La Perseo negli anni Trenta (da www.history.navy.mil) |
Torpediniera della
classe Spica, dava il nome ad una delle quattro serie in cui tale classe era
divisa (Spica, Perseo, Climene ed Alcione), caratterizzate tra loro da lievi
differenze in termini di dimensioni e disposizione dell’armamento.
Il tipo Perseo, terza
serie della classe Spica (la prima serie era costituita da due sole unità, la Spica stessa e l’Astore, che furono i “prototipi” della classe; la seconda e quarta
serie, Climene ed Alcione, contavano rispettivamente sei e sedici unità), era
caratterizzato da un dislocamento standard di 642 tonnellate (contro le 630 di Spica e Astore, le 652 delle Climene, e le 679 delle Alcione), 860 o
970 in carico normale (analogamente al tipo Climene, contro le 849 della prima
serie e le 975 del tipo Alcione), e 1000 tonnellate a pieno carico
(contro le 901 della prima serie, le 1010 del tipo Climene e le 105 del tipo
Alcione). Entro il 1942, comunque, in seguito alle modifiche dell’armamento
subite durante la guerra, tutte le rimanenti torpediniere classe Spica, Perseo
comprese, raggiunsero un dislocamento a pieno carico di circa 1200 tonnellate.
(Secondo altra fonte, le Spica tipo Perseo avrebbero avuto un dislocamento
standard di 775 tonnellate, contro le 638 della serie iniziale, le 780 delle Climene
e le 785 delle Alcione; ed un dislocamento a pieno carico di 1005tonnellate,
rispetto alle 885 della prima serie, le 995 del tipo Climene e le 1035 del tipo
Alcione. Una fonte ancora differente fornisce i seguenti dati: dislocamento
standard di 791 tonnellate per le Perseo, 797 per le Climene, 790 per le
Alcione; in carico normale di 860 tonnellate per le serie Perseo e Climene, 975
per la serie Alcione; a pieno carico di 1020 tonnellate per le Perseo, 1010 per
le Climene, 1050 per le Alcione. Data la forte differenza rispetto a tutte le
altre fonti, però, probabilmente questi dati sono errati).
La Perseo a Taranto, con la colorazione grigio scuro applicata nell’autunno del 1941 (g.c. Marco Ghiglino) |
La Perseo e la Sirio furono rispettivamente la quinta e la sesta unità della classe Spica ad essere ordinate, nel 1934 (la loro costruzione fu stata autorizzata nel piano 1933-1934), dopo le due “sperimentali” Spica ed Astore (autorizzate nel piano costruzioni 1931-1932 ed ordinate come prototipi nel 1933 per valutare la possibilità di costruire su larga scala delle torpediniere di dislocamento standard inferiore alle 600 tonnellate per avere dei “piccoli cacciatorpediniere” che, in base alle disposizioni del trattato di Londra del 1930, sotto quel dislocamento potevano essere costruiti senza limiti di numero) e le prime due del tipo Climene (Climene e Centauro), rispetto alle quali Perseo e Sirio rappresentavano un tipo leggermente modificato. In quel momento c’era ancora molta incertezza sulla convenienza di riprodurre il tipo su larga scala; c’era chi – come l’ex capo di Stato Maggiore Ernesto Burzagli – riteneva che per sostituire i vecchi cacciatorpediniere declassati della Grande Guerra (una delle esigenze che avevano portato a progettare le Spica) fosse meglio ricorrere a torpediniere più piccole, di 300 tonnellate, oppure anche ad una versione migliorata e ingrandita dei MAS. Permanevano dubbi, nello Stato Maggiore della Marina, sull’utilità di navi di quel tipo, viste da alcuni (tra cui il capo di Stato Maggiore, ammiraglio Gino Ducci, ed il suo successore Domenico Cavagnari, mentre era favorevole ad esse il Ministro della Marina, ammiraglio Giuseppe Sirianni) come troppo piccole per essere usate come veri cacciatorpediniere, in impiego di squadra, e troppo grandi per essere impiegate come siluranti notturne.
Tra il 1934 ed il
1935, dato che le prove in mare di Spica
ed Astore avevano dato risultati
abbastanza soddisfacenti (anche se le qualità nautiche non si erano rivelate
eccelse), vennero ordinate le altre sei torpediniere serie Perseo e le altre quattro
serie Climene. Pesò su questa decisione soprattutto l’avvicinarsi della guerra
d’Etiopia che, esacerbando i contrasti con il Regno Unito, faceva sentire la
necessità di incrementare il numero di siluranti a disposizione, in vista di un
possibile conflitto con la Royal Navy: fu Mussolini stesso ad autorizzare la
costruzione di altre dieci Perseo e Climene, “scavalcando” l’ancora dubbioso
ammiraglio Cavagnari. Siccome su Spica
ed Astore, per non sforare il limite
di 600 tonnellate, si era dovuto eliminare uno dei tre cannoni da 100/47 e si
era finiti col superare comunque quel “tetto”, si decise di non considerare il
vincolo delle 600 tonnellate standard come troppo “stringente”, e l’osservanza
di tale limite fu di conseguenza sempre meno considerata nelle serie
successive, che infatti lo superarono tutte di varie decine di tonnellate.
Le navi della serie Perseo
avevano dislocamento ed autonomia più ridotti rispetto al tipo Climene (1892
miglia a 15 nodi e 683 miglia a 30 nodi, con una riserva di 207 tonnellate di
nafta, contro le 1960 a 15 nodi e le 705 a 30 nodi delle Climene, che avevano
una riserva di 211 tonnellate di nafta).
La Perseo (da www.trentoincina.it) |
Oltre alla Perseo, formavano questa serie altre
sette unità: Vega, Sirio, Sagittario, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran; quattro
(Perseo, Sirio, Sagittario e Vega) furono costruite dai Cantieri del
Quarnaro di Fiume, le altre quattro dall’Ansaldo di Genova. Altre lievi
differenze tra la serie Perseo e le altre erano nella lunghezza (81,95 metri
per le Perseo, 81,40 per le Climene, 80,35 per le prime due Spica e 81,42 per
le Alcione), nella larghezza (8,20 per le Perseo, le Climene e le prime due Spica,
7,92 per le Alcione) e nel pescaggo a pieno carico (3,01 metri per le Perseo, 3,05
per le Climene, 2,82 per Spica e Astore, 3,09 per le Alcione).
L’armamento principale delle Perseo era costituito da tre cannoni OTO 1931 da
100/47 mm, analogamente alle serie Spica e Climene (sulle Alcione fu invece
sostituito dal più moderno OTO 1937), e quello contraereo da quattro
mitragliere binate da 13,2/76 mm (lo stesso su tutte le unità della classe,
tranne Spica ed Astore che ne avevano solo due). La maggiore differenza era nella
disposizione dell’armamento silurante: quattro tubi lanciasiluri da 450 mm su
tutte le unità della classe, ma sulle navi tipo Perseo erano in quattro impianti
singoli, due per lato (permettendo una salva massima di due siluri per lato),
analogamente alla serie Climene, mentre nella successiva serie Alcione furono
installati due impianti binati sui lati, e sulle originarie Astore e Spica (nonché su Climene
e Centauro, che in questo differivano
dal resto della loro sottoclasse) erano in un impianto binato centrale e due
impianti singoli laterali. Su questo però esistono delle discordanze; qualche
fonte afferma che invece anche le Perseo avrebbero avuto originariamente i tubi
lanciasiluri in due impianti binati, come le Alcione.
A partire dal 1939 e
fino al 1941 iniziò un periodo di rimodernamento e standardizzazione di tutte
le unità della classe; su tutte le navi la disposizione dei tubi lanciasiluri
fu modificata per rispecchiare quella, più razionale, del tipo Alcione (due
impianti binati), mentre le mitragliere da 13,2 mm, rivelatesi inadeguate,
vennero progressivamente sostituite con le più efficaci armi da 20/65 mm.
Durante la guerra i due lanciabombe originari per bombe di profondità vennero
sostituiti con due o quattro lanciabombe pirici di produzione tedesca, aventi
una celerità di tiro molto superiore, e diverse unità (Perseo compresa) ricevettero un ecogoniometro, di produzione
italiana o tedesca. Uno dei principali punti deboli delle navi della classe Spica
rimase la loro mediocre abitabilità, essendo nate come unità pensate per brevi
pattugliamenti notturni ma venendo di fatto impiegate per lunghe missioni di
scorta, nelle quali la ristrettezza degli spazi riservati all’equipaggio si
fece sentire.
Durante la seconda guerra
mondiale la Perseo effettuò 81
missioni di scorta (per altra fonte, effettuò in tutto 81 missioni di tutti i
tipi), principalmente in Nordafrica.
Breve e parziale cronologia.
12 novembre 1934
Impostazione presso i
Cantieri del Quarnaro di Fiume.
9 ottobre 1935
Varo presso i
Cantieri del Quarnaro di Fiume.
1° febbraio 1936
Entrata in servizio.
1937
Compie una crociera
di prova fino a Tripoli.
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra
civile spagnola, la Perseo partecipa
al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio (“contrabbando”) di
rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole.
Mussolini ha preso tale decisione a seguito di richieste da parte dei comandi
spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione
Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500
carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, inviati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere
che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica
francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro
sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti
dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle
dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare
marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre
siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna, Bartolomeo Colleoni).
Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro
incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Fulmine, Lampo, Espero, Ostro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere tra cui la Perseo (le altre sono Cigno, Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Giuseppe La Masa, Generale Carlo Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli
incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di
operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad
attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei
Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono
segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di
Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche
questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali)
troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della
Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che
riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato
lungo le coste della Spagna. Nei primi giorni del blocco sono molto attivi
proprio i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai
repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col
Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed
internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in
totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina
italiana, echeggiate anche da Winston Churchill.
5 maggio 1938
La Perseo, insieme al resto della X
Squadriglia Torpediniere (Sirio, Sagittario e Vega, al comando del capitano di corvetta Pellegrini), prende parte
alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita
in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta
italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I
e III Divisione, gli 11 incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII
Divisione, 7 “esploratori leggeri” classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le
Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea
e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le
Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie Audace,
Castelfidardo, Curtatone, Francesco Stocco,
Nicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro “avvisi scorta” della classe Orsa),
85 sommergibili e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi
scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito
Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave
bersaglio San Marco.
La X Squadriglia è
inquadrata nella Flottiglia Torpediniere (capo flottiglia il capitano di
vascello Fontana, sull’esploratore Nicoloso
Da Recco) insieme alle Squadriglie IX (Astore,
Spica, Canopo e Cassiopea), XI (Castore, Centauro, Cigno, Climene) e XII (Altair, Andromeda, Antares, Aldebaran).
Torpediniere
classe Spica ormeggiate a Napoli in occasione della rivista "H": la Perseo è la quinta da sinistra. Prima di
essa, da sinistra verso destra, si riconoscono Altair, Aldebaran, Antares ed Andromeda, mentre dopo la Perseo
sono probabilmente ormeggiate Cigno e
Vega (Naval History and Heritage Command
e Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
Fine anni Trenta
Temporaneamente
dislocata a Lero [notizia incerta].
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale la Perseo forma, insieme alle gemelle Sirio, Vega e Sagittario, la X Squadriglia
Torpediniere, di base a La Spezia.
30 luglio 1940
La Perseo, insieme alla gemella Vega ed alle più anziane
torpediniere Generale Antonino
Cascino e Generale Achille Papa,
salpa da Trapani alle 00.30 scortando verso Tripoli i piroscafi Bosforo e Caffaro. Le navi, che procedono a 10 nodi e dovranno seguire le
rotte costiere della Tunisia, formano il convoglio numero 3 dell’Operazione "Trasporto
Veloce Lento", consistente nell’invio in Libia di tre convogli (il numero
1, "lento", è costituito dalle navi da carico Maria Eugenia, Gloria Stella, Bainsizza, Mauly, Col di Lana, Città di
Bari e Francesco Barbaro,
scortati dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere e dalla XIV Squadriglia
Torpediniere; il numero 2, "veloce", è formato dai trasporti
truppe Città di Napoli, Città di Palermo e Marco Polo scortati dalla II
Squadriglia Torpediniere e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere) con la
protezione a distanza, nella zona più pericolosa della traversata – per il caso
che forze di superficie britanniche escano da Alessandria d’Egitto –, degli
incrociatori pesanti Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare, ammiraglio Riccardo Paladini), Zara, Fiume, Gorizia (I Divisione) e Trento, degli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto
Di Giussano (IV Divisione), Eugenio
di Savoia, Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VII Divisione) e dei
cacciatorpediniere delle Squadriglie IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e
XIV (Antonio Pigafetta, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno).
1° agosto 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli a mezzogiorno.
1940-1941
Lavori di modifica
dell’armamento: tre delle quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm, di modesta
efficacia, vengono rimosse e sostituite con altrettante più efficaci armi da
20/65 mm, anch’esse binate, modello Breda 1935. Vengono inoltre imbarcati due
scaricabombe per 40 bombe di profondità complessive (per altra fonte questi
sarebbero stati installati nel 1941-1942), e cambiata la disposizione dei tubi
lanciasiluri, uniformandola a quella della serie Alcione (due impianti
lanciasiluri binati brandeggiabili, sulla mezzeria), che appare la migliore,
permettendo di lanciare un maggior numero di siluri su uno stesso lato (lancio
di saturazione).
Queste modifiche
vengono effettuate su tutte le navi della classe Spica tra il 1939 ed il 1941,
durante i normali turni di manutenzione, nel quadro di un piano di
ammodernamento e “standardizzazione” del loro armamento.
10 aprile 1941
La Perseo e le torpediniere Giuseppe Missori e Generale Carlo Montanari (caposcorta)
partono da Palermo per Tripoli alle 13.30, scortando un convoglio composto dai
piroscafi Bosforo ed Ogaden e dalle navi cisterna Persiano e Superga.
11 aprile 1941
I cacciatorpediniere
britannici Jervis (capitano
di vascello Mack), Janus, Nubian e Mohawk lasciano Malta per intercettare il convoglio italiano
tra Lampione e le Kerkennah, ma non ricevono un messaggio inviato dal
sommergibile Unique che
corregge la velocità del convoglio, la cui stima iniziale è errata. Le unità
britanniche non riescono così a trovare quelle italiane, e devono rientrare a
Malta.
Secondo alcune fonti
lo stesso giorno il convoglio viene infruttuosamente attaccato dal sommergibile
britannico Upholder al
largo di Capo Bon, ma si tratta probabilmente di un errore.
12 aprile 1941
Alle 8.30, quando il
convoglio è 50 miglia a nord di Tripoli (per il Tetrarch, la posizione è 37 miglia per 340° dal faro di Tripoli) e
la scorta è stata rinforzata da un aereo, le navi vengono avvistate dal
sommergibile britannico Tetrarch (capitano
di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) mentre procedono su rotta 150°
alla velocità stimata di 10 nodi.
Passato all’attacco,
il battello lancia quattro siluri contro la Persiano, dalla distanza di 4115 metri: mentre la Montanari avvista le scie dei siluri e
riesce ad evitarli con la manovra, alle 8.50 (per altra versione 10.20)
la Persiano viene colpita
da un siluro 30 miglia a nordovest del faro di Tripoli. Incendiata a poppa, la
petroliera viene assistita dalle torpediniere Polluce e Partenope,
uscite da Tripoli, mentre il resto del convoglio prosegue verso il porto, dove
entra alle 15.
Il Tetrarch, sceso in profondità subito
dopo il lancio, viene sottoposto a caccia antisommergibili per tre ore da parte
della Montanari (distaccata con il
duplice compito di dare la caccia all’attaccante e poi di recuperare i
naufraghi della Persiano), con il
lancio di nove bombe di profondità, ma non subisce danni. Più tardi, alle
16.10, inizia un nuovo bombardamento con 15 cariche di profondità, ma anche
queste esplodono troppo lontane per poter fare danni.
La Persiano affonderà l’indomani
mattina, alle 10.30, nel punto 33°29’ N e 14°01’ E. L’equipaggio, eccetto tre
uomini rimasti uccisi, viene tutto recuperato dalle unità della scorta.
16 aprile 1941
La Perseo, insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati, che assume la
direzione dei soccorsi), Antonio Da
Noli, Lanzerotto Malocello e
Dardo, alle torpediniere Clio, Centauro, Partenope e
Giuseppe Sirtori, alla nave
ospedale Arno, alla nave
soccorso Giuseppe Orlando ed
ai piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro, partecipa alle
operazioni di soccorso ai naufraghi delle navi del convoglio «Tarigo»,
distrutto nella notte precedente dai cacciatorpediniere britannici Jervis, Janus, Nubian e Mohwak (quest’ultimo affondato a
sua volta dal Tarigo). I
cacciatorpediniere Luca Tarigo e Baleno ed i piroscafi Adana, Aegina, Iserlohn e Sabaudia sono stati affondati, il
cacciatorpediniere Lampo ed
il piroscafo Arta sono
stati portati all’incaglio con danni gravissimi.
L’operazione di
soccorso, organizzata da Marilibia non appena tale Comando ha ricevuto notizia
dell’accaduto, vede anche la partecipazione di idrovolanti ed aerei da
trasporto. Complessivamente vengono tratti in salvo 1271 naufraghi, mentre le
vittime sono circa 700 (altre fonti parlano di 1800 vittime, ma sembrano basate
su stime errate).
5 maggio 1941
La Perseo, le gemelle Cigno e Centauro, le
torpediniere di scorta Orsa e Procione (caposcorta) ed i
cacciatorpediniere Fulmine
ed Euro salpano da Tripoli
per Palermo (la destinazione finale è Napoli) alle 9.30, scortando la motonave
italiana Rialto, il trasporto
truppe Marco Polo ed i
piroscafi tedeschi Reichenfels, Marburg e Kybfels: il convoglio è denominato «Marco Polo».
Il convoglio segue la
rotta ad est di Malta; per proteggere il suo movimento e quello di un altro
convoglio (in navigazione da Napoli a Tripoli), essendo state avvistate a Malta
delle unità leggere britanniche, esce in mare la VII Divisione Navale
dell’ammiraglio Ferdinando Casardi, con gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta ed
i cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Nicoloso Da Recco e Nicolò Zeno.
La visibilità è
cattiva durante tutta la giornata del 5.
Alle 14.26 la VII
Divisione, di scorta indiretta al convoglio diretto a Tripoli, avvista il
convoglio «Marco Polo»; l’ammiraglio Casardi manda il Da Verrazzano a segnalare otticamente alla Procione (essendo quest’ultima
sprovvista di apparato radio ad onde ultracorte, avente portata abbastanza
limitata da non essere radiogoniometrabile) gli ordini di Supermarina sulla
rotta da seguire, ed ad impartirgli istruzioni in merito al dispositivo di
marcia notturna ed a come il convoglio dovrà manovrare in caso di attacco
aereo. Alle 19.50 la VII Divisione si posiziona 4 km a proravia del convoglio.
Al calare del buio,
il convoglio si dispone come ordinato dall’ammiraglio Casardi: i mercantili su
tre colonne, con scorta laterale, gli incrociatori in linea di fila 3 km a
proravia del convoglio, ed i cacciatorpediniere in posizione di scorta
avanzata.
La navigazione
notturna si svolge senza inconvenienti; il convoglio esegue le accostate senza
difficoltà, nonostante la loro ampiezza.
6 maggio 1941
Alle 5.45 la VII
Divisione lascia la scorta ravvicinata del convoglio, posizionandosi alla sua
sinistra; alle 6.04 viene avvistato il primo velivolo della scorta aerea.
Alle 13.25 il
convoglio viene avvistato in posizione 37°36’ N e 15°28’ E, su rilevamento
070°, dal sommergibile britannico Unique (tenente
di vascello Anthony Foster Collett), in pattugliamento a levante della Sicilia
(a guardia dell’imboccatura meridionale dello stretto di Messina), ma questi,
che dista una decina di miglia dalle navi dell’Asse e non è nella posizione
prevista a causa di un errore di navigazione (alle nove del mattino, facendo il
punto sulla base dei punti caratteristici della costa, l’equipaggio del
sommergibile ha scoperto di essere 25 miglia più a sudest del dovuto), non è in
grado di attaccare. Per lo stesso motivo, l’Unique
non può attaccare nemmeno la VII Divisione Navale, che ha avvistato alle 12.26
in posizione 37°34' N e 15°27' E, a nove miglia di distanza, su rilevamento
080°.
7 maggio 1941
Il convoglio arriva a
Palermo alle 6.30.
24 maggio 1941
Nel pomeriggio, al
largo di Messina, la Perseo, la
gemella Calliope e la più anziana
torpediniera Calatafimi vanno a
rinforzare la scorta di un convoglio in navigazione da Napoli (da dov’è partito
alle 4.30) a Tripoli, composto dai trasporti truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia e Victoria con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta) e Camicia Nera e delle torpediniere Procione, Orsa e Pegaso, e quella
indiretta della III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trieste e Bolzano,
cacciatorpediniere Ascari, Lanciere e Corazziere). Le tre torpediniere raggiungono il convoglio dopo che
questo ha attraversato lo Stretto di Messina diretto verso sud; nello stesso
momento, il convoglio assume la formazione a doppia colonna, con l’Esperia in testa alla colonna di dritta
ed il Conte Rosso a quella sinistra.
Gli ordini di Marina Messina per Perseo,
Calliope e Calatafimi sono di restare con il convoglio fino al parallelo di
Riposto.
Alle 19.10, giunte
all’altezza del parallelo di Riposto, Perseo,
Calliope e Calatafimi lasciano il convoglio e dirigono per rientrare a Messina,
come da disposizioni; un’ora e mezza più tardi, il Conte Rosso sarà silurato dal sommergibile britannico Upholder ed affonderà con la morte di
1297 uomini.
La Perseo parteciperà alle operazioni di
ricerca e soccorso, durante le quali, il 25 maggio, recupererà due salme che
verranno poi trasbordate sulla nave ospedale Arno per provvedere al riconoscimento.
26 maggio 1941
Alle 19.40 la Perseo (tenente di vascello Domenico
D’Elia), insieme alle gemelle Circe
(caposquadriglia della XIII Squadriglia Torpediniere, capitano di fregata Carlo
Unger di Lowenberg), Calliope (tenente
di vascello Carmelo Oliva) e Clio (capitano
di corvetta Pasquale Giliberto), salpa da Augusta per effettuare la posa degli
sbarramenti di mine «M 4» e «M 4 bis», da posare ad est di Malta (in un settore
che l’osservazione delle rotte seguite dalle navi britanniche fa presumere
piuttosto “trafficato”) per ostacolare il transito di convogli con rifornimenti
destinati all’isola, od anche di forze navali che la Royal Navy vi potrebbe
dislocare. Ciascuna torpediniera ha a bordo 25 mine tipo P 200 preparate dal
Parco Torpedini di Augusta, e dotate di congegno acustico di produzione tedesca
(utilizzato per la prima volta nel Mediterraneo). A protezione dell’operazione
contro l’eventuale intervento di navi britanniche, è stato disposto che dalle
00.30 del 27 due MAS si posizionino in agguato una decina di miglia a nordest
dell’isolotto di Gozo.
Le torpediniere
procedono a 20 nodi lungo le rotte costiere fino al punto prestabilito «A» al
largo di Capo Passero, dove giungono alle 22.51; assunta poi rotta 187°, sempre
a 20 nodi, dirigono per il punto prestabilito «B». Verso le 23.30 si inizia a
vedere, in lontananza, il tiro di sbarramento delle batterie contraeree di La
Valletta.
27 maggio 1941
Alle 00.54, le
torpediniere giungono nel punto «B»; riducono la velocità a 10 nodi (la velocità
prevista per la posa) ed accostano per 180°, dividendosi in due sezioni
incaricate di posare i due sbarramenti, che devono essere posati
simmetricamente uno a nord e l’altro a sud del punto «B»: quello a nord da Perseo e Clio, quello a sud da Circe
e Calliope. La sezione formata
da Clio e Perseo inverte la rotta sulla
sinistra ed accosta per rotta 0°, con analoga velocità. Perseo e Calliope iniziano
per prime la posa del primo grappolo di mine, alle 00.57.40; l’operazione dura
esattamente un’ora, concludendosi all’1.57.20 con la posa del terzo grappolo da
parte di Circe e Clio. La Circe prima, e la Perseo
poi, posano lo sbarramento «M 4 bis»; contemporaneamente la Calliope prima, e la Circe poi, posano lo sbarramento «M
4», sul lato opposto rispetto al punto «B». Le 100 mine vengono posate a
grappoli, su rotte serpeggianti, con una distanza di 60-80 metri tra le armi di
ciascun grappolo (e di 55-60 metri tra le armi di uno stesso grappolo), tutte
regolate per una profondità di 20 metri. Grazie alla luce lunare, è possibile
eseguire tutte le operazioni per la preparazione e la posa (rimozione delle
rizze e dei cappellozzi, spostamento delle mine) senza dover accendere luci in
coperta; c’è mare mosso con onda lunga da scirocco, ma alla velocità di posa di
10 nodi questo non crea problemi (a 20 nodi, invece, bagnava le mine a poppa).
La stabilità delle navi, anche con tutte le mine a bordo, risulta buona con
mare lungo al mascone; non altrettanto con il mare al traverso. L’unico
inconveniente durante la posa riguarda proprio la Perseo, che a causa di un momentaneo ingombro di una ferroguida
posa tre mine del secondo grappolo con un intervallo maggiore rispetto a quanto
previsto.
Unico evento da
segnalare, all’1.32, l’avvistamento da parte della Circe (intenta ad ancorare il primo grappolo) di una luce di
prora sinistra, subito spenta; si ritiene che sia un’unità britannica della
vigilanza foranea, ma la posa prosegue. Si vedono ancora bagliori di tiro
contraereo verso La Valletta; all’1.20, all’1.30, all’1.45 ed alle 2.16 si
avvertono delle scosse allo scafo che sembrano causate da esplosioni subacquee,
ma troppo deboli per essere di mine esplose prematuramente. Le si attribuisce a
bombe cadute in mare non vicinissime.
Terminata la posa,
tutte e quattro le torpediniere accostano per 035° ed assumono velocità di 20
nodi, riformando le sezioni Circe-Calliope e Clio-Perseo,
che procedono senza essere in vista l’una dell’altra. Alle 2.25 le due sezioni,
accelerato a 25 nodi, dirigono verso il punto «A» di Capo Passero.
Entro le 5.55 la
squadriglia è riunita in linea di fila ad est di Capo Murro di Porco; alle 7.20
le navi entrano ad Augusta. Il comandante e caposquadriglia Unger di Lowenberg,
nel suo rapporto, elogia tutto il personale coinvolto nell’operazione (in special
modo comandanti, comandanti in seconda e personale addetto alle mine, sia
quello facente parte degli equipaggi che quello appositamente imbarcato per
l’operazione dal Parco Torpedini di Augusta) per la precisione, perizia ed
entusiasmo mostrati.
2 giugno 1941
La Perseo e la gemella Circe (caposcorta) salpano da
Palermo per Tripoli alle 19.30, scortando i piroscafi Liv, Ninuccia e Pertusola.
5 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.15.
17 giugno 1941
Alle 14.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a
Tripoli i piroscafi Ninfea e Cadamosto ed il motoveliero Unione.
19 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 14.
25 giugno 1941
La Perseo lascia Tripoli per Bengasi alle
7, scortando il Cadamosto, l’Unione ed il motoveliero Aosta.
27 giugno 1941
Il convoglio
raggiunge Bengasi a mezzogiorno.
28 giugno 1941
Alle 14 la Perseo riparte da Bengasi per rientrare
a Tripoli, di scorta ad Aosta ed Unione.
30 giugno 1941
Le tre navi
raggiungono Tripoli alle 15.30.
9 luglio 1941
Alle 18.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a
Tripoli i piroscafi Prospero ed Una e la motocisterna Labor.
11 luglio 1941
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 15.15.
19 luglio 1941
Alle 9.30 la Perseo raggiunge il piroscafo Bosforo, in arrivo dall’Italia in
navigazione isolata, e ne assume la scorta fino a Bengasi, dove le due navi
arrivano alle 16 (o 18).
Alle 19.30 la Perseo riparte da Bengasi di scorta ai
piroscafi Motia e Cadamosto, diretti a Tripoli.
24 luglio 1941
Perseo, Motia e Cadamosto arrivano a Tripoli alle 21.
(Per altra fonte sarebbero giunti a Tripoli il 21 luglio).
2 agosto 1941
La Perseo salpa da Bengasi alle 19
scortando il piroscafo Una, diretto a
Tripoli.
4 agosto 1941
Le due navi arrivano
a Tripoli alle 22.
10 agosto 1941
Alle 20 la Perseo lascia Tripoli per Bengasi,
scortando i motovelieri italiani Aosta
ed Anna Maria ed il piroscafo tedesco
Brook.
13 agosto 1941
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 13.30.
Alle 18 la Perseo ne riparte scortando il
piroscafetto frigorifero Adua, la
motocisterna Labor ed i motovelieri Rita ed Eugenio, diretti a Tripoli. La torpediniera li scorta però solo nel
tratto iniziale della navigazione; il 15 agosto il convoglietto, mentre si
trova senza scorta nel Golfo della Sirte, verrà attaccato da aerei che, subendo
la perdita di due velivoli, affonderanno l’Adua
con bombe.
16 agosto 1941
Nel tardo pomeriggio
il sommergibile britannico Tetrarch
(capitano di corvetta George Henry Greenway), appostato fin dal mattino subito
fuori dal porto di Bengasi, avvista la Perseo
ancorata nel porto, vicino all’ingresso, e decide di tentare di silurarla:
lanciando i suoi siluri su rotta 127°, Greenway spera di riuscire a farli
passare attraverso l’apertura nelle ostruzioni presenti all’imboccatura del
porto. Alle 18.28, pertanto, il Tetrarch
lancia due siluri da 3200 metri di distanza. Entrambi esplodono contro le
ostruzioni; la Perseo mette subito in
moto e nel giro di dieci minuti esce dal porto, raggiunge la posizione del Tetrarch e gli dà la caccia per
mezz’ora, lanciando dodici bombe di profondità. Le ultime tre bombe esplodono
piuttosto vicine, ma il sommergibile non viene danneggiato.
17 agosto 1941
Alle 13.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a
Tripoli Aosta, Anna Maria e Brook.
19 agosto 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.
La Perseo (seconda da destra) ormeggiata a Napoli insieme a varie gemelle, tra cui Andromeda, Sagittario, Vega, Sirio e Cigno (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
30 agosto 1941
La Perseo assume la scorta, assieme
alla torpediniera Giuseppe Dezza,
della pirocisterna tedesca Ossag,
proveniente da Patrasso (con la scorta, nel primo tratto, della
torpediniera San Martino) e
diretta a Bengasi.
31 agosto 1941
Perseo, Ossag e Dezza arrivano a Bengasi alle 13.
13 settembre 1941
Alle 3.33, su ordine
di Marina Tripoli, la Perseo viene
fatta partire da Zuara per andare incontro ad un convoglio in arrivo
dall’Italia (è partito da Napoli il 10 settembre) e diretto a Tripoli (piroscafi
Tembien, Caffaro, Nirvo, Bainsizza e Nicolò Odero, motonave Giulia,
scortati dai cacciatorpediniere Fulmine
ed Alfredo Oriani e dalle
torpediniere Orsa, Circe, Procione e Pegaso), allo
scopo di rinforzarne la scorta.
La Perseo raggiunge il convoglio mentre
questo è sotto attacco da parte di aerei nemici (attacco iniziato alle 3.55; in
precedenza il convoglio ha già perso il Caffaro
per attacco aereo). Nonostante il tiro di sbarramento e l’emissione di cortine
fumogene da parte della scorta, alle quattro del mattino il Nicolò Odero viene colpito da
alcune bombe. A prestare assistenza al piroscafo danneggiato è inizialmente la Circe, che alle 4.04 comunica l’accaduto
al caposcorta Oriani ed alle 4.30 lo
informa che ci sono uomini in mare, richiedendo l’invio di un’altra nave.
Il caposcorta invia ad assisterla l’Orsa e
la Perseo, perché partecipino
all’assistenza del piroscafo danneggiato ed al salvataggio del suo equipaggio, mentre
il resto del convoglio prosegue. Alle 5.05 la Circe riferisce che il Nicolò Odero ha un
incendio a bordo, ma rimane a galla, e chiede che sia inviato un rimorchiatore.
Perseo, Orsa e Circe provvedono per prima cosa a
mettere in salvo tutti i 285 superstiti del piroscafo, che per ore galleggia in
fiamme, inutilmente assistito dalle tre torpediniere; all’alba partono da
Tripoli i rimorchiatori Pronta e Portolago, che tentano vanamente di
domare le fiamme con ogni mezzo disponibile. Risultato futile ogni
tentativo, Pronta e Portolago prendono l’Odero a rimorchio e tentano
dapprima di portarlo a Tripoli, poi lo portano ad incagliare in costa. Sarà
tutto vano, perché alle 15 del 14 le fiamme raggiungeranno una stiva piena di
munizioni, ed il Nicolò Odero salterà
in aria.
Il resto del
convoglio giunge a Tripoli alle 12.30 del 13.
18 settembre 1941
La Perseo, insieme alle gemelle Circe, Centauro e Clio,
viene inviata da Marina Libia sul luogo del siluramento dei grandi trasporti
truppe Neptunia ed Oceania, attaccati dal sommergibile
britannico Upholder al
largo di Tripoli (la Perseo, in previsione
del loro arrivo, aveva già avuto ordine da Marina Libia di salpare la notte
precedente, tra il 17 ed il 18, per recarsi incontro al convoglio, rinforzarne
la scorta e pilotarlo in porto) ed in corso di affondamento. Marina Libia ha
ordinato alle torpediniere di recarsi immediatamente sul posto non appena ha
avuto notizia del siluramento, avvenuto alle 4.15; la Neptunia affonderà alle 6.15, l’Oceania,
mentre se ne sta preparando il rimorchio, affonderà alle 8.57 dopo essere stata
silurata una seconda volta. La terza motonave che componeva il convoglio, la Vulcania, è scampata indenne agli
attacchi ed è proseguita per Tripoli, scortata dal cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare; alle 7.25 Vulcania ed Usodimare, giunti ormai in prossimità di Tripoli, incontrano la Perseo, appena uscita da quel porto per
andare ad assistere le navi silurate (come le è stato ordinato), ed il
comandante del cacciatorpediniere ordina alla Perseo di assumere la scorta della Vulcania e di condurla in porto, insieme a due MAS presenti sul
posto, mentre l’Usodimare torna
indietro per partecipare ai soccorsi ai naufraghi di Neptunia ed Oceania. La Vulcania giunge in porto alle 9.30, e
terminato questo compito la Perseo
riparte immediatamente per recarsi sul luogo del siluramento e portare aiuto ai
naufraghi.
Grazie all’opera di
soccorso prestata dai cacciatorpediniere della scorta e, in misura minore,
dalle torpediniere, si riesce a salvare 5434 dei 5818 uomini imbarcati sulle
due navi. La Perseo salva 131
naufraghi, mentre 2083 sono stati salvati dal cacciatorpediniere Emanuele Pessagno, 1302 dal Nicoloso Da Recco, 683 dall’Antonio Da Noli, 582 dal Vincenzo Gioberti, 485 dall’Usodimare, 163 dalla Clio, tre dalla Circe e tre da idrovolanti di
soccorso.
La Perseo, insieme a Circe e Centauro nonché
ai cacciatorpediniere Da Recco, Da Noli e Gioberti della scorta, giunge a Tripoli alle 21.
19 settembre 1941
Alle 20.30 la Perseo parte da Tripoli per scortare a
Palermo il piroscafo Sabbia, danneggiato
e rimorchiato dal rimorchiatore di salvataggio Salvatore Primo. “ULTRA” intercetta e decritta delle comunicazioni
in codice riguardanti questo viaggio, ma non si verificano comunque attacchi.
23 settembre 1941
Perseo, Sabbia e Salvatore Primo arrivano a Palermo alle
11.
14-15 novembre 1941
La Perseo scorta i piroscafi Ninetto G. e Valsavoia, diretti a La Spezia.
Nel primo
pomeriggio il convoglietto incontra al largo di Fiumicino la nave
cisterna Iridio Mantovani, proveniente dalla Liguria e diretta verso sud con la
scorta della torpediniera Giacinto
Carini; i mercantili si scambiano le rispettive torpediniere di scorta, poi
proseguono ciascuno per la propria rotta.
Alle 15.30 del 15
novembre, poco prima dello scambio delle scorte, il convoglio formato da Valsavoia (scambiato per una nave cisterna),
Ninetto G. e Perseo (scambiata per un cacciatorpediniere classe Lampo, si trova
circa 915 metri al traverso a sinistra dei mercantili, che procedono in linea
di fila) viene avvistato dal sommergibile olandese O 21 (capitano di corvetta Johannes Frans Van Dulm) mentre procede
a 8 nodi su rotta 315°, con la scorta aerea di un idrovolante CANT Z. 501
(avvistato alle 15.35).
Il sommergibile
inizia la manovra d’attacco, ma alle 16.05 avvista anche il convoglio formato
da Carini e Mantovani, e subito dopo, avendo visto la Perseo issare un segnale e dirigergli incontro, scende in
profondità. Alle 16.20 la Carini
assume la scorta dei piroscafi, mentre la Perseo
fa lo stesso con la Mantovani; alle
16.26, in posizione 41°47’ N e 12°06’ E, l’O
21 lancia due siluri contro il Ninetto
G., ma subito dopo il lancio, non essendo riuscito ad eliminare tutta
l’aria contenuta nel primo tubo lanciasiluri, viene in affioramento, e deve
così rinunciare al lancio di un terzo siluro e poi immergersi precipitosamente
a 60 metri di profondità (poi ridotti a 40 metri). I siluri mancano il
bersaglio, e dalle 16.36 alle 16.56 l’O
21 viene sottoposto a caccia con bombe di profondità, che esplodono molto
vicine ma senza danneggiarlo.
20 novembre 1941
La Perseo (tenente di vascello Alessandro
Cavriani) ed il cacciatorpediniere Turbine
(capitano di corvetta Mario Rocca) salpano da Napoli alle 20 scortando il
primo scaglione del convoglio «C», composto dalle motonavi Napoli e Vettor Pisani.
Il convoglio fa parte
di un’operazione di traffico volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia,
dov’è iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica (operazione «Crusader»)
e dopo che la distruzione del convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad
opera della Forza K britannica, ha provocato la perdita di un ingente
quantitativo di rifornimenti diretti in Africa Settentrionale.
Dopo qualche giorno
di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato
Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di
far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla
partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con
operazione da svolgersi al più presto, al fine di "sfruttare il vantaggio
della sorpresa".
Supermarina,
d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per
l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (Vettor Pisani, Napoli, Monginevro, Ankara, Sebastiano
Venier ed Iridio Mantovani),
lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
L’operazione vede in
mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: il secondo scaglione
del convoglio «C», partito da Napoli alle 5.30 del 21 (motonave Monginevro, nave cisterna Iridio Mantovani,
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco,
torpediniera Enrico Cosenz) ed
il convoglio «Alfa», salpato da Napoli alle 19 del 20 (motonavi Ankara e Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti). La III e VIII Divisione Navale dovranno dare loro protezione;
dallo stretto di Messina in poi, dovranno navigare ad immediato contatto col
convoglio «C», quasi incorporate in esso.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi)
sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la
scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre),
per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in
missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città
di Tunisi cariche di truppe (da Taranto), e verranno fatte rientrare
in Italia le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è
che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più
convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione
maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in
mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K
britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente
inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e
cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla
scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di
ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili
vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
Dopo vari rinvii
dovuti al maltempo (che impedisce l’utilizzo degli aeroporti della Sicilia),
l’operazione prende il via, ma fin da subito molte cose non vanno per il verso
giusto. Il convoglio «Alfa» viene avvistato da un ricognitore britannico poco
dopo la partenza; quando viene intercettato un messaggio radio britannico dal
quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio
viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
21 novembre 1941
Alle 00.23 la Perseo lascia la scorta del
convoglio. Qualche ora dopo, la torpediniera sperona il cacciasommergibili
ausiliario AS 84 Fernanda, un
motoveliero convertito, al largo di Punta Imperatore, arrecandogli gravi danni.
Tra la tarda serata
del 21 novembre e le prime ore del 22, le forze navali in mare per l’operazione
che comprendeva il convoglio «C» vengono duramente attaccate da aerei e
sommergibili nemici: alle 23.10 l’incrociatore pesante Trieste viene silurato dal sommergibile britannico Utmost, rimanendo immobilizzato con
gravissimi danni, e la Perseo viene
inviata sul posto per recarsi in suo aiuto.
22 novembre 1941
Alle 00.03 la Perseo giunge nei pressi del Trieste e viene chiamata a portata di
voce dal suo comandante, capitano di vascello Umberto Rouselle, il quale col
megafono le ordina di girare intorno all’incrociatore per svolgere vigilanza
contro eventuali nuovi attacchi di sommergibili.
A poco a poco, il Trieste riesce a rimettere in moto ed a
trascinarsi lentamente verso Messina (dove arriverà alle 7.30), ma alle 00.38,
durante un attacco aereo, l’incrociatore leggero Duca degli Abruzzi viene colpito da un aerosilurante, rimanendo a
sua volta immobilizzato. La Perseo
riceve allora ordine di dirigere sul posto per proteggere il Duca degli Abruzzi. Alle 7 del mattino
l’incrociatore danneggiato è circondato dai cacciatorpediniere Da Noli, Vivaldi, Turbine, Granatiere, Fuciliere, Alpino, Corazziere e Carabiniere oltre che dalla Perseo. Tutte le siluranti evoluiscono
intorno al Duca degli Abruzzi,
emettendo cortine fumogene per occultarlo. Alle 8.16 l’incrociatore viene
raggiunto da due rimorchiatori (unitamente a due MAS inviati da Marina Messina
durante la notte) sotto la costa calabra e viene preso a rimorchio, avanzando a
cinque nodi di velocità.
La menomazione della
forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia
della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono
l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla
scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia rimangono
ad assistere il Duca degli Abruzzi.
L’incrociatore, assistito dal rimorchiatore Impero e scortato da Perseo, Vivaldi, Da Noli, Granatiere, Fuciliere ed Alpino nonché da aerei caccia italiani Macchi Mc. 200 del 4° Stormo
e da bombardieri Junkers Ju.88C tedeschi del 1° Gruppo del 2° Stormo da Caccia
Notturna (I./NJG.2), riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42.
25 novembre 1941
Alle 20.30 la Perseo parte da Trapani scortando le motozattere
tedesche (Marinefährprahme) F 146, F 148, F 150 e F 160, provenienti
da Palermo e dirette a Tripoli al comando del tenente di vascello Von Forell e
del capitano Keil, con a bordo 800 fusti di benzina, 20 tonnellate di cemento
per le forze italiane, equipaggiamento per immersioni tipo Draeger, 20
tonnellate di derrate alimentari e 132 tonnellate di altri materiali. Il tempo
non è dei migliori per una traversata con mezzi tanto piccoli e tanto poco
“marini” come le MFP: mare agitato e forte vento.
La Perseo scorta il primo convoglio di
motozattere tedesche in Nordafrica, dicembre 1941 (sopra, da Historisches
Marinearchiv, e sotto, da The Crusader Project)
28 novembre 1941
Dopo brevi soste a
Pantelleria e Lampedusa, la Perseo e
le motozattere tedesche raggiungono Tripoli. Si tratta del primo viaggio
compiuto dalle MFP in Nordafrica. Durante il viaggio, i portelloni di F 146, F 148 e F 150 hanno
subito alcuni danni a causa delle mare agitato.
1° dicembre 1941
La Perseo riparte da Tripoli alle 12.15
scortando ancora le quattro motozattere tedesche (F 146, F 148, F 150, F 160), sempre al comando del tenente di vascello Von Forell,
aventi a bordo ciascuna 80 tonnellate di materiali da trasportare a Bengasi. Il
tempo sembra essere migliorato: adesso il mare è calmo.
2 dicembre 1941
Durante la
navigazione, il tempo peggiora; il mare torna ad essere agitato con forte vento
da est, ed alle 16 il portellone prodiero della F 160 viene danneggiato dalle onde. Alle 23.30, con vento forza 5-6
da est e mare di eguale violenza, la F
160 perde l’intero portellone (nonché diversi pannelli di copertura in
lamiera), e lancia una richiesta di aiuto. Tutte le motozattere sono alla
deriva, in balia della violenza del mare.
3 dicembre 1941
Alle cinque del
mattino le motozattere cercano di dirigersi verso la costa senza andare
controvento, ma la F 160 non riesce
più a tenere il mare. Alle otto del mattino la F 150 cerca di prendere a rimorchio la F 160, ma il cavo dev’essere mollato, perché il mare è troppo
agitato per poter consentire il traino dell’unità danneggiata. Si provvede
allora a trasferire sulla F 150 parte
dell’equipaggiamento per immersioni a bordo della F 160, perdendo in mare alcune valigie e borsoni; poi è la Perseo a tentare di prendere a rimorchio
la motozattera in difficoltà, ma tutti i cavi si spezzano dopo poco tempo. A
questo punto la Perseo prende a bordo
tutto l’equipaggio della F 160,
tranne il comandante Keil e due marinai; alle undici del mattino si giunge alla
conclusione che la motozattera è perduta, pertanto la Perseo prende a bordo anche i tre uomini rimasti a bordo, dopo di
che, su decisione del tenente di vascello Von Forell, la affonda a cannonate. La
F 160 è la prima unità della 2.
Landungsflottille ad andare perduta durante la guerra. Con essa si perdono 400
fusti di benzina e dieci tonnellate di cemento, nonché parte dell’attrezzatura
per immersioni.
Una
sequenza di immagini (da Historisches Marinearchiv e The Crusader Project)
ritraenti il salvataggio dell’equipaggio della F 160 da parte della Perseo:
5 dicembre 1941
Le altre tre
motozattere riescono a raggiungere Bengasi a mezzogiorno: tutte e tre hanno
subito anch’esse seri danni a causa del mare agitato, con crepe lunghe fino a
30 centimetri sulle sovrastrutture, sulle paratie e sui supporti, danni ai
portelloni prodieri, perdita di ancore e pannelli di copertura in lamiera.
Durante la manovra per entrare in porto, rallentando, la F 146 va fuori controllo e schiaccia una pilotina contro il
frangiflutti, uccidendo il pilota e ferendo gravemente un altro marinaio
italiano. A causa della collisione, anche la motozattera subisce seri danni
alla parte inferiore del portellone prodiero.
Alle 19 dello stesso
giorno la Perseo salpa da Bengasi per
Tripoli, scortando il piroscafo tedesco Brook.
8 dicembre 1941
Perseo e Brook arrivano a
Tripoli a mezzogiorno.
18-19 dicembre 1941
La Perseo e la torpediniera Generale Marcello Prestinari,
provenienti da est, si uniscono al convoglio «L» (motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Pessagno, Zeno, Da Recco e Da Noli) in
navigazione da Taranto a Tripoli durante l’operazione «M. 42». Perseo e Prestinari raggiungono il convoglio nel tratto finale della
navigazione, quando questo si è frazionato, per ordine del caposcorta
(contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, sul Vivaldi), in tre sottogruppi, ed ha subito il danneggiamento della
motonave Napoli (scortata da Da Noli e Zeno) colpita a poppa estrema da un siluro o da una bomba, che ha
causato pochi danni allo scafo ma ha immobilizzato il timone, ed entrata poco
dopo in collisione con lo Zeno,
rimasto a sua volta danneggiato (ha una falla nello scafo, ma riuscirà a
raggiungere Tripoli con i propri mezzi).
Per soccorrere la
motonave, Nomis di Pollone ha richiesto l’invio di rimorchiatori dalla ormai
vicina Tripoli, e distaccato Pessagno e Malocello dagli altri gruppi inviandoli
nella zona in cui si trova la motonave, essendo tale area particolarmente
pericolosa perché abitualmente infestata da sommergibili. Perseo e Prestinari
vengono appunto inviate anch’esse a rinforzare il gruppo della Napoli; il rimorchiatore Ciclope, inviato da Tripoli, prende a
rimorchio la motonave danneggiata (che in precedenza è stata presa a
rimorchio dal Da Noli).
A rimorchio
del Ciclope, la Napoli a giunge a Tripoli alle 16
del 19, preceduta di due ore da Da
Noli, Pessagno, Malocello e Zeno. L’operazione «M. 42» si conclude
in un successo, con l’arrivo a destinazione di tutti i rifornimenti inviati.
20 dicembre 1941
Alle 19 la Perseo salpa da Tripoli scortando i
piroscafi Spezia (tedesco) e Cadamosto (italiano), scarichi e diretti
a Bengasi. Alle 23 la torpediniera lascia la scorta del convoglio, che
proseguirà da solo fino all’una di notte del 22, quando verrà raggiunto dalla
cannoniera-cacciasommergibili Zuri.
Poco più tardi, entrambi i piroscafi salteranno su mine. (Secondo una fonte, la
Perseo sarebbe stata ancora con loro
e ne avrebbe soccorso i naufraghi, ma sembra probabile che si tratti di un
errore).
22 dicembre 1941
La Perseo lascia Bengasi alle 17.15 insieme
alla gemella Partenope, scortando il
piroscafo Ercole, diretto a Tripoli
con a bordo feriti e personale della Regia Marina da evacuare verso Tripoli
nell’ambito dello sgombero di Bengasi, prossima a cadere in mano britannica
durante l’offensiva denominata "Operazione Crusader".
24 dicembre 1941
Perseo, Partenope ed Ercole arrivano a Tripoli alle 18.30. Lo
stesso giorno, Bengasi viene occupata dai britannici.
21 gennaio 1942
La Perseo e la gemella Circe (caposcorta) partono da Tripoli dirette a Susa, dove si
trova il piroscafo tedesco Atlas qui
giunto da Napoli (scortato fino a Marettimo dalle torpediniere Sirtori e Cosenz, poi da solo); ne assumono la scorta per l’ultimo tratto di
navigazione verso Tripoli.
23 gennaio 1942
Perseo, Atlas e Circe arrivano a Tripoli alle 11.
24 gennaio 1942
La Perseo e la gemella Calliope lasciano Tripoli per recarsi incontro al convoglio
"T. 18" (motonavi Monviso, Monginevro e Vettor Pisani, scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Lanzerotto Malocello, Aviere, Geniere e Camicia Nera e dalle torpediniere Castore ed Orsa; un’altra motonave, la Ravello, è dovuta tornare indietro per
avaria, mentre il trasporto truppe Victoria
è stato affondato da aerosiluranti), in arrivo dall’Italia con 15.000
tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati e 271 automezzi. (Secondo una fonte
la Perseo avrebbe partecipato al
salvataggio dei naufraghi della Victoria,
ma sembra trattarsi di un errore).
Perseo e Calliope raggiungono
il convoglio alle 7.30; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» (scorta indiretta,
la VII Divisione Navale dell’ammiraglio Raffaele De Courten: incrociatori leggeri
Emanuele Filiberto Duca d’Aosta,
Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli,
cacciatorpediniere Bersagliere, Carabiniere, Fuciliere ed Alpino)
lascia la scorta come previsto, e dopo altri cinque minuti sopraggiunge la
scorta aerea con caccia e ricognitori della Regia Aeronautica.
Alle 9 uno dei caccia
di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro il mare, segnalando la
presenza di un sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio: il
contrammiraglio Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza sulla sinistra
(che permette alla Monviso di
evitare di stretta misura un siluro). Castore, Geniere e Malocello, unitamente a dei ricognitori, contrattaccano con bombe
di profondità; al termine della caccia si vedrà sulla superficie una chiazza di
nafta, ma nessun sommergibile è stato affondato.
Alle 14.15 il
convoglio entra a Tripoli; poco dopo il porto libico subisce un violento
bombardamento aereo, ma nessuna unità del convoglio viene danneggiata.
7 febbraio 1942
La Perseo, partita da Tripoli, si reca
incontro al piroscafo tedesco Trapani,
in arrivo da Palermo, ne assume la scorta e lo accompagna in porto, dove giunge
a mezzogiorno.
8-9 febbraio 1942
La Perseo scorta il piroscafo Delia da Tripoli a Sfax, dove questi
deve imbarcare fosfati da trasportare in Italia. Nonostante “ULTRA”, sulla
scorta di messaggi intercettati e decifrati, ne abbia segnalato la partenza ai
comandi britannici, il Delia non
subirà attacchi durante la navigazione.
13 febbraio 1942
La Perseo salpa da Tripoli per Bengasi alle
16.30, scortando la cisterna militare Tanaro
ed i dragamine ausiliari DM 3 Tenacemente
e DM 6 Eritrea.
18 febbraio 1942
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 11.30.
25 febbraio 1942
Durante una missione
della Perseo nel Mediterraneo
centrale, un tubo del vapore in sala macchine esplode improvvisamente,
ustionando seriamente alcuni uomini. Uno di essi, il fuochista Angelo Pastrello
(24 anni, da Favaro Veneto), nonostante le gravi ustioni e l’ordine del capo
guardia di evacuare il locale, si trattiene sul posto per soccorrere un
compagno anch’esso seriamente ustionato, che ha perso i sensi; Pastrello riesce
a portarlo in salvo, ma nel farlo riporta ustioni ancora più gravi, in seguito
alle quali morirà in ospedale due mesi più tardi.
Per il suo generoso
sacrificio verrà decorato alla memoria con la Medaglia d’Argento al Valor
Militare, con motivazione "Imbarcato
su torpediniera in missione di guerra, trovandosi di guardia in un locale
motrice, veniva violentemente investito e ustionato per lo scoppio di un tubo
di vapore. Sopportando con serena forza d’animo e stoicismo il dolore delle
ferite, benché il capo guardia avesse ordinato l’evacuazione del locale, si
attardava, incurante della propria salvezza, sul luogo del sinistro per
soccorrere un camerata che, rimasta anch’egli ustionato, si abbatteva privo di
forze. Nel porgere il suo generoso aiuto, mentre riusciva a trarre in salvo il
compagno, riportava nuove e più gravi ustioni, in seguito alle quali,
ricoverato in ospedale, perdeva la vita che in uno slancio di nobile altruismo
e di suprema abnegazione aveva conservato al camerata caduto".
La tomba di Angelo Pastrello (Claudio Genta via www.marinaiditalia.com) |
9 marzo 1942
Alle 18 la Perseo salpa da Buerat per scortare a
Tripoli il piroscafo tedesco Achaia e
la piccola nave frigorifera italiana Amba
Aradam.
11 marzo 1942
Il convoglietto arriva
a Tripoli alle 9.
17 marzo 1942
La Perseo lascia Tripoli per Palermo
alle 21.30, scortando la motonave Reginaldo
Giuliani; le due navi viaggiano di conserva con un altro analogo
convoglietto formato dalla motonave Gino
Allegri, scortata dalla Circe.
Nel Canale di Sicilia
il convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei nella notte tra il 17 ed
il 18.
18 marzo 1942
In mattinata, al
largo di Pantelleria, si aggregano al convoglio i MAS 563 e 564, che poi lo
lasciano nel primo pomeriggio, all’altezza di Trapani.
Perseo e Giuliani giungono
a Palermo alle 22.
5 aprile 1942
La Perseo parte da Trapani per Tripoli alle
21, scortando il piroscafo tedesco Atlas
ed i motodragamine R 9, R 12 e R 14, anch’essi tedeschi. (Per altra fonte risulterebbe che i tre
motodragamine si siano uniti alla scorta il 6 aprile, partendo da Lampedusa). È
possibile che il convoglio Perseo-Atlas sia stato avvistato in questa data
dal sommergibile britannico Thrasher,
che non lo attaccò perché vide che il mercantile era scarico, mentre i suoi
siluri erano regolati per colpire bastimenti a pieno carico. Il rapporto del Thrasher parla però di due mercantili,
non uno solo.
6 aprile 1942
Alle 13.40 il
sommergibile britannico P 35 (tenente
di vascello Stephen Lynch Conway Maydon) rileva rumore di macchine su
rilevamento 250°, si porta a quota periscopica e, avendo avvistato degli alberi
di navi in quella direzione, accosta per 200° ed accelera al massimo per
avvicinarsi. Alle 14.14 il P 35
identifica il bersaglio come un mercantile (l’Atlas) scortato da una torpediniera classe Spica (la Perseo) che lo precede a proravia (non
vengono invece avvistati i tre R-Boote tedeschi, probabilmente per il loro
basso profilo e ridotte dimensioni, sebbene il P 35 li avesse avvistati due ore, prima diretti verso nordovest,
dopo la loro partenza da Lampedusa per rinforzare la scorta dell’Atlas); terminata la breve osservazione
al periscopio (molto breve, per la presenza di aerei dell’Asse che lo
potrebbero avvistare) il sommergibile accosta per 120° e si avvicina a tutta
forza, finché alle 14.30 lancia due siluri da 35°37’ N e 12°12’ E (una ventina
di miglia ad ovest-nord-ovest di Lampedusa), da 2930 metri di distanza. I
siluri non vanno a segno ed il battello scende in profondità e si ritira verso
ovest, avendo avvistato degli aerei.
7 aprile 1942
Le navi giungono a
Tripoli alle 11.30.
11 aprile 1942
La Perseo parte da Tripoli alle 14 per
scortare a Bengasi, insieme ai motodragamine tedeschi R 10, R 11, R 14 e R 16, il piroscafo italiano Bravo,
il tedesco Atlas e l’Amba Aradam.
12 aprile 1942
Alle 8.24 il
sommergibile britannico Thrasher
(tenente di vascello Hugh Stirling Mackenzie) avvista la Perseo ed i tre piroscafi da essa scortati su rilevamento 210°, a 7-8 miglia di distanza, con
rotta 090°. Il sommergibile accosta per avvicinarsi, ma alle 8.50 il convoglio
modifica la propria rotta, impedendo al Thrasher
di serrare le distanze al di sotto dei 9100 metri, ragion per cui il comandante
britannico interrompe l’attacco. Alle 12.07 il Thrasher emerge (in superficie può raggiungere una velocità
maggiore) e manovra per sorpassare il convoglio e tentare un nuovo attacco
durante la notte. Mackenzie nota che i mercantili sembrano a pieno carico. Alle
12.16 il Thrasher s’immerge per
evitare un aereo, per poi riemergere alle 12.35; alle 15.56 avvista alberature
e fumaioli su rilevamento 105° e li identifica ben presto come appartenenti
alle navi del convoglio, e di conseguenza accosta in modo da portarsi a
proravia di esse, ma alle 16.40 le perde di vista. Alle 18, non essendo
riuscito a ritrovarle, Mackenzie ipotizza che abbiano virato verso nord; alle
18.25 avvista le sovrastrutture di un cacciatorpediniere diretto verso di lui,
su rilevamento 045°, e ripiega immediatamente su rotta 225°, ma alle 18.40 il
cacciatorpediniere accosta verso ovest, non avendo notato la presenza del Thrasher. Il sommergibile manovra allora
per aggirarlo e riprendere l’inseguimento del convoglio.
13 aprile 1942
Alle 6 il Thrasher s’immerge, ed alle 7.55, in
posizione 31°48’ N e 19°17’ E, avvista su rilevamento 270° delle alberature e
dei fumaioli che identifica ben presto come appartenenti al convoglio del
giorno precedente, scortato – viene notato alle 8.30 – anche da un aereo da
caccia e tre piccole unità (gli R-Boote). Alle 9.12, in posizione 31°26’ N e
18°56’ E, il Thrasher lancia tre
siluri contro l’Atlas (del quale
stima la stazza in 3500 tsl), da 1645 metri di distanza.
Alle 9.15, in
posizione 31°28’ N e 18°56’ E (nel Golfo della Sirte, a sudovest di Bengasi),
l’Atlas, piroscafo capofila, viene
colpito da due dei siluri, ed affonda in fiamme in una decina di minuti. La Perseo prosegue scortando Bravo ed Amba Aradam per allontanarli dalla zona di pericolo, mentre i
dragamine tedeschi rimangono sul posto per soccorrere i naufraghi dell’Atlas; nonostante le avverse condizioni
del mare, che rendono tale opera molto difficile, gli R-Boote riescono a
salvare 47 dei 51 uomini che erano a bordo del piroscafo tedesco. Sono sempre i
motodragamine ad occuparsi del contrattacco, lanciando 19 bombe di profondità
(a partire dalle 9.15) senza causare alcun danno al Thrasher (che intanto scende a 24 metri e si allontana verso sud)
dato che nessuna delle bombe esplode nelle sue vicinanze. Alle 12.02 il Thrasher, dopo aver atteso che anche
l’ultimo R-Boot se ne andasse per riunirsi al convoglio, riemerge ed affonda a
cannonate il mezzo da sbarco tedesco PiLB
210, facente parte del carico sistemato sul ponte dell’Atlas, che era rimasto alla deriva, galleggiante, deserto ed
all’apparenza intatto, dopo l’affondamento del piroscafo.
Raggiunta
successivamente Bengasi, la Perseo ne
riparte alle 19 dello stesso giorno per scortare a Tripoli l’Amba Aradam.
16 aprile 1942
Perseo ed Amba Aradam
arrivano a Tripoli alle 19.
18 aprile 1942
La Perseo parte da Trapani alle 20.10,
insieme al motodragamine tedesco R 13,
per scortare a Tripoli il motoveliero Egusa,
la motocisterna Ennio ed il piroscafo
Tripolino.
19 aprile 1942
Il convoglio arriva a
Pantelleria alle 7.30 e vi sosta fino alle 19.
20 aprile 1942
Il convoglio arriva a
Lampedusa alle otto e vi rimane per tre giorni.
23 aprile 1942
Il convoglio riparte
da Lampedusa alle 10, senza più l’R 3 ma
con l’aggiunta della torpediniera Pegaso,
mandata da Tripoli.
24 aprile 1942
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 9.40.
30 aprile 1942
Il marinaio silurista
Mario Zimpric (20 anni, da Trieste), della Perseo,
muore in territorio metropolitano.
2 maggio 1942
La Perseo parte da Tripoli per Palermo alle
10.15, scortando il rimorchiatore di salvataggio Instancabile, che ha a rimorchio il piroscafo tedesco Sparta.
Il giorno stesso il
convoglietto raggiunge Pantelleria, dove sosta fino al giorno seguente.
5 maggio 1942
Perseo, Sparta ed Instancabile arrivano a Palermo alle
17.30.
16 maggio 1942
La Perseo salpa da Napoli per Tripoli all’1.45,
scortando la motonave Lerici. Le due
navi formano il convoglio «C», uno dei tre diretti in Libia nell’ambito
dell’operazione di traffico «Lero».
17 maggio 1942
Alle 7.25 Perseo e Lerici vengono raggiunte dalla torpediniera Clio, inviata da Tripoli.
Alle 8.30, 70 miglia
a sud di Capo Spartivento, il convoglio «C» si congiunge con i convogli «R»
(motonave Mario Roselli e cacciatorpediniere Nicolò Zeno, provenienti da Brindisi) e «X» (motonave Nino Bixio e
cacciatorpediniere Turbine,
provenienti da Taranto), già unitisi in precedenza, formando un convoglio unico
avente come caposcorta lo Zeno.
Tale convoglio
procede sulla rotta a levante di Malta, fino alle 19.45: a quell’ora, giunte le
navi a 80 miglia da Tripoli, il convoglio «C» (Perseo, Lerici e Clio) si separa nuovamente dagli altri
(che sono diretti invece a Bengasi) e fa rotta per Tripoli.
18 maggio 1942
Perseo, Lerici e Clio entrano a Tripoli all’alba.
20 maggio 1942
La Perseo esce da Tripoli, unitamente ai
rimorchiatori Ciclope e Costante, per andare in soccorso della
motonave Agostino Bertani, colpita a
poppa da un siluro durante un attacco notturno di aerosiluranti (all’una di
notte), mentre insieme alla motonave tedesca Reichenfels ed ai cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare e Nicolò
Zeno viaggiava in convoglio da
Tripoli (da dov’erano salpate alle 21 del 19) a Napoli. All’alba la Bertani, che nell’esplosione del siluro
ha subito la distruzione del dritto di poppa e del timone, è stata presa a
rimorchio dallo Zeno, che la traina
verso Tripoli; alle otto del mattino giunge sul posto la Perseo, seguita mezz’ora più tardi dai due rimorchiatori. A
mezzogiorno il rimorchio viene passato dallo Zeno al Ciclope,
assistito dal Costante, mentre Perseo e Zeno rimangono a fornire scorta ed assistenza. Alle 16.40 il
piccolo convoglio giunge a Tripoli.
29 maggio 1942
Alle 20 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a
Tripoli il piroscafo tedesco Brook.
31 maggio 1942
Perseo e Brook arrivano a
Tripoli alle 15.45.
12 giugno 1942
La Perseo salpa da Bengasi per Tripoli alle
19.30, scortando il piroscafo tedesco Trapani.
14 giugno 1942
Perseo e Trapani arrivano a
Tripoli alle 19.
21 giugno 1942
Alle 19 la Perseo (capitano di corvetta Alessandro
Cavriani) parte da Tripoli per Bengasi, scortando i piroscafi Sant’Antonio e Regulus ed il motoveliero Maria
Gabriella.
22 giugno 1942
Nel pomeriggio il
sommergibile britannico Thrasher
(tenente di vascello Hugh Stirling Mackenzie) avvista ed insegue il convoglio
formato da Perseo, Sant’Antonio, Regulus e Maria Gabriella
(quest’ultimo non viene notato), che attacca senza risultato alle 17.15, con
lancio di siluri contro il Sant’Antonio.
Successivamente, alle 21.45, il Thrasher
avvista nuovamente il convoglio, e manovra per un nuovo attacco. Alle 23.50,
trovandosi 6 miglia a proravia del convoglio, s’immerge per effettuare un
attacco in immersione.
23 giugno 1942
Alle 00.33 il Thrasher lancia tre siluri contro il più
grande dei due piroscafi, il Sant’Antonio:
colpito da una delle armi, il bastimento affonda rapidamente nel punto 31°53’ N
e 16°35’ E, nel Golfo della Sirte, a quattro miglia dalla costa. La Perseo recupera 31 superstiti (su 35
uomini presenti sul piroscafo) e
prosegue con i due mercantili superstiti dopo aver effettuato, secondo
Mackenzie, un "modesto e inefficace contrattacco".
Alle 20.55 il
sommergibile britannico Turbulent
(capitano di fregata John Wallace Linton), appena emerso in posizione 31°20’ N
e 18°30’ E, avvista due sagome a cinque miglia di distanza, su rilevamento
340°, e le identifica in breve come un mercantile diretto verso est (il Regulus) ed una torpediniera classe Spica
(la Perseo). Inizia quindi la manovra
d’attacco, ma alle 21.20 viene localizzato dalla Perseo, che accosta per dirigersi nella sua direzione, ed è così
costretto all’immersione; nel corso dei successivi 60 minuti, la Perseo bombarda il Turbulent con 20 bombe di profondità, lanciate singolarmente, una
delle quali esplode vicina e rompe alcune lampadine. Poi, il convoglio
prosegue; alle 22.45 il sommergibile torna a quota periscopica, vede che non
c’è più nessuno e riemerge dopo venti minuti.
24 giugno 1942
Alle 9.30 il Turbulent avvista nuovamente Regulus, Perseo e Maria Gabriella,
scortati anche da cinque aerei, in posizione 31°43’ N e 19°49’ E. Questa volta
Linton riesce a portarsi all’attacco, ed alle 10.53, in posizione 31°43’ N e
19°51’ E, lancia due siluri da 2740 metri. Il Regulus viene colpito (secondo le fonti italiane, con evidente
discrepanza di orario, alle 10.10), quattro o cinque miglia ad ovest di
Ghemines; stavolta il piroscafo non affonda, ma viene portato all’incaglio. L’intero
equipaggio può così salvarsi e, mentre la nave risulterà perduta, il carico
contenuto nelle stive non allagate potrà essere recuperato.
La Perseo ed il Maria Gabriella arrivano a Bengasi alle 16.
25 giugno 1942
Alle 7.45 la Perseo (caposcorta) e la ben più anziana
torpediniera Generale Carlo Montanari partono da Bengasi per
scortare a Tripoli il piroscafo Anna
Maria Gualdi.
26 giugno 1942
Perseo, Gualdi e Montanari arrivano a Tripoli alle 15.30.
25 luglio 1942
Alle 19 la Perseo salpa da Tripoli per scortare a
Palermo il piroscafo Armando e la
pirocisterna Picci Fassio.
28 luglio 1942
Le tre navi giungono
a Palermo alle 8.45.
4-10 agosto 1942
La Perseo si alterna con i
cacciasommergibili Selve ed Oriole e con il cacciatorpediniere Freccia nella scorta al piroscafo Istria, in navigazione da Tripoli (da
dov’è partito dalle due di notte del 4) a Patrasso (dove arriva alle 22.30 del
10) con soste intermedie a Bengasi (dalle 9.30 alle 15 del 6) ed a Navarino (il
mattino del 10). La Perseo scorta l’Istria fino al Pireo, mentre in
precedenza il piroscafo è stato scortato fino a Bengasi da Selve ed Oriole e fino a
Navarino dal Freccia.
Agosto 1942
Assume il comando
della Perseo il tenente di vascello
Saverio Marotta, che sarà il suo ultimo comandante. Per le sue azioni al
comando della Perseo Marotta riceverà
due Medaglie d’Argento ed altrettante di Bronzo al Valor Militare, e sarà
citato per tre volte nei bollettini di guerra; vi troverà infine la morte.
5 ottobre 1942
La Perseo parte da Napoli alle 6.15
scortando il piroscafo Amsterdam,
diretto a Tripoli. Da Napoli a Messina fanno parte della scorta anche tre
cacciasommergibili.
6 ottobre 1942
Il convoglietto
giunge a Messina alle due, sostandovi fino all’indomani.
7 ottobre 1942
Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) e Circe (capitano di corvetta
Stefanino Palmas, caposcorta) salpano da Messina per Patrasso alle 5, scortando
l’Amsterdam. Fino a Capo Rizzuto la
scorta è rinforzata da quattro vedette antisommergibili.
Dopo una lunga
deviazione sotto le coste della Calabria, il convoglio dirige per Patrasso.
8 ottobre 1942
Le tre navi giungono
a Patrasso alle 18.50 (o 18.55). Qui termina il compito della Perseo; l’Amsterdam proseguirà per la Libia con la scorta della Circe e della gemella Lince, ma verrà silurato da aerei.
10 ottobre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio
Marotta), insieme alle gemelle Libra (capitano
di corvetta Carlo Brancia di Apricena) e Lira (tenente di vascello Agostino Caletti), salpa dal Pireo
alle 18.30 per scortare a Tobruk il piroscafo Petrarca e la motonave Tergestea, che formano il convoglio «FF».
11 ottobre 1942
Alle 7.20 si unisce
alla scorta, quale rinforzo, anche la torpediniera Climene (tenente di vascello Mario Colussi), proveniente da
Suda. In mattinata il convoglio passa tra Cerigotto e Creta.
Alle 17.20 (mentre il
convoglio è scortato anche da 3-4 aerei in funzione antisommergibili), a 40
miglia per 200° (cioè a sud) da Capo Krio, la Perseo avvista verso nord-nord-est otto bombardieri statunitensi
Consolidated B-24 "Liberator", che si avvicinano al convoglio in
doppia losanga di quattro, a 4500 metri di quota; la torpediniera apre subito
il fuoco, e manovra per portarsi tra gli aerei ed il convoglio, ma alle 17.25
vengono sganciate due salve di bombe, mentre compaiono altri nove
"Liberators", in formazione a cuneo di tre gruppi, dalla stessa
direzione. Le prime due salve colpiscono entrambi i mercantili; alle 17.27 il
secondo gruppo sgancia altre tre salve: due cadono in mare sulla sinistra della
Perseo, una a circa 200 metri e
l’altra ad un centinaio di metri, ma la terza colpisce il Petrarca. Alle 17.39 il Tergestea colpisce accidentalmente
un velivolo tedesco della scorta aerea, che è costretto all’ammaraggio,
inabissandosi subito dopo; i superstiti vengono recuperati dalla Perseo.
Mentre il Petrarca, nonostante i danni (è stato
colpito sul castello di prua), è in grado di proseguire, la Tergestea, che ha una falla in sala
macchine (causata da una bomba esplosa vicinissima allo scafo), deve tornare
indietro, scortata da Perseo e Lira.
12 ottobre 1942
Perseo e Lira, giunte in
prossimità di Suda, affidano la Tergestea al
rimorchiatore Instancabile (che
lo condurrà in porto alle otto) e vengono poi dirottate verso il convoglio «Col
di Lana» (partito da Tobruk alle 16 dell’11 e formato dalla motonave Col di Lana e dal cacciatorpediniere Saetta con a rimorchio il vecchio
sommergibile Millelire,
trasformato in bettolina per trasporto nafta), la cui scorta ha “perso” due
torpediniere (Antares, gravemente
danneggiata da bombe, e Lupo, rimasta
ad assisterla) in seguito ad un attacco aereo. Alle 17 il convoglio si divide,
e le navi che lo formano dirigono verso le rispettive destinazioni: la Perseo assume la scorta della Col di Lana (diretta a Salonicco)
insieme al cacciatorpediniere Freccia,
mentre la Lira scorta Saetta e Millelire a Navarino.
13 ottobre 1942
Perseo e Freccia entrano al
Pireo alle 14, affidando alla torpediniera Castelfidardo
(tenente di vascello Luigi Balduzzi), uscita da quel porto, il compito di
scortare la Col di Lana fino a
Salonicco, dove questa giungerà l’indomani.
22 ottobre 1942
La Perseo ed il cacciatorpediniere Freccia scortano la nave cisterna Giorgio da Istmia a Suda.
23 ottobre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio
Marotta) salpa da Suda alle 18 scortando la piccola nave cisterna Alfredo, diretta a Tobruk.
24 ottobre 1942
Dall’alba al tramonto
il convoglietto fruisce della scorta aerea di uno Junkers Ju 88 tedesco.
25 ottobre 1942
Durante il giorno Perseo ed Alfredo sono scortate da due Ju 88 tedeschi e da un idrovolante
italiano CANT Z. 501 in funzione antisommergibili.
Le due navi subiscono
ripetuti attacchi aerei: alle 8.48 (per altra fonte, all’alba), al largo di
Sidi Abeida (16 miglia a nordest di Tobruk), sono attaccate da sette caccia
pesanti che le sorvolano a volo radente, mitragliando dapprima la Perseo e poi l’Alfredo, per poi abbattere il CANT Z. 501. Ambedue le navi
subiscono danni per effetto delle pallottole delle mitragliatrici britanniche,
ma di entità non grave; l’Alfredo,
colpita all’apparato motore ed al timone, rimane immobilizzata e viene presa a
rimorchio dalla Perseo (che vi
trasborda anche alcuni uomini per sostituire il personale di plancia, rimasto
ucciso o ferito nell’attacco), ma dopo un quarto d’ora riesce a rimettere in
moto. Sei membri dell’equipaggio della Perseo
– tra cui il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Musmeci
– sono rimasti feriti, due in modo grave e quattro in modo lieve; sull’Alfredo è morto il comandante, Enrico
Rossi, e sono rimasti feriti altri quattro uomini, tre dei quali gravemente.
Entrambe le navi
raggiungono Tobruk alle 14.30.
Diversi membri
dell’equipaggio della Perseo verranno
decorati per la loro condotta durante l’attacco aereo. Il comandante Marotta
sarà insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione
"Comandante di silurante in servizio
di scorta a petroliera in acque dell’Africa Settentrionale, reagiva bravamente
con le armi e la bravura all’attacco simultaneo di numerosi velivoli avversari.
Accortosi che la petroliera era rimasta senza governo, essendo caduti sul ponte
di comando devastato ed incendiato il comandante, il 1° ufficiale ed il
timoniere falciati dalla mitraglia, accostava la sua nave all'unità scortata e
vi trasbordava il proprio personale. Riusciva cosi a rimorchiare la petroliera
in porto, eludendo con pronta manovra un secondo attacco dal cielo".
Il sottotenente di
vascello Giovanni Marangolo (30 anni, da Messina), comandante in seconda,
riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Ufficiale in 2a e Direttore del tiro di
torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante una missione di
scorta in zone particolarmente insidiate, si prodigava prontamente per la messa
in opera dei servizi di sicurezza e d’incendio riuscendo, incurante del
pericolo, a spegnere un incendio sviluppatosi per lo scoppio di munizioni in
una riservetta. Colpita la nave scortata, dirigeva con tempestività e perizia
l’efficace opera di assistenza, contribuendo validamente a sottrarla ad
ulteriori attacchi e consentendone l’arrivo a destinazione". Il
direttore di macchina Musmeci riceverà analoga decorazione, con motivazione
"Direttore di macchina di
torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante una missione di
scorta in zone particolarmente insidiate, benché ferito, dirigeva
tempestivamente e con perizia tecnica, le riparazioni dei danni e il
tamponamento delle vie d’acqua verificatesi. Animato col suo costante esempio
il personale dipendente, riusciva ad evitare qualsiasi menomazione
dell’efficienza della nave, e, rendendo possibile un’efficace assistenza alle
unita scortate, contribuiva validamente al successo della missione",
così come il suo sottordine, sottotenente del Genio Navale Vinicio Gerin (29
anni, da Isola d’Istria): "Imbarcato
su torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante
una missione di scorta in zone particolarmente
insidiate, si prodigava, conslancio e noncuranza del pericolo, per la pronta
riparazione dei danni e per il tamponamento di vie d’acqua verificatesi.
Efficacemente contribuiva con la sua opera a mantenere la piena efficienza
dell’unità, che poteva così esplicare valida e decisiva assistenza alla nave
scortata". Il sottocapo
cannoniere Adolfo Zolezzi (22 anni, da Sestri Levante) sarà anch’esso decorato
di M.B.V.M., con motivazione "Funzionante
capo arma e puntatore di un impianto da 20/65 su torpediniera, in missione di
scorta in zone particolarmente insidiate dal nemico, reagiva con prontezza e
perizia ad un attacco di aerei nemici che mitragliavano violentemente l’unità.
Nonostante l’arma fosse colpita in più parti e un incendio fosse scoppiato
nella contigua riservetta munizioni, persisteva con deciso coraggio nella sua
intensa azione di fuoco costringendo il nemico a desistere da ulteriori
attacchi".
26 ottobre 1942
La Perseo riparte da Tobruk alle 18.30
insieme alle gemelle Lira e Partenope (caposcorta, capitano di
corvetta Gustavo Lovatelli), per scortare al Pireo la motocisterna Rondine ed il piroscafo tedesco Trapani.
Alle 23 il convoglio
viene attaccato da aerosiluranti una trentina di miglia a nordovest di Tobruk,
ma nessuna nave viene colpita, mentre uno degli aerei nemici viene abbattuto
dal fuoco delle torpediniere.
28 ottobre 1942
Alle 18 il convoglio
viene attaccato infruttuosamente da bombardieri 15 miglia a nordest di Capo
Malea e 50 miglia a nord di Cerigotto.
29 ottobre 1942
Il convoglio giunge
al Pireo alle nove (per altra fonte, le sei).
18 novembre 1942
18 novembre 1942
La Perseo salpa da Tunisi alle 17 scortando
l’incrociatore ausiliario Barletta,
diretto a Palermo, ma dopo un’ora e mezza è costretta a lasciare la scorta e
tornare indietro, a causa delle avverse condizioni del mare. Il Barletta prosegue da solo e raggiunge
Palermo il giorno seguente.
20 novembre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio
Marotta) e la moderna torpediniera di scorta Groppo (tenente di vascello di complemento Beniamino Farina,
caposcorta) partono alle 9.30 da Biserta per scortare le motonavi Puccini e Viminale di ritorno in Italia. Poco dopo le 13.30 (od alle
13.40) il convoglio viene attaccato da quattro cacciabombardieri statunitensi,
che mitragliano le navi causando pochi danni ma anche un morto e sei feriti
gravi sulla Viminale.
21 novembre 1942
Il convoglio arriva a
Palermo alle 8.30.
Schema
della colorazione mimetica applicata alla Perseo
a inizio 1943 (g.c. Marco Ghiglino)
1° dicembre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio
Marotta) e la gemella Partenope
(capitano di corvetta Gustavo Lovatelli, capo sezione) escono in mare alle 2.15
per compiere un rastrello antisommergibili sulla rotta Trapani-Biserta. Loro
compito è precedere i convogli in navigazione sulla rotta per la Tunisia in
quel momento (tre in tutto, con un totale di 10 mercantili e 16 navi scorta)
con il duplice scopo di cercare eventuali sommergibili con l’ecogoniometro e di
avvistare eventuali navi nemiche, così da permetterne il tempestivo
dirottamento in modo da evitare scontri notturni che vedrebbero i britannici in
situazione di vantaggio. Perseo e Partenope, in particolare, navigano
sulla rotta che dovrà essere percorsa dai convogli "B" ed
"H", effettuando dragaggio ed ascolto ecogoniometrico
antisommergibili.
Alle 23.30 Perseo e Partenope vengono localizzate dal radar tipo 271 dell’incrociatore
britannico Aurora, salpato da Bona
insieme al resto della Forza Q (incrociatori leggeri Sirius ed Argonaut,
cacciatorpediniere Quiberon e Quentin) per attaccare i convogli
italiani nel Canale di Sicilia. Sull’Aurora
si ritiene però erroneamente che i due oggetti rilevati dal radar, distanti
circa quattro miglia verso sud, siano probabilmente due motosiluranti;
giudicando che queste non sarebbero in grado, in quelle condizioni, di
attaccare con successo la formazione britannica, la Forza Q prosegue per la sua
rotta.
2 dicembre 1942
Durante la notte le
torpediniere, trovandosi ancora in mare, vedono dei bagliori oltre l’orizzonte,
segno di un combattimento navale in corso: e infatti un convoglio italiano
diretto a Biserta, denominato "H", è in quel momento sotto attacco da
parte della Forza Q. Nell’impari combattimento il convoglio viene completamente
distrutto, con l’affondamento di cinque navi (cacciatorpediniere Folgore, trasporti truppe Aventino e Puccini, traghetto militarizzato Aspromonte, trasporto militare tedesco KT 1) ed il grave danneggiamento di altre due (cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e torpediniera Procione).
Alle 8.30 il
comandante della Partenope, avendo
intercettato un messaggio con cui il Da
Recco riferisce la sua critica situazione, decide di sua iniziativa,
dandone notizia a Marina Trapani, di abbandonare il rastrello antisom e
dirigersi verso le acque del banco di Skerki, al largo della costa tunisina,
dove è stato distrutto il convoglio "H", per portare aiuto alle navi
colpite e salvare i naufraghi. La sezionaria Perseo segue la Partenope;
parecchie unità vengono inviate sul posto per partecipare ai soccorsi (oltre
alle due torpediniere, anche i cacciatorpediniere Lampo, Camicia Nera, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli, la motosilurante MS
32, i MAS 563 e 576 e le navi soccorso Capri e Laurana)
Perseo e Partenope setacciano
la zona del disastro dalle 9.10 alle 14, recuperando tutti gli uomini che
riescono a trovare; la Perseo, in
particolare, recupera 150 naufraghi dell’Aventino,
che trasborda poi sulla nave soccorso Capri.
Successivamente (verso le 13) si porta presso il relitto galleggiante della
motonave Puccini, bruciata durante la
notte ma non ancora affondata, per cercare altri naufraghi, insieme al Camicia Nera ed alla Laurana.
3 dicembre 1942
Alle 16.30 la Perseo, la gemella Partenope ed i cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta) e Setta
salpano da Messina scortando la motonave tedesca Ankara, lì giunta da Taranto e diretta a Tunisi.
4 dicembre 1942
Nelle prime ore del 4
il convoglio passa per Trapani.
Alle 7.57 il
sommergibile britannico P 219 (tenente
di vascello Norman Limbury Auchinleck Jewell) avvista del fumo su rilevamento
030°, ed accosta per avvicinarsi; alle 8.13 avvista i velivoli della scorta
aerea (un idrovolante e due bombardieri) ed alle 8.45 vede dapprima una nave
ospedale e poi, ad una distanza di circa 2750 metri, il convoglio di cui fa
parte la Perseo (“una nave mercantile
di circa 5000 tsl scortata da due cacciatorpediniere”), che procede a circa 15
nodi su rotta 250°.
Alle 9.18 (fonti
italiane parlano delle 9.30), in posizione 37°59’ N e 11°35’ E (una ventina di
miglia ad ovest di Marettimo), il P
219 lancia una salva di sei siluri contro l’Ankara. I caccia della Regia Aeronautica di scorta aerea avvistano
le scie dei siluri e lanciano l’allarme, permettendo al convoglio di evitare indenne
l’attacco (mentre Jewell riterrà, erroneamente, di aver messo un siluro a
segno): il Granatiere viene
mancato da due siluri che gli passano rispettivamente a proravia ed a poppavia
a ridottissima distanza (quello a prua, quindici metri; quello a poppa, appena
dieci), e l’Ankara viene
anch’essa mancata da un altro siluro.
Alle 16.30 le navi
arrivano a Tunisi.
5 dicembre 1942
In mattinata, nel
Golfo di Taranto, la Perseo si reca
incontro al piroscafo tedesco Süllberg
ed alla piccola nave cisterna Jaedjoer,
pure tedesca, in navigazione da Napoli a Trapani, da dove poi dovranno
proseguire per la Tunisia.
Alle 13.40 il
sommergibile britannico P 48 (tenente
di vascello Michael Elliot Faber) avvista del fumo su rilevamento 020°, ed alle
14.32 avvista su rilevamento 022° gli alberi ed il fumaiolo di una nave
mercatile, gli alberi di un “cacciatorpediniere” e quelli di un’altra piccola
imbarcazione: si tratta rispettivamente di Süllberg,
Perseo e Jaedjoer. Iniziata la manovra di attacco, alle 15 il comandante
britannico identifica correttamente il “cacciatorpediniere” come una
torpediniera “classe Partenope” (cioè classe Spica); alle 15.26, in posizione 38°34’ N e 12°40’ E (circa 25
miglia a nord di Capo San Vito siculo), il P
48 lancia quattro siluri contro il Süllberg
(che procede a 8 nodi su rotta 225°) da una distanza di 2740 metri, ma nessuna
delle armi va a segno. Il piroscafo tedesco avvista le scie di due dei siluri,
e la Perseo dà inizio al
contrattacco, lanciando ben 64 bombe di profondità tra le 15.50 e le 17.06. Al
termine della caccia la Perseo
ritiene di aver affondato il sommergibile, ma in realtà il P 48 è riuscito a sottrarsi alla caccia, e riemergerà alle 18.45.
Alcune fonti
attribuiscono a questa azione l’affondamento del sommergibile britannico Traveller (scomparso con tutto
l’equipaggio, negli stessi giorni, nel Golfo di Taranto), ma si tratta di un
errore; il Traveller non fu coinvolto
in questo episodio, e saltò probabilmente su un campo minato difensivo italiano
della zona.
16 dicembre 1942
Alle 16.30 la Perseo e le gemelle Cigno e Calliope salpano
da Trapani per effettuare un rastrello antisommergibili lungo la costa della
Tunisia. Arrivate in zona verso le otto di sera, le torpediniere iniziano
l’ascolto ecogoniometrico, che proseguono per tutta la notte e parte della
giornata seguente. Si verificano alcuni allarmi aerei ed antisommergibili, ma
senza che mai si giunga effettivamente allo scontro.
17 dicembre 1942
In mattinata, Perseo e Calliope ricevono via radio la notizia dell’affondamento del cacciatorpediniere Aviere – silurato e affondato alle 11.15 dal sommergibile britannico Splendid in posizione 38°00’ N e 10°05’ E, 35-40 miglia a nord-nord-est di Biserta – ed alle 12.30 interrompono il pattugliamento antisommergibili e si recano a soccorrere i naufraghi di quella nave, mentre la torpediniera di scorta Fortunale viene inviata a rimpiazzarle nel rastrello antisom. Durante la navigazione le due torpediniere incontrano due motosiluranti tedesche in perlustrazione; inizialmente le scambiano per britanniche, ma le due Schnellboote si fanno subito riconoscere.
In mattinata, Perseo e Calliope ricevono via radio la notizia dell’affondamento del cacciatorpediniere Aviere – silurato e affondato alle 11.15 dal sommergibile britannico Splendid in posizione 38°00’ N e 10°05’ E, 35-40 miglia a nord-nord-est di Biserta – ed alle 12.30 interrompono il pattugliamento antisommergibili e si recano a soccorrere i naufraghi di quella nave, mentre la torpediniera di scorta Fortunale viene inviata a rimpiazzarle nel rastrello antisom. Durante la navigazione le due torpediniere incontrano due motosiluranti tedesche in perlustrazione; inizialmente le scambiano per britanniche, ma le due Schnellboote si fanno subito riconoscere.
Perseo e Calliope giungono
sul posto alle cinque del pomeriggio, quasi sei ore dopo l’affondamento, ed
iniziano subito il salvataggio; su 250 uomini dell’equipaggio dell’Aviere (un centinaio dei quali erano
riusciti ad abbandonare la nave), le due torpediniere trovano e recuperano
soltanto quindici sopravvissuti (la Perseo
ne salva dodici, la Calliope cinque),
altri quindici vengono salvati da un idrovolante di soccorso e da una nave ospedale.
Gli altri hanno ceduto al freddo e alla nafta che ostacolava i movimenti. Perseo e Calliope raggiungono poi Trapani, dove sbarcano i naufraghi a
mezzanotte, per poi rifornirsi sottobordo al cacciatorpediniere Freccia.
18 dicembre 1942
Alle 10 Perseo e Calliope lasciano Trapani per compiere un rastrello
antisommergibili nel Canale di Sicilia. Intorno alle 16 l’ecogoniometro della Calliope segnala un’eco, cui entrambe le
torpediniere danno subito la caccia, alternandosi, con il lancio di 15 bombe di
profondità da 150 kg. Dopo alcuni passaggi vengono avvistate in superficie
delle grandi chiazze di olio e di nafta e si ritiene di aver affondato un
sommergibile (ma in realtà, ciò non risulta). Le due torpediniere riprendono
poi il pattugliamento antisom, ma il mare diviene progressivamente sempre più
agitato, ostacolando anche l’ascolto ecogoniometrico, finché non si rende
necessario chiedere al Comando il rientro in porto, permesso che viene
accordato; Perseo e Calliope arrivano a Trapani alle 23.30,
subendo poco dopo un bombardamento aereo.
23 dicembre 1942
La Perseo e la gemella Sirio partono da Napoli per Tunisi alle 10.30, scortando la
motonave Col di Lana ed il trasporto
militare tedesco KT 2, diretti a
Tunisi.
24 dicembre 1942
All’alba il convoglio
scortato da Sirio e Perseo si congiunge con un altro,
proveniente da Palermo e diretto a Biserta, formato dalla motonave Viminale e dal cacciatorpediniere Lampo. Si forma così un unico convoglio
del quale è caposcorta il Lampo; alle
9.57, al largo di Capo Bon, la Perseo
(tenente di vascello Saverio Marotta) attacca un sommergibile localizzato
all’ecogoniometro (che secondo una fonte avrebbe lanciato dei siluri contro il
convoglio e contro la stessa Perseo),
ritenendo di averlo probabilmente danneggiato. Qualche fonte attribuisce a
questa azione l’affondamento del sommergibile britannico P 48 (che viene talvolta retrodatato al 22 dicembre e/o attribuita
all’azione congiunta della Perseo,
della torpediniera di scorta Ardente
e della vecchia torpediniera Audace,
che in realtà si trovava all’epoca in Adriatico), ma in realtà questi non fu
coinvolto in tale episodio, essendo la posizione dell’attacco della Perseo (45 miglia a nord di Capo Bon)
troppo lontana dall’area d’agguato del sommergibile britannico. In realtà il P 48 fu quasi certamente affondato il
giorno seguente dalle bombe di profondità della torpediniera di scorta Ardente.
Le navi procedono
insieme per alcune ore, poi i due convogli tornano a dividersi, e dirigono
verso le rispettive destinazioni. Alle 19 Perseo,
Sirio, Col di Lana e KT 2
arrivano a Biserta (?).
29 dicembre 1942
La Perseo, il cacciatorpediniere Freccia (caposcorta) e le moderne
torpediniere di scorta Ardente, Ardito ed Animoso salpano da Napoli per Tunisi alle 7, scortando i piroscafi
tedeschi Rhea e Stella.
30 dicembre 1942
Il convoglio sosta a
Palermo dalle 7.15 alle 18, poi prosegue con l’aggiunta della motonave tedesca Ruhr.
31 dicembre 1942
Alle 7.35 il Freccia lascia la scorta, ed a
mezzogiorno anche la Ruhr si separa
dal convoglio. Le altre navi arrivano a Tunisi alle 17.
Alle 9.15 dello
stesso giorno (evidente discrepanza di orario) la Perseo e l’Animoso
(caposcorta) salpano da Tunisi scortando la motonave Col di Lana, diretta a Palermo.
1° gennaio 1943
Il convoglietto
giunge a Palermo alle 13.
Lo stesso giorno, il
comandante Marotta viene promosso capitano di corvetta.
11 gennaio 1943
La Perseo parte da Palermo per Susa all’una
di notte, scortando il piroscafo Gimma.
12 gennaio 1943
Le due navi giungono
a Susa alle 7.15; la Perseo prosegue
poi per Tripoli.
13 gennaio 1943
Arriva a Tripoli alle
3.45.
15 gennaio 1943
La Perseo (tenente di vascello Saverio
Marotta) lascia Tripoli alle 17, per scortare a Trapani la motonave D’Annunzio. È in corso l’evacuazione di
Tripoli, che di lì a pochi giorni cadrà in mano all’8a Armata
britannica: sulla D’Annunzio sono
stati imbarcati i detenuti del carcere di Tripoli, sia prigionieri politici (un
centinaio) che criminali comuni. La Perseo
ha a bordo circa 180 uomini, di cui circa 150 di equipaggio e 30 imbarcati di
passaggio per rientrare in Italia. Il mare è burrascoso: Supermarina ha
disposto la partenza delle due navi in queste condizioni proprio nella
convinzione che il maltempo dovrebbe rendere più difficile la loro
individuazione da parte di forze nemiche.
Secondo una fonte,
insieme alla Perseo sarebbe
inizialmente partita anche la gemella Calliope
per scortare la D’Annunzio, ma la
burrasca l’avrebbe indotta a tornare a Tripoli 40 minuti dopo la partenza.
16 gennaio 1943
Alle 2.40 Supermarina
informa la Perseo di essere stata
avvistata da ricognitori avversari (per altra fonte, è la Perseo a comunicare, alle 2.30, che c’è un aereo nemico che pedina
il convoglietto).
Alle 3.19, a 50
miglia per 180° (cioè a sud) da Lampedusa, in condizioni di bassa visibilità
(la luna è tramontata), la Perseo avvista
la sagoma di una nave da guerra a circa quattro chilometri di distanza, al
traverso, a sinistra. Subito dopo, la nave avvistata illumina a giorno la Perseo con un proiettore (altra fonte
parla di un proiettile illuminante) ed apre il fuoco contro di essa; la prima
salva cade corta, sulla sinistra della torpediniera. Alle 3.21 altre navi
iniziano a sparare sulla Perseo anche
dal lato opposto, quello di dritta; stavolta le loro salve sono troppo lunghe. Da
parte italiana si ritiene di essere sotto attacco da parte di almeno tre navi,
forse anche quattro, la cui tipologia non è possibile accertare; in realtà gli
aggressori sono due cacciatorpediniere britannici: Nubian (capitano di fregata Douglas Eric Holland-Martin) e Kelvin (capitano di fregata Michael
Southcote Townsend), appartenenti alla ricostituita Forza K avente base a Malta,
da dove sono partiti dopo aver ricevuto la segnalazione dei ricognitori. Il Kelvin, a causa di problemi alle
macchine, non può superare i 23 nodi di velocità.
Alle 3.22 la Perseo accosta a dritta, incrementando
la velocità, mentre alcune codette di proiettili britannici, sparati dal lato
sinistro, sfiorano la sua plancia; alle 3.23 la torpediniera tenta di aprire
anch’essa il fuoco, ma la velocità, le condizioni del mare (forza 6 da
nordovest: la nave beccheggia violentemente, gli spruzzi delle onde arrivano
fino in plancia) e le continue accostate eseguite per impedire al nemico di
centrare il suo tiro sballottano qua e là i cannonieri, che devono aggrapparsi
ai loro posti per non cadere. Nonostante queste difficoltà, i cannoni poppieri
della Perseo riescono ad aprire il
fuoco, ma già alle 3.24 la torpediniera viene colpita a poppa, proprio in
corrispondenza del pezzo numero 2 da 100 mm, i cui serventi vengono investiti
in pieno dall’esplosione, rimanendo uccisi o feriti. Altre cannonate esplodono
in mare a poca distanza dallo scafo, investendo la Perseo con schegge che colpiscono la controplancia, mentre una
cannonata abbatte gli aerei della radio. Alle 3.25 scoppia un incendio a poppa,
vicino al pezzo numero 2, facendo deflagrare le munizioni delle riservette
(secondo il ricordo del sottotenente di vascello Romualdo Balzano, l’incendio
sarebbe poi stato spento da una grossa ondata che avrebbe spazzato la nave).
Alle 3.26 i
cacciatorpediniere britannici convergono verso la D’Annunzio (che al momento dell’attacco si trovava a poppavia della
Perseo, e che ha cercato di fuggire
verso nordest), illuminandola con i proiettori ed aprendo il fuoco su di essa;
alle 3.27 la Perseo inverte la rotta
e va al contrattacco, e due minuti dopo anche la D’Annunzio, sebbene già colpita ed in fiamme, reagisce con il suo
modesto armamento difensivo (un cannone ed alcune mitragliere). Alle 3.35, da una
distanza di circa 2000 metri, la Perseo
lancia due siluri contro le navi avversarie, con un beta di 50°. Il mare mosso
rende difficile la manovra e la punteria; i siluri non vanno a segno, ed alle
3.36 la Perseo assume rotta di
allontanamento.
Alle 3.40 la
torpediniera inverte nuovamente la rotta e torna alla carica, avvicinandosi
nuovamente alle navi britanniche per tentare un altro attacco con i siluri:
stavolta ci si prepara al lancio autonomo con punteria diretta dai tubi di
lancio, ed allo scopo il comandante Marotta manda al complesso lanciasiluri
l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano, unico altro ufficiale di vascello
presente a bordo (gli altri, per vari motivi, sono assenti). Alle 3.45 la Perseo lancia altri due siluri contro Nubian e Kelvin, dopo di che inverte la rotta e si disimpegna a 15 nodi, con
rotta nord. Anche questa volta, i siluri mancano il bersaglio (anche se secondo
Balzano l’equipaggio avrebbe avuto l’impressione, sul momento, di aver colpito
un cacciatorpediniere a poppa con uno o più siluri, avendo sentito
un’esplosione poco dopo il lancio, nella direzione in cui si trovano le navi
nemiche; impressione riportata nelle sue memorie anche dal giornalista Libero
Accini, all’epoca imbarcato sulla Perseo
come corrispondente di guerra). Ormai non c’è più nulla da fare per la D’Annunzio, ridotta ad un relitto in
fiamme che affonderà poco più tardi, alle quattro del mattino, nel punto 33°44’
N e 11°30’ E (una sessantina di miglia a sud di Lampedusa); seriamente
danneggiata, alle 3.50 la Perseo è
costretta a disimpegnarsi ed a cercare rifugio a Lampedusa. Per sottrarre la
sua nave, malconcia e con parte dell’armamento fuori uso, a nuovi attacchi,
Marotta vorrebbe aumentare la velocità, ma l’avverso stato del mare glielo
impedisce.
Alle otto del mattino
la malridotta Perseo entra nel
porticciolo di Lampedusa, dove sbarca 15 feriti ed i corpi di tre uomini
rimasti uccisi nel combattimento.
Alle 13, appurato che
i seri danni subiti nello scontro mettono la Perseo non in condizione di tornare sul luogo del combattimento per
soccorrere i naufraghi della D’Annunzio,
ne viene ordinato il trasferimento a Trapani il prima possibile.
Dei trecento uomini a
bordo della D’Annunzio, solo in dieci
si salveranno (cinque dei quali raccolti da uno dei cacciatorpediniere
britannici da un’imbarcazione subito dopo l’affondamento, e due approdati
vicino a Zuara dopo aver trascorso dieci giorni su una zattera alla deriva).
Libero Accini,
imbarcato sulla Perseo come
corrispondente di guerra, ricorda così il combattimento del 16 gennaio nel suo
libro “La rotta della morte”: “…il mare
spazza la nave da prora a poppa. Lava la coperta, il bastimento balla e su, in
plancia, per tenerti ritto, devi aggrapparti alle sovrastrutture. Marotta mi
passa il binocolo. «Vuoi dare un’occhiata?» Guardo l’orizzonte limitato dalla
bassa nuvolaglia. Creste biancastre si inseguono. «Tu, hai veduto qualche
cosa?» Marotta non risponde. In plancia ci sono due o tre ufficiali di coperta,
qualche nocchiere e le vedette che continuano a scrutare il mare. Comincia la
sera e ognuno di noi sa che non conosceremo un istante di riposo. Il mare
infuria, il vento urla. Spruzzi d’acqua ci investono fin sulle ali della
plancia. Le vedette indossano lunghi pastrani, che le fanno sembrare monaci,
fradici d’acqua. Il bastimento sobbalza continuamente. S’immerge al completo
nell’acqua, ne riemerge. (…) Da ieri
sera siamo in mare e la nostra aspirazione è un buon sonno in un ambiente
riscaldato. (…) Improvvisamente un
ufficiale mi passa il giornale. Cosa ne devo fare? Non è certo in plancia che
posso leggerlo! Me lo caccio in tasca. Sigarette su sigarette, ogni tanto una sOrsata
di cognac. Un ufficiale sta male. Vomita a un’ala di plancia. (…) L’uomo al timone serra fra le mani la ruota
e con essa fa corpo unico. «Tieni la rotta…» L’uomo gira a dritta e a sinistra
la ruota del timone. Marotta lo osserva. (…) Un uomo sta facendo miracoli di equilibrio, mentre sale in plancia. Ha
il bricco del caffè, tazzine, bicchieri. Caffè per tutti. Il caffè è bollente.
Le vedette alle ali lo devono come avessero la bocca e l’interno della gola
corazzati d’amianto. In coperta non vedi un uomo. La diresti deserta. La gente
è a ridosso, dietro qualche fittizio riparo. Si ha l’illusione di essere
protetti e questo basta. Vale di più una buona illusione che una grama realtà.
La barca va su e giù nel mare. A un certo momento si trova nell’avvallamento
prodotto da due onde. La prora ne sfonda una, ne esce grondando acqua e
continua la sua rotta. Il mio giaccone è bagnato. Chi non è bagnato? L’acqua
salsa ti brucia gli occhi. Andare per mare con questo tempo è da matti. (…)
Ho le ossa peste e vorrei dormire. C’è la
cabina, è vero (…) ma sarei matto se
mi addormentassi. Magari, mentre meno te lo aspetti, una mina alla deriva viene
a urtare la barca e precipiti in un sonno senza risvegli. Se non è la mina può
darsi sia un siluro. Vale la pena di sopportare la fatica della veglia (…) A far da pasto ai pesci, caso mai, ci
andranno gli uomini di macchina. Per loro un qualsiasi incidente ci capiti è
sempre un guaio (…) La visibilità è
limitata. Siamo in piena notte e con il cielo basso. (…) Marotta sta correggendo la rotta, riporta la
nave nella direzione che deve seguire. Improvvisamente in lontananza si
profilano tre sagome di navi. (…) Sagome
di navi britanniche! Anche gli inglesi sono matti. Non potevano starsene in
porto? (…) Il claxon è risuonato in
coperta, in tutti i locali (…).
«Posto di combattimento!» Ogni uomo è al suo posto. Fermo, immobile come una
statua di pietra, aspetta gli ordini. In plancia, l’uomo al timone segue le
indicazioni del Comandante. (…) Un
colpo di mare ci fa sbandare sulla dritta. La nave riprende dopo un po’ il suo
normale equilibrio. (…) Le navi
avvistate sono cacciatorpediniere. La Perseo è una torpediniera; ha incontrato
i propri nemici naturali. È una situazione che assomiglia a quella del sorcio
quando si trova davanti a un gatto, magari affamato. Abbiamo avvistato i
britannici e i britannici, per non essere da meno di noi, hanno avvistato la
nostra nave. Sulle navi inglesi vengono accesi i proiettori, fasci di luce
spazzano il mare che indifferente continua a manifestare la sua collera.
(…) Improvvisamente i tuoi pensieri sono
spezzati, frantumati da una salva d’artiglieria che esplode sulla sinistra
della Perseo. La proiezione delle schegge ferisce alcuni uomini in
controplancia. La torpediniera manovra, continua a manovrare. «Tutta la barra a
dritta…» Accanto al Comandante è l’ufficiale di rotta. La Perseo è illuminata a
giorno dai proiettori delle navi britanniche. Che spreco di luce! Una nuova
salva di artiglieria. La Perseo ha uno scossone. Ci hanno colpiti. È stato
centrato l’impianto poppiero di artiglieria. Gente che fino a un momento fa
pensava chissà a che cosa è stata d’un colpo ammazzata. Forse è morta senza
neanche accorgersene. Diversi uomini sono feriti. Se ci fosse un po’ di calma
di mare! L’incendio divampa a poppa. I proiettili di una cassa di munizioni
deflagrano. Ora i britannici possono esercitarsi al tiro a segno su di noi.
(…) «Attacchiamo…» ordina Marotta.
«Attacchiamo…» ripetono gli uomini ai pezzi d’artiglieria, alle mitragliere, ai
siluri. «Attacchiamo…» ripetono gli uomini di macchina. Gli uomini di macchina
sono delle creature bendate che affrontano il nemico senza vederlo. La D’Annunzio
combatte anch’essa con le poche armi di cui dispone. Combatte fino a quando le
è possibile. Il mare infuria, il vento urla. Colpi di cannone delle unità
britanniche. Le ondate spazzano la coperta. Per gli uomini di bordo è finita. È
finita anche per i detenuti politici che la nave trasporta. Sono le 00.04. La
burrasca continua. Altri colpi di cannone a bordo. La nave affonda. S’inabissa
con il suo carico umano nel Mediterraneo senza pace. Un’accostata della Perseo.
Il mare ci investe da ogni parte. Il vento urla più alto. Soltanto l’attacco
può salvare la nostra nave, può salvarci. Quando un aggressore ti spinge in un
angolo e ogni speranza è perduta, ti viene in mente che morire per morire tanto
vale azzannarlo più che puoi. «Fuori…» I siluri fanno un sordo tonfo cadendo in
acqua, hai l’impressione che non si muovano. Invece filano dritti al proprio
destino. Navighiamo con il fuoco a poppa. Non potremo sfuggire ai caccia
britannici. (…) La Perseo Saetta fra
i marosi, fra i fasci di luce che l’investono da ogni parte. Non c’è che una
speranza, l’ultima speranza. Attaccare fin quando una bordata britannica non ci
manderà al diavolo. «Fuori…» Un’altra doppietta di siluri. Un colpo di mare ci
investe, sale in plancia, spruzza d’acqua salsa gli uomini della controplancia.
(…) La Perseo si sgancia a tutta forza. I
feriti sono curati. Per gli uccisi non c’è niente da fare, non chiedono niente.
Hanno gli occhi aperti, le pupille vitree. È la guerra. Oggi a te, domani a me.
Il mare infuria sempre. In plancia si inverte la rotta. A poppa, l’incendio è
stato domato. Hai perduto uomini con i quali, qualche ora fa, avevi parlato.
Adesso devi navigare, seguire la nuova rotta. (…) Poi [dopo la sosta a Lampedusa] proseguiamo
verso la base. La navigazione è aspra, difficile. Abbiamo il mare di prora e di
fianco. (…) Entriamo in porto a
Trapani (…) Siamo in quadrato,
goccioliamo d’acqua. C’è anche Marotta. Adesso, se vuoi, puoi dare libero sfogo
al tuo dolore. (…) Marotta parla
degli uomini feriti e caduti. I caduti sono stati sepolti a Lampedusa. «Tutti i
marinai», mi dice Marotta, «sono eroi». Più tardi è salito a bordo un
sottufficiale. Portava una bolgetta con la posta dei morti, dei feriti e dei
sopravvissuti. Ha ritirato anche la posta in partenza. Anche quella che la
gente uccisa aveva scritto prima di andare per mare. Le lettere in arrivo sono
giunte a destinazione. Alcuni uomini che le dovevano ricevere hanno abbandonato
la nave, altri che ne avevano scritte «se ne sono andati – dice il cappellano –
in grembo a Dio». La vita continua.
La gente è scesa in franchigia (…)”.
Il bollettino di
guerra del 16 gennaio (numero 966), nel dare notizia dello scontro, attribuirà
alla Perseo un successo inesistente,
tacendo al contempo la perdita della D’Annunzio:
«Nella notte sul 16 la torpediniera Perseo,
al comando del tenente di vascello Saverio Marotta, mentre navigava in servizio
di protezione del traffico, è stata attaccata da tre grossi cacciatorpediniere
nemici. Li ha audacemente affrontati silurandone uno e sebbene colpita e con
incendio a bordo, è riuscita a rientrare alla base».
Il numero delle
vittime in questo scontro, tra l’equipaggio della Perseo, è però riportato diversamente da varie fonti. Come
accennato più sopra, secondo il volume dell’U.S.M.M. "La difesa del
traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della
Tunisia", tra il personale imbarcato sulla torpediniera vi sarebbero stati
tre morti e quindici feriti; secondo il ricordo del sottotenente di vascello
Balzano, citato dal sito Trentoincina (che a sua volta fa riferimento ad un
altro libro dell’U.S.M.M., "La battaglia dei convogli", del 1994), i
morti sbarcati all’arrivo a Lampedusa sarebbero stati addirittura una ventina.
L’Albo d’Oro dei
Caduti e Dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale elenca però
i nomi di cinque marinai della Perseo
deceduti o dispersi il 16 gennaio 1943: il capo meccanico di terza classe
Eugenio Codebo, 34 anni, da La Spezia, disperso; il sottocapo cannoniere
Giovanni De Franceschi, 24 anni, da Pianiga, disperso; il marinaio cannoniere
Luigi De Rosa, 22 anni, da Torre Annunziata, deceduto; il sottocapo cannoniere
Carmelo Raniolo, 20 anni, da Ragusa, deceduto; il marinaio Vincenzo Riccardi,
20 anni, da Villa Literno, deceduto. Un sesto marinaio, il cannoniere Gino
Motta di 19 anni, da Donada, risulterebbe deceduto il 22 gennaio,
verosimilmente per ferite. Alla memoria di De Rosa, Raniolo, Motta e Riccardi
fu conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con motivazione «Imbarcato su torpediniera, in missione di
scorta, attaccata nottetempo da preponderanti forze navali nemiche, sosteneva
con tenacia e valore, sotto il concentrato fuoco nemico e in avverse condizioni
di mare, l’impari combattimento. Colpita l’unità, che audacemente si portava al
contrattacco, cadeva da prode sull’arma che aveva fedelmente servito fino alla
dedizione suprema». Le vittime sarebbero pertanto state sei, e non tre.
Tra i feriti, il
marinaio Domenico La Forgia, nato a Manfredonia il 4 gennaio 1923, il marinaio
Francesco Gatto, nato a Sant’Agata Militello l’11 aprile 1918, ed il sottocapo
cannoniere puntatore scelto Giuseppe Nicosia, nato a Caltanissetta il 15
settembre 1917, furono anch’essi decorati di Medaglia di Bronzo al Valor
Militare, con motivazione «Imbarcato su
torpediniera, in missione di scorta, durante un attacco notturno di
soverchianti forze navali nemiche, contribuiva tenacemente, sotto il fuoco
concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare, all’impari
combattimento. Colpita l’unità durante audaci contrattacchi e con incendio a
bordo, proseguiva nell’assolvimento dei suoi compiti con ardente spirito
combattivo finché, ferito da scheggia, si abbatteva sul pezzo che aveva
fedelmente servito fino al limite delle sue possibilità», così come il
sergente cannoniere Pietro Angelini, nato a Putignano il 2 aprile 1917 («Imbarcato su torpediniera, in missione di
scorta, attaccata nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, sosteneva
tenacemente, sotto il fuoco concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare,
l’impari combattimento. Colpita l’unità durante audaci contrattacchi e con un
incendio a bordo, rimaneva, benché ferito, al suo pezzo che continuava
fedelmente a servire con immutato ardore combattivo e spirito di sacrificio»).
Il direttore di
macchina Giuseppe Musmeci venne anch’esso insignito di M.B.V.M., con
motivazione «Direttore di macchina di
torpediniera in servizio di scorta, attaccata, nottetempo da soverchianti forze
navali nemiche, coadiuvava il comandante con perizia e ardimento prestando efficacemente
la sua opera sotto il fuoco concentrato del nemico ed in avverse condizioni di
mare. Durante gli audaci contrattacchi condotti dall’unità fino all’esaurimento
di ogni efficace mezzo di offesa, si adoperava
instancabilmente ove più era necessaria la sua opera, e si prodigava nello
spegnimento di un incendio presso una riservetta di munizioni colpita. Nella
fase di disimpegno assicurava la piena efficienza dell’apparato motore,
concorrendo validamente a sottrarre l’unità minorata ad ulteriori offese»; l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano
ricevette anch’esso tale decorazione, con motivazione «Ufficiale di rotta su torpediniera, in servizio di scorta, attaccata
nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, coadiuvava validamente sotto
il fuoco concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare, il comandante
nella condotta della nave e nella sua tenace reazione. Colpita l’unità e con
incendio a bordo, durante audaci contrattacchi condotti fino all’esaurimento di
ogni efficace mezzo di oflesa, si adoperava instancabilmente, in assenza
dell’ufficiale in 2a, ove più era necessaria la sua opera. Dopo aver diretto il
lancio autonomo dei siluri, riprendeva il suo servizio alla rotta, concorrendo
validamente, nelle precarie condizioni di tempo e di visibilità, a sottrarre
l’unità ad ulteriori offese ed a ricondurla alla base». Il sottordine di macchina Vinicio Gerin fu
decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione «Sottordine di macchina di torpediniera, in
servizio di scorta, attaccata nottetempo da soverchianti forze navali nemiche,
coadiuvava con slancio e serenità il proprio Capo Servizio nell’assicurare la
piena efficienza dell’apparato motore, durante gli audaci contrattacchi
condotti dall’unità. Si prodigava successivamente nello spegnimento di un
incendio presso una riservetta di munizioni e concorreva a sottrarre l’unità
minorata ad ulteriori offese»; il sergente torpediniere Antonio Pinna (23
anni, da Iglesias), che durante il combattimento aveva sostituito alcuni serventi
feriti ad un cannone, venne anch’egli decorato con la C.G.V.M. («Imbarcato su torpediniera, in servizio di
scorta, che attaccata nottetempo da soverchianti forze nemiche contrattaccava
audacemente, sostituiva ad un pezzo, con pronta iniziativa e abilità, alcuni
serventi feriti e concorreva validamente a sottrarre l'unità, colpita e con
incendio a bordo, da ulteriori offese»).
23 gennaio 1943
La Perseo parte da Messina per scortare a
Taranto la motonave Viminale, che,
dopo essere stata danneggiata a Palermo da un attacco di "chariots"
britannici (mezzi d’assalto simili ai siluri a lenta corsa italiani, dai quali
sono infatti derivati), viene trasferita a Taranto per le riparazioni a
rimorchio dei rimorchiatori Luni, Costante e Salvatore.
Alle sette del mattino
il sommergibile britannico P 37
(tenente di vascello Edward Talbot Stanley) avvista la Viminale in arrivo dallo stretto di Messina, ed alle 7.15 la
identifica come una grossa nave mercantile trainata da due rimorchiatori e
scortata da una torpediniera classe Spica (la Perseo), diverse unità minori ed un idrovolante. Iniziata una
manovra d’attacco, alle 8.20 il P 37
lancia tre siluri contro la Viminale,
da 1830 metri di distanza, in posizione 37°52’ N e 15°45’ E (a sudest di Capo
dell’Armi). Vanno tutti a segno: uno colpisce il Luni, che esplode e affonda con la morte di 30 uomini
dell’equipaggio, e due centrano la Viminale,
che non affonda ma dev’essere portata ad incagliare vicino a Porto Salvo, con
parecchie vittime tra l’equipaggio.
La Perseo va al contrattacco ed individua
il P 37 con l’ecogoniometro,
lanciando cinque minuti più tardi un “pacchetto” di bombe di profondità con
notevole precisione, arrecando gravi danni al sommergibile britannico. Questi
cerca di avvicinarsi alla costa, dove echi di altra origine dovrebbero
contribuire a confondere gli ecogoniometristi della Perseo; alla caccia partecipano anche un cacciasommergibili
ausiliario, il Quarnaro, e quattro
vedette antisommergibili VAS. Il P 37
subisce ancora altri due attacchi piuttosto accurati con bombe di profondità,
dopo di che riesce a sottrarsi alla caccia ed allontanarsi verso sudovest; in
tutto ha contato 56 esplosioni di bombe di profondità. A mezzogiorno il
sommergibile torna a quota periscopica, non avvistando più nulla ma sentendo
ancora le trasmissioni delle navi; alle 18.30 emerge e, siccome la caccia ha
provocato la rottura di diverse celle della batteria e la sconnessione di tale
sezione, interrompe la missione e dirige per rientrare a Malta per le
riparazioni.
1943 ca.
Nuove modifiche
all’armamento: viene eliminata l’ultima mitragliera binata da 13,2/76 mm, e
vengono installate quattro moderne mitragliere singole Scotti-Isotta Fraschini
1939 da 20/70 mm.
La Perseo a Taranto nel marzo 1943 (da www.icsm.it) |
17 marzo 1943
La Perseo (capitano di corvetta Saverio
Marotta) salpa da Messina alle 22 insieme ai cacciatorpediniere Lampo (capitano di corvetta Loris
Albanese) e Lubiana (capitano di
fregata Luigi Caneschi, caposcorta) ed alle torpediniere Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone), Tifone (capitano di corvetta
Stefano Baccarini) e Cassiopea (capitano
di corvetta Virginio Nasta), per scortare a Biserta le moderne motonavi Marco Foscarini e Nicolò Tommaseo. Le due motonavi,
scortate inizialmente da Lubiana, Antares, Tifone e dal cacciasommergibili VAS
221 (che si ferma a Messina), sono partite da Taranto la notte precedente;
il convoglio è giunto a Messina alle 19, vi ha sostato per tre ore e poi è
proseguito con il rinforzo di Perseo,
Lampo e Cassiopea.
18 marzo 1943
Alle 14 Lubiana e Tifone lasciano la scorta del convoglio, dirigendo per Napoli, dove
devono assumere la scorta di altri convogli in partenza per la Tunisia. Anche
la Perseo lascia il convoglio,
sebbene l’orario non sia specificato.
21 marzo 1943
La Perseo (capitano di corvetta Saverio
Marotta) parte da Napoli alle 5.30 per scortare a Biserta, insieme alle
torpediniere Libra (capitano di
corvetta Gustavo Lovatelli, caposcorta) e Tifone
(capitano di corvetta Stefano Baccarini, aggregatasi dopo la partenza), le
motonavi Monti ed Ombrina, cariche di carburante e di
munizioni. Ci sono anche due squadriglie di MAS italiani ed una di
motosiluranti tedesche per fornire protezione antisommergibile a distanza. I
due mercantili procedono in linea di fila, con Perseo e Libra
rispettivamente a dritta ed a sinistra; arrivata la Tifone, la Perseo le
cede il proprio posto in formazione per portarsi in testa al convoglio. Poco
dopo appare un ricognitore nemico, che si tiene fuori portata del tiro delle
navi ma viene messo in fuga dall’intervento dei caccia tedeschi di scorta; si
verificano anche alcuni allarmi per sommergibili, ma la Perseo ordina alla Tifone di
proseguire, delle corvette saranno inviate a dar loro la caccia.
22 marzo 1943
Poco dopo mezzogiorno
viene avvistata a prora dritta una formazione di bombardieri Consolidated B-24
“Liberator” che volano ad alta quota, ma gli aerei, avendo evidentemente un
altro obiettivo, passano lontani dal convoglio senza attaccare. Alle 13.45, già
sulle rotte di sicurezza per Biserta (vicino all’isola Plane), l’Ombrina viene investita dallo
scoppio di una mina magnetica, riportando gravi danni alla poppa; l’equipaggio
civile, da poco imbarcato e ancora non affiatato, abbandona la nave, mentre
quello militare, al comando del tenente di vascello Enrico Rossinelli, rimane a
bordo.
La Perseo dà protezione ed assistenza
alla nave danneggiata ed immobilizzata, mentre la Monti viene fatta proseguire con la scorta di Libra e Tifone, sorvolate dai dodici caccia tedeschi Messerschmitt Bf 109
della scorta aerea, che incrociano nel cielo sopra al convoglio da un orizzonte
all’altro, allontanandosi anche parecchio dalle navi prima di tornare indietro.
Intorno alle 14, mentre la parte più avanzata del convoglio si trova al largo
dell’isola di Plane ed i caccia tedeschi si trovano lontani, dalla parte opposta
delle navi, sopraggiungono due formazioni di bombardieri “Liberator” (in tutto
una decina di aerei) scortati da parecchi caccia Lockheed P-38 “Lightning”.
Mentre questi ultimi,
dopo aver mitragliato le navi, vanno incontro ai Messerschmitt per impegnarli
(da parte loro i caccia tedeschi avvistano solo i “Lightning”, senza invece
accorgersi dei bombardieri), i bombardieri si dividono per attaccare entrambi i
gruppi di navi: Monti, Libra e Tifone da una parte; Ombrina (che
è ancora immobilizzata) e Perseo dall’altra.
Mentre l’Ombrina, pur essendo ferma,
viene mancata, quasi subito la Monti
viene colpita da un grappolo di bombe: a bordo scoppia un incendio che si
estende rapidamente, poi – alle 15.15, a 18 miglia da Biserta – la nave esplode
investendo le torpediniere con una folata di aria arroventata e lanciando
rottami nel cielo per un centinaio di metri in altezza. Le torpediniere
ritengono di aver abbattuto due dei bombardieri (in totale saranno tre gli
aerei persi dagli attaccanti). I caccia tedeschi e alleati, ancora in
combattimento, spariscono verso ovest (nello scontro i Messerschmitt abbattono
un “Lightning” e subiscono a loro volta la perdita di un Me 109): sono le 15.30
e l’attacco è terminato. La Libra viene
lasciata sul posto a soccorrere i naufraghi (ne recupererà 102, mentre le
vittime saranno 41), mentre la Tifone si
riunisce alla Perseo nella
scorta alla danneggiata Ombrina,
che nel frattempo è riuscita a rimettere in moto alle 14.25. Perseo e Tifone, per tenere il passo con la malconcia motonave, devono
procedere alla minima velocità.
Alle 17 le tre unità
entrano infine in porto a Biserta.
24 marzo 1943
Perseo, Libra (caposcorta)
e Tifone ripartono da
Biserta all’una di notte scortando la motonave Niccolò Tommaseo ed
il piroscafo Saluzzo, carichi di
prigionieri di guerra e diretti a Livorno.
Alle 9,25, nel punto
37°52’ N e 11°27’ E (30 miglia ad ovest-sud-ovest di Marettimo; per altra
fonte, 40 miglia a ponente di quell’isola), il sommergibile britannico Unseen (tenente di vascello Michael
Lindsay Coulton Crawford) avvista il convoglio scortato dalla Perseo, provvisto anche di scorta aerea,
mentre naviga a 12-12,5 nodi su rotta 050°. Alle 10.11 l’Unseen lancia quattro siluri contro il Saluzzo (da 4570 metri di distanza), che alle 10.15 ne avvista due
e li evita di stretta misura con un’accostata che per poco non lo fa finire in
collisione con la Tommaseo; Libra e Perseo contrattaccano, individuando il sommergibile e
ritenendo a torto di averlo danneggiato (lanciano soltanto quattro bombe di
profondità, delle quali due esplodono vicine all’Unseen, ma senza causare danni), mentre la Tifone gira intorno ai mercantili
tenendosi pronta ad intervenire.
Giunto nel Golfo di
Napoli durante un bombardamento, il convoglio viene fatto sostare a ridosso di
Capri fino alla notte, gettando di tanto in tanto qualche bomba di profondità
intimidatoria (la zona è infatti infestata dai sommergibili). Infine il
convoglio rimette in moto e prosegue verso Napoli, tranne la Tifone, che alle 21.40 riceve ordine di
effettuare un rastrello antisommergibile al largo di Gaeta.
25 marzo 1943
Perseo, Libra, Saluzzo e Tommaseo arrivano a Livorno alle 13.40.
5 aprile 1943
Alle 3.20 la Perseo (al comando del capitano di
corvetta Saverio Marotta e con a bordo anche il comandante superiore in mare,
capitano di fregata Ernesto Pellegrini) parte da Napoli per Biserta insieme
alle torpediniere Orione (capitano
di corvetta Luigi Colavolpe), Pallade
(capitano di corvetta Antonio Giungi) e Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), di scorta ad
un convoglio formato dai piroscafi italiani Caserta
e Rovereto e dai tedeschi Carbet e San Diego.
Alle 16.15 si
uniscono alla scorta anche il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di
vascello di complemento Nicola Ferrone) e la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo
Brambilla), usciti da Messina.
Subito dopo la
partenza, il Caserta subisce
un’avaria al timone, non riparabile in mare, che lo costringe a tornare in
porto.
6 aprile 1943
Alle 2.30 il Carbet, scortato dal Riboty, si separa dal convoglio e fa
rotta per Trapani, dove giunge alle 9.30 di quel giorno. Le rimanenti sette
navi proseguono verso Biserta.
Già il 5 aprile
“ULTRA” ha scoperto, tramite le sue decrittazioni, che Rovereto, San Diego e Caserta dovrebbero
giungere a Biserta (i primi due) e Tunisi (il terzo) in breve tempo; questa
informazione, di per sé insufficiente a pianificare un attacco, viene però
arricchita l’indomani da nuove decrittazioni: i britannici vengono così a
sapere che Rovereto, San Diego e Caserta sono partiti dal Golfo di
Napoli intorno alle tre di notte del 5 aprile, a dieci nodi di velocità, e che
all’1.30 del 6, 15 miglia a nordovest di Trapani, il Caserta si dovrebbe separare da loro per raggiungere tale
porto, mentre gli altri due piroscafi dovrebbero raggiungere Biserta alle 15.30
dello stesso giorno.
La maggior parte del
viaggio trascorre senza intoppi; quando le navi giungono in vista dell’isola di
Zembra, viene avvistata l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (tenente
di vascello Alessandro Senzi), salpata da Biserta e mandata incontro al
convoglio per pilotarlo sulla rotta di sicurezza di Zembra, che il convoglio ha
appena imboccato. Poco dopo l’accostata sulla rotta di sicurezza, alle 9.25, sopraggiungono
18 bombardieri angloamericani, che vengono ingaggiati dai caccia della
Luftwaffe che costituiscono la scorta aerea del convoglio. Nel combattimento
tra gli aerei, uno dei velivoli tedeschi viene abbattuto; le navi del convoglio
escono però indenni dalla pioggia di bombe sganciate dagli aerei avversari.
Alle 9.54 la Cosenz raggiunge
il convoglio.
Alle 11.10 l’attacco
viene replicato, da parte di altri 18 bombardieri; la Perseo richiama ripetutamente sul posto i caccia tedeschi, ma
questi non possono intervenire, perché a loro volta impegnati contro altri
aerei nemici tra Tunisi e Biserta. Anche questo bombardamento viene tuttavia
superato senza danni.
Alle 17.17, al largo
di Capo Zebib, ha inizio il terzo attacco aereo: il convoglio ha appena
accostato in direzione di Biserta – l’ultima accostata da compiere durante la
navigazione – quando vengono avvistati 22 quadrimotori che volano in formazione
a 3000 metri di quota, con rotta perpendicolare a quella del convoglio. Si
tratta di bombardieri statunitensi Boeing B 17, le famose “fortezze volanti”. I
sei caccia che formano in quel momento la scorta aerea tentano di intercettare
gli aerei Alleati, ma invano.
La prima ondata di
bombardieri non fa danni, ma la seconda colpisce sia il Rovereto che il San Diego: mentre quest’ultimo viene
colpito a prua, con conseguente incendio a bordo, il Rovereto viene centrato in pieno dalle bombe e, avendo a bordo
anche un notevole quantitativo di munizioni, salta in aria otto miglia ad est
di Biserta.
La Clio e la Cosenz recuperano i pochi naufraghi del Rovereto (le vittime sono oltre cento), mentre il caposcorta
Pellegrini manda l’Orione a Biserta
per chiedere mezzi di salvataggio (vi arriverà alle 18.20 e da quel porto usciranno
i rimorchiatori Tebessa e Gabes, rispettivamente tedesco e
francese, per tentare un rimorchio del San
Diego), ed al contempo Perseo, Pallade e Libra si avvicinano al San Diego per prestare assistenza. Pellegrini vuole valutare
la possibilità di prenderlo a rimorchio da poppa, ma il progetto deve essere
ben presto abbandonato in quanto l’incendio sviluppatosi nella stiva colpita,
piena di benzina, si estende subito alle munizioni caricate a proravia della
plancia, che iniziano a deflagrare. I 125 tra marinai e soldati imbarcati sul San Diego si gettano in mare; alle
19.15, dopo averli tratti in salvo, Perseo,
Pallade e Libra si allontanano dal piroscafo tedesco, che può esplodere da un
momento all’altro. Questo avviene alle 19.27.
Le torpediniere, con
a bordo i naufraghi dei piroscafi affondati, raggiungono Biserta tra le 20.10 e
le 21.35; i naufraghi vengono sbarcati e portati nei bunker di La Cariere, dove
ricevono le prime cure.
15 aprile 1943
Alle sei del mattino
la Perseo e la Libra raggiungono la motonave Marco
Foscarini, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere
Cigno, Cassiopea, Groppo e Sagittario (caposcorta, capitano di
fregata Marco Notarbartolo), e sostituiscono Cigno e Cassiopea, che
devono rientrare a Trapani.
Il convoglio arriva a
Biserta alle 11.08.
16 aprile 1943
La Perseo e le torpediniere Groppo e Sagittario (caposcorta) salpano da Biserta alle 21.30 (o 22)
dirette a Napoli, scortando la motonave Monginevro e la nave cisterna Tarn.
17 aprile 1943
Poco dopo la mezzanotte, ricognitori britannici iniziano a sorvolare il convoglio, che si trova ancora sulle rotte di sicurezza. Alle 2.08, poche miglia a nord di Zembretta, la Sagittario avvista una sagoma scura a proravia, e tutte e tre le torpediniere aprono subito il fuoco contro di essa; poco dopo ne compaiono altre due e si comprende che sono motosiluranti: prese sotto tiro, le unità avversarie si ritirano coprendosi con cortine fumogene, ma intanto hanno già lanciato i siluri, uno dei quali colpisce la Monginevro a poppa alle 2.10. La Perseo tenta di rimorchiare la motonave, rimasta immobilizzata, ma dopo un’ora di traino deve mollare il rimorchio perché la motonave sta per colare a picco: ed infatti alle 3.40 essa affonda, a 9,5 miglia per 13° da Zembretta. Non ci sono perdite tra l’equipaggio.
Poco dopo la mezzanotte, ricognitori britannici iniziano a sorvolare il convoglio, che si trova ancora sulle rotte di sicurezza. Alle 2.08, poche miglia a nord di Zembretta, la Sagittario avvista una sagoma scura a proravia, e tutte e tre le torpediniere aprono subito il fuoco contro di essa; poco dopo ne compaiono altre due e si comprende che sono motosiluranti: prese sotto tiro, le unità avversarie si ritirano coprendosi con cortine fumogene, ma intanto hanno già lanciato i siluri, uno dei quali colpisce la Monginevro a poppa alle 2.10. La Perseo tenta di rimorchiare la motonave, rimasta immobilizzata, ma dopo un’ora di traino deve mollare il rimorchio perché la motonave sta per colare a picco: ed infatti alle 3.40 essa affonda, a 9,5 miglia per 13° da Zembretta. Non ci sono perdite tra l’equipaggio.
Il resto del
convoglio, che è proseguito per la sua rotta, subisce alle 2.29 un attacco da
parte di quattro aerosiluranti: i siluri lanciati passano nello spazio che è
rimasto tra le tre navi, due tra Sagittario e Tarn e due tra Tarn e Groppo. Alle 2.43 una salva di bombe manca di poco la Tarn, cadendole a prora dritta.
18 aprile 1943
Il convoglio giunge a
Napoli alle 6.45 (o 7.15).
La Perseo (foto Giorgio Soldati, Coll. Roberto Soldati, via www.icsm.it)
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"Gli ultimi tizzoni"
Nella primavera del
1943 la campagna di Tunisia, e con essa l’intera campagna nordafricana, volgeva
al termine. I resti delle armate italo-tedesche in Africa, martellati dal
cielo, sempre più a corto di carburante e munizioni, attaccati ad est dai
britannici e ad ovest dagli statunitensi con una superiorità preponderante di
uomini e di mezzi, gradualmente perdevano sempre più terreno, arretrando in un
perimetro sempre più ristretto, verso Tunisi, Biserta e la penisola di Capo
Bon. Sul mare, le forze aeronavali angloamericane intensificavano gli sforzi
per dare il colpo di grazia alle ultime forze dell’Asse, colpendo le linee di
rifornimento con violenza crescente: ogni giorno aumentavano gli attacchi di
aerei, sommergibili, navi da guerra; ogni giorno crescevano le perdite, la "rotta
della morte" mostrava sempre più di meritare il suo nome. Il 1° maggio
1943 Supermarina scriveva al Comando Supremo: «Il ferreo blocco dei rifornimenti per la Tunisia, posto in essere negli
ultimi giorni dal nemico, con grande spiegamento di imponenti mezzi
aereo-navali, va interpretato come conseguenza della valorosa e accanita
resistenza delle nostre truppe sul fronte tunisino. Non avendo potuto
infrangerla per urto diretto con la sperata facilità e rapidità, il nemico
tende ora a venirne a capo mediante il completo taglio dei rifornimenti».
Nella stessa nota si ipotizzava già che, caduta la Tunisia, sarebbe stato
prevedibile a breve uno sbarco contro una delle isole maggiori italiane.
Nel mese di aprile
1943 erano andate perdute sulla rotta per la Tunisia ben 23 navi mercantili,
insieme a cinque siluranti ed altre dieci unità militari; altre 17 navi
mercantili, 14 militari e 30 motovelieri erano state affondate nei porti dai
bombardamenti, ogni giorno più violenti. In mare od in porto, in
quell’infernale mese si erano perdute più di tre navi al giorno, mercantili o
militari, grandi o piccole. Parte dei rifornimenti riusciva ancora a passare
(nell’aprile 1943 giunse in Tunisia il 58,77 % delle 48.703 tonnellate di
rifornimenti partiti), ma la "rotta della morte" inghiottiva un
numero ormai insopportabile di navi e di vite.
Anche il numero delle
torpediniere di scorta su quella rotta – le “ultime del Canale”, come le chiama
l’allora sottocapo Alberto Ferrari che su una di esse era imbarcato – andava
sempre più diminuendo: negli ultimi mesi si erano perdute l’Ardente, affondata per collisione il 12
gennaio; la Prestinari, saltata su
mine il 31 gennaio; l’Uragano, affondata per mina il 3 febbraio; la Monsone, affondata da bombardamento il
1° marzo; la Ciclone, affondata da
mine l’8 marzo; la Cigno, affondata
in combattimento contro cacciatorpediniere britannici il 16 aprile; la Climene, silurata da sommergibile il 28
aprile. Altre erano fuori uso per i gravi danni riportati in azione, come la Cassiopea o l’Aretusa, altre ancora erano logorate dall’incessante attività di
scorta convogli, che non conosceva soste e costringeva a rimandare continuamente
riposo e manutenzione, fino al collasso. Moderne torpediniere di scorta fresche
di cantiere, “Spica” ormai veterane, e persino decrepite “tre pipe” navigavano
insieme, combattevano insieme, affondavano insieme, in una lotta ormai senza
speranza. Sulle loro spalle pesava ormai tutta l’incombenza delle scorte ai
convogli: i sempre più sparuti cacciatorpediniere superstiti, infatti, erano
ormai usati quasi esclusivamente in missioni veloci di trasporto truppe tra la
Sicilia e la Tunisia.
Già l’11 marzo
Supermarina, facendo il punto della situazione, aveva tracciato un quadro a
tinte alquanto fosche: «Avevamo
all’inizio della guerra 95 tra vecchi cacciatorpediniere, torpediniere e avvisi
adatti al servizio di scorta. Ne abbiamo perduti 45, ne sono poi entrati in
servizio 24 e, pertanto, ne abbiamo oggi 74 (…) Oggi 11 marzo di queste 74 unità sono in moto o pronte a muovere
soltanto 32; 42 sono in riparazione o in attesa di riparazione. Delle 32 pronte
15 sono in servizio per l’Africa. Le altre sono destinate ad altri scacchieri (…)
Il contrasto contro il nostro traffico
marittimo – fatto con tutti i mezzi che la tecnica mette oggi a disposizione:
aerei bombardieri e aerei siluranti scortati da forte caccia, appoggiati a un
vastissimo servizio di ricognizione diurna e notturna; sommergibili disseminati
su tutte le nostre lunghissime coste da Tolone a Rodi; mine posate nel Canale
di Sicilia da posamine di superficie, da sommergibili, da motosiluranti, da
aerei; navi di superficie veloci, pronte a muovere da Malta e da Bona –
costituisce un problema estremamente arduo, che non si risolve solamente
scegliendo questa o quella rotta, questa o quell’ora di partenza, facendo i
convogli più o meno numerosi, adottando questa o quella formazione…».
In queste condizioni,
ci si può chiedere che senso ancora potesse avere inviare ancora navi e uomini
incontro a più che probabile distruzione, per rifornire un’armata oltremare che
ormai aveva in ogni caso i giorni contati. I giornalisti Vero Roberti – che la
guerra sul mare la visse in prima persona, da corrispondente di guerra
imbarcato su innumerevoli unità – e Gianni Rocca non sbagliano, quando
definiscono questo periodo terminale della guerra dei convogli, con le tante
perdite che esso comportò, «un inutile sacrificio».
È in questo cupo contesto
che il 29 aprile 1943 la Perseo, al
comando del capitano di corvetta Saverio Marotta, salpò da Pozzuoli per
scortare a Tunisi il piroscafo Campobasso,
partito da Napoli con un carico di carburante, munizioni, bombe d’aereo, veicoli,
artiglieria, 58 soldati italiani e tedeschi – mandati ormai senza dubbio alla
morte o alla prigionia – oltre ai 45 uomini dell’equipaggio. Erano gli «ultimi
tizzoni da gettare nella fornace», come scrisse Alberto Ferrari, sottocapo
allora imbarcato sulla torpediniera Tifone.
Lo stesso Campobasso era un simbolo
dello stato della Marina Mercantile italiana dopo tre anni di guerra di
logoramento: una nave ex francese, italiana appena da pochi mesi, come decine
di altri piroscafi che solcavano la "rotta della morte". Il fior
fiore della flotta mercantile, le grandi, moderne, veloci motonavi di nuova
costruzione, era ormai scomparso da tempo, ed ora a trasportare i vitali rifornimenti
verso Tunisi e Biserta erano perlopiù vecchi, lenti piroscafi tratti dai teatri
più periferici e meno insidiati – le rotte per la Grecia e l’Albania, l’Egeo,
le rotte di cabotaggio attorno all’Italia – dove fino ad allora avevano
navigato: navi claudicanti, facili bersagli, ma ormai altro non c’era. Alla
fine del 1942, con l’occupazione della Francia di Vichy, la Marina Mercantile
italiana aveva ricevuto un’ottantina di “nuovi” bastimenti di provenienza
francese, confiscati nei porti della Francia mediterranea: sostituito il
tricolore francese con quello italiano, con nomi ed equipaggi italiani, molti
di essi erano finiti sulle rotte della Tunisia. Non pochi non erano giunti
neanche a vedere la fine del loro primo viaggio, anche se non era questo il
caso del Campobasso; questi aveva già
completato un viaggio di andata e ritorno, e si accingeva con la Perseo a tentare la sorte una seconda
volta.
Anche la Perseo aveva a bordo del personale di
passaggio diretto in Tunisia: 50 marinai di leva assegnati al Comando Marina di
Tunisi, che furono alloggiati nel castello di prua. Quale senso potesse avere
l’invio di 50 marinai presso un Comando Marina che di lì a qualche giorno
sarebbe cessato di esistere, non è dato sapere.
La Perseo, trasferitasi in tutta fretta da
Napoli a Pozzuoli – tanto da lasciare a terra alcuni marinai scesi in franchigia
– e fatta poco dopo ripartire da quest’ultimo porto, raggiunse il Campobasso fuori dal Golfo di Napoli e
ne assunse la scorta, come previsto; le due navi diressero verso sud.
Dicono alcuni che le
navi abbiano un’anima: e quella della Perseo
sembrava non voler andare di nuovo in Tunisia, rifare ancora quella rotta che
pure aveva già percorso tante volte, portando fino a quel momento a casa la
pelle nonostante i mille pericoli, i continui attacchi che avevano decretato la
fine di tante altre navi. Sentiva, chissà, che questa volta le cose sarebbero
andate diversamente, che il Canale di Sicilia sarebbe divenuto la sua tomba, e
cercò di sottrarsi a questa sorte: ebbe un’avaria, dovette interrompere la
navigazione e sostare a Pantelleria per le riparazioni, insieme al Campobasso. (Un’altra fonte parla di una
sosta a Lampedusa, ma sembra poco probabile).
Qui le due navi
attesero in rada per tre giorni “le giuste condizioni” per partire, mentre si
rincorrevano ordini e contrordini trasmessi alla Perseo dal locale semaforo: come evidenziava la lettera di
Supermarina del 1° maggio, però, le giuste condizioni non c’erano proprio, anzi
la situazione peggiorava di giorno in giorno. Partire, ormai, era quasi un
suicidio; per giunta, secondo il ricordo del guardiamarina Giorgio Soldati,
durante la sosta a Pantelleria Perseo
e Campobasso furono anche avvistati
da ricognitori nemici (secondo un documento tedesco, venne in seguito riferito
che le due navi erano state avvistate da ricognitori nella notte del 2 maggio).
Ma la “fornace
africana” reclamava a gran voce i suoi “ultimi tizzoni”: alle due del
pomeriggio del 3 maggio 1943 giunse infine l’ordine di partenza per Tunisi.
Come spesso avveniva
l’ordine d’operazioni, trasmesso da Supermarina per radio, scendeva fino nei
dettagli, lasciando ben poca libertà decisionale al comandante in mare: rotte
da tenere, orari, variazioni da apportare alla rotta, persino le diverse
velocità da tenere in ogni fase della navigazione. Ciò era legato anche al
fatto che la navigazione si dovesse snodare in gran parte attraverso un vero e
proprio labirinto di campi minati, che avrebbe obbligato le due navi a compiere
un percorso decisamente arzigogolato per arrivare a destinazione.
Come ordinato da
Supermarina, furono inviati alla stazione radio a terra il guardiamarina
Gerolamo Todisco ed un radiotelegrafista, per dare il ricevuto. L’atmosfera
sulla Perseo era lugubre: in sala
nautica il guardiamarina Giorgio Soldati, il sottotenente di vascello Romualdo
Balzano ed il comandante in seconda si radunarono a discutere la situazione con
non poca apprensione. L’esistenza della Forza K britannica, di base a Malta e
dotata di radar, era loro nota (era con quelle stesse navi, d’altra parte, che
la Perseo si era scontrata pochi mesi
prima, quando era stata affondata la D’Annunzio),
e temevano che il messaggio radio con l’ordine d’operazioni, appena ricevuto e
contenente ogni dettaglio sul loro viaggio, potesse essere stato intercettato.
Sopraggiunse il comandante Marotta, visibilmente nervoso; anche lui condivideva
le preoccupazioni dei suoi ufficiali, ma li esortò a non parlarne
all’equipaggio, per non demoralizzarlo. D’altra parte, la voce a bordo si era
sparsa: diversi uomini, tra cui il sottocapo cannoniere Adolfo Zolezzi, il
secondo capo torpediniere Antonio Pinna ed il marinaio cannoniere Carlo Fiore,
si recarono poi a chiederne conferma al guardiamarina Soldati, e non parvero
molto convinti dalle sue rassicurazioni.
Alle 16 la Perseo entrò nel porticciolo di
Pantelleria e si rifornì d’acqua; alle 18 venne distribuito l’anice – bevanda
molto utile per la sopravvivenza in mare in caso di affondamento – da riporre
nei contenitori in dotazione ai salvagente (fu raccomandato di aggiungere acqua
per allungarlo).
Alle 19.15 del 3
maggio Perseo e Campobasso lasciarono l’ancoraggio di Pantelleria, facendo rotta
per Tunisi alla velocità di otto nodi. Verso il loro destino.
Era questo in
assoluto il terzultimo convoglio a partire per la Tunisia: quello stesso giorno
partirono da Trapani per Tunisi la motonave Belluno
e la torpediniera Tifone; l’indomani
sarebbe partito da Napoli il piroscafo tedesco San Antonio, scortato dalle torpediniere Groppo e Calliope; il 7
maggio sarebbero partiti da Trapani i trasporti militari tedeschi KT 5, KT 9 e KT 21. Solo il
convoglio Belluno-Tifone sarebbe giunto a destinazione: e
le queste navi non avrebbero mai più lasciato la Tunisia. Così commentava
l’allora sottocapo Alberto Ferrari, imbarcato sulla Tifone: «Il “carnet” di
maggio segnava l’ultima ballata per la Tunisia: (…) Quattro torpediniere, tre piroscafi. Ultimo sospiro di una agonia
durata cento giorni. Sarebbe arrivato solo il Belluno con il Tifone. Dopo di
noi l’VIII Armata britannica si sarebbe congiunta con quella yankee. Punto
d’incontro: le nostre spoglie. Il nove maggio 1936 nasceva l’Impero, e il nove
maggio 1943 l’Impero moriva».
La Perseo navigava in testa alla
“formazione”, in posizione di scorta prodiera; il Campobasso la seguiva, percorrendo le rotte indicate nell’ordine
d’operazione. Alle 19.30 l’ecogoniometro della torpediniera segnalò degli echi
sospetti sulla dritta, per cui il piccolo convoglio compì una leggera accostata
sulla sinistra. Alle 21.20 il comandante Marotta ordinò il posto di
combattimento; vennero avvistate delle ombre sospette verso dritta, ma
l’allarme cessò dopo venti minuti, e le navi proseguirono normalmente nella
navigazione, senza zigzagare a causa dei campi minati. Venne mantenuto il
silenzio radio sulla radio ad onde ultracorte; per comunicare con il Campobasso, in caso di necessità, venne
preparato il fanale a trappola azzurro.
Alle 23.20 fu battuto
nuovamente il posto di combattimento, in seguito all’avvistamento di luci e
sagome sospette a proravia dritta (a ore 2); cinque minuti più tardi fu dato il
cessato allarme, ma subito dopo l’apparato "Metox" della Perseo – uno strumento di costruzione
tedesca che rilevava le emissioni dei radar – segnalò che la nave era stata
individuata da un aereo nemico. Venne dunque comunicato a Supermarina "Sono stato radio localizzato" (per
altra fonte, fu Supermarina ad informare il convoglio dell’avvenuta
localizzazione, ma sembra probabile un errore); l’alto comando diede il
ricevuto, ma non impartì ordini. Alle 23.33 venne comunicato per ultracorte al Campobasso "Aumentate al massimo la velocità – Siamo stati radio localizzati",
ma il piroscafo rispose "La velocità
massima che riusciremo a tenere, ma non sappiamo per quanto, è di 10 nodi".
Alle 23.40, quando le
due navi italiane erano a 22 miglia per 120° da Capo Bon (cioè a sudest del
Capo), con rotta su Ras Mustafà, vennero avvistate delle unità nemiche: erano i
cacciatorpediniere britannici Nubian
(capitano di fregata Douglas Eric Holland-Martin), Petard (capitano di corvetta Rupert Cyril Egan) e Paladin (capitano di corvetta Lawrence
St. George Rich), salpati da Malta quel pomeriggio per compiere una scorreria
nel Canale di Sicilia.
Il Nubian, la Perseo, lo conosceva bene: si era già scontrata con lui la notte
del 16 gennaio, quando la D’Annunzio
era stata affondata, e la stessa Perseo
era riuscita a stento a salvarsi dopo aver subito gravi danni. Il Paladin, poche settimane prima, aveva
affondato in un’azione simile la torpediniera Cigno, di scorta alla motonave Belluno
(che grazie alla reazione della scorta si era salvata), subendo per contro la
perdita del gemello Pakenham.
Quella scorreria non era
stata decisa a caso, bensì in base alle segnalazioni di “ULTRA”, che qualche
ora prima avevano permesso ai comandi britannici di apprendere, sulla scorta di
messaggi intercettati e decrittati relativi alla partenza del convoglietto, che
«Il Campobasso salpa dalla
Sicilia per la Tunisia nel pomeriggio del 3 maggio»; alcune fonti
britanniche definiscono infatti quella intrapresa dai tre cacciatorpediniere
come una missione d’intercettazione, e riferiscono che i cacciatorpediniere,
sulla base di informazioni di intelligence
(ossia ULTRA), aspettavano le loro vittime al varco, lungo la prevista rotta
del convoglio, al largo di Capo Bon.
Dopo la partenza da
Malta, Nubian, Paladin e Petard avevano
navigato verso ovest ad alta velocità, ed entro le 23.40 erano giunti al largo
di Kelibia. La notte era molto buia, con foschia e bassa visibilità in
prossimità della costa; i cacciatorpediniere procedevano in linea di fila, con Nubian in testa, Petard al centro e Paladin
in coda. Ad un certo punto si accorsero della presenza di una nave (era il Campobasso) a proravia sinistra, a circa
tre miglia di distanza; ridussero la velocità a 20 nodi, ed alle 23.47 (secondo
fonti britanniche) la avvistarono otticamente.
Complessivamente, le
tre navi britanniche contavano 16 cannoni da 120 mm, cui la Perseo poteva opporre soltanto i suoi
tre piccoli pezzi da 100 mm.
I britannici aprirono
immediatamente il fuoco sul piccolo convoglio italiano, che avevano già
localizzato al radar mentre questo si avvicinava alla costa tunisina.
Lavorarono di concerto, dividendosi i compiti: il Petard illuminò il Campobasso
perché fosse meglio visibile, mentre il Nubian
lo martellava con dieci salve dei suoi cannoni. Anche se il tiro fu giudicato non
molto efficace dagli stessi britannici, a causa del tempo fosco, lo sventurato
piroscafo, sul quale si concentrò inizialmente il tiro delle navi britanniche,
fu centrato a prua, a poppa ed in plancia; in breve non fu che un relitto
fiammeggiante.
Secondo il ricordo
del guardiamarina Giorgio Soldati, le navi britanniche aprirono il fuoco alle
23.35, subito dopo che dalla Perseo
erano stati avvistati dei bengala ad ore dieci; il comandante Marotta ordinò
"Avanti massima" e lanciò
il segnale di scoperta a Supermarina ("4
unità tipo imprecisato. Il nemico ha aperto il fuoco", insieme alle
coordinate). Secondo una fonte, le navi britanniche spararono alcuni proiettili
illuminanti prima di attaccare il Campobasso.
La Perseo invertì dapprima la rotta allo
scopo di portarsi a fianco del Campobasso
e nasconderlo con cortine nebbiogene, ma i nebbiogeni non funzionavano (eppure,
ricordò poi l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano, erano stati provati poco
prima): allora la torpediniera invertì nuovamente la rotta e andò al
contrattacco, dirigendosi verso i cacciatorpediniere avversari alla massima
velocità, facendo fuoco con tutte le sue armi. Le navi britanniche, vistesi
attaccate, spostarono le loro attenzioni – e il loro tiro – sulla Perseo.
Da fonte britannica,
risulterebbe che fu il Nubian ad
accorgersi della presenza di una nave di scorta, identificata come una
torpediniera da 650 tonnellate, dopo aver sparato una decina di salve da 120
contro il Campobasso; vedendo che la
sua scia era sempre più bianca, Holland-Martin si rese conto che stava
aumentando la velocità, perciò accelerò a sua volta a 30 nodi ed aprì il fuoco
controdi essa. La torpediniera fu centrata fin dalla prima salva del Nubian, e poi anche del Petard e del Paladin, e si fermò, eruttando fumo e vapore.
Il tenente di
vascello G. G. Connell, del Paladin,
descrisse in seguito in questi termini l’attacco al piccolo convoglio italiano:
“Stavamo pattugliando nottetempo tra
Pantelleria e la costa tunisina. Erano le 23 di una sera estremamente buia
quando il Nubian avvistò il nemico. [Il Nubian
] aprì subito il fuoco contro la nave carica
di munizioni [il Campobasso] e la incendiò. Noi lo imitammo e così fece
il Paladin, e la colpimmo tutti. Sparammo anche dei proiettili illuminanti per
illuminare il cacciatorpediniere [la Perseo].
[Quest’ultima] non aveva nessuna
possibilità. Sparammo tutti e non potemmo semplicemente fare a meno di
colpirlo. Sparammo su di esso persino con armi leggere”. Il capo cannoniere
del Petard, F. L. Blandford,
descrisse la prima salva sparata dal Nubian
contro la Perseo come “Il miglior colpo che io abbia mai visto
(…) Illuminammo il bersaglio ed il Nubian
sparò per primo. La sua salva centrò la plancia del cacciatorpediniere e la
portò via [evidentemente un’esagerazione]. Fu un colpo magnifico. Non ne avevo mai visto prima uno simile”.
Mentre cercava di
avvicinarsi ulteriormente ai cacciatorpediniere, la nave di Marotta fu colpita
più volte: un primo colpo centrò la caldaia di prua, e subito dopo due salve in
rapida successione colpirono i cannoni poppieri e la controplancia. Il colpo
che giunse in caldaia fece anche incatastare i tubi lanciasiluri; i siluri
vennero lanciati ugualmente, ma il lancio risultò ben poco preciso. La
cannonata giunta in controplancia troncò un braccio al comandante Marotta, che
prima di svenire fece in tempo ad ordinare di mettere in salvo l’equipaggio.
Pochi colpi ben
piazzati erano bastati per segnare la sorte della Perseo: con le macchine fuori uso, la torpediniera andò
progressivamente rallentando fino a fermarsi del tutto, con il timone
immobilizzato sul lato sinistro ed un grosso squarcio causato dalla prima salva
giunta nel locale caldaie, dal quale entrava abbondantemente l’acqua. A causa
di questo squarcio, la nave assunse in breve uno sbandamento preoccupante sulla
dritta; ciononostante continuò a rispondere al fuoco con le mitragliere.
Questo secondo il
volume U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1°
ottobre 1942 alla caduta della Tunisia". Il tenente di vascello Romualdo
Balzano, da parte sua, affermò in seguito che le cannonate britanniche avessero
colpito la Perseo nella caldaia
poppiera, nei cannoni poppieri e nella controplancia, mentre dirigeva loro
incontro a tutta forza sparando con tutte le artiglierie e preparandosi a
lanciare i siluri; un colpo ferì gravemente il comandante Marotta, il timone ed
i tubi lanciasiluri rimasero bloccati, la torpediniera compì un giro su sé
stessa e poi si arrestò.
Secondo il ricordo
del guardiamarina Giorgio Soldati – che scrisse tempo dopo una descrizione
dell’azione –, invece, la Perseo
serrò le distanze con i cacciatorpediniere fino a meno di 700 metri, accostò a
dritta e lanciò i primi due siluri – dai tubi 1 e 2 – alle 23.42, di
controbordo, con beta 40°; poi, alle 23.44, lanciò anche i siluri dei tubi 3 e
4, con rotta 310°, su beta 20°. I cacciatorpediniere britannici, avendo
avvistato le scie dei siluri alla luce dei bengala, li evitarono con pronta
manovra, dopo di che la Perseo,
rimasta senza siluri, puntò a tutta forza su Capo Bon, assumendo rotta verso
nordovest; ma alle 23.48 la fiammata della prima esplosione verificatasi sul Campobasso illuminò anche la Perseo, rivelando la sua posizione ai
cacciatorpediniere britannici. Un ricognitore si portò subito sul cielo della
torpediniera e lanciò un bengala, seguito immediatamente da una salva di
proiettili illuminanti tirati dalle navi britanniche, che illuminarono a giorno
la torpediniera italiana ed alle 23.52 concentrarono tutto il loro tiro su di
essa. La Perseo iniziò a manovrare ad
alta velocità per evitare le salve nemiche, ma nel corso di un’accostata il suo
timone subì un’avaria (per altra fonte, venne colpito da una cannonata), ed
alle 23.53, prima che fosse possibile passare al timone di riserva, la nave fu
colpita in rapida successione nel locale caldaia n. 1 ed a prua, e subito dopo
una terza volta da un colpo che centrò la stazione radio, sotto la plancia e
vicino alla segreteria al dettaglio, gettando a terra gli uomini che si
trovavano sul ponte di comando. Un altro colpo mise fuori uso il pezzo numero 2
da 100 mm. A causa della diminuzione di pressione nelle caldaie, la nave si
fermò; le fiamme ed il vapore surriscaldato, fuoriuscito dalla caldaia numero 1
colpita ed esplosa, fecero strage del personale di macchina e delle reclute
destinate a Marina Tunisi – per loro, quello era il primo combattimento –,
alloggiate nei locali prodieri poco lontani, a loro volta colpiti ed invasi dal
fuoco e dal vapore. Si cercò di contattare Supermarina, ma le antenne radio
erano già state distrutte.
Tutte le armi –
funzionavano ancora due cannoni da 100 mm e le mitragliere – continuavano a
rispondere al fuoco; soprattutto la mitragliera quadrinata situata sulla tuga
centrale, dove a fare fuoco era rimasto solo il puntatore Carlo Fiore, essendo
morti tutti i serventi. Su di lui, ancora Soldati: “è una furia scatenata.
Carica, spara, bestemmia; fa tutto da solo e sarà l'ultimo a mollare”. Quando
Fiore venne ucciso da una scheggia, fu l’ufficiale di rotta Balzano a sostituirlo
alla mitragliera; con il suo tiro cercò di colpire i proiettori che
continuavano ad illuminare la Perseo.
In breve, la
gerarchia di comando della Perseo fu
decapitata: il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Musmeci,
rimase ucciso mentre coi suoi uomini tentava di arginare la falla aperta da uno
dei primi colpi in sala macchine; il comandante in seconda, tenente di vascello
Levino Ferrara, cadde al suo posto di combattimento presso i cannoni di poppa. Con
tutti i suoi superiori uccisi o gravemente feriti, il comando della Perseo ricadde sull’ufficiale di grado
più alto rimasto indenne: e cioè proprio il giovane ufficiale di rotta, il
sottotenente di vascello Romualdo Balzano, ventiquattrenne, di La Maddalena.
Constatate le
condizioni disperate in cui versava la Perseo,
Balzano ordinò di abbandonare la nave.
L’equipaggio
superstite lo fece ordinatamente, mettendo a mare i pochi galleggianti rimasti
intatti (secondo il ricordo del sottotenente del Genio Navale Vinicio Gerin, i
cacciatorpediniere britannici sospesero il fuoco per il tempo necessario a
mettere in mare le zattere) o gettandosi direttamente in acqua; il comandante
Marotta, ancora privo di sensi, venne portato su una imbarcazione. Ripresosi a
bordo di quest’ultima, Marotta, sentendo vicina la fine, chiese di essere
riportato a bordo per poter morire in mezzo ai suoi uomini rimasti uccisi nel
combattimento; mentre l’imbarcazione stava per attraccare sottobordo alla Perseo, però, si capovolse, rovesciando
in mare i suoi occupanti.
Secondo il ricordo di
Giorgio Soldati, invece, l’ordine di abbandonare la nave fu dato dal comandante
Marotta alle 23.55, dato il forte sbandamento a dritta frattanto assunto dalla Perseo immobilizzata; gli uomini
iniziarono a gettarsi in mare, ed alle 23.57, mentre Soldati, il guardiamarina
Todisco ed il sottotenente di vascello Balzano stavano gettando in mare i
documenti segreti e la "carta Mirafiori" (la carta segreta del Canale
di Sicilia, nella quale tra l’altro era indicata la posizione dei campi minati),
una cannonata centrò il ponte di comando. Sarebbe stato in questo frangente che
Marotta sarebbe rimasto ferito gravemente; Soldati, ferito leggermente al pari
di altri uomini, avrebbe tentato di fermare l’emorragia dal braccio troncato
del comandante con un laccio emostatico d’emergenza. Il guardiamarina si avvide
poi – attraverso la porta della sala nautica che metteva in comunicazione con
l’aletta di dritta, ormai scardinata – che il centralino telefonico, andato in
cortocircuito, aveva preso fuoco e con i bagliori del suo incendio rischiava di
tradire la loro posizione, dato che intanto i proiettili illuminanti si erano
spenti; soffocò il fuoco battendoci sopra con lo sgabello da carteggio. Soldati
e Balzano scesero poi sul castello, vicino all’antiradio; alle 23.58 ricominciò
il tiro britannico, con cannoni e mitragliere, da distanza inferiore ai
trecento metri, e Soldati si gettò in acqua dall’osteriggio delle cucine,
venendo subito trascinato verso poppa dalla corrente. L’acqua era fredda e intorpidiva
i muscoli, il mare era mosso, forza 4. I cacciatorpediniere cessarono il fuoco;
la Perseo galleggiava ancora,
fortemente sbandata.
A bordo del relitto
galleggiante della torpediniera era rimasto il sottotenente di vascello
Balzano: questi sentì chiamare dal mare e riconobbe la voce del comandante
Marotta, che gli disse “sono senza un braccio, portami uno zatterino o un
qualche mezzo che mi sostenga”. Balzano si procurò un salvagente e, dopo aver
verificato che a bordo non fosse rimasto nessuno ancora in vita, si tuffò in
mare. Non trovò più il suo comandante: il mare lo aveva già inghiottito. (Un’altra
versione racconta che Balzano, gettatosi in mare con un salvagente per aiutare
Marotta, non lo trovò; successivamente, però, mentre si teneva a galla in mezzo
a bidoni galleggianti e pezzi di legno, s’imbatté nel corpo del suo comandante,
ormai senza vita. Rimase aggrappato per ore ad una tavola di legno sorreggendo
la salma di Marotta, prima di lasciarla andare).
Giorgio Soldati, di
nuovo, racconta nelle sue memorie una versione leggermente diversa; trovandosi
in acqua, raggiunse a nuoto la iole della Perseo,
che galleggiava ad una cinquantina di metri dalla poppa, e si arrampicò a
bordo, con l’aiuto del contabile di macchina. Sulla iole c’era anche Marotta,
che aveva ripreso conoscenza; pur indebolito dalla grave ferita e dal sangue
perso, ringraziò Soldati e invitò quelli che pensavano di farcela a tornare
sulla nave, per autoaffondarla ed impedire così che potesse cadere in mano
nemica. La iole tentò dunque di avvicinarsi alla Perseo, ma fu investita da due colpi di mare al traverso, imbarcò
acqua e si rovesciò. Soldati si avvicinò a Marotta, che gli disse di poter
nuotare fin sottobordo; tentò di sostenerlo a galla, ma non ci riuscì, ed il
comandante scivolò sott’acqua e scomparve.
Alla memoria del
comandante Marotta, per la sua disperata difesa del Campobasso contro forze soverchianti, sarebbe stata conferita la
Medaglia d’Oro al Valor Militare. Qualche tempo prima aveva confidato al
corrispondente di guerra Libero Accini: «Continui ad andare sulla rotta della
morte. Un giorno o l’altro ci lasci le penne!».
Dopo la scomparsa di
Marotta, Giorgio Soldati si mise a nuotare verso la poppa della Perseo, più che altro per non farsi
intorpidire dal freddo; vide in acqua il secondo capo segnalatore Michele
Vilardi, che indossava ancora il pesante cappotto da navigazione, che lo
intralciava nei movimenti, e faticava a tenersi a galla, anche perché era
sprovvisto di salvagente. Alla fine annegò anche lui: Soldati venne poi a
sapere che non sapeva nuotare.
Giunto in prossimità
dello scafo, Soldati vide una cima che penzolava fino in acqua e la afferrò,
issandosi fin sul paraeliche di dritta e da lì sul ponte di coperta. Si
precipitò in plancia, dove trovò il sottotenente di vascello Balzano, il
secondo capo segnalatore Mario Pregliasco ed un altro sottufficiale, capo Di
Bella; li aiutò a gettare in mare i codici segreti ma, mentre stavano portando
a termine l’operazione, i cacciatorpediniere britannici aprirono il fuoco
un’altra volta, centrando al primo colpo il telemetro della centrale di tiro,
che prese fuoco. Soldati rimase ferito alla gola ed alla gamba sinistra; si
girò per guardare gli altri, frattanto scesi alla mitragliera binata di dritta,
e vide capo Pregliasco dire "Ragazzi stavolta mi hanno fregato alla
gola", dopo di che il sottufficiale crollò a terra, morto. Soldati andò
all’albero di poppa, ammainò la fiamma (la bandiera era già stata spazzata via
dalle cannonate), la arrotolò e se la mise in tasca, poi si buttò nuovamente in
acqua da poppa, mentre le navi britanniche continuavano il loro martellamento
del martoriato relitto della Perseo.
Da parecchie miglia
di distanza, assisterono alla fine di Perseo
e Campobasso la torpediniera Tifone e la motonave Belluno, in navigazione sulla stessa
rotta. Erano salpate da Trapani alle 19. Scrisse Alberto Ferrari, della Tifone, nel suo libro “L’ultima
torpediniera per Tunisi”: “Salpammo. Ci
precedeva di poche miglia il Perseo col Campobasso (…) Il Perseo proveniva da Pozzuoli, si era dovuto fermare a Pantelleria
per un guasto; ora lo avevamo davanti a noi di poche miglia. Procedevamo,
entrambi i convogli, cauti nella notte. I britannici col successo a portata di
mano si erano fatti più tracotanti, ormai incrociavano tutte le notti sulle
nostre rotte. Nubian, Paladin, Petard, CCTT di S. M. Britannica erano da tempo
salpati ad alta velocità da Malta. Ora erano quasi al traverso: ci fiutarono
col radar. Fu un gioco localizzare il Campobasso e il Perseo. (…) Impiegarono quasi un’ora a far scempio del Campobasso,
il quale, con spregiudicata abilità marinaresca, tentava disperatamente di
evitare le salve che si susseguivano micidiali. (…) Saverio Marotta, comandante del Perseo, medaglia d’oro alla memoria,
quanto intuì le ombre minacciose dei CCTT, capì subito tutto! Contro il radar
non servivano i fumogeni, e per di più i suoi erano scassati: un pensiero in
meno! Marotta improvvisò tutte le manovre possibili per salvare il piroscafo,
tenendo a bada gli avversari con tutte le armi di bordo. Spiegò tutto il suo
repertorio personale di manovre ardite e temerarie: controbatté il fuoco
avversario e si scagliò all’attacco col siluro, incurante delle mitragliere
nemiche che falciavano, unite al coro dei medi calibri di cui erano dotati i
CCTT. I colpi, dopo la fine del Campobasso, si concentrarono sulla
torpediniera, mirando alla plancia. (…) Marotta,
in pieno collasso per la mutilazione che lo stava dissanguando, accostò,
utilizzando l’ultima riserva di vapore, per mettere in posizione di lancio e
ordinò di scagliare tutti i siluri. Guidati dal sottotenente di vascello
Balzano, i superstiti lanciarono, continuando a sparare, come indemoniati. Il
pezzo di poppa si sfracellò. Il Perseo era ormai sbandato e in fiamme, ma sparò
ancora al CT, che aveva osato avvicinarsi per finirlo. Intimidito o affascinato
da quella bolgia dantesca, il nemico accostò per raggiungere gli altri, senza
colpire. (…) Quella notte fu, per
noi, un incubo. Vedevamo i lampi, udivamo i tuoni e le esplosioni, ma non
potevamo intervenire, gettarci nella mischia, come avremmo voluto fare. Quella
maledetta benzina che avevamo nei depositi ci avrebbe condotto verso un inutile
suicidio. Il Belluno era troppo importante per privarlo della scorta, almeno
lui doveva arrivare! Attendemmo gli eventi, per giocare l’ultima carta. Il
nostro comandante riuscì, con oculate manovre, a forzare il blocco dei CCTT che
ci stavano cercando (…)”.
Ridotti Perseo e Campobasso a relitti galleggianti, intanto, i cacciatorpediniere
britannici avevano setacciato le acque verso la costa, distante circa otto
miglia, per cercare eventuali altre navi italiane o tedesche. Non avendo
trovato nulla il Nubian, insieme a Petard e Paladin, tornò verso la zona in cui ancora galleggiava l’ormai
deserta Perseo; i cacciatorpediniere
britannici aprirono il fuoco di nuovo, colpendola ancora. Dal momento che la
torpediniera non mostrava segno di resa ma non sembrava nemmeno intenzionata ad
affondare rapidamente, il comandante britannico distaccò il Paladin per finirla, mentre Nubian e Petard si dirigevano verso il Campobasso
– distante diverse miglia ed in fiamme da prora a poppa – con analogo scopo.
Poco dopo, la Perseo fu scossa da un’esplosione e
s’inabissò di poppa sette miglia e mezzo ad est di Kelibia, a sud di Capo Bon,
in Tunisia (il personale della stazione di segnalazione di Capo Bon osservò,
quella notte, tiro d’artiglieria ed esplosioni a sudest del Capo). Era circa
l’una di notte del 4 maggio.
L’Ufficio Storico
della Marina Militare attribuisce l’esplosione finale ad un siluro, o ad un
colpo di cannone che avrebbe colpito un deposito munizioni.
Il guardiamarina
Giorgio Soldati assisté a tutta la scena: dopo essersi gettato in mare, nuotò
portandosi sul lato sinistro della Perseo
e si allontanò di circa trecento metri. Da lì, solo, “assisto (…) in una notte
illuminata solo dagli scoppi delle granate e con un mare che va sempre più
gonfiandosi, alla fine della mia nave che per oltre due anni è stata la mia
casa e con la quale ho condiviso rischi, fatiche e qualche vittoria”. In
passato si scherzava, a bordo, sul fatto che la Perseo fosse “corazzata” dallo strato formato dalle tante mani di
vernice stese dai nocchieri – ci fu anche chi ebbe la forza di scherzare su
questo anche in quelle circostanze: molti anni dopo il marinaio Carmelo
Zippitelli avrebbe ricordato che alcuni naufraghi a bordo delle zattere,
guardando la nave che, immobilizzata e crivellata di colpi, continuava
ostinatamente a galleggiare, dissero che la “corazzatura” data dai tanti strati
sovrapposti di vernice accumulatisi nel tempo sembrava funzionare bene – ma
adesso la malridotta torpediniera mostrava davvero l’ostinazione di una
corazzata nel non voler affondare, pur essendo in fiamme da prora a poppa,
sempre sbandata sulla dritta, scossa dagli scoppi delle riservette. “Il tiro degli inglesi (…) è perfetto. Certo che sparano ad un
bersaglio immobile, ma le salve sono tutte perfettamente cursorate e solo
qualcuna è sfasata di alzo (…) Il
fuoco degli inglesi dura dai 40 ai 50 minuti, e non capisco perché non
l'abbiano affondato con una coppiola di siluri. Forse gli sarebbe costato meno”.
Le onde d’urto provocate dai colpi che cadevano in acqua, nonostante la
distanza, lo investivano, provocandogli dolori al ventre. Secondo Soldati, la Perseo esplose dopo essere stata colpita
da due bombe sganciate da un aereo a bassissima quota, che sarebbero andate a
segno in corrispondenza del pezzo numero 2 da 100 mm e della sala macchine
poppiera; ma fu probabilmente una impressione errata, perché da nessuna parte
risulta che aerei abbiano sganciato bombe sulla Perseo in questa occasione. “Finalmente
è la fine! La Santa Barbara è colpita ed una terribile esplosione sconvolge il
mare; il Perseo si impenna come un destriero colpito a morte, si rovescia sulla
dritta a chiglia in aria e lentamente di poppa scompare in mare. Un nodo di
pianto mi serra la gola”.
Mezz’ora più tardi,
prima che Nubian e Petard potessero raggiungerlo (distavano
in quel momento tre o quattro miglia), saltò in aria anche il Campobasso, ormai abbandonato dagli
uomini che non erano già rimasti uccisi nel combattimento. Il piroscafo colò a
picco 22 miglia a sudest di Capo Bon. Giorgio Soldati, in acqua, sentì l’onda
d’urto dell’esplosione nonostante la distanza che lo separava dal piroscafo: “Ho la sensazione che mi si squarcino gli
intestini”. Rottami del Campobasso,
lanciati dall’esplosione a miglia di distanza, caddero in acqua poco lontano da
lui.
Prima di andarsene, i
cacciatorpediniere britannici recuperarono una decina di naufraghi del Campobasso (altri 16 uomini di questa
nave riuscirono a raggiungere Pantelleria su di una scialuppa danneggiata), ma
nessuno della Perseo. Il 5 maggio
“ULTRA” avrebbe concluso la sua opera annunciando: «Risulta che il Campobasso e la sua scorta, la torpediniera Perseo, sono
stati affondati nelle prime ore del 4 da cacciatorpediniere britannici presso
Kelibia. La nave trasportava munizioni».
Restavano in mare
decine di naufraghi della Perseo,
alla deriva nella notte con nulla più che qualche zatterino. I feriti erano
stati sistemati sulle zattere, mentre gli uomini illesi – non essendoci posto a
sufficienza per tutti – rimasero in acqua, aggrappati alle corde tientibene; di
tanto in tanto un’onda rovesciava una zattera, e gli uomini illesi si facevano
in quattro per salvare i feriti e rimetterli sulle zattere, ma ogni volta
qualcuno spariva. Molti si rassegnarono ben presto alla morte.
Il guardiamarina
Giorgio Soldati, dopo l’affondamento della torpediniera, rimase un poco ad
osservare il punto in cui era scomparsa; poi si mise a nuotare, cercando una
zattera od almeno un altro naufrago. Dopo circa un quarto d’ora che stava
nuotando, mentre sentiva che le forze iniziavano a lasciarlo, ci fu
l’esplosione del Campobasso; passata
anche quella riprese a nuotare. Indossava il giubbotto salvagente, ma doveva
nuotare per tenere la testa fuori dall’acqua, altrimenti le continue onde
l’avrebbero sommersa. Iniziava anche ad avere dei crampi. A un certo punto
sentì delle voci, e nuotò in quella direzione: poco dopo trovò il secondo capo
torpediniere Antonio Pinna, il sottocapo radiotelegrafista Giuliano Ceniccola,
il marinaio cannoniere Giuseppe D’Andrea ed il marinaio fuochista Giuseppe
Fersini, anch’essi stremati. Tentò di incoraggiarli, ma lui stesso faticava a restare
sveglio: ad un tratto perse i sensi, scivolò sott’acqua, si lasciò andare; fu
svegliato da una sorta di pizzicore, quasi una scossa elettrica, e si accorse
di essere finito in mezzo ad un banco di meduse enormi, con ombrelli grandi più
di un metro, forse anche due. Alcune delle loro ventose si erano attaccate alla
sua gola: ridestandolo con le loro sostanze urticanti, in un certo senso, lo
avevano salvato. Guardatosi intorno, Soldati vide che dei quattro uomini che
erano con lui era rimasto soltanto Pinna: Ceniccola, Fersini e D’Andrea avevano
ceduto al freddo e allo sfinimento, una fine che solo grazie alle meduse non
era stata anche la sua. Cercò con lo sguardo una zattera, ma niente appariva
nel buio della notte; non sapeva neanche che ora fosse, dato che l’orologio si
era fermato quando si era gettato in mare. Ipotizzò, a occhio, che potessero
essere le tre e mezza o le quattro del mattino. Poi, finalmente, vide una luce
fioca e tremolante dinanzi a sé: distava alcune centinaia di metri. Avvisò Pinna,
e insieme nuotarono verso la luce. Giunti sul posto, trovò un altro gruppo di
naufraghi aggrappati ad un salvagente a ciambella: tra di essi vi erano due
ufficiali della Perseo, Todisco e
Balzano, e poi capo Di Bella, l’ufficiale tedesco Gerich, i marinai Tarantino,
Massa ed Itri.
Pinna e Soldati
afferrarono anch’essi il salvagente con una mano: i naufraghi si raccontarono
le rispettive vicissitudini, poi non rimase altro da fare che aspettare i
soccorsi. Le forze venivano meno, e con esse la voglia di parlare; tornarono i
crampi. Soldati bevette un po’ di anice dalla borraccia in dotazione al
salvagente, e ne condivise un po’ con Balzano, che aveva finito la sua. Lo
stato del mare intanto peggiorava, raggiungeva forza 5; Pinna e Todisco,
esaurite le forze, scomparvero tra le onde. Soldati stava per cedere di nuovo
alla sonnolenza, quando vide di nuovo il banco di meduse di prima: questa volta
andò loro incontro di proposito, facendosi pungere al preciso scopo di restare
sveglio. Passò un’altra mezz’ora, i naufraghi rimasti finirono in una chiazza
di nafta; il carburante bruciava gli occhi, parecchi naufraghi finirono con
l’inghiottirne un po’. Tentarono di allontanarsi dalla chiazza, mentre
albeggiava: i primi raggi del sole illuminarono una zattera Carley, e tutti si
buttarono a nuotare verso di essa. Riuscirono quasi tutti a salire; Soldati,
che era particolarmente esausto, arrivò quando non c’era più posto, e dovette
pertanto restare in acqua, aggrappato alle cime salvavita. Balzano lo aiutava a
non mollare la presa, il mare mosso lo strattonava di continuo. I naufraghi si
restrinsero un po’ di più, ed anche Soldati poté salire sulla zattera. Il fondo
del galleggiante era giallo e rosso, verniciato da poco.
Verso le sei del
mattino, gli occupanti della zattera avvistarono il faro di Capo Bon; avendo
due remi, iniziarono a remare verso di esso, dandosi il cambio di tanto in
tanto quando il rematore diventava troppo stanco. Lo stato del mare continuava
a peggiorare; c’era anche un vento freddo che asciugava i naufraghi dalla
cintola in su, soltanto perché le onde li ribagnassero poi puntualmente. I
superstiti erano intirizziti; nonostante i loro sforzi per tenere la zattera in
equilibrio, di tanto in tanto un’onda la rovesciava. Puntualmente la
raddrizzavano, ma ogni volta qualcuno non ce la faceva: dei diciotto uomini che
originariamente occupavano la zattera, dopo ripetuti rovesciamenti rimasero in
undici.
La salvezza per i
superstiti della Perseo si
materializzò nella forma di una nave ospedale, la Principessa Giovanna (al comando del capitano Cesare Gotelli,
militarizzato con il grado di capitano di fregata). Quest’ultima era salpata da
Trapani per Tunisi alle 18.40 del 3 maggio, per andare ad imbarcare uno degli
ultimi “carichi” di feriti e malati dal fronte tunisino; alle sei del mattino
del 4 maggio, quando era in vista di Ras Mustafà, incontrò i tre
cacciatorpediniere britannici affondatori di Perseo e Campobasso, i
quali provvidero ad informarla che non lontano c’erano in mare dei naufraghi da
soccorrere, comunicandone anche la posizione. La Principessa Giovanna si mise allora a cercarli, mentre si levava un
vento fresco da maestrale, che iniziava a muovere anche il mare.
Questo secondo il già
citato libro dell’U.S.M.M.; secondo qualche fonte britannica i
cacciatorpediniere non si sarebbero limitati ad avvisare la nave ospedale, ma
l’avrebbero anche condotta sul posto, notizia che sembrerebbe essere confermata
dal ricordo del guardiamarina Soldati, che nel suo racconto degli eventi del
3-7 maggio 1943 scrisse che verso le nove del mattino del 4 lui e gli altri
occupanti della zattera avvistarono delle navi che riconobbero come
britanniche, le stesse che avevano affondato la Perseo. Queste unità si allontanarono ad elevata velocità verso
nord, ma fecero ritorno dopo poco tempo, seguite dalla Principessa Giovanna. I cacciatorpediniere passarono a poca
distanza dalla zattera su cui era Soldati, rendendo gli onori, ma gli occupanti
del piccolo galleggiante si misero a remare verso la costa, temendo di venire
presi prigionieri. Il mare mosso, sempre in peggioramento, li spingeva però
verso il largo; comunque, dopo poco tempo i cacciatorpediniere se ne andarono,
lasciando sul posto la Principessa
Giovanna intenta nella sua opera umanitaria.
Nelle ore successive
la nave ospedale avvistò e recupero i 67 sopravvissuti della Perseo, nonché altri quattro naufraghi
del Campobasso (secondo il
sottotenente G.N. Vinicio Gerin, la Principessa
Giovanna recuperò per primi i superstiti del piroscafo, essendo il gruppo
ad essa più vicino quando arrivò sul posto, e poi quelli della Perseo, che distavano dai primi alcune
miglia). I naufraghi sulla zattera di Soldati e Balzano misero la “prua” verso
la Principessa Giovanna, che distava
un paio di miglia, e presero a remare nella sua direzione; dopo qualche ora,
però, la nave ospedale rimise in moto, ed iniziò ad allontanarsi, per la
disperazione degli occupanti del Carley. Dopo un po’, però, la nave cambiò
rotta e tornò indietro: era stato il nostromo della Perseo a pretendere che il comandante della Principessa Giovanna tornasse indietro, dichiarandosi certo della
presenza in mare di altri naufraghi. (Tutto ciò secondo il ricordo di Giovanni
Soldati, mentre non si fa menzione di questo nel citato libro U.S.M.M.).
Fu calata una motobarca,
che raggiunse le rimanenti zattere prelevandone i superstiti; alla fine anche
gli undici uomini sulla zattera di Soldati e Balzano vennero recuperati,
portati sottobordo alla nave ospedale, issati a bordo con una rete e poi
condotti nei locali adibiti ad ospedale, dove medici, infermieri e crocerossine
si prodigarono di cure. Soldati fu poi portato in una cabina con poche cuccette
e vi trovò altri naufraghi della Perseo,
salvati sei ore prima (erano stati i primi), che gli dissero che altri 130 uomini
dell’equipaggio erano morti. Balzano e Soldati si rivolsero anche al comandante
della nave ospedale, protestando per il fatto che prima questa se ne fosse
quasi andata senza recuperarli; questi rispose di aver temuto di finire nei
campi minati.
Alle 12.30, non
essendo più visibili altri naufraghi, la Principessa
Giovanna riprese il suo viaggio verso Tunisi, piazzaforte dai giorni
contati. Dopo essere stata fermata ed ispezionata da dei cacciatorpediniere
britannici (forse sempre gli stessi che avevano affondato Perseo e Campobasso), che
verificarono il rispetto delle norme internazionali, la nave raggiunse il porto
tunisino la sera stessa, alle 22.45; il resto della sera e la notte vennero
impiegati per imbarcare 788 malati, che andarono ad aggiungersi ai 71 naufraghi
i quali, ovviamente, rimasero a bordo. Secondo Giovanni Soldati, venne anche
imbarcato un folto gruppo di civili italiani, perlopiù donne e bambini.
La Principessa Giovanna lasciò per sempre
Tunisi alle 13.30 del 5 maggio: due giorni dopo, quella città sarebbe
capitolata alle truppe Alleate.
La correttezza
mostrata dai cacciatorpediniere britannici, che si erano premurati di informare
la Principessa Giovanna della
presenza in mare dei naufraghi di Perseo
e Campobasso e forse anche di condurla
sul posto, non albergava purtroppo in qualche pilota loro connazionale (o forse
statunitense o sudafricano: l’esatta identità dei velivoli protagonisti di
questo episodio non sembra essere precisata da alcuna fonte, o quelle che lo
fanno sono discordanti tra di loro). Alle 14.40, in pieno giorno e dunque in
condizioni in cui sarebbe stato impossibile non distinguere la colorazione
della nave ospedale e le insegne della Croce Rossa, la Principessa Giovanna fu attaccata e mitragliata da
cacciabombardieri angloamericani nei pressi di Zembra, a circa quattro miglia
dalla costa tunisina: i danni furono pochi, ma un membro dell’equipaggio rimase
ucciso ed altri rimasero feriti. Il comandante Gotelli fece trasmettere il
seguente messaggio, breve quanto drammatico: "Nave Ospedale Principessa Giovanna con 800 feriti a bordo uscita golfo
Tunisi prossimità isola Zembra attaccata da aerei nemici bombardata e
mitragliata ripetutamente. Danni e feriti a bordo. Proseguiamo navigazione
propri mezzi".
Molto peggio accadde
qualche ora dopo, alle 18.30 – ancora una volta in condizioni di luce che non
avrebbero dovuto permettere equivoci sulla natura del bersaglio –, quando la Principessa Giovanna venne addirittura
bombardata (sempre da dei cacciabombardieri) oltre che nuovamente mitragliata,
per giunta mentre intenta in un’opera di soccorso: si era fermata, infatti, per
soccorrere un aereo della Croce Rossa, ammarato con due morti e tre feriti tra
il suo equipaggio. Alcune bombe colpirono la nave ospedale, perforando diversi
ponti ed esplodendo all’interno provocando danni gravissimi, uccidendo o
ferendo decine di uomini e scatenando un violento incendio nella stiva
poppiera. Morirono così parecchi soldati infermi provenienti dal fronte
tunisino, che ormai si credevano al sicuro, ed anche qualche naufrago della Perseo, che tanto aveva penato per
portare in salvo la pelle nel combattimento notturno e nelle lunghe ore
trascorse in acqua. Tutto per niente. Il risultato di quello che costituì un
palese crimine di guerra fu il seguente: 54 morti e 52 feriti, tra degenti ed
equipaggio della Principessa Giovanna.
In termini di perdite umane, rimane il più grave attacco mai subito da una nave
ospedale italiana.
Al momento
dell’attacco, il guardiamarina Soldati si trovava su una sdraio all’aperto,
dove l’avevano sistemato Balzano ed il sottocapo cannoniere Adolfo Zolezzi,
venuti a prenderlo in cabina perché potesse prendere un po’ d’aria. Quando
avevano visto apparire i caccia, che Soldati identificò come Curtiss P-40, i
tre uomini della Perseo avevano
commentato proprio sul fatto che ormai si trovavano al sicuro, tutelati dalla
Croce Rossa, quando improvvisamente i caccia scesero in picchiata sulla nave
ospedale, mitragliando e sganciando bombe in più passaggi. Una delle bombe
demolì una motrice ed una caldaia, l’altra lesionò gravemente i depositi
d’acqua dolce; persero la vita parecchi civili, tra cui diversi bambini, ed
anche alcuni uomini della Perseo, tra
cui l’aiuto cuoco Udovicich, che fu falciato da una raffica di mitragliatrice mentre
tentava di aiutare i civili e domare l’incendio scoppiato a poppa. La nave
sbandò sulla sinistra, rallentando, mentre a bordo saltava la corrente e
dilagava il caos.
I superstiti della Perseo, dopo le tante prove affrontate
nelle precedenti quarantott’ore, furono chiamati ancora una volta a dare una
mano: essendo molti marittimi della Principessa
Giovanna morti o feriti, ed i restanti disorientati davanti a una
situazione che, non essendo mai stati bombardati prima, non erano abituati ad
affrontare, una decina di fuochisti della Perseo,
rispondendo ad un invito loro rivolto dal sottotenente di vascello Balzano, aiutarono
a rimettere in moto le macchine ed a tamponare la falla aperta dalle bombe.
Muovendosi, gli uomini della Perseo
dovevano fare particolarmente attenzione a dove mettevano i piedi: erano tutti
scalzi, infatti, ed i ponti colpiti erano disseminati di vetri rotti.
L’incendio poté
essere arginato, ma non estinto fino a quando non si giunse in porto. Scrisse
ancora Giorgio Soldati, nel suo racconto degli eventi, che lui e Balzano erano
tornati nelle cabine quando si presentò loro il comandante in seconda della Principessa Giovanna, chiedendo la loro
collaborazione; i due ufficiali della Perseo
salirono in plancia – non prima di essersi fatti dare degli zoccoli e dei
cappotti – e qui il comandante Gotelli spiegò loro che lui conosceva la
posizione dei campi minati soltanto sulla rotta per Napoli, loro originaria
destinazione; ma con la nave così conciata avrebbe dovuto puntare su Trapani,
dunque chiese a Balzano e Soldati se potessero condurre la nave in salvo in
quel porto. Soldati, andando a memoria (aveva buona memoria fotografica e
conosceva bene la "carta Mirafiori" che indicava i campi minati),
tracciò una rotta di sicurezza sulla carta nautica; la discusse con Balzano e
poi la Principessa Giovanna iniziò a
seguirla. I due ufficiali della Perseo
si alternarono in plancia a turni di quattro ore, senza neanche concedersi una
sosta per i pasti, fino all’arrivo in porto. (Secondo una fonte lo stesso
comandante della Principessa Giovanna
era rimasto ucciso e Balzano assunse il comando della nave ospedale, ma si
tratta evidentemente di un errore).
Quel viaggio da
incubo terminò alle 15.30 del 6 maggio, quando finalmente la Principessa Giovanna giunse a Trapani e
poté sbarcare il suo dolente carico. Morti, feriti e degenti vennero
trasbordati su dei rimorchiatori, che li sbarcarono sul molo. Tutti i naufraghi
erano stati rivestiti, ad eccezione di Balzano e Soldati i quali, presi dal
loro importante compito in plancia, indossavano ancora il pigiama bianco,
sporco di nafta. Non appena furono a terra, i due ufficiali della Perseo si recarono a piedi al locale
Comando Marina: lì nessuno sapeva del loro arrivo, e soltanto alle dieci di
quella sera poterono avere qualcosa da mangiare, dopo che Balzano ebbe quasi
litigato con l’ufficiale di guardia. Non c’era nemmeno posto per dormire, così,
dopo quattro giorni passati in mare tra combattimenti, naufragi e attacchi
aerei, i superstiti illesi della Perseo
(quelli feriti, ovviamente, erano stati portati in ospedale) dovettero
arrangiarsi a dormire sulle panche e sui tavoli della mensa, “riposo”
intervallato anche da qualche allarme aereo.
Oltre ai 67 uomini
recuperati dalla Principessa Giovanna,
dei quali non tutti, come si è detto, arrivarono vivi in Sicilia per merito di
qualche valoroso pilota “dal grilletto facile”, un’altra ventina di naufraghi
della torpediniera riuscirono a salvarsi in altro modo, con mezzi di fortuna.
In totale, di 216 uomini imbarcati sulla Perseo
nella sua ultima missione (compreso il personale di passaggio diretto in
Tunisia) i superstiti furono 83: in 133 avevano perso la vita, uccisi in
combattimento, scomparsi in mare o morti sulla Principessa Giovanna bombardata.
Tra le tante vittime
vi erano anche due marinai originari proprio della provincia il cui nome era
stato dato alla nave difendendo la quale la Perseo
era stata affondata: Campobasso. Uno di essi era il giovane marinaio Rino
Santopuoli, appena diciottenne, da Riccia: quando il padre Peppino seppe della
morte del figlio fu stroncato da un infarto, lasciando una moglie e sei figli
pressoché privi di mezzi di sostentamento. Qualche anno dopo la famiglia finì
col trasferirsi a Rivarolo, nel Canavese; nel 2018 i resti di Peppino Santopuoli
sono stati trasferiti anch’essi a Rivarolo, per “riunirsi” a quelli della
moglie e dei figli, che dopo la morte erano stati sepolti nel loro nuovo paese.
Sulla sua lapide è stata simbolicamente posta anche una foto di Rinuccio, il
cui corpo non era mai stato ritrovato; alla cerimonia ha presenziato anche una
delegazione di marinai in congedo.
Le vittime tra l’equipaggio della Perseo:
Vincenzo Agunzo, marinaio torpediniere,
disperso
Pasquale Amurri, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Apuzzo, marinaio, disperso
Aldo Ascari, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Baldassarri, marinaio cannoniere,
disperso
Armando Baldinelli, marinaio fuochista,
disperso
Bruno Barbieri, marinaio silurista, disperso
Carlo Barbieri, marinaio fuochista, disperso
Umberto Barone, marinaio fuochista, disperso
Augusto Baroni, marinaio fuochista, disperso
Gesualdo Barravecchia, marinaio fuochista,
disperso
Mario Bertolini, sergente meccanico, disperso
Vittorio Biagi, marinaio, disperso
Giovanni Bianchi, sottocapo fuochista,
disperso
Costantino Bianco, marinaio elettricista,
disperso
Giulio Binetti, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Boccone, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Bonollo, marinaio, disperso
Pietro Giulio Alberto Bordes, marinaio
fuochista, disperso
Luciano Borella, marinaio S.D.T., disperso
Orlando Calcagno, marinaio, disperso
Angelo Camporeale, marinaio fuochista,
disperso
Pietro Canciello, marinaio, disperso
Ciro Carleo, marinaio, deceduto
Antonio Casa, sottocapo cannoniere, disperso
Guerrino Casadei, sergente cannoniere,
disperso
Rolando Casini, marinaio cannoniere, disperso
Ilario Casu, sergente segnalatore, disperso
Giampiero Cecchi, marinaio nocchiere, disperso
Giuliano Ceniccola, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Giuseppe Cicero, sottocapo cannoniere,
disperso
Luciano Codelupi, sottocapo silurista,
disperso
Sesto Corradini, sottocapo meccanico, disperso
Lelio Corsinelli, marinaio fuochista, disperso
Italo Creazza, marinaio furiere, disperso
Vincenzo D’Addio, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giuseppe D’Andrea, marinaio cannoniere,
disperso
Santo D’Arrigo, marinaio, disperso
Tommaso D’Intino, marinaio cannoniere,
disperso
Sigfrido Danieli, capo meccanico di terza
classe, disperso
Gastone De Maria, marinaio cannoniere,
disperso
Biagio Della Ragione, marinaio, disperso
Giovanni Di Francia, marinaio, disperso
Salvatore Di Vincenzo, marinaio, disperso
Dino Drago, sottocapo meccanico, disperso
Antonio Esposito, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Eugenio Fasoletti, sottocapo cannoniere,
disperso
Giuseppe Felice, marinaio cannoniere, disperso
Levino Ferrara, tenente di vascello
(comandante in seconda), disperso
Giuseppe Fersini, marinaio fuochista, disperso
Carlo Fiore, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Gatto, marinaio, disperso
Liberato Gatto, sergente cannoniere, disperso
Pietro Giacalone, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Grasso, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Grisanti, sottocapo fuochista,
disperso
Domenico Grollino, marinaio nocchiere,
disperso
Francesco Ingrassia, marinaio cannoniere,
disperso
Tommaso Invernizzi, sottocapo cannoniere,
disperso
Umberto La Terza, sottocapo nocchiere,
disperso
Leonardo Latini, sottocapo cannoniere,
disperso
Salvatore Leone, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Liaci, marinaio cannoniere, disperso
Alfonso Liguori, marinaio cannoniere, disperso
Primo Luzzi, marinaio cannoniere, disperso
Carmine Manna, marinaio nocchiere, disperso
Saverio Marotta, capitano di corvetta
(comandante), disperso
Federico Massimino, marinaio, disperso
Mario Mauri, sottocapo torpediniere, disperso
Orfeo Menegali, sergente silurista, deceduto
Luigi Minieri, marinaio fuochista, disperso
Domenico Morabito, marinaio, disperso
Salvatore Motisi, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Benedetto Munzone, marinaio, disperso
Giuseppe Aurelio Musmeci, capitano del Genio
Navale (direttore di macchina), disperso
Pietrino Mazzetto, capo cannoniere di prima
classe, disperso
Salvatore Nori, sergente cannoniere, disperso
Gino Nutricato, marinaio cannoniere, disperso
Giusto Ottone, marinaio, disperso
Gualtiero Pallan, capo elettricista di terza
classe, disperso
Ettore Pauletto, capo meccanico di prima
classe, disperso
Giovanni Penna, sottocapo nocchiere, disperso
Nicola Pepe, marinaio nocchiere, disperso
Antonio Pinna, secondo capo torpediniere, disperso
Italo Pisoni, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Pontecorvo, marinaio fuochista,
disperso
Mario Pregliasco, secondo capo segnalatore,
deceduto
Duilio Raffin, sottocapo fuochista, disperso
Silvestro Reitano, marinaio fuochista,
disperso
Luigi Rigamondi, sottocapo elettricista,
disperso
Pellegrino Santopuoli, marinaio silurista,
disperso
Salvatore Scuotto, marinaio cannoniere,
disperso
Lucio Secoli, sottocapo elettricista, disperso
Rocco Sergi, marinaio fuochista, deceduto
Antonio Stridacchio, secondo capo
elettricista, disperso
Angelo Taraschi, marinaio segnalatore,
deceduto
Giuliano Tasca, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Tinè, sottocapo cannoniere, disperso
Gaetano Tiso, marinaio silurista, disperso
Gerolamo Todisco, guardiamarina, disperso
Cataldo Tridico, marinaio, disperso
Salvatore Troia, sergente silurista, disperso
Carmelo Vecchio, marinaio cannoniere, deceduto
Giovanni Veronese, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Francesco Vicari, marinaio, disperso
Enzo Vignozzi, marinaio elettricista, disperso
Sergio Vignozzi, sergente S.D.T., disperso
Michele Vilardi, secondo capo segnalatore,
disperso
Carlo Zanini, marinaio fuochista, disperso
Loris Zanotti, sergente cannoniere, disperso
Mario Zisi, marinaio torpediniere, disperso
[n.b. Rispetto alle 133 vittime riportate
dall’U.S.M.M. nell’affondamento della Perseo,
in questo elenco risultano mancanti 22 nomi. Probabilmente si tratta dei
marinai destinati a Marina Tunisi ed imbarcati sulla Perseo di passaggio per il solo viaggio del 4 maggio, i quali non
facevano parte dell’equipaggio della nave e non sono dunque registrati tra i
caduti della Perseo.]
Sopra, Bruno Barbieri e sotto, Pellegrino (Rinuccio) Santopuoli, 19 e 18 anni, due marinai della provincia di Campobasso che morirono nell’affondamento della Perseo. Originari della stessa zona (l’uno da Riccia, l’altro da Ripabottoni), a bordo della Perseo avevano fatto amicizia, tanto che durante una licenza si erano scambiati la valigia. Rinuccio Santopuoli era il marinaio più giovane a bordo della Perseo, considerato come una “mascotte” di bordo. (Si ringrazia Gennaro Ciccagliene, autore del libro "Nave Campobasso. Marinai molisani in guerra")
Secondo fonti
tunisine, il relitto della Perseo
giacerebbe ad una novantina di metri di profondità, in posizione 36°18’ N e
11°20’ E. Risulterebbe essere stato esplorato per la prima volta da dei
subacquei nel 2009.
L’ultima missione
della Perseo nel ricordo del
guardiamarina Giorgio Soldati, all’epoca neanche diciannovenne (da www.icsm.it):
“Dedico queste poche righe di ricordi a mio padre, che amai e stimai
come un grande galantuomo. La sua forza interiore e la sua bontà d'animo,fecero
si che lo considerai più un amico che un padre. Egli seppe indicarmi con le
parole e con l'esempio la via della rettitudine e della franchezza morale.
Egli era un di quegli uomini tutti di un
pezzo; quando abbracciava un ideale non era più possibile smuoverlo e per la
sua lealtà e per la dedizione alla famiglia ed al lavoro era amato e stimato da
tutti.
Quando venne a mancare fu come se intorno a me
fosse improvvisamente piombato il buio.
Ciao babbo, il tuo ricordo mi accompagna
sempre e sono sicuro che se tu potessi leggere queste righe, ricorderesti con
me quei terribili giorni che passasti in cabina radio con il Comandante Pedretti
a Pola, attendendo da Supermarina l'elenco dei quarantotto superstiti del
"PERSEO". Nell'elenco io ero il quarantasettesimo e, mi raccontano
gli amici, che capirono che tutto era andato bene quando ti videro uscire dalla
cabina radio con il tuo immancabile toscano acceso ed il pizzo al vento, con il
tuo sguardo dolce e luminoso ed il tuo sorriso ironico che faceva capire a
tutti la tua grande felicità per aver avuto salvo un figlio che disperavi di
poter riabbracciare.
3 MAGGIO 1943.
Da tre giorni eravamo alla fonda nella rada di
Pantelleria con il piroscafo Campobasso, in attesa dell'ordine di partenza per
Tunisi.
Ordini e contrordini si susseguivano
rapidamente in plancia comando attraverso le comunicazioni con il semaforo.
Verso le ore 14 Supermarina comanda la nostra
partenza per Tunisi dandoci l'ordine di operazione per radio e richiedendoci il
ricevuto. Una cosa assurda perché come noi avevamo i codici inglesi,cosi loro
avevano i nostri. Stranamente, date le poche miglia da percorrere, l'ordine era
particolareggiatissimo su rotte da seguire ed orari di partenza e di varianti
di rotta con indicazioni della velocità da tenere tratto per tratto.
In sala nautica ci guardiamo in faccia
comprendendo che quel messaggio voleva dire la nostra fine, ma tutti d'accordo,
cercando di salvare il salvabile, mandiamo una R.T. , con il Sig. Todisco a
dare il ricevuto della stazione radio di terra.
La missione è difficile e pericolosa in quanto
Tunisi sta per cadere in mano agli alleati e noi stiamo scortando un piroscafo
di 10.000 T. carico di munizioni e con a bordo 70 marinai di leva per il
comando marina di Tunisi; altri 50 li trasportiamo noi dopo averli sistemati
nel castello di prora.
Dovrebbero essere gli ultimi rifornimenti per
le nostre truppe ed io mi chiedo il perchè, dopo averci fatto spostare
segretamente da Napoli a Pozzuoli e partire in tutta fretta, lasciando anche
alcuni franchi a terra e raggiungere il Campobasso fuori dal golfo di Napoli,
Supermarina ci abbia poi fermato per oltre tre giorni in rada a Pantelleria,
riuscendo anche a farci rilevare dalla ricognizione aerea nemica e darci
l'ordine di muovere via radio.
Chi è al corrente della situazione, e
fortunatamente siamo in pochi, è vivamente preoccupato. Mi trovo a discutere in
sala nautica con il secondo Marangolo [sottotenente
di vascello Domenico Marangolo; probabilmente un lapsus di Soldati, perché
all’epoca dell’ultima missione Marangolo non era più comandante in seconda
della Perseo, essendo stato
sostituito dal tenente di vascello Levino Ferrara, che morì sulla Perseo] e Balzano ed anche loro condividono le mie apprensioni sullo strano
comportamento di Supermarina e su quello a cui possiamo andare in contro,
avendo gli inglesi la famosa "FORZA K" dislocata a Malta e munita di
radar.
Mentre discutiamo arriva il Comandante
Marotta, con il volto teso e molto nervoso. Gli esterniamo i nostri pensieri
che anche lui condivide; ci raccomanda di non farne menzione con nessuno
dell'equipaggio per non accentuare lo stato di nervosismo, ma radio prora, con
i suoi aerofoni ha già captato qualcosa e diversi uomini come Zolezzi, Pinna,
Fiore, Noris ed altri vengono a chiedermi conferma, ma le mie assicurazioni che
tutto va bene, vengono raccolte da sguardi indicatori che pare vogliano dire
che tu sai, ma non puoi parlare.
Da questo istante entro in scrittura
cronologica, così come mi ricordo di averla scritta sul brogliaccio di
navigazione.
ore 16.00 - Rifornimento acqua, accostandoci
verso il porticciolo di Pantelleria. -
ore 18.00 - distribuzione dell'anice da
mettere nei contenitori cilindrici dei nostri salvagenti, con la
raccomandazione di allungarla con molta acqua. -
ore 19.00 - Salpiamo ed usciamo dalla rada di
Pantelleria. Assumiamo scorta prodiera al piroscafo Campobasso e seguendo le
rotte di Supermarina, dirigiamo per Tunisi - velocità 8 nodi.
ore 19.30 - Rileviamo con l'ecogoniometro vari
echi sospetti sulla dritta ed accostiamo leggermente sulla sinistra. -
ore 21.20 - Viene battuto il posto di
combattimento, anche se lo siamo dalla partenza. Ombre sospette e non ben
identificate sulla dritta.
ore 21.40 - Cessa allarme. - La navigazione
procede regolarmente a 8 nodi. Non possiamo zigzagare per via dei numerosi
campi minati. E' mantenuto l'assoluto silenzio alle ultracorte con il Campobasso.
E' pronta la trappola azzurrata per eventuali emergenze.
ore 23.20 - Posto di combattimento. Luci ed
ombre sospette sulla dritta di prora (circa ore 2). -
ore 23.25 - Cessa allarme. - Il Metox
germanico rileva aereo nemico in zona che ci ha radio localizzato.
ore 23.32 - Comunichiamo per principale ed in
chiaro a Supermarina " Sono stato radio localizzato ". Ricevuto da
Supermarina su onda X che però non da istruzioni.
ore 23.33 - Al Campobasso, comandato dal
Capitano di lungo corso Loi di Trieste, comunichiamo per ultra corte:
"Aumentate al massimo la velocità - Siamo stati radio localizzati " -
Risposta "La velocità massima che riusciremo a tenere, ma non sappiamo per
quanto, è di 10 nodi. -
ore 23.35 - Bengala ore 10 - Unità nemiche
imprecisate aprono il fuoco contro di noi "AVANTI MASSIMA"-
A Supermarina messaggio di scoperta: "4
unità tipo imprecisato". Il nemico ha aperto il fuoco. Latitudine X
Longitudine Y........
ore 23.37 - I cacciatorpediniere inglesi
(forza K di Malta come nelle mie previsioni) in numero di 4, dirigono le loro
salve sul Campobasso, che centrato in pieno, s'incendia. Memori dello scontro
navale del 15 Gennaio 1943, invertiamo la rotta e ci portiamo a tutta forza
all'attacco ben consci di quello che ci potrà accadere.
ore 23.42 - Pronti al lancio. Siamo a meno di
700 metri da caccia inglesi. Fuori 1 fuori 2 - Accostiamo a destra - Lancio di
contro bordo beta di 40°.
ore 23.44 - Pronti al lancio - Attenti - Fuori
3 e fuori 4 - Rotta 310° - Beta 20 - I siluri sono evitati, con rapida
accostata, dai supercaccia, che data la notevole illuminazione prodotta dai
bengala, possiamo individuarne le scie. Esauriti i siluri, dirigiamo alla
massima verso Capo Bon.
ore 23.48 - Il Campobasso esplode
violentemente per la prima volta. La fiammata provocata dalla sua esplosione
rivela la nostra posizione agli inglesi. Immediatamente un ricognitore ci è
sopra e lancia un bengala. Subito dopo una salva di proiettili illuminanti ci
illumina in pieno.
ore 23.52 - Il fuoco nemico è concentrato
tutto su di noi.
Durante una accostata facciamo avaria al
timone.
ore 23.53. - Non facciamo in tempo a
traferirci al timone di riserva, in prossimità della piazzola del pezzo n° 2,
che siamo colpiti in caldaia n°1 e subito dopo a prora, dove fra grida disumane
periscono i 50 ragazzi destinati al Comando Marina di Tunisi ed al loro primo
contatto col fuoco. Immediatamente dopo un'altra salva ci colpisce sotto la
plancia, in stazione radio, ma verso la segreteria al dettaglio, buttando per
aria anche noi che eravamo in plancia. Il vapore surriscaldato esce dalla
caldaia colpita e posso immaginare la terribile fine quei ragazzi. La pressione
diminuisce in macchina, con la quale siamo in continuo contatto, ma purtroppo
ci dobbiamo fermare e rimanere in balia del nemico, che continua a sparare con
tutti i suoi complessi binati da 152 mm e le sue mitragliere di tutti calibri
contro di noi. Cerchiamo di dare comunicazione a Supermarina, che però non
riceve in quanto le antenne radio sono andate distrutte. Rispondiamo al fuoco
nemico con tutti i nostri pezzi e con le mitragliere.
In particolare la mitragliera quadrinata di
centro tuga, al comando del sottocapo puntatore fiore di Roma, che è rimasto
senza serventi, è una furia scatenata. Carica, spara, bestemmia; fa tutto da
solo e sarà l'ultimo a mollare.
Intanto la nostra unità è fortemente sbandata
sulla dritta.
ore 23.55 - Si salvi chi può, grida il
Comandante Marotta, e la quasi totalità dell'equipaggio si butta a mare.
ore 23.57 - Mentre con Balzano e Todisco
cerchiamo di buttare i segreti e la carta Mirafiori in mare, una bordata ci
colpisce in plancia. Il Comandante Marotta ha il braccio sinistro asportato
dall'esplosione tra gomito e spalla. Con un laccio di emergenza cerco di
rallentare l'emorragia.
Altre persone me compreso sono ferite.
All'improvviso, attraverso la porta scardinata della sala nautica che da
sull'aletta di destra, vedo un forte bagliore rosso. E' il centralino
telefonico che è andato in corto e pregiudica la nostra posizione dato che gli
illuminanti si sono spenti. Abbranco lo sgabello da carteggio e con quattro
botte, ben assestate, spengo tutto.
Con Balzano, visto che non abbiamo più niente
da fare, scendiamo sul castello, vicino all'antiradio. Alle 23.58 il nemico
riapre il fuoco, da meno di 300 metri, con pezzi e mitragliere. Mi butto a mare
dall'osterigio delle cucine. Appena in acqua, la corrente mi fa scadere verso
poppa. Il nemico cessa il fuoco e la nostra unità è fortemente sbandata a
dritta, ma galleggia ancora.
L'acqua, con mare forza 4, è molto fredda ed irrigidisce
i muscoli delle gambe rendendo difficili i movimenti.
Vedo la nostra jole e mi avvicino, a circa 50
metri da poppa.
Il contabile di macchina mi aiuta a salire a
bordo dove trovo anche il Comandante che, malgrado la grave mutilazione, mi
ringrazia ed invita, a coloro che pensano di farcela di ritornare a bordo per
cercare di fare qualche cosa e soprattutto di non fare cadere il relitto in
mano al nemico.
Mentre cerchiamo di avvicinarci all'unità,
fortemente sbandata a dritta, prendiamo un paio di colpi di mare al traverso,
imbarcando acqua e rovesciandoci un attimo dopo.
Mi avvicino al Comandante Marotta che mi dice
di poter nuotare fino sottobordo, cerco di sostenerlo ma non ci riesco. Sento
un gorgogliare e pio più nulla. Il Comandante è caduto in mare, come è
tradizione della REGIA MARINA MILITARE. Pace a lui, chiedendoci come le onde
azzurre possano cullare e consolare i morti.
Mentre mi dirigo a forti bracciate verso la
poppa del Perseo per vincere il freddo, vedo pure annegare il secondo capo
segnalatore Velardi, che senza salvagente e con il cappottone da navigazione
che gli impedisce i movimenti, non riesce a rimanere a galla. Mi diranno poi
che non sapeva nuotare e mi chiedo come mai non avesse il giubbotto salvagente.
Arrivato vicino all'unità, vedo una cima a
penzoloni e riesco ad issarmi sul paraeliche di dritta e di lì in coperta.
Corro subito in plancia dove trovo il signor
Balzano, Capo Pregliasco e Capo di Bella. Aiuto loro a buttare i codici ed i
segreti in mare e mentre stiamo terminando il nemico riapre il fuoco e colpisce
subito il telemetro della centrale di tiro che si incendia. sono ferito alla
gola ed alla gamba sinistra.
Mi volto per vedere cosa fanno gli altri, che
nel frattempo erano scesi alla mitragliera binata di dritta, e sento Capo
Pregliasco che con il suo solito modo di fare scanzonato, dice: "ragazzi
stavolta mi hanno fregato alla gola"- con un gorgoglio provocato da un
flotto di sangue si abbatte riverso sulla mitragliera di dritta e di lì, rotola
sulla coperta del castello verso il pezzo uno.
Vista la situazione, considerato il pericolo
del continuo cannoneggiamento e mitragliamento, e l'inutilità di ogni tentativo
di salvare l'unità, ormai condannata, mi dirigo verso l'albero di poppa ed
ammaino la fiamma, in quanto la bandiera non esiste più. Arrotolo la fiamma, la
metto in tasca e mi rituffo in mare da poppa mentre gli inglesi continuano il
loro fuoco con lo scopo di centrare la Santa Barbara e di far saltare in aria
il Perseo.
Malgrado che noi dicessimo che il Perseo era
corazzato dalle continue mani di pittura date dai nocchieri, mi sto accorgendo
che tiene duro e non vuol mollare.
Arrivato in acqua, sulla sinistra dell'unità,
mi allontano di circa 300 metri ed assito da solo, in una notte illuminata solo
dagli scoppi delle granate e con un mare che va sempre più gonfiandosi, alla
fine della mia nave che per oltre due anni è stata la mia casa e con la quale
ho condiviso rischi, fatiche e qualche vittoria. Dalla posizione in cui mi
trovo riesco ad osservare perfettamente il tiro degli inglesi che è perfetto.
Certo che sparano ad un bersaglio immobile, ma le salve sono tutte
perfettamente cursorate e solo qualcuna è sfasata di alzo. Devo mantenermi a
galla in posizione orizzontale, perché se esplode qualche proiettile quando mi
trovo in posizione verticale, corro il rischio di farmi spezzare la schiena ed
ho la sensazione che il ventre mi si debba squartare.
Il fuoco degli inglesi dura dai 40 ai 50
minuti, e non capisco perché non l'abbiano affondato con una coppiola di
siluri. Forse gli sarebbe costato meno.
La mia unità è tutta incendiata, da prora a
poppa, ma però resiste e non affonda; è tutta sbandata sulla dritta ed
incominciano ad esplodere le riservette delle mitragliere e dei pezzi.
Alla fine un aereo a bassissima quota sgancia
due bombe che colpiscono l'unità al pezzo due ed alla macchina di poppa.
Finalmente è la fine! La Santa Barbara è
colpita ed una terribile esplosione sconvolge il mare; il Perseo si impenna
come un destriero colpito a morte, si rovescia sulla dritta a chiglia in aria e
lentamente di poppa scompare in mare.
Un nodo di pianto mi serra la gola. Rimango
per un po' in osservazione del punto in cui il Perseo si è inabissato, e poi mi
allontano in cerca di una zattera o di qualcuno, solitario come me, per farci
compagnia, perché l'essere soli, di notte, al buio, nell'immensità del mare
anche se ci si crede degli eroi, è una sensazione tutt'altro che piacevole,
perché nessuno di noi è un eroe, ma è solo il dominio della paura che lo fa
diventare uomo e perciò in grado di dominare freddamente tutte le sensazioni
comprese anche quelle meno gradevoli e più sconcertanti.
Andando per mare, in tempo di guerra si sapeva
che doveva finire cosi, ma un conto è il saperlo ed un altro è il provarlo ed
esserne coinvolti.
Dopo circa un quarto d'ora che nuoto, sento
che le forze cominciano ad abbandonarmi, ma stringo i denti e cerco di
resistere, resistere a tutti i costi.
Nel mentre il Campobasso esplode e salta in
aria e dei 101 uomini d'equipaggio e di complemento che aveva a bordo non se ne
saprà più niente.
Nessuno di loro si è salvato. Lo scoppio di
10.000 ton. di esplosivo è una cosa apocalittica. Ho la sensazione che mi si
squarcino gli intestini. anche se sono ad oltre mezzo miglio di distanza e ho
la sensazione che l'esplosione non debba più finire.
Ma come Dio vuole anche quello finisce e mi
sento cadere vicini oggetti che non riesco ad identificare, ma che a circa 10
metri da me sollevano notevoli spruzzi.
Passata l'emozione dell'esplosione, sento che
le forze stanno abbandonandomi; non riesco a trovare niente a cui aggrapparmi e
penso che ormai per me sia finita.
Ho il giubbotto salvagente, ma per poter
rimanere sempre con la testa fuori dall'acqua, devo muovere continuamente le
gambe, perché altrimenti le ondate mi sommergerebbero ed i crampi avrebbero la
meglio sui miei muscoli. Lo spirito di conservazione, innato in ognuno di noi,
è in me molto forte e mi aiuta a resistere.
Lasciare la pelle a 19 anni, non ancora
compiuti, sarebbe una mezza fregatura. Ad un tratto sento vociare e nuoto verso
il punto di provenienza delle voci. Giunto sul posto trovo Pinna, Ceniccola,
D'Andrea e Feisino che sono allo stremo delle forze. Cerco di rincuorarli e di
confortarli, ma non è che io stia meglio di loro. Sono colto da una forte
sonnolenza, provocata probabilmente dalle ore di tensione vissute prima durante
e dopo il naufragio.
Ad un certo punto, perdendo i sensi, mi
abbandono pensando che sarebbe stata la fine. Una fine abbastanza decente, in
mare, mezzo rimbambito e magari poi con una medaglia alla memoria. Ma
quest'ultima soluzione mi piaceva poco. Mentre ero già sommerso, mi sento come
pizzicare, toccare da sostanze urticanti, ed avere il corpo come attraversato
da scosse elettriche che mi ridanno un accenno di risveglio e mi fanno
riprendere i sensi.
Non riesco a capacitarmi di cosa mi sia
accaduto, ma guardando bene mi accorgo di essere andato a finire in un banco di
meduse con ombrelli notevolissimi; (da 1 a 2 metri) e capisco che con le loro
sostanze urticanti, attaccandosi con le ventose alla gola mi hanno salvato.
Porterò poi i segni di queste sostanze urticanti e delle ventose per diversi
anni.
Nel frattempo cerco con lo sguardo i miei
compagni che avevo incontrato e vedo solo Pinna. Gli altri non sono più, non
hanno resistito alla fatica ed al freddo e sono scomparsi. Mi guardo attorno
con al speranza di vedere qualche zattera, ma nel buio della notte non riesco a
vedere niente. Essendosi fermato l'orologio quando mi sono tuffato, faccio un
breve riferimento agli eventi trascorsi e ritengo che possano essere circa le
tre e mezzo, quattro del mattino del 4 Maggio.
Ad un tratto vedo una debole luce davanti a
me, distante qualche centinaio di metri, tremolante, ma pur sempre un segno di
vita che mi rincuora. Avverto Pinna e nuoto con lui in quella direzione. Colà
giunto vedo un gruppo di persone, aggrappate, si fa per dire ad un salvagente a
ciambella. Riconosco tra queste Balzano, Todisco, Di bella, Tarantino, Massa,
Itri, e l'ufficiale tedesco Gerich. Tanto Pinna che io, appoggiamo una mano
sulla ciambella e ci raccontiamo con gli altri quello che abbiamo passato e
rimaniamo in attesa di soccorsi dei quali sono molto dubbioso, perché
Supermarina non ha seguito le fasi del combattimento e può solo presumere che siamo
affondati, ma non ne ha la certezza. Forse all'alba manderà il solito
farfallone Cant Z 501 ad ispezionare la zona.
Il tempo trascorre lentamente, più nessuno ha
voglia di parlare. Le forze mi stanno abbandonando di nuovo ed ho i crampi alle
braccia ed alle gambe. Cerco di darmi un po' di forza con la borraccia
dell'anice che ho nel salvagente; Balzano che ha finito la sua mi si avvicina
per succhiarne un po'.
Nel frattempo Pinna e Todisco dopo aver
invocato con grida strazianti la mamma, scompaiono inghiottiti dalle onde che
valuto intorno a forza 5.
Mentre sto per abbandonarmi anch'io in preda
ad una sonnolenza invincibile, rivedo il banco delle meduse e mi avvicino a
loro come ad un'ancora di salvezza. Tra lo schifo della loro sostanza
gelatinosa ed i liquidi urticanti, mi risveglio e riprendo un po' di forze.
Dopo una mezz'ora circa andiamo a finire in un banco di nafta e ne ingoio un
po', mentre gli occhi incominciano a dolermi essendo anch'essi venuti a
contatto con la nafta. Cerchiamo di allontanarci da quella maledetta chiazza,
quando alle prime luci dell'alba, vediamo un carley e ci lanciamo tutti in
quella direzione.
Tutti riescono a salire, ma per me, più
sfinito degli altri non c'è più posto e devo rimanere fuori. appeso alle cime
salvavita in una posizione scomodissima. Balzano mi da una mano a rimanere
attaccato, perché con il mare così forte, gli strattoni che subiscono le mie
braccia sono notevoli. Finalmente, nella zattera, a forza di stringersi
riescono a farmi un po' di posto e posso salire anch'io a bordo di quella mezza
bagnarola, con il fondo in rete che è il carley appena pitturato in giallo e
rosso dai soliti nocchieri.
Passato qualche tempo, saranno circa le sei,
avvistiamo il faro di Capo Bon e con i soli due remi disponibili voghiamo in
quella direzione, dandoci il cambio quando non ne possiamo più.
Il mare è ancora aumentato e tira un vento
freddo che ci intirizzisce, perché ci asciuga la parte dei vestiti dalla
cintola in su, che poi vengono ribagnati dalle ondate. Sulla zattera siamo in
18 e dobbiamo continuamente lavorare di schiena per mantenere l'equilibrio, ma
purtroppo ogni tanto si rovescia, ed ogni volta che risaliamo dopo averla
raddrizzata, qualcuno manca all'appello; siamo sempre in meno e quando ci
salveranno saremo solo più 11.
Verso le ore 9 vediamo delle navi che
riconosciamo per inglesi; sono le unità della forza K che ci hanno affondato.
Le unità si allontanano a forte andatura verso Nord, per ritornare poco dopo
seguite da una nave ospedale. I caccia passano vicino alla nostra zattera, ci
rendono gli onori, ma noi nel timore che ci vogliano farci prigionieri,
voghiamo con tutta la forza dataci dalla disperazione verso il litorale, ma il
mare che è in continuo aumento, ci è contrario e ci scarroccia spingendoci verso
il largo.
Vedendo i caccia allontanarsi cessiamo di
vogare verso la terra e mettiamo la prora sulla nave ospedale che ha già
iniziato il recupero dei primi naufraghi ed è ad una distanza che stimo in un
paio di miglia da noi.
Dopo qualche ora di attesa, perché il ricupero
dei naufraghi è molto lento, vediamo l'ospedaliera rimettere in moto ed
allontanarsi da noi abbastanza velocemente.
Non riusciamo a capirne il motivo, siamo
avviliti e ormai non abbiamo più nessuna speranza e le nostre sofferenze
causate dalla sete e dal bruciore agli occhi sono notevoli.
Calcoliamo dal sole che dovrebbero essere
circa le ore 16, quando le nostre speranze di essere salvati rifioriscono in
quanto vediamo la nave ospedale ridirigersi su di noi. Sapremo poi che fu il
nostromo della nostra nave ad imporsi al comandante dell'ospedaliera per farla
tornare indietro in quanto era sicuro che in mare c'erano ancora altri
naufraghi.
Il comandante dell'ospedaliera temeva i campi
minati - questa fu la scusante che addusse alle accuse di Balzano e mie.
Riprendendo, vediamo una motobarca che
ricupera i naufraghi da altre zattere e gli ultimi minuti che trascorriamo
prima di essere ricuperati sono interminabili. Gli occhi gonfi mi bruciano
terribilmente e non riesco a tenerli aperti. Finalmente una motolancia viene
verso di noi, ci ricupera e si avvicina alla nave ospedale " Principessa
Giovanna" che tutta bianca, con le luci già accese, sembra un' oasi di
pace dopo quello che abbiamo passato.
Siamo issati a bordo con una rete come dei
pesciolini e scaricati in coperta.
Di lì vengo condotto nei ponti inferiori, dove
crocerossine, infermieri e medici si prendono cura di me e degli altri
naufraghi.
Vengo portato in una camera con poche cuccette
ed i miei compagni salvati per primi da oltre sei ore vengono a trovarmi subito
ed apprendo da loro che ben 130 dei nostri compagni sono scomparsi in mare.
Prima di scrivere quello che succederà sulla
nave ospedale, voglio citare dal volume " Le torpediniere italiane"
edito a Roma nel 1964 dall'ufficio storico della marina militare, l'ultimo
paragrafo della pagina dedicata al Perseo.
" La torpediniera andò perduta nella
notte del 4 Maggio 1943 presso le coste Tunisine in strenua difesa del
piroscafo Campobasso, da essa scortato, che fu attaccato da tre cacciatorpediniere
britannici; la Perseo si lanciò subito all'attacco ma fu centrata da una salva
che la immobilizzò producendone vie d'acqua; sotto il martellante fuoco
avversario la torpediniera continuò a sparare finché non scomparve nei flutti.
Il tenace valore della Perseo ebbe immediato riconoscimento da parte avversaria
e costituisce uno tra i più eroici episodi della guerra sul mare; alla memoria
del comandante di questa intrepida unità fu poi decretata la medaglia d'oro al
valore militare."
Chiudo così con questa citazione, la
narrazione dell'affondamento della Regia Torpediniera Perseo, elevando commosso
ricordo a tutti i compagni caduti ed un abbraccio ai superstiti.
Narrerò quindi della dolorosa storia della
Nave Ospedale "Principessa Giovanna", dalle ore 18 del 4 Maggio alle
ore 17 del 7 maggio 1943 nell'angiporto di Trapani.
Dopo averci tratto in salvo, la Nave Ospedale,
fece rotta su Tunisi che nella notte fra il 4 ed il 5 Maggio 1943 era caduta in
mano agli alleati.
Ricordo vagamente, data la prostrazione fisica
in cui mi trovavo che a bordo ci fu un sopralluogo di una Commissione alleata
per controllare i feriti ed il carico della nave.
Subito dopo fu concesso l'imbarco ad un
numeroso gruppo di civili italiani composto per lo più da donne e bambini.
Verso le 7 del mattino salpammo diretti a
Napoli. Verso le 9, Zolezzi e Balzano, vennero a prendermi per portarmi sul
ponte a prendere un po' d'aria e mi sistemarono su di una sdraio. Ad un tratto
vedemmo sbucare all'improvviso due aerei inglesi tipo Curtiss p40 che fecero
delle evoluzioni sulla nave ospedale.
Saranno state circa le ore 10, e mi ricordo
che stavamo commentando le varie capriole degli aerei dicendo che finalmente
eravamo al sicuro, protetti dalla croce rossa della "Principessa Giovanna".
Ad un tratto quei due aerei si buttarono in
picchiata su di noi, mitragliando e sganciando delle bombe.
Fecero diversi passaggi e due bombe ci
colpirono - una di esse fece fuori una macchina ed una caldaia, mentre l'altra
distrusse parzialmente i depositi d'acqua dolce. Molti civili, tra i quali
diversi bambini furono uccisi o feriti e tra questi perirono alcuni del Perseo
tra i quali mi sovviene solo il nome dell'aiuto cuoco Udovicich, che cercando
di prestare aiuto ai civili e di spegnere l'incendio a poppa, venne colpito da
una raffica di mitragliera.
Il caos a bordo era indescrivibile; la nave
era sbandata sulla sinistra, la velocità era di nemmeno tre nodi, ma in
compenso il fuoco era stato spento dai superstiti della Perseo, in quanto
l'equipaggio della nave ospedale, non abituato ad azioni di guerra, era
completamente disorientato. Mi ricordo che essendo scalzi, avevamo paura di
tagliarci perché tutte le vetrate erano saltate.
Dopo la loro splendida e valorosa azione i
caccia inglesi si erano dileguati.
Noi ritornammo alle nostre cabine, quando il
comandante in seconda dell'ospedaliera venne a chiedere se c'era qualcuno che
si intendeva di rotte e di navigazione.
Balzano ed io ci dichiarammo disposti a
collaborare purché ci dessero degli zoccoli ed una cappotta.
Fu subito provveduto e ci accompagnarono in
plancia. Il comandante ci disse che data la situazione della nave, poteva
arrivare a malapena fino a Trapani e che la rotta che lui conosceva, per
evitare i campi minati era quella per Napoli. Eravamo noi in condizione di
portare la nave a Trapani?
Io, che avevo maggior memoria visiva di
Balzano, mi misi al tavolo da carteggio e ricordandomi sia la carta Mirafiori
con tutti i campi minati, italiani, tedeschi, inglesi, francesi e americani e
memore di aver tracciato le rotte del Perseo in precedenti navigazioni, misi
sulla carta nautica la rotta migliore di sicurezza che poi discussi con Balzano
che era ancora un po' stordito.
Così, alternandoci in plancia di quattro in
quattro ore, Balzano ed io, senza mangiare e bere nel giro di 60 ore,riuscimmo
a portare la "Principessa Giovanna" vicino all'imboccatura del porto
di Trapani.
Vennero sottobordo dei rimorchiatori che ci
portarono in banchina e sbarcarono anche morti e feriti.
Tranne Balzano ed io che eravamo rimasti in
pigiama bianco e sporco di nafta, tutti gli altri erano stati vestiti. Questo
fu il guadagno che facemmo per aver portato in salvo la "Principessa
Giovanna".
Dalla banchina, passo dopo passo, arrivammo al
Comando Marina, dove, secondo la nostra organizzazione nessuno li aveva
avvisati del nostro arrivo e solo dopo le 22 riuscimmo a fare un pasto decente.
In compenso non c'era posto da dormire e ci
sistemammo sulle panche e sui tavoli del refettorio, dove, tra un allarme e
l'altro, arrivò il mattino radioso dell'8 Maggio 1943 che doveva segnare
l'inizio del nostro meritato riposo.”
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
corvetta Saverio Marotta, nato a Falconara Marittima (Ancona) il 4 settembre
1911:
"Comandante di
torpediniera in missione di scorta a nave trasporto, avvistata di notte forza
navale soverchiante che muoveva all'attacco della formazione, con fredda
determinazione ed indomito ardimento impegnava la sua unità nel contrattacco pur
sotto il preponderante, intenso e preciso tiro concentrato delle artiglierie
nemiche, tentandone per due volte il siluramento.
Lanciati tutti i siluri, nonostante la sua unità fosse stata irrimediabilmente colpita, rispondeva all'offesa avversaria col fuoco di tutte le armi di bordo fino a che la torpediniera, crivellata dai colpi e ridotta ad informe relitto, veniva affondata. Con un braccio asportato da un obice, quasi dissanguato, trovava - in disperato appello alle residue energie - la forza di impartire ai pochi superstiti l'ordine di abbandonare la nave, e si abbatteva svenuto. Ripresa conoscenza su di un battello su cui era stato trasportato dai suoi uomini, si faceva riportare a bordo - tra i caduti - per dividere con essi la sorte dell'unità che, nuovamente colpita, esplodeva affondando.
Luminoso esempio di indomabile spirito combattivo e di altissime virtù militari.
Mediterraneo Centrale, 4 maggio 1943".
Lanciati tutti i siluri, nonostante la sua unità fosse stata irrimediabilmente colpita, rispondeva all'offesa avversaria col fuoco di tutte le armi di bordo fino a che la torpediniera, crivellata dai colpi e ridotta ad informe relitto, veniva affondata. Con un braccio asportato da un obice, quasi dissanguato, trovava - in disperato appello alle residue energie - la forza di impartire ai pochi superstiti l'ordine di abbandonare la nave, e si abbatteva svenuto. Ripresa conoscenza su di un battello su cui era stato trasportato dai suoi uomini, si faceva riportare a bordo - tra i caduti - per dividere con essi la sorte dell'unità che, nuovamente colpita, esplodeva affondando.
Luminoso esempio di indomabile spirito combattivo e di altissime virtù militari.
Mediterraneo Centrale, 4 maggio 1943".
Lapide alla memoria del comandante Marotta apposta nel 1985 nella Caserma "Marotta" di Ancona, sede di Quartgenmarina Ancona (da www.pietredellamemoria.it) |
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del cannoniere
puntatore mitragliere Carlo Fiore, nato a Paliano (Frosinone) il 16 luglio
1920:
"Puntatore di
mitragliera su silurante, in violento scontro navale contro soverchianti forze
avversarie di superficie, avendo il fuoco nemico spazzato ed incendiato la coperta
e inutilizzato tutte le armi di bordo — meno la sua — con mirabile ardimento
continuava imperterrito l’azione riuscendo a centrare ed a spegnere uno dei
proiettori nemici. Colpito da scheggia, si abbatteva sulla propria arma
offrendo alla Patria il supremo olocausto.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo
radiotelegrafista Mario Pregliasco, nato a Novi Ligure (Alessandria) il 12
gennaio 1915:
"Capo radiotelegrafista
ed ecogoniometrista di torpediniera, nel corso di rischiosa missione di scorta,
malgrado l'intenso fuoco che colpiva ed irrimediabilmente incendiava l'unità,
provvedeva a ripristinare con mezzi di fortuna la stazione Rt. Mentre
d'iniziativa si recava in plancia per informare l'ufficiale di rotta della
riattivazione delle comunicazioni radio, cadeva colpito a morte.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
Genio Navale Giuseppe Musmeci, nato ad Acireale (Catania) il 9 aprile 1912:
"Direttore di
macchina di torpediniera, nel corso di rischiosa missione di scorta, colpita ed
irrimediabilmente incendiata l’unità dal fuoco concentrato di soverchiante
forza navale avversaria, si adoperava, con coraggio e perizia, per il
tamponamento di una falla nel locale macchine. Per effetto di altri colpi
nemici, cadeva al suo posto di combattimento nell’adempimento del dovere sempre
serenamente compiuto.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943".
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottotenente di vascello
Romualdo Balzano, nato a La Maddalena (Sassari) il 5 febbraio 1919:
"Ufficiale
di rotta di torpediniera in missione di scorta a nave trasporto, attaccata
nottetempo da soverchiante forza navale nemica, coadiuvava validamente il
comandame che portava per ben due volte la torpediniera all’attacco. Colpita
l’unità dal tire nemico che metteva fuori combattimento la quasi totalità degli
ufficiali, ne assumeva il comando e rispondeva all’offesa avversaria fino a
quando la nave, crivellata dai colpi, veniva sopraffatta. Abbandonata l’unità,
dirigeva con calma e perizia le operazioni di salvataggio dei superstiti.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943".
Romualdo Balzano in una foto del dopoguerra, con i gradi di ammiraglio. Durante la seconda guerra mondiale fu decorato in totale con due Medaglie di Bronzo al Valor Militare e tre Croci di Guerra al Valor Militare; dopo il conflitto proseguì la carriera in Marina e raggiunse il grado di ammiraglio di squadra. Fu nominato Padrino del Corso "Perseo" degli Allievi della Scuola Sottufficiali M.M. di La Maddalena. Morì il 5 luglio 1999 nella natia La Maddalena, all’età di 80 anni (da www.guardiavecchia.net). |
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina
Gerolamo Todisco, nato a Lodi (Milano) l’11 novembre 1920:
"Sottordine
all’Ufficiale di rotta di torpediniera, partecipava a numerose azioni di guerra
che si concludevano con l’affondamento di due sommergibili nemici. Durante
combattimento contro forze navali nemiche soverchianti, durante il quale
l’unità affondava, era di esempio all’equipaggio per senso del dovere e
noncuranza del pericolo.
Abbandonava la nave
fra gli ultimi dopo aver soccorso i superstiti e scompariva fra le onde facendo
olocausto della vita alla Patria.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943"
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di
vascello Levino Ferrara, nato a Ortona a Mare (Chieti) il 13 marzo 1914:
"Ufficiale in 2a
di torpediniera, compiva numerose missioni di guerra che si concludevano con
l’affondamento di due sommergibili nemici. Nel corso di difficilissima missione
di scorta, scompariva gloriosamente in mare con l’unità colpita
irrimediabilmente da preponderanti forze navali
nemiche.
Canale di Sicilia, 4
maggio 1943".