva a disposizione, Harcourt pensa di poter intercettare i convogli «G» e «H», che devono navigare piuttosto vicini; quindi predispone la navigazione in modo da raggiungerli ed attaccarli di sorpresa verso mezzanotte, con l’ausilio del radar.
Anche Supermarina ha contezza, almeno in parte, degli avvenimenti in corso: sin dal 30 novembre (quando i convogli «B» e «C» sono stati avvistati a sudovest di Napoli, verso le 23), tutti i segnali di scoperta dei ricognitori britannici sono stati intercettati; e com’è pratica comune, una volta decifrati Supermarina li ha ritrasmessi all’aria, così che i convogli in mare sappiano di essere stati avvistati, e dunque possano prendere i provvedimenti del caso.
La sera del 30 novembre, inoltre, ricognitori dell’Asse hanno avvistato forze leggere avversarie nel porto di Bona. Supermarina, intuendo correttamente che tali forze sono destinate all’impiego contro i convogli (si valuta che la distanza tra Bona e l’area di passaggio dei convogli «B» e «H» nella notte tra l’1 ed il 2 dicembre sarebbe percorribile in sei ore, se le navi britanniche mantenessero una velocità attorno ai 30 nodi), chiede che al tramonto del 1° dicembre venga effettuata una nuova ricognizione sul porto di Bona.
Un aereo della Luftwaffe, accompagnato da un velivolo della Regia Aeronautica, viene infatti inviato, ma nessuno dei due fa ritorno. Dopo insistenti richieste di Supermarina, l’Ufficio di collegamento con il Comando in Capo delle forze tedesche in Italia, Maricolleg Frascati, riferisce del mancato rientro dei due aerei, spiegando che probabilmente sono stati entrambi abbattuti.
L’arrivo dei rifornimenti trasportati dai quattro convogli atteso con grande urgenza, e non è pensabile di rimandare l’operazione soltanto perché sono state avvistate in porto forze navali nemiche. Nel Canale di Sicilia, in quel momento, si trova in navigazione la X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleAscari) che ha appena ultimato una missione di posa di mine; essendo il convoglio «H» più veloce e dotato di scorta più potente del convoglio «B», ed in considerazione del fatto che alla mezzanotte del 1° dicembre il convoglio «H» dovrebbe già godere della “protezione” dei bassi fondali del banco Keith (situato sei miglia a nord del banco Skerki, presenta scogli affioranti e fondali che in alcuni punti non superano i 7-8 metri) e dei tratti già posati dello sbarramento di mine in corso di realizzazione, Supermarina decide alle 19.35 di inviare i tre cacciatorpediniere a rinforzare la scorta del convoglio «B» e non quella del convoglio «H».
Alle 22.40, un altro aereo della Luftwaffe avvista per caso a nord di Biserta un gruppo di cinque navi da guerra di medio tonnellaggio e tipologia imprecisata, aventi rotta stimata 90° (sbaglia di poco, quella reale è 104°) ed alta velocità, in posizione poi rivelatasi quasi esatta: si tratta della Forza Q. La radio dell’aereo è però in avaria, così che l’avvistamento può essere riferito a Supermarina (mediante comunicazione telefonica di Superareo, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica) soltanto dopo l’atterraggio, alle 23.30. Poco dopo, Supermarina viene informata anche dell’intercettazione di un messaggio diretto ai bengalieri britannici con la richiesta di smettere di illuminare il convoglio: altro segno che il nemico è vicino. Alle 23.40 viene lanciato ai convogli il segnale di scoperta di questa forza navale. 
Supermarina, intanto, valuta l’evolversi della situazione: il convoglio «C», unico diretto a Tripoli anziché in Tunisia, è troppo lontano dalla posizione della forza avvistata perché questa costituisca un pericolo (infatti ad attaccarlo saranno inviati aerei e la Forza K da Malta); quanto al convoglio «G», esso non può più essere minacciato, perché la minaccia nei suoi confronti si è già manifestata con successo: alle 21.56, la Giorgio è stata colpita ed incendiata da un aerosilurante. In quel momento la Climene la sta rimorchiando verso Trapani. 
I convogli a rischio sono quindi il «B» e l’«H», e specialmente quest’ultimo, dato che si trova in posizione più avanzata, e la sua rotta lo porterebbe con maggior probabilità ad incontrare le navi britanniche. L’ora a cui questo avverrebbe viene stimata, con notevole precisione, tra le 00.10 e le 00.30 del 2 dicembre. Si pondera la possibilità di far tornare indietro i due convogli: per il «B» è possibile, anche se non viene ordinato, preferendo lasciare che sia il caposcorta a decidere (avendo ricevuto il segnale di scoperta delle 23.40 ed un altro inviato dal Da Recco alle 00.30, ha abbastanza elementi per poter decidere: e infatti decide a mezzanotte di tornare indietro, dirigendo prima per Palermo e poi per Trapani); per l’«H», invece, sembra già troppo tardi. Gli ordini di dirottamento dei convogli vengono di solito eseguiti solo 30-45 minuti dopo essere stati impartiti, a causa dei tempi necessari alla trasmissione e ricezione degli ordini, ed all’esecuzione delle manovre; di conseguenza, un ordine che il convoglio «H» invertisse la rotta farebbe sì che la Forza Q lo raggiunga proprio mentre è in corso la manovra di inversione della rotta, proprio in un momento di massimo disordine, in cui il convoglio sarebbe preda più facile. Dovendo rischiare in ogni caso, si preferisce che il convoglio prosegua almeno in formazione corretta e quindi non vengono ordinati cambiamenti di rotta.
La formazione è così articolata: i mercantili procedono su due colonne parallele, formando i quattro vertici di un quadrato di lato 800 metri; la colonna di dritta è costituita da Puccini (in testa) e KT 1 (in coda), quella di sinistra da Aventino (in testa) ed Aspromonte (in coda). Sui lati, alla stessa altezza dei mercantili di coda ed a 1500 metri di distanza da essi, ci sono sulla dritta il Camicia Nera e sulla sinistra la Clio; a proravia dritta della Puccini, a 1700 metri di distanza, si trova la Procione, ed a proravia sinistra dell’Aventino, ad eguale distanza, il Da Recco, che precede quindi la Clio di 1600 metri (Procione e Da Recco procedono in testa al convoglio per difesa antisommergibili, perché dotati di ecogoniometro). Il Folgore procede in coda al convoglio, a mille metri a poppavia di Aspromonte e KT 1, equidistante dalle due navi. La velocità del convoglio è di dieci nodi, la rotta di 245° (sudest).
Prima di salpare, il caposcorta Cocchia ha diramato un ordine d’operazione che prevede che in caso di attacco da parte di navi nemiche la scorta le attaccherà, impegnandole a fondo e coprendo con cortine nebbiogene i mercantili, che dovranno allontanarsi più rapidamente possibile; sono esentati dal contrattacco il Folgore e la Clio, che dovranno invece restare assieme ai trasporti («Le siluranti di scorta attaccheranno il nemico impegnandolo a fondo e coprendo il convoglio con nebbia. Le unità mercantili assumeranno, anche senza ordini, la rotta di più rapido allontanamento cercando di coprirsi con nebbia. FOLGORE e CLIO resteranno col convoglio»). Il 30 novembre, inoltre, Cocchia ha convocato in riunione a bordo del Da Recco i comandanti e gli ufficiali radio di tutte le navi del convoglio, mercantili e militari (nessuno dei comandanti delle siluranti ha precedentemente navigato in convoglio con Cocchia), impartendo ulteriori disposizioni sul da farsi in caso di minaccia aerea o di sommergibili, sulle formazioni da assumere e sui segnali da scambiare, e precisando che dopo mezzanotte le siluranti dovranno essere pronte a sviluppare la massima velocità e che in caso di avvistamento di navi di superficie nemiche ProcioneDa Recco e Camicia Nera dovranno andare all’attacco immediatamente, senza aspettare ordini (in quanto il caposcorta avrebbe anche potuto essere colpito per primo od avere problemi di comunicazione) e combattendo ad oltranza, mentre i mercantili dovranno subito assumere la rotta di allontanamento più rapida, scortati da Clio e Folgore ed occultati dalle cortine fumogene delle torpediniere. Le disposizioni del caposcorta, impartite a voce, sono state poi messe anche per iscritto.
Quando scende il buio della sera, l’orizzonte è coperto da un po’ di foschia, e la luna è nascosta da fitti banchi di nuvole. Il mare è calmo.
Poco dopo le otto di sera del 1° dicembre compaiono i primi aerei avversari, che per le quattro ore successive continuano a sorvolare il convoglio illuminandolo, ma senza portare a fondo i loro attacchi. Nel frattempo, a scopo difensivo, la distanza tra le colonne dei mercantili è stata raddoppiata, mentre quella tra i mercantili e le navi scorta è stata ridotta, così che queste ultime possano più agevolmente coprire i trasporti con cortine di nebbia.
Già dalle 20 il Folgore informa il caposcorta della presenza in zona di alcuni radar (rilevati dal suo apparato «Metox»), appartenenti agli aerei nemici. Le navi della scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, e dalle 20.30 iniziano a piovere i primi bengala. Da lì in poi la luminaria non si spegne più, fin dopo mezzanotte; bengala continuano ad accendersi anche a gruppi di 4-5-6 ai lati del convoglio, mentre il Folgore continua a rilevare le emissioni di numerosi radar attorno ad esso.
Anche un sommergibile tenta di attaccare il convoglio, della cui presenza è stato informato: il Seraph (tenente di vascello Norman Limbury Auchinleck Jewell) avvista le navi italiane alle 21.55 e si avvicina per attaccare, ma alle 23.39 uno dei bengala che vengono continuamente lanciati da aerei alleati cade proprio dietro il sommergibile; vedendo uno dei cacciatorpediniere della scorta avvicinarsi ad alta velocità, Jewell crede d’essere stato avvistato e s’immerge alle 23.43. Il cacciatorpediniere passa nei suoi pressi, poi si riunisce al convoglio.
Alle 23.01 il Da Recco riceve un messaggio di Supermarina con le disposizioni per il pilotaggio che le torpediniere della scorta dovranno effettuare nelle vicinanze del porto di destinazione. Alle 23.30, sulla base di un messaggio di Supermarina che ordina di mandare una torpediniera ad effettuare dragaggio a proravia del convoglio, il caposcorta Cocchia destina la Procione a questo compito, ordinandole di portarsi "bene di prora".
Alle 23.40 il caposcorta Cocchia riceve il segnale di scoperta della Forza Q trasmesso da Supermarina.
2 dicembre 1942
Alle 00.01 Cocchia chiede ordini a Supermarina, ma subito dopo decide autonomamente di far spostare il con voglio di tre miglia verso sud; non di più, perché sa che in zona ci sono vasti campi minati, ma non ne conosce la precisa ubicazione. A tale scopo, alle 00.05 ordina a tutte le navi di accostare di 90° a un tempo sulla sinistra (così assumendo rotta 150°, verso sud-sud-est); poi, alle 00.17, dà ordine di accostare a un tempo sulla dritta per riassumere la rotta 245°.
Questi ordini, tuttavia (insieme a quello alla Procione di portarsi a proravia del convoglio), hanno l’involontario effetto di scompaginare la formazione del convoglio: la Puccini non riceve il secondo ordine (delle 00.17) a causa della sua radio malfunzionante, e prosegue sulla sua rotta, speronando l’Aspromonte; nessuna delle due navi riporta danni gravi, ma entrambe si fermano e rimangono indietro, la Puccini traversata rispetto alla rotta 245°, l’Aspromonte scaduto a sudest del convoglio. Per giunta il KT 1, che è sprovvisto di radio ed ha l’ordine di seguire la Puccini ed imitarla nelle manovre, viene perso di vista dopo le 00.05: perde il contatto col convoglio e, non sapendo cosa fare, prosegue da solo nella notte.
Nel frattempo, a mezzanotte, il Seraph è riemerso. Alle 00.07, in posizione 37°42' N e 11°03' E, il sommergibile lancia tre siluri da 4570 metri, dai tubi prodieri, contro il mercantile di testa; Jewell avrebbe voluto lanciarne sei, ma vede che i primi due hanno cOrsa irregolare e decide quindi di interrompere la salva.
I siluri non vanno a segno, anche se le navi del convoglio avvertono due esplosioni subacquee poco prima della collisione tra Aspromonte e Puccini: a bordo si crede si tratti di bombe. 
Limbury s’immerge per sfuggire alla reazione della scorta; quando più tardi riemergerà, vedrà una nave in fiamme e crederà di aver colpito, senza sapere che in realtà la Forza Q è già passata all’attacco.
Dopo la collisione, il Folgore si avvicina alla Puccini per segnalarle la rotta da assumere, mentre la Clio viene inviata ad assistere l’Aspromonte, il cui comandante ha comunicato di poter proseguire la navigazione (Aldo Cocchia, nelle sue memorie, afferma invece di aver ordinato alla Clio di assistere in particolare la Puccini, essendo questa rimasta danneggiata nella collisione, ma sembra probabile un errore); le quattro navi formano un unico gruppetto piuttosto compatto, a proravia del quale, a circa 6 km di distanza, si trova il Da Recco. Alle 00.34 l’Aspromonte comunica alla Clio di poter proseguire, ed un minuto dopo la torpediniera si viene a trovare sulla sinistra ed a poppavia dell’Aventino, che forma la colonna sinistra del convoglio, con rotta 245°. L’Aventino – unico mercantile ad aver eseguito correttamente e senza incidenti la manovra –, per l’appunto, segue il Da Recco a meno di un chilometro; la Procione, che sta per mettere a mare i paramine (divergenti), si trova in quel momento circa 2000-3000 metri a proravia del Da Recco, verso nordovest. Il Camicia Nera è a metà strada tra l’Aventino ed il grosso del convoglio, mentre il KT 1 si trova circa 3,5 miglia a nordovest del Da Recco. (Secondo fonti britanniche, il Da Recco, che procedeva su rotta ovest-sud-ovest, si trovava alla testa di una sorta di malridotta “colonna” composta da Aventino, Aspromonte e Clio, mentre Puccini e Folgore lo seguivano in linea di fronte a circa 6 km di distanza, in linea di fronte, con rotta sud-sud-ovest. Quando la Forza Q attaccò, con rotta 45°, il Da Recco si trovava al suo traverso ma in posizione più arretrata rispetto alla Procione, seguito a breve distanza da Aventino, Clio ed Aspromonte, tutti con rotta 45°, mentre Folgore e Puccini erano un po’ più indietro, con rotta 190° circa).
E proprio in questo momento di confusione, confermando le peggiori previsioni di Supermarina, arriva la Forza Q. Le navi britanniche procedono in linea di fila a 20 nodi: nell’ordine l’Aurora, il Sirius, l’Argonaut, il Quiberon e per ultimo il Quentin.
Alle 00.21 il radar dell’Aurora rileva le navi del convoglio «H», mentre alle 00.30 il Da Recco chiede ordini a Supermarina in base all’avvistamento delle 22.40. Solo a questo punto Supermarina si rende conto che il convoglio è in ritardo rispetto alle sue stime, ma ormai è tardi per fare qualcosa. Il Folgore rileva col suo «Metox» le emissioni del radar dell’Aurora.
Il KT 1, procedendo da solo nell’oscurità, finisce con l’imbattersi per primo proprio nella Forza Q: alle 00.37 l’Aurora ed il Sirius aprono il fuoco da soli 1700 metri contro la piccola nave tedesca, che viene subito colpita ed affonda nel giro di tre minuti, senza sopravvissuti.
La Forza Q dà poi inizio ad una lenta accostata sulla dritta, passando di poppa al KT 1 in affondamento, dopo di che (tra le 00.45 e le 00.50) intraprende un’ancor più lenta accostata sulla sinistra ed all’1.04 assume rotta per nordest, avvolgendo l’intero convoglio da sud.
Alle 00.38, subito dopo che la Forza Q ha aperto il fuoco contro il KT 1, il caposcorta Cocchia trasmette via radio ad oltrecorte a tutte le sue unità l’ordine: «Andate all’attacco»; l’ordine non è più rivolto solo a Procione e Camicia Nera (oltre che al Da Recco stesso), ma anche a Folgore e Clio: la forza attaccante è infatti di entità tale che si rende necessario impiegare tutte le siluranti a disposizione per il contrattacco. Ai mercantili, contestualmente, Cocchia ordina di invertire la rotta verso nord.
La Forza Q, con percorso curvilineo, “avvolge” progressivamente tutto il convoglio (eccetto Procione e Da Recco), vomitando ferro e fuoco contro ogni nave che incontra.
Dopo il KT 1, primo ad essere affondato è l’Aventino: cannoneggiato dall’Aurora e dall’Argonaut e silurato da quest’ultimo o dal Sirius, affonda alle 00.55, trascinando con sé quasi un migliaio di uomini. 
La Procione, che ha ricevuto l’ordine di contrattacco alle 00.40, perde parecchio tempo per tagliare i cavi dei paramine, e quando alle 00.53 manovra per andare all’attacco silurante viene ripetutamente colpita, subendo seri danni che la costringono a ritirarsi (arrancherà poi faticosamente fino a La Goletta).
Il Camicia Nera compie due attacchi siluranti alle 00.43 ed alle 00.45, senza successo, venendo infruttuosamente cannoneggiato all’1.07 per poi ripiegare all’1.14.
La Puccini, cannoneggiata da tutte e cinque le navi della Forza Q, viene immobilizzata all’1.08 ed abbandonata dall’equipaggio e dalle truppe imbarcate, che periscono in mare a centinaia. Rimasta a galla benché divorata dagli incendi, verrà finita il giorno seguente dal Camicia Nera, nell’impossibilità di rimorchiarla.
Il Folgore, andato al contrattacco col cannone e col siluro, viene centrato ripetutamente dal tiro britannico; mortalmente colpito, si capovolge ed affonda all’1.16, portando con sé il suo comandante ed oltre metà dell’equipaggio.
L’Aspromonte, che in un primo momento sembrava essere riuscito a sottrarsi al massacro, viene poi raggiunto, cannoneggiato dall’Aurora ed affondato all’1.29.
Il Da Recco, andato con decisione al contrattacco, viene individuato e cannoneggiato all’1.35 dal Sirius, dal Quiberon e dal Quentin: il suo deposito munizioni prodiero deflagra, devastando la nave ed uccidendo od ustionando più di metà dell’equipaggio. Nonostante i danni tremendi, la nave non affonda.
L’insieme della battaglia è efficacemente tratteggiato dal comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, nelle sue memorie, "A Sailor’s Odyssey": “…per il nemico fu un olocausto. Ingaggiati a ridotta distanza, quatro trasporti e tre cacciatorpediniere vennero affondati od incendiati. Era una scena agghiacciante di navi che esplodevano e s’incendiavano tra nubi di fumo e vapore; di uomini che si gettavano in mare mentre le loro navi affondavano; e di automezzi trasportati sul ponte che scivolavano e cadevano in mare quando le navi si capovolgevano”.
Quanto alla Clio, che alle 00.37 – momento dell’apertura del fuoco da parte della Forza Q – si trovava a poppavia sinistra dell’Aventino, e non appena avvista le vampe del tiro avversario riceve ordine di invertire la rotta insieme al convoglio, che esegue alle 00.40 accostando sulla sinistra ed iniziando ad emettere una cortina fumogena per coprire Aventino e Puccini, unici mercantili in vista, dato che l’Aspromonte ha invertito la rotta dal lato opposto e si è dileguato nell’oscurità. Il comandante Asaro decide di non eseguire l’ordine generale di attacco, ricevuto alle 00.40, attenendosi invece alla precedente disposizione di rimanere insieme ai mercantili; in merito la storia ufficiale dell’USMM commenta solo “Egli non dà spiegazioni di questa sua decisione, ma forse – data la posizione della Clio rispetto ai piroscafi – stimò utile preoccuparsi di mascherarli”. La torpediniera si mantiene dunque in vista di Aventino e Puccini, cambiando a più riprese rotta e velocità ed emettendo cortine fumogene; dalla sua posizione assiste al combattimento tra il resto della scorta e la Forza Q, “con largo impiego di tiro illuminante e di tiro battente incrociatisi in diverse direzioni”.
(Questa è la versione riportata dalla storia ufficiale dell’USMM; secondo lo storico Giorgio Giorgerini, dopo alcuni secondi il Da Recco avrebbe reiterato l’ordine dirigendolo specificamente a Folgore e Clio. Nelle sue memorie, tuttavia, il caposcorta Cocchia afferma invece di aver ordinato anche al Folgore di andare all’attacco, essendo l’unità della scorta meglio posizionata per un attacco silurante, ma di aver lasciato la Clio con i mercantili, cui aveva ordinato di invertire la rotta ed allontanarsi alla massima velocità: se ciò fosse vero la Clio rimase con il convoglio per ordine espresso del caposcorta e non, come riportato nella storia ufficiale dell’USMM, per decisione del suo comandante, in difformità con gli ordini ricevuti al momento dell’attacco. La versione di Cocchia sembra essere avvalorata anche dalla relazione sulla distruzione del convoglio dell’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, il quale criticò la Clio proprio perché sarebbe dovuta restare con il convoglio ed invece, per iniziativa del suo comandante, sarebbe andata alla ricerca del nemico, non riuscendo poi a ritrovare i mercantili quando alle 00.38 giunse l’ordine per ultracorte di Cocchia "Invertite immediatamente la rotta. Fate nebbia". Alla luce di ciò, però, non si capisce perché l’USMM, nel compilare il proprio volume "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", avrebbe tratteggiato uno scenario opposto, in cui la Clio avrebbe ricevuto ordine di attaccare, contrariamente alla precedente disposizione di rimanere con il convoglio, ed invece l’avrebbe ignorato per attenersi agli ordini precedenti).
Alle 00.47 la Clio viene cannoneggiata da due miglia di distanza dal Sirius, che l’ha avvistata a proravia sinistra insieme al Folgore; da parte sua, il comandante Asaro nota l’accensione dei proiettori da parte di una nave sconosciuta alle 00.48, chiede per radio al Da Recco se si tratti di una nave nemica e si sente rispondere dal Camicia Nera che lo è. Di conseguenza, la Clio spara due salve con i cannoni poppieri contro il proiettore, che rimane acceso per pochi secondi, da una distanza stimata di 4500 metri (in realtà sono circa 5500). Poco più tardi avvista verso poppa una nave che procede ad altissima velocità verso sudest, con incendio sotto il fumaiolo: è il Folgore; poco dopo viene avvistato in lontananza sulla sinistra, sotto la luce dei proiettili illuminanti, anche l’Aspromonte, investito in pieno dal tiro britannico. La Clio seguita a coprire Aventino e Puccini con cortine fumogene, cambiando continuamente rotta e velocità. (Alle 00.40 l’Aurora sparò contro un cacciatorpediniere avvistato a nordest a 4000 metri di distanza, vicino ad un mercantile: in quella direzione non risultava trovarsi nessuna unità italiana, ragion per cui l’USMM ritiene che il comandante dell’Aurora avesse preso un abbaglio; Francesco Mattesini prospetta anche la possibilità che la direzione indicata dall’Aurora nel suo rapporto fosse errata e che le navi cannoneggiate in questo frangente fossero Clio e Puccini).
Alle 00.55 il Quiberon avvista la Clio al traverso a sinistra ed esce dalla formazione per attaccarla, avendola correttamente identificata come un’unità tipo "Sirio" (avendola vista emergere da una cortina fumogena, il comandante del Quiberon ritiene che stia accostando per lanciare dei siluri), aprendo il fuoco su di essa da 4600 metri di distanza e proseguendo il tiro per due minuti. La Clio, che avvista il Quiberon di poppa a 4500 metri di distanza, accosta a dritta e risponde al fuoco, inquadrando il Quiberon ma senza colpirlo, ed alle 00.59 accosta per allontanarsi, coprendosi con una cortina nebbiogena. All’1.01 il Quiberon crede erroneamente di avvistare due MAS sulla sinistra ed accosta immediatamente per sud per sventare la possibilità di un loro attacco con i siluri, finendo così con il perdere il contatto con la Clio; rientra allora in formazione all’1.07, ritenendo a torto di aver messo numerosi colpi a segno sulla nave italiana, che in realtà è rimasta indenne (da parte sua, l’equipaggio del Quiberon vede alcune salve della Clio cadere a poca distanza, di poppa ed a dritta della nave). (Nella sua già citata relazione l’ammiraglio Gasparri giudicherà quest’azione a fuoco come ininfluente sulla difesa del convoglio ed anzi “del tutto negativa”. Gasparri addurrà però come attenuante il fatto che il tenente di vascello Asaro non fosse preparato per esercitare il comando in una situazione del genere, essendosi trovato a dover svolgere provvisoriamente tale ruolo a causa della malattia del comandante titolare).
A partire dall’1.21 tutti e tre gli incrociatori, che hanno portato la velocità a 27 nodi, sparano sulla Clio (scambiata per il Folgore, che in realtà è già affondato), che si ritrova improvvisamente inquadrata da tiro illuminante e subito dopo battente di navi che non riesce a vedere; le salve nemiche cadono dapprima corte, poi diventano ben centrate, cadendo lungo i fianchi della Clio a pochi metri di distanza, tanto da investirla con le loro schegge, che non causano danni di rilievo. Aumentata la velocità, la torpediniera inizia il serpeggiamento; non riuscendo a vedere l’avversario interrompe l’emissione di nebbia artificiale, il che le permette di avvistare le vampe dei cannoni nemici verso poppa, e di aprire il fuoco contro le unità britanniche da 4500 metri di distanza (secondo una versione, ritenendo erroneamente di aver messo vari colpi a segno sull’Argonaut). Subito dopo l’apertura del fuoco da parte della Clio, il Da Recco la contatta chiedendole se stia sparando e poi su quale rilevamento; Asaro risponde affermativamente e comunica che il rilevamento è 280°, essendo in quel momento la sua rotta 100°.
L’azione di fuoco degli incrociatori della Forza Q contro la Clio si protrae per almeno sei minuti, senza mettere a segno alcun colpo, sebbene i britannici abbiano l’erronea impressione di averla centrata e fatta saltare in aria; la torpediniera segnala al Camicia Nera di essere sotto attacco. All’1.25 (o 1.26) il Sirius spara contro un presunto cacciatorpediniere a proravia sinistra; a proravia della Forza Q in quel momento c’è la Clio, ma si trova a dritta, non a sinistra. Sulla condotta della Clio, erroneamente scambiata per il Folgore, in questo frangente il comandante dell’Argonaut scriverà nel suo rapporto che “Preminentemente valorosa fu la condotta dell’ultimo cacciatorpediniere (…) il quale alle 1.20 circa in poi, nonostante fosse sotto il fuoco di tre incrociatori, continuava a sparare contro l’Argonaut”. Anche il Da Recco, intento in questo momento nella sua manovra di attacco poi sfociata in disastro, osserva a 4000 metri di distanza quattro incrociatori che sparano molto intensamente e da ridotta distanza contro una nave che risponde piuttosto vivacemente, scontro osservato anche dal Camicia Nera; Cocchia ritiene anch’egli che si tratti del Folgore, in realtà già affondato, mentre la nave sotto attacco è proprio la Clio.
All’1.26 le navi britanniche accostano per ovest-sud-ovest (a sinistra) per rientrare alla base, passando a nord della zona del combattimento; completata la propria opera di distruzione, la Forza Q si allontana dal luogo dello scontro, assumendo rotta per Bona. Le navi britanniche non hanno subito alcun danno nel combattimento; durante la navigazione di rientro, invece, subiranno la perdita del Quentin, affondato da bombardieri tedeschi.
Insieme al Camicia Nera, la Clio è l’unica unità del convoglio «H» ad essere uscita indenne dal massacro notturno, che passerà alla storia come scontro del banco di Skerki. Le perdite umane nello scontro, da parte italo-tedesca, sono terribili: in tutto perdono la vita 2200 uomini, ossia 1527 dei 1766 soldati imbarcati su Aventino e Puccini, 124 uomini del Folgore, 118 uomini del Da Recco, 41 militari dell’Aspromonte (iscritto nei ruoli del naviglio ausiliario dello Stato), tre della Procione e circa 400 tra marittimi civili o militarizzati dei mercantili e personale tedesco del KT 1. Tra tutte le battaglie navali combattute nel Mediterraneo durante il conflitto, solo quella di Capo Matapan risulta più sanguinosa.
Notata la cessazione del fuoco da parte della nave contro cui stava sparando (l’Argonaut), seguita dallo spegnimento degli illuminanti, la Clio cessa il fuoco a sua volta all’1.34, non vedendo più le vampe. Nel breve scontro ha sparato quattro salve con i pezzi poppieri, ed ha perso di vista sia l’Aventino, che intanto è stato affondato, sia la Puccini: si mette dunque alla loro ricerca con rotte e velocità varie, illuminata di quando in quando da bengala di aerei che la seguono, senza successo; alle quattro del mattino avvista invece l’immobilizzata nave cisterna Giorgio, del convoglio «G». La petroliera danneggiata, dopo lo spegnimento dell’incendio, è stata evacuata ed abbandonata dalla deriva dalle due unità di scorta, che hanno deciso di ritornare sul posto per riprendere il rimorchio a giorno fatto, essendo troppo lungo e complicato tentare l’operazione durante la notte, con la Climene che doveva prima smontare le sistemazioni dei paramine; la Clio, insieme a due MAS poi sopraggiunti, rimane presso la nave abbandonata ed alle 6.15 viene raggiunta da Lampo e Climene. Il Lampo (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti) ordina alla Clio di assumere insieme ad esso la scorta della Giorgio, che viene presa a rimorchio dalla Climene (tenente di vascello Mario Colussi); alle 7.30 il Lampo, ricevuta una richiesta di soccorso da parte del danneggiato Da Recco, decide di andare in aiuto di quest’ultimo, lasciando la Clio ed i due MAS a scortare Giorgio e Climene.
Alle 9.15, a poca distanza dalla costa, la Climene passa il rimorchio al rimorchiatore Liguria, proveniente da Trapani, ma la Giorgio non è in grado di proseguire fino a Trapani, e viene allora portata ad incagliare presso Punta Troia per scongiurarne l’affondamento. La Clio riceve dalla Climene ordine di andare a Trapani, ma durante la navigazione verso quel porto s’imbatte nel Da Recco, che è a rimorchio del gemello Antonio Pigafetta (capitano di vascello Rodolfo Del Minio) e scortato dal Lampo, e verso le 15 si aggrega alla sua scorta. Il piccolo convoglio entra a Trapani verso le 18.
13 dicembre 1942
Nel pomeriggio la Clio viene inviata a soccorrere il piroscafo tedesco Macedonia, silurato dal sommergibile britannico Umbra alle 15.30 nel Golfo di Hammamet, a quattro miglia da Susa. La torpediniera prende a rimorchio il piroscafo danneggiato, che è sensibilmente appruato e sbandato sulla dritta, ma un miglio e mezzo a nord di Susa il Macedonia affonda, adagiando la prua sui fondali di dodici metri e lasciando la poppa emergente.
19 dicembre 1942
La Clio ed i cacciatorpediniere Lampo, Geniere (caposcorta) e Vincenzo Gioberti partono da Palermo alle due di notte per scortare in Tunisia un convoglio formato dalle moderne motonavi CalinoMario Roselli ed Alfredo Oriani.
Durante la navigazione, il convoglio si divide:  ClioLampoCalino ed Oriani fanno rotta per Tunisi, ove arrivano alle 18 (o 18.30), mentre GiobertiGeniere e Roselli dirigono per Biserta, dove giungono alle 17.25.

Un’altra foto scattata a bordo della Clio durante la guerra (da “Marinai in guerra” di Guido Alfano)

10 gennaio 1943
La Clio, le moderne torpediniere di scorta Ardente ed Ardito ed il cacciatorpediniere Camicia Nera (caposcorta) partono da Napoli alle 17 per scortare a Biserta le motonavi Manzoni, Alfredo Oriani e Mario Roselli.
Il convoglio, sorvolato continuamente da ricognitori nemici, non è però oggetto di attacchi aerei.
11 gennaio 1943
Alle 11.10 il convoglio viene infruttuosamente attaccato da un sommergibile (secondo alcune fonti si sarebbe trattato del britannico Umbra, ma l’attacco di quest’unità ebbe luogo alcune ore prima e fu diretto contro un singolo mercantile, scortato da due motovelieri requisiti) 70 miglia a nord di Biserta; alle 18 le navi raggiungono Biserta.
15 gennaio 1943
La Clio (tenente di vascello Carlo Brambilla) e le moderne torpediniere di scorta Groppo (caposcorta, capitano di corvetta Beniamino Farina) ed Uragano (capitano di corvetta Luigi Zamboni) partono da Napoli alle 17 per scortare a Biserta le motonavi Emma (italiana) ed Ankara (tedesca). L’arrivo a destinazione è previsto per le dieci del 16.
Alle 19.10 il convoglio, mentre procede con due torpediniere in testa seguite dai mercantili in linea di fila e con la terza torpediniera accanto al secondo mercantile, viene avvistato ad una decina di miglia da Ischia da una vedetta del sommergibile britannico P 228 (poi Splendid, tenente di vascello Ian Lachlan Mackay McGeogh). Al momento dell’avvistamento, il convoglio si trova a proravia dritta del P 228, che a sua volta è a 30° a proravia dritta dell’Emma (nave di testa della colonna dei mercantili, seguita dall’Ankara), identificata da McGeogh come un mercantile di 6000 tsl; due delle tre torpediniere di scorta (identificate dal comandante britannico come “cacciatorpediniere”) precedono l’Emma, la terza è vicino all’Ankara. Ci sono vento e mare molto grosso da ponente-maestro.
Rimanendo in superficie, il P 228 si avvicina al convoglio ed alle 19.27 lancia cinque siluri da 1830 metri, per poi immergersi.
Tra le 19.40 e le 19.45 l’Emma viene colpita da un siluro nella stiva subito a poppavia della sala macchine, rimanendo immobilizzata nel punto 40°25' N e 13°56' E (o 40°37' N e 13°47' E; una quindicina di miglia a nordovest di Capri ed una decina di miglia a sud/sudovest di Ischia); le unità della scorta contrattaccano con alcune bombe di profondità (nessuna delle quali esplode vicino al sommergibile), poi Groppo e Clio danno assistenza alla motonave danneggiata, senza notare che il battello nemico è emerso per ricaricare le batterie. L’Uragano viene fatta proseguire con l’Ankara, per ordine del caposcorta Farina (giungerà a Palermo alle 10 del 16).
Il P 228, che ha sentito l’esplosione del siluro andato a segno, rileva il lancio di alcune bombe di profondità, che però non esplodono vicine; dopo essersi allontanato per mezz’ora, torna in superficie ed osserva l’Emma ferma con Clio e Groppo che le prestano assistenza. Avendo il motore di dritta fuori uso, il sommergibile ricarica le batterie con quello di sinistra, tenendo in vista la motonave. Alle 20.37, con l’apparire della luna da dietro le nuvole, il P 228 torna ad immergersi; McGeogh vuole finire la sua preda, ma dopo un’ora la distanza è ancora superiore a 2700 metri, e la notte diventa più buia, tanto che perde di vista le navi italiane. Alle 21.50, pertanto, il sommergibile torna in superficie per cercare l’Emma; una volta che l’ha avvistata, torna ad immergersi e continua ad avvicinarsi. Al calare della distanza, una delle torpediniere rileva il sommergibile al sonar, ma quando inizia ad accelerare perde nuovamente il contatto. Alle 23.50 il P 228 lancia l’ultimo siluro rimasto nei tubi di prua da 2300 metri, ma l’arma manca il bersaglio. Si allontana allora dal luogo dell’attacco, per ricaricare i tubi lanciasiluri e le batterie.
Clio e Groppo cercando di prendere a rimorchio il mercantile danneggiato, ma invano; il mare mosso da Maestrale sbatte violentemente la Clio contro l’Emma durante il tentativo, da parte della prima, di fornire aiuto, arrecandole seri danni all’opera morta e costringendola a rientrare a Napoli alle tre di notte del 16.
Tutti i tentativi di rimorchio saranno vani; l’indomani mattina l’Emma verrà silurata di nuovo dal P 228 ed affonderà esplodendo, lasciando solo sette superstiti su circa 350 uomini presenti a bordo.
31 gennaio 1943
La Clio parte da Napoli alle 4.30 insieme al cacciatorpediniere Saetta ed alle torpediniere SirioMonsone ed Uragano, per scortare a Biserta, via Palermo, le moderne motonavi da carico ManzoniMario Roselli ed Alfredo Oriani.
Qualche ora dopo la partenza il convoglio viene infruttuosamente attaccato con lancio di siluri, a nordovest della Sicilia, da un sommergibile (che alcuni siti identificano con il britannico Turbulent, che però non risulta in realtà aver condotto alcun attacco in questa data).
1° febbraio 1943
Alle 17.45 le navi giungono a Palermo, dove sostano fin dopo mezzanotte.
2 febbraio 1943
Alle 00.30 il convoglio riparte alla volta di Biserta, dove giunge alle 15.
3 febbraio 1943
Clio (tenente di vascello Carlo Brambilla), Monsone (capitano di corvetta Emanuele Filiberto Perucca Orfei), Uragano (capitano di corvetta Luigi Zamboni), Sirio (capitano di corvetta Sandro Cetti; a bordo il caposcorta e comandante della flottiglia torpediniere di scorta di Napoli, capitano di vascello Corrado Tagliamonte) e Saetta (capitano di corvetta Enea Picchio) lasciano Biserta alle 5.30 per scortare a Napoli, via Trapani, la grossa motonave cisterna Thorsheimer, che torna scarica in Italia.
Il cielo è sereno, con mare molto agitato per vento da Maestrale, e mediocre visibilità (poi peggiorato con mare forza 4-5 e poi 5 da nordovest, vento di Maestrale forza 6 e foschia); le unità del convoglio seguono inizialmente in linea di fila la Sirio a bassa velocità, poi accelerano sino a raggiungere la velocità prefissata per la traversata, quindi, alle 6.50 (al traverso dell’Isola dei Cani, circa dieci miglia a nordest di Biserta) si portano in formazione su file parallele distanziate di 300 metri, e fanno rotta verso nord. La Monsone procede in testa al convoglio, conducendo la navigazione, seguita di 1500 metri dalla Thorsheimer, protetta a dritta da Uragano e Saetta ed a sinistra da Sirio e Clio.
Alle 8.17 Monsone ed Uragano – uniche unità della scorta ad essere dotate di ecogoniometro, essendo anche le più moderne – riferiscono che il mare agitato disturba parecchio la ricerca con l’ecogoniometro a frequenza acustica «Safar» di cui sono dotate (il quale, sistemato nel casotto di rotta, non fornisce più indicazioni quando la nave rolla, oltre ad essere rumoroso, poco illuminato ed affetto da echi accessori).
Tra le 8.40 e le 9.26, le navi rollano e scarrocciano violentemente, ed il rollio ostacola l’impiego dello scandaglio, oltre ad impedire, insieme alla foschia, di calcolare la posizione con precisione per capire se si stia seguendo la rotta (le unità del convoglio non lo sanno, ma sono già scadute di un miglio più ad est della rotta prevista). Alle nove la Thorsheimer segnala di aver dovuto abbassare la velocità a dieci nodi.
Alle 9.38 il convoglio ha appena accostato a dritta per dirigere su Marettimo, quando l’Uragano, nel punto 37°35' N e 10°37' E (a 27,5 miglia per 54°, cioè ad est, dell’Isola dei Cani), urta una mina e rimane immobilizzata, con la poppa semidistrutta.
L’ordigno fa parte di uno sbarramento di 160 mine posato il 9 gennaio 1943 dal posamine britannico Abdiel a sud di Marettimo ed al largo del banco di Skerki, circa 40 miglia a nordest di Biserta. Le altre navi, avendo visto l’imponente colonna di fumo ed acqua sollevatasi a poppa della torpediniera al momento dell’esplosione, cercano di contattare l’Uragano con la radio ad onde ultracorte, ma inizialmente non vi è alcuna risposta, poi la nave segnala “colpito da mina”.
Alle 9.40 il caposcorta, compreso che l’Uragano ha urtato una mina, ordina alla Clio ed al Saetta, che procedono in linea di fila con un intervallo di 500 metri tra di loro, di avvicinarsi all’Uragano per darle assistenza; il Saetta fa presente di essere la nave con il maggiore pescaggio, dunque più vulnerabile alle mine, ma non riceve risposta. Mentre avviene questo scambio di messaggi, anche la Monsone comunica alla Sirio, tramite l’apparato ad onde ultracorte, “ritengo di essere un po’ a sinistra”, ma il caposcorta Tagliamonte, ritenendo invece – da quanto accaduto all’Uragano – che il convoglio si trovi a dritta, e vedendo la Monsone venire a dritta, le ordina di tornare sulla propria rotta, a meno che non rilevi degli echi di mine all’ecogoniometro.
Intanto il Saetta, ridotta la velocità a mezza forza, inizia l’accostata con tutta la barra a sinistra come ordinato, ma alle 9.48, giunto a 200 metri dalla nave danneggiata (mentre sta per giungere quasi nella scia della Sirio), urta a sua volta una mina, spezzandosi in due e colando a picco in una cinquantina di secondi, portando con sé gran parte dell’equipaggio.
Alle 9.50 la Clio riferisce che il Saetta ha urtato una mina, ed alle 9.51 la Sirio ordina alla Clio, che non si può avvicinare di più per non fare la stessa fine, di fermarsi e raccogliere i naufraghi con il proprio battello, mentre il resto del convoglio procede sulla rotta; il mare burrascoso frustra però anche questo tentativo della Clio, ed alle dieci il caposcorta, constatata l’impossibilità dell’intervento da parte di questa unità (mare e vento la farebbero comunque scarrocciare con il rischio di finire sulle mine, oltre a precludere del tutto l’utilizzo del battello), deve ordinare anche ad essa di rinunciare al soccorso e di seguire la Sirio esattamente nella scia, contattando al contempo Mariafrica per chiedere l’invio di mezzi di soccorso adeguati. (Il caposcorta scriverà però nel rapporto che “Dall’esame del rapporto di navigazione della Clio, per quanto sul brogliaccio delle ultracorte della Sirio vi sia il ricevuto, risulterebbe che tale segnale [di mettere a mare il battello per recuperare i naufraghi del Saetta, senza spostarsi dal punto in cui si trova] non è stato ricevuto”).
Sempre alle dieci Supermarina, avendo ricevuto notizia alle 9.55 di quello che è successo al Saetta, nonché dell’impossibilita di soccorrere i naufraghi a causa del vento e del mare forza 5, ordina al resto del convoglio di tornare in formazione e proseguire verso Napoli.
Il convoglio riorganizza la propria formazione, passando in linea di fila e poi in file parallele, con la Monsone in testa, la Thorsheimer nella sua scia, la Clio a dritta della cisterna e la Sirio alla sua sinistra. Alle 12.05 il caposcorta segnala di nuovo a Supermarina la situazione disperata dell’Uragano, chiedendo a Biserta di mandare mezzi di soccorso.
Alle 12.20 vengono avvistati undici tra bombardieri ed aerosiluranti angloamericani scortati da quattro caccia, che alle 12.25 passano all’attacco: la scorta aerea tedesca, però, intercetta gli attaccanti, che vengono anche presi sotto il tiro delle armi contraeree delle navi del convoglio. Uno dei velivoli nemici viene abbattuto e precipita in mare; nessuna nave viene colpita.
Alle 13.33 il convoglio riceve l’ultimo messaggio dell’Uragano, che ribadisce la propria critica posizione. Poi più nulla: la torpediniera è affondata.
Alle navi del convoglio non rimane che proseguire la navigazione, zigzagando in linea di fila. Le navi passano al traverso dell'Isola Formica e di Capo San Vito, poi, giunte al traverso dell'Isola delle Femmine, fanno rotta per Napoli. Alle 23 (o 23.30) la Clio è colta da un’avaria di macchina, che la costringe a riparare a Palermo; le altre navi raggiungeranno Napoli l’indomani. 
Di 338 uomini imbarcati su Uragano e Saetta, soltanto 54 verranno tratti in salvo.
9 febbraio 1943
Alle 18.30 la Clio salpa da Palermo per scortare a Tunisi il piroscafo tedesco Gerd.
10 febbraio 1943
Clio e Gerd arrivano a Tunisi alle 18.
15 febbraio 1943
Alle 21.50 la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) salpa da Trapani per andare a rinforzare la scorta di un convoglio in navigazione da Palermo a Biserta e formato dai piroscafi Alcamo, Chieti e Frosinone e dalla motocisterna Labor, scortati dalle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti, caposcorta) e Monsone (capitano di corvetta Emanuele Filiberto Perucca Orfei) e dalle corvette Antilope (capitano di corvetta Roberto Lucciardi) e Gabbiano (tenente di vascello Alberto Ceccacci). La Clio deve sostituire il cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone), che ha dovuto lasciare il convoglio per problemi alle macchine.
16 febbraio 1943
Alle 00.40 la Clio raggiunge il convoglio, poco dopo che questo ha superato indenne un attacco di motosiluranti britanniche. All’1.30 la Sirio avvista un’altra motosilurante, che sembra dileguarsi dopo essere stata bersagliata dal tiro delle mitragliere; in realtà si è trattato di un falso allarme.
Superati senza danni anche alcuni attacchi di bombardieri all’1.57 ed alle 3.25, il convoglio giunge finalmente a Biserta alle 23.45.
23 febbraio 1943
La Clio lascia Biserta alle 7.15 per scortare a Palermo la Labor ed il trasporto militare tedesco KT 2.
24 febbraio 1943
Alle 6.20 il sommergibile britannico Splendid (tenente di vascello Ian Lachlan Mackay McGeogh) avvista la Labor, in navigazione verso est, in posizione 38°12' N e 12°47' E (a nord di Capo San Vito); sovrastimandone la stazza in 2000 tsl, alle 6.24 l’attacca con il lancio di quattro siluri da 1830 metri. McGeogh asserirà nel rapporto che la nave cisterna sia esplosa, colpita da un siluro, ma evidentemente aveva le traveggole: in realtà nessuna delle armi va a segno. La Clio (identificata da McGeogh come una torpediniera classe Orione) lancia poche bombe di profondità, senza arrecare danni allo Splendid, prima di riprendere la navigazione.
Il piccolo convoglio arriva a Palermo alle 10.
28 febbraio 1943
Alle cinque del mattino la Clio e la corvetta Antilope salpano da Trapani per scortare a Tunisi il piroscafo Fabriano.
Poco dopo le tre navi si uniscono al convoglio «Belluno», partito da Napoli il giorno precedente e diretto anch’esso a Tunisi: lo formano la motonave Belluno ed il trasporto militare tedesco KT 14, scortati dalle torpediniere Sirio (caposcorta) e Sagittario.
Il convoglio così riunito, del quale è caposcorta la Sirio, raggiunge Tunisi alle 17.30.
1° marzo 1943
La Clio e la vecchia torpediniera Generale Antonino Cascino partono da Biserta alle 2.30 per scortare a Palermo la motonave cisterna Labor.
2 marzo 1943
Dopo una breve sosta a Trapani, dove rimane la Cascino, Clio e Labor arrivano a Palermo alle 13.30.
3 marzo 1943
Alle 18 la Clio va a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Lampo, caposcorta, torpediniera Animoso, corvetta Antilope) di un convoglio in navigazione da Napoli a Biserta e formato dai piroscafi Saluzzo (italiano) e Pierre Claude (tedesco) e dalla motonave Caterina Costa.
Seguito da ricognitori nemici fin dalla partenza, il convoglio viene ripetutamente attaccato da bombardieri ed aerosiluranti, che non causano alcun danno; un aereo viene abbattuto dal tiro contraereo della scorta.
4 marzo 1943
Il convoglio giunge a Biserta alle 18.35.
5 marzo 1943
La Clio lascia Biserta alle 9.30 per scortare a Napoli la motonave Ombrina.
6 marzo 1943
Clio ed Ombrina giungono a Napoli alle 00.10.
12 marzo 1943
Alle sette Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) e Sagittario (capitano di corvetta Vittorio Barich) salpano da Napoli per scortare a Biserta le motonavi Manzoni e Mario Roselli.
Inizialmente le navi (che formano il convoglio «Roselli») vengono avviate verso la Sardegna; solo al tramonto, una volta giunte 80 miglia ad est della Sardegna, accostano verso sud in modo da congiungersi, all’alba del 13 (nel Canale di Sicilia, e precisamente dieci migli ad est del Banco Skerki), con un il convoglio «D» (piroscafi tedeschi Esterel e Caraibe e cisterna italiana Sterope, scortati dalle torpediniere SirioPegasoCascinoOrione e Cigno e dalle corvette Cicogna e Persefone), insieme al quale dovranno proseguire verso la Tunisia.
Già dal 10 marzo, tuttavia, i comandi britannici – attraverso le decrittazioni di “ULTRA” – sanno che la nave cisterna Sterope e la motonave Nicolò Tommaseo devono arrivare a Messina alle 20 del 9, provenienti da Brindisi, per poi unirsi a ManzoniEsterel e Caraibe e Manzoni provenienti da Napoli e diretti a Messina o Trapani, per poi fare rotta insieme verso Tunisi e Biserta, dove giungere nel pomeriggio dell’11. Il 12 marzo “ULTRA” ha poi appreso del rinvio di 48 ore di tale programma, con l’arrivo a Messina di Sterope e Tommaseo alle 14 dell’11 anziché la sera del 9; i comandi britannici deducono correttamente che la prevista riunione in mare avverrà nella giornata del 12, e pertanto inviano numerosi aerei a cercare il convoglio.
Alle 20.18, intanto, un ricognitore della Luftwaffe avvista al largo di Bona quattro cacciatorpediniere britannici, diretti a nordest a velocità elevata, ed alle 20.30 si verifica un altro avvistamento, sempre di quattro cacciatorpediniere, al largo di Tabarca (Tunisia) e diretti verso est.
Alle 20.55 i cacciatorpediniere britannici combattono una prima scaramuccia contro le motosiluranti tedesche della 3. Schnellboot-Flottille, dislocate da Supermarina ad est dell’isola di La Galite proprio allo scopo di proteggere i convogli in mare da eventuali forze nemiche di superficie provenienti da ovest.
Alle 22.10, una sessantina di miglia a sud-sudest di Capo Carbonara, si svolge un secondo scontro, che vede stavolta la partecipazione di motosiluranti sia della 3. Schnellboot-Flottille che della 7. Schnellboot-Flottille: questa volta la motosilurante tedesca S 55 colpisce con un siluro il cacciatorpediniere britannico Lightning, che affonda alle 22.25.
Un altro scontro tra cacciatorpediniere e Schnellboote inizia subito dopo e si protrae alle 22.55.
Supermarina, informata di tali avvenimenti, stima che, se il convoglio «Roselli» proseguisse, potrebbe essere attaccato dai cacciatorpediniere intorno all’una di notte del 13; pertanto dispone che il convoglio inverta la rotta e raggiunga Olbia, restandovi poi in attesa di ordini.
13 marzo 1943
Alle 9.10 il convoglio «Roselli» si ancora nella rada di Olbia, da dove riparte alle 14.50 per riprendere la navigazione verso la Tunisia. Il convoglio «D» è ormai ridotto al solo Caraibe, perché attacchi di aerosiluranti hanno danneggiato gravemente sia l’Esterel che la Sterope, costringendo a rimorchiarle in porto (l’Esterel a Trapani, la Sterope a Palermo); nondimeno, è comunque prevista la riunione con esso del convoglio «Roselli», all’alba del 14.
14 marzo 1943
Alle 8.15, 70 miglia a sudovest di Trapani, il convoglio viene raggiunto dalle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti; a bordo il capitano di vascello Corrado Tagliamonte, che assume il ruolo di caposcorta), Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri), Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli) ed Orione (per altra versione, anche Pegaso e Generale Antonino Cascino), provenienti da Trapani. Si uniscono alla scorta anche i cacciasommergibili VAS 231 e VAS 232, per effettuare dragaggio su fondali inferiori ai 300 metri.
Il convoglio «D» ormai non esiste più: a seguito di ulteriori attacchi di aerosiluranti, anche il Caraibe è stato colpito ed affondato.
Il convoglio «Roselli», eccetto che per Libra ed Orione (che, in prossimità di Biserta, hanno ricevuto ordine di dirigere per Tunisi), giunge a Biserta alle 16.40, preceduto da tre dragamine usciti da quel porto per dragare la rotta nel tratto finale della navigazione.
Alle 21.30 Clio (caposcorta) e Sagittario ripartono da Biserta per scortare a Napoli Pierre Claude e Caterina Costa.
15 marzo 1943
Tra le 13.45 e le 14, all’altezza di Zembra, il convoglio di cui fa parte la Clio si unisce ad un altro partito da Tunisi due ore prima, formato dalla motonave Belluno e dal piroscafo Fabriano scortati dalla torpediniere Orione. Quest’ultima assume il ruolo di caposcorta del convoglio unico così formato; poco dopo la scorta è rinforzata dalla torpediniera Pegaso, giunta da Trapani.
Alle 20.37 (20.48 secondo le fonti italiane), una trentina di miglia a sud di Capri, il sommergibile britannico Trooper (tenente di vascello John Somerton Wraith) avvista verso est le sagome oscurate di navi dirette verso Napoli, almeno cinque, delle quali la seconda appare piuttosto grande e viene scelta come bersaglio: si tratta della Belluno. Alle 20.46 il Trooper lancia quattro siluri contro la motonave, da una distanza di circa quattro miglia. La Belluno avvista due siluri e li evita con pronta manova; il Trooper s’immerge e si allontana alle 20.48, senza rilevare alcun contrattacco (ma avverte due esplosioni che Wraith attribuisce erroneamente a siluri andati a segno).
Dalle 21.35 aerei nemici prendono a sorvolare le navi italiane a più riprese, ma sono sempre respinti dal tiro delle armi di bordo.
16 marzo 1943
Il convoglio giunge a Napoli tra le 4 e le 7.
30 marzo 1943
All’1.30 la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207 salpano da Napoli scortando il piroscafo Benevento, che deve unirsi al convoglio «GG», partito da Napoli per Biserta alcune ore prima e formato dai piroscafi Crema e Nuoro scortati dalle torpediniere Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) e Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ 2203 e UJ 2210. Il Benevento sarebbe dovuto partire insieme alle altre navi, ma la sua partenza è stata ritardata da alcune avarie. (Secondo Uboat.net, insieme a Clio e Benevento avrebbero viaggiato anche il Nuoro, l’UJ 2203, la torpediniera Giuseppe Dezza ed altri due cacciasommergibili tedeschi, UJ 2202 e UJ 2207).
Alle 13.24 il sommergibile britannico Tribune (tenente di vascello Stewart Armstrong Porter) avvista a sette miglia di distanza il fumaiolo e le alberature del Benevento, in navigazione verso sudovest; alle 13.50 identifica il bersaglio come un mercantile di 6000 tsl a pieno carico, preceduto da due pescherecci armatie e seguito da una torpediniera classe Spica (la Clio), con diversi aerei in pattugliamento nel cielo della formazione. Il Tribune non riesce ad avvicinarsi a meno di 6 km prima di lanciare, alle 14.31 – in posizione 39°37' N e 13°15' E, una cinquantina di miglia a nord di Ustica – tre siluri (intenzione di Porter sarebbe stata di lanciarne quattro).
Clio e Benevento avvistano le scie di due siluri, che evitano con la manovra (l’orario indicato dalle fonti italiane sono le 14.43); a dare la caccia al sommergibile attaccante viene inviata la vecchia torpediniera Giuseppe Dezza (il Tribune, che cinque minuti dopo il lancio ha avvertito una forte esplosione erroneamente attribuita ad un siluro andato a segno, rileva un contrattacco a partire dalle 14.36, con il lancio in totale di 15 bombe di profondità e diverse bombe d’aereo, senza subire danni ma sprofondando fino a 116 metri a causa di problemi di assetto, per poi riuscire a sottrarsi alla caccia dopo quasi un’ora e mezza).
31 marzo 1943
Alle 6.30, poco ad ovest delle Egadi, Clio, Benevento ed UJ 2207 raggiungono il convoglio, cui dieci minuti dopo si unisce anche la corvetta Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini). Si tratta di un convoglio lento, con una velocità di nove nodi; le navi godono di forte scorta aerea.
Già da giorni i decrittatori britannici di “ULTRA” seguono attentamente gli spostamenti del convoglio: il 27 marzo hanno decifrato un messaggio dal quale risultava che i mercantili CremaNuoroBeneventoCapua e Caterina Costa erano «attesi a breve scadenza in Tunisia, provenienti dall’Italia», il 28 marzo hanno intercettato un’altra comunicazione che ha rivelato che «Benevento, Nuoro e Crema avrebbero dovuto lasciare Napoli il giorno 27 per la Tunisia, tempo permettendo», e l’indomani un’altra ancora da cui è risultato che «Sono attesi i seguenti arrivi, sempre condizionati dallo stato del tempo: a Tunisi il giorno 31 verso le 23.00 Crema, Nuoro e Benevento». Il 31 marzo, infine, un’ultima intercettazione ha permesso ad “ULTRA” di apprendere che «Crema, Nuoro e Benevento hanno lasciato Napoli alle 22.00 del giorno 29. Essi doppieranno l’isola di Marettimo alle 6.30 del 31 e procederanno per Biserta».
Sulla scorta di queste informazioni, la Marina e l’aviazione Alleate sottopongono il convoglio ad una successione di attacchi aerei e navali.
Alle 13.52, mentre il convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, si verifica il primo attacco da parte di otto bombardieri (identificati da parte italiana come Lockheed Hudson, mentre in realtà si tratta di North American B-25 “Mitchell” del 321st Bomb Group dell’USAAF: ne erano originariamente decollati quattordici dalle basi nordafricane alle 13.45, scortati da 25 caccia P-38 del 1st Fighter Group, ma sei bombardieri e tredici caccia sono tornati indietro poco più tardi), scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting, che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave. Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; priva di risultati è anche la battaglia aerea ingaggiata con i caccia italiani e tedeschi di scorta al convoglio, nonostante le opposte rivendicazioni (da parte statunitense, il danneggiamento di un caccia tedesco ed il probabile abbattimento di un altro da parte di un B-25; da parte tedesca, l’abbattimento di tre B-25 da parte dei Messerschmitt del 7./Jagdgeschwader 53).
Alle 14.24 si unisce alla scorta la torpediniera Enrico Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli), distaccata alle 11.25 mattino dal caposcorta del convoglio «RR» (motonavi Belluno e Pierre Claude, in navigazione da Napoli a Tunisi con la scorta delle torpediniere FortunaleAntares e Sagittario e di due cacciasommergibili tedeschi), che precede il «GG» di una quarantina di miglia, con il compito di rafforzare ulteriormente la scorta di quest’ultimo. Raggiunto il convoglio, la Cosenz funge inoltre da unità pilota sulla rotta di Zembretta.
Alle 15.57, mentre il convoglio si trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta, subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta da altri otto bombardieri identificati come Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte bombe da 2500 metri, senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle 16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il convoglio su entrambi i lati. (Secondo fonti statunitensi, questi attacchi furono portati da una formazione di quindici bombardieri B-25 Mitchell del 321st Bomb Group, decollati alle 13.45 e scortati da venticinque caccia P-38 del 95th Squadron dell’82nd Fighter Group; uno dei B-25 e tre dei P-38 erano dovuti rientrare alla base poco dopo il decollo).
La scorta aerea italo-tedesca reagisce prontamente: un singolo bombardiere Junkers Ju 88 del II./Kampfgeschwader 76 riesce ad attirare su di sé l’attenzione di diverse squadriglie di P-38, portandoli lontano dai bombardieri; i piloti dell’82nd Fighter Group si ritrovano sotto attacco da parte di un totale di dieci Messerschmitt Bf 109, uno Ju 88 ed alcuni caccia italiani (numero e tipo non specificato). Gli aerei dell’Asse scompaginano la formazione dei bombardieri, costringendo molti di essi a scaricare le loro bombe in mare ed a ritirarsi senza attaccare; i restanti B-25 attaccano in due gruppi, dei quali uno effettua il suo attacco da appena 30 metri di quota, secondo la tattica dello “skip bombing” (nel quale le bombe vengono sganciate dal bombardiere a bassissima quota ed a ridotta distanza dalla nave attaccata, in modo tale da rimbalzare sulla superficie dell’acqua, come un sasso tirato a “rimbalzello”, e colpiscano la nave), mentre l’altro sgancia le bombe da alta quota, circa 2440 metri.
Secondo il rapporto del caposcorta Camicia, il tiro contraereo delle navi riesce ad abbattere due dei velivoli attaccanti (secondo quanto riferito allo Stato Maggiore della Kriegsmarine dagli ufficiali tedeschi di collegamento presso Supermarina, invece, le navi dell’Asse avrebbero rivendicato il probabile abbattimento di ben sei aerei, uno da un cacciasommergibili tedesco e gli altri cinque dalle unità italiane), mentre un terzo, un quadrimotore, viene abbattuto dai caccia della Luftwaffe di scorta aerea, che però subiscono a loro volta la perdita di due dei loro aerei nei duelli combattuti sul cielo del convoglio.
Durante la battaglia aerea combattuta sul cielo del convoglio, i piloti dei P-38 statunitensi rivendicano l’abbattimento di uno Ju 88 e di un Messerschmitt Bf 109 (rispettivamente da parte dei sottotenenti Marion Moore e Ralph C. Embrey, entrambi una ventina di miglia a nord-nord-est di Cap Zembra), mentre i mitraglieri dei B-25 (tre del 445th Bomb Squadron ed uno del 448th) ritengono di aver certamente abbattuto tre Messerschmitt Bf 109 ed un Focke-Wulf Fw 90, di aver probabilmente abbattuto un altro Bf 109 e di averne danneggiati altri tre. In realtà, le perdite complessive da parte tedesca ammontano all’abbattimento di un singolo Messerschmitt Bf 109 (il WNr 15039 del caporale Konstantin Benzien del 4./JG. 27, abbattuto da caccia nemici 20 km a nord di Zembra e rimasto ferito) e di uno o due Junkers Ju 88 del 4./Kampfgeschwader 76 (questi ultimi andati perduti mentre erano impegnati in compiti di scorta convogli; uno abbattuto alle 15.50, quasi certamente nel corso dei combattimenti aerei attorno al convoglio «GG», mentre meno sicuro è il coinvolgimento dell’altro Ju 88). I caccia tedeschi del II./Jagdgeschwader 27 e del III./Zerstörergeschwader 1 rivendicano l’abbattimento di due P-38 e due B-25 (più precisamente, un P-38 dal sottotenente Hans Lewes del 5./JG 27, alle 15.58; un altro dal sergente Bernard Schneider dello stesso reparto; un B-25 dal caporale Hans Reiter del 4./JG 27; un presunto Lockheed Ventura – altro bimotore simile al B-25 – dal tenente Walter Lardy del III./ZG 1; i primi tre alle 15.58 ed il quarto alle 16, tutti 20 km a nordest di Zembra). In effetti, le fonti statunitensi riconoscono la perdita di due P-38 (quelli dei sottotenenti Joseph R. Sheen jr. e Francis M. Molloy, entrambi rimasti uccisi), ad ovest di Zembra, e di due B-25 del 448th Bomb Group, dei quali uno (il 41-13205 del tenente Charles A. McKinney, rimasto ucciso con sei uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 16.14 da caccia nemici, e l’altro (il 41-13209 “Trouble” del tenente Robert G. Hess, morto insieme a cinque uomini del suo equipaggio) abbattuto alle 15.55 dal tiro contraereo delle navi.
Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro (o così si ritiene a bordo: non essendo però l’attacco stato svolto da aerosiluranti, è più probabile che si sia trattato di una delle bombe lanciate con la tecnica dello “skip bombing”, scambiata dall’equipaggio per un siluro), e scoppia un incendio a bordo.
Il Nuoro viene lasciato indietro con l’assistenza della Cicogna (esploderà alle 16.34, dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio), mentre il resto del convoglio prosegue. Per il resto del pomeriggio e della sera non si verificano altri attacchi aerei.
1° aprile 1943
Intorno all’una di notte, mentre il convoglio si trova tre miglia a sud-sudovest dell’isola dei Cani ed a dieci miglia da Biserta, si verifica un improvviso attacco di motosiluranti britanniche, che erano rimaste ferme in agguato ed attaccano sulla dritta del convoglio. In origine erano salpate da Bona quattro motosiluranti: MTB 265, MTB 266, MTB 315 e MTB 316; le MTB 265 e 316, tuttavia, sono state costrette a lasciare la formazione, la prima per cercare un uomo caduto in mare, l’altra a causa di un’avaria ai motori. Le rimanenti due unità, sotto il comando del tenente di vascello Richard Routledge Smith della MTB 266, hanno raggiunto il punto prestabilito per l’agguato, un miglio a nord di Capo Zebib (e tre miglia a sud/sudovest dell’Isola dei Cani), alle 00.10 del 1° aprile; fermati i motori, si sono messe ad attendere l’arrivo del convoglio, ferme e acquattate nel buio.
Alle 00.50 gli equipaggi britannici avvistano delle navi in avvicinamento da est; entrambe le motosiluranti mettono subito in moto i loro motori ed iniziano a lento moto l’avvicinamento al convoglio, del quale apprezzano la composizione come tre navi mercantili scortate da due cacciatorpediniere e diverse motosiluranti (“E-Boats”). Cogliendo di sorpresa il convoglio, le due MTB silurano sia il Crema che il Benevento e subito dopo si dileguano a tutta forza nell’oscurità, con il mare in poppa, nonostante una rapida e confusa mischia – nella quale la MTB 315 subisce leggeri danni ed un ferito lieve tra l’equipaggio – con la Cassiopea e l’UJ 2203 (quest’ultimo riterrà infatti di aver “almeno danneggiato” una delle motosiluranti), che proteggono i due mercantili sul lato di dritta. (Dopo aver lanciato contro il Crema, la MTB 266 cerca di avvicinarsi al “cacciatorpediniere” che si trova a poppavia dritta del convoglio – probabilmente la Cassiopea – per attaccarlo con bombe di profondità, ma viene ben presto dissuasa dall’intenso fuoco aperto da questi, che la induce a ripiegare ed allontanarsi. Anche la MTB 315 si disimpegna passando a proravia di questo “cacciatorpediniere” e, ritirandosi verso nord, viene presa sotto un tiro piuttosto accurato da parte del “cacciatorpediniere” e di uno dei cacciasommergbili tedeschi, subendo qualche danno superficiale).
Il Crema affonda in soli due minuti a tre miglia per 210° dall’Isola dei Cani, mentre il Benevento può essere portato ad incagliare presso Capo Zebib, ma andrà egualmente perduto (permettendo però di recuperarne il carico).
Su 70 uomini imbarcati sul Crema, soltanto in 26 possono essere tratti in salvo, a causa dell’oscurità e del maltempo che intralciano i soccorsi.
5 aprile 1943
Alle 16.15 la Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone), usciti da Messina, vanno a rinforzare la scorta di  un convoglio formato dal piroscafo italiano Rovereto e dai tedeschi Carbet e San Diego, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere Pallade (capitano di corvetta Antonio Giungi), Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli) e Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta; a bordo il comandante superiore in mare, capitano di fregata Ernesto Pellegrini). (Per altra fonte Clio e Riboty si sarebbero uniti al convoglio alle 16.15 del 6, ma sembra probabile un errore).


La Clio ormeggiata a Gaeta nell’aprile 1943, tra la torpediniera Enrico Cosenz ed il cacciatorpediniere Leone Pancaldo (Coll. Carlo Di Nitto e Coll. Erminio Bagnasco via Maurizio Brescia e www.marinaiditalia.com)


6 aprile 1943
Alle 2.30 il Carbet, scortato dal Riboty, si separa dal convoglio e fa rotta per Trapani, dove giungerà sette ore più tardi. Le rimanenti sette navi proseguono verso Biserta.
Già il 5 aprile “ULTRA” ha scoperto, tramite le sue decrittazioni, che RoveretoSan Diego e Caserta dovrebbero giungere a Biserta (i primi due) e Tunisi (il terzo) in breve tempo; questa informazione, di per sé insufficiente a pianificare un attacco, viene però arricchita l’indomani da nuove decrittazioni: i britannici vengono così a sapere che RoveretoSan Diego e Caserta sono partiti dal Golfo di Napoli intorno alle tre di notte del 5 aprile, a dieci nodi di velocità, e che all’1.30 del 6, 15 miglia a nordovest di Trapani, il Caserta si dovrebbe separare da loro per raggiungere tale porto, mentre gli altri due piroscafi dovrebbero raggiungere Biserta alle 15.30 dello stesso giorno.
La maggior parte del viaggio trascorre senza intoppi; quando le navi giungono in vista dell’isola di Zembra, viene avvistata l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (tenente di vascello Alessandro Senzi), salpata da Biserta e mandata incontro al convoglio per pilotarlo sulla rotta di sicurezza di Zembra, che il convoglio ha appena imboccato. Poco dopo l’accostata sulla rotta di sicurezza, alle 9.25, sopraggiungono 18 bombardieri angloamericani, che vengono ingaggiati dai caccia della Luftwaffe che costituiscono la scorta aerea del convoglio. Nel combattimento tra gli aerei, uno dei velivoli tedeschi viene abbattuto; le navi del convoglio escono però indenni dalla pioggia di bombe sganciate dagli aerei avversari. Alle 9.54 la Cosenz raggiunge il convoglio.
Alle 11.10 l’attacco viene replicato, da parte di altri 18 bombardieri; la Perseo richiama ripetutamente sul posto i caccia tedeschi, ma questi non possono intervenire, perché già impegnati contro altri aerei nemici tra Tunisi e Biserta. Anche questo bombardamento viene tuttavia superato senza danni.
Alle 17.17, al largo di Capo Zebib, ha inizio il terzo attacco aereo: il convoglio ha appena accostato in direzione di Biserta – l’ultima accostata da compiere durante la navigazione – quando vengono avvistati 22 quadrimotori che volano in formazione a 3000 metri di quota, con rotta perpendicolare a quella del convoglio. Si tratta di bombardieri statunitensi Boeing B 17, le famose “fortezze volanti”. I sei caccia che formano in quel momento la scorta aerea tentano di intercettare gli aerei Alleati, ma invano.
La prima ondata di bombardieri non fa danni, ma la seconda colpisce sia il Rovereto che il San Diego: mentre quest’ultimo viene colpito a prua, con conseguente incendio a bordo, il Rovereto viene centrato in pieno dalle bombe e, avendo a bordo anche un notevole quantitativo di munizioni, salta in aria otto miglia ad est di Biserta.
La Clio e la Cosenz recuperano i pochi naufraghi del Rovereto (tra i dodici ed i 26, a seconda delle fonti, mentre in 105 perdono la vita), mentre il caposcorta Pellegrini manda l’Orione a Biserta per chiedere mezzi di salvataggio (vi arriverà alle 18.20 e da quel porto usciranno i rimorchiatori Tebessa e Gabes, rispettivamente tedesco e francese, per tentare un rimorchio del San Diego), ed al contempo PalladeLibra e Perseo si avvicinano al San Diego per prestare assistenza. Il caposcorta Pellegrini vuole valutare la possibilità di prenderlo a rimorchio da poppa, ma il progetto deve essere ben presto abbandonato in quanto l’incendio sviluppatosi nella stiva colpita, piena di benzina, si estende subito alle munizioni caricate a proravia della plancia, che iniziano a deflagrare. I 125 tra marinai e soldati imbarcati sul San Diego si gettano in mare; alle 19.15, dopo averli tratti in salvo, PalladeLibra e Perseo si allontanano dal piroscafo tedesco, che può esplodere da un momento all’altro. Ciò avviene, infatti, alle 19.27.
Le torpediniere, con a bordo i naufraghi dei piroscafi affondati, raggiungono Biserta tra le 20.10 e le 21.35; i naufraghi vengono sbarcati e portati nei bunker di La Cariere, dove ricevono le prime cure.
16 maggio 1943
Alle 9.47 la Clio salpa da Catania per scortare a Messina la motonave Nicolò Tommaseo. Il piccolo convoglio procede a dieci nodi.
Alle 10.10 il sommergibile britannico Unruly (tenente di vascello John Paton Fyfe) avvista Tommaseo e Clio (identificata come un “cacciatorpediniere classe Calipso”) in navigazione verso nord, con un velivolo di scorta aerea. Manovra quindi per attaccare; alle 10.18 e poi di nuovo alle 10.24 la Tommaseo accosta verso il sommergibile nel corso del suo zigzagamento. Alle 10.32 l’Unruly lancia quattro siluri contro la Tommaseo da 1370 metri; una delle armi va a segno, colpendo a poppa la Tommaseo in posizione 37°35' N e 15°17' E (cinque miglia a nord-nord-est di Catania), mentre altre due mancano la Clio. La torpediniera passa subito al contrattacco, lanciando dieci bombe di profondità da 100 kg tra le 10.42 e le 10.58 ma senza causare danni all’Unruly, che alle 11.26 torna a quota periscopica e, osservando quattro aerei in pattugliamento e la Tommaseo ancora a galla, scende in profondità per ricaricare un tubo lanciasiluri. La Clio, intanto, richiede l’invio di un rimorchiatore ed ordina ad una motozattera in navigazione nei paraggi di prendere a bordo i feriti della Tommaseo e sbarcarli a Catania.
Alle 12.14 l’Unruly, ricaricato il tubo numero 1, torna a quota periscopica, ma un minuto dopo viene mancato di poco da due bombe di piccolo calibro lanciate da un aereo, e torna precipitosamente ad immergersi a 24 metri. Alle 12.35, in seguito al lancio di altre due bombe che esplodono vicine, scende a 40 metri. Successivamente si ritira verso sudest a tale profondità, contando altre sei esplosioni singole di bombe di profondità.
La Clio prosegue la caccia fino alle 15.50, quando viene rilevata dalle corvette Driade ed Euterpe, frattanto sopraggiunte. A questo punto, siccome non è ancora arrivato nessun rimorchiatore, la torpediniera prende a rimorchio la Tommaseo ed inizia a trainarla verso Catania. Due ore dopo sopraggiunge finalmente il rimorchiatore Littorio: la Clio gli passa il rimorchio ed incarica Driade ed Euterpe di scortare la Tommaseo a Catania, dopo di che dirige da sola per Messina.
23 maggio 1943
La Clio e la torpediniera di scorta Groppo salpano da Augusta (per altra fonte, Siracusa) per scortare a Napoli la nave cisterna Carnaro.
24 maggio 1943
Alle 7.30 il sommergibile britannico Dzik (tenente di vascello Boleslaw Szymon Romanowski) avvista a grande distanza la Carnaro e le sue due unità di scorta, identificate da Romanowski come “un piccolo cacciatorpediniere di tipo sconosciuto” e “uno sloop tipo Eritrea”, con tre velivoli di scorta aerea, a dieci miglia per 118° da Capo Spartivento. Avvicinatosi per attaccare, alle 8.15 lo Dzik lancia una salva di quattro siluri contro la Carnaro: due delle armi vanno a segno, incendiando la nave cisterna a 16 miglia per 091° da Capo Spartivento calabro. Mentre la Groppo dà la caccia al sommergibile con bombe di profondità, senza riuscire a danneggiarlo, la Clio prende a rimorchio la petroliera danneggiata e la conduce a Messina.
Il marinaio Luigi Palmarini, imbarcato sulla Clio, ricorda così il siluramento della Carnaro: “Il 23 maggio 1943 ero imbarcato sulla torpediniera Clio. Salpiamo da Augusta di scorta a convoglio di due cisterne, una delle quali è la Cst. Carnaro. Rinforza la scorta la torpediniera Groppo. All’imbocco dello stretto di Messina il convoglio si divide e mentre noi proseguiamo per Taranto con la Carnaro, la seconda cisterna entra nello Stretto con la scorta della torpediniera Ardimentoso proveniente da Napoli per incontrarla, fa rotta per Gaeta. Proseguendo la navigazione il mattino del 24 maggio alle ore 07.00 un sommergibile in agguato lancia contro la nostra formazione 4 siluri. Mentre tre sono evitati il quarto colpisce a poppa la Carnaro che si immobilizza, senza affondare. Il mare è mosso ma riusciamo a portarci sul punto di lancio e in breve tempo scarichiamo bombe di profondità. Andiamo alla caccia a lume di naso in quanto non disponiamo di nessuna strumentazione di localizzazione. Non essendo sicuri di aver colpito il mezzo subacqueo evoluiamo in continuità attorno alla nave colpita. Verso le ore 12.00 tentiamo il rimorchio e dirigiamo verso Messina il porto più vicino. Il mare intanto aumenta ancora ed il traino si rende difficilissimo. A sera finalmente arrivano due rimorchiatori e due corvette a darci una mano e lentamente ritorniamo a Messina portando in salvo la cisterna. Il mattino del 25 maggio 1943 entriamo in porto ed alla imboccatura del porto salutiamo la bianca statua della Madonnina e ci siamo ormeggiati alla banchina subito a sinistra adiacente alle vetusta mura. Alla nostra destra attracca il Groppo. Finalmente possiamo scendere a terra. Vicino c’è una fontanella e facciamo la fila per bere acqua fresca”.
25 maggio 1943
La Clio si trova ormeggiata a Messina quando la città dello stretto viene attaccata da 129 bombardieri della 9th e 12th USAAF (40 Consolidated B-24 “Liberator” e 89 Boeing B-17 “Flying Fortess”), aventi come obiettivo proprio il porto e le navi ivi ormeggiate (soprattutto l’imbarco dei traghetti, nell’ambito delle operazioni preliminari all’invasione della Sicilia, che avrebbe avuto luogo due mesi più tardi), oltre alla stazione ferroviaria. L’incursione si protrae dalle 11.32 alle 14.55, con lo sgancio di 253 tonnellate di bombe, che centrano sia i loro obiettivi che il centro abitato, causando numerose vittime tra la popolazione civile. Vengono affondate la Groppo, il piroscafo Polluce, il traghetto Reggio ed il dragamine RD 55, e danneggiate un’altra torpediniera ed il traghetto Scilla; la Clio, ormeggiata vicino alla Groppo, rimane invece del tutto indenne, anche grazie all’intervento di parte dell’equipaggio che, tornato a bordo durante il bombardamento, molla gli ormeggi ed allontana la nave dalla Groppo in affondamento, che minaccia di rovesciarlesi addosso.
Il bombardamento è così ricordato da Luigi Palmarini: “Ad un tratto il cielo blu della magnifica giornata sfavillò di centinaia di luci su alte all’orizzonte verso il Golfo di Milazzo. Venivano verso di noi centinaia di aerei in formazione serrata ad alta quota. Verso le ore 11.00 ha inizio un intenso bombardamento su Messina mai subito sinora. Gli attacchi si susseguono fino alle ore 15.00 ad intervalli scaricando miriadi di bombe. In caso di attacco aereo in porto l’ordine era di lasciare la nave e recarsi ai rifugi. Sotto la Madonnina vi erano dei paraschegge protetti da sacchi di sabbia pertanto ci siamo rannicchiati in un angolo mentre sentivamo lo sfarfallio delle bombe cadere. Dopo una prima ondata un silenzio grave calò mentre sentivamo voci sommesse di uomini di mare, gente che singhiozzavano, voci di preghiera. Ora eravamo ansiosi di andare a vedere la nostra nave e ci sentiamo sollevati quando la vedemmo a galla, indenne. Forse è eccessivo ma pensavamo a lei come casa nostra, la nostra salvezza. L’attenzione venne subito attratta verso il Groppo che non era più in assetto, benché non rivelasse, a prima vista, nessun danno. Si inclinava sulla sua sinistra cioè verso il fianco della nostra. Mentre si cercava il da farsi anche con l’equipaggio del Groppo sopraggiunge una nuova ondata. Tornammo al paraschegge e questa volta cadde nelle immediate vicinanze una bomba che l’onda d’urto sollevò una nuvola di terra e di detriti che investì l’angusto locale dov’eravamo ammucchiati. Grida, gemiti, imprecazioni facevano di quell’ammasso di uomini una bolgia infernale e capimmo che non eravamo più sicuri e bisogna ammetterlo subentrò la paura. Il pensiero corse di nuovo alla nostra nave. Alcuni marinai abbandonarono il rifugio e andarono a vedere le navi. Arrivati alla banchina videro che il Groppo si inclinava paurosamente verso di noi e che stava per affondare. Allora questi valorosi marinai del Clio incuranti del pericolo salirono a bordo e mentre alcuni mettevano in moto per salpare altri con le accette tagliavano le cime legate alle bitte portando cosi la nave in rada. La Madonnina ci aiutò. Il miracolo si compì perchè la torpediniera Groppo fu colpita da una bomba sulla fiancata provocando una grossa falla, il Clio non riportò alcun danno. Se la bomba fosse esplosa certamente anche la nostra sarebbe stata danneggiata. A sera alcune barche di pescatori riportarono a bordo i marinai rimasti a terra. Una volta a bordo mi accorsi di aver riportato alcuni graffi. Lasciammo sulla banchina i marinai del Groppo desolati, amareggiati nel vedere la loro nave affondare senza poter fare nulla lasciando a bordo tutto i loro averi e ricordi. L’equipaggio del Clio al completo felici di ritrovarsi sani e salvi riprese a navigare con rotta verso Napoli”.
3 giugno 1943
La Clio salpa da Napoli per scortare a Taranto la nave cisterna tedesca Henry Desprez, carica di carburante.
Alle 15.10 le due navi, in navigazione verso sud, vengono avvistate da circa 4600 metri di distanza dal sommergibile britannico Unruffled (tenente di vascello John Samuel Stevens), che identifica la Desprez come “una nave cisterna moderna di medie dimensioni” e la Clio come “una nuova torpediniera di classe moderna”; alle 15.31 il battello britannico lancia tre siluri da mille metri contro l’Henry Desprez. Il bersaglio viene colpito, ed affonda in posizione 39°13' N e 16°01' E, una settantina di miglia a nordest di Messina. La vecchia torpediniera Giuseppe Sirtori, il cacciasommergbili italiano VAS 217 ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2212 salpano da Messina per dare la caccia all’attaccante (l’Unruffled rileva il lancio di quindici bombe di profondità, da parte della scorta, dalle 15.39, senza subire danni).
5 giugno 1943
La Clio salpa da Messina per scortare a Taranto il trasporto militare Monte Cengio. Alle dieci del mattino il sommergibile britannico Uproar (tenente di vascello Laurence Edward Herrick), in agguato cinque miglia ad est di Capo Colonna, avvista del fumo su rilevamento 210°, e sette minuti dopo inizia la manovra per attaccare il convoglio formato da Monte Cengio (identificato come una motonave cisterna, con stazza stimata da Herrick come il doppio di quella reale) e Clio (scambiata per un posamine classe Azio), nonché da due motodragamine ed un aereo di scorta, in posizione 39°03' N e 17°17' (o 17°16') E. Alle 10.59 l’Uproar lancia contro di essi quattro siluri, da 4600 metri di distanza; dopo due minuti e 40 secondi dal lancio dell’ultimo Herrick avverte un’esplosione, ma nessun siluro è andato a segno, tre di essi passano sotto lo scafo del Monte Cengio senza esplodere e l’altro lo manca del tutto.
L’aereo di scorta sgancia due bombe contro il sommergibile, delle quali però solo una esplode, mentre la Clio contrattacca lanciando sette bombe di profondità da 50 kg ed altre otto “intimidatorie” (l’Uproar conta nove esplosioni di bombe di profondità, l’ultima alle 11.34). L’Uproar non subisce danni.
1° agosto 1943
Assegnata alla I Squadriglia Torpediniere, alle dipendenze della V Divisione Navale, con base a Taranto (per altra fonte, a Napoli). Insieme ad essa formano la squadriglia le gemelle Sirio, Aretusa, Lince, Sagittario e Cassiopea; sono adibite a compiti di scorta convogli in acque metropolitane.
15 agosto 1943
Compie un’uscita in mare da Pola con il sommergibile Serpente (capitano di corvetta Raffaello Allegri), per esercitazioni con l’ecogniometro.
16 agosto 1943
Altra uscita da Pola per esercitazioni ecogoniometriche insieme al Serpente.
20 agosto 1943
Uscita da Pola per esercitazione con il sommergibile Vettor Pisani (capitano di corvetta Mario Resio).
29 agosto 1943
Uscita da Taranto per esercitazione con il sommergibile Atropo (tenente di vascello Aredio Galzigna).
2 settembre 1943
Uscita da Taranto per esercitazioni insieme alla Sirio ed al sommergibile Marcantonio Bragadin (tenente di vascello Alpinolo Cinti).
8 settembre 1943
La proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati sorprende la Clio a Taranto, insieme alle altre unità della I Squadriglia Torpediniere (Sirio, Sagittario, Cassiopea, Aretusa), alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Nicoloso Da Recco, FR 23, FR 31), al Gruppo incrociatori leggeri (Scipione Africano, Pompeo Magno e Luigi Cadorna), alle corazzate Duilio e Andrea Doria della V Divisione, alle corvette Flora e Driade della III Squadriglia, ed ai sommergibili Atropo, Tito Speri, Giovanni Da Procida (appartenenti al IV Grupsom) e Dandolo.
9 settembre 1943
Secondo una fonte tedesca (Kriegstagebuch), alle quattro del mattino del 9 settembre, approfittando della confusione regnante in seguito all’annuncio dell’armistizio, il personale tedesco addetto ad una mitragliera Flakvierling da 20 mm installata sulla Clio, insieme ad una squadra di guastatori anch’essi tedeschi, avrebbe danneggiato con cariche esplosive cinque navi italiane ormeggiate nel porto di Taranto, per poi raggiungere la stazione ferroviaria in seguito ad alcuni scontri (nei quali da parte tedesca si lamentarono un morto e diversi feriti) ed a trattative con il locale comando italiano, allontanandosi poi verso nord. Le fonti italiane non fanno menzione di questo episodio, che potrebbe aver avuto per oggetto le navi che si trovavano in riparazione presso i cantieri Franco Tosi (motonavi Sestriere e Città di Alessandria, motopeschereccio d’altura Genepesca I, nave cisterna Rondine, piroscafo Sezze), nessuna delle quali sembra comunque aver riportato danni gravi.
Alcune ore più tardi, in seguito alla notizia, giunta alle 13, che le motosiluranti tedesche S 54 e S 61, partite da Taranto poche ore prima dirette verso nord, hanno fermato ed affondato il dragamine ausiliario R 240 Vulcania al largo di Gallipoli, l’ammiraglio Bruto Brivonesi, comandante del Dipartimento Militare Marittimo dello Ionio e Basso Adriatico, che le aveva autorizzate a partire con l’impegno di non intraprendere azioni ostili contro unità italiane – patto così violato – valuta la possibilità di far uscire in mare da Taranto Clio e Sirio per assumere la scorta della corvetta Baionetta, in navigazione da Ortona a Brindisi con a bordo la famiglia reale ed il governo, fuggiti da Roma, per proteggerla in caso di incontro con le motosiluranti. Tuttavia, viene poi a sapere che l’incrociatore leggero Scipione Africano è già diretto incontro alla Baionetta per assumerne la scorta, quindi finisce col tenere in porto le due torpediniere.
Nei giorni successivi all’armistizio, la Clio viene impiegata nei collegamenti tra Brindisi e Taranto.
17 settembre 1943
All 14 la Clio e la Sirio salpano da Brindisi per Corfù, cariche di rifornimenti (viveri, acqua, munizioni d’artiglieria e per mitragliatrice, medicinali e materiale sanitario, proiettili contraerei da 20 mm, e specialmente bombe da mortaio, che il generale Gandin ha telegrafato essere quasi finite: il materiale è sistemato un po’ ovunque, anche in coperta) per la guarnigione italiana dell’isola, sotto attacco da parte delle forze tedesche.
Tale missione di soccorso è frutto di un’iniziativa del contrammiraglio Giovanni Galati, che spronato dalle richieste d’aiuto della guarnigione dell’isola (Galati è amico personale del generale Antonio Gandin, comandante della Divisione "Acqui" che presidia le Isole Ionie) ha chiesto ed ottenuto il tacito assenso del ministro della Marina, ammiraglio Raffaele De Courten, assumendosi personalmente la responsabilità ed il comando della missione. Dopo aver scovato il materiale richiesto nei magazzini di Brindisi, Galati ha scelto per la missione Clio e Sirio, che facendo la spola con Taranto hanno diritto alla nafta per navigare, e le ha caricate di rifornimenti, per poi salpare alla volta delle Isole Ionie, imbarcando lui stesso su una delle torpediniere. La partenza, però, è avvenuta senza autorizzazione da parte britannica, ed una volta venutolo a sapere l’ammiraglio britannico Arthur Peters, che sostituisce temporaneamente l’ammiraglio Arthur John Power (vicecomandante della Mediterranean Fleet e capo della missione militare Alleata presso il governo italiano) momentaneamente assente, impone l’immediato rientro in porto delle due torpediniere, perché nessuna nave da guerra italiana può prendere il mare finché non sarà stata precisamente definito il livello della loro libertà d’azione nel quadro post-armistiziale.
Lo stesso giorno il Comando Supremo protesta per l’accaduto inviando una nota al generale britannico Noel Mason-Mac Farlane, capo della Commissione Alleata di Controllo per l’Italia: «L’amm. Peters ha richiesto al Ministero della Marina italiano di richiamare subito a Brindisi le torpediniere Sirio e Clio in navigazione per portare viveri, munizioni e acqua a Corfù, dove le truppe italiane resistono tenacemente ai tentativi di occupazione delle truppe tedesche. Si rappresenta al gen. Mac Farlane che, in tal modo, si viene a indebolire l’azione di difesa di quell’isola che le forze italiane compiono nell’interesse comune. È quindi desiderabile che tale azione delle nostre torpediniere sia autorizzata e tale autorizzazione acquisti carattere d’urgenza. Ove l’autorizzazione di rifornire Corfù non possa essere concessa, bisognerà in un prossimo avvenire ritirare tutto il presidio, lasciando l’isola ai tedeschi».
(Talvolta viene erroneamente affermato che Clio e Sirio sarebbero state dirette a Cefalonia, invece che a Corfù. Secondo "Italiani dovete morire" di Alfio Caruso, Clio e Sirio sarebbero inizialmente state dirette a Cefalonia, ma avrebbero cambiato destinazione con Corfù dopo aver ricevuto la notizia, in realtà falsa, dell’occupazione da parte tedesca dei porti di Cefalonia. Altra affermazione non riportata da fonti più autorevoli, spesso citata con riferimento a questo episodio, è che i britannici avrebbero minacciato un attacco aereo sulle due torpediniere se non fossero subito tornate indietro, il che appare francamente esagerato).
19 settembre 1943
Clio e Sirio salpano da Brindisi insieme alla motosilurante MS 33 (quest’ultima, al comando del sottotenente di vascello Renato Bechi, diretta a Corfù con viveri e medicinali) per scortare a Santi Quaranta la motonave Probitas, incaricata di imbarcarvi truppe della 151a Divisione Fanteria "Perugia" da riportare in Italia. Il piccolo convoglio fa scalo intermedio a Corfù; la sua partenza desta nuove proteste da parte britannica, che stavolta vengono ignorate, grazie anche all’appoggio statunitense.
La Divisione "Perugia" (129° e 130° Reggimento Fanteria), comandata dal generale di divisione Ernesto Chiminello, alla proclamazione dell’armistizio era divisa in due blocchi principali, costituiti l’uno dal comando di Divisione con il 129° Reggimento Fanteria ad Argirocastro (Gjirokastra), e l’altro dal 130° Reggimento Fanteria a Tepeleni (Tepelenë).
Il 130° Fanteria, posto sotto il controllo del colonnello Giuseppe Adami (vicecomandante della Divisione) e del colonnello Eugenio Ragghianti (comandante del reggimento), si è venuto a trovare isolato e senza ordini e, dopo lunghe traversie, accordi traditi dalle controparti e scontri sia con i tedeschi che con gli albanesi, ha finito col cedere le armi il 14 settembre; i suoi uomini sono stati avviati verso i campi di prigionia di Mavrova e Drashovica, nei pressi di Valona, dove già erano stati rinchiusi gli uomini della Divisione "Parma". La notte successiva, tuttavia, un imponente attacco dei partigiani albanesi contro questi campi ha permesso a molti uomini del 130° Fanteria e della "Parma" di fuggire; senza cibo, armi o comando, si sono diretti verso Santi Quaranta, dove sperano di trovare imbarco per l’Italia, dormendo all’aperto, macellando muli e cavalli e poi barattando anche capi di vestiario con la popolazione locale per avere un po’ di cibo. Il sottotenente Renato Ughi della Guardia di Finanza (egli stesso, appartenente al Battaglione G.d.F. di Valona, è stato catturato dai tedeschi ed è poi fuggito) ha istituito, in collaborazione con i partigiani albanesi, un posto di sosta col quale gli sbandati in arrivo vengono rifocillati, registrati ed inquadrati in gruppi di almeno 100 uomini, che vengono poi avviati verso Santi Quaranta.
Ad Argirocastro, il generale Chiminello ha negoziato con il comandante di una colonna tedesca di passaggio, ottenendo di rimanere in armi a patto di non muoversi dalla città,  ed ha poi respino un attacco da parte dei partigiani albanesi; giunta poi la notizia che il porto di Santi Quaranta è ancora in mano italiana, i comandanti dei reparti del 129° hanno deciso di raggiungerlo, nella speranza di riuscire a imbarcare le truppe su qualche nave che possa portarle in Italia, ed il 16 settembre anche questo secondo blocco della "Perugia" si è quindi messo in marcia verso Santi Quaranta, nonostante l’iniziale contrarietà di Chiminello.
La guarnigione italiana di Santi Quaranta, forte di circa cinquemila uomini, si è trasferita a metà settembre a Corfù, andando a rinforzare il presidio di quell’isola; anche il personale di Marina è andato a Corfù, sebbene successivamente il comandante della Capitaneria di Porto, capitano di porto Gaspare Pugliese, sia stato rimandato a Santi Quaranta per dirigere l’imbarco delle truppe.
20 settembre 1943
Imbarcati a Santi Quaranta 1750 (o 1760) soldati, perlopiù del 130° Reggimento Fanteria, la Probitas fa ritorno a Brindisi scortata da Clio e Sirio.
6 ottobre 1943
La Clio e la corvetta Urania salpano da Augusta alle 10.16 per scortare a Taranto la nave cisterna britannica Laurelwood: si tratta della prima nave Alleata a navigare sotto scorta di unità italiane, nel quadro della “cobelligeranza” tra l’Italia e gli Alleati.
Il 23 settembre l’ammiraglio Raffaele De Courten, capo di Stato Maggiore della Marina italiana, e l’omologo Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet britannica, hanno raggiunto a Taranto un accordo sull’impiego delle navi italiane; le modalità di applicazione dell’accordo, definite dall’ammiraglio italiano Alberto Da Zara e dal britannico Power, sono entrate in vigore dal 4 ottobre.
7 ottobre 1943
Verso le dieci del mattino la Laurelwood, ignorando i ripetuti segnali della Clio, entra in un campo minato ed alle 10.35 urta una mina, riportando seri danni. La Clio richiede a Taranto l’invio di due rimorchiatori, subito inviati, e riceve poi ordine di proseguire per Taranto da sola. La Laurelwood riuscirà poi a rimettere in moto e raggiungere Taranto con l’assistenza dei rimorchiatori e la scorta dell’Urania.
Dicembre 1943
Durante tutto il mese la Clio scorta naviglio Alleato da e per Napoli, percorrendo circa 1700 miglia in 170 ore di moto.
21 dicembre 1943
La Clio salpa da Palermo in tarda serata insieme alla vecchia torpediniera Giacinto Carini, per scortare ad Augusta un convoglio formato dal piroscafo italiano Lucera, dalla piccola nave cisterna britannica Empire Fay, dal piroscafo britannico Portsea e dallo statunitense Conasauga, nonché dal sommergibile italiano Diaspro.
23 dicembre 1943
Il convoglio arriva ad Augusta in mattinata.
Fine 1943-1945
Durante la cobelligeranza la Clio viene impiegata principalmente nella scorta di naviglio Alleato tra i porti nordafricani, Malta, l’Italia continentale, la Sicilia e la Sardegna.
25 dicembre 1943
Trascorre il Natale in porto a Palermo.
30 dicembre 1943
Alle tre di notte la Clio salpa da Palermo per scortare a Biserta due navi da sbarco statunitensi. Giunta a Biserta alle 16, dopo un navigazione con mare mosso in peggioramento (forza 6/7 all’arrivo), che causa forte rollio, e forte vento da nord, non riesce ad entrare in porto – a differenza delle navi da sbarco – a causa del mare mosso, che rischia di spingerla sugli scogli o di farla traversare e capovolgere. Nell’impossibilità di entrare, il comandante decide di mettersi alla fonda in rada, filando in mare entrambe le ancore e tenendo le caldaie sotto pressione ed il personale al posto di manovra. Durante la notte, tuttavia, le ancore iniziano ad arare il fondale e la nave rischia di finire sugli scogli, pertanto il comandante fa salpare l’ancora (una; l’altra si è impigliata negli scogli fino alla rottura della catena) e dirigere verso il mare aperto, dove la Clio si mette alla cappa.
Da questo momento, come scrive il fuochista della Clio Elio Cerrato nel suo diario, “per tre notti e due giorni navigammo non per nostra volontà, ma solo per non essere travolti. Con visibilità zero, senza poter fare il punto nave, senza bussola, soli in mezzo a onde di 9/10 metri, piccola unità alla mercé di forze immani. (…) La nave aveva raggiunto un beccheggio impressionante, veri baratri ci inghiottivano dandoci la sensazione di precipitare, fino a quando la prua sparita sul fondo dell’incavo dell’onda non riusciva a risollevarsi puntando al cielo, mentre un peso enorme sembrava comprimerci le membra. Tutto era poi accompagnato da tonnellate d’acqua che si rovesciavano sulle strutture, da sbandate che sembravano capovolgerci, da sussulti e da scricchiolii”. La furia del mare, oltre a piegare draglie e passamani e spazzare via le zattere Carley, asporta per intero i due scaricabombe antisommergibili e la relativa riserva di bombe di profondità; a centro nave vengono scoperte delle incrinature nelle lamiere dello scafo per tratti di una ventina di centimetri, segno che le lamiere stanno cedendo per fatica, con rischio che la nave si spezzi in due. Il comandante dà ordine di gettare in mare tutto il materiale di coperta non indispensabile alla navigazione, per alleggerire la nave: il personale non di servizio, legato con cime per evitare che le onde, che spazzano la coperta ed arrivano anche a sommergere il complesso prodiero da 100/47 mm, lo trascinino in mare, provvede a gettare fuori bordo tutte le riservette di cannoni e mitragliere ed anche i siluri. La radio lancia per tre volte una richiesta di aiuto, poi anche le batterie accumulatori vengono filate a mare. Le pompe lavorano ininterrottamente per espellere l’acqua imbarcata (nel locale fuochisti il livello arriva a 40 centimetri); una pompa va in avaria, avendo bruciato i pressatrecce a causa della continua attività, e viene riparata dai fuochisti che devono lavorare seminudi nell’acqua mista a nafta.
1° gennaio 1944
Durante la notte la caldaia numero 1 va in avaria, ma viene rapidamente approntata la due; verso mezzogiorno, però, va in avaria la motrice prodiera, che non può essere riparata, costringendo la nave a navigare con la sola elica sinistra.
Con l’acqua per le caldaie prossima all’esaurimento (prima della partenza da Palermo i serbatoi non sono stati riempiti, essendo prevista solo una navigazione di poche ore), il comandante dà ordine di riunire tutto il materiale galleggiante e tenersi pronti ad abbandonare la nave quando le macchine si fermeranno. Da ultimo si decide di alimentare la caldaia con acqua di mare, anche se ciò danneggerà le tubature: se la caldaia si fermasse sarebbe la fine. Di nuovo dalle parole di Elio Cerrato: “Avvinghiato alle draglie di protezione, guardai uno spettacolo che non dimenticherò mai. Tutto intorno a me vidi i segni delle lunghe ore di assalto delle onde, devastazione ovunque e una coltre di salsedine su tutte le cose. La nave aveva perso quel senso di vitalità che avevo sempre avvertito, tutto era opaco e deserto, sembrava desolatamente abbandonata a sé stessa. Alle mie spalle avvertii un rumore e mi girai, come fosse azionato da serventi fantasma, il pezzo n. 2 brandeggiava con l’otturatore aperto, per tutti i suoi 220 gradi di brandeggio, come cercasse un nemico con cui battersi e attendendo di essere caricato dal proiettile. A poppa non vidi più le tramogge porta bombe di profondità, e le serrette porta munizioni, vuote del loro contenuto, sbatacchiavano i portelli non più chiusi. Sulle plancette di comando non vidi anima viva, ma in quel momento pensai a quel ragazzo che era al timone, certo sveglio e capace, che guidava la nave a lottare contro gli enormi marosi che ancora l’assalivano. (…) Se non avessi osato uscire all’aperto, avrei perso l’unica occasione nella mia vita di marinaio di vedere un pagliuzza di 1200 tonnellate lottare e vincere contro la tremenda forza di quel mare in tempesta. (…) Seguii con lo sguardo la prua mentre scavalcata un’onda, prima lentamente poi sempre con più velocità, scendeva verso il fondo di un avvallamento. La prua molto bassa, dal mio punto di osservazione, si immergeva e poi spariva dalla vista fino all’altezza della plancia nell’onda che seguiva, mentre la cresta ci sovrastava di parecchi metri. A quel punto i primi sussulti, la nave sembrava fermarsi, frenata nella sua cOrsa da una forza poderosa. Sentivo lo scafo vibrare con sordi tonfi, mentre lentamente e pesantemente si riportava in assetto normale. Ora l’inclinazione si invertiva e sempre più velocemente la prua puntava al cielo, tanto che dovevo tenermi forte per non cadere all’indietro. Riemergeva grondante d’acqua, scaricandosi del peso di tonnellate di ribollente schiuma che ricadeva dalle fiancate, mentre quella che aveva superato il salvaonde sul castello si precipitava giù per le scalette laterali sulla coperta, inondando i sottopassaggi, le cucine, i gabinetti e gli “osteriggi” delle macchine, comprese le bocche di aspirazione dei ventilatori. Raggiunto ancora l’assetto sul culmine dell’onda, già avvertivo di nuovo che stavamo inclinandoci di prora verso la prossima ondata. Mi girai verso poppa e la vidi salire alta su di me, mentre avvertivo il rumore dell’elica che, per la diminuita presa sull’acqua, aumentava di giri. (…) andai verso il portello che dava nell’anticastello. La porta stagna era chiusa e io l’aprii d’impeto, ma non ebbi il coraggio di entrare. Rimasi sulla soglia ammutolito, il locale era semibuio e un tanfo di aria stantia e puzzolente mi colpì come uno schiaffo. (…) Il locale era pieno zeppo di gente che semisdraiata sui salvagenti pareva dormisse, io non parlai e nessuno mi interpellò. (…) Non essendoci altri ripari possibili, in quell’angusto locale senza aerazione, si erano ammassati tutti gli uomini di coperta, i cannonieri, i siluristi, i mitraglieri e i torpedinieri (…) molti certamente si sono sentiti male e forse i più non avrebbero neanche avuto la forza di alzarsi per porsi in salvo, se la nave avesse dovuto essere abbandonata”. Un agnellino, portato a bordo vivo per essere cucinato durante i festeggiamenti di capodanno, annega nel pozzo degli assi delle eliche.
2 gennaio 1944
Prima dell’alba vanno in cortocircuito i motori elettrici del comando idraulico del timone, costringendo a passare a comandi manuali d’emergenza, legando i bracci di leva del timone con corte che vengono poi tirate dalla coperta. Qualche ora dopo, il mare va finalmente calmandosi e viene avvistata la costa sarda.
Dopo aver lottato per 67 ore contro la furia del mare, la Clio riesce finalmente ad entrare a Cagliari, dove già la si dava per perduta.
5 novembre 1944
La Clio salpa da Taranto alle 6.05 diretta a Malta, con a rimorchio il sommergibile tascabile CB 10 (guardiamarina Mario Falchi).
8 novembre 1944
Arriva a Malta alle 2.50.
1945-1946
Finita la guerra, la Clio viene inizialmente adibita a trasporto di personale e materiale tra i porti della costa tirrenica e la Sardegna, data la carenza di collegamenti regolari in seguito alla falcidia bellica della flotta mercantile. Successivamente adibita a compiti addestrativi.
Gennaio-Febbraio 1947
Posta a disposizione dell’Accademia Navale di Livorno.

La Clio a Venezia (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

1947
La Clio è tra le navi lasciate alla Marina Militare italiana, non più regia, dal trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati firmato a Parigi il 10 febbraio.
1948
La Clio si trova in riserva, assegnata alla III Divisione Navale.
Successivamente viene assegnata alla III Squadriglia Torpediniere, partecipando ai normali cicli addestrativi delle Forze Navali, comprese crociere ed esercitazioni NATO dopo l’adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica nel 1949. Viene anche sporadicamente impiegata nel servizio di vigilanza della pesca.
1950
È comandante della Clio il capitano di corvetta Aldo Baldini.

Aldo Baldini (USMM)

1951-1952
Sottoposta a lavori di rimodernamento e sostituzione dell’armamento, svolti nell’Arsenale di Taranto e protrattisi per circa sei mesi: vengono sbarcati i quattro tubi lanciasiluri ed uno dei pezzi da 100/47 mm, e viene installato un lanciatore antisommergibili "Porcospino" ("Hedgehog" Mk 10, a 24 canne, da 178 mm), nonché radar e sonar.
Riprende poi l’attività di squadra, partecipando anche a varie esercitazioni NATO in acque extrametropolitane.


La Clio a Taranto negli anni Cinquanta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)


1952
Riclassificata corvetta (altra fonte parla di “corvetta veloce”; per altra ancora sarebbe stata riclassificata torpediniera di scorta nel 1952-1953, e corvetta il 10 aprile 1957).

La Clio nel 1953 (da Navypedia)

Maggio 1956
Assegnata al I Gruppo Forze Navali di Riserva. Svolge ormai attività piuttosto ridotta.

La nave in una foto del 1° novembre 1955 (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

10 aprile 1957
Riceve il nuovo codice identificativo F 555 (per altra fonte lo avrebbe ricevuto già nel 1953).
1958
Altri lavori di modifica dell’armamento; vengono eliminati gli ultimi due cannoni da 100/47 mm, al cui posto sono installate due mitragliere singole Mk 3 da 40/60 mm.

La Clio in uscita da Taranto, preceduta dalla Sirio, negli anni Cinquanta (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

31 ottobre 1959
Radiata dai quadri del naviglio militare, atto formalizzato con decreto del presidente della Repubblica 74419 del 19 gennaio 1960. Successivamente demolita in data imprecisata (fotografie la mostrano ancora in disarmo al Varignano nel settembre 1964).
 

Sopra, la Clio a Livorno il 18 luglio 1960 (foto Guido Alfano, via Coll. Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net); sotto, al Varignano nel settembre 1964, quando era impiegata come nave bersaglio (g.c. Giorgio Arra)


 
Le torpediniere Spica tipo Alcione sul sito della Marina Militare
La Clio su Trentoincina
Le torpediniere classe Spica su Navypedia
Marinai in guerra: 1940-45: diari di tre ventenni
Discussione sull’affondamento del Narval su Forum AIDMEN)
La storia del Narval