martedì 20 giugno 2023

Angelo Emo

L'Angelo Emo in navigazione da Desenzano a Riva del Garda (da “La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda” di Francesco Ogliari)

Motonave ad elica (battello lacuale), già piroscafo a ruote, in servizio sul Lago di Garda, lunga 42,5 metri, larga 5,10 e pescante 1,594, con dislocamento a pieno carico di 167 tonnellate e velocità di 24 km/h.
 
Breve e parziale cronologia.
 
1894-1895
Costruito nel cantiere di Peschiera del Garda dal personale della società Nicolò Odero di Sestri Ponente come piroscafo mezzo salone a ruote per la ditta Innocente Mangilli (dal 1° gennaio 1896 Società Anonima per azioni Impresa di Navigazione sul Lago di Garda), con sede a Milano. Ha un gemello, il Lazzaro Mocenigo; è propulso da una macchina a vapore a duplice espansione da 250-280 CV alimentata da caldaie tubolari a ritorno di fiamma, può trasportare 300 passeggeri e, primo tra i battelli gardesani, è dotato di illuminazione elettrica.
Emo e Mocenigo sono i primi battelli fatti costruire dalla ditta Mangilli, che solo due anni prima (16 aprile 1893) ha rilevato l'esercizio della navigazione sul Lago di Garda dalla Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali, con una concessione della durata di venticinque anni.

Angelo Emo (a destra) e Mocenigo a Desenzano del Garda in una fotografia di inizio Novecento (da “La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda” di Francesco Ogliari)

1909
Rimane vittima di un incaglio, ma non riporta danni gravi.
15 novembre 1913
Va a sbattere contro lo scoglio dell'Altare, di nuovo senza subire danni gravi.
24 maggio 1915
L'Italia entra nella prima guerra mondiale. La sera precedente l'Angelo Emo e tutti gli altri piroscafi, a seguito di ordini giunti per telegrafo, sono stati fatti furtivamente tornare a luci spente nel cantiere di Peschiera, dove vengono requisiti, verniciati di grigio ed armati; gli equipaggi sono militarizzati ed il comando di ogni nave è affidato ad un ufficiale della Regia Marina.
Nei primi giorni di guerra la navigazione su tutto il lago è sospeso per ordine del comandante di settore. Successivamente, viene riattivato un limitato servizio pubblico passeggeri sulla tratta Gargnano-Torri; a questo scopo vengono restituiti alla società Mangilli l'Angelo Emo ed altri due piroscafi a ruote, il Benaco e l'Agostino Depretis, mentre il resto della flotta rimane requisito ed armato (piroscafi a ruote Italia, Baldo, Giuseppe Zanardelli e Lazzaro Mocenigo, piroscafo ad elica Garda, rimorchiatore Mincio). Oltre Gargnano, fino a Limone e Malcesine, provvede ai collegamenti la Regia Marina, mediante lance a vapore e piccole torpediniere.
Durante una traversata con passeggeri a bordo, l'Angelo Emo viene bersagliato dalle artiglierie austroungariche del Monte Brione, ma non viene colpito.
Nel corso del 1915, l'Emo è in servizio di linea per 122 giorni, durante i quali percorre complessivamente 13.772 km.

L'Angelo Emo (a destra) ed il piroscafo Benaco (da “La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda” di Francesco Ogliari)

Luglio 1917
Scaduta la concessione dell'Impresa di Navigazione sul Lago di Garda e fallita la ditta Mangilli, l'Angelo Emo, insieme al resto della flotta benacense, passa sotto il diretto controllo del governo italiano, che lo affida in regime di requisizione e gestione provvisoria alla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato (per conto del Ministero della Guerra).
3 novembre 1918
Mentre le truppe asburgiche si ritirano verso Trento ed i rappresentanti del Comando austroungarico si recano a Villa Giusti per trattare l'armistizio, i piroscafi del Benaco approdano a Riva del Garda, dove la popolazione locale li accoglie festosamente.

Cartolina ritraente l'arrivo dell'Angelo Emo a Sirmione (g.c. Giuseppe Boato, via www.naviearmatori.net)

1923
La gestione del servizio di navigazione passa all'Ispettorato Generale delle Ferrovie, Tranvie, Automobili del Ministero dei Lavori Pubblici.
31 dicembre 1923
A seguito delle perdite causate dalla cattiva gestione governativa (che ha soppresso gran parte delle corse e degli approdi e ridotto al minimo indispensabile la manutenzione delle navi, tra deficit di esercizio in continuo aumento), la concessione dei servizi di navigazione sul Benaco vengono nuovamente appaltati, questa volta alla neonata Società Anonima per la Navigazione sul Lago di Garda (presieduta dall'ingegner Ernesto Canobbio, già direttore generale della società "Lariana" che gestisce la navigazione sul lago di Como), avente sede a Como (dove risiede l'ingegner Canobbio).
1° marzo 1924
In base alla nuova convenzione stipulata il 31 dicembre precedente, l'ingegner Cesare Betteloni del Ministero dei Lavori Pubblici consegna all’ingegner Canobbio tutta la flotta sociale (tra cui l'Angelo Emo), le installazioni di terra ed il relativo materiale. La nuova società inizia ad operare.


L'Angelo Emo (a destra), dopo la trasformazione in motonave, in arrivo al pontile di Desenzano, dal quale è in partenza il piroscafo Italia; sotto, particolare della stessa foto (
da “La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda” di Francesco Ogliari)


1925
Nel quadro del piano di rinnovamento ed ampliamento della flotta lanciato dalla nuova società, l'Angelo Emo viene trasformato in motonave ad elica, al pari del gemello Lazzaro Mocenigo, del similare piroscafo Baldo e del più piccolo Garda. Secondo un articolo del 1930 della rivista “Velocità”, la conversione dell'Angelo Emo in motonave è stata «il primo esempio in Italia della trasformazione di un battello a vapore, a ruote, in motonave ad elica con motori Diesel. Naturalmente la trasformazione, studiata in tutti i particolari, ha richiesto rinforzi allo scafo e modifiche sostanziali alla poppa». Dopo la trasformazione, la lunghezza dello scafo dell'Emo risulta essere di 40 metri tra le perpendicolari e 42,5 metri fuori tutto, con larghezza massima fuori ossatura di 5,10 metri (non contando però i tamburi) e pescaggio medio di 1,594 metri. Al posto della macchina a vapore viene installato un motore diesel FIAT a due tempi e quattro cilindri di tipo marino, reversibile, che consente una velocità media di 24 km/h; nei tamburi che prima alloggiavano le ruote a pale vengono ricavate due salette laterali. Cambia sensibilmente la sagoma della nave, a causa dello spostamento del fumaiolo, in precedenza ubicato poco a poppavia della timoniera, a poppavia dei tamburi delle ruote.

L'Angelo Emo dopo la trasformazione in motonave, vistose le modifiche al profilo (da www.tiles.arcover.it)

1925-1930
Dal completamento dei lavori di conversione al 28 febbraio 1930, l'Angelo Emo percorre 157.069 km, con consumo medio di nafta di 1,846 kg per km e di lubrificante di 0,053 kg per km.
 
L'Angelo Emo a Sirmione nel 1935 (g.c. Giuseppe Boato, via www.naviearmatori.net)

Epilogo
 
Lo scoppio della seconda guerra mondiale, inizialmente, non impattò gran che sull’attività dell'Angelo Emo e degli altri battelli del lago di Garda, se non per l'ovvia scomparsa dei turisti stranieri. Il servizio di linea continuò regolarmente fino all’8 settembre 1943; dopo quella data, occupata dalle forze tedesche tutta l'Italia settentrionale in seguito all'armistizio di Cassibile ed all’operazione "Achse", i battelli del Benaco continuarono a navigare sotto il nuovo occupante. La situazione precipitò però nell'autunno del 1944, quando i cieli del Nord Italia iniziarono ad essere infestati da cacciabombardieri angloamericani in “caccia libera” contro qualsiasi mezzo di trasporto che potesse potenzialmente essere utilizzato dalle truppe tedesche e della Repubblica Sociale Italiana: tra i bersagli di questi attacchi rientrarono anche i battelli lacuali. Sul lago di Garda fu il mitragliamento del piroscafo Zanardelli, avvenuto il 6 novembre 1944 con numerose vittime compreso il comandante, a determinare la completa sospensione del servizio passeggeri di linea su tutto il lago, decretata dal giorno seguente. 
I battelli continuarono a navigare soltanto per scopi militari, sotto sorveglianza tedesca: sul sito “Televignole” si afferma che l'Angelo Emo venne usato dalla Kriegsmarine “per esercitazioni e sperimentazioni segrete”; secondo lo storico Marco Ghiglino, nel 1944-1945 il battello venne impiegato come nave scuola per la scuola antisommergibili della Marina Nazionale Repubblicana, la piccola Marina della Repubblica Sociale Italiana.

L’Angelo Emo a Riva del Garda in una cartolina del tempo di pace (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

L'Angelo Emo si perse nei primi mesi del 1945, ma le circostanze della sua distruzione rimangono in parte fumose: il volume "La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda" di Francesco Ogliari, probabilmente la più completa opera esistente sulla storia della navigazione sul lago di Garda, accenna all’affondamento della motonave per mitragliamento aereo nel porto di Riva del Garda, ma non aggiunge alcun particolare. Poco di più aggiungono gli “Acta” dell'«Istituto Storico Repubblica Sociale Italiana»; in un articolo a titolo “Terrorismi sulla marineria civile della R.S.I.”, pubblicato sul numero di gennaio-marzo 1989 della rivista, a firma di Pieramedeo Baldrati, viene precisato che l'Angelo Emo fu mitragliata ed affondata nel gennaio 1945 da aerei statunitensi mentre si trovava ormeggiata vuota nel porto di Riva, senza vittime. Non viene però indicata la data esatta dell'episodio, né forniti altri dettagli. Marco Ghiglino data invece l'affondamento al marzo 1945.
 
Il relitto dell'Angelo Emo come appariva alla fine della guerra (da www.televignole.it)

Della carcassa dell'Emo affondata nel porto di Riva esistono diverse immagini risalenti all'immediato dopoguerra, scattate durante i lavori di recupero: del battello rimaneva il solo scafo, ogni cosa al di sopra del ponte di coperta era andata distrutta. I danni furono anzi di tale entità che di tutti i battelli danneggiati od affondati per causa bellica sul Lago di Garda, l'Angelo Emo fu l'unico a non essere riparato. Tamponati con pioli di legno i fori aperti nello scafo dai colpi di mitragliatrice ed esaurita l'acqua con delle pompe idrovore, lo scafo della vecchia motonave venne riportato a galla nella primavera del 1948 e rimorchiato nel cantiere di Peschiera, ma qui un esame del relitto portò alla conclusione che i danni fossero irreparabili. Quel che restava dell'Angelo Emo venne così demolito nel cantiere di Peschiera nel 1949.
 




Sopra, fasi del recupero dell'Angelo Emo nella primavera del 1948; sotto, il commissario governativo Pietro Giuliani in visita ai lavori (immagini tratte da “La navigazione sui laghi italiani – Lago di Garda” di Francesco Ogliari, tranne la terza dall’alto, che proviene da www.labusa.info)


 
Navigazione sul Lago di Garda, su Enciclopedia Bresciana
Il primo servizio pubblico di navigazione sul Garda
Il lago di Garda. Percorsi sull’acqua
Edizione dell’aprile 1929 della rivista mensile “Il Garda”
Tesi di laurea – Il meandro, museo diffuso sul lago di Garda

giovedì 1 giugno 2023

Capo Lena

Il Capo Lena nel 1939-1940 (Agenzia Bozzo)

Piroscafo da carico di 4819,64 tsl, 2845,46 tsn e 6985 o 7080 tpl, lungo 110,71 metri (120,1 per altra fonte), largo 16,03 e pescante 8,14, con velocità teorica di 11,5 nodi ma effettiva di 9 nodi (altre fonti indicano velocità differenti, dai 9,5 ai 12,5 nodi); autonomia massima 2700 miglia, dislocamento 10.377 tonnellate. Appartenente alla Società Anonima Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 2073 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata radio IBVB.
In tempo di pace era impiegato sulla linea del Canada.
 
Breve e parziale cronologia.
 
16 luglio 1920
Varato come Saint René (numero di costruzione 937) nei cantieri William Gray & Co. Ltd. di West Hartlepool.
Gennaio o aprile 1921
Completato come piroscafo da carico Saint René per la Société Navale de l'Ouest (SNO) di Le Havre. Stazza lorda 4508 tsl, stazza netta 2691 tsn, portata lorda 6876 tpl; le quattro stive hanno una capacità complessiva di 54.326 piedi cubici (1538 metri cubi). Porto di registrazione Le Havre, nominativo di chiamata KNCT.
Posto in servizio sulla linea tra la Francia e l’Algeria.
Il Saint René è il primo ad essere completato di una serie di quattro piroscafi (Saint RenéSaint RogerSaint StanislasSaint Thimothée) ordinati dalla SNO nel marzo 1918 per rimpiazzare le perdite provocate dal primo conflitto mondiale. A tale scopo la compagnia ha ordinato ben 22 piroscafi di varie dimensioni, per sfruttare il previsto periodo di ripresa dei commerci internazionali al termine delle ostilità; tuttavia, tale ripresa è di breve durata ed è seguita da un periodo di recessione, così che la Société Navale de l'Ouest si ritrova con un numero di navi eccessivo rispetto alle reali esigenze, e dopo un solo anno decide di vendere i quattro piroscafi della serie "Saint René" (di cui solo il Saint René è stato completato: gli altri tre sono ancora in costruzione) alla società britannica Frank Clarke Strick.

La nave sotto l’originario nome di Saint René (da www.enterprises-coloniales.fr)

23 novembre 1922
Il Saint René viene acquistato dalla Strick Line Ltd. di Londra (in gestione a Frank Clarke Strick & Co.) e ribattezzato Avristan. Porto di registrazione Londra; stazza lorda e netta sono 4453 tsl e 2622 tsn.
Saint RogerSaint StanislasSaint Thimothée, venduti anch’essi alla Strick Line, cambiano nome rispettivamente in Registan, Bardistan e Kohistan.


Due immagini della nave come Avristan (sopra: Coll. Clive Ketley via www.teesbuiltships.co.uk; sotto: Hartlepool Museum Service, via www.hhtandn.org)


1929
Al pari dei gemelli (che assumeranno i nuovi nomi di Saint Eloi, Saint Roch e Saint Luc), l’Avristan viene venduto alla Compagnie Navale et Commerciale de l'Océanie (CNCO), che lo ribattezza Saint Augustin e lo pone in servizio sulla linea della Nuova Caledonia.

Particolare della sovrastruttura prodiera dell’Avristan (J. Hillier via www.hhtandn.org)

Luglio 1930
La Compagnie Navale et Commerciale de l'Océanie viene posta in liquidazione, ed il Saint Augustin, insieme ai gemelli (che diverranno Boussole, Recherche ed Esperance), viene acquistato dalla Société des Services Contractuels des Messageries Maritimes, la compagnia di navigazione di Stato francese, avente sede a Dunkerque.
Ribattezzato Astrolabe e registrato a Dunkerque, con nominativo di chiamata OSZG (FNJX dal 1934), viene destinato alla linea dell’Oceano Pacifico, via Canale di Panama.


Due immagini della nave come Astrolabe (sopra: Coll. Paul Bois via www.messageries-maritimes.org; sotto: da www.marine-marchande.net)


11 agosto 1930-11 maggio 1931
Sottoposto a lavori di trasformazione in piroscafo misto presso i Chantiers de la Gironde: vengono estese verso poppa le sovrastrutture, estendendo il ponte principale fino al castello di poppa, e ricavate cabine per 22 passeggeri di prima classe e 28 di seconda classe, e sistemazioni per 600 emigranti (altra fonte parla invece di soli dieci posti in terza classe), portando la stazza lorda a 5117 tsl (5072 tsl per altra fonte) e quella netta a 3076 tsn; portata lorda 6920 tpl. Viene anche modificata l’alimentazione delle caldaie, convertite da nafta a carbone, per facilitare il rifornimento nei poco attrezzati sorgitori delle isole del Pacifico. Anche i tre gemelli sono sottoposti ad analoga trasformazione presso tali cantieri.

L’Astrolabe in rada a Marsiglia (Coll. Philippe Ramona, via www.messageries-maritimes.org)

16 febbraio 1931 (?)
Parte per il primo viaggio dopo il completamento dei lavori di conversione.

L’Astrolabe nel 1931 (MIKOS-35, via Flickr)

1933 o 1934
Risultato troppo lento e di portata insufficiente per le linee gestite dalle Messageries Maritimes, l’Astrolabe viene posto in disarmo a Marsiglia.

L’Astrolabe in disarmo a La Ciotat, insieme a due dei gemelli (Coll. Philippe Ramona, via www.messageries-maritimes.org)

Settembre 1935
Acquistato dalla Società Anonima Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, avente sede a Genova, e ribattezzato Capo Lena. Stazza lorda e netta risultano essere 4820 tsl e 2845 tsn.
Per la prima volta dalla loro costruzione, le sorti dei quattro gemelli della classe Saint René si dividono: insieme all’Astrolabe, infatti, viene acquistato dalla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore anche il Recherche (ex Saint Roch, ex Bardistan, ex Saint Stanislas), che diventa Capo Olmo, mentre il Boussole (ex Saint Eloi, ex Registan, ex Saint  Roger) verrà venduto ad una compagnia cilena, e l’Esperance (ex Saint Luc, ex Kohistan, ex Saint Timothée) continuerà a navigare per le Messageries Maritimes.
La Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore mette il Capo Lena in servizio sulla linea regolare Mediterraneo-Montreal, insieme al gemello Capo Olmo ed ai più piccoli Capo Orso e Capo Noli.
Ottobre 1937
Durante un viaggio da Montreal a Genova, con scali intermedi in Spagna, Marocco, Algeria ed a Marsiglia, il Capo Lena ha tra i suoi passeggeri lo scrittore e poeta canadese Roger Brien, diretto in Italia per un breve soggiorno prima di raggiungere Parigi.
 
Il Capo Lena nel 1937 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)

Forzare il blocco
 
Nel maggio 1940 il Capo Lena, al comando del capitano di lungo corso Giacomo Giribaldi, si trovava in Canada, a Quebec City, per imbarcare un carico di grano (1500 tonnellate), cellulosa e carta solfita (mille tonnellate). L’Italia era in quel periodo ancora neutrale, ma per poco: dinanzi alla travolgente avanzata tedesca in Francia, Belgio e Paesi Bassi, Mussolini scalpitava per scendere in campo e reclamare parte delle spoglie, e l’entrata in guerra dell’Italia appariva imminente. Per questo motivo, quando il 1° giugno il Capo Lena iniziò il viaggio di ritorno scendendo il corso del San Lorenzo, il capitano Leonard Joseph Birchall del 5th Squadron della Royal Canadian Air Force ricevette l’ordine di individuare il piroscafo e mantenere il contatto con esso, pronto ad intervenire non appena il governo italiano avesse emesso la dichiarazione di guerra. L’idroricognitore Supermarine Stanraer di Birchall (numero 916), decollato da Gaspé, localizzò il Capo Lena lo stesso 1° giugno, al largo dell’isola di Anticosti: come ordinato, tallonò il piroscafo tutto il giorno, in attesa dell’inizio delle ostilità, ma la dichiarazione di guerra non arrivò, ed al tramonto dovette rientrare alla base.
Il siparietto si ripeté l’indomani, quando Birchall decollò di nuovo, rintracciò il Capo Lena in mattinata nel Golfo di San Lorenzo, vicino al mare aperto, e lo pedinò tutto il giorno, mentre attraversava lo stretto di Caboto: di nuovo l’attesa dichiarazione di guerra non ci fu, ed al calar del sole Birchall dovette rientrare alla base con le pive nel sacco, mentre il Capo Lena raggiungeva indisturbato il mare aperto. (Birchall si sarebbe poi rifatto, il 10 giugno 1940, intercettando nel San Lorenzo il piroscafo Capo Noli – appartenente alla stessa compagnia del Capo Lena – e costringendolo ad incagliarsi presso l’isola di Bic, così permettendone la cattura).

L’attività del 5th Squadron della Royal Canadian Air Force per il 2 giugno 1940: il Capo Lena era evidentemente al centro dei loro pensieri, ma la guerra non era ancora scoppiata (da www.clarencesimons745590793.wordpress.com)

Dovevano ancora trascorrere otto giorni prima che l’Italia dichiarasse guerra al Regno Unito ed alla Francia; quando questo avvenne, il 10 giugno 1940, il Capo Lena si trovava ancora in navigazione nel mezzo dell’Atlantico, ben lontano dal Canada, ma anche dal Mediterraneo: con lo stretto di Gibilterra sotto saldo controllo britannico, il piroscafo si vedeva preclusa ogni possibilità di rientrare in patria. Al comandante Giribaldi non rimase che cercare rifugio in un porto atlantico della neutrale ed amica Spagna, dove farsi internare: la scelta cadde su Vigo, dove il Capo Lena giunse il 19 giugno.

…così al centro dei loro pensieri, che in questo documento del 10 giugno la notizia dell’incendio del Capo Noli, catturato nel Golfo di San Lorenzo alla dichiarazione di guerra, la nave è erroneamente identificata come il Capo Lena (da www.clarencesimons745590793.wordpress.com)

La difficile situazione che la Marina britannica (che aveva appena concluso l’evacuazione da Dunkerque del corpo di spedizione britannico in Francia e si trovava in quel momento concentrata nelle acque del Regno Unito per contrastare un potenziale sbarco tedesco in Gran Bretagna) attraversava in quei giorni fu una benedizione per i mercantili italiani che, come il Capo Lena, si trovavano in quel momento nell’Atlantico centrale e settentrionale: grazie all’inazione della Royal Navy, che non tentò di intercettarli, ben 32 bastimenti italiani (20 navi da carico per complessive 106.608 tsl e 12 navi cisterna per totali 67.952 tsl) riuscirono a rifugiarsi nei porti della Spagna atlantica e delle Canarie. Tredici navi, tra cui il Capo Lena, raggiunsero porti della Spagna; diciassette quelli delle Canarie; uno il possedimento coloniale spagnolo del Rio de Oro (Sahara spagnolo, Nordafrica occidentale) ed uno quello di Fernando Po (Guinea Equatoriale). Pur avendo evitato di cadere in mano avversaria, questi bastimenti rimasero bloccati in quei porti neutrali, destinati a passarvi tutta la guerra senza poter essere in alcun modo di aiuto allo sforzo bellico italiano.

Notizia sul giornale “El Bien Publico” del 20 giugno 1940 (da www.bibliotecadigital.bibna.gub.uy)

Ma non la pensava così il Comando della Regia Marina, che decise di organizzare il trasferimento di almeno una parte di quelle navi, violando il blocco aeronavale britannico, in porti controllati dall’Asse, e nella fattispecie in quelli della costa atlantica francese, occupata dalle forze tedesche. In particolare, come destinazione per i violatori di blocco venne scelta Bordeaux, dove nell’estate del 1940 era stata allestita una base atlantica di sommergibili italiani, «Betasom». Se queste traversate avessero avuto successo, sarebbe stato almeno possibile recuperare i carichi di quei mercantili, composti in gran parte da materiali che sarebbero stati di grande utilità per l’industria bellica e le forze armate dell’Asse: nel caso del Capo Lena, il migliaio di tonnellate di cellulosa e carta solfita che si trovava nelle sue stive al momento della dichiarazione di guerra (la storia ufficiale dell’USMM non fa menzione delle 1500 tonnellate di grano, che secondo giornali dell’epoca erano destinate a Barcellona: è probabile che siano state scaricate durante il periodo d’internamento a Vigo e poi trasportate a Barcellona via terra).
Nell’ambito della pianificazione del trasferimento dei mercantili italiani dai porti neutrali di mezzo mondo a quelli della Francia occupata, la scelta ricadde, per prima cosa, proprio sulle navi rifugiatesi in Spagna e nelle Canarie: decisione logica, essendo i porti spagnoli e canari i più vicini alla Francia, così che le navi da essi provenienti avrebbero compiuto un tragitto più breve, e risultavano dunque più facilmente “recuperabili”. All’inizio del 1941, i mercantili italiani internati in Spagna ed alle Canarie erano ancora in soddisfacenti condizioni di efficienza, per quanto la forzata inerzia in porto, protrattasi per diversi mesi, avesse influito negativamente sia sugli scafi che sugli equipaggi.
Le modalità ed i tempi del trasferimento delle navi italiane dai porti neutrali a quelli francesi vennero definite nell’autunno del 1940, in una serie di riunioni svoltesi a Roma tra rappresentanti dei Ministeri della Marina, delle Comunicazioni (che aveva competenza sulla Marina Mercantile), degli Esteri e degli Scambi e Valute, ed il 14 dicembre 1940 le relative disposizioni vennero trasmesse agli addetti navali italiani in Spagna ed in Brasile (altro Paese dal quale sarebbero partiti molti “violatori di blocco” diretti in Francia).
Ancor prima che di dare attuazione a queste decisioni, tuttavia, nel febbraio 1941 venne deciso un primo trasferimento dalla Spagna alla Francia: due navi mercantili che si trovavano nei porti di Vigo e San Juan de Nieva (Avilés), nell’estremità nordoccidentale della costa atlantica spagnola. Questi due porti erano molto vicini a Bordeaux, ed i due mercantili avrebbero potuto compiere un viaggio particolarmente breve e relativamente sicuro, navigando sottocosta (costeggiando la regione spagnola della Biscaglia fino al confine con la Francia) e venendo raggiunti al confine franco-spagnolo da mezzi della Kriegsmarine e della Luftwaffe, che ne avrebbero assunto la scorta fino all’arrivo a destinazione.
Le due navi in questione, destinate a diventare i primi “violatori di blocco” italiani, erano proprio il Capo Lena, a Vigo, e la nave cisterna Clizia, a San Juan de Nieva.
 
Il 5 febbraio 1941 il capitano di vascello Aristotele Bona, addetto navale italiano a Madrid, comunicò al viceconsole italiano a La Coruña, capitano di fregata Edgardo Storich, le disposizioni necessarie alla preparazione del trasferimento di Capo Lena e Clizia dai rispettivi porti spagnoli a Bordeaux. Tra l’altro, queste stabilivano di verificare l’efficienza di scafi e motori delle due navi e di completare il prima possibile, e con la massima segretezza consentita dalle circostanze, l’imbarco di provviste, acqua e carburante in quantità sufficiente alla traversata; una volta pronte, le due navi sarebbero dovute salpare per Bilbao, capitale della provincia spagnola di Biscaglia, dove poi avrebbero ricevuto ulteriori istruzioni per la parte finale del viaggio dalle locali autorità tedesche. La navigazione fino a Bilbao si sarebbe dovuta svolgere rimanendo sempre entro le acque territoriali spagnole, osservando rigidamente un completo oscuramento notturno ed un assoluto silenzio radio. Ad ulteriore tutela del segreto, di cruciale importanza per il successo della missione, soltanto i comandanti di Capo Lena e Clizia dovevano essere informati del piano, e solo dopo la partenza avrebbero potuto annunciare ai loro equipaggi che la destinazione del viaggio era Bilbao, senza aggiungere altro. Non dovevano essere minimamente informati gli armatori, né i proprietari dei carichi, né gli assicuratori né ogni altro soggetto che avesse interessi relativi alle navi o a quello che trasportavano; ogni comunicazione con tali soggetti era proibita. Ogni fuga di notizie, che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime per le navi, sarebbe stata severamente punita in base al Codice Penale Marittimo, anche se involontaria od indiretta. In caso di tentativo nemico di catturarle, gli equipaggi avrebbero dovuto impedire ad ogni costo che navi e carichi potessero essere utilizzati dal nemico, provvedendo all’autoaffondamento. Storich fu autorizzato a compiere tutte le spese occorrenti a rifornire Capo Lena e Clizia ed a prepararli alla partenza, con l’indicazione di rivolgersi all’ufficio dell’addetto navale italiano a Madrid per il rimborso.
Venne deciso che la prima nave a partire fosse la Clizia; il Capo Lena fu pertanto la seconda delle due navi a ricevere la visita del capitano di fregata Storich, la sera dell’8 febbraio. Storich parlò con il comandante Giribaldi, che gli fece presente un problema non di poco conto: sul Capo Lena non c’erano carte nautiche delle coste spagnole, e neanche di quelle francesi. Il viceconsole non si scoraggiò; aveva già provveduto a chiedere all’Istituto Idrografico Italiano del materiale nautico relativo all’idrografia della Spagna, che consegnò al comandante Giribaldi, mentre per ottenere le carte nautiche relative al tratto di costa francese da Saint-Jean-de-Luz a Bordeaux si recò personalmente ad Oporto, dove le richiese ed ottenne dall’addetto navale italiano in Portogallo.
Superate queste difficoltà, la partenza del Capo Lena venne organizzata per la sera del 12 febbraio, mentre quella della Clizia era stata fissata per la sera stessa dell’8, anche se a causa della marea troppo bassa finì con lo slittare al mattino seguente. La petroliera raggiunse Bilbao il 10 febbraio; qui, com’era stata preavvisata, trovò il piroscafo tedesco Plus, anch’esso diretto in Francia. Allo scoppio della guerra il Plus era stato internato a Vigo, proprio come il Capo Lena, e da lì si era trasferito a Bilbao l’8 febbraio. Il comandante della Clizia, capitano di lungo corso Alessandro Lavagna, aveva ricevuto disposizione dal viceconsole Storich di presentarsi al console di Germania a Bilbao, Friedhelm Burbach (che era in comunicazione diretta con Bordeaux), per ricevere istruzioni sul prosieguo della traversata da Bilbao a Bordeaux; così fece, venendo edotto delle modalità per la prosecuzione della traversata, la scorta e le norme di sicurezza, concordate con i Comandi tedeschi dell’Atlantico.
 
Lasciata puntualmente Vigo la sera del 12 febbraio, il Capo Lena raggiunse Bilbao il 14, dopo un viaggio privo di difficoltà. Da qui sarebbe dovuto proseguire per Bordeaux insieme a Clizia e Plus; una volta giunto in porto, il comandante Giribaldi si presentò al console Burbach, dal quale dovevano giungere gli ordini alle navi in partenza.
Le tre navi rimasero a Bilbao per dieci giorni, in attesa dell’ordine di proseguire; durante questa sosta – secondo l’autore Dobrillo Dupuis, mentre i comandanti Giribaldi e Lavagna si trovavano a terra per prendere accordi con il console Burbach – si abbatté sulle coste settentrionali della Spagna un violento fortunale, e poco mancò che per sua conseguenza il viaggio del Capo Lena terminasse per sempre a Bilbao. La violenza del fortunale provocò la rottura di entrambe le catene delle ancore del piroscafo (di cui erano state filate otto lunghezze, cioè circa 200 metri, per parte), che rischiò di andare a fracassarsi contro le banchine; per fortuna, invece, il vento girò improvvisamente da terra e lo spinse fuori dal porto, così che l’unico danno fu costituito dalla perdita delle ancore e relative catene (prima di partire per Bordeaux ne ricevette delle nuove, fornite dal rappresentante della Compagnia di Navigazione Tedesca di Bilbao). Trascinato in mare aperto, il Capo Lena dovette accendere le caldaie per tornare in porto. Meno fortuna ebbe il Plus, che andò ad urtare una banchina e rimase danneggiato, ma non tanto da non poter proseguire il viaggio come previsto.
Nonostante le già citate precauzioni volte a mantenere la segretezza sul trasferimento delle due navi italiane, gli informatori britannici riuscirono egualmente a carpire i principali particolari dell’operazione: il "Weekly Intelligence Report" n. 50 del 21 febbraio 1941, compilato dalla Naval Intelligence Division dell’Ammiragliato britannico, riferiva infatti che «La nave cisterna Clizia, di 3,968 tsl, ha lasciato Gijon il 9 febbraio ed è arrivata a Bilbao il giorno seguente con 3000 tonnellate di petrolio. Il Capo Lena, di 4,820 tsl, ha lasciato Vigo il 12 febbraio ed è arrivato a Bilbao il 14 febbraio». Ciononostante, la successiva navigazione non fu in alcun modo molestata dalle forze britanniche.
All’alba del 24 febbraio 1941 Capo Lena, Clizia e Plus lasciarono Bilbao per completare il loro viaggio verso Bordeaux: una volta giunti al largo di Saint-Jean-de-Luz, porto francese situato subito oltre il confine con la Spagna, furono raggiunti dai dragamine tedeschi, che li scortarono verso la foce della Gironda. Il piccolo convoglio risalì la Gironda fino a Bordeaux, dove Capo Lena e Clizia si ormeggiarono il 27 febbraio: erano i primi di una lunga serie di violatori di blocco italiani a raggiungere quella base nel corso del 1941. Sia Betasom che Supermarina (il comando in capo della Marina italiana) inviarono ai comandanti e agli equipaggi delle due navi le loro congratulazioni.
 
Il 21 aprile 1941 i carichi di Capo Lena e Clizia, essendo di proprietà di persone fisiche o giuridiche di Paesi nemici (Regno Unito, Francia, Grecia o Jugoslavia), vennero formalmente catturati dalle autorità italiane in applicazione dal comma 1 dell’articolo 154 della Legge di guerra. Il carico del Capo Lena venne poi rivenduto dal Ministero della Marina ad una società francese il 27 maggio 1942, ma alcuni mesi più tardi la Montmorency Paper Company di Quebec e la società Nouvelles Papeteries di Parigi intentarono una causa contro il Ministero della Marina presso il Tribunale delle Prede italiano, contestando la cattura del carico di 1065 balle di cellulosa al solfato non sbiancata del Capo Lena, di loro proprietà (la merce era stata venduta dalla Montmorency Paper Company alle Nouvelles Papeteries, con pagamento effettuato in anticipo). Principale argomento avanzato contro il provvedimento di cattura era che questa non era avvenuta in acque territoriali italiane, ma francesi; nella sentenza emessa l’8 gennaio 1943 il tribunale, presieduto dal dottor S. Messina (giudice relatore il dottor L. Picardi), respinse tale argomentazione, rilevando che il principio comunemente accettato era che il diritto di preda potesse essere esercitato in qualsiasi luogo in cui atti di guerra in mare non fossero proibiti, e che gli articoli 132 e 139 della legge di guerra italiana del 1938, nonché le leggi internazionali (come l’articolo 2 della tredicesima Convenzione dell’Aia del 1907) vietavano tali atti soltanto entro acque territoriali neutrali o dichiarate neutrali, il che non era il caso delle acque territoriali della Francia, Paese nemico occupato e dunque regolare teatro di guerra al pari di tutto il territorio delle nazioni belligeranti (il territorio di un Paese nemico non cessava di essere tale se occupato da forze proprie od alleate). Il fatto che tra Francia ed Italia fosse in vigore, dal 24 giugno 1940, un armistizio non faceva venire meno lo status di nemico della Francia, non essendo stato stipulato un trattato di pace che ponesse formalmente fine allo stato di guerra, né tale armistizio influiva in alcun modo sull’esercizio del diritto di preda da parte dell’Italia, non essendovi alcuna menzione circa una sospensione di tale diritto nel testo dell’armistizio. Parimenti irrilevante venne considerata l’obiezione che la cattura fosse avvenuta in un porto occupato non da forze italiane, ma tedesche, essendo Italia e Germania alleate ed essendo la cattura del carico da parte delle autorità italiane avvenuta in accordo con quelle tedesche.
 
Intanto, in base ad accordi presi tra Italia e Germania, le autorità tedesche avevano provveduto ad immagazzinare il carico di cellulosa del Capo Lena; nella primavera del 1941, l’equipaggio del piroscafo era stato rimpatriato, mentre la nave era rimasta a Bordeaux, venendo impiegata dalla Kriegsmarine come nave caserma a Pauillac a partire dal 1942 (per altra fonte, dal gennaio all’agosto 1943), con il nome che secondo alcune fonti sarebbe stato “germanizzato” in Kapolena o Kapolina. (Qualche sito afferma che il Capo Lena sarebbe stato requisito dalla Kriegsmarine, ma sembra poco probabile che questa potesse requisire una nave italiana).
 
In seguito all’armistizio di Cassibile, l’8 od il 9 settembre 1943 il Capo Lena venne catturato dai tedeschi. Fu poi considerato per la trasformazione in Sperrbrecher: con lo scafo debitamente rinforzato per permettergli di assorbire le detonazioni senza affondare, sarebbe stato impiegato per aprire corridoi nei campi minati entrandovi per primo e facendo esplodere le mine. Il suo nome avrebbe dovuto essere Sperrbrecher 37, ma il progetto venne abbandonato dopo che un esame approfondito della nave ebbe rivelato la sua incompatibilità con il nuovo ruolo. (Per altra fonte, il piano di conversione in Sperrbrecher venne formulato già nel 1942, prima dell’armistizio; per altra, la rinuncia alla trasformazione fu dovuta alla mancanza del materiale necessario).
Trasferito a Saint Nazaire, il 18 agosto 1944 (altre fonti parlano del 16 luglio o del 1° settembre di quell’anno) l’ex Capo Lena venne autoaffondato dai tedeschi presso la scogliera Le Grand Charpentier (o nel canale dei Charpentiers), all’imboccatura del porto di Saint Nazaire, per ostruirne l’accesso. Sulla sorte del relitto esistono informazioni contrastanti: secondo alcune fonti sarebbe stato recuperato e demolito dai francesi nel 1946 o 1951, mentre per altre non sarebbe mai stato recuperato, e giacerebbe tutt’oggi a profondità compresa tra i 7,7 ed i 9 metri, nel punto 47° 14,2866' N e 002° 15,8311' O (o 47° 14,1660' N e 002° 15,7200' O).
 
Un’altra immagine della nave risalente a quando si chiamava Avristan (da www.transportsofdelight.smugmug.com)

 
Il Capo Lena sul sito dell’Agenzia Bozzo
Il Capo Lena su Wrecksite
Il Capo Lena sul Libro Registro del RINA del 1938
Navi in ostaggio
Il Saint René su Tees Built Ships
L’Astrolabe su Messageries Maritimes
L’Astrolabe su French Lines
L’Astrolabe su Marine Marchande
Il Saint René su Hartlepool History Then and Now
1930-1935 Astrolabe
Capo Lena (Sperrbrecher 37)
Weekly Intelligence Report Number 50 – February 21, 1941
Taming the Skies: A Celebration of Canadian Flight
Intrepid Warriors: Perspectives on Canadian Military Leaders
Flying Canucks II: Pioneers of Canadian Aviation
Frank Clarke Strick
Department of State Publication, Edizione 8354
International Law Reports, Volume 12