Il MAS 546 (da www.navyworld.narod.ru) |
Breve e parziale cronologia.
Giugno 1938
Impostazione nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1186).
1939
Varo nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
31 agosto 1939
Entrata in servizio.
Il MAS 546 (secondo da sinistra) ormeggiato a Trapani a inizio 1940 insieme ai MAS 543, 547, 548 e 549 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il MAS 546 fa parte della XXII Squadriglia MAS (che forma con i gemelli MAS 545 e MAS 551), a sua volta inquadrata nella III Flottiglia MAS (formata dalle Squadriglie VII, XI, XVI e XXII, con un totale di 14 MAS) di base nel Dodecaneso, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Autonomo delle Isole Italiane dell’Egeo.
I MAS 546, 540 e 541 a rimorchio del posamine Legnano durante una navigazione di trasferimento in Egeo nell’estate 1940 (g.c. STORIA militare) |
Il MAS 546 (tenente di vascello Antonio March), insieme al gemello MAS 541 (guardiamarina Guido Cosulich), ai cacciatorpediniere Francesco Crispi e Quintino Sella ed alle torpediniere Lupo e Lince, parte da Rodi per partecipare alla riconquista dell’isola di Castelrosso, occupata dai britannici due giorni prima con un colpo di mano.
L’operazione britannica, denominata "Abstention", ha preso il via nel pomeriggio del 23 febbraio, quando i cacciatorpediniere Hereward (capitano di fregata Charles Woollven Greening) e Decoy (capitano di fregata Eric George McGregor) sono partiti da Suda con a bordo duecento “commandos” (appartenenti al No. 50 Commando) incaricati di impadronirsi dell’isola con uno sbarco a sorpresa. Il piano britannico prevede che i commandos conquistino l’isola, scarsamente difesa (il modesto presidio italiano consiste in 35 uomini del Regio Esercito e della Regia Marina addetti alla locale stazione di vedetta, al comando del capo radiotelegrafista di seconda classe Filippo Mastropaolo, più una decina tra carabinieri e militi della Guardia di Finanza), per poi essere rinforzati dopo ventiquattr’ore da un reparto di Royal Marines e truppe dell’Esercito (una compagnia del reggimento Sherwood Foresters, al comando del maggiore L. C. Cooper) che dovranno tenere Castelrosso respingendo i successivi contrattacchi italiani. Fine ultimo dell’operazione è di assicurarsi una base avanzata nel Dodecaneso, punto di partenza per future operazioni aeronavali in Egeo.
Sempre nel tardo pomeriggio del 23 febbraio sono partiti da Suda anche gli incrociatori leggeri Bonaventure (capitano di vascello Henry Jack Egerton) e Gloucester (capitano di vascello Henry Aubrey Rowley, nave di bandiera del contrammiraglio Edward de Faye Renouf), forza di copertura dell’operazione, mentre il sommergibile Parthian (capitano di fregata Michael Gordon Rimington) ha effettuato ricognizione periscopica dei punti prescelti per lo sbarco il 18-19 febbraio e deve fungere da faro durante lo sbarco. La cannoniera Ladybird (capitano di corvetta John Fulford Blackburn) è partita da Famagosta (Cipro) alle 23.30 del 23 febbraio con un drappello di 24 Royal Marines da sbarcare a Castelrosso quale primo rinforzo ai commandos, mentre il grosso dei Royal Marines e gli Sherwood Foresters seguiranno il 26 febbraio, trasportati dal panfilo armato Rosaura (capitano di vascello R. Spencer) che partirà da Cipro con la scorta del Bonaventure e dell’incrociatore leggero australiano Perth (capitano di vascello Philip Weyland Bowyer-Smith).
Lo sbarco dei commandos è avvenuto prima dell’alba del 25 febbraio: cinquanta commandos, trasportati da dieci lance baleniere, sono stati sbarcati presso Punta Nifti, all’estremità orientale dell’isola ed a sud dell’abitato di Castelrosso (gli altri sono sbarcati mentre già erano in corso i combattimenti); dopo aver teso un agguato ad un autocarro italiano in viaggio tra Punta Nifti ed il porto, uccidendo due soldati e ferendone un terzo, hanno colto di sorpresa e rapidamente sopraffatto il piccolo presidio italiano, impadronendosi della stazione radio, uccidendo un soldato e catturandone dodici dopo una breve resistenza, ma non prima che un radiotelegrafista riuscisse a trasmettere a Rodi una richiesta di aiuto.
Il messaggio ha determinato l’immediata reazione delle forze italiane del Dodecaneso: già tra le 8.30 e le nove del mattino dello stesso 25 febbraio alcuni bombardieri italiani Savoia Marchetti S.M. 79 e S.M. 81 hanno bombardato il porticciolo, il castello e le alture principali di Castelrosso (dove si sono trincerati i commandos), danneggiando con una bomba la Ladybird, che si trovava nel porticciolo dopo avervi sbarcato il suo drappello di Royal Marines (che avevano proceduto all’occupazione del porto ma sono stati successivamente reimbarcati dopo che il comandante dei “commandos” ha detto di non aver bisogno di loro), ed indotto le navi britanniche ad allontanarsi da Castelrosso (la Ladybird fa ritorno a Cipro), privando i “commandos” della loro copertura e persino del collegamento radio.
Alle 12.15 del 25 febbraio il Comando Superiore Forze Armate dell’Egeo ha poi ordinato la riconquista di Castelrosso, affidando il comando dell’operazione all’ammiraglio Luigi Biancheri, comandante delle forze navali del Dodecaneso. Lo stesso 25 febbraio Lupo (capitano di fregata Francesco Mimbelli) e Lince (capitano di corvetta Guido Cucchiara) sono partite da Rodi alle 15.30, trasportando una compagnia di fucilieri della 50a Divisione Fanteria "Regina" da sbarcare a Castelrosso e l’ammiraglio Biancheri (imbarcato sulla Lince), intenzionato a dirigere personalmente l’operazione; un’ora più tardi hanno lasciato l’isola anche Crispi e Sella, aventi a bordo un reparto di camicie nere ed uno di marinai. Ricognizioni aeree sono state disposte a sud e ad est di Castelrosso, in un raggio di 70 miglia, a tutela delle unità incaricate dello sbarco contro eventuali interventi di forze navali nemiche.
Rallentate dal maltempo, le siluranti italiane sono giunte a Rodi alle otto di sera del 25 febbraio, ed hanno incontrato difficoltà nelle operazioni di sbarco a causa del mare agitato e del forte vento, oltre che per la carenza di imbarcazioni adatte; in conseguenza di ciò e di una segnalazione della Lince relativa a navi nemiche in avvicinamento, che rischierebbero di cogliere le unità italiane all’alba (prima del completamento delle operazioni di sbarco), alle 23.08 l’ammiraglio Biancheri ha deciso di reimbarcare le truppe – fino a quel momento erano stati sbarcati circa 65 uomini del IV Battaglione del 9° Reggimento Fanteria "Regina" e della 201a Legione Camicie Nere "Egea" – e tornare a Rodi, per ritentare lo sbarco di giorno e con migliori condizioni meteomarine. Prima di andarsene, le navi italiane hanno imbarcato anche alcuni civili italiani affluiti nel porto dopo che si era sparsa la notizia del loro arrivo.
Nel frattempo, anche i britannici hanno incontrato difficoltà impreviste: gli attacchi aerei italiani sul porticciolo di Castelrosso hanno portato ad annullare lo sbarco delle truppe da parte del Rosaura nelle ore diurne, rimandandolo alla notte, ma la lentezza dello yacht armato è stata fonte di ulteriori problemi, mentre Hereward e Decoy, incaricati di scortare il Rosaura, si sono ritrovati a corto di carburante a causa di una diversione alla ricerca delle navi italiane (della cui presenza sono stati informati dai commandos: anche questa notizia porta a modificare i piani, essendoci il rischio che le navi italiane attacchino il Rosaura mentre sbarca gli Sherwood Foresters), che non sono riusciti a trovare (dopo essere stato informato dai commandos di quanto stava accadendo, il comandante dell’Hereward ha cercato di ricongiungersi con il Decoy invece di andare immediatamente alla ricerca delle navi italiane, scelta che sarà in seguito pesantemente criticata). Alla fine, alle 2.30 del 26 Rosaura e cacciatorpediniere hanno ricevuto ordine di dirigere su Alessandria, dove il panfilo dovrà trasbordare i Royal Marines sui cacciatorpediniere che, frattanto rifornitisi di carburante, li sbarcheranno a Castelrosso. Nel mentre, i “commandos” possono contare solo sulle proprie forze.
Gloucester, Bonaventure e Decoy sono arrivati ad Alessandria alle otto di sera del 26, mentre Hereward e Rosaura vi giungono solo alle quattro del mattino del 27; il Rosaura trasborda quindi i suoi Marines sul Decoy e sul cacciatorpediniere Hero (capitano di fregata Hilary Worthington Biggs), mentre il comando dell’operazione passa al capitano di vascello Everton del Bonaventure, essendosi sentito male l’ammiraglio Renouf. Alle sette del mattino il Decoy ed il cacciatorpediniere Hasty (capitano di corvetta Lionel Rupert Knyvet Tyrwhitt) lasciano Alessandria per Castelrosso, seguiti dopo un’ora e mezza da Bonaventure, Perth, Hero ed il cacciatorpediniere Jaguar (capitano di corvetta John Franklin William Hine).
Nel frattempo, alle sei del mattino del 27 febbraio Lupo e Lince ripartono da Rodi con le truppe incaricate di riprendere Castelrosso, e con i MAS 546 e 541 a rimorchio (il 546 è il capo sezione dei due MAS); sulla Lince si trova sempre l’ammiraglio Biancheri. (Precedentemente, alle 00.20 è partito il motoveliero requisito Sant'Antonio, carico di viveri e materiale ed incaricato di coadiuvare le operazioni di sbarco. All’alba tre aerei vengono inviati in ricognizione in un raggio di 90 miglia a sud e ad est di Castelrosso). Le navi italiane, che procedono tenendosi lontane dalla costa turca, giungono davanti a Castelrosso alle nove del mattino; alle 9.20, mollato il rimorchio dei due MAS, le torpediniere accostano per l’entrata da ovest.
Alle 9.35 la Lince entra per prima in porto (cinque minuti prima, fumogeni e razzi di segnalazione Very si sono levati dal monte Vigla) ed alle 10.10 dà inizio allo sbarco, coadiuvata dal MAS 541, mentre la Lupo rimane al largo; lo sbarco delle truppe imbarcate sulla Lince viene completato in mezz’ora, mentre da terra truppe britanniche attestate nel cimitero di Castelrosso sparano raffiche di mitragliatrice contro la Lupo, causando alcuni feriti e destando la reazione dei cannoni della torpediniera, che riduce rapidamente i britannici al silenzio. Poi, anche la Lupo – da cui hanno frattanto scostato il MAS 546 ed il Sant'Antonio – entra in porto e sbarca le sue truppe. In tutto, le due torpediniere sbarcano 240 tra soldati e marinai imbarcati a Rodi (una compagnia di fucilieri, un reparto di marinai e due cannoni anticarro da 47/32 mm) e poi due plotoni aggiuntivi di trenta marinai ciascuno, avendo il podestà e la popolazione di Castelrosso raccontato all’ammiraglio Biancheri, esagerando, che i britannici nell’isola sono più di 500. La forza da sbarco è affidata al comando del tenente colonnello Ruggero Fanizza e del capitano di corvetta Alberto Mannini (quest’ultimo comanda i reparti di marinai, oltre un centinaio).
Le due torpediniere appoggiano l’avanzata delle truppe sbarcate con le loro artiglierie, colpendo la zona portuale ed il palazzo del governatore e provocando tre morti e sette feriti tra i commandos. Nel giro di poco tempo vengono riconquistati l’abitato ed il castello, dove sono liberati i soldati italiani del presidio catturati dai britannici (tra cui capo Mastropaolo; altri, che si erano sottratti alla cattura nascondendosi, si ricongiungono con le truppe italiane) e catturata la bandiera britannica che viene portata sulla Lince come trofeo; entro mezzogiorno la compagnia fucilieri s’impossessa dei rilievi del Vigla e del Paleocastro, mentre il reparto di marinai rastrella l’abitato. Alcuni dei commandos vengono catturati, mentre il grosso ripiega verso il cimitero (dove rimane una compagnia di retroguardia) e poi verso Punta Nifti (dov’era stato stabilito l’accampamento principale dopo lo sbarco); l’attacco italiano è appoggiato dalla Regia Aeronautica, che bombarda le posizioni britanniche del Paleocastro e poi di Punta Nifti, e dalle artiglierie delle torpediniere, cui nel primo pomeriggio si unisce anche il Crispi. Questi sbarca un altro plotone di trenta marinai, che va a rinforzare le truppe che combattono nell’isola; i commandos continuano a resistere a Punta Nifti, ed alle 21.10 viene fatto partire da Rodi il Sella (capitano di corvetta Arturo Redaelli) con una sezione di lanciafiamme, per snidarli definitivamente. Sempre da Rodi arrivano due idrovolanti, che portano dei mortai per le truppe attaccanti.
Alle 20.30, per evitare che eventuali forze navali britanniche inviate in aiuto dei commandos possano sorprendere le sue navi (con l’oscurità è venuta a mancare la ricognizione aerea, e dunque la possibilità di avvistamento e preavviso) e per intercettare eventuali invii di rinforzi britannici via mare, l’ammiraglio Biancheri ordina l’uscita dal porto delle sue unità (passando per il passo di levante) e le dispone per la ricerca notturna a rastrello, con Lince (nave ammiraglia), Crispi e Lupo sulla direttrice da Castelrosso fino a trenta miglia a sud con un intervallo di sei miglia tra una nave e l’altra, i due MAS – che escono in mare indipendentemente – in posizione ravvicinata ai due passi d’accesso all’isola, circa tre miglia a sud, ed il sommergibile Galatea una ventina di miglia a sudovest di Castelrosso. In base agli ordini di Biancheri, le siluranti continueranno la crociera fino alle 3.30 del 28 febbraio, dopo di che entreranno a Rodi per non essere tagliate fuori da un eventuale intervento di forze navali avversarie. La notte è estremamente buia, il mare quasi calmo, ma dopo mezzanotte si alza un forte vento ed iniziano piovaschi.
Ricevuto l’ordine dell’ammiraglio Biancheri, il MAS 546 scosta dalla banchina del porto di Castelrosso alle 20.10; seguito dal MAS 541, si dirige in sezione con esso verso il punto quattro miglia a sud del faro di Insili, dove giunge alle 21.30, fermando quindi i motori ed ordinando al MAS 541 di spostarsi due miglia più ad ovest. Messi a mare gli idrofoni, il MAS 546 esegue ascolto idrofonico; di tanto in tanto capta rumore di turbine, ma questi sono attribuiti dal comandante March alle siluranti italiane in crociera poco lontane. Il vento che soffia da sudest fa scarrocciare il MAS dalla posizione assegnata, obbligandolo a più riprese a salpare gli idrofoni e rimettere in funzione i motori ausiliari.
28 febbraio 1941
All’1.09, in seguito a nota trasmessa dalla Lince, il MAS 546 ordina al MAS 541 di dirigersi verso il porto, dov’è previsto l’arrivo del Sella, ma all’1.38 revoca tale ordine in seguito ad una nuova nota della Lince che comunica “nemico in vista”.
All’1.22, infatti, il Crispi ha avvistato due navi – probabilmente cacciatorpediniere – che subito sono sparite nella foschia, prima che la nave italiana avesse finito di accostare per inseguirle; l’ammiraglio Biancheri ordina allora al Sella di non entrare a Castelrosso, ma rimanere al largo in crociera e se possibile ricongiungersi con il resto della formazione.
Le navi avvistate dal Crispi sono quelle provenienti da Alessandria: quando giungono a Castelrosso, sbarcano nella baia di Navalaka un primo plotone degli Sherwood Foresters, che tuttavia sulla spiaggia di sbarco, che dovrebbe essere presidiata dai commandos, trova soltanto munizioni ed equipaggiamento sparpagliati in disordine, il cadavere di un commando e due sbandati che informano il maggiore Cooper del contrattacco italiano. Dopo una breve consultazione con i suoi ufficiali, Cooper conclude che la situazione appare compromessa a causa della mancanza di adeguato supporto aeronavale, e viene dunque deciso di abbandonare l’isola: entro le tre di notte il grosso dei commandos viene frettolosamente reimbarcato sulle navi, che dirigono poi per Suda, mentre gli ultimi rimasti vengono circondati e catturati dagli italiani.
Nel frattempo, il peggioramento delle condizioni meteomarine induce ad ordinare ai MAS di rientrare a Rodi (il MAS 546 riceve tale ordine all’1.50; dopo un po’ perde di vista il MAS 541, rimasto indietro per avaria, e allora rallenta per permettergli di raggiungerlo), mentre le altre siluranti si spostano dapprima verso sud e poi verso ovest, continuando la ricerca. Alle 2.53 il Crispi avvista un’unità identificata come un incrociatore, contro cui lancia due siluri, e poco dopo un terzo; la nave avvistata reagisce con tiro di cannoni e mitragliere, ed il Crispi risponde al fuoco. Si tratta del Jaguar, che sta coprendo la ritirata delle truppe britanniche da Castelrosso (in precedenza, si era portato all’imboccatura del porticciolo ed aveva lanciato quattro siluri contro le unità all’ormeggio, mancandole).
Alle 3.02 il MAS 546, mentre procede isolato verso Rodi, avvista sulla sinistra a ridotta distanza una torpediniera che riconosce come italiana, che defila di controbordo. Cinque minuti dopo avvista sulla sinistra, a circa 4000 metri di distanza a 60° dalla prua, l’accensione di un proiettore, seguita da quella di alcuni illuminanti e da rumore di cannonate; compreso che si tratta di unità avversarie e non sapendo dove sia il MAS 541, dirige per l’attacco isolatamente. Alle 3.13 il MAS 546 avvista due unità in linea di fila (ritenute essere incrociatori: una delle sagome sembra avere due fumaioli), una delle quali ha i proiettori accesi e puntati sul Crispi: portatosi all’attacco dal lato opposto rispetto al Crispi, alle 3.15 lancia in rapida successione due siluri con beta piuttosto stretto (35°-40°) contro la seconda nave britannica – sempre il Jaguar, che sta in quel momento facendo fuoco sul cacciatorpediniere italiano – da 700-800 metri di distanza, ma non colpisce (il primo siluro, quello di sinistra, ha potuto essere puntato correttamente, mentre quello di dritta, lanciato per secondo, parte in ritardo e non puntato correttamente per avaria alla trasmissione di lancio: March scriverà nel rapporto che "Non odo alcuna esplosione. Posso tuttavia assicurare che il primo siluro è stato ben tirato"). L’ammiraglio Biancheri giudicherà comunque che la sua azione abbia agevolato il disimpegno del Crispi (ed inoltre indicherà nel rapporto: "Il MAS 541 [refuso, in realtà 546] non esclude di aver colpito con un siluro esattamente lanciato: però non ha udito alcuna esplosione. Ritengo incerti entrambi i bersagli [questo ed un altro rivendicato dal Crispi] pur senza escluderli"). Preso sotto il tiro di mitragliere di grosso calibro mentre illuminanti si accendono nei suoi pressi, dopo il lancio il MAS 546 accosta a dritta e si allontana verso la costa turca, per poi rimettere in rotta verso Rodi non appena completato il disimpegno.
Alle 3.30, ormai perso il contatto con l’avversario, tutte le navi dirigono su Rodi, come da ordini. Il MAS 546 vi arriva alle 6.47, andandosi ad ormeggiare nel porticciolo del Mandracchio; il MAS 541 lo raggiunge alle sette in punto, così come le altre navi. Una ricerca notturna da parte dei cacciatorpediniere britannici Nubian, Hasty e Jaguar tra Rodi e Castelrosso, sulla base di un contatto radar e dell’intercettazione di traffico radio nella zona, risulta infruttuosa.
Il mattino del 28 la riconquista di Castelrosso giunge al termine, le truppe italiane completano il rastrellamento dell’isola catturando alcuni militari britannici sbandati ed il materiale abbandonato dai commandos in ritirata.
L’ammiraglio Biancheri concluderà nella sua relazione: "Il comportamento dei Comandanti e degli equipaggi impegnati fu degno delle migliori tradizioni (…) Calmo e deciso fu anche il contegno del Comandante March, del MAS 546. Ebbe solo un salvagente forato senza danni alle persone". Anche in una lettera privata scritta al fratello Guido, Biancheri menzionerà che “Il Ten. Vasc. March col MAS 546 si è portato all’attacco con grande bravura”.
Ben diverso il giudizio sul fallimento dell’operazione da parte britannica; l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, giudicherà "Abstention" come "un affare marcio [ch]e dà poco merito a tutti" ed incolperà Renouf per l’accaduto, mentre una successiva inchiesta concluderà che il comandante dell’Hereward, dopo essere stato informato dai commandos dell’arrivo delle navi italiane nella notte tra il 25 ed il 26 febbraio, non avrebbe dovuto perdere tempo riunendosi con il Decoy (che si trovava più al largo) prima di andare alla loro ricerca, ma invece agire subito. Unico risvolto positivo per i britannici, la cattura di un cifrario italiano Y-I.
Le perdite nei combattimenti sono ammontate in tutto a tre morti, undici feriti, sette dispersi e 20 prigionieri tra i britannici, ed otto morti, undici feriti e dieci tra dispersi e prigionieri per gli italiani. Una ventina di abitanti (greci) di Castelrosso verranno condannati a varie pene detentive per aver collaborato con i britannici durante la breve occupazione dell’isola.
Maggio 1941
Il MAS 546, insieme agli altri cinque MAS della sua squadriglia (MAS 520, MAS 523, MAS 536, MAS 540, MAS 542) ed alle altre unità navali del Comando delle Forze Armate dell’Egeo (cacciatorpediniere Francesco Crispi e Quintino Sella, torpediniere Lupo, Libra, Lince e Lira, quattro sommergibili), viene temporaneamente messo a disposizione dell’ammiraglio Karlgeorg Schuster, comandante delle forze navali tedesche nell’Egeo, dal Comando Supremo, per le operazioni per la conquista di Creta (operazione "Merkur").
20 maggio 1941
Il MAS 546 (caposquadriglia, tenente di vascello Antonio March) salpa da Castello (Scarpanto) alle 17 insieme ai MAS 520, 523, 526 e 541, per attaccare una formazione di due incrociatori e quattro cacciatorpediniere britannici provenienti da Alessandria ed in navigazione a 24 nodi verso il Canale di Caso, segnalata alle 7.30 da un ricognitore Savoia Marchetti SM. 79 (si tratta della Forza C del contrammiraglio Edward Leight Stuart King: gli incrociatori sono il Naiad ed il Perth, i cacciatorpediniere sono Kingston, Kandahar, Nizam e Juno).
In seguito a questa segnalazione il generale Ettore Bastico, responsabile di Egeomil (il Comando delle forze armate italiane nel Dodecaneso), ritenendo che le navi britanniche intendano attraversare il Canale di Caso durante la notte, ha ordinato all’ammiraglio Biancheri di inviare in agguato i MAS disponibili. Il tenente di vascello March ha impartito ai comandanti subordinati istruzioni precise: condurre una ricerca notturna nel Canale di Caso ed avvicinarsi alle unità avversarie fino a distanza minima, sfruttando le condizioni favorevoli offerte dalla notte calma e priva di luna.
I primi due MAS a raggiungere la zona assegnata sono il MAS 523 (tenente di vascello Antonio Lombardo) ed il MAS 526 (sottotenente di vascello Carlo Arcolessi), che alle 20.35 – mentre la Forza C sta passando tra le isole di Caso e Scarpanto – avvistano le navi britanniche, lanciano il segnale di scoperta e passano all’attacco con il lancio di quattro siluri. Contrariamente a quanto ritenuto dai loro comandanti, i siluri non vanno a segno; i britannici non avvistano i MAS in avvicinamento ma avvistano le scie dei siluri, reagendo con un intenso tiro di artiglieria e mitragliere pesanti che non reca loro alcun danno ed ha invece l’effetto di permettere anche ai MAS 546, 541 (guardiamarina Guido Cosulich) e 520 (guardiamarina Carlo Griffon), che si trovano in posizione più arretrata ma anch’essi davanti alla rotta della Forza C, di avvistare la formazione britannica grazie ai bagliori prodotti dal loro tiro nell’oscurità, dirigendosi verso di essa.
Il MAS 546 ed i due compagni si trovano a manovrare in mezzo alla formazione avversaria, nella quale riescono a penetrare senza essere avvistati; tutti e tre lanciano i rispettivi due siluri da ridotta distanza, dopo di che si ritirano a tutta velocità, utilizzando i motori principali, sotto intenso tiro di artiglieria e mitragliere. Il MAS 546, in particolare, avvista le navi britanniche alle 20.40 e lancia i suoi due siluri contro un incrociatore alle 20.50; subito dopo viene osservata da bordo una violenta esplosione, che induce l’equipaggio a ritenere di aver “sicuramente” colpito il bersaglio con un siluro. Anche il MAS 541 ritiene di aver colpito “probabilmente” un altro incrociatore.
Le ottimistiche rivendicazioni dei comandanti dei MAS verranno convalidate dal Comando della Zona Militare dell’Egeo, sulla scorta delle segnalazioni della stazione di vedetta di San Giorgio (nell’isola di Caso, distante una quindicina di miglia dal luogo dello scontro), che ha seguito attentamente lo scontro avvistando e segnalando subito cinque fiammate seguite dal rumore di altrettante esplosioni, e del sommergibile Onice (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), che poco dopo lo scontro ha avvistato solo tre cacciatorpediniere nel Canale di Caso. L’ammiraglio Biancheri riterrà perciò che nell’attacco i MAS abbiano messo a segno cinque siluri (la stima dei loro comandanti era di 4-6 centri), affondando o danneggiando gravemente due incrociatori ed un cacciatorpediniere, e così scriverà nella relazione inviata al generale Bastico. Biancheri scriverà inoltre nella sua relazione: “La reazione nemica fu violenta con molti cannoni, mitragliere e proiettili illuminanti, ed una sola accensione di proiettore. Il tiro risultò alquanto disordinato e non fu mai tale da mettere in serio pericolo le nostre unità. Lanciate alla massima velocità, esse non tardarono a sottrarsi al tiro nemico, che presto cessò del tutto. Il comandante del gruppo, tenente di vascello March, diede ordini precisi e redditizi. Tutti i comandanti portarono le unità all’attacco con slancio, calma ed affiatamento. Sfruttarono abilmente le circostanze della notte calma e senza luna, e non esitarono a serrare sotto sino a distanze che potevano sembrare temerarie (…) Il contegno degli equipaggi fu, come sempre, esemplare”.
In realtà, nessuno dei siluri lanciati è andato a segno. La Forza C, entrata nel Canale di Caso in linea di fila (mentre i comandanti italiani, nell’oscurità, hanno ritenuto che la formazione fosse su due colonne), ha avuto il primo sentore dell’attacco all’1.30 del 21 maggio, quando il cacciatorpediniere Nizam ha dato l’allarme segnalando “siluro sulla dritta”; l’arma è stata evitata con la manovra, ed anche gli attacchi successivi non hanno prodotto risultati. A reagire aprendo il fuoco contro i MAS sono stati Naiad, Kandahar e Juno, che hanno erroneamente ritenuto di aver danneggiato quattro dei sei MAS attaccanti (in realtà erano cinque e nessuno ha subito danni).
Il tenente di vascello Antonio March, comandante del MAS 546 (Ufficio Storico della Marina Militare) |
Il MAS 546, il MAS 520 ed il MAS 541 si trovano ormeggiati al piccolo molo del porticciolo di Scarpanto, intenti a rifornirsi di carburante, quando alle 2.40 la zona viene illuminata da alcuni colpi illuminanti sparati dai cacciatorpediniere britannici Jervis, Ilex e Nizam, incaricati di bombardare con le loro artiglierie il piccolo campo d’aviazione di Scarpanto. Pur essendo i MAS sprovvisti di siluri, tutti lanciati durante l’azione notturna nel Canale di Caso poche ore prima, il sottufficiale comandante la sezione ordina di accendere i motori ed uscire in mare; mentre ancora il primo MAS sta superando le ostruzioni, i cacciatorpediniere interrompono il fuoco (hanno sparato neanche una decina di colpi contro la costa, quasi tutti finiti in mare senza fare danni: si lamentano danni da schegge a due Dornier Do 17 tedeschi e due feriti).
27 maggio 1941
Il MAS 546, insieme ad altri cinque MAS (MAS 520, MAS 523, MAS 536, MAS 540, MAS 542), salpa da Rodi alle 17 scortando il convoglio incaricato di trasportare a Creta il corpo di spedizione italiano (2585 uomini della 50a Divisione Fanteria «Regina», 500 uomini della Regia Marina, 13 carri armati leggeri L3/35, 205-350 muli, 2 automobili, 2 autocarri, 9 motociclette, 6 cannoni da 65/17 mm, 6 cannoni da 47/32 mm, 46 mitragliatrici Fiat da 8 mm, 18 mortai da 45 mm, 6 mortai da 81 mm, equipaggiamenti, viveri e munizioni per cinque giorni) inviato sull’isola in un nuovo tentativo di mandare rinforzi alle truppe tedesche.
L’eterogeneo ed improvvisato convoglio, al comando del capitano di vascello Aldo Cocchia, è formato dai piroscafetti costieri Giorgio Orsini (nave “ammiraglia” del comandante Cocchia) e Tarquinia, dal piroscafetto lagunare Giampaolo, dai rimorchiatori Aguglia ed Impero, dal piroscafo fluviale Porto di Roma (trasformato in nave da sbarco carri armati tipo L3), dalle piccole navi frigorifere Assab ed Addis Abeba, dai motopescherecci San Giorgio, Sant'Antonio, Plutone e Navigatore, dalla piccola nave cisterna Nera e dai cisternini portuali CG 89 e CG 167.
Egeomil, il Comando delle forze armate italiane nel Dodecaneso, ha valutato la possibilità di usare per il trasporto del corpo di spedizione navi di grosso tonnellaggio, ma ha scartato l’idea in considerazione della loro maggiore vulnerabilità e dell’impossibilità per navi del genere di sbarcare le truppe direttamente sulle spiagge, dovendo per il loro pescaggio rimanere al largo ed impiegare le imbarcazioni per traghettare le truppe a terra. Si è quindi deciso di adoperare unità di ridotto tonnellaggio, raccattando quelle disponibili nel Dodecaneso, che grazie al loro ridotto pescaggio potranno andare direttamente ad incagliarsi sulle spiagge, sbarcandovi agevolmente truppe e materiali. Le piccole unità sono state radunate a Rodi in meno di quarantott’ore; su ognuna di esse è imbarcato un ufficiale della Regia Marina come comandante militare. Per non rischiare un attacco notturno da parte delle forze di superficie britanniche contro le navicelle del convoglio, il programma della traversata viene studiato in modo che l’attraversamento del Canale di Caso avvenga di giorno, quando il convoglio può fruire dell’appoggio della Luftwaffe e dell’Aeronautica italiana dell’Egeo; l’arrivo a Creta è previsto per le quattro del pomeriggio del 28 maggio, dopo un viaggio di 122 miglia.
L’imbarco delle truppe e dei materiali sulle navicelle è avvenuto tra le sei del mattino e le sei di sera del 27, dopo di che il convoglio ha lasciato Rodi.
Dei sei MAS, il 536 ed il 542 navigano con il convoglio, a rimorchio dell’Orsini per risparmiare carburante, mentre 546, 540, 520 e 523 sono schierati in agguato nel Canale di Caso, che devono però lasciare a causa del peggioramento dello stato del mare.
Il peggioramento delle condizioni meteomarine crea qualche difficoltà anche al convoglio, che deve ridurre la velocità, ma nonostante l’eterogeneità dei mezzi, lo scarso addestramento del personale e la mancanza di collegamento radiotelegrafico (in teoria tutte le navi dovrebbero riuscire a mantenere il contatto con la nave “ammiraglia” di Cocchia mediante radiosegnalatori, ma in pratica questo non avviene, forse a causa delle vibrazioni e del rumore dei motori, che impediscono un adeguato ascolto), la variegata formazione non si disperde più di tanto durante la notte
28 maggio 1941
All’alba il convoglio viene raggiunto al largo di Saria (Scarpanto), all’imbocco del Canale di Caso, dal cacciatorpediniere Francesco Crispi e dalle torpediniere Libra, Lince e Lira, incaricate della scorta d’altura; durante la notte le quattro siluranti hanno incrociato nel Canale di Scarpanto.
Sempre a partire dall’alba l’Aeronautica dell’Egeo inizia un’attenta opera di vigilanza a nord ed a sud di Creta nonché tra il Canale di Caso, Alessandria d’Egitto e Suez, con l’impiego in totale di 14 Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero”, due Savoia Marchetti SM. 84 ed altrettanti CANT Z. 1007 bis del 41°, 50° e 92° Gruppo della Regia Aeronautica armati con siluri e bombe; contemporaneamente, un totale di 23 caccia tra FIAT CR. 42 italiani e Messerschmitt Bf 110 tedeschi dello ZG. 26, decollati da Rodi e Scarpanto, forniscono copertura aerea al convoglio e tengono sotto controllo le spiagge dello sbarco. Tutte le forze aeree del Dodecaneso sono tenute pronte a decollare su allarme.
Alle 13.10 la ricognizione aerea avvista una forza britannica di tre incrociatori e sei cacciatorpediniere, diretta a tutta forza verso il Canale di Caso: si tratta della Forza B, partita da Alessandria e diretta ad Heraklion per imbarcare truppe britanniche da evacuare.
Il convoglio italiano procede con grande lentezza, a soli 7-7,5 nodi di velocità media (per altra fonte la velocità, inizialmente di sette nodi, sarebbe calata a cinque a causa del rafforzare del vento durante la notte): date le rispettive posizioni e velocità, le navi britanniche segnalate dalla ricognizione potrebbero raggiungere la formazione italiana entro le 17, davanti a Sitia. Egeomil considera brevemente la possibilità di ordinare al convoglio di rifugiarsi a Caso, ma da ultimo prevale la decisione di non rinunciare a raggiungere Creta; confidando nell’efficacia della reazione delle forze aeree dell’Asse in caso di attacco navale britannico, alle navicelle viene ordinato di proseguire verso Creta, forzando i motori alla massima velocità possibile.
Per omogeneizzare ed aumentare la velocità, le unità più lente vengono prese a rimorchio da quelle più veloci; la torpediniera Lince riceve l’ordine di prendere a rimorchio la nave più lenta del convoglio, onde ottenere un pur minimo incremento della bassissima velocità. Si intende portare la velocità ad otto nodi, per raggiungere Creta prima di incappare nella squadra britannica; per accorciare la rotta, essendo il convoglio in ritardo, il capitano di vascello Cocchia decide di tagliare rispetto a quella prevista, facendo rotta diretta da Saria a Sitia.
Alle 15.45, quando il convoglio è giunto in vista della baia di Sitia (Creta), luogo prescelto per lo sbarco, che sta per iniziare, Lira, Lince e Libra vengono richiamate per ordine superiore per essere destinate ad un nuovo incarico. Sempre nel pomeriggio, i MAS 546, 540, 520 e 523 si riuniscono al convoglio.
Lo sbarco avviene senza incidenti, tra le 16.50 e le 17.20: alle 16.45 le navicelle del convoglio si aprono a ventaglio e vengono mollati i rimorchi, alle 17 Orsini, Tarquinia, Assab, Porto di Roma, S. Antonio e Navigatore si portano all’incaglio in spiaggia, seguiti dalle altre unità, mentre il Giampaolo si ormeggia all’unico pontile di legno. I MAS si dispongono in agguato all’imbocco della baia. Primi a prendere terra sono i marinai delle compagnie da sbarco ed i carri armati, seguito dal resto delle truppe, che vengono traghettate a riva per mezzo delle imbarcazioni; le navi di maggiori dimensioni, incagliate a maggior distanza dalla riva, trasbordano le loro truppe ed il carico sui motopescherecci, che li portano poi fino al pontile. Alle 17.20 le truppe sono state tutte sbarcate; senza incontrare resistenza, occupano il villaggio di Sitia e poi prendono posizione sulle alture circostanti la baia, mentre lo sbarco dei materiali continuerà fino a notte, data la scarsità di imbarcazioni e personale. I muli vengono buttati in mare e raggiungono la riva a nuoto, tranne uno che si mette a nuotare verso il mare aperto fino a sparire alla vista: sarà l’unica perdita della spedizione.
All’una di notte alcune navi britanniche entrano nella baia ed iniziano a cannoneggiare la costa, sparando proiettili illuminanti che illuminano tutta la metà orientale della baia; interrompono però il tiro appena un chilometro prima di raggiungere la spiaggia dov’è in corso lo sbarco dei materiali, e si ritirano senza aver causato alcun danno.
23-24 luglio 1941
Il MAS 546 partecipa al contrasto dell’operazione britannica "Substance", consistente nell’invio da Gibilterra a Malta del convoglio "GM. 1", partito dalla Rocca all’1.45 del 21 luglio e formato da un trasporto truppe (il Leinster, incagliatosi però poco dopo la partenza e conseguentemente escluso dall’operazione) e sei navi da carico (Deucalion, Port Chalmers, City of Pretoria, Sydney Star, Durham e Melbourne Star) cariche di rifornimenti per la guarnigione dell’isola, mentre sulla rotta opposta procedono sei mercantili scarichi e la cisterna militare Breconshire (convoglio "MG. 1"), scortati dal cacciatorpediniere Encounter. Da Gibilterra è inoltre salpata nella notte tra il 20 ed il 21 luglio la Forza H, divisa in due gruppi: la corazzata Nelson, gli incrociatori leggeri Edinburgh, Manchester ed Arethusa, il posamine veloce Manxman ed i cacciatorpediniere Nestor, Lightning, Farndale, Avon Vale, Eridge, Cossack, Sikh e Maori sono incaricati di scortare il convoglio "GM. 1", mentre l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal, l’incrociatore leggero Hermione ed i cacciatorpediniere Faulknor, Fearless, Firedrake, Forester, Foxhound, Fury, Foresight e Duncan devono fornire copertura. Unità della Mediterranean Fleet uscite da Haifa ed Alessandria compiono contestualmente azioni diversive nel Mediterraneo orientale (intensificando inoltre il traffico radio per attirare l’attenzione su di sé, distogliendola dal bacino occidentale del Mediterraneo), ed otto sommergibili britannici ed olandesi della 8th e 10th Flotilla sono stati schierati al largo delle basi navali italiane in modo da intercettare la flotta italiana se dovesse uscire in mare a contrastare l’operazione.
Alle 12.15 del 23 luglio Marina Messina, ritenendo che il convoglio britannico passerà a nord di Capo Bon e poi a nord di Pantelleria nella notte tra il 23 ed il 24, ordina l’uscita da Trapani dei MAS 546 e 548 e da Augusta dei MAS 549 e 562, con l’ordine per tutti di trasferirsi a Pantelleria, rifornirvisi di benzina e poi disporsi in agguato a due miglia dalla costa tunisina, dalle 22 del 23 all’alba del 24. Anche le torpediniere Castore, Centauro e Calliope vengono inviate in agguato nel Canale di Sicilia, mentre il cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare viene tenuto pronto a Trapani per intervenire in loro appoggio.
Alle 17.40 Supermarina, sulla scorta di nuove informazioni sulla velocità della formazione britannica, ordina per telearmonica a Marina Messina di spostare gli agguati delle due sezioni di MAS a nord (MAS 549 e 562) ed a sud (MAS 546 e 548) di Pantelleria, invece che vicino alla costa della Tunisia.
La sezione dei MAS 549 e 562, partita da Augusta al comando del capitano di fregata Ernesto Forza, non raggiunge la posizione designata per l’agguato, in quanto il MAS 562 viene colto da un’avaria che lo costringe a poggiare a Porto Empedocle, mentre il MAS 549 viene mitragliato e seriamente danneggiato da alcuni caccia britannici Bristol Beaufighter. Le due piccole unità vengono così sostituite da altri due MAS, il 532 ed il 533, pur essendo anch’essi in condizioni di efficienza non ottimali. E invece sarà proprio lo “zoppicante” MAS 532 a cogliere un successo, silurando e danneggiando gravemente, alle 2.49 del 24 luglio, la grossa e moderna motonave Sydney Star. Sarà invece senza successo l’attacco del MAS 533, mentre i MAS 546 e 548 non incontreranno il convoglio, che passa molto lontano dalla loro zona d’agguato.
18
luglio 1942
Il MAS 546 ed i MAS 534, 535, 539, 558 e 561, che con esso formano la XIII Squadriglia MAS, salpano da Suda alle 5.50 per trasferirsi a Tobruk, trasportando personale e materiali.
19 luglio 1942
La squadriglia raggiunge Tobruk alle 12.30.
Agosto 1942
Il MAS 546 è di stanza a Messina, inquadrato nella II Squadriglia MAS, a disposizione del 4° Gruppo Antisom.
Autunno 1943
In seguito all’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) il MAS 546, frattanto trasferito a La Maddalena ed inquadrato nella V Flottiglia MAS (capitano di fregata Enrico Marano) ivi stanziata con i MAS 505, 507, 509, 510 e 541 e con le motosiluranti MS 24, MS 52 e MS 72, viene impiegato in missioni di infiltrazione di agenti Alleati – incaricati di raccogliere informazioni su consistenza e movimenti delle forze tedesche e stabilire contatti con le locali formazioni partigiane – sulle coste liguri e toscane. In queste missioni, le piccole unità italiane operano alle dipendenze della missione "Balaclava" dello Special Operations Executive (SOE), il servizio segreto britannico incaricato di condurre missioni di spionaggio, ricognizione e sabotaggio in territorio occupato dall’Asse e di supportare i locali movimenti partigiani.
"Balaclava" è la prima missione Alleata giunta in Corsica per fare dell’isola una base per operazioni sulle coste dell’Italia centro-settentrionale e della Francia sudorientale; a comandarla è il maggiore britannico Noel Andrew Cotton Croft, già celebre esploratore artico prima della guerra, con il tenente di vascello Fisher Howe dell’Office of Strategic Services (OSS, il servizio segreto statunitense precursore della CIA) come vice.
Croft ha stabilito il suo quartier generale a Bastia – che diventerà la principale base Alleata in Tirreno per questo tipo di operazioni, con La Maddalena come base di sostegno – poco dopo la cacciata delle ultime truppe tedesche dalla Corsica; inizialmente i britannici intenderebbero usare per le loro missioni dei pescherecci, ma tale scelta appare da subito poco praticabile in considerazione della scarsa attività peschereccia che si svolge in tempo di guerra nelle acque del Mar Ligure e del Tirreno, che porterebbe alla loro immediata scoperta da parte tedesca. Il capitano di vascello Norman Vincent Dickinson dell’Inshore Squadron, giunto alla Maddalena poco dopo l’armistizio, ha suggerito al capitano di corvetta Patrick Whinney della Naval Intelligence Division dell’Ammiragliato britannico di utilizzare per le missioni di "Balaclava" i MAS italiani, passati sotto il suo controllo. Lo storico britannico Brooks Richards, nel suo libro "Secret Flotillas", così descrive la situazione venutasi a creare: “Come [Dickinson] aveva sottolineato quando ne aveva assunto il controllo [dei MAS], sarebbe stato estremamente sciocco aspettarsi che gli equipaggi di queste unità uscissero e affrontassero in combattimento i loro ex alleati o, peggio ancora, i loro stessi compatrioti, in mare. (…) [Dickinson] suggerì a Whinney di prendere in considerazione l'idea di utilizzarli come alternativa migliore ai suoi pescherecci. Era una soluzione che lo avrebbe sollevato dall'imbarazzo di trovare loro qualcosa da fare e avrebbe fornito a Whinney delle imbarcazioni veloci adatte alle esigenze delle missioni di trasporto clandestino in mare. Whinney stentava a credere alla sua fortuna, anche se non era affatto sicuro che DDOD (I) [Deputy Director Operations Division (Irregular), il responsabile delle operazioni clandestine della Royal Navy, nella persona del capitano di vascello Frank H. Slocum, parente del celebre navigatore solitario Joshua Slocum] avrebbe approvato l'idea. Sapeva che per Slocum la sicurezza dei suoi passeggeri era sempre fondamentale e che c'erano innegabili rischi nell'impiegare coloro che fino a poco tempo fa erano stati equipaggi nemici in un conflitto in cui i fascisti italiani fedeli al dittatore spodestato e screditato stavano ancora combattendo al fianco dei tedeschi”.
Ottenuta l’approvazione da Slocum, Whinney si è messo all’opera per adattare i MAS al loro nuovo compito: in primo luogo, ha deciso di utilizzare esclusivamente i MAS (e non anche le più grandi MS), ritenuti per le loro caratteristiche più adatti alle missioni clandestine; secondariamente, ha disposto la rimozione dei tubi lanciasiluri, in modo da alleggerirli (con conseguente incremento della velocità massima da 37 a 47 nodi) ed aumentare lo spazio disponibile per sistemare a bordo i canotti con cui sbarcare gli agenti. La velocità così raggiunta dai MAS è sensibilmente superiore a quella delle motosiluranti britanniche impiegate in analoghe missioni nel Canale della Manica, ed i loro motori ausiliari permettono loro di avvicinarsi alla costa a 6 nodi senza farsi sentire (almeno in teoria; in pratica Whinney ha rilevato che, se soffia una brezza leggera dal largo, da terra è possibile avvertire una sorta di lamento acuto quando i MAS sono a circa un miglio dalla riva).
Dopo una prima sommaria selezione degli equipaggi, volta ad appurare che tra di essi non vi fossero simpatizzanti fascisti, Dickinson ha richiesto al comando italiano della Maddalena di mandare i MAS a Bastia, a disposizione di "Balaclava"; al contempo, Whinney ha formato quattro squadre di due uomini ciascuna con personale britannico tratto dalle unità dell’African Coastal Flotilla (la flottiglia britannica incaricata di condurre operazioni speciali sulle coste italiane, operante da basi in Algeria prima dello sbarco in Sicilia) frattanto giunte alla Maddalena, che dovranno accompagnare gli ufficiali di "Balaclava" nelle missioni sui MAS con l’incarico di formare gli equipaggi dei canotti incaricati di portare gli agenti a terra.
Brooks Richars, citando il libro di memorie di Whinney "Corsican Command", traccia in "Secret Flotillas" una colorita descrizione del primo incontro tra Whinney e gli equipaggi dei sei MAS della V Flottiglia dopo il loro arrivo a Bastia da La Maddalena: “…il giorno dopo il loro arrivo dalla Maddalena, gli equipaggi erano schierati per la sua ispezione, allineati lungo il pontile con le spalle all'acqua. Ogni equipaggio era separato dal suo vicino da uno spazio di due o tre metri. Whinney sentiva che un'ispezione formale di questo tipo non faceva affatto al caso suo: avrebbe preferito fare un’ispezione su ogni MAS mentre l’equipaggio era al lavoro ma, come scoprì allora e in una serie di occasioni successive, gli italiani potevano essere pignoli per le formalità. Dopo un grandioso saluto dell'ufficiale italiano in comando, una formale stretta di mano e un secondo, ancora più grandioso, saluto, l'ufficiale in comando presentò il primo dei comandanti dei MAS, che avevano tutti tra i 25 e i 30 anni. Il saluto, che Whinney descrisse come una sorta di brusca schermatura degli occhi, come da un'improvvisa luce accecante, e la stretta di mano furono ripetuti e passarono ad ispezionare l'equipaggio successivo, che era rigidamente sull'attenti, con un aspetto elegante e pulito. Erano a metà di questo secondo equipaggio quando uno dei marinai avanzò a passo svelto, alzò il braccio con il palmo rivolto verso il basso nel saluto nazista e disse ad alta voce: "Heil Hitler!" Seguì un momento di profondo imbarazzo per tutti, non per ultimo quell'uomo stesso, che si guardò intorno imbarazzato per vedere cosa ne pensassero i suoi compagni di bordo. Non gli offrirono alcun conforto. Qualcosa doveva essere fatto. Whinney resistette all'impulso di spingere l'uomo in acqua, che era solo circa due metri dietro di lui. Rivolgendosi all'ufficiale in comando, il cui volto era inorridito, gli chiese di dire all'uomo che ora avrebbe dovuto combattere dall'altra parte. L'ufficiale in comando rivolse a Whinney una comprensiva ombreggiatura degli occhi e poi si rivolse all'autore del reato. Sotto la conseguente valanga di rimproveri, l'uomo si dissolse in quella che Whinney descrisse come una "macchia di grasso" [vecchia espressione gergale inglese per definire ironicamente “un minuscolo residuo, gli unici resti distinguibili di un antagonista dopo una zuffa”]. Ciò non mancò di sortire il suo effetto sui suoi compagni, anche se più in là nella lunga fila ci furono uno o due altri "Heil Hitler". Ciascuno ricevette lo stesso impressionante trattamento, che secondo Whinney avrebbe fatto onore a un istruttore di Whale Island. [Questo episodio] fornì una sorta di metro approssimativo di inaffidabilità, ma le modifiche apportate in quel momento non sradicarono, purtroppo, tutti i colpevoli. Davanti a un bicchiere di vino dopo l'ispezione, Whinney affermò che l'episodio avrebbe forse dovuto essere considerato una benedizione sotto mentite spoglie, un mezzo per separare le capre dalle pecore. Mentre delineava ciò che ci si poteva aspettare dai MAS, la formalità del procedimento andò gradualmente allentandosi. Non ci sarebbe stata alcuna attività offensiva contro i loro compatrioti che combattevano dall'altra parte o contro i loro ex alleati, i tedeschi. Naturalmente, se l'altra parte avesse attaccato, avrebbe dovuto rispondere a tono. Ma, a riprova della loro nuova vocazione pacifica, gli Alleati chiedevano loro di togliere i tubi lanciasiluri, lasciando loro un paio di mitragliatrici leggere ed una da 20 mm montata a poppa per scoraggiare gli inseguitori. Per il momento gli era impossibile dire altro, ma gli italiani sembravano sollevati da quanto avevano sentito”. Per quanto riguarda le caratteristiche dei mezzi, il tenente di vascello Thomas M. Maxted della African Coastal Flotilla apprezza dei MAS la velocità ed il basso profilo, lamentandone di converso la scarsa affidabilità, la notevole rumorosità dei motori principali e la non grande attitudine a tenere il mare.
Dopo aver inizialmente tentato di utilizzare una motolancia tipo Fairmile B, la ML 576, rivelatasi però troppo lenta, il gruppo di Whinney inizia le operazioni con i MAS alla fine del novembre 1943.
Oltre all’infiltrazione ed esfiltrazione di agenti Alleati, i MAS vengono impiegati nel recupero di prigionieri fuggiti e nel trasporto di rifornimenti per gli avamposti stabiliti dagli Alleati nelle isole minori dell’arcipelago toscano al fine di osservare e segnalare il traffico costiero tedesco. Insieme ad essi verranno impiegate in queste missioni le motosiluranti britanniche della 28th Motor Torpedo Boat Flotilla e quelle statunitensi del 15th PT Squadron (capitano di corvetta Stanley Maitland Barnes), anch’esse di base a Bastia e La Maddalena, sotto il coordinamento di Whinney.
Il MAS 546 ed i MAS 534, 535, 539, 558 e 561, che con esso formano la XIII Squadriglia MAS, salpano da Suda alle 5.50 per trasferirsi a Tobruk, trasportando personale e materiali.
19 luglio 1942
La squadriglia raggiunge Tobruk alle 12.30.
Agosto 1942
Il MAS 546 è di stanza a Messina, inquadrato nella II Squadriglia MAS, a disposizione del 4° Gruppo Antisom.
Autunno 1943
In seguito all’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) il MAS 546, frattanto trasferito a La Maddalena ed inquadrato nella V Flottiglia MAS (capitano di fregata Enrico Marano) ivi stanziata con i MAS 505, 507, 509, 510 e 541 e con le motosiluranti MS 24, MS 52 e MS 72, viene impiegato in missioni di infiltrazione di agenti Alleati – incaricati di raccogliere informazioni su consistenza e movimenti delle forze tedesche e stabilire contatti con le locali formazioni partigiane – sulle coste liguri e toscane. In queste missioni, le piccole unità italiane operano alle dipendenze della missione "Balaclava" dello Special Operations Executive (SOE), il servizio segreto britannico incaricato di condurre missioni di spionaggio, ricognizione e sabotaggio in territorio occupato dall’Asse e di supportare i locali movimenti partigiani.
"Balaclava" è la prima missione Alleata giunta in Corsica per fare dell’isola una base per operazioni sulle coste dell’Italia centro-settentrionale e della Francia sudorientale; a comandarla è il maggiore britannico Noel Andrew Cotton Croft, già celebre esploratore artico prima della guerra, con il tenente di vascello Fisher Howe dell’Office of Strategic Services (OSS, il servizio segreto statunitense precursore della CIA) come vice.
Croft ha stabilito il suo quartier generale a Bastia – che diventerà la principale base Alleata in Tirreno per questo tipo di operazioni, con La Maddalena come base di sostegno – poco dopo la cacciata delle ultime truppe tedesche dalla Corsica; inizialmente i britannici intenderebbero usare per le loro missioni dei pescherecci, ma tale scelta appare da subito poco praticabile in considerazione della scarsa attività peschereccia che si svolge in tempo di guerra nelle acque del Mar Ligure e del Tirreno, che porterebbe alla loro immediata scoperta da parte tedesca. Il capitano di vascello Norman Vincent Dickinson dell’Inshore Squadron, giunto alla Maddalena poco dopo l’armistizio, ha suggerito al capitano di corvetta Patrick Whinney della Naval Intelligence Division dell’Ammiragliato britannico di utilizzare per le missioni di "Balaclava" i MAS italiani, passati sotto il suo controllo. Lo storico britannico Brooks Richards, nel suo libro "Secret Flotillas", così descrive la situazione venutasi a creare: “Come [Dickinson] aveva sottolineato quando ne aveva assunto il controllo [dei MAS], sarebbe stato estremamente sciocco aspettarsi che gli equipaggi di queste unità uscissero e affrontassero in combattimento i loro ex alleati o, peggio ancora, i loro stessi compatrioti, in mare. (…) [Dickinson] suggerì a Whinney di prendere in considerazione l'idea di utilizzarli come alternativa migliore ai suoi pescherecci. Era una soluzione che lo avrebbe sollevato dall'imbarazzo di trovare loro qualcosa da fare e avrebbe fornito a Whinney delle imbarcazioni veloci adatte alle esigenze delle missioni di trasporto clandestino in mare. Whinney stentava a credere alla sua fortuna, anche se non era affatto sicuro che DDOD (I) [Deputy Director Operations Division (Irregular), il responsabile delle operazioni clandestine della Royal Navy, nella persona del capitano di vascello Frank H. Slocum, parente del celebre navigatore solitario Joshua Slocum] avrebbe approvato l'idea. Sapeva che per Slocum la sicurezza dei suoi passeggeri era sempre fondamentale e che c'erano innegabili rischi nell'impiegare coloro che fino a poco tempo fa erano stati equipaggi nemici in un conflitto in cui i fascisti italiani fedeli al dittatore spodestato e screditato stavano ancora combattendo al fianco dei tedeschi”.
Ottenuta l’approvazione da Slocum, Whinney si è messo all’opera per adattare i MAS al loro nuovo compito: in primo luogo, ha deciso di utilizzare esclusivamente i MAS (e non anche le più grandi MS), ritenuti per le loro caratteristiche più adatti alle missioni clandestine; secondariamente, ha disposto la rimozione dei tubi lanciasiluri, in modo da alleggerirli (con conseguente incremento della velocità massima da 37 a 47 nodi) ed aumentare lo spazio disponibile per sistemare a bordo i canotti con cui sbarcare gli agenti. La velocità così raggiunta dai MAS è sensibilmente superiore a quella delle motosiluranti britanniche impiegate in analoghe missioni nel Canale della Manica, ed i loro motori ausiliari permettono loro di avvicinarsi alla costa a 6 nodi senza farsi sentire (almeno in teoria; in pratica Whinney ha rilevato che, se soffia una brezza leggera dal largo, da terra è possibile avvertire una sorta di lamento acuto quando i MAS sono a circa un miglio dalla riva).
Dopo una prima sommaria selezione degli equipaggi, volta ad appurare che tra di essi non vi fossero simpatizzanti fascisti, Dickinson ha richiesto al comando italiano della Maddalena di mandare i MAS a Bastia, a disposizione di "Balaclava"; al contempo, Whinney ha formato quattro squadre di due uomini ciascuna con personale britannico tratto dalle unità dell’African Coastal Flotilla (la flottiglia britannica incaricata di condurre operazioni speciali sulle coste italiane, operante da basi in Algeria prima dello sbarco in Sicilia) frattanto giunte alla Maddalena, che dovranno accompagnare gli ufficiali di "Balaclava" nelle missioni sui MAS con l’incarico di formare gli equipaggi dei canotti incaricati di portare gli agenti a terra.
Brooks Richars, citando il libro di memorie di Whinney "Corsican Command", traccia in "Secret Flotillas" una colorita descrizione del primo incontro tra Whinney e gli equipaggi dei sei MAS della V Flottiglia dopo il loro arrivo a Bastia da La Maddalena: “…il giorno dopo il loro arrivo dalla Maddalena, gli equipaggi erano schierati per la sua ispezione, allineati lungo il pontile con le spalle all'acqua. Ogni equipaggio era separato dal suo vicino da uno spazio di due o tre metri. Whinney sentiva che un'ispezione formale di questo tipo non faceva affatto al caso suo: avrebbe preferito fare un’ispezione su ogni MAS mentre l’equipaggio era al lavoro ma, come scoprì allora e in una serie di occasioni successive, gli italiani potevano essere pignoli per le formalità. Dopo un grandioso saluto dell'ufficiale italiano in comando, una formale stretta di mano e un secondo, ancora più grandioso, saluto, l'ufficiale in comando presentò il primo dei comandanti dei MAS, che avevano tutti tra i 25 e i 30 anni. Il saluto, che Whinney descrisse come una sorta di brusca schermatura degli occhi, come da un'improvvisa luce accecante, e la stretta di mano furono ripetuti e passarono ad ispezionare l'equipaggio successivo, che era rigidamente sull'attenti, con un aspetto elegante e pulito. Erano a metà di questo secondo equipaggio quando uno dei marinai avanzò a passo svelto, alzò il braccio con il palmo rivolto verso il basso nel saluto nazista e disse ad alta voce: "Heil Hitler!" Seguì un momento di profondo imbarazzo per tutti, non per ultimo quell'uomo stesso, che si guardò intorno imbarazzato per vedere cosa ne pensassero i suoi compagni di bordo. Non gli offrirono alcun conforto. Qualcosa doveva essere fatto. Whinney resistette all'impulso di spingere l'uomo in acqua, che era solo circa due metri dietro di lui. Rivolgendosi all'ufficiale in comando, il cui volto era inorridito, gli chiese di dire all'uomo che ora avrebbe dovuto combattere dall'altra parte. L'ufficiale in comando rivolse a Whinney una comprensiva ombreggiatura degli occhi e poi si rivolse all'autore del reato. Sotto la conseguente valanga di rimproveri, l'uomo si dissolse in quella che Whinney descrisse come una "macchia di grasso" [vecchia espressione gergale inglese per definire ironicamente “un minuscolo residuo, gli unici resti distinguibili di un antagonista dopo una zuffa”]. Ciò non mancò di sortire il suo effetto sui suoi compagni, anche se più in là nella lunga fila ci furono uno o due altri "Heil Hitler". Ciascuno ricevette lo stesso impressionante trattamento, che secondo Whinney avrebbe fatto onore a un istruttore di Whale Island. [Questo episodio] fornì una sorta di metro approssimativo di inaffidabilità, ma le modifiche apportate in quel momento non sradicarono, purtroppo, tutti i colpevoli. Davanti a un bicchiere di vino dopo l'ispezione, Whinney affermò che l'episodio avrebbe forse dovuto essere considerato una benedizione sotto mentite spoglie, un mezzo per separare le capre dalle pecore. Mentre delineava ciò che ci si poteva aspettare dai MAS, la formalità del procedimento andò gradualmente allentandosi. Non ci sarebbe stata alcuna attività offensiva contro i loro compatrioti che combattevano dall'altra parte o contro i loro ex alleati, i tedeschi. Naturalmente, se l'altra parte avesse attaccato, avrebbe dovuto rispondere a tono. Ma, a riprova della loro nuova vocazione pacifica, gli Alleati chiedevano loro di togliere i tubi lanciasiluri, lasciando loro un paio di mitragliatrici leggere ed una da 20 mm montata a poppa per scoraggiare gli inseguitori. Per il momento gli era impossibile dire altro, ma gli italiani sembravano sollevati da quanto avevano sentito”. Per quanto riguarda le caratteristiche dei mezzi, il tenente di vascello Thomas M. Maxted della African Coastal Flotilla apprezza dei MAS la velocità ed il basso profilo, lamentandone di converso la scarsa affidabilità, la notevole rumorosità dei motori principali e la non grande attitudine a tenere il mare.
Dopo aver inizialmente tentato di utilizzare una motolancia tipo Fairmile B, la ML 576, rivelatasi però troppo lenta, il gruppo di Whinney inizia le operazioni con i MAS alla fine del novembre 1943.
Oltre all’infiltrazione ed esfiltrazione di agenti Alleati, i MAS vengono impiegati nel recupero di prigionieri fuggiti e nel trasporto di rifornimenti per gli avamposti stabiliti dagli Alleati nelle isole minori dell’arcipelago toscano al fine di osservare e segnalare il traffico costiero tedesco. Insieme ad essi verranno impiegate in queste missioni le motosiluranti britanniche della 28th Motor Torpedo Boat Flotilla e quelle statunitensi del 15th PT Squadron (capitano di corvetta Stanley Maitland Barnes), anch’esse di base a Bastia e La Maddalena, sotto il coordinamento di Whinney.
4
novembre 1943
Partiti da La Maddalena, il MAS 546 ed il MAS 507 trasportano rifornimenti ad un avamposto Alleato stabilito sull’isola di Montecristo (il cui scopo è osservare e segnalare il traffico costiero tedesco) e poi sbarcano nella baia del Campese, nell’isola del Giglio, il professor Ugo Baldacci, il segnalatore della Marina Ciro Pagani ed un carabiniere, che portano del siero antidifterico destinato alla popolazione locale.
3 dicembre 1943
Partito da Bastia, il MAS 546 sbarca un informatore all’Isola del Giglio.
Gennaio 1944
A partire dal 6 gennaio, i MAS della V Flottiglia iniziano a fare la spola tra Bastia e l’isola di Capraia, dov’è stato stabilito un piccolo presidio statunitense con il compito di osservare e segnalare i movimenti del traffico costiero tedesco finalizzato ad inviare via mare rifornimenti verso il fronte di Cassino.
18 febbraio 1944
Il MAS 546 sbarca sulla costa ligure un tenente di vascello britannico, due ufficiali e cinque soldati statunitensi, un informatore civile italiano ed un soldato italiano.
19 febbraio 1944
Sbarca vicino a Genova una missione italiana legata all’O.S.S. statunitense: la compongono il tenente Gianni Menghi ed un operatore radio, incaricati di contattare le formazioni partigiane operanti nella zona e trasmettere informazioni a riguardo all’O.S.S.
Partiti da La Maddalena, il MAS 546 ed il MAS 507 trasportano rifornimenti ad un avamposto Alleato stabilito sull’isola di Montecristo (il cui scopo è osservare e segnalare il traffico costiero tedesco) e poi sbarcano nella baia del Campese, nell’isola del Giglio, il professor Ugo Baldacci, il segnalatore della Marina Ciro Pagani ed un carabiniere, che portano del siero antidifterico destinato alla popolazione locale.
3 dicembre 1943
Partito da Bastia, il MAS 546 sbarca un informatore all’Isola del Giglio.
Gennaio 1944
A partire dal 6 gennaio, i MAS della V Flottiglia iniziano a fare la spola tra Bastia e l’isola di Capraia, dov’è stato stabilito un piccolo presidio statunitense con il compito di osservare e segnalare i movimenti del traffico costiero tedesco finalizzato ad inviare via mare rifornimenti verso il fronte di Cassino.
18 febbraio 1944
Il MAS 546 sbarca sulla costa ligure un tenente di vascello britannico, due ufficiali e cinque soldati statunitensi, un informatore civile italiano ed un soldato italiano.
19 febbraio 1944
Sbarca vicino a Genova una missione italiana legata all’O.S.S. statunitense: la compongono il tenente Gianni Menghi ed un operatore radio, incaricati di contattare le formazioni partigiane operanti nella zona e trasmettere informazioni a riguardo all’O.S.S.
Il 21 febbraio 1944 il MAS 546, al comando del tenente di vascello Paolo Jappelli, salpò da La Maddalena per una missione a Capraia, dove truppe tedesche – trasportate da alcune motovedette della 11. Räumbootflottille e da un MAS della Repubblica Sociale Italiana – avevano condotto una breve incursione la notte precedente, scontrandosi con il piccolo presidio statunitense.
Qualche ora prima del MAS 546 era già partito alla volta della piccola isola toscana il battello per soccorso aerei statunitense P 403, con a bordo il tenente di vascello Maxted ed un drappello incaricato di verificare le conseguenze dell’incursione tedesca; avrebbe dovuto prendere imbarco sul P 403 anche il tenente di vascello Charles Buist della Royal Navy, ufficiale di stato maggiore del comando dell’Inshore Squadron, ma siccome questi non si era presentato all’imbarco, Maxted aveva ricevuto ordine di partire senza di lui. Di conseguenza, Buist – insieme a due marinai del Royal Naval Patrol Service, James Radford e Terence Brown – si era invece imbarcato sul MAS 546, che fece a sua volta rotta per Capraia. (Altra fonte afferma che alcune motosiluranti statunitensi tipo PT avrebbero condotto un primo sopralluogo e riferito che la situazione era normale, dopo di che sarebbe stato inviato il MAS 546. L’invio di questo drappello da ricognizione a Capraia sarebbe andato sotto il nome di "operazione Possum XI").
Il P 403, avvertito del rischio della presenza di mine posate dai tedeschi nel piccolo porticciolo di Capraia, si era avvicinato all’approdo con cautela, a velocità minima; gli uomini si erano radunati a prua, scrutando l’acqua chiara in cerca di segni di ordigni nemici, ma non ne avevano visti, ed il battello aveva sbarcato il suo drappello e poi assunto nuovamente rotta verso Bastia. Poco dopo aver lasciato Capraia, il P 403 incontrò il MAS 546 diretto in direzione opposta; entrato nel porticciolo, il MAS manovrò per accostarsi al molo più o meno nello stesso punto dove poco prima si era trovato il P 403, ma durante la manovra di ormeggio urtò una mina lasciata dalle unità tedesche e saltò in aria, uccidendo tutti gli uomini a bordo tranne tre, che rimasero gravemente feriti (uno di essi, il sergente radiotelegrafista Mario Del Buono, dovette subire l’amputazione di un arto). Tra i morti vi furono anche il comandante Jappelli, il tenente di vascello Buist ed i due marinai britannici.
Prima di lasciare Capraia, infatti, le piccole unità tedesche avevano disseminato nel porticciolo ben 16 mine del tipo LMB/S (contenenti 680 kg di Hexanite, originariamente progettate per essere lanciate da aerei ma poi modificate per permetterne il rilascio da mezzi navali), metà con attivazione magnetica e metà con attivazione combinata magnetica ed acustica, tutte regolate per innescarsi sei ore dopo la posa.
Maxted, che assisté alla tragedia da bordo del P 403, così la rievocò nelle sue memorie: “Ben presto, vedemmo il MAS 546 diretto a Capraia. Aveva a bordo Charles Buist che aveva perso l’imbarco con noi. Il MAS 546 accostò al molo nel piccolo porto dove ci eravamo trovati, e fece esplodere una mina. Tutti [a bordo] rimasero uccisi tranne quattro, che furono gravemente feriti. In Charles Buist persi un buon amico. C’è una lapide in sua memoria nel Convento di Bastia. Il giorno dopo fui mandato sulla ML 576 per riportare indietro i corpi. Avevamo un colonnello americano a bordo. In avvicinamento a Capraia venimmo attaccati da tre bombardieri americani Mitchell che per poco non ci affondarono, ma riuscimmo a rientrare a Bastia. Lanciarono un grappolo di bombe, [ci] mitragliarono e infine aprirono il fuoco con un cannone da 75 mm, lasciando la motolancia con due grossi buchi nel fianco, i motori fuori uso, il telegrafista ferito e la nave alla deriva sottovento. Fu una notevole impresa marinara l’otturazione delle falle con un turafalle improvvisato, la rimessa in moto di un motore ed il rientro alla base”.
Morti
sul MAS 546:
Gilberto
Barasciutti, marinaio segnalatore, da Venezia
Salvatore
Bertino, marinaio cannoniere, da Trapani
Giacomo
Bolzonella, marinaio cannoniere, da Venezia
Terence
Patrick Brown, marinaio Royal Navy, da St. Helens (*)
Charles
Edward Ashton Buist, tenente di vascello Royal Navy, da Kelso
Michelagelo
Canu, sottocapo motorista, da Ittiri
Nunzio
Della Valle, sottocapo motorista, da Maddaloni
Paolo
Jappelli, tenente di vascello, da Napoli
James
Radford, marinaio Royal Navy, da Leeds (*)
Sergio
Sacchelli, sergente nocchiere, da Pietrasanta
(*)
“La
partecipazione della Marina italiana alla guerra di liberazione”,
saggio di Giuliano Manzari pubblicato nel Bollettino d’Archivio
dell’Ufficio Storico della Marina Militare nel 2015, menziona i tre
militari Alleati rimasti uccisi come il tenente di vascello Charles
Edward Buste [sic] ed i “tenenti Rapal Naw e Brown”. Mentre
Buist, il cui nome era stato storpiato in “Buste”, è facilmente
identificabile perché esplicitamente citato da varie fonti come
morto sul MAS
546,
nella banca dati della Commonwealth War Graves Commission e nel sito
www.naval-history.net,
che elenca tutti i caduti della Royal Navy nella seconda guerra
mondiale per nome e per data, non risultano tenenti od altri
ufficiali dai cognomi “Rapal Naw” e “Brown” morti in
Mediterraneo il 21 febbraio 1944. Risultano però i nomi dei marinai
James Radford e Terence Patrick Brown, entrambi appartenenti, come
Buist, alla base britannica "Hannibal" di Algeri, e morti
nella stessa data. Appare dunque pressoché certo che Radford e
Brown, marinai e non tenenti, morirono con Buist sul MAS
546,
e che il loro grado, come pure il cognome di Radford (diventato
“Rapal Naw”), siano stati erroneamente riportati da parte
italiana, come accaduto al cognome di Buist.
Il comandante Jappelli venne decorato alla memoria con la Medaglia d'Argento al Valor Militare, mentre gli altri membri dell’equipaggio rimasti uccisi ebbero la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, anch’essi alla memoria.
La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello Paolo Jappelli, nato a Napoli il 22 dicembre 1920:
"Comandante di Squadriglia MAS assegnata a nuovi compiti in base avanzata, con l'unità al suo comando partecipava a missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, dove grave e manifesto era il rischio, dando costantemente prova di sereno coraggio, sprezzo del pericolo ed eccezionale abilità professionale e marinaresca. Sempre pronto ad ogni ardimento, nell'effettuare difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del marinaio segnalatore Gilberto Barasciutti, nato a Venezia il 27 gennaio 1923:
"Segnalatore di MAS, impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo motorista navale Michelangelo Canu, nato a Ittiri (Sassari) il 14 aprile 1919:
"Imbarcato su MAS, impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque
della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo motorista navale Nunzio Della Valle, nato a Maddaloni (Caserta) il 25 marzo 1919:
"Sottocapo motorista di MAS impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acqua della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sergente nocchiere Sergio Sacchelli, nato a Pietrasanta (Lucca) il 16 agosto 1908:
"Nostromo di MAS impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del marinaio cannoniere Giacomo Bolzonella, nato a Favaro Veneto (Venezia) il 12 gennaio 1918:
"Marinaio di MAS, impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del marinaio cannoniere artificiere Salvatore Bertino, nato a Trapani il 18 novembre 1924:
"Cannoniere di MAS, impiegato in nuovi compiti in base avanzata partecipava a difficili e pericolose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico, sempre pronto ad ogni ardimento per elevato senso del dovere e profondo sentimento patriottico. In difficile operazione in acque insidiate scompariva in mare con la propria unità distrutta dall'esplosione di ordigno subacqueo.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)"
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sergente radiotelegrafista Mario Del Buono, nato a Portoferraio il 4 novembre 1918:
"Radiotelegrafista di MAS, impiegato in nuovi compiti in base avanzata, partecipava a difficili e rischiose missioni speciali sulla costa ancora occupata dal nemico. Sempre pronto ad ogni ardimento, rimaneva gravemente ferito dall'esplosione di ordigno subacqueo. Salvato a stento dimostrava elevata fermezza d'animo e sopportava con grande serenità l'atto operatorio per l'amputazione dell'arto.
(Acque della Capraia, 21 febbraio 1944)."
Secondo fonti locali, dopo l’affondamento del MAS 546 il porticciolo di Capraia fu chiuso per lungo tempo, e gli abitanti trasferiti in paese.
L’esplosione dei quasi sette quintali di esplosivo contenuti nella mina aveva letteralmente fatto a pezzi lo scafo del MAS 546; i resti di maggiori dimensioni, compresi i quattro motori, vennero rimossi negli anni del dopoguerra, durante i lavori di ampliamento del porticciolo di Capraia.
Il MAS 546 sul sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone
Il MAS 546 su Wrecksite
Il MAS 546 su Navyworld
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Sulle prime missioni della Marina Militare italiana a fianco degli Alleati
Secret Flotillas: Vol. II: Clandestine Sea Operations in the Western Mediterranean, North Africa and the Adriatic 1940-1944
Ice Steel and Fire: British Explorers in Peace and War 1921-45
L’affondamento del MAS 546 sulla pagina Facebook “Isola di Capraia”
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