L’Artigliere (da www.photoship.co.uk)
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Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate).
Durante il secondo
conflitto mondiale effettuò 28 missioni di guerra, percorrendo 6775 miglia
nautiche; fu la prima unità della classe Soldati ad andare perduta.
Breve e parziale cronologia.
15 febbraio 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
12 dicembre 1937
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno. Presenziano il vicepresidente ed il direttorio
dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia ed una nutrita rappresentanza
di artiglieri toscani, che salutano il varo della nave alzando e sventolando i
labari dei reggimenti d’artiglieria.
14 novembre 1938
Entrata in servizio.
Assegnato alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della II
Squadra Navale.
L’Artigliere fotografato il giorno della sua entrata in servizio, 14
novembre 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)
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1939
Disimpegna attività
addestrativa, effettuando crociere nel Tirreno, in Nordafrica e nel Dodecaneso.
Maggio 1939
Partecipa a Napoli
alla rivista navale “I”, tenuta in onore del principe Paolo Karađorđević, reggente di Jugoslavia.
18 giugno 1939
L’Artigliere riceve a Livorno la bandiera
di combattimento, madrina la signora Luigia Fautilli-Rovatti, moglie
dell’Ispettore dell’Arma di Artiglieria in carica.
L’Artigliere, in primo piano, a Livorno con unità gemelle. Sullo
sfondo, l’incrociatore pesante Bolzano
(Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. L’Artigliere,
al comando del capitano di vascello Carlo Margottini, è caposquadriglia della
XI Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Aviere, Geniere e Camicia Nera.
10-11 giugno 1940
L’Artigliere salpa da Messina alle 19.10 del
10 giugno unitamente alle altre unità della XI Squadriglia (Aviere, Geniere e Camicia Nera),
all’incrociatore pesante Pola ed alla
III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano)
per fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), inviata ad effettuare una
ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
La mattina dell’11
giugno, il gruppo che comprende l’Artigliere
si unisce ad un altro gruppo partito da Napoli e composto dalla VII Divisione
Navale (incrociatori leggeri Muzio
Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta) e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Carabiniere, Corazziere). Le navi procedono poi fino
a nord di Favignana, a protezione sia della X Squadriglia che di un gruppo di
unità (gruppo «Da Barbiano») che rientrano alla base dopo aver posato il campo
minato «L. K.».
Tutte le navi
rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle due di notte l’Artigliere, insieme al resto della XI
Squadriglia Cacciatorpediniere, alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Corazziere, Ascari, Carabiniere), all’incrociatore pesante Pola ed alla III Divisione Navale (incrociatori
pesanti Trento e Bolzano), salpa da Messina per intercettare due incrociatori
britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a
sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al
pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia,
infruttuosa, di naviglio italiano). (Per altra fonte le navi sarebbero uscite
in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico, segnalato da un
ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest; segnalazione che si rivela
poi errata). Al contempo salpano da Taranto, per fornire loro appoggio, la I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo
Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Orpheus
(capitano di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a
nordest di Malta, avvista il Pola, la
III Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto
da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo
lontano, il sommergibile non attacca.
19 giugno 1940
L’Artigliere, insieme al resto della XI Squadriglia
(Aviere, Geniere, Camicia Nera),
salpa da Napoli alle 20.30 diretto a Bengasi, per una missione di trasporto. A
bordo dei quattro cacciatorpediniere sono stati caricati 36 cannoni anticarro
da 47 mm, 20 mitragliere da 20 mm, le relative munizioni e 300 tra ufficiali ed
artiglieri del Regio Esercito, addetti a tali armi.
Si tratta di uno dei
primissimi carichi di rifornimenti inviati in Libia (il secondo in ordine
cronologico), a seguito di richiesta urgente da parte dell’Esercito.
L’Artigliere nel 1940, prima di una missione di guerra (da www.marina.difesa.it)
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21 giugno 1940
La XI Squadriglia
giunge a Bengasi alle 14, sbarcandovi il proprio carico.
7-11 luglio 1940
La XI Squadriglia, al
comando del capitano di vascello Carlo Margottini, imbarcato sull’Artigliere, salpa da Messina alle 15.45
insieme alla III Divisione (Trento e Bolzano) per poi congiungersi al resto
della II Squadra Navale (incrociatore pesante Pola, I e VII Divisione incrociatori con nove unità in tutto e IX,
XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere) per scortare a distanza un convoglio
diretto in Libia (motonavi da carico Marco
Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della
II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro
torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori). La I Squadra Navale (V Divisione con le
corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con
sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere
con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione. Le unità della
I e della II Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III
Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
La II Squadra si pone
35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII
Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
L’operazione va a
buon fine, ma alle 15.20 dell’8 luglio, a seguito dell’avvistamento di una
formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a
protezione di convogli – la I e la II Squadra Navale dirigono per intercettare
le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di
impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni – comandante superiore in mare – ha avuto
modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità
dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare
alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi
vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con
intenso tiro contraereo. La navigazione notturna di rientro si svolge senza
grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III
Divisione; la II Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da
essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio. Alle 6.40 del 9 luglio la III
Divisione si ricongiunge con Pola e I
Divisione, alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non
verrà però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13 la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XII Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione
incrociatori, va a formare la colonna destra dello schieramento italiano, posta
ad ovest della V Divisione costituita dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di
Cavour.
Tra le 13.15 e le
13.26 il gruppo «Pola», di cui la XI Squadriglia fa parte, mentre si trova a
poppa dritta della Cesare e
con rotta 183° (è in corso la manovra per assumere la propria posizione nella
formazione ordinata da Campioni), viene attaccata da nove aerosiluranti Fairey
Swordfish che, provenendo da ovest (sinistra; sono decollati dalla Eagle alle 11.45), si avvicinano a
poppavia agli incrociatori (i cacciatorpediniere, infatti, sono a proravia
degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30 metri e sganciano i
loro siluri da circa mille metri. Gli incrociatori si diradano, compiono
manovre evasive ed aprono subito un violento fuoco contraereo; nessuna unità
viene colpita. Gli aerei si allontanano, qualcuno con danni leggeri.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate (che al contempo accostano a un
tempo di 60° a dritta e così si spostano ad est/nordest insieme agli
incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori leggeri, i primi ad essere
impegnati in combattimento; entro le 15.40 i sei incrociatori pesanti della II
Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare, nave ammiraglia di Campioni).
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori).
Nella seconda fase,
la II Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie (su ordine
dell’ammiraglio Campioni, che alle 15.53 ha ordinato al gruppo «Pola» di portarsi
su rilevamento 40° per avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche
abbastanza da poter usare i cannoni da 203), e tra le 15.50 e le 16 i suoi
incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio Paladini, aprono il fuoco da
20.000-25.000 metri
contro gli incrociatori leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester), che rispondono al fuoco con
granata perforante e tiro raccolto ma poco efficace.
Alle 15.59, però, la Cesare, la nave ammiraglia, viene
danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità. A seguito
di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare
delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle basi, ed
alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di
attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da
facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XI Squadriglia va
all’attacco alle 16.07, all’ordine del Comando della II Squadra; i quattro
cacciatorpediniere attraversano la formazione della I Divisione passando con
rotta 105° tra Fiume e Gorizia, poi (alle 16.15), subito dopo
aver superato la linea degli incrociatori, avvistano le navi nemiche dritte di
prua ed accostano di circa 90° a sinistra, assumendo una rotta convergente. L’Artigliere inizia subito a stendere una
cortina nebbiogena, sia per occultare gli altri cacciatorpediniere che per
coprire il ripiegamento delle navi maggiori (la nebbia artificiale va però ad
ostacolare l’attacco della XII Squadriglia, che è in posizione poco più
arretrata). Durante l’avvicinamento per l’attacco, la XI Squadriglia è
continuamente sotto il fuoco nemico, ma nessuna nave è colpita; giunto a 13.800
metri dalla nave scelta come bersaglio per il proprio attacco, ritenuta essere
una corazzata, l’Artigliere apre il
fuco contro di essa. Alle 16.20 Aviere,
Geniere e Camicia Nera escono dalla cortina fumogena, che li ha nascosti fino
a quel momento, e si va all’attacco silurante. In tutto la XI Squadriglia
lancia dieci siluri, sette contro una corazzata e tre contro un incrociatore,
da una distanza di 11.000 metri.
Nessun siluro va a
segno; mentre si allontanano, i cacciatorpediniere della squadriglia, pur
continuando ad emettere nebbia artificiale per occultarsi, vedono salve nemiche
cadere nelle loro vicinanze, fino circa alle 16.30.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e 14th
Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da 11.250-12.500 metri,
appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152 mm delle
corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra cacciatorpediniere,
svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna unità sia stata
colpita.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i
bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica. Le
insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed
Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra
navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le
stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti,
apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti
l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni
degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco
riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma
alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in
intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean
Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un
bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia
(XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco
amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire
equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di
emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle
esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
L’aliquota più
consistente delle unità italiane, compreso l’Artigliere, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio, oltre
ad esso ed al resto della XI Squadriglia, la corazzata Conte di Cavour, gli incrociatori
pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia, gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto
Di Giussano, Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi ed i 32 cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX,
XIV, XV e XVI fanno il loro ingresso nella base siciliana. Poco dopo
mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi
radio britannici che fanno presagire un imminente attacco di aerosiluranti
contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di
lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono
per le basi di assegnazione (Napoli e Taranto). I cacciatorpediniere della
XI Squadriglia, insieme agli incrociatori leggeri Da Barbiano e Di Giussano, partono alle 19.05 del 10
luglio, alla volta di Taranto.
Artigliere e Camicia Nera durante la battaglia di Punta Stilo (da www.marina.difesa.it)
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31 agosto-2 settembre 1940
Il 31 settembre la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Artigliere,
Aviere, Geniere, Camicia Nera)
salpa da Messina insieme ad altri cacciatorpediniere ed alla III Divisione
Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano), per partecipare alle operazioni di contrasto
all’operazione britannica «Hats», consistente in varie sotto-operazioni:
trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean
Fleet, della corazzata Valiant,
della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
Complessivamente,
all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate
della V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13 incrociatori della I (Pola, Zara, Fiume, Gorizia), III, VII (Eugenio di Savoia, Duca
d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo) e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi)
Divisione e 39 cacciatorpediniere. La III Divisione si riunisce al grosso della
squadra italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1°
settembre.
Le due Squadre Navali
italiane (la I Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle
Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la II Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per
lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare
troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una
velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e
raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in
contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze
italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un
cambiamento di rotta, che impedisce alla II Squadra, che si trova in posizione
più avanzata della I, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio
Iachino, comandante la II Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di
manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza,
ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la II Squadra
non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27
la II Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e
velocità 20 nodi, come la I Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze
nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve
cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto
con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le
navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma
non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
29 settembre-2 ottobre 1940
La XI Squadriglia (Artigliere, Aviere, Geniere e Camicia Nera), insieme agli incrociatori
pesanti della III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), esce da Messina alle 20.28 del 29 settembre, mentre
prendono il mare da Taranto il Pola,
le divisioni I (incrociatori pesanti Zara,
Fiume e Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare, Duilio e Conte di Cavour),
VII (incrociatori leggeri Eugenio di
Savoia ed Emanuele Filiberto Duca
d’Aosta), VIII (incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e IX (corazzate Littorio
e Vittorio Veneto) e 19
cacciatorpediniere (il Pola con la I
Divisione e 4 cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30), per
contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5» (invio a Malta degli
incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti, invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con
l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e
di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione). La III Divisione si
riunisce alle navi partite da Taranto alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza
di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della
Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da
scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso
sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a
contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta
alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle
10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37°
parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca,
la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1°
ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova
uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute
ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi
riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
6 ottobre 1940
L’Artigliere salpa da Messina in mattinata
insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere e Camicia Nera) ed alla III Divisione
Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano), in appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio
da Taranto a Lero delle due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano
Venier, cariche di rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e
scortate dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere).
L’operazione (il
convoglio è partito la sera del 5, mentre il 6 mattino, oltre al gruppo cui
appartiene l’Artigliere, sono salpate
da Taranto anche la I Divisione con gli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia,
l’incrociatore pesante Pola – nave
ammiraglia della II Squadra Navale – e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere
con Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci)
viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione
aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
Lo scontro di Capo Passero
Tra le 20 e le 20.30
dell’11 ottobre 1940 l’Artigliere, al
comando del capitano di vascello Carlo Margottini, comandante della XI
Squadriglia Cacciatorpediniere, salpò da Augusta insieme al resto della
squadriglia (Aviere, Geniere e Camicia Nera) ed alle torpediniere della I Squadriglia Torpediniere
(Alcione, Airone ed Ariel).
Entrambe le
squadriglie avevano l’ordine di svolgere una ricerca a rastrello ad est
di Malta, dove si riteneva che vi potessero essere navi britanniche.
L’ordine era stato
dato dopo che, alle 8.45 dell’11 ottobre, un aereo di linea italiano aveva
avvistato 20 unità britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) con
rotta 220° (ma all’arrivo dell’aereo avevano virato di 90° a dritta) in
posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di)
Malta. Supermarina, informata da Superaereo un’ora più tardi, non poteva fare
uscire in mare le forze navali maggiori prima del giorno seguente, pertanto
aveva ordinato al Comando Militare Marittimo della Sicilia (ammiraglio di
divisione Pietro Barone, con sede a Messina) di organizzare una ricerca
offensiva notturna con l’utilizzo di aerei per la ricognizione e di unità sottili
(cacciatorpediniere, torpediniere e MAS) per la ricerca del contatto e
l’eventuale attacco. Erano state quindi disposte ricognizioni con aerei, l’invio
dei MAS 512, 513 e 517 in agguato
notturno al largo della Valletta, l’approntamento in tre ore delle due squadre
navali, la messa in allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e della
Libia, e l’interruzione del traffico tra Italia e Libia; inoltre si era
deliberato di inviare numerose siluranti a verificare la presenza di navi
nemiche e, in caso affermativo, ad attaccare col favore della notte (oltre alla
XI Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla I Squadriglia Torpediniere, avrebbe
preso il mare anche la VII Squadriglia Cacciatorpediniere – Freccia, Dardo, Saetta e Strale –, ma cercando sulla congiungente
Marettimo-Zembra, dove il passaggio era meno probabile). Entro ventiquattr’ore
sarebbe stato possibile fare uscire le forze da battaglia da Taranto, Augusta e
Messina, per appoggiare l’azione notturna delle siluranti, o sfruttarne gli
eventuali risultati positivi.
L’aereo di linea
italiano non poteva però sapere che ad essere in mare era l’intera
Mediterranean Fleet, con le corazzate Valiant,
Warspite, Ramillies e Malaya, le
portaerei Eagle ed Illustrious, l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Ajax, Orion, Sydney, Liverpool e Gloucester ed i cacciatorpediniere Havock, Hasty, Hyperion, Hero, Hereward, Ilex, Jervis, Janus, Juno, Dainty, Defender, Decoy, Nubian, Vampire e Vendetta: tale poderosa formazione era
uscita in mare l’8 ottobre per dare scorta a distanza al convoglio «M.F. 3»
diretto a Malta, ed ora, dopo che i mercantili erano giunti a destinazione l’11
ottobre, attendeva di assumere la scorta di tre piroscafi scarichi (Aphis, Plumleaf e Volo, del
convoglio «M.F. 4») di ritorno ad Alessandria d’Egitto.
L’ammiraglio Andrew
Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, aveva creato a nord del
grosso della flotta uno ‘schermo’ di incrociatori e cacciatorpediniere, con
compiti di ricognizione, l’ultimo dei quali (il più a nord) era l’incrociatore
leggero Ajax, al comando del capitano
di vascello Eward Desmond Bewley McCarthy, il quale avanzava a 17 nodi
procedendo a zig zag, una settantina di miglia a nord del grosso della
Mediterranean Fleet ed ad altrettante miglia da Malta. Le altre unità dello
schermo erano l’incrociatore pesante York,
gli incrociatori leggeri Orion e Sydney (che con l’Ajax formavano il 7th Cruiser Squadron) ed i
cacciatorpediniere Nubian e Mohawk; le navi procedevano in linea di
rilevamento, a notevole distanza l’una dall’altra.
I primi ricognitori
italiani, degli idrovolanti CANT Z. 501 delle Squadriglie 144a (di
base a Stagnone), 184a, 186a (di base entrambe ad
Augusta) e 189a (di base a Siracusa) della Regia Aeronautica,
decollarono nel primo pomeriggio dell’11 ottobre, quando il cielo – fino ad
allora coperto dalle nuvole, con scariche elettriche, forti raffiche di vento e
visibilità molto limitata, a causa di una perturbazione sul Mediterraneo
centrale iniziata il 9 ottobre – iniziò a rasserenarsi, permettendo un
progressivo miglioramento della visibilità. Il CANT Z. 501 decollato per primo
da Stagnone esplorò il settore più occidentale (tra il meridiano di Capo Bon ed
il 13° meridiano) ma non trovò nulla; altri due idrovolanti erano decollati da
Augusta sempre nel primo pomeriggio dell’11 e condussero una ricerca
(distanziati di 30 miglia e con percorsi paralleli ed opposti) che andava da
Malta al meridiano 22° E, ma di nuovo senza risultati; un quarto CANT Z. 501,
decollato da Siracusa ed assegnato all’esplorazione di un settore a sud ed ad
est di Malta, non vide nulla.
Le sette unità della XI Squadriglia Cacciatorpediniere e della I Squadriglia
Torpediniere, giunte a mezzanotte dell’11 ottobre sul meridiano 16°40’ E (a
circa cento miglia da Malta), si irradiarono sul rastrello con base 28 miglia,
disponendosi, da nord verso sud, nell’ordine Alcione, Airone, Ariel, Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia Nera, procedendo affiancate ad una distanza di circa
quattro miglia l’una dall’altra, con un intervallo di otto miglia tra la I
Squadriglia Torpediniere (più a nord) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere
(più a sud). All’una di notte del 12 ottobre, terminato il posizionamento sul
rastrello, le sette siluranti iniziarono la ricerca, procedendo a 12 nodi con
rotta 270° e direttrice della ricerca da est verso ovest. L’eccezionale
visibilità (grazie alla luce lunare da sudovest, che rendeva molto luminoso tale
settore, verso il quale si sviluppava la ricerca) e la direttrice avrebbero consentito
alle navi italiane (specie le torpediniere) di avvistare le unità nemiche nei
loro settori prodieri prima di essere viste a loro volta. La ricerca del nemico
si svolgeva a sud del parallelo di Malta, nella fascia compresa tra i paralleli
35°54’ N e 35°25’ N a partire dal meridiano 16°40’ E.
Nel mentre, la
Mediterranean Fleet procedeva con rotta 90° (opposta a quella delle navi
italiane) e dodici nodi di velocità, circa 50 miglia a sudest di Malta; la
linea protettiva degli incrociatori era disposta in linea di rilevamento a
nordest del grosso della squadra britannica, con l’Ajax posizionato esternamente verso nord. Ancora più a nord si
trovavano i tre mercantili del convoglio salpato da Malta alle 22.30, diretti
verso est e scortati dagli incrociatori antiaerei Coventry e Calcutta e dai
cacciatorpediniere Stuart, Voyager, Wryneck e Waterhen.
Il tempo era
migliorato, con vento e mare da sudest forza 2-3 in diminuzione e cielo sereno.
La luna, rispetto alla posizione delle unità italiane, si trovava alle spalle
delle navi britanniche, il che avrebbe agevolato il loro avvistamento.
Furono le
torpediniere le prime ad incappare nello ‘schermo’ del 7th Cruiser
Squadron: e precisamente nell’Ajax,
che venne avvistato all’1.37 dall’Alcione.
In breve anche le altre due unità della I Squadriglia avvistarono
l’incrociatore britannico, che da parte sua non si accorse invece della loro
presenza; favorite dal buio, andarono all’attacco, col siluro e col cannone.
L’Ajax però si accorse di loro all’ultimo
momento, e così l’attacco, condotto con coraggio ma con scarsa coordinazione e
perizia, si tramutò in disastro: nessuno dei sette siluri andò a segno, mentre
l’Ajax, danneggiato solo leggermente
dal tiro delle torpediniere, rispose al fuoco da distanza ravvicinata,
affondando l’Ariel e riducendo l’Airone ad un relitto galleggiante.
I cacciatorpediniere
della XI Squadriglia, avvistate le vampe del combattimento tra l’Ajax e le torpediniere, avevano
accostato a dritta (verso nord) all’1.56, su ordine del caposquadriglia
Margottini, aumentando la velocità. Avvistarono anch’essi l’Ajax, ma da una distanza molto inferiore
a quella delle torpediniere, e con la luna al traverso a sinistra (cioè, con
condizioni di luce poco favorevoli, specie rispetto alle torpediniere); andarono
all’attacco, commettendo tuttavia un grave errore: anziché attaccare tutti
insieme, creando una grande concentrazione di siluri, affrontarono l’Ajax uno alla volta, in modo autonomo e
scoordinato, stagliandosi per giunta contro la luce lunare che li rendeva
particolarmente ben visibili alla nave nemica, a breve distanza.
Ormai l’Ajax, che aveva accostato a sud dopo
aver immobilizzato l’Airone, era sul
chi va là, dopo l’attacco delle torpediniere: l’attacco dei cacciatorpediniere
lo colse mentre stava accostando a dritta per portare in campo di tiro tutti i
propri cannoni da 152 mm, e questa volta l’incrociatore non esitò ad aprire il
fuoco contro le ombre delle navi italiane in avvicinamento, le cui sagome –
peraltro più visibili rispetto a quelle delle torpediniere, date le maggiori
dimensioni – si proiettavano contro il settore dell’orizzonte che la luna
illuminava maggiormente (l’avvistamento fu pressoché contemporaneo e reciproco).
L’Aviere, il primo ad andare all’attacco
(tra le 2.10 e le 2.18), venne rapidamente centrato da diversi colpi prima di
poter lanciare i siluri; seriamente danneggiato, senza luce, con parte
dell’armamento fuori uso, diversi morti e feriti a bordo ed alcuni
compartimenti allagati, dovette abbandonare l’attacco ed allontanarsi verso
Augusta.
L’Artigliere, che aveva accostato a nord
all’1.50 (dopo aver ricevuto il segnale di scoperta lanciato all’1.37 dalle
torpediniere della I Squadriglia, che fu ricevuto in tempi differenti dalle
unità della XI Squadriglia Cacciatorpediniere) ed aveva mantenuto rotta nord
per circa mezz’ora, attaccò per secondo: avvistò l’Ajax sulla dritta alle 2.29 e – mentre i proiettili da 102 e 152 mm
esplodevano in mare tutt’attorno, “circondando” la nave (l’Ajax aprì il fuoco per primo, da una distanza di circa 3000 metri,
poi defilò sulla dritta dell’Artigliere
da meno di 2000 metri) – si portò all’attacco silurante, sparando al contempo
due salve coi cannoni da 120 mm.
Fece in tempo a
lanciare un solo siluro (contro il lato di dritta dell’Ajax, senza successo), alle 2.30 od alle 2.31; nello stesso istante
in cui il siluro partì, una salva da 152 mm centrò la plancia del
cacciatorpediniere, ferendo mortalmente sia il comandante Margottini che il suo
assistente di squadriglia, tenente di vascello Corrado Del Greco. Margottini
morì quasi subito, incitando i suoi uomini a continuare a combattere, e Del
Greco assunse il comando al suo posto; anch’egli sarebbe però deceduto alcune
ore più tardi.
Tra i
pochi superstiti del personale di plancia - forse l'unico - era il marinaio
ventenne Ruggero Devich, che rimase ferito da schegge al petto e ad una gamba.
Lasciata la plancia devastata, Devich scese in coperta e venne medicato da un
infermiere, che lo fece stendere sul ponte; cercando poi di alzarsi, si
appoggiò a qualcosa che sentì morbido e caldo, e si ritrovò la mano sporca di
sangue: l'aveva posata sul petto sfondato di un marinaio.
La prima salva che
colpì l’Artigliere, oltre a devastare la plancia, provocò
l’esplosione della riservetta di munizioni del complesso prodiero da 120 mm,
scatenando immediatamente un furioso incendio, che andò rapidamente
estendendosi.
Subito dopo, l’Artigliere fu colpito altre quattro
volte: due colpi caddero in coperta, uno colpì il locale caldaia centrale,
mettendo fuori uso sia quella caldaia che quella prodiera (alcuni
sopravvissuti, tra cui il tenente del Genio Navale Direzione Macchine Gastone Bellini,
affermarono che questo colpo provenne da una direzione differente, asserendo di
aver visto non una ma due navi nemiche, una su ciascun lato dell’Artigliere: probabilmente una illusione
ottica), ed un altro centrò il locale macchina prodiero.
Alle 2.32, lo scontro
era finito e l’Artigliere era
completamente fuori combattimento, in preda a violenti incendi. L’azione di
fuoco tra l’Ajax e l’Artigliere era durata poco più di un
minuto: tanto era bastato per ridurre il caposquadriglia della XI Squadriglia
Cacciatorpediniere a poco più che un relitto galleggiante.
Nemmeno l’Ajax ne era uscito indenne, anche se i pezzi
da 120 dell’Artigliere non potevano
causare danni gravi ad un incrociatore progettato per resistere a colpi da 152.
Quattro dei 16 colpi da 120 sparati dall’Artigliere
prima di essere messo fuori uso avevano colpito la nave britannica, mettendo
fuori uso un cannone da 100 mm, il radar e la bussola (e distruggendo la
baleniera di sinistra), oltre a causare un morto e diversi feriti. Tali danni,
insieme a quelli precedentemente inflitti dal tiro dell’Airone, avrebbero in seguito richiesto due o quattro settimane di
riparazioni, a seconda delle fonti.
Nondimeno,
l’efficienza dell’Ajax non era
seriamente menomata; al contrario, sull’Artigliere
la situazione era disperata. Oltre ai danni appena menzionati, le perdite umane
erano state molto gravi: oltre al comandante Margottini, tutti gli ufficiali di
vascello erano morti o gravemente feriti, così come metà dell’equipaggio.
Inoltre, alle 2.40 la nave era rimasta immobilizzata.
Ad assumere il
comando dell’Artigliere fu il
direttore di macchina, maggiore del Genio Navale Mario Giannettini, assistito
da due dei pochi ufficiali rimasti illesi, il tenente del Genio Navale
Direzione Macchine Pietro Donato ed il suo già citato parigrado Gastone
Bellini.
Sotto la direzione di
questi ufficiali, in uno scenario infernale caratterizzato da fiamme altissime
e continui scoppi di munizioni, l’equipaggio superstite si prodigò per ore nella
lotta contro gli incendi, riuscendo a circoscriverli, a mantenere la nave a
galla ed anche a rimettere in moto, verso le tre di notte, la motrice poppiera.
Per evitare che le fiamme raggiungessero le munizioni ed i siluri, con esiti
catastrofici, vennero allagati i depositi munizioni, gettati a mare gli
esplosivi (munizioni delle riservetta e bombe di profondità) e lanciati i
siluri.
Alle 3.06 l’Ajax informò l’ammiraglio Cunningham
dell’accaduto, e ricevette l’ordine di convergere verso il grosso insieme al
resto del 7th Cruiser Squadron. Nello scontro aveva sparato 490
colpi da 152 mm.
Intanto (alle 3.03)
l’Alcione, unica scampata alla strage
della I Squadriglia, tornò sul luogo dell’attacco iniziale e trovò l’Airone ancora galleggiante, ma in fiamme
ed in procinto di affondare; dopo aver recuperato 72 naufraghi della
caposquadriglia (che s’inabissò alle 3.34), operazione che richiese circa un’ora, l’Alcione lasciò sul posto una motolancia
e fece rotta per Augusta, dove giunse alle otto del mattino.
Anche il malconcio Aviere e l’indenne Geniere (che aveva perso subito il contatto con l’Ajax, ed era stata così l’unica delle
sette navi italiane a non avere parte alcuna nel combattimento) si erano
diretti verso Augusta, dove sarebbero giunti a mezzogiorno; sul luogo dello
scontro rimasero solo l’Artigliere,
che in quelle condizioni non poteva andare lontano, ed il Camicia Nera, che aveva scambiato un paio di salve con l’Ajax senza subire danni. Fu appunto il Camicia Nera, alle 3.50, ad invertire la
rotta per andare in soccorso del malridotto caposquadriglia.
Già alle 2.50
l’equipaggio dell’Artigliere era
fortunosamente riuscito a rimettere in moto una macchina, alimentata da
un’unica caldaia, ed a bassa velocità la nave assunse rotta verso nord. Alle
quattro del mattino, tuttavia, non fu più possibile alimentare la caldaia, e
l’unità si dovette nuovamente fermare. Il maggiore Giannettini stava tentando
di riaccendere la caldaia, quando comparve sul posto il Camicia Nera (erano le 5.30): tra le due navi venne teso un cavo di
rimorchio, ed il Camicia Nera iniziò
a rimorchiare di poppa il suo caposquadriglia (il rimorchio di prua non fu
ritenuto praticabile, data la devastazione delle strutture prodiere e la
difficoltà di accedere al ponte di castello).
Il rimorchio, a lento
moto, verso nord, andò avanti per qualche ora, ma intorno alle sette del
mattino vennero avvistati degli idrovolanti britannici da ricognizione. Tali
aerei, contro i quali venne subito aperto il fuoco, non attaccarono, ma passò meno
di un’ora prima che verso sud/sudest si materializzassero alcune navi da guerra
britanniche: erano il 3rd Cruiser Squadron (York, Liverpool, Gloucester) ed il 7th Cruiser
Squadron (Orion e Sydney, l’Ajax non era invece tornato) più quattro cacciatorpediniere, tra
cui il Nubian e gli australiani Vampire e Vendetta.
Quando un ricognitore
Short Sunderland aveva comunicato l’avvistamento dei due cacciatorpediniere italiani
in posizione 35°55’ N e 16°29’ E, 107 miglia ad ovest di Malta (l’Orion aveva segnalato che una nave era
ancora in fiamme alle 6.45, ed alle 7.10 un idrovolante aveva segnalato due
cacciatorpediniere insieme, uno dei quali in fiamme e a rimorchio), la
Mediterranean Fleet aveva accostato per rotta 010° e la portaerei Illustrious aveva lanciato quattro
aerosiluranti Fairey Swordfish per attaccarli, mentre il 3rd Cruiser
Squadron si era diretto verso del fumo visibile all’orizzonte. Al contempo,
infatti, Artigliere e Camicia Nera vennero attaccati anche dagli
aerosiluranti decollati dall’Illustrious,
ma bombe e siluri non andarono a segno.
Di fronte ad una tale
disparità di forze, non essendo possibile portare in salvo il danneggiato Artigliere, alle 8.10 il Camicia Nera fu costretto a mollare il
rimorchio e dirigere verso la Sicilia, coprendosi la ritirata con cortine
nebbiogene. Prima di andarsene, il Camicia
Nera (che aveva precedentemente preso a bordo 18 uomini dell’Artigliere) lanciò in mare una zattera
Carley e lasciò sul posto la propria motolancia, con a bordo provviste, acqua e
medicinali.
L’Artigliere stava lentamente affondando,
e con buona parte dell’armamento fuori uso e gran parte dell’equipaggio morto o
ferito, non aveva possibilità di difendersi. Mentre il grosso della formazione
britannica si mise all’inseguimento del Camicia
Nera (che riuscì però a scampare), alle 8.29 l’incrociatore pesante York (capitano di vascello Reginald
Henry Portal) si separò dal resto per finire l’immobilizzato Artigliere. Portal aveva l’ordine di far
abbandonare la nave italiana dall’equipaggio, e quindi di affondarla.
Giannettini, intanto, ordinò di autoaffondare la nave allagando i locali
macchine, e di distruggere l’archivio segreto.
Il relitto dell’Artigliere il mattino del 12 ottobre,
sullo sfondo due incrociatori britannici (da “The War at Sea 1940-1944” di John
Green e Martin Mace)
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L’Artigliere sorvolato da uno Swordfish; sullo sfondo a sinistra l’incrociatore
HMS Orion, a destra l’HMAS Sydney (Australian War Memorial)
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Il relitto immobilizzato del
cacciatorpediniere (Australian War Memorial).
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Evidenti i gravi danni alla
zona prodiera (USMM).
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Sono visibili zattere e
naufraghi in mare attorno alla nave (da “The War at Sea 1940-1944” di John
Green e Martin Mace)
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Lo York effettuò un giro in cerchio attorno
all’immobilizzato cacciatorpediniere, identificandolo come l’Artigliere. Il castello di prua era
bruciato ed ancora fumante, e parte della sovrastruttura prodiera della plancia
appariva crollata in avanti. Nella zona poppiera era visibile un’ottantina di
uomini, i più radunati in un unico gruppo, con pochi altri più a poppavia;
alcuni altri si trovavano già su una zattera in mare, ed altri in acqua,
aggrappati a pezzi di legno. Un’altra zattera, vuota, si trovava sottobordo al
cacciatorpediniere, ed un’altra ancora un po’ a poppavia della nave; le
imbarcazioni di dritta erano state calate, e la scaletta di dritta era
anch’essa calata lungo la murata. Sulle gruette di sinistra si trovavano appese
una motobarca ed uno schifo, mentre tre zattere Carley erano ancora al loro
posto sul fumaiolo.
Avvicinandosi, lo York comunicò il segnale internazionale
"Abandon ship" e poi aggiunse con segnalazioni luminose, in un
italiano storpiato, "Andate del batello", dando all’equipaggio
mezz’ora per abbandonare la nave. Dall’Artigliere
si tentò di far capire allo York che
la nave stava per affondare e che a bordo si trovavano numerosi feriti gravi da
soccorrere, ma per due volte l’incrociatore (che aveva compreso la parte
relativa alla presenza di feriti a bordo, ma non alcune segnalazioni
successive, pur avendo compreso la richiesta di soccorrere i feriti) intimò ai
superstiti di abbandonare immediatamente la nave; alle 8.50 sottolineò infine
l’ordine con un colpo di cannone da 100 mm, sparato davanti alla prua dell’Artigliere.
L’Artigliere fotografato da bordo dello York alle 8.50 del 12 ottobre (g.c. STORIA militare)
|
Secondo la relazione
britannica, l’Artigliere alzò
bandiera bianca, ma questo non risulta da fonti italiane; peraltro, le diverse
foto dell’Artigliere scattate quella
mattina dalle navi britanniche non mostrano alcuna bandiera bianca sul
cacciatorpediniere. La storia ufficiale dell’USMM commenta che forse qualcuno,
sul cacciatorpediniere, agitò un pezzo di tela; un “Weekly Intelligence Report”
del servizio informazioni dell’Ammiragliato britannico riferisce infatti che
alcuni uomini a bordo dell’Artigliere
agitarono “lenzuola ed asciugamani bianchi, in ovvio segno di resa”. Da parte
italiana, risulta che a poppa venne agitato un cencio per richiamare
l’attenzione dell’equipaggio dello York
sulla presenza a bordo dei feriti che necessitavano di soccorso, non potendo
abbandonare la nave, come fu poi ripetuto a voce.
Dato che la nave
stava affondando molto lentamente, e che non era chiaro se lo York intendesse affondare l’Artigliere oppure tentare di abbordarlo,
si temé che i britannici potessero fare in tempo a salire a bordo ed a
catturare la bandiera di combattimento, che sventolava ancora al picco; si
decise pertanto di affidare la bandiera agli abissi. L’equipaggio superstite si
mise sull’attenti e levò il cappello, poi, «cogli onori prescritti e fra la
irrefrenabile commozione dell’equipaggio», la bandiera scese dal picco, venne
rinchiusa in un sacchetto con un peso e fu quindi lanciata in mare.
Lo York, intanto, si era avvicinato
ulteriormente, portandosi vicino alla poppa dell’Artigliere; gettò in mare uno zatterone tipo Carley, un altro
Carley più piccolo ed una terza zattera di altro tipo, poi comunicò di nuovo in
italiano stentato "Vado cannonere" (sto per aprire il fuoco).
A questo punto, il
maggiore Giannettini ordinò di abbandonare la nave. Tutti gli uomini ancora in
grado di farlo si tuffarono in mare, per ultimi gli ufficiali.
Ruggero
Devich si gettò in mare con altri superstiti e nuotò per allontanarsi dalla
nave, poi si fermò ad una distanza di alcune decine di metri, per assistere
alla fine della sua nave. Si sentivano grida dappertutto: feriti che chiedevano
aiuto, uomini che stavano per annegare, altri che chiamavano amici e compagni.
I naufraghi si erano
da poco scostati dall’Artigliere,
quando lo York, dopo aver girato
attorno al cacciatorpediniere (alle 9.10) ed essersi portato a proravia di
esso, aprì il fuoco sul relitto ormai abbandonato, da brevissima distanza (alle
9.15). Lo York sparò 14 colpi da 203
mm contro il lato sinistro dell’Artigliere,
da una distanza di 1370 metri, ma solo pochi di essi andarono a segno, causando
danni ed incendi a centro nave; allora l’incrociatore lanciò anche uno o due
siluri (a seconda delle fonti).
L’Artigliere sotto il tiro dello York (foto di Robert Milne, scattata
da bordo dell’HMAS Vendetta;
Australian War Memorial)
|
Erano le 9.18. Al
contempo, un altro colpo o due di una nuova salva da 203 mm andarono a segno.
Uno dei siluri colpì
l’Artigliere in corrispondenza del
deposito munizioni poppiero: il cacciatorpediniere scomparve in una colossale
esplosione, con una colonna di fumo e di fiamme altra oltre cento metri, ed
affondò in pochi secondi nel punto 35°47’ N e 16°25’ E (o 36°30’ N e 16°07’ E),
in un’enorme nube di fumo e di vapore. (Altre fonti indicano le 9.05 come ora
dell’affondamento). Così Ruggero Devich descrisse l'affondamento: "Con una fragorosa
esplosione si spezzò a metà, eruttò una palla di fuoco e di fumo nero. Una
grande macchia di nafta segnò la sua tomba".
Una serie di immagini
ritraenti l’impatto del siluro e l’esplosione dell’Artigliere:
(Robert Milne, HMAS Vendetta – Australian War Memorial)
(Imperial War Museum, via www.associazione-venus.it)
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(g.c. STORIA militare)
|
(Robert Milne, HMAS Vendetta – Australian War Memorial)
(Robert Milne, HMAS Vendetta – Australian War Memorial)
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(da “The War at Sea
1940-1944” di John Green e Martin Mace)
|
(Robert Milne, HMAS Vendetta – Australian War Memorial)
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(da www.ww2today.com)
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(Australian War Memorial)
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Visto da bordo del Vampire (da www.navy.gov.au)
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Lo York gettò in mare alcune zattere di
salvataggio perché se ne servissero i naufraghi, poi si allontanò senza
recuperare nessuno, per ricongiungersi alle altre unità che inseguivano il Camicia Nera. Anche gli altri
incrociatori del 3rd Squadron gettarono in mare i propri salvagenti
Carley, ad uso dei sopravvissuti. Nessun incrociatore si fermò per recuperare
naufraghi, per ordine dell’ammiraglio Cunningham: data la scarsa distanza dalle
coste siciliane (90 miglia), le navi britanniche si trovavano infatti entro il
raggio d’azione della Regia Aeronautica, oltre che in acque potenzialmente
infestate da sommergibili. Dopo che il cacciatorpediniere Havock, pochi mesi prima, era stato danneggiato da bombardieri
italiani mentre recuperava superstiti dell’incrociatore Colleoni affondato a Capo Spada, non si voleva correre nuovamente
lo stesso rischio. Il mare era calmo, ed i britannici ritenevano che i
naufraghi sarebbero stati soccorsi dagli italiani stessi.
La colonna di fumo dell’Artigliere in affondamento, vista dallo York (Australian War Memorial).
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Più tardi, comunque,
passarono sul posto i cacciatorpediniere Nubian
(capitano di fregata Richard William Ravenhill) e Vampire (Marina australiana, capitano di vascello Hector Macdonald
Laws Waller), che raccolsero 22 naufraghi dell’Artigliere, tra cui uno o due ufficiali (per altra fonte fu il Vampire a recuperare 22 naufraghi, tra
cui un ufficiale, da una zattera). Sarebbero stati in seguito portati nel campo
di prigionia di Geneifa, in Egitto, e da lì in India.
Gli
altri rimasero in mare. Ruggero Devich ricordò poi che faceva freddo in acqua,
ma non troppo; sorretto dal salvagente, nuotò un po' per scaldarsi ed un po'
per raggiungere qualche zattera sulla quale arrampicarsi. Più di una volta
cercò di issarsi su delle zattere già strapiene, ma ogni volta queste si
rovesciavano; si scatenava allora la confusione generale, tutti cercavano di
tornare a bordo, le zattere si capovolgevano più volte, i feriti gravi
annegavano. Alcuni naufraghi vennero attaccati e divorati dai pescicani. Alla
fine Devich rinunciò a salire e rimase da solo.
Recupero di naufraghi dell’Artigliere da parte del Vampire (sopra: www.navy.gov.au; sotto: Australian War
Memorial)
Lo York segnalò inoltre in chiaro ed in
lingua italiana, su onde lunghe commerciali di ascolto internazionale, la
posizione dei naufraghi: alle 11.40 le stazioni radio italiane intercettarono
un messaggio britannico che recitava «Naufraghi di caccia italiani posizione 35°50’
N 16°22’ E». L’ammiraglio Cunningham, che aveva approvato l’iniziativa del
comandante dello York, sarebbe stato
poi rimproverato dai suoi superiori per questo gesto di cavalleria: «Dato che
la popolazione inglese soffre sotto continui e spietati bombardamenti, sarebbe
opportuno escludere da future comunicazioni riferimenti al valore del nemico o
che possano compromettere la posizione della nostra flotta a vantaggio del
nemico», e Churchill stesso rincarò la dose scrivendo a Cunningham che «questo
genere di belle maniere infuria la gente che sta sopportando in patria
l’ordalia in corso» (Cunningham commentò a riguardo, nelle sue memorie, «potrò
aver sbagliato, ma in questa occasione i cacciatorpediniere italiani avevano
combattuto bene»).
A causa dei confusi
eventi della notte e della mattina, i naufraghi delle tre navi affondate si
erano venute a trovare tutti a poca distanza gli uni dagli altri, una novantina
di miglia ad est di Malta. Questo era accaduto perché Airone ed Ariel avevano
mantenuto rotte convergenti durante l’attacco all’Ajax, venendo così affondate a poca distanza l’una dall’altra, e l’Artigliere – che durante il rastrello si
trovava 16 miglia a sud dell’Ariel –
durante e dopo il combattimento aveva assunto rotta verso nord, finendo con l’essere
affondato nei pressi del punto di affondamento delle due torpediniere.
I sopravvissuti di Artigliere, Airone ed Ariel, più di
150 in tutto, erano soli in mezzo al mare, parte sulle poche imbarcazioni
disponibili (una iole, lasciata dall’Alcione
sul posto prima di allontanarsi, e la motolancia lasciata dal Camicia Nera), i più a bordo di zatterini e
battellini.
Il più alto in grado,
fra i naufraghi, era il comandante dell’Airone
e della I Squadriglia, capitano di corvetta Banfi, seriamente ferito ma
sopravvissuto all’affondamento della propria nave, e recuperato dalla iole
dell’Airone. Banfi assunse il comando
della flottiglia di natanti su cui erano imbarcati i naufraghi; ordinò alla
motobarca del Camicia Nera di
radunare tutti gli zatterini e battellini, per poi prenderli a rimorchio e
dirigere verso nordovest.
Si era in quel
momento nella prima mattina del 12 ottobre, e le informazioni disponibili a
Supermarina e Marina Messina erano ancora molto limitate: soltanto l’Alcione era già giunta in porto, con la
notizia che l’Airone era affondata ed
i sopravvissuti che aveva potuto recuperare, ma niente si sapeva dell’Ariel e nemmeno di cosa fosse successo
all’Artigliere dopo che il Camicia Nera era stato costretto ad
abbandonarlo. Durante la notte e la mattina erano arrivate solo comunicazioni
molto frammentarie dalle unità coinvolte, insufficienti a farsi un quadro
preciso della situazione.
Da Messina, alle otto
del mattino, vennero fatte uscire in mare la III Divisione Navale (incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano) e la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino
Vivaldi, Luca Tarigo ed Antonio Da
Noli); alle 10.15, appreso dalle intercettazioni che il Camicia Nera non aveva più bisogno di
aiuto e che per l’Artigliere non
c’era più nulla da fare, la III Divisione ridusse la velocità a 25 nodi, ed a
mezzogiorno le fu ordinato di rientrare.
Già prima che lo York comunicasse la posizione dei
naufraghi, Marina Messina aveva disposto una ricognizione aerea nel tratto di
mare dove aveva avuto luogo lo scontro, per cercare eventuali superstiti;
l’aereo incaricato della ricerca, l’idrovolante 189/2 della 189a
Squadriglia di Siracusa, decollò intorno a mezzogiorno per esplorare un settore
di 1600 miglia quadrate compreso tra i paralleli 35° 40' N e 36° 20' N ed i
meridiani 16° E e 16° 40' E (ottanta miglia ad est di Malta). Poco dopo, con
l’arrivo ad Augusta del Camicia Nera
e l’intercettazione del messaggio dello York,
Marina Messina comprese che l’Artigliere
doveva essere affondato e che il suo equipaggio era in mare, proprio nella zona
in cui era stato inviato l’idrovolante. Venne allora deciso di inviare sul
posto i MAS 547, 548 e 550 della XV
Squadriglia ed un altro idrovolante; quest’ultimo col compito individuare i
naufraghi e guidare i MAS sulla loro posizione. I MAS salparono da Augusta poco
dopo le 14, e l’idrovolante, il 184/8 della 184a Squadriglia,
decollò dalla stessa base poco prima delle 15.
Il tempo aveva
cominciato a peggiorare: si verificavano frequenti piovaschi, che riducevano di
molto la visibilità, e l’idrovolante della 189a Squadriglia, nella
sua prolungata esplorazione dell’area assegnata (tornò alla base alle 16.30),
avvistò delle chiazze di nafta, ma nessun naufrago, né rottami. Lo videro
invece, con ogni probabilità, i naufraghi stessi, che videro un aereo
sconosciuto nel pomeriggio del 12, molto lontano.
Andò anche peggio
all’idrovolante della 184a Squadriglia, che fu investito dai
piovaschi, non trovò niente (la visibilità era ulteriormente peggiorata) e
perse anche il contatto coi MAS, prima di tornare alla base. I MAS, dal canto
loro, erano stati avvistati ed attaccati da un idrovolante britannico Short
Sunderland, che li bombardò e li mitragliò senza risultato; dopo averlo
respinto col fuoco delle loro mitragliere, giunsero nella zona assegnata ed
arrivarono tanto vicini ai naufraghi che questi sentirono il rumore dei loro
motori, ma non riuscirono ad avvistarli, così come i MAS non riuscirono ad
avvistare i superstiti. Il mare era ora forza 4 ed in aumento, e dopo poco calò
il buio della sera: a notte inoltrata i MAS dovettero rientrare ad Augusta
(dove arrivarono all’una di notte del 13, dopo aver affrontato con difficoltà
una forte libecciata con mare al traverso). Per la seconda volta in poche ore i
naufraghi delle tre siluranti, dopo essere stati ad un passo dalla salvezza, si
ritrovavano soli a lottare contro gli elementi.
Il temporale
scoppiato nel tardo pomeriggio del 12 ottobre, infatti, aveva investito il
gruppo dei superstiti con grande violenza; i natanti vennero dispersi ed alcuni
si capovolsero, e molti naufraghi scomparvero in mare.
Ruggero
Devich, che all'alba del 13 ottobre era riuscito a salire su una zattera con
pochi altri naufraghi, avrebbe in seguito ricordato che i superstiti sul suo
galleggiante, oltre ad essere sfiniti, pativano soprattutto la sete, non
essendovi acqua nella zattera. Un marinaio, che aveva una valigetta con sé,
disse semplicemente "Vado a casa" e poi si tuffò in acqua. Prese a
nuotare, sempre stringendo la valigetta, ma scomparve dopo poche bracciate. Un
altro marinaio tentò di buttarsi a sua volta, ma venne fermato da Devich. Gli
uomini sulla zattera di Devich sarebbero stati soccorsi dopo 36 ore.
Non si salvò, invece, Atride Nigiotti, marinaio livornese di vent'anni. Secondo quanto raccontarono ai parenti alcuni sopravvissuti, fu visto per l'ultima volta a bordo di una zattera con altri marinai; ma di lui non si seppe più nulla. Nigiotti amava il mare e si era arruolato in Marina volontario, convinto da uno zio che insegnava all'Accademia Navale, avente sede proprio nella sua città natale. Era imbarcato sull'Artigliere - "nato" anch'esso, come lui, proprio a Livorno - dal 1939 e si era sposato da pochi mesi quando venne dichiarato disperso nell'affondamento: lasciava una moglie incinta. La madre, Isbene, continuò ad aspettarlo: durante la guerra era sempre pronta ad offrire da mangiare a soldati di passaggio, tedeschi o Alleati, spiegando che sperava che se il figlio avesse bussato ad una porta chissà dove, avrebbe trovato anche lui una mamma che gli avrebbe offerto da mangiare. Anche a vent'anni di distanza dalla scomparsa, e fino alla fine della sua vita, avrebbe continuato a sperare: "Ogni volta che suonavano alla porta e non aspettavamo nessuno, lei correva all'uscio pensando che fosse lui che tornava a casa". Nel 2012 i fratelli di Atride Nigiotti, ormai alla soglia dei novant'anni, hanno acquistato una pagina del giornale locale "Il Tirreno" per ricordarlo: "Avevi poco più di vent'anni. La Regia Marina ti dette per disperso, mamma ti ha aspettato tutta la vita. I tuoi fratelli, Tommaso e Cesare, vecchi rincoglioniti, ti ricordano con immutato affetto".
Non si salvò, invece, Atride Nigiotti, marinaio livornese di vent'anni. Secondo quanto raccontarono ai parenti alcuni sopravvissuti, fu visto per l'ultima volta a bordo di una zattera con altri marinai; ma di lui non si seppe più nulla. Nigiotti amava il mare e si era arruolato in Marina volontario, convinto da uno zio che insegnava all'Accademia Navale, avente sede proprio nella sua città natale. Era imbarcato sull'Artigliere - "nato" anch'esso, come lui, proprio a Livorno - dal 1939 e si era sposato da pochi mesi quando venne dichiarato disperso nell'affondamento: lasciava una moglie incinta. La madre, Isbene, continuò ad aspettarlo: durante la guerra era sempre pronta ad offrire da mangiare a soldati di passaggio, tedeschi o Alleati, spiegando che sperava che se il figlio avesse bussato ad una porta chissà dove, avrebbe trovato anche lui una mamma che gli avrebbe offerto da mangiare. Anche a vent'anni di distanza dalla scomparsa, e fino alla fine della sua vita, avrebbe continuato a sperare: "Ogni volta che suonavano alla porta e non aspettavamo nessuno, lei correva all'uscio pensando che fosse lui che tornava a casa". Nel 2012 i fratelli di Atride Nigiotti, ormai alla soglia dei novant'anni, hanno acquistato una pagina del giornale locale "Il Tirreno" per ricordarlo: "Avevi poco più di vent'anni. La Regia Marina ti dette per disperso, mamma ti ha aspettato tutta la vita. I tuoi fratelli, Tommaso e Cesare, vecchi rincoglioniti, ti ricordano con immutato affetto".
Verso l’alba del 13
ottobre, quando il tempo iniziò a migliorare, Banfi riunì di nuovo i natanti
superstiti e si rimise in rotta verso nordovest, alla misera velocità che una
motobarca gravata da rimorchio poteva fare.
Il mattino del 13
ottobre ripresero le ricerche aeree; i MAS erano in porto, pronti a salpare non
appena fosse stato comunicato un avvistamento. Alle 8.30 decollò da Augusta il
CANT Z. 184/9 della 184a Squadriglia, per esplorare la stessa zona
del giorno precedente, ed al contempo prese il volo dalla stessa base un CANT
Z. 506 della 170a Squadriglia.
Il 184/9 avvistò
finalmente qualcosa alle 11.30: un’imbarcazione con dei naufraghi a 50 miglia
per 130° da Capo Passero, allo spigolo nordoccidentale del settore di ricerca.
All’idrovolante fu ordinato di volare in cerchio attorno all’imbarcazione per
segnalarne la posizione ai MAS, che partirono subito da Augusta; Marina Messina
contattò subito anche il comando della 2a Squadra Aerea di Palermo,
richiedendo l’invio di un idrovolante di soccorso CANT Z. 506 da Siracusa. Ciò
fu fatto ma l’aereo, giunto nell’area indicata, non riuscì a trovare i
superstiti.
Intanto, invece, fu
il 170/7 a trovare qualcosa, segnalando un gruppo di zattere con naufraghi poco
lontano dall’avvistamento del 184/9. Il 170/7 era però giunto al limite
dell’autonomia, e doveva rientrare a breve; per questo la 184a e la
186a Squadriglia misero a disposizione altri due idrovolanti, il
186/4 (che decollò da Augusta alle 14.50 con l’ordine di esplorare la zona
segnalata e, in caso di avvistamento di naufraghi, tenersi sul loro cielo per
guidarvi i MAS) ed il 184/6 (il quale decollò da Augusta alle 15.20 con
l’incarico di tenersi in crociera fra il punto dell’ultima segnalazione del
gruppo di zattere e Malta, per preavvisare dell’eventuale arrivo di navi
nemiche dall’isola). Un altro CANT Z. 501, il 189/7 della 189a
Squadriglia, in volo da Tripoli ad Augusta, venne dirottato sul luogo dello
scontro per partecipare alle ricerche, ed in breve avvistò anch’esso dei
naufraghi nella stessa zona dei due precedenti avvistamenti, segnalandoli ai
MAS. Alle 15.10, l’Alcione lasciò
Augusta diretta a Capo Passero, per poi proseguire verso la zona dove si
trovavano i superstiti. La nave ospedale Aquileia,
in navigazione nel Mediterraneo centrale, ricevette da Supermarina l’ordine di
passare nella zona dello scontro, pur senza ricevere specifico ordine di
raggiungere il punto indicato dagli idrovolanti. Marina Messina richiese ancora
a Supermarina, che assentì, l’utilizzo della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere
(Vivaldi, Tarigo e Da Noli), che
salpò da Messina alle 18.30 per rastrellare, fino alle otto del mattino
seguente, un vasto settore attorno al punto di avvistamento delle zattere
trovate dall’idrovolante 189/7 (zona che i cacciatorpediniere raggiunsero a
notte fatta).
I primi a raggiungere
i naufraghi furono i MAS; per prima trovarono la iole dell’Alcione, poi l’idrovolante 184/6 li guidò fino agli altri natanti.
I naufraghi erano ormai in mare da 36 ore; ne erano rimasti in vita 137, che
furono tutti recuperati dai MAS. Dato che i tre fragili scafi erano ora
sovraccarichi, l’idrovolante 184/6 guidò verso di loro l’Alcione, che prese a bordo da essi una sessantina di sopravvissuti.
Fattasi sera, MAS ed Alcione si
misero in rotta verso Augusta, dove arrivarono alle 23.50; lo stesso fece il
184/6, che ammarò alla base a notte fatta.
Durante la notte le
ricerche vennero proseguite dalla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, che (su
ordine di Supermarina) rastrellarono l’area fino alle 3.40, per poi tornare ad
Augusta alle otto senza aver trovato niente. Alle 7.15 del 14 ottobre, intanto,
decollarono da Augusta gli idrovolanti 184/3 e 186/1, che esplorarono la solita
zona; questa volta, però, trovarono solo zattere vuote, rottami e tre salme.
Alle nove arrivò ad
Augusta l’Aquileia; venne fatta
ripartire alle 10.30, con l’ordine di portarsi nel punto 80 miglia ad est di
Gozo ed effettuare ulteriori ricerche (ciò avvenne alle 18.15).
Alle 12.40
decollarono da Augusta il 184/9 ed il 186/4, che perlustrarono la metà
superiore della zona senza più trovare nessun naufrago in vita; soltanto
rottami, salvagenti in kapok, zatterini carley vuoti e tre gruppi di cadaveri,
con indosso i salvagente. Mentre tornavano alla base, gli idrovolanti videro
che l’Aquileia era giunta nei pressi,
ed aveva messo a mare le imbarcazioni. Appena giunta nel punto assegnato,
infatti, la nave ospedale aveva avvistato dei rottami, e recuperato cinque
cadaveri. Rimase in zona per tutta la notte, a lento moto, ma non avvistò
superstiti, né sentì grida di aiuto; all’alba avvistò altri rottami, altre
zattere ed un altro corpo senza vita.
Alle 7.40 del 15
ottobre decollò da Augusta l’idrovolante 186/4, che effettuò un’altra minuziosa
ricerca ma trovò soltanto zattere e rottami.
Alle 9.30 l’Aquileia, non avendo avvistato
sopravvissuti né ricevuto segnalazioni da aerei, si mise in navigazione per
tornare ad Augusta.
Alle 13 decollò da
Siracusa l’idrovolante 189/7; la sua accurata ricerca permise di nuovo di
trovare solo natanti, zattere e rottami. Avvistò anche un cadavere e, grazie al
miglioramento del tempo, poté ammarare nei suoi pressi, recuperando la
piastrina di riconoscimento.
Nell’evidenza che non
vi erano altri naufraghi da salvare, le ricerche vennero concluse. Durante tali
operazioni alcuni degli idrovolanti erano stati attaccati da aerei britannici
da caccia e ricognizione, ma erano sempre riusciti ad uscirne intatti.
I 137 naufraghi
recuperati dai MAS il 13 ottobre erano 82 superstiti dell’Artigliere, 41 dell’Ariel
e 12 dell’Airone, oltre a due marinai
del Camicia Nera rimasti a bordo
della motolancia quando la loro nave se n’era andata.
Compresi i 72 naufraghi
già salvati dall’Alcione subito dopo l’affondamento
dell’Airone ed i 18 recuperati dal Camicia Nera prima di lasciare l’Artigliere, le unità italiane
recuperarono in tutto 225 sopravvissuti, di cui 100 dell’Artigliere, 84 dell’Airone
e 41 dell’Ariel; circa metà di quanti
erano imbarcati sulle tre navi affondate.
Dell’equipaggio dell’Artigliere, in totale, 100 uomini vennero
salvati dalle unità italiane, mentre 22 vennero recuperati dal Vampire e fatti prigionieri. Morirono 3
ufficiali, tra cui il comandante Margottini, e 129 tra sottufficiali, sottocapi
e marinai.
Perirono con l’Artigliere:
Enzo Anselmo, marinaio silurista, disperso
Giuseppe Aquila, marinaio cannoniere, disperso
Fortunato Arcoraci, marinaio fuochista,
disperso
Loris Baldacci, sottocapo cannoniere, deceduto
Silvio Bartoli, marinaio fuochista, disperso
Antonino Bartolo, marinaio, disperso
Aldo Battistoni, marinaio, disperso
Gaetano Beggiato, marinaio motorista, disperso
Beltrando Bellotti, sottocapo S.D.T., disperso
Alberto Bencini, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Mario Bianchi, secondo capo cannoniere,
disperso
Imero Boccone, sottocapo meccanico, disperso
Carmelo Bonanno, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Bosi, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Bottero, sottocapo silurista,
disperso
Giuseppe Bracciani, sottocapo meccanico,
deceduto in territorio metropolitano il 28.10.1945 (?)
Giovanni Brancato, marinaio cannoniere,
disperso
Edmondo Brian, guardiamarina, disperso
Giovanni Bussani, marinaio nocchiere, disperso
Gaetano Cacciamo, marinaio, disperso
Vincenzo Camera, marinaio cannoniere, disperso
Flavio Campanini, marinaio, disperso
Achille Campulla, marinaio cannoniere,
disperso
Luigi Cappa, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Caruso, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Castaldo, marinaio nocchiere,
disperso
Michele Cataldo, marinaio fuochista, disperso
Walter Cavallet, marinaio cannoniere, disperso
Enrico Ceragioli, marinaio fuochista, disperso
Gioacchino Cervello, marinaio, disperso
Cesare Cervini, sergente cannoniere, disperso
Domenico Chirico, marinaio, disperso
Fabio Cini, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Luigi Cinotti, secondo capo S.D.T., disperso
Salvatore Ciriminna, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Angelo Co, marinaio cannoniere, disperso
Gian Gastone Cortigiani, marinaio cannoniere,
disperso
Bruno Cosnici, marinaio meccanico, disperso
Dante Costantino, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Costanzo, marinaio cannoniere,
disperso
Angelo Curioni, marinaio elettricista,
disperso
Vincenzo D’Acunto, marinaio, disperso
Marino D’Alessio, marinaio cannoniere,
disperso
Pasquale D’Andria, secondo capo furiere,
disperso
Gino Dalla, marinaio cannoniere, disperso
Pasquale De Carli, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni De Martino, marinaio, disperso
Antonino De Salvo, marinaio cannoniere,
disperso
Corrado Del Greco, tenente di vascello,
disperso
Odoardo Di Giovanni, sergente elettricista,
disperso
Giuseppe Di Grano, marinaio fuochista,
disperso
Pasquale Di Massa, marinaio, disperso
Angelo Donati, marinaio cannoniere, disperso
Tommaso Dragani, marinaio fuochista, disperso
Antonio Erbetta, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Esposito, marinaio S.D.T., disperso
Mario Esposito, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Favuzzi, marinaio, disperso
Dino Ferrarini, marinio silurista, disperso
Remo Ferzoco, sergente cannoniere, disperso
Ruffilo Fogli, marinaio fuochista, disperso
Emilio Fontana, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Formisano, marinaio furiere, disperso
Ernesto Francese, marinaio cannoniere,
disperso
Salvatore Fresca, marinaio, disperso
Giovanni Fusco, marinaio cannoniere, disperso
Michele Galasso, marinaio fuochista, disperso
Albertino Galazzo, marinaio meccanico,
disperso
Luigi Garlati, marinaio silurista, disperso
Attilio Giorgi, marinaio silurista, deceduto
Raimondo Goldoni, sergente S.D.T., disperso
Fausto Guerrera, marinaio carpentiere,
disperso
Tullio Hottinger, sottocapo cannoniere,
disperso
Pellegrino Iacovella, sottocapo cannoniere,
disperso
Gabriele Iovino, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Pasquale Lezzi, marinaio segnalatore, disperso
Tullio Libratti, sottocapo S.D.T., disperso
Francesco Licci, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Antonino Longhitano, marinaio fuochista,
disperso
Vitaliano Lubelli, marinaio cannoniere,
disperso
Nicola Maglio, marinaio nocchiere, disperso
Antonino Maltese, marinaio cannoniere,
deceduto
Michele Mancarella, marinaio cannoniere,
deceduto
Sebastiano Marchesan, marinaio, deceduto
Adriano Marchetti, marinaio fuochista,
disperso
Marino Marchetti, sottocapo cannoniere,
disperso
Carlo Margottini, capitano di vascello
(comandante della nave e della XI Squadriglia Cacciatorpediniere), disperso
Nicola Martini, marinaio torpediniere,
disperso
Carlo Martorana, marinaio fuochista, deceduto
Gennaro Mataluni, marinaio, disperso
Girolamo Megna, marinaio fuochista, disperso
Antonio Minniti, sergente nocchiere, disperso
Pietro Mirandola, sottocapo meccanico,
disperso
Paolo Monticelli, marinaio S.D.T., disperso
Enrico Mora, marinaio, disperso
Giovanni Moratti, marinaio elettricista,
disperso
Rocco Moro, marinaio fuochista, disperso
Franco Motta, marinaio, disperso
Guerrino Muccini, sottocapo nocchiere,
deceduto
Archimede Muzzi, secondo capo meccanico,
disperso
Matteo Negovetich, marinaio cannoniere,
disperso
Atride Nigiotti, marinaio elettricista,
disperso
Bruno Nordio, marinaio, disperso
Attilio Obertello, sottocapo cannoniere,
deceduto
Biagio Paesano, marinaio, disperso
Vincenzo Passaro, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Pennacchio, sottocapo cannoniere,
deceduto
Pompeo Pintabona, marinaio, disperso
Mario Primelli, marinaio fuochista, disperso
Olindo Quaggio, marinaio fuochista, disperso
Sergio Ravagnin, marinaio fuochista, disperso
Giobatta Reatto, sottocapo cannoniere,
disperso
Antonio Regina, marinaio fuochista, disperso
Silvio Rezzano, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Robotti, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Romano, marinaio, disperso
Amleto Sales, sottocapo furiere, disperso
Francesco Santacaterina, sottocapo nocchiere,
disperso
Paolo Schena, marinaio cannoniere, disperso
Santolo Scognamiglio, marinaio cannoniere,
disperso
Emilio Serra, marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe Sorrentino, marinaio, deceduto
Giuseppe Sorrento, marinaio, disperso
Riccardo Spada, marinaio, disperso
Francesco Szauer, sottocapo silurista,
disperso
Giuseppe Tricarico, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Vadalà, marinaio, disperso
Catello Vanacore, marinaio fuochista, disperso
Silverio Vendittis, marinaio, disperso
Carmine Veneziano, marinaio fuochista,
disperso
Teofilo Verga, sottocapo S.D.T., disperso
Leo Vidili, sergente radiotelegrafista,
disperso
Donato Vistoso, marinaio cannoniere, disperso
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
vascello Carlo Margottini, nato a Roma il 18 gennaio 1899:
“Comandante di una
squadriglia di cacciatorpediniere, ne curò con appassionato fervore la
preparazione materiale e spirituale, prodigandovi singolarissime doti di
organizzazione e di animatore. La portò una prima volta il 9 luglio all'attacco
del nemico di pieno giorno, allo scoperto, con mirabile audacia.
L'11 ottobre, avuto l'ordine di eseguire con la propria squadriglia e con una
squadriglia di torpediniere una ricerca notturna in prossimità di base nemica,
condusse l'operazione con grande perizia. Incontrato il nemico, gli lanciò
contro le sue siluranti e, nonostante la violentissima reazione di fuoco,
magnifico esempio di spirito aggressivo che non conosce ostacolo, portò
arditissimamente la propria unità all'attacco ravvicinato finché, lanciati i
siluri, venne colpita in pieno da tre salve ed incendiata.
Al termine dell'azione conclusasi con il siluramento di un grande incrociatore
avversario, il comandante Margottini, sebbene colpito a morte, prodigava ancora
parole di incitamento alla sua gente trasfondendo in essa il suo spirito
eroico, e spirava sulla plancia al suo posto di combattimento invocando
un'ultima volta il nome della Patria.”
Sopra, il
comandante Margottini il 27 aprile 1940, giorno dell’assunzione del comando
dell’Artigliere; sotto, un opuscolo
edito nel 1942 sull’ultima azione di Margottini e dell’Artigliere (g.c. Giovanni Pinna)
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello
Corrado Del Greco, nato a Firenze il 16 dicembre 1906:
“Ufficiale assistente
di una squadriglia di cacciatorpediniere, dopo aver magnificamente coadiuvato
il proprio comandante nella preparazione materiale e spirituale di essa e nella
brillante condotta di numerose operazioni di guerra, gli fu vicino con la
persona e con l'ausilio anche durante l'ultimo attacco, portato audacemente a
fondo nonostante la violenta reazione nemica. Colpito a morte a fianco del
Comandante, e sopravvissutogli, tenne, nelle poche ore che ancora ebbe di
respiro e pur sentendo imminente la fine, il comando della nave con ordini,
consigli e incitamenti e in così tranquilla serenità da lasciare traccia
indelebile in coloro che ritornarono.
Morì sulla sua nave in pochi istanti prima che essa si inabissasse
gloriosamente.
Canale di Sicilia, 12 ottobre 1940.”
L’Artigliere negli anni Trenta (Coll. Maurizio Brescia) |
Il relitto dell'Artigliere è stato localizzato nel marzo 2017 dal Petrel, la nave da ricerca del miliardario statunitense Paul G. Allen, cofondatore di Microsoft, appassionato di esplorazioni sottomarine. Il relitto del cacciatorpediniere giace a più di 3600 metri di profondità: la nave appare estremamente danneggiata (probabilmente sia dall'esplosione che ne segnò l'affondamento, sia dall'impatto contro il fondo) e parzialmente sepolta nel fondale, ma numerosi particolari sono riconoscibili ed eccezionalmente ben conservati (persino privi di incrostazioni, nonostante i decenni trascorsi sott'acqua); tra di essi le artiglierie, i tubi lanciasiluri e persino la sigla identificativa "AR" presente sullo scafo, che appare ancora chiaramente visibile a quasi ottant'anni di distanza.
Alcune
immagini del relitto dell’Artigliere
(Paul Allen – www.paulallen.com):
Scontro nella notte del 12 ottobre 1940, su Trentoincina
Notizia del ritrovamento su "La Repubblica"
La storia di Ruggero Devich
Atride Nigiotti, scomparso con l'Artigliere
Notizia del ritrovamento su "La Repubblica"
La storia di Ruggero Devich
Atride Nigiotti, scomparso con l'Artigliere