La Gazzella nel febbraio 1943 (Coll. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Corvetta della serie
Antilope della classe Gabbiano (640 tonnellate di dislocamento in carico
normale, 740 a pieno carico). Portava la sigla C 20.
Trascorse tutta la
sua brevissima vita operativa nelle acque della Sardegna; prima della sua
perdita fece in tempo ad effettuare 63 missioni, perlopiù di scorta convogli (16)
e di caccia antisommergibili (20), tutte in Mar Tirreno, percorrendo complessivamente
8847 miglia nautiche e trascorrendo 38 giorni in mare.
Breve e parziale cronologia.
20 gennaio 1942
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno (numero di costruzione 207 o 229).
La Gazzella in costruzione (Coll. Achille Rastelli) |
9 maggio 1942
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno.
Sopra, il
varo; sotto, la Gazzella durante l’allestimento
(Coll. Achille Rastelli)
6 febbraio 1943
Entrata in servizio.
Assegnata alla I
Squadriglia Corvette, viene inviata a La Spezia per la fase di addestramento
iniziale.
11 aprile 1943
La Gazzella salpa da Messina alle 4.50,
insieme alla gemella Driade (tenente
di vascello Oscar Gran), scortando la motonave Carbonello ed il rimorchiatore di salvataggio Salvatore Primo.
Successivamente, il
piccolo convoglio si scinde: la Carbonello,
diretta in Tunisia, prosegue verso sud con la scorta della Driade; Gazzella e Salvatore Primo, diretti a La Maddalena –
dove il rimorchiatore dovrà prendere a rimorchio l’incrociatore pesante Gorizia, gravemente danneggiato da un
bombardamento aereo il giorno precedente e destinato ad essere trasferito
urgentemente a La Spezia –, fanno invece rotta per la Sardegna.
12 aprile 1943
Giunta a La
Maddalena, la Gazzella ne riparte alle
23.30 insieme al Salvatore Primo, ad
un altro rimorchiatore, alle gemelle Minerva
e Danaide, ai cacciatorpediniere Camicia Nera e Vincenzo Gioberti ed alla cannoniera Zagabria, scortando il Gorizia
che lascia la base sarda alle 23.30 per trasferirsi a La Spezia.
L’incrociatore, per quanto malconcio, procede con i propri mezzi: quattro
caldaie sono in funzione, e le due motrici riescono a sviluppare la velocità di
15 nodi. I due rimorchiatori sono aggregati alla formazione soltanto per
intervenire in caso di necessità.
13 aprile 1943
La traversata avviene
a 15 nodi, con la seguente formazione: il Gorizia
al centro, preceduto da uno dei cacciatorpediniere e seguito dall’altro; le tre
corvette e la Zagabria (attrezzata
anche come cacciasommergibili), a maggiore distanza, formano un “quadrilatero”
attorno all’incrociatore danneggiato. I due rimorchiatori procedono anch’essi
uno a proravia e l’altro a poppavia del Gorizia,
ma a distanza molto più ravvicinata rispetto ai cacciatorpediniere. Le navi
godono inoltre di scorta aerea.
Gorizia e scorta raggiungono La Spezia alle 16.55, dopo una navigazione
priva di inconvenienti (secondo altra fonte, invece, la Gazzella sarebbe entrata in collisione con la torpediniera Giuseppe Dezza, riportando alcuni danni
di modesta entità).
La Gazzella torna poi a La Maddalena,
assegnata alla II Squadriglia Corvette di stanza in quella base. (Secondo il ricordo
del marinaio segnalatore Clementino Lutzu, la Gazzella sarebbe stata dislocata a La Maddalena in sostituzione
della gemella Driade, rimasta
danneggiata in quelle acque; notizia che richiede verifica).
(g.c. STORIA Militare) |
19 aprile 1943
Mentre si trova a La
Spezia, la Gazzella viene leggermente
danneggiata durante un pesante bombardamento da parte di 170 quadrimotori della
RAF, che sganciano 416 tonnellate di bombe, causando immani distruzioni
nell’abitato ed affondando in porto il cacciatorpediniere Alpino.
Riparati i modesti
danni subiti, la Gazzella torna a La
Maddalena e riprende il servizio con la II Squadriglia Corvette.
10 giugno 1943
La Gazzella, insieme alle gemelle Folaga e Danaide, viene inviata a dare la caccia al sommergibile Safari, che ha silurato ed affondato il
trasporto militare tedesco KT 12 al
largo di Orosei (nel punto 40°21’ N e 09°45’ E), ed a recuperare i naufraghi
della nave affondata.
Le corvette non
riescono a trovare il Safari, che
dopo l’attacco si è immediatamente allontanato dalla zona del siluramento,
mentre traggono in salvo 39 sopravvissuti, su un totale di 66 uomini imbarcati
sul KT 12.
Giugno-Luglio 1943
Esegue missioni di
scorta a convogli costieri e rastrelli antisommergibili nelle acque della
Sardegna, insieme ad unità gemelle tra cui Driade,
Ibis, Euterpe, Persefone.
L’affondamento
Nella notte tra il 4
ed il 5 agosto 1943 la Gazzella, al
comando del tenente di vascello Arrigo Montini (31 anni, da Rimini, parente del
futuro papa Paolo VI), effettuò una missione di rastrello antisommergibili nelle
acque di Porto Torres, insieme alla gemella Minerva.
Al termine della missione, le due corvette ricevettero dal Comando Marina della
Maddalena l’autorizzazione di rientrare in quella base, seguendo le rotte
costiere.
Durante la
navigazione verso La Maddalena, con rotta est, la Gazzella uscì dalla rotta di sicurezza e finì in un campo minato
posato appena qualche giorno prima dai posamine tedeschi Pommern e Brandenburg:
alle 5.08 del 5 agosto la corvetta urtò una mina e si spezzò in due a proravia
della plancia, affondando in appena un minuto nel punto 40°54’ N e 08°38’ E, al
largo di Castelsardo ed a nord dell’Asinara.
Il campo
"amico" sul quale era saltata la Gazzella
faceva parte di una serie di sbarramenti minati posati lungo le coste sarde
nell’estate 1943, per ostacolare possibili sbarchi angloamericani. In
quell’infuocata estate, in previsione ed ancor più in seguito allo sbarco
Alleato in Sicilia, posamine italiani e tedeschi erano stati impegnati nella
posa di sbarramenti antisbarco in tutte le possibili zone dove era ritenuto
possibile uno sbarco angloamericano: la Sardegna, la Corsica, l’Italia
meridionale, la Grecia, le isole dell’Egeo.
Nell’ambito di questa
campagna di minamento di massa in funzione antisbarco, tra l’aprile e l’agosto
1943, ben 4470 mine erano state posate lungo le coste sarde: 1543 italiane e
2983 tedesche, suddivise in 25 sbarramenti. Campi minati erano stati posati nel
Golfo di Palmas, nelle acque delle isole di San Pietro e Sant’Antioco, al largo
di Alghero e di Oristano, nel Golfo di Cagliari, nelle Bocche di Bonifacio ed
appunto nel Golfo dell’Asinara. Ad effettuare la posa erano stati i posamine
italiani Vieste, Buccari e Durazzo, il
posamine ausiliario Mazara, la nave
cisterna Volturno, la nave trasporto
munizioni e posamine Buffoluto, il
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e
due unità tedesche, i posamine Pommern
(cui sarebbe poi toccato a sua volta, nell’ottobre 1944, di affondare su una
mina “amica”) e Brandenburg. Proprio
questi ultimi, insieme al Mazara,
avevano posato i campi minati a protezione del Golfo dell’Asinara: tre
sbarramenti, per un totale di 410 mine magnetiche tedesche, tutte posate il 20
luglio 1943. Lo sbarramento più esterno e più corto, a nordest dell’Asinara,
era composto da 86 mine in due spezzate; quello “intermedio”, il più esteso (ad
est dell’Asinara), comprendeva 208 mine in tre spezzate e sbarrava pressoché
totalmente l’accesso del Golfo da nord, interrompendosi poco prima della costa;
il terzo sbarramento, quello più interno, era formato da 116 mine in due
spezzate, a est/sudest dell’Asinara. Proprio su quest’ultimo sbarramento di 116
ordigni, posati da Pommern e Brandenburg, finì tragicamente la breve
esistenza della Gazzella.
Secondo qualche
articolo (che non sembra però trovare riscontro nel volume "La guerra di
mine" dell’Ufficio Storico della Marina Militare), le unità tedesche
impegnate in quel periodo nella posa di campi minati antisbarco lungo le coste
della Sardegna non avrebbero riferito ai comandi italiani l’esatta posizione e degli
sbarramenti che posavano, né il tipo di mine usate, covando ormai forte
diffidenza nei confronti del traballante alleato, cui vennero fornite solo
informazioni vaghe e limitate: ciò avrebbe contribuito alla perdita della Gazzella. Questo sembra però piuttosto
strano, dal momento che Pommern e Brandenburg, in gran parte di quelle
missioni di posa, operarono congiuntamente con il cacciatorpediniere italiano Vivaldi, e che altri posamine italiani –
tra cui, nell’operazione condotta il 20 luglio nel Golfo dell’Asinara, il Mazara – contribuirono ampiamente alla
posa di campi minati sulle coste sarde, ergo i Comandi italiani avrebbero
dovuto essere al corrente della posizione degli sbarramenti. Tanto più che, se
il Comando Marina della Maddalena aveva tracciato una rotta di sicurezza, che
le due corvette stavano seguendo e dalla quale la Gazzella deviò, ciò presupponeva la conoscenza della posizione dei
campi minati.
La Minerva accorse prontamente in soccorso
dei naufraghi dell’unità gemella, ma poté recuperare soltanto 36 superstiti,
meno di un terzo dell’equipaggio: gli altri erano affondati con la nave. Molti
uomini, data l’ora, stavano dormendo negli alloggi al momento dell’esplosione,
e non ebbero scampo; si salvò quasi esclusivamente il personale di guardia in
plancia ed in coperta.
Il marinaio
idrofonista Claudio Miniussi, messosi in salvo su di una zattera, lasciò per
cinque volte la sicurezza di quel galleggiante per andare a soccorrere i
compagni che annaspavano in mare: ogni volta, raggiunto un commilitone, lo
portò con sé fino alla zattera, poi tornò in acqua per andare in soccorso di
altri. Miniussi raggiunse anche il comandante Montini, che tuttavia respinse la
sua offerta di portarlo in salvo, dicendogli di occuparsi degli altri
naufraghi; prima di lasciarlo, comunque, Miniussi gli diede il proprio
salvagente. Per il suo eroismo, Miniussi sarebbe stato in seguito decorato con
la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Anche il marinaio
Giuseppe Sorrenti si prodigò per aiutare e incoraggiare i compagni in
difficoltà finché ebbe forze; poi, scomparve tra le onde.
In base all’Albo dei
caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale, risulta
che 79 tra ufficiali, sottufficiali e marinai persero la vita nell’affondamento
della Gazzella. (Un articolo del
giornale “La Nuova Sardegna” del 10 agosto 2002 afferma che vi furono 101
vittime e 29 sopravvissuti, e molti siti Internet parlano di un centinaio di
vittime, ma non viene indicata alcuna fonte).
Tra i sopravvissuti
era il comandante Montini, che al momento dell’esplosione stava dormendo in brandina
e dunque non si trovava in plancia. Secondo quanto dichiarato dall’ormai
novantenne Montini quando venne intervistato sull’accaduto nei primi anni 2000
(nel 2002 dalla Marina Militare e nel 2005 da ricercatori del "Mondo
Sommerso Explorers Team" durante la realizzazione di un documentario
sull’affondamento della nave), la Gazzella
finì sulle mine per un errore di navigazione commesso dal comandante in seconda
(anch’egli sopravvissuto), che al momento del disastro dirigeva la navigazione
stando in plancia. Secondo il racconto di Montini, prima di ritirarsi a riposare
in sala nautica – essendo ammalato – egli aveva tenuto una riunione in plancia
insieme al comandante in seconda, all’ufficiale di rotta (guardiamarina
Riccioti) ed al direttore del tiro, nella quale aveva ordinato al “secondo” di
seguire le rotte di sicurezza indicate dal Comando Marina della Maddalena, che
seguivano rasenti la costa. Il comandante in seconda avrebbe proposto di
seguire una rotta diversa e più breve, rettilinea, “tagliando” attraverso il
Golfo dell’Asinara per puntare direttamente su La Maddalena; Montini,
arrabbiandosi, avrebbe ribadito l’ordine di seguire la rotta più scomoda ma
“sicura”, della quale aveva sottolineato l’importanza, per poi ritirarsi a
dormire. Il comandante in seconda, violando queste disposizioni (forse per la
fretta di rientrare alla base) o commettendo un errore di rotta, sarebbe uscito
dalla rotta di sicurezza, avvicinandosi troppo all’estremità meridionale dello
sbarramento di 116 mine posato il 20 luglio da Pommern e Brandenburg, e
finendo così con l’urtare uno di quegli ordigni.
Queste affermazioni
andrebbero tuttavia verificate leggendo la documentazione della Commissione
d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) relativa alla perdita della Gazzella, conservata presso l’Archivio dell’Ufficio Storico della
Marina Militare.
Un altro superstite
fu il marinaio torpediniere Pietro Santoro, di ventun anni, da Bari: chiamato
alle armi nel luglio 1942 per il servizio di leva, era imbarcato sulla Gazzella dal 16 dicembre 1942, prima
ancora del suo completamento. Al momento del disastro, Santoro si trovava di
guardia in coffa, sull’albero: quando la nave urtò la mina ed esplose, il
giovane marinaio si sentì lanciato in aria, poi cadde in mare, perdendo i
sensi. Li riprese dopo un’ora, a bordo della Minerva; sbarcato a La Maddalena con gli altri naufraghi della Gazzella, il 6 agosto venne trasferito
all’Ospedale Militare Marittimo di Riserva di Arzachena, dove fu ricoverato per
«ferita penetrante nella regione tibiale
anteriore piede destro, ferita da taglio guancia, contusione escoriate fianco
gomito sinistro». Dopo essere guarito dalle ferite, sarebbe stato imbarcato
proprio sulla Minerva, la gemella che
accompagnava la Gazzella al momento
dell’affondamento e che ne salvò i superstiti. Congedato nel dicembre 1945, si
considerò per tutta la vita un miracolato, spegnendosi nel 1999 all’età di 77
anni.
Un altro membro
dell’equipaggio della Gazzella, il
segnalatore Clemente Lutzu da Nuchis (Tempio Pausania), non figurava invece tra
i 36 superstiti perché quel giorno non era a bordo: aveva ottenuto un permesso speciale
di due giorni per vedere la famiglia. Appena diciannovenne, Lutzu non vedeva la
casa da diciotto mesi; i suoi genitori non sapevano nemmeno se fosse vivo o
morto, e cogliendo l’occasione della presenza della Gazzella a La Maddalena, poco distante dal suo paese natale, il 4
agosto il giovane marinaio aveva chiesto un permesso al comandante Montini,
“scavalcando” il comandante in seconda (descritto da Lutzu, settant’anni più
tardi, come "persona severa e rigorosamente attaccata al senso del dovere",
il che per la verità renderebbe piuttosto strana la sua presunta disobbedienza
agli ordini relativi alla rotta da seguire). Montini, che aveva preso Lutzu in
simpatia, gli aveva chiesto se fosse sicuro di riuscire a far visita alla
famiglia e tornare a bordo entro la scadenza del permesso; Lutzu aveva risposto
affermativamente, ed il comandante gli aveva concesso la licenza. Trasbordato
su una pirobarca, che l’aveva sbarcato a mezzanotte e dieci sulla spiaggia tra
Palau e Santa Teresa di Gallura, aveva poi raggiunto Palau camminando a piedi
per tutta la notte con due valigie in mano; giunto in paese alle cinque del
mattino, era salito su un trenino che portava a Tempio Pausania. Aveva
finalmente riabbracciato i genitori e si trovava con loro nella vigna di
famiglia, quando il mattino del 5 agosto era arrivato un biglietto inviato
dallo zio Francesco Rais, comandante del dragamine RD 41. Il messaggio diceva soltanto: "Tanti auguri per lo scampato pericolo. Stamane alle 4,30 la Gazzella è
andata a fondo. Molti dell'equipaggio sono morti, gli altri sono in ospedale".
Precipitatosi
all’ospedale di Arzachena, ospitato nella scuola del paese, dov’erano stati
portati i suoi compagni sopravvissuti, Lutzu vi trovò il comandante Montini,
relativamente indenne ma completamente nero per via della nafta che lo
ricopriva dalla testa ai piedi. Montini gli disse semplicemente: "Lutzu,
mi devi la vita".
Nel 2001, Lutzu
avrebbe rincontrato per la prima volta un altro ex marinaio della Gazzella: Angelo Scuncio, da Piedimonte
Malese. Era stato Scuncio ad organizzare l’incontro, inviando al suo vecchio
commilitone una lettera indirizzata semplicemente a “Lutzu-Nuchis”: nonostante
l’assenza di altri dettagli come il nome o l’indirizzo del destinatario, la
missiva era incredibilmente giunta a destinazione. Qualche tempo dopo Lutzu
incontrò anche il furiere Giuseppe Bradina, che invece era sbarcato dalla Gazzella alcuni mesi prima
dell’affondamento.
Per i tanti uomini
della Gazzella che non ebbero la
stessa fortuna, come il marinaio Francesco Di Lucchio da Rionero in Vulture,
venti anni, non ci fu nulla di più che una laconica lettera alle famiglie:
"Considerato disperso, fin quando
non darà notizie di sé". Dopo aver lungamente girato per porti e
ministeri, cercando qualsiasi notizia sulla sorte del figlio, i genitori di Di
Lucchio si rassegnarono e deposero nel cimitero del paese una lapide alla sua
memoria, una tomba vuota.
Le vittime:
Francesco Paolo Alessi, marinaio cannoniere,
deceduto
Salvatore Alù, marinaio cannoniere, deceduto
Rodolfo Antonello, sottotenente di vascello,
deceduto
Domenico Aragno, secondo capo cannoniere,
disperso
Roberto Bacci, marinaio cannoniere, disperso
Umberto Baldas, sottocapo cannoniere, disperso
Edo Boglietti, marinaio cannoniere, deceduto
Ugo Bulzamini, marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Canepa, marinaio silurista, disperso
Alfonso Capasso, aspirante guardiamarina,
disperso
Albino Carbone, sottocapo torpediniere,
disperso
Antonio Ciardo, sottocapo cannoniere, disperso
Mario Coladipietro, capo elettricista di terza
classe, disperso
Giovanni Colantonio, marinaio nocchiere,
disperso
Saverio Contenti, marinaio infermiere,
disperso
Pietro Cracchiolo, marinaio, disperso
Felice D’Ambrosio, marinaio, disperso
Amorino De Ambrosi, marinaio, disperso
Italo De Lucchi, marinaio cannoniere, disperso
Angelo De Santis, marinaio torpediniere,
disperso
Giuseppe De Simone, sottocapo, disperso
Carlo Del Ghianda, marinaio motorista,
disperso
Mario Di Giovanni, marinaio cannoniere,
deceduto
Francesco Di Lucchio, marinaio, disperso
Antonio Esposito, marinaio fuochista, disperso
Francesco Fabozzi, marinaio cannoniere,
disperso
Alfredo Fazio, sottocapo elettricista,
disperso
Cirillo Fornezza, secondo capo segnalatore,
disperso
Giuseppe Forno, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Francesco Francini, marinaio elettricista,
disperso
Filippo Frisoni, marinaio elettricista,
disperso
Girolamo Gardin, sottocapo nocchiere, disperso
Attilio Gherlone, marinaio motorista, disperso
Carlo Giliberti, secondo capo furiere,
deceduto
Cosimo Ieraci, marinaio torpediniere, disperso
Pietro Magnoni, marinaio cannoniere, disperso
Remigio Marini, marinaio, deceduto
Domenico Mastrototaro, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Melis, marinaio, disperso
Celestino Modelli, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Alfredo Morelli, marinaio cannoniere, disperso
Aurelio Mulineddu, marinaio torpediniere,
disperso
Giuseppe Murgia, marinaio, disperso
Giuseppe Odoardi, marinaio, disperso
Dino Padoan, marinaio nocchiere, deceduto
Ernesto Padova, marinaio, disperso
Domenico Pagliarulo, capo silurista di terza
classe, disperso
Egidio Paliaga, marinaio motorista, disperso
Eligio Parravicini, marinaio elettricista,
disperso
Bruno Pasquini, marinaio, disperso
Pasquale Patrono, marinaio, disperso
Emilio Plano, marinaio cannoniere, disperso
Gaspare Purpura, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Serafino Raimondo, secondo capo motorista,
disperso
Giuseppe Ridelli, marinaio cannoniere,
deceduto
Vittorio Rizzo, marinaio torpediniere,
disperso
Achille Rossetti, secondo capo motorista,
disperso
Siro Rossi, marinaio torpediniere, disperso
Vincenzo Sardo (o Gottardo), marinaio,
disperso
Francesco Scarlata, sottocapo furiere,
disperso
Mario Schottler, marinaio elettricista,
disperso
Mario Scimone, sottocapo furiere, disperso
Carmelo Sicuso, marinaio cannoniere, disperso
Raffaele Sinisi, sergente infermiere, disperso
Massimiliano Skarabot, capo radiotelegrafista
di seconda classe, disperso
Giuseppe Sorrenti, marinaio, disperso
Luigi Sparro, marinaio elettricista, disperso
Mario Stapane, sottocapo motorista, disperso
Carlo Stoppani, marinaio elettricista,
disperso
Lorenzo Supino, capo meccanico di prima
classe, disperso
Vitantonio Targioni, sottotenente di vascello,
deceduto
Ciro Telesio, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Toni, tenente del Genio Navale, deceduto
Lorenzo Troiano, marinaio, disperso
Angelo Vanasia, marinaio, disperso
Federico Veneroso, marinaio, disperso
Augusto Vetuso, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Vigorito, tenente del Genio Navale,
disperso
Egidio Voltarel, sottocapo nocchiere, disperso
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al marinaio idrofonista Claudio
Miniussi:
«Marinaio imbarcato su corvetta impegnata in zona di mare di intenso
contrasto aeronavale, dopo l’affondamento della sua unità, avvenuto per urto
contro mina, con nobile senso di altruismo lasciava cinque volte la zattera di
salvataggio per condurci i compagni che scorgeva in mare. Scorto infine il
proprio comandante, si offriva di portarlo sulla zattera, ed al rifiuto di
questi, gli lasciava il proprio salvagente, portandosi al soccorso di altri
naufraghi.
(Acque di Porto Torres, 5 agosto 1943)».
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del sottotenente di
vascello Rodolfo Antonello, nato a Milano il 15 dicembre 1916:
«Ufficiale imbarcato su Unità antisommergibile, dava in numerose
circostanze – benché menomato da ferita al ginocchio — prove di non comune
ardimento, di elevato spirito combattivo e di perizia. Nell'affondamento della sua
Nave, per urto contro mina, scompariva in mare, dopo essersi comportato fino
all'ultimo con bravura.
(Acque di Porto Torres, 5 agosto 1943)».
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del tenente del Genio
Navale Direzione Macchine Luigi Toni, nato a Livorno il 24 giugno 1907:
«Ufficiale imbarcato su Unità antisommergibile, dava in numerose
circostanze prova di non comune ardimento, elevata perizia e tenace spirito
combattivo. Nell'affondamento della sua Nave, per urto contro mina, scompariva
in mare, dopo essersi comportato fino all'ultimo con bravura.
(Acque di Porto Torres, 5 agosto 1943)».
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del marinaio Giuseppe
Sorrenti, nato a Capurso (Bari) l'8 dicembre 1920:
«Marinaio disciplinato e coraggioso, chiedeva ed otteneva di seguire il
proprio Comandante in numerose e rischiose operazioni di guerra. Dava così
numerose prove di entusiasmo, noncuranza del pericolo e di ardore combattivo.
Nell'affondamento della sua Nave, per urto contro mina, si prodigava
nell'assistere ed incoraggiare i compagni in pericolo finché scompariva nei
flutti, lasciando esempio di abnegazione ed alto sentimento del dovere.
(Acque di Porto Torres, 5 agosto 1943)».
Il relitto della Gazzella giace oggi nel punto 40°54'843
N e 008°34'568 E, tre miglia al largo di Castelsardo, o più precisamente a
tre miglia da Punta Tramontana
(Valledoria, Golfo dell’Asinara), grosso modo equidistante dagli abitati di
Castelsardo e di Sorso (altra fonte afferma che il relitto si trovi invece a
1,1 miglia dalla costa). Il ritrovamento è avvenuto nel luglio 2002 ad opera di
subacquei locali del Batrokos Diving di Castelsardo (a loro volta informati
della posizione della "secca della nave" dai pescatori del luogo, che
conoscevano da anni la presenza del relitto perché più volte le loro reti vi si
erano impigliate: i più anziani ricordavano anche l’affondamento della Gazzella ed il recupero di alcune
vittime), Romano Ieran ed Antonello Sabino, che vi hanno compiuto anche la
prima immersione, denunciando prontamente la presenza del relitto alle autorità
competenti e descrivendo la nave, le sue condizioni, i punti d’accesso al
relitto ed il suo orientamento. In seguito alla denuncia, il Nucleo SDAI della
Maddalena ha compiuto un primo sopralluogo sulla nave nell’ottobre 2002.
All’epoca del
ritrovamento, la Gazzella aveva
ancora a bordo abbondanti quantità di munizioni, siluri e bombe di profondità,
tali da richiedere un intervento di bonifica condotto dalla Marina Militare nel
maggio 2004. La bonifica è stata effettuata dai reparti SDAI di Cagliari e La
Maddalena con l’appoggio della nave salvataggio Anteo, mediante innumerevoli
immersioni eseguite nell’arco di oltre venti giorni (tra cui una saturazione di
dieci gironi consecutivi); sono state distrutte in tutto 42 bombe di profondità
e due siluri Whitehead da 450 mm, avendo però cura di non danneggiare il
relitto.
La nave giace su un
fondale di sabbia bianca a 56 metri di profondità (la profondità massima è di 60
metri, quella minima di 45); la prua, staccata di 15-20 metri dal resto della
nave, giace adagiata sul lato di dritta, mentre il troncone principale
(centro-poppiero) è in assetto di navigazione. Oggi meta di immersioni, la Gazzella conserva ancora il proprio
armamento ed innumerevoli altri particolari, che lo rendono a giudizio di molti
subacquei uno dei relitti più suggestivi della Sardegna: la prua conserva
ancora l’ancora nell’occhio di cubia ed il cannone scudato da 100/47 mm; sulla
tuga centrale figurano le mitragliere binate da 20 mm, puntate oggi verso la
superficie, ed ai lati i tubi lanciasiluri da 450 mm, orientati verso l’esterno
con un’angolazione di circa 30°, che ancora contengono i siluri (ben visibili
ma privati, nel 2004, della pericolosa testata di guerra di quasi 270 kg di
tritolo, rimossa e fatta brillare dai subacquei della Marina); a poppa sono
evidenti i lanciabombe per le bombe di profondità (privati delle bombe, rimosse
anch’esse nel 2004) e lo scaricabombe poppiero (che invece contiene ancora una
ventina di bombe di profondità, lasciate perché troppo incastrate per poterle
rimuovere senza aprirlo e danneggiarlo), le eliche ed il timone, parzialmente
sprofondati nella sabbia del fondale. I resti della corvetta sono colonizzati
da lussureggiante flora e fauna marina: saraghi di ogni specie e dimensione,
aragoste, mostelle. Un’unica rete da pesa è impigliata nel relitto, sul lato di
dritta dello specchio di poppa. La zona della nave in peggiori condizioni è
quella della plancia, ove avvenne l’esplosione della mina: gli alloggi
dell’equipaggio – dove molti uomini, al momento dell’esplosione, stavano
dormendo – sono dilaniati dalla terribile detonazione; la plancia è
completamente crollata sulla tuga sottostante, mentre è ancora riconoscibile il
fumaiolo.
Accessibili e ben
conservati sono la sala macchine (ove sono visibili i due motori, i manometri,
le bombole antincendio), il quadrato e gli alloggi degli ufficiali (dove
sopravvivono mobili, bagni, scrivanie, brandine), le cucine (ove ancora pentole
e stoviglie rimangono sugli scaffali), la sala carteggio. Ignoti subacquei
hanno invece saccheggiato le luci di via, le lanterne e gli strumenti di
navigazione dai resti della plancia.
Il carrello di una
mina tedesca da ormeggio, silenzioso indice della causa dell’affondamento della
nave, giace sul fondale ad appena una decina di metri dal lato sinistro del
relitto.
Numerosi resti umani
giacciono ancor oggi all’interno del relitto, triste ricordo dei settantanove
uomini che la Gazzella portò con sé
in fondo al mare in un’ormai lontana alba di agosto.