Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (1900 tonnellate di dislocamento
standard, 2605 tonnellate a pieno carico). Insieme al Nicoloso Da Recco, si distingueva dai gemelli per aver mantenuto
l’originaria prua verticale, sostituita su tutte le altre unità della classe
con una prua “a clipper” nel corso di un ciclo di lavori tra il 1938 ed il
1940.
Durante la seconda guerra mondiale svolse 113 missioni di guerra (7 di ricerca del nemico, 17 di posa di mine, 38 di scorta convogli, quattro di caccia antisommergibili, tre di trasporto, 12 di trasferimento, 6 per esercitazione, 24 di altro tipo), percorrendo 42.296 miglia nautiche, trascorrendo quasi 2618 ore in navigazione e passando 101 giorni ai lavori.
Il suo motto era "Navigare necesse" ("navigare è necessario", celebre frase attribuita a Pompeo Magno).
Breve e parziale cronologia.
1° giugno 1927
Impostazione presso i cantieri Odero di Sestri Ponente.
12 maggio 1929
Varo presso i cantieri Odero di Sestri Ponente.
21 novembre 1929
Entrata in servizio, come esploratore, sesta unità della classe ad entrare in servizio. L’Usodimare entrerà poi a far parte della Divisione Esploratori dell’ammiraglio Bucci, costituita dalle dodici unità della classe Navigatori.
Durante la seconda guerra mondiale svolse 113 missioni di guerra (7 di ricerca del nemico, 17 di posa di mine, 38 di scorta convogli, quattro di caccia antisommergibili, tre di trasporto, 12 di trasferimento, 6 per esercitazione, 24 di altro tipo), percorrendo 42.296 miglia nautiche, trascorrendo quasi 2618 ore in navigazione e passando 101 giorni ai lavori.
Il suo motto era "Navigare necesse" ("navigare è necessario", celebre frase attribuita a Pompeo Magno).
Breve e parziale cronologia.
1° giugno 1927
Impostazione presso i cantieri Odero di Sestri Ponente.
12 maggio 1929
Varo presso i cantieri Odero di Sestri Ponente.
21 novembre 1929
Entrata in servizio, come esploratore, sesta unità della classe ad entrare in servizio. L’Usodimare entrerà poi a far parte della Divisione Esploratori dell’ammiraglio Bucci, costituita dalle dodici unità della classe Navigatori.
Grandi lavori di modifica tesi a ridurre i pesi situati in alto per migliorare la precaria stabilità trasversale, abbassando le sovrastrutture prodiere di un livello, sostituendo l’albero a tripode con uno a fuso, rendendo inutilizzabili i serbatoi di nafta sopra la linea di galleggiamento (e conseguentemente riducendo l’autonomia, causa la riduzione di circa cento tonnellate del carburante imbarcabile) e sostituendo i due impianti trinati di tubi lanciasiluri con altrettanti impianti binati.
Dicembre 1930-Marzo 1931
L’Usodimare è tra le unità adibite ad appoggiare la crociera aerea transatlantica dall’Italia al Brasile di Italo Balbo. Le navi assegnate a questo compito, che compongono la Divisione Esploratori (o "Divisione Navale dell’Oceano") al comando dell’ammiraglio di divisione Umberto Bucci (con insegna sul Da Recco), sono tutte unità della classe Navigatori, suddivise in tre gruppi disposti lungo la rotta degli idrovolanti: Usodimare ed Emanuele Pessagno formano il III Gruppo (di competenza della parte africana dell’Atlantico), mentre Nicoloso Da Recco, Luca Tarigo ed Ugolino Vivaldi costituiscono il I Gruppo (dislocati alle Canarie ed assegnati all’Atlantico centrale) e Leone Pancaldo, Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello formano il II Gruppo dislocato a Pernambuco, per l’assistenza nella zona americana dell’Atlantico. In tal modo, gli otto esploratori “copriranno” completamente il tragitto che gli idrovolanti dovranno percorrere, dall’Africa al Brasile.
Gli esploratori salpano da La Spezia scaglionati per raggiungere le rispettive posizioni assegnate, ed attendervi il passaggio degli idrovolanti; il II Gruppo parte il 30 novembre 1930, gli altri due il 1° dicembre 1930, seguendo itinerari differenti. In particolare il III Gruppo, comprensivo del Da Recco, arriva ad Almeria (Andalusia) il 3 dicembre 19330, poi tocca La Luz il 9 dicembre, indi scorta gli aerei tra Kenitra (costa atlantica del Marocco) e Villa Cisneros (Sahara Occidentale); le unità del III Gruppo si riuniscono a Dakar il 27 dicembre e da qui salpano dirette, rispettivamente, a Bahia (Usodimare) e Pernambuco (Pessagno). Gli esploratori passeranno in mare quasi quattro mesi; loro compito sarà di aiutare gli aerei ad orientarsi, fungendo da faro di riferimento di notte e fornendo loro rilevamenti radiogoniometrici di giorno, oltre a prestare soccorso ad eventuali idrovolanti che fossero costretti ad ammarare nell’oceano.
La crociera aerea Italia-Brasile costituisce la prima trasvolata oceanica in formazione mai compiuta: quattordici idrovolanti Savoia Marchetti S. 55, guidati dallo stesso Balbo, decolleranno da Orbetello (vicino a Grosseto) e raggiungeranno Bahia, in Brasile, facendo scalo intermedio a Cartagena (Spagna), Kenitra (Marocco), Villa Cisneros (Marocco), Bolama (Guinea) e Natal (Brasile). Undici Savoia Marchetti S. 55 (gli altri tre si aggregheranno in Africa) decollano da Orbetello il mattino del 17 dicembre 1930, e dopo aver fatto scalo alle Baleari (dove si verificano i primi problemi a causa di una tempesta ciclonica), in Spagna (Cartagena) ed in Marocco (a Kenitra sulla costa atlantica e poi a Villa Cisneros, nella baia del Rio de Oro), raggiungono il 25 dicembre la baia di Bolama, nella Guinea portoghese. Da qui ripartono tra la mezzanotte e le due di notte del 6 gennaio 1931 per compiere la traversata dell’Oceano Atlantico, tremila chilometri da coprire in venti ore. Le condizioni meteorologiche sono sfavorevoli – gli aerei sono pronti alla partenza fin dal 1° gennaio, ma questa è stata più volte rinviata a causa del maltempo –, ma si decide di partire lo stesso per non perdere il plenilunio. In fase di decollo si verificano purtroppo due gravi incidenti: l’idrovolante I-RECA del capitano Enea Silvio Recagno, dopo essere salito fino a 45 metri di quota, è costretto ad un ammaraggio forzato, che provoca il danneggiamento di un galleggiante e la morte del sergente meccanico Luigi Fois; l’idrovolante I-BOER, del capitano Luigi Boer, è costretto ad un atterraggio forzato dieci minuti dopo il decollo e s’incendia, provocando la morte dei quattro uomini dell’equipaggio. Un altro idrovolante, l’I-VALL pilotato dal generale Giuseppe Valle, ha problemi a decollare e riuscirà a partire soltanto un’ora e mezza dopo il resto degli aerei, che tuttavia riuscirà a raggiungere prima dell’arrivo in Brasile (anzi, arriverà prima di alcuni degli altri idrovolanti, sebbene questi siano decollati prima di lui, avendo sapientemente sfruttato i venti delle bassissime quote). Le condizioni meteorologiche sono pessime, rendendo molto difficile il mantenimento della formazione: buio pesto nelle prime ore di volo, forti piogge il mattino del 6 gennaio, cielo coperto con piogge occasionali durante il giorno, e fitte nubi presso la costa brasiliana. Per le prime sei ore di volo gli idrovolanti la navigazione avviene esclusivamente attraverso la strumentazione di bordo. Le autorità brasiliane inviano continuamente agli idrovolanti bollettini sull’evoluzione della situazione meteo, e Balbo si mantiene costantemente in contatto con le navi appoggio, con Bolama, con Natal e con Roma. Due degli idrovolanti, l’I-BAIS e l’I-DONA, sono costretti ad ammarare in pieno oceano a causa di avarie, ma entrambi vengono raggiunti e soccorsi, rispettivamente, da Pessagno e Da Noli.
Alle 19.30 dello stesso giorno i dieci idrovolanti rimasti raggiungono Porto Natal, in Brasile, dove l’8 gennaio li raggiunge anche l’I-DONA, riuscito a ripartire dopo aver riparato l’avaria (non così l’I-BAIS, sfasciatosi dopo essere stato gettato dalle onde contro lo scafo del Pessagno). I tremila chilometri tra Bolama e Natal sono stati coperti in 18 ore.
Da Natal gli undici velivoli ripartono per Bahia, dove giungono l’11 gennaio, da dove proseguono verso la loro destinazione finale (altri 1400 km di distanza): Rio de Janeiro. Qui la formazione di Balbo giunge alle cinque del pomeriggio del 15 gennaio, ammarando nella baia della metropoli brasiliana, dopo aver coperto complessivamente 10.350 km (5600 miglia) in 61 ore e mezzo di volo, concludendo trionfalmente la traversata. Esploratori – riunitisi in un’unica formazione proprio quel giorno – ed aerei giungono a Rio simultaneamente: le otto unità della Divisione Navale dell’Oceano imboccano la baia di Guanahara in linea di fila, divisi in due colonne, mentre gli idrovolanti di Balbo sopraggiungono in formazione a cuneo, davanti al Pan di Zucchero, scortati da biplani dell’aviazione brasiliana. Mentre l’idrovolante di Balbo, l’I-BALB, alza la bandiera italiana, gli otto “Navigatori” salutano con 19 salve dei loro 48 pezzi da 120 mm; rendono il saluto anche le batterie brasiliane situate nelle isole e sulle coste della baia, nonché le navi brasiliane presenti alla fonda. Assiste all’arrivo degli idrovolanti un milione di persone.
Il 7 febbraio, a impresa aviatoria conclusa, la Divisione Esploratori inizia il viaggio di ritorno, divisa in due gruppi: l’Usodimare forma il II Gruppo, insieme a Da Recco, Pessagno e Vivaldi, che fa scalo in successione a Bahia, Pernambuco e Fernando de Noronha. Il 21 febbraio il Da Recco, causa un’avaria ai condensatori, è costretto a rientrare a Pernambuco scortato dal Vivaldi, mentre l’ammiraglio Bucci trasferisce la sua insegna sull’Usodimare, che insieme al Pessagno prosegue e fa scalo a Dakar, Santa Cruz de Tenerife e Ceuta, dove le due unità arrivano il 6 marzo. Riunite così sei delle otto unità della Divisione (Usodimare, Pessagno, Tarigo, Pancaldo, Malocello e Da Noli), queste proseguono la navigazione l’11 marzo e, dopo un ultimo scalo ad Algeri, giungono a Gaeta il 18 marzo 1931.
Nella sua relazione, l’ammiraglio Bucci evidenzia che, quando il carico di nafta dei Navigatori scende sotto le 250 tonnellate, le sbandate in accostata divengono considerevoli; su Pessagno e Pancaldo, in particolare, con carico di nafta ridotto a 120 tonnellate si è reso necessario l’allagamento di alcuni depositi per mantenere la stabilità.
In questo periodo è comandante dell'Usodimare il capitano di vascello Vincenzo Magliocco; suo secondo è un concittadino di Balbo, il ferrarese capitano di corvetta Ludovico Sitta.
8 dicembre 1931
Ormeggiato di poppa alla calata Gadda del porto di Genova, l’Usodimare riceve a Genova la bandiera di combattimento (offerte dalla città di Genova e dai paesi natali dei navigatori cui le navi sono intitolate), insieme ai gemelli Ugolino Vivaldi, Alvise Da Mosto, Antonio Da Noli, Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Leone Pancaldo e Lanzerotto Malocello, nel corso di una grande cerimonia cui partecipano anche il cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, che benedice le bandiere, il senatore Eugenio Broccardi (podestà di Genova) e l’ammiraglio Bucci. La bandiera di combattimento dell’Usodimare è offerta dal Comune di Genova.
La cerimonia inizia alle 10.30 con la celebrazione della messa da parte del reverendo Nebbiolo, cappellano della 1a Squadra Navale, al cospetto delle autorità civili e militari; alle 11 il cardinale Minoretti sale a bordo del Da Noli, nave ammiraglia della Divisione Esploratori, ed impartisce la benedizione alle otto bandiere di combattimento, dopo di che il podestà Broccardi pronuncia un discorso e l’ammiraglio Bucci esprime un breve ringraziamento. Si tiene poi la cerimonia dell’alzabandiera; le otto bandiere sono issate a riva dell’alberetto poppiero di ciascuna nave, al grido di "Viva il re" da parte degli equipaggi, mentre i cannoni sparano le salve regolamentari per la celebrazione. Alle 11.35 la cerimonia ha termine e le autorità prendono parte ad un rinfresco offerto dal Comando della Divisione Esploratori a bordo del Da Noli.
1932
Lavori di sostituzione del timone originario con uno di maggiori dimensioni, per migliorarne la non eccellente manovrabilità.
22 aprile 1934
Ormeggiato di poppa alla calata Gadda del porto di Genova, l’Usodimare riceve a Genova la bandiera di combattimento (offerte dalla città di Genova e dai paesi natali dei navigatori cui le navi sono intitolate), insieme ai gemelli Ugolino Vivaldi, Alvise Da Mosto, Antonio Da Noli, Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Leone Pancaldo e Lanzerotto Malocello, nel corso di una grande cerimonia cui partecipano anche il cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, che benedice le bandiere, il senatore Eugenio Broccardi (podestà di Genova) e l’ammiraglio Bucci. La bandiera di combattimento dell’Usodimare è offerta dal Comune di Genova.
La cerimonia inizia alle 10.30 con la celebrazione della messa da parte del reverendo Nebbiolo, cappellano della 1a Squadra Navale, al cospetto delle autorità civili e militari; alle 11 il cardinale Minoretti sale a bordo del Da Noli, nave ammiraglia della Divisione Esploratori, ed impartisce la benedizione alle otto bandiere di combattimento, dopo di che il podestà Broccardi pronuncia un discorso e l’ammiraglio Bucci esprime un breve ringraziamento. Si tiene poi la cerimonia dell’alzabandiera; le otto bandiere sono issate a riva dell’alberetto poppiero di ciascuna nave, al grido di "Viva il re" da parte degli equipaggi, mentre i cannoni sparano le salve regolamentari per la celebrazione. Alle 11.35 la cerimonia ha termine e le autorità prendono parte ad un rinfresco offerto dal Comando della Divisione Esploratori a bordo del Da Noli.
1932
Lavori di sostituzione del timone originario con uno di maggiori dimensioni, per migliorarne la non eccellente manovrabilità.
22 aprile 1934
L’Usodimare, inquadrato nella I
Squadriglia Esploratori insieme ai gemelli Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi ed Alvise Da
Mosto, ed unitamente alla II Squadriglia Esploratori (formata dai
gemelli Lanzerotto Malocello, Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno e Giovanni
Da Verrazzano) nonché alla IV Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino
Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) ed al posamine Dardanelli, presenzia alla cerimonia per
la consegna della bandiera di combattimento agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni e Luigi Cadorna, nel bacino di San Marco a
Venezia.
10 agosto 1934
Alle 00.50 l’Usodimare, proveniente dal Lido di Roma e diretto a Napoli, viene speronato dal piroscafo Pallade, in navigazione da Torre Annunziata a Gaeta, nel canale tra Procida e la penisola di Capo Miseno. Tre membri dell’equipaggio dell’Usodimare perdono la vita, ed altri 17 rimangono feriti; l’esploratore subisce un grosso squarcio a proravia del complesso binato prodiero da 120 mm, sul lato dritto. Il Pallade, invece, non subisce danni. L’Usodimare può raggiungere Napoli con i propri mezzi, venendo poi immesso in bacino per le necessarie riparazioni.
10 agosto 1934
Alle 00.50 l’Usodimare, proveniente dal Lido di Roma e diretto a Napoli, viene speronato dal piroscafo Pallade, in navigazione da Torre Annunziata a Gaeta, nel canale tra Procida e la penisola di Capo Miseno. Tre membri dell’equipaggio dell’Usodimare perdono la vita, ed altri 17 rimangono feriti; l’esploratore subisce un grosso squarcio a proravia del complesso binato prodiero da 120 mm, sul lato dritto. Il Pallade, invece, non subisce danni. L’Usodimare può raggiungere Napoli con i propri mezzi, venendo poi immesso in bacino per le necessarie riparazioni.
Il danno alla prua dell’Usodimare (foto tratta da Warships 1900-1950, crediti sconosciuti) |
Un’altra foto dell’Usodimare danneggiato dopo la collisione con il Pallade (foto scattata dal maresciallo capo cannoniere Antonio Miccoli dell’Alvise Da Mosto, dal blog La Voce del Marinaio)
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29 dicembre 1936
L’Usodimare salpa da La Spezia per scortare a Cadice il piroscafo Traviata, noleggiato dalle Ferrovie dello Stato per trasportare rifornimenti per il Corpo Truppe Volontarie (CTV), schierato in Spagna per combattere a fianco delle truppe nazionaliste di Francisco Franco nella guerra civile in corso nel Paese iberico. Il Traviata ha a bordo 56 automezzi, cinque motociclette e 1016 tonnellate di materiali vari.
4 gennaio 1937
Traviata e Usodimare arrivano a Cadice. Da qui l’Usodimare (capitano di fregata Mario Zambon) si trasferisce successivamente a Tangeri e poi a Melilla, dove l’8 gennaio entra a far parte del Gruppo “Quarto” (dal nome della nave ammiraglia) ivi dislocato.
Gennaio-Febbraio 1937
Rimane per circa un mese a Melilla, incaricato dell’assistenza agli aerei tedeschi della Legione “Condor” dislocati a Melilla ed impiegati in appoggio alle forze franchiste: essendo la locale base tedesca sprovvista di adeguate attrezzature radio, l’Usodimare deve assicurare le comunicazioni radio tra gli aerei e la base, e prestare soccorso ad eventuali aerei abbattuti o costretti ad ammarare. Operativamente è alle dipendenze dell’ammiraglio comandante le forze navali tedesche in Spagna. Oltre ad assicurare i contatti radio, compie uscite in mare il 22, 29 e 31 gennaio per assistenza agli idrovolanti tedeschi impegnati in incursioni su Alicante.
Il 12 febbraio l’Usodimare viene avvicendato in questo ruolo dal gemello Pigafetta e lascia Melilla per rientrare a Cagliari, dove arriva il 14 febbraio.
Sempre durante la sua permanenza a Melilla, l’Usodimare scorta da Melilla a Tangeri, attraverso lo stretto di Gibilterra, i piroscafi Andrea ed Amelia Lauro, in navigazione da La Spezia (da dove sono partiti il 16 gennaio) a Cadice (dove arrivano il 22 gennaio) con un totale di 205 automezzi, due motociclette e 1522 tonnellate di materiali per il Corpo Truppe Volontarie.
Maggio 1937
Scorta il grosso piroscafo Liguria, partito da Napoli il 12 maggio e diretto a Cadice (dove arriverà il 16) con un carico di materiali per il CTV, nel tratto che va dalle acque a sud di Capo Spartivento fino a Ceuta.
Luglio 1937
Scorta fino al meridiano di Malaga il piroscafo Aniene, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 24 luglio) a Siviglia (dove arriva il 29 luglio) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Agosto 1937
Scorta da Capo Spartivento al meridiano di Malaga il piroscafo spagnolo Marqués de Comillas, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 28 agosto) a Cadice (dove arriva il 31 agosto) con 84 militari e 2940 tonnellate di materiali per le forze spagnole nazionaliste.
Settembre 1937
Scorta l’Aniene in due occasioni: una prima volta, fino all’altezza del meridiano di Malaga, durante un viaggio da La Spezia (da dov’è partito il 17 settembre) a Siviglia (dove arriva il 21 settembre) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica; una seconda volta, da Cagliari (da dove parte il 29 settembre) a Palma di Maiorca (dove arriva l’indomani) con materiali per l’Aviazione delle Baleari.
Ottobre 1937
Scorta da Capo Spartivento fino all’altezza di Ceuta il solito Aniene, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 10 ottobre) a Siviglia (dove arriva il 16 ottobre) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Novembre 1937
Ancora una scorta all’Aniene, dalle acque a sud di Capo Spartivento fino all’altezza di Ceuta; il piroscafo, partito da La Spezia il 20 novembre, è diretto a Siviglia (dove giungerà il 26) con altre 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Febbraio 1938
Scorta dalle acque a sud di Capo Spartivento fino all’altezza del meridiano di Malaga i piroscafi Stelvio e Rey Jaime II (spagnolo, viaggia sotto il nome fittizio italiano di Tirso), partiti da La Spezia il 16 febbraio e diretti a Cadice, dove arrivano il 21, con tre ufficiali del Regio Esercito, un sottufficiale della MVSN, 14 autisti e 2750 tonnellate di materiali dell’artiglieria e del Genio.
Autunno 1937-Aprile 1939
In seguito alla conferenza di Nyon, tenutasi tra il 10 ed il 14 settembre 1937 per risolvere il problema dei “sommergibili pirata” in Mediterraneo (ossia i sommergibili italiani che attaccano clandestinamente ed illegalmente le navi dirette nei porti della Spagna repubblicana: pressoché tutti sono al corrente della loro nazionalità, che francesi e britannici preferiscono però ufficialmente fingere di ignorare allo scopo di non danneggiare troppo i rapporti con l’Italia), le nazioni partecipanti (Francia, Regno Unito, Unione Sovietica, Turchia, Jugoslavia, Irlanda, Bulgaria, Grecia, Egitto e Romania; Italia e Germania, invitate a partecipare, hanno rifiutato in segno di protesta contro le – fondate – accuse sovietiche di pirateria rivolte all’Italia) stabiliscono che per la navigazione d’altura in acque internazionali le proprie navi mercantili dovranno seguire delle rotte concordate tra i principali porti del Mediterraneo, rotte che saranno pattugliate da cacciatorpediniere ed aerei delle principali potenze aderenti all’accordo, ossia Francia e Regno Unito, che per i pattugliamenti nel Mediterraneo orientale si appoggeranno anche ad alcuni porti messi appositamente a disposizione dalle nazioni rivierasche. I Paesi partecipanti saranno responsabili ciascuno del pattugliamento delle proprie acque territoriali. Viene stabilito che in caso di attacco da parte dei sommergibili “pirati” (ogni riferimento alla loro nazionalità è accuratamente evitato) contro navi non spagnole, o loro tentativo di avvicinarsi in immersione alle rotte pattugliate, questi dovranno essere attaccati da tutte le unità di pattuglia presenti in zona, fino alla distruzione; in Mediterraneo i sommergibili si potranno spostare soltanto navigando in superficie, accompagnati da navi di superficie e dando preavviso del proprio passaggio. Gli accordi, sottoscritti dal 14 settembre, entrano in vigore dal 20 settembre.
All’Italia viene offerto, ed anzi chiesto, di provvedere a pattugliare con analoghe modalità le rotte del Mar Tirreno (l’Adriatico è invece escluso dagli accordi e non sarà soggetto a sorveglianza); la diplomazia britannica e francese fa ripetute pressioni affinché le autorità italiane accettino tale responsabilità, ma il 14 settembre il governo italiano rifiuta, adducendo a motivazione il mancato riconoscimento della parità con Francia e Regno Unito, cui è affidata la sorveglianza in tutto il resto del Mediterraneo. Il 21 settembre si tiene a Roma un colloquio tra il ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, e gli incaricati britannico e francese, Edward Maurice Ingram e Jules Blondel, con cui viene chiarito che l’Italia potrebbe accettare di pattugliare il Tirreno se le venisse riconosciuta una posizione paritaria con le Marine francese e britannica nell’applicazione delle misure di protezione del traffico mercantile concordate a Nyon, ed il giorno stesso i governi francese e britannico propongono di tenere una riunione a tre a Parigi con rappresentanti italiani per emendare le decisioni prese a Nyon in modo da consentire l’adesione dell’Italia. La proposta viene accettata, ed i colloqui si tengono a Parigi dal 27 al 30 settembre: rappresentante italiano l’ammiraglio Wladimiro Pini, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, rappresentante francese l’ammiraglio René-Émile Godfroy (che ha partecipato alla conferenza di Nyon), rappresentante britannico l’ammiraglio William M. James, sottocapo di Stato Maggiore della Royal Navy. Al termine degli incontri, pressoché tutte le richieste italiane vengono accettate, e l’Italia entra a far parte del dispositivo di sorveglianza internazionale in condizioni di piena parità con Francia e Regno Unito: il Mediterraneo è diviso in tredici zone, e ad ognuna delle tre Marine è affidato il pattugliamento di una uguale lunghezza delle rotte che i mercantili dovranno seguire. L’Italia ottiene la sorveglianza di zone in tutti e tre i bacini del Mediterraneo, con un’area di competenza che va dalle Baleari al canale di Suez, comprese le rotte che uniscono la Cirenaica al Dodecaneso. Gli ultimi particolari (modalità di impiego delle navi, collegamenti e codici per le comunicazioni tra i rispettivi comandanti e le unità impegnate nei pattugliamenti) vengono concordati il 30 ottobre a Biserta tra gli ammiragli Romeo Bernotti (comandante in capo della 2a Squadra Navale italiana), Dudley Pound (comandante in capo della Mediterranean Fleet britannica) e Jean-Pierre Esteva (comandante in capo delle forze navali francesi nel Mediterraneo).
Ciano commenta significativamente nel suo diario questa vittoria diplomatica: "Una bella vittoria. Da imputati siluratori a poliziotti mediterranei, con esclusione degli affondati russi" (l’Unione Sovietica, principale accusatrice dell’Italia, non è stata inclusa nel dispositivo di sorveglianza delle rotte).
Le rotte assegnate all’Italia per il pattugliamento sono la Genova-Algeri, la Marsiglia-Biserta-Port Said, la Marsiglia-Messina-Port Said, la Genova-Gibilterra, le rotte dalla Spagna al Mediterraneo orientale, quella dal Mar Nero ad Alessandria d’Egitto, quelle tra il Mediterraneo orientale e l’Adriatico e quelle tra il Mediterraneo occidentale e l’Adriatico. I compiti di pattugliamento vengono affidati alla 2a Squadra Navale, ed il suo comandante, ammiraglio Romeo Bernotti, è pertanto nominato comandante del dispositivo di sorveglianza, con comando a Palermo. Complessivamente, da parte italiana vengono destinati ai pattugliamenti due incrociatori leggeri (Alberico Da Barbiano e Giovanni delle Bande Nere), quattro esploratori (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Leone Pancaldo, Antoniotto Usodimare), otto cacciatorpediniere (Confienza, Curtatone, Palestro, Euro, Turbine, Aquilone, Quintino Sella, Bettino Ricasoli), venti torpediniere (Altair, Andromeda, Antares, Aldebaran, Astore, Cigno, Canopo, Castore, Centauro, Cassiopea, Climene, Giuseppe Dezza, Giuseppe La Masa, Giacinto Carini, Giacomo Medici, Generale Antonio Cantore, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari, Sirio, Sagittario), due incrociatori ausiliari (Adriatico e Barletta) e le Squadriglie Idrovolanti 141, 146, 148 e 185 della Ricognizione Marittima. Le forze aeronavali impiegate nei pattugliamenti hanno base a Tripoli, Cagliari, Augusta, Messina, La Maddalena, Trapani, Brindisi, La Spezia, Lero e Tobruk.
L’Usodimare, in particolare, è dislocato a Cagliari ed incaricato, insieme ai gemelli Vivaldi, Da Noli e Pancaldo, agli incrociatori Bande Nere e Da Barbiano ed agli idrovolanti della 146a Squadriglia da Ricognizione Marittima, di pattugliare le rotte numero 5 (Genova-Algeri) e 6 (Marsiglia-Biserta-Port Said).
30 settembre 1938
Dislocato a Palma di Maiorca, al comando del capitano di vascello Carlo De Bei, insieme al Tarigo (capitano di fregata Pietro Boyl di Putifigari). Dipende dal comandante De Bei, quale comandante del gruppo cacciatorpediniere italiani in Spagna, anche l’Antonio Da Noli, dislocato a Tangeri dal 25 ottobre.
20 gennaio 1939
L’Usodimare viene fatto uscire da Palma per andare a rinforzare la scorta del piroscafo Aniene, costituita dalla sola torpediniera Orsa, dopo che il piccolo convoglio, da poco partito da Palma alla volta di Siviglia con materiali dell’Aeronautica, è stato attaccato alle 15.15 in posizione 37°26’ N e 01°19’ O (un centinaio di miglia a sud di Ibiza) da tre bombardieri dell’aviazione spagnola repubblicana, che hanno causato alcuni danni all’Aniene (fori nell’opera morta, un incendio di limitate proporzioni ed infiltrazioni d’acqua in una stiva, il tutto per effetto di quattro bombe cadute vicine). Il convoglio ha ricevuto ordine di rientrare a Palma.
21 gennaio 1939
Usodimare, Orsa ed Aniene arrivano a Palma, dove l’Aniene trasborda il carico sul piroscafo spagnolo Castillo de Soller.
5 maggio 1938
L’Usodimare (capitano di vascello Carlo De Bei) partecipa alla rivista navale «H», organizzata nel Golfo di Napoli in occasione della visita in Italia di Adolf Hitler: vi partecipa il grosso della flotta italiana, con le due squadre navali (la 1a al comando dell’ammiraglio Arturo Riccardi e la 2a al comando dell’ammiraglio Vladimiro Pini) per un totale di due corazzate, 18 incrociatori, 7 esploratori e 16 cacciatorpediniere, la squadra sommergibili dell’ammiraglio Antonio Legnani con ben 85 unità, la flottiglia torpediniere con 16 unità (più il Da Recco che funge da conduttore di flottiglia), la I Flottiglia MAS con 24 unità, la nave bersaglio radiocomandata San Marco con la sua nave guida Audace e varie unità a disposizione del Comando in Capo di Napoli (due cacciatorpediniere, 14 torpediniere, le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini Aurora e la nave reale Savoia). Al cospetto di Hitler e Mussolini, imbarcati sulla Conte di Cavour, la flotta si esibisce in una serie di manovre sincronizzate ad alta velocità e prove di tiro con bersaglio il San Marco; i sommergibili effettuano un’immersione di massa e successiva riemersione.
Nella rivista, l’Usodimare fa della 2a Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini), formata dagli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione (al comando dello stesso Pini), dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli Augusto Mengotti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta: VII Divisione), Pietro Barone (Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni: II Divisione) e Giuseppe Romagna Manoia (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz: IV Divisione), da due squadriglie di esploratori classe Navigatori (Luca Tarigo, Antoniotto Usodimare, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Giovanni Da Verrazzano, Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno) e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco). Più precisamente, l’Usodimare è caposquadriglia della I Squadriglia Esploratori, che comprende Da Noli (capitano di fregata Francesco Di Brocchetti), Tarigo (capitano di fregata Pietro Pilo Boyl di Putifigari) e Vivaldi (capitano di fregata Gualtiero Sadun).
Maggio 1938
L’Usodimare è tra le numerosissime unità (corazzate Cesare e Cavour, incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume, Gorizia, Trento, Trieste e Bolzano, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Attendolo, Da Barbiano, Di Giussano, Colleoni, Cadorna, Diaz, Bande Nere, venti cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX e X, 54 sommergibili delle Squadriglie XI, XII, XIII, XIV, XV, XXI, XXXIV, XLI, XLII) concentrate a Genova per un’altra rivista navale organizzata in occasione della visita ufficiale in città di Benito Mussolini, la prima da dodici anni.
Nel suo discorso ai genovesi del 14 maggio, Mussolini dichiara: "…Le direttive della nostra politica sono chiare: noi vogliamo la pace, la pace con tutti. (…) Ma la pace, per essere sicura, deve essere armata. Ecco perché io ho voluto che a Genova si raccogliesse tutta la flotta: per mostrare a voi e agli Italiani delle due regioni più continentali, che sono il Piemonte e la Lombardia, quale è la nostra effettiva forza sul mare. Noi vogliamo la pace, ma dobbiamo esser pronti con tutte le nostre forze a difenderla, specie quando si odono discorsi, sia pure d'oltre Oceano, sui quali dobbiamo riflettere. È forse da escludere che le cosiddette grandi democrazie si preparino veramente ad una guerra di dottrine. Comunque, è bene che si sappia che, in questo caso, gli Stati totalitari faranno immediatamente blocco e marceranno fino in fondo".
La flotta rimane a Genova fino alla fine del mese, aperta alle visite da parte della popolazione civile: in tutto accorrono a vederla 650.000 visitatori, di cui 430.000 genovesi e 220.000 dal resto della Liguria, dal Piemonte e dalla Lombardia.
Tre
immagini dell’Usodimare a Genova
durante la rivista navale del maggio 1938: sopra, ormeggiato tra il gemello Da Noli e la corazzata Conte di Cavour (Coll. Marco Ghiglino e
Maurizio Brescia, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net);
sotto, con Da Noli e Vivaldi (Coll Guido Alfano, via Giorgio
Parodi e www.naviearmatori.net)5 settembre 1938
Riclassificato cacciatorpediniere ed assegnato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Taranto.
Insieme al Nicoloso Da Recco sarà uno degli unici due “Navigatori” (su un totale di dodici unità) a non ricevere l’ultima fase di grandi lavori di modifica, che migliorarono la stabilità delle altre unità della classe, aumentandone leggermente le dimensioni (250 t di dislocamento in più) ma riducendone la velocità di 3-4 nodi.
15-20 ottobre 1938
L’Usodimare (al comando del capitano di vascello Carlo De Bei, caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere), insieme ai gemelli Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi ed Antonio Da Noli (che formano la XIV Squadriglia) nonché ai più moderni cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, al comando del capitano di vascello Gerardo Galatà) ed all’incrociatore pesante Trieste (nave di bandiera dell’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante della 2a Squadra Navale), scorta da Cadice a Napoli un convoglio formato dai trasporti truppe Piemonte, Sardegna, Liguria e Calabria, che rimpatriano 328 ufficiali e 9369 sottufficiali e soldati del Corpo Truppe Volontarie, dopo un anno e mezzo di impiego in Spagna a fianco dei nazionalisti.
Il ritiro di parte dei volontari (10.000) è stato deciso da Mussolini in seguito al deterioramento dei rapporti con Francisco Franco, nonché per mostrare al Regno Unito la volontà di ritirare gradualmente le truppe italiane dalla Spagna, così adempiendo alla condizione posta dal governo britannico in cambio del riconoscimento britannico dell’impero italiano in Africa Orientale. Al tempo stesso, non volendo lasciare la Spagna prima della vittoria finale della fazione nazionalista, Mussolini vi mantiene ancora un nutrito contingente (Divisione "Littorio" e divisioni miste italo-spagnole "Frecce Nere", "Frecce Verdi" e "Frecce Azzurre"), e soprattutto la quasi totalità dell’artiglieria e dell’aviazione, indispensabili ai franchisti i quali difettano in entrambe le componenti.
I 10.151 volontari rimpatrianti s’imbarcano a Cadice il 15 ottobre al termine di una grande parata, svolta alla presenza del generale franchista Gonzalo Queipo de Llano (quale rappresentante di Franco); il convoglio parte la sera stessa. La navigazione si svolge senza eventi di rilievo, con i trasporti truppe disposti in linea di fila e circondati dalle unità di scorta; al largo di Napoli gli equipaggi di queste ultime salutano i piroscafi, dopo di che le navi da guerra lasciano il convoglio e dirigono su Gaeta, mentre il convoglio entra a Napoli il mattino del 20 ottobre, accolto da una nutrita folla. Dopo lo sbarco, le truppe vengono passate in rassegna da Vittorio Emanuele III e da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e vicesegretario del P.N.F. (nonché genero di Mussolini, e tra le figure chiave del regime fascista).
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Usodimare (capitano di fregata Sante Bondi) appartiene alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma con i gemelli Nicoloso Da Recco, Luca Tarigo ed Emanuele Pessagno. La XVI Squadriglia è assegnata alla VIII Divisione dell’ammiraglio Antonio Legnani (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi), facente parte della 1a Squadra Navale con sede a Taranto.
La notizia della collisione in un articolo del giornale «La Stampa» del 10 agosto 1934.
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29 dicembre 1936
L’Usodimare salpa da La Spezia per scortare a Cadice il piroscafo Traviata, noleggiato dalle Ferrovie dello Stato per trasportare rifornimenti per il Corpo Truppe Volontarie (CTV), schierato in Spagna per combattere a fianco delle truppe nazionaliste di Francisco Franco nella guerra civile in corso nel Paese iberico. Il Traviata ha a bordo 56 automezzi, cinque motociclette e 1016 tonnellate di materiali vari.
4 gennaio 1937
Traviata e Usodimare arrivano a Cadice. Da qui l’Usodimare (capitano di fregata Mario Zambon) si trasferisce successivamente a Tangeri e poi a Melilla, dove l’8 gennaio entra a far parte del Gruppo “Quarto” (dal nome della nave ammiraglia) ivi dislocato.
Rimane per circa un mese a Melilla, incaricato dell’assistenza agli aerei tedeschi della Legione “Condor” dislocati a Melilla ed impiegati in appoggio alle forze franchiste: essendo la locale base tedesca sprovvista di adeguate attrezzature radio, l’Usodimare deve assicurare le comunicazioni radio tra gli aerei e la base, e prestare soccorso ad eventuali aerei abbattuti o costretti ad ammarare. Operativamente è alle dipendenze dell’ammiraglio comandante le forze navali tedesche in Spagna. Oltre ad assicurare i contatti radio, compie uscite in mare il 22, 29 e 31 gennaio per assistenza agli idrovolanti tedeschi impegnati in incursioni su Alicante.
Il 12 febbraio l’Usodimare viene avvicendato in questo ruolo dal gemello Pigafetta e lascia Melilla per rientrare a Cagliari, dove arriva il 14 febbraio.
Sempre durante la sua permanenza a Melilla, l’Usodimare scorta da Melilla a Tangeri, attraverso lo stretto di Gibilterra, i piroscafi Andrea ed Amelia Lauro, in navigazione da La Spezia (da dove sono partiti il 16 gennaio) a Cadice (dove arrivano il 22 gennaio) con un totale di 205 automezzi, due motociclette e 1522 tonnellate di materiali per il Corpo Truppe Volontarie.
Maggio 1937
Scorta il grosso piroscafo Liguria, partito da Napoli il 12 maggio e diretto a Cadice (dove arriverà il 16) con un carico di materiali per il CTV, nel tratto che va dalle acque a sud di Capo Spartivento fino a Ceuta.
Luglio 1937
Scorta fino al meridiano di Malaga il piroscafo Aniene, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 24 luglio) a Siviglia (dove arriva il 29 luglio) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Agosto 1937
Scorta da Capo Spartivento al meridiano di Malaga il piroscafo spagnolo Marqués de Comillas, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 28 agosto) a Cadice (dove arriva il 31 agosto) con 84 militari e 2940 tonnellate di materiali per le forze spagnole nazionaliste.
Settembre 1937
Scorta l’Aniene in due occasioni: una prima volta, fino all’altezza del meridiano di Malaga, durante un viaggio da La Spezia (da dov’è partito il 17 settembre) a Siviglia (dove arriva il 21 settembre) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica; una seconda volta, da Cagliari (da dove parte il 29 settembre) a Palma di Maiorca (dove arriva l’indomani) con materiali per l’Aviazione delle Baleari.
Ottobre 1937
Scorta da Capo Spartivento fino all’altezza di Ceuta il solito Aniene, in navigazione da La Spezia (da dov’è partito il 10 ottobre) a Siviglia (dove arriva il 16 ottobre) con 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Novembre 1937
Ancora una scorta all’Aniene, dalle acque a sud di Capo Spartivento fino all’altezza di Ceuta; il piroscafo, partito da La Spezia il 20 novembre, è diretto a Siviglia (dove giungerà il 26) con altre 700 tonnellate di materiali dell’Aeronautica.
Febbraio 1938
Scorta dalle acque a sud di Capo Spartivento fino all’altezza del meridiano di Malaga i piroscafi Stelvio e Rey Jaime II (spagnolo, viaggia sotto il nome fittizio italiano di Tirso), partiti da La Spezia il 16 febbraio e diretti a Cadice, dove arrivano il 21, con tre ufficiali del Regio Esercito, un sottufficiale della MVSN, 14 autisti e 2750 tonnellate di materiali dell’artiglieria e del Genio.
Autunno 1937-Aprile 1939
In seguito alla conferenza di Nyon, tenutasi tra il 10 ed il 14 settembre 1937 per risolvere il problema dei “sommergibili pirata” in Mediterraneo (ossia i sommergibili italiani che attaccano clandestinamente ed illegalmente le navi dirette nei porti della Spagna repubblicana: pressoché tutti sono al corrente della loro nazionalità, che francesi e britannici preferiscono però ufficialmente fingere di ignorare allo scopo di non danneggiare troppo i rapporti con l’Italia), le nazioni partecipanti (Francia, Regno Unito, Unione Sovietica, Turchia, Jugoslavia, Irlanda, Bulgaria, Grecia, Egitto e Romania; Italia e Germania, invitate a partecipare, hanno rifiutato in segno di protesta contro le – fondate – accuse sovietiche di pirateria rivolte all’Italia) stabiliscono che per la navigazione d’altura in acque internazionali le proprie navi mercantili dovranno seguire delle rotte concordate tra i principali porti del Mediterraneo, rotte che saranno pattugliate da cacciatorpediniere ed aerei delle principali potenze aderenti all’accordo, ossia Francia e Regno Unito, che per i pattugliamenti nel Mediterraneo orientale si appoggeranno anche ad alcuni porti messi appositamente a disposizione dalle nazioni rivierasche. I Paesi partecipanti saranno responsabili ciascuno del pattugliamento delle proprie acque territoriali. Viene stabilito che in caso di attacco da parte dei sommergibili “pirati” (ogni riferimento alla loro nazionalità è accuratamente evitato) contro navi non spagnole, o loro tentativo di avvicinarsi in immersione alle rotte pattugliate, questi dovranno essere attaccati da tutte le unità di pattuglia presenti in zona, fino alla distruzione; in Mediterraneo i sommergibili si potranno spostare soltanto navigando in superficie, accompagnati da navi di superficie e dando preavviso del proprio passaggio. Gli accordi, sottoscritti dal 14 settembre, entrano in vigore dal 20 settembre.
All’Italia viene offerto, ed anzi chiesto, di provvedere a pattugliare con analoghe modalità le rotte del Mar Tirreno (l’Adriatico è invece escluso dagli accordi e non sarà soggetto a sorveglianza); la diplomazia britannica e francese fa ripetute pressioni affinché le autorità italiane accettino tale responsabilità, ma il 14 settembre il governo italiano rifiuta, adducendo a motivazione il mancato riconoscimento della parità con Francia e Regno Unito, cui è affidata la sorveglianza in tutto il resto del Mediterraneo. Il 21 settembre si tiene a Roma un colloquio tra il ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, e gli incaricati britannico e francese, Edward Maurice Ingram e Jules Blondel, con cui viene chiarito che l’Italia potrebbe accettare di pattugliare il Tirreno se le venisse riconosciuta una posizione paritaria con le Marine francese e britannica nell’applicazione delle misure di protezione del traffico mercantile concordate a Nyon, ed il giorno stesso i governi francese e britannico propongono di tenere una riunione a tre a Parigi con rappresentanti italiani per emendare le decisioni prese a Nyon in modo da consentire l’adesione dell’Italia. La proposta viene accettata, ed i colloqui si tengono a Parigi dal 27 al 30 settembre: rappresentante italiano l’ammiraglio Wladimiro Pini, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, rappresentante francese l’ammiraglio René-Émile Godfroy (che ha partecipato alla conferenza di Nyon), rappresentante britannico l’ammiraglio William M. James, sottocapo di Stato Maggiore della Royal Navy. Al termine degli incontri, pressoché tutte le richieste italiane vengono accettate, e l’Italia entra a far parte del dispositivo di sorveglianza internazionale in condizioni di piena parità con Francia e Regno Unito: il Mediterraneo è diviso in tredici zone, e ad ognuna delle tre Marine è affidato il pattugliamento di una uguale lunghezza delle rotte che i mercantili dovranno seguire. L’Italia ottiene la sorveglianza di zone in tutti e tre i bacini del Mediterraneo, con un’area di competenza che va dalle Baleari al canale di Suez, comprese le rotte che uniscono la Cirenaica al Dodecaneso. Gli ultimi particolari (modalità di impiego delle navi, collegamenti e codici per le comunicazioni tra i rispettivi comandanti e le unità impegnate nei pattugliamenti) vengono concordati il 30 ottobre a Biserta tra gli ammiragli Romeo Bernotti (comandante in capo della 2a Squadra Navale italiana), Dudley Pound (comandante in capo della Mediterranean Fleet britannica) e Jean-Pierre Esteva (comandante in capo delle forze navali francesi nel Mediterraneo).
Ciano commenta significativamente nel suo diario questa vittoria diplomatica: "Una bella vittoria. Da imputati siluratori a poliziotti mediterranei, con esclusione degli affondati russi" (l’Unione Sovietica, principale accusatrice dell’Italia, non è stata inclusa nel dispositivo di sorveglianza delle rotte).
Le rotte assegnate all’Italia per il pattugliamento sono la Genova-Algeri, la Marsiglia-Biserta-Port Said, la Marsiglia-Messina-Port Said, la Genova-Gibilterra, le rotte dalla Spagna al Mediterraneo orientale, quella dal Mar Nero ad Alessandria d’Egitto, quelle tra il Mediterraneo orientale e l’Adriatico e quelle tra il Mediterraneo occidentale e l’Adriatico. I compiti di pattugliamento vengono affidati alla 2a Squadra Navale, ed il suo comandante, ammiraglio Romeo Bernotti, è pertanto nominato comandante del dispositivo di sorveglianza, con comando a Palermo. Complessivamente, da parte italiana vengono destinati ai pattugliamenti due incrociatori leggeri (Alberico Da Barbiano e Giovanni delle Bande Nere), quattro esploratori (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Leone Pancaldo, Antoniotto Usodimare), otto cacciatorpediniere (Confienza, Curtatone, Palestro, Euro, Turbine, Aquilone, Quintino Sella, Bettino Ricasoli), venti torpediniere (Altair, Andromeda, Antares, Aldebaran, Astore, Cigno, Canopo, Castore, Centauro, Cassiopea, Climene, Giuseppe Dezza, Giuseppe La Masa, Giacinto Carini, Giacomo Medici, Generale Antonio Cantore, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari, Sirio, Sagittario), due incrociatori ausiliari (Adriatico e Barletta) e le Squadriglie Idrovolanti 141, 146, 148 e 185 della Ricognizione Marittima. Le forze aeronavali impiegate nei pattugliamenti hanno base a Tripoli, Cagliari, Augusta, Messina, La Maddalena, Trapani, Brindisi, La Spezia, Lero e Tobruk.
L’Usodimare, in particolare, è dislocato a Cagliari ed incaricato, insieme ai gemelli Vivaldi, Da Noli e Pancaldo, agli incrociatori Bande Nere e Da Barbiano ed agli idrovolanti della 146a Squadriglia da Ricognizione Marittima, di pattugliare le rotte numero 5 (Genova-Algeri) e 6 (Marsiglia-Biserta-Port Said).
30 settembre 1938
Dislocato a Palma di Maiorca, al comando del capitano di vascello Carlo De Bei, insieme al Tarigo (capitano di fregata Pietro Boyl di Putifigari). Dipende dal comandante De Bei, quale comandante del gruppo cacciatorpediniere italiani in Spagna, anche l’Antonio Da Noli, dislocato a Tangeri dal 25 ottobre.
20 gennaio 1939
L’Usodimare viene fatto uscire da Palma per andare a rinforzare la scorta del piroscafo Aniene, costituita dalla sola torpediniera Orsa, dopo che il piccolo convoglio, da poco partito da Palma alla volta di Siviglia con materiali dell’Aeronautica, è stato attaccato alle 15.15 in posizione 37°26’ N e 01°19’ O (un centinaio di miglia a sud di Ibiza) da tre bombardieri dell’aviazione spagnola repubblicana, che hanno causato alcuni danni all’Aniene (fori nell’opera morta, un incendio di limitate proporzioni ed infiltrazioni d’acqua in una stiva, il tutto per effetto di quattro bombe cadute vicine). Il convoglio ha ricevuto ordine di rientrare a Palma.
21 gennaio 1939
Usodimare, Orsa ed Aniene arrivano a Palma, dove l’Aniene trasborda il carico sul piroscafo spagnolo Castillo de Soller.
L’Usodimare (capitano di vascello Carlo De Bei) partecipa alla rivista navale «H», organizzata nel Golfo di Napoli in occasione della visita in Italia di Adolf Hitler: vi partecipa il grosso della flotta italiana, con le due squadre navali (la 1a al comando dell’ammiraglio Arturo Riccardi e la 2a al comando dell’ammiraglio Vladimiro Pini) per un totale di due corazzate, 18 incrociatori, 7 esploratori e 16 cacciatorpediniere, la squadra sommergibili dell’ammiraglio Antonio Legnani con ben 85 unità, la flottiglia torpediniere con 16 unità (più il Da Recco che funge da conduttore di flottiglia), la I Flottiglia MAS con 24 unità, la nave bersaglio radiocomandata San Marco con la sua nave guida Audace e varie unità a disposizione del Comando in Capo di Napoli (due cacciatorpediniere, 14 torpediniere, le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini Aurora e la nave reale Savoia). Al cospetto di Hitler e Mussolini, imbarcati sulla Conte di Cavour, la flotta si esibisce in una serie di manovre sincronizzate ad alta velocità e prove di tiro con bersaglio il San Marco; i sommergibili effettuano un’immersione di massa e successiva riemersione.
Nella rivista, l’Usodimare fa della 2a Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini), formata dagli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione (al comando dello stesso Pini), dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli Augusto Mengotti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta: VII Divisione), Pietro Barone (Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni: II Divisione) e Giuseppe Romagna Manoia (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz: IV Divisione), da due squadriglie di esploratori classe Navigatori (Luca Tarigo, Antoniotto Usodimare, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Giovanni Da Verrazzano, Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno) e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco). Più precisamente, l’Usodimare è caposquadriglia della I Squadriglia Esploratori, che comprende Da Noli (capitano di fregata Francesco Di Brocchetti), Tarigo (capitano di fregata Pietro Pilo Boyl di Putifigari) e Vivaldi (capitano di fregata Gualtiero Sadun).
Maggio 1938
L’Usodimare è tra le numerosissime unità (corazzate Cesare e Cavour, incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume, Gorizia, Trento, Trieste e Bolzano, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Attendolo, Da Barbiano, Di Giussano, Colleoni, Cadorna, Diaz, Bande Nere, venti cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX e X, 54 sommergibili delle Squadriglie XI, XII, XIII, XIV, XV, XXI, XXXIV, XLI, XLII) concentrate a Genova per un’altra rivista navale organizzata in occasione della visita ufficiale in città di Benito Mussolini, la prima da dodici anni.
Nel suo discorso ai genovesi del 14 maggio, Mussolini dichiara: "…Le direttive della nostra politica sono chiare: noi vogliamo la pace, la pace con tutti. (…) Ma la pace, per essere sicura, deve essere armata. Ecco perché io ho voluto che a Genova si raccogliesse tutta la flotta: per mostrare a voi e agli Italiani delle due regioni più continentali, che sono il Piemonte e la Lombardia, quale è la nostra effettiva forza sul mare. Noi vogliamo la pace, ma dobbiamo esser pronti con tutte le nostre forze a difenderla, specie quando si odono discorsi, sia pure d'oltre Oceano, sui quali dobbiamo riflettere. È forse da escludere che le cosiddette grandi democrazie si preparino veramente ad una guerra di dottrine. Comunque, è bene che si sappia che, in questo caso, gli Stati totalitari faranno immediatamente blocco e marceranno fino in fondo".
La flotta rimane a Genova fino alla fine del mese, aperta alle visite da parte della popolazione civile: in tutto accorrono a vederla 650.000 visitatori, di cui 430.000 genovesi e 220.000 dal resto della Liguria, dal Piemonte e dalla Lombardia.
Riclassificato cacciatorpediniere ed assegnato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Taranto.
Insieme al Nicoloso Da Recco sarà uno degli unici due “Navigatori” (su un totale di dodici unità) a non ricevere l’ultima fase di grandi lavori di modifica, che migliorarono la stabilità delle altre unità della classe, aumentandone leggermente le dimensioni (250 t di dislocamento in più) ma riducendone la velocità di 3-4 nodi.
15-20 ottobre 1938
L’Usodimare (al comando del capitano di vascello Carlo De Bei, caposquadriglia della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere), insieme ai gemelli Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi ed Antonio Da Noli (che formano la XIV Squadriglia) nonché ai più moderni cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, al comando del capitano di vascello Gerardo Galatà) ed all’incrociatore pesante Trieste (nave di bandiera dell’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante della 2a Squadra Navale), scorta da Cadice a Napoli un convoglio formato dai trasporti truppe Piemonte, Sardegna, Liguria e Calabria, che rimpatriano 328 ufficiali e 9369 sottufficiali e soldati del Corpo Truppe Volontarie, dopo un anno e mezzo di impiego in Spagna a fianco dei nazionalisti.
Il ritiro di parte dei volontari (10.000) è stato deciso da Mussolini in seguito al deterioramento dei rapporti con Francisco Franco, nonché per mostrare al Regno Unito la volontà di ritirare gradualmente le truppe italiane dalla Spagna, così adempiendo alla condizione posta dal governo britannico in cambio del riconoscimento britannico dell’impero italiano in Africa Orientale. Al tempo stesso, non volendo lasciare la Spagna prima della vittoria finale della fazione nazionalista, Mussolini vi mantiene ancora un nutrito contingente (Divisione "Littorio" e divisioni miste italo-spagnole "Frecce Nere", "Frecce Verdi" e "Frecce Azzurre"), e soprattutto la quasi totalità dell’artiglieria e dell’aviazione, indispensabili ai franchisti i quali difettano in entrambe le componenti.
I 10.151 volontari rimpatrianti s’imbarcano a Cadice il 15 ottobre al termine di una grande parata, svolta alla presenza del generale franchista Gonzalo Queipo de Llano (quale rappresentante di Franco); il convoglio parte la sera stessa. La navigazione si svolge senza eventi di rilievo, con i trasporti truppe disposti in linea di fila e circondati dalle unità di scorta; al largo di Napoli gli equipaggi di queste ultime salutano i piroscafi, dopo di che le navi da guerra lasciano il convoglio e dirigono su Gaeta, mentre il convoglio entra a Napoli il mattino del 20 ottobre, accolto da una nutrita folla. Dopo lo sbarco, le truppe vengono passate in rassegna da Vittorio Emanuele III e da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e vicesegretario del P.N.F. (nonché genero di Mussolini, e tra le figure chiave del regime fascista).
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Usodimare (capitano di fregata Sante Bondi) appartiene alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma con i gemelli Nicoloso Da Recco, Luca Tarigo ed Emanuele Pessagno. La XVI Squadriglia è assegnata alla VIII Divisione dell’ammiraglio Antonio Legnani (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi), facente parte della 1a Squadra Navale con sede a Taranto.
12 giugno 1940
Alle due di notte l’Usodimare lascia Taranto insieme a Da Recco e Pessagno, alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), alla
VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) ed alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo
Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci) per un pattugliamento
in Mar Ionio in appoggio alla formazione navale (incrociatore pesante Pola, III Divisione Navale, XI e XII
Squadriglia Cacciatorpediniere) uscita da Messina per intercettare due
incrociatori britannici (il Caledon ed
il Calypso) avvistati da dei
ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest: gran parte della Mediterranean
Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a
caccia, infruttuosa, di naviglio italiano.
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto. Durante la
navigazione di ritorno nel Mar Ionio si verificano ben cinque infruttuosi
attacchi subacquei contro gli incrociatori della I e della VIII Divisione: i
cacciatorpediniere della scorta contrattaccano e ritengono di aver danneggiato
od affondato i sommergibili attaccanti, ma si sbagliano.
7 luglio 1940
Alle due di notte l’Usodimare lascia Taranto insieme a Da Recco e Pessagno, alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci) per un pattugliamento in Mar Ionio in appoggio alla formazione navale (incrociatore pesante Pola, III Divisione Navale, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) uscita da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest: gran parte della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano.
Alle 9, dato che nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche, tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto. Durante la navigazione di ritorno nel Mar Ionio si verificano ben cinque infruttuosi attacchi subacquei contro gli incrociatori della I e della VIII Divisione: i cacciatorpediniere della scorta contrattaccano e ritengono di aver danneggiato od affondato i sommergibili attaccanti, ma si sbagliano.
7 luglio 1940
L’Usodimare (capitano di fregata Sante
Bondi) salpa da Taranto alle 14.10 insieme a Da Recco e Pessagno ed
alla VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), nonché alle Divisioni Navali IV (incrociatori
leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz) e V (corazzate Giulio Cesare e Conte di
Cavour), ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta e Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV
(Vivaldi, Da Noli, Pancaldo) e
XV (Pigafetta e Zeno), cioè l’intera 1a Squadra
Navale, per fornire sostegno a distanza ad un convoglio di quattro mercantili
carichi di truppe rifornimenti (i trasporti truppe Esperia e Calitea e
le moderne motonavi da carico Marco
Foscarini e Vettor Pisani)
partiti da Napoli alle 19.45 del 6 luglio e diretti a Bengasi con la scorta
diretta della II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), della X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco)
e della XIV Squadriglia Torpediniere (Orsa, Procione, Orione e Pegaso)
e la scorta a distanza dell’incrociatore pesante Pola, delle Divisioni Navali I, III e VII e delle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX, XI, XII e XIII (la 2a Squadra Navale). È
inoltre in mare, in navigazione da Catania (da dov’è partita a mezzogiorno del 7)
a Bengasi, anche la motonave Francesco
Barbaro, scortata dalle vecchie torpediniere Abba e Pilo;
anch’essa gode della scorta indiretta delle due squadre navali italiane.
8 luglio 1940
Verso le 4.30, la XV Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est e lo comunica all’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare della formazione italiana; si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano), ma Campioni ritiene che siano navi nemiche e manda la XV Squadriglia ad attaccarle, e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla VIII Squadriglia; quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche” come quello di incrociatori classe Trento, e permette così di chiarire l’equivoco senza danni.
Il mattino dell’8 luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
9 luglio 1940
Giunto il convoglio a destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro, ma viene informata che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi dirige per riunirsi ed incontrare il nemico, in quella che diverrà l’inconclusiva battaglia di Punta Stilo.
Il 9 luglio la XVI Squadriglia, come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16). Le unità della XVI Squadriglia non faranno però in tempo a ricongiungersi col grosso delle forze navali prima che la battaglia cominci, e ne resteranno così escluse.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi. La XVI Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII IX, XI, XIV e XV (36 unità in tutto), alla corazzata Conte di Cavour, agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia ed agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, entra ad Augusta nel pomeriggio del 9 luglio. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che facevano presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di assegnazione. La XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XV Squadriglia ed a Duca degli Abruzzi e Garibaldi, lascia Augusta alle 17.05, diretta a Taranto.
30 agosto 1940
L’Usodimare salpa da Augusta alle 19 per condurre un rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto, con i gemelli Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Nicoloso Da Recco ed Emanuele Pessagno. Scopo del rastrello è per dare la caccia al sommergibile nemico che alle 12.30 del giorno precedente ha attaccato infruttuosamente un convoglio – formato dai mercantili Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Città di Bari, Maria Eugenia, Gloriastella e Francesco Barbaro, partiti da Napoli per Tripoli nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» e scortati dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco e dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso – in navigazione a sud dello stretto di Messina, 20 miglia a sud di Capo dell’Armi.
Alle 20.25 (o 20.55) i cinque cacciatorpediniere italiani iniziano il rastrello disponendosi in linea di fronte, ad una distanza di quattro miglia l’uno dall’altro (da sinistra a dritta, nell’ordine, Da Noli – il più vicino a Capo Spartivento, che è alla sinistra delle navi –, Vivaldi, Da Recco, Usodimare e Pessagno, il più lontano dalla costa), e procedendo a 19 nodi su rotta 55°, lungo il rilevamento ottenuto dalla rilevazione radiogoniometrica. La notte è particolarmente buia, serena ma senza luna; il mare è calmo. Alle 23.50 è il Vivaldi ad avvistare un sommergibile, il britannico Oswald: la nave manovra immediatamente per speronarlo, affondandolo e recuperandone poi 52 naufraghi.
31 agosto-2 settembre 1940
L’Usodimare partecipa all’uscita in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats».
La XVI Squadriglia Cacciatorpediniere cui appartiene (con Nicoloso Da Recco ed Emanuele Pessagno) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), all’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della 2a Squadra) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno). Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III (Trento, Trieste e Bolzano, da Messina), VII (Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, da Brindisi) e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere (oltre a quelli già menzionati, anche Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia, e Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della XII Squadriglia). Obiettivo, contrastare l’operazione britannica «Hats» (consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
La XVI Squadriglia è di scorta all’VIII Divisione; al largo di Taranto questa si unisce alla VII Divisione, scortata dalla XV Squadriglia, per effettuare un rastrello nel Mar Ionio.
Alle 14.35 del 31, in posizione 37°47’ N e 18°25’ E, il sommergibile britannico Parthian (capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) avvista alcune unità del gruppo composto da VII e VIII Divisione, che in quel momento procede con la XVI Squadriglia disposta a proravia degli incrociatori e la XV Squadriglia posizionata in linea di fila sul lato sinistro. Il Parthian si avvicina per attaccare una delle navi avvistate, ma alle 14.42 interrompe l’attacco, avendole identificate per cacciatorpediniere classe Navigatori; un minuto dopo, però, avvista gli incrociatori dell’VIII Divisione, a 7300 metri di distanza, pertanto riprende l’attacco e, superato lo schermo della XV Squadriglia, alle 14.52 (in posizione 37°45’ N e 18°22’ E, circa 105 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento) lancia sei siluri da 320 metri.
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra, al comando dell’ammiraglio Inigo Campioni – con insegna sulla Littorio –, è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
29 settembre-1° ottobre 1940
L’Usodimare lascia Taranto la sera del 29 settembre, insieme al Pessagno nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino) e XV (Da Mosto, Da Verrazzano) (il Pola con la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5», consistente nell’invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e rifornimenti e nel contemporaneo invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione.
Alle 18.05 del 29 settembre escono in mare da Taranto il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra), la I Divisione con Zara, Fiume e Gorizia e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani, Alfieri, Gioberti, Carducci) più l’Ascari della XII Squadriglia, seguiti alle 19.30 dalle Divisioni V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VI (corazzata Duilio), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio – nave di bandiera dell’ammiraglio Inigo Campioni, comandante la 1a Squadra – e Vittorio Veneto) e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno, Usodimare)
La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
Ottobre 1940
Il capitano di fregata Sante Bondi cede il comando dell’Usodimare al parigrado Alfonso Galleani, 41 anni, da Roma.
11-12 novembre 1940
L’Usodimare si trova ormeggiato in Mar Piccolo a Taranto (banchina torpediniere/banchina di Porta Ponente) insieme al resto della XVI Squadriglia (Da Recco e Pessagno) ed a numerose altre unità (incrociatori pesanti Trieste e Pola, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, nave portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, rimorchiatore di salvataggio Teseo, posamine Vieste, cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco, Geniere, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei cacciatorpediniere.
Tra le 23.30 e le 23.40 altri due aerei, da quote comprese tra i 500 ed i 900 metri, sganciano diverse bombe che cadono 20-30 metri a proravia dei cacciatorpediniere ormeggiati all’estremità orientale della linea degli ormeggi. Alle 00.30, infine, un ultimo bombardiere, preceduto da due bengalieri, sgancia da circa 900 metri un grappolo di 6 bombe, delle quali 4 cadono in mare tra Trento e Miraglia, una colpisce il Trento senza esplodere, ed una cade in mare tra la prua del Duca degli Abruzzi ed i cacciatorpediniere ormeggiati alle boe.
Il Pessagno subisce alcuni danni alla carena a causa della concussione provocata dall’esplosione di alcune bombe cadute in mare molto vicine; un’altra bomba, anch’essa inesplosa, colpisce il Libeccio.
8 luglio 1940
Verso le 4.30, la XV Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est e lo comunica all’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare della formazione italiana; si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano), ma Campioni ritiene che siano navi nemiche e manda la XV Squadriglia ad attaccarle, e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla VIII Squadriglia; quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche” come quello di incrociatori classe Trento, e permette così di chiarire l’equivoco senza danni.
Il mattino dell’8 luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
9 luglio 1940
Giunto il convoglio a destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro, ma viene informata che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi dirige per riunirsi ed incontrare il nemico, in quella che diverrà l’inconclusiva battaglia di Punta Stilo.
Il 9 luglio la XVI Squadriglia, come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16). Le unità della XVI Squadriglia non faranno però in tempo a ricongiungersi col grosso delle forze navali prima che la battaglia cominci, e ne resteranno così escluse.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi. La XVI Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII IX, XI, XIV e XV (36 unità in tutto), alla corazzata Conte di Cavour, agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia ed agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, entra ad Augusta nel pomeriggio del 9 luglio. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che facevano presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di assegnazione. La XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XV Squadriglia ed a Duca degli Abruzzi e Garibaldi, lascia Augusta alle 17.05, diretta a Taranto.
30 agosto 1940
L’Usodimare salpa da Augusta alle 19 per condurre un rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto, con i gemelli Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Nicoloso Da Recco ed Emanuele Pessagno. Scopo del rastrello è per dare la caccia al sommergibile nemico che alle 12.30 del giorno precedente ha attaccato infruttuosamente un convoglio – formato dai mercantili Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Città di Bari, Maria Eugenia, Gloriastella e Francesco Barbaro, partiti da Napoli per Tripoli nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» e scortati dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco e dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso – in navigazione a sud dello stretto di Messina, 20 miglia a sud di Capo dell’Armi.
Alle 20.25 (o 20.55) i cinque cacciatorpediniere italiani iniziano il rastrello disponendosi in linea di fronte, ad una distanza di quattro miglia l’uno dall’altro (da sinistra a dritta, nell’ordine, Da Noli – il più vicino a Capo Spartivento, che è alla sinistra delle navi –, Vivaldi, Da Recco, Usodimare e Pessagno, il più lontano dalla costa), e procedendo a 19 nodi su rotta 55°, lungo il rilevamento ottenuto dalla rilevazione radiogoniometrica. La notte è particolarmente buia, serena ma senza luna; il mare è calmo. Alle 23.50 è il Vivaldi ad avvistare un sommergibile, il britannico Oswald: la nave manovra immediatamente per speronarlo, affondandolo e recuperandone poi 52 naufraghi.
31 agosto-2 settembre 1940
L’Usodimare partecipa all’uscita in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats».
La XVI Squadriglia Cacciatorpediniere cui appartiene (con Nicoloso Da Recco ed Emanuele Pessagno) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), all’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della 2a Squadra) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno). Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III (Trento, Trieste e Bolzano, da Messina), VII (Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, da Brindisi) e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere (oltre a quelli già menzionati, anche Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia, e Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della XII Squadriglia). Obiettivo, contrastare l’operazione britannica «Hats» (consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
La XVI Squadriglia è di scorta all’VIII Divisione; al largo di Taranto questa si unisce alla VII Divisione, scortata dalla XV Squadriglia, per effettuare un rastrello nel Mar Ionio.
Alle 14.35 del 31, in posizione 37°47’ N e 18°25’ E, il sommergibile britannico Parthian (capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) avvista alcune unità del gruppo composto da VII e VIII Divisione, che in quel momento procede con la XVI Squadriglia disposta a proravia degli incrociatori e la XV Squadriglia posizionata in linea di fila sul lato sinistro. Il Parthian si avvicina per attaccare una delle navi avvistate, ma alle 14.42 interrompe l’attacco, avendole identificate per cacciatorpediniere classe Navigatori; un minuto dopo, però, avvista gli incrociatori dell’VIII Divisione, a 7300 metri di distanza, pertanto riprende l’attacco e, superato lo schermo della XV Squadriglia, alle 14.52 (in posizione 37°45’ N e 18°22’ E, circa 105 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento) lancia sei siluri da 320 metri.
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra, al comando dell’ammiraglio Inigo Campioni – con insegna sulla Littorio –, è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
29 settembre-1° ottobre 1940
L’Usodimare lascia Taranto la sera del 29 settembre, insieme al Pessagno nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino) e XV (Da Mosto, Da Verrazzano) (il Pola con la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5», consistente nell’invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e rifornimenti e nel contemporaneo invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione.
Alle 18.05 del 29 settembre escono in mare da Taranto il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra), la I Divisione con Zara, Fiume e Gorizia e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani, Alfieri, Gioberti, Carducci) più l’Ascari della XII Squadriglia, seguiti alle 19.30 dalle Divisioni V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VI (corazzata Duilio), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio – nave di bandiera dell’ammiraglio Inigo Campioni, comandante la 1a Squadra – e Vittorio Veneto) e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno, Usodimare)
La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
Ottobre 1940
Il capitano di fregata Sante Bondi cede il comando dell’Usodimare al parigrado Alfonso Galleani, 41 anni, da Roma.
11-12 novembre 1940
L’Usodimare si trova ormeggiato in Mar Piccolo a Taranto (banchina torpediniere/banchina di Porta Ponente) insieme al resto della XVI Squadriglia (Da Recco e Pessagno) ed a numerose altre unità (incrociatori pesanti Trieste e Pola, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, nave portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, rimorchiatore di salvataggio Teseo, posamine Vieste, cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco, Geniere, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei cacciatorpediniere.
Tra le 23.30 e le 23.40 altri due aerei, da quote comprese tra i 500 ed i 900 metri, sganciano diverse bombe che cadono 20-30 metri a proravia dei cacciatorpediniere ormeggiati all’estremità orientale della linea degli ormeggi. Alle 00.30, infine, un ultimo bombardiere, preceduto da due bengalieri, sgancia da circa 900 metri un grappolo di 6 bombe, delle quali 4 cadono in mare tra Trento e Miraglia, una colpisce il Trento senza esplodere, ed una cade in mare tra la prua del Duca degli Abruzzi ed i cacciatorpediniere ormeggiati alle boe.
Il Pessagno subisce alcuni danni alla carena a causa della concussione provocata dall’esplosione di alcune bombe cadute in mare molto vicine; un’altra bomba, anch’essa inesplosa, colpisce il Libeccio.
L’Usodimare alla fonda a Taranto nell’autunno 1940; sullo sfondo s’intravedono alcuni dei palloni frenati di sbarramento della base (da “Esploratori fregate corvette e avvisi italiani 1861-1968”, USMM, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Intorno alle 6.30 l’Usodimare entra in collisione con la motonave mista Viminale al largo di Brindisi, riportando danni non gravi. Rimorchiato a Brindisi dal cacciatorpediniere Lampo, richiederà otto giorni di riparazioni (per una fonte effettuate a Taranto).
11-14 maggio 1941
L’Usodimare parte da Palermo alle 18.40, insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi Cadorna (della IV Divisione), Duca degli Abruzzi e Garibaldi (della VIII Divisione) ed ai cacciatorpediniere Da Recco, Pessagno, Bersagliere, Fuciliere, Alpino, Maestrale e Scirocco (i tre “Navigatori” scortano l’VIII Divisione, gli altri cinque la IV Divisione), per fornire protezione a distanza a due convogli: uno (piroscafi italiani Ernesto e Tembien, motonavi Giulia e Col di Lana, piroscafi tedeschi Preussen e Wachtfels, scortati dai cacciatorpediniere Dardo, Aviere – caposcorta –, Geniere, Grecale e Camicia Nera) in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle due dell’11, dopo essere partito già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) a Tripoli, dove arriva alle 11.40 del 13; l’altro (motonavi italiane Victoria, Andrea Gritti e Barbarigo, motonave tedesca Ankara, cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Saetta e Da Noli) in navigazione in direzione opposta: partito da Tripoli alle 19.30 del 12, arriva a Napoli alle 16.30 del 14.
La IV Divisione raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del mattino del 12 maggio, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle infiltrazioni di acqua salata nei condensatori delle caldaie poppiere, che alle 17 costringono il Comando della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna, dopo di che il Bande Nere rientra a Palermo, scortato dall’Alpino.
Il resto della formazione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
3 giugno 1941
Partecipa, con compiti di scorta alle unità adibite alla posa delle mine, alle operazioni di posa delle spezzate «b» e «c» dello sbarramento di mine «T» a nordest di Tripoli (si trattava di campi minati difensivi, che dovevano proteggere Tripoli da attacchi da parte delle forze navali britanniche) insieme ai cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta, Giovanni Da Verrazzano, Da Recco, Gioberti e Scirocco, alla IV Divisione (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere ed Alberto Di Giussano) ed alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio Attendolo). L’Usodimare, in particolare, al comando del capitano di fregata Galleani ed inquadrato nella XVI Squadriglia insieme a Da Recco, Gioberti e Scirocco, parte da Taranto alle 05.00 del 2 giugno insieme al Da Recco, alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Pigafetta, Da Mosto, Da Verrazzano) ed alla VII Divisione; alle 18.10 viene incontrato il gruppo composto dalle altre unità, che si unisce al primo alle 18.30. Alle 10.37 del 3 giugno la formazione, giunta in prossimità dell’area designata per la posa di mine, si divide come ordinato; alle 11.06 ha inizio la manovra per assumere rotta e formazione per la posa delle mine, ma durante il suo svolgimento l’Usodimare, che non ha mine a bordo ma è di scorta alle altre navi, subisce un’avaria al timone, che provvede a segnalare. Il problema può però essere rapidamente risolto senza ostacolare la manovra. Le mine vengono poi posate dalle navi designate tra le 11.31 e le 12.15 (spezzata «b») e tra le 12.22 e le 12.51 (spezzata «c»). Terminata la posa, le navi dei due gruppi si riuniscono tra le 13.30 e le 14.10 ed assumono poi la rotta di ritorno. Durante la navigazione notturna di rientro l’Usodimare ritiene di avvistare degli aerei (era stato segnalato il decollo di aerosiluranti britannici da Malta) e lancia l’allarme, provocando un’accostata per imitazione di manovra, ma non vi sono attacchi. La formazione rientra regolarmente alle basi.
17-18-19 giugno 1941
Insieme alla torpediniera Partenope, l’Usodimare viene incaricato delle operazioni preliminari alla posa della spezzata «S 2» del campo minato «S» (uno sbarramento di mine offensivo posizionato tra Capo Bon e le isole Egadi, e composto da varie spezzate). L’Usodimare posa le boette che devono segnalare le estremità della linea di posa, poi ne ricontrolla più volte attentamente la posizione. Le operazioni, interrotte causa maltempo, riprendono dal 25 al 27 giugno.
22 giugno 1941
Usodimare, Da Recco e Pessagno (la XVI Squadriglia) forniscono protezione antiaerea ed antisommergibili alle corazzate Littorio e Duilio, impegnate in un’esercitazione di tiro notturno (con la Duilio che funge da bersaglio) nel Golfo di Taranto.
L’Usodimare ed i cacciatorpediniere Maestrale e Grecale vanno a rinforzare la scorta diretta (cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello, caposcorta, e torpediniere Orsa, Procione, Pegaso, Enrico Cosenz e Clio) di un convoglio (piroscafi italiani Amsterdam, Tembien ed Ernesto, piroscafo tedesco Wachtfels, motonavi Giulia e Col di Lana) partito da Tripoli per Napoli alle 15 del 21, dopo che nella giornata del 22 il convoglio è stato oggetto di pesanti attacchi aerei che hanno gravemente danneggiato il Tembien ed il Wachtfels, costringendoli a dirottare su Trapani con la scorta dell’Orsa.
24 giugno 1941
Il convoglio raggiunge Napoli alle 3.30.
28 giugno 1941
Posa della spezzata «S 2» da parte di Duca d’Aosta, Attendolo, Pessagno e Pigafetta. L’Usodimare attende l’arrivo delle navi adibite alla posa nei pressi della boa orientale, ed all’inizio della posa, alle 6.54, si allontana per non essere d’intralcio.
4-7 luglio 1941
All’alba del 4 luglio l’Usodimare, nell’ambito delle operazioni preliminari alla posa della spezzata «S 3», raggiunge la zona indicata e posa le boette n. 1 e n. 3. All’alba del 6 l’unità, insieme alla torpediniera Castore, ritorna sul posto e verifica accuratamente la posizione delle boette. All’alba del 7, giorno stabilito per la posa, l’Usodimare attende le navi designate per la posa delle mine (Duca d’Aosta, Attendolo, Bande Nere, Di Giussano, Pigafetta e Pessagno oltre a sei cacciatorpediniere di scorta) presso la boetta n. 1. Quando le navi iniziano a disporsi per la posa, intorno alle 7, l’Usodimare segnala che le unità della Divisione dovrebbero, se possibile, distruggere le boe n. 2 e n. 4 (ordine che viene comunicato al Di Giussano, che deve passare nei pressi di tali boe). La posa avviene regolarmente.
6-23 agosto 1941
Il 6 agosto l’Usodimare e la torpediniera Centauro, partiti da Trapani, provvedono alle usuali operazioni preliminari per la posa del tratto «S 41» della spezzata «S 4»; terminata quest’opera, non rientrano alla base ma eseguono analoghe operazioni anche per i tratti «S 42», «S 43» e «S 44» della medesima spezzata. Come al solito Usodimare e Centauro attendono poi l’arrivo delle navi assegnate alla posa (posamine ausiliari Reggio ed Aspromonte e cacciatorpediniere Pigafetta, Da Mosto, Da Verrazzano, Da Noli, Zeno e Pessagno) per segnalare le estremità dello sbarramento, venendo da esse avvistati rispettivamente alle 6.10 ed alle 6.02 del 12 agosto, giorno della posa del tratto «S 41». I tratti «S 42», «S 43» e «S 44» vengono posati rispettivamente il 16, il 19 ed il 23 agosto. Alle 8.30 del 23 agosto, prima dell’inizio della posa, Usodimare e Centauro, di nuovo in attesa per segnalazione dei limiti del campo minato, vengono avvistati dalle navi incaricate della posa.
Lo stesso giorno Usodimare, Pessagno, Pigafetta, Da Verrazzano, Malocello e Da Noli escono nuovamente in mare di scorta alle corazzate Littorio e Vittorio Veneto, uscite in mare per intercettazione di forze navali britanniche, ma la missione si conclude senza che si prenda contatto con forze nemiche.
29 agosto 1941
L’Usodimare, insieme al Pessagno, al Da Noli ed ai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta), Camicia Nera e Vincenzo Gioberti, salpa da Napoli per Tripoli alle 11.15, scortando i grossi trasporti truppe Victoria, Neptunia ed Oceania.
A mezzogiorno il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio mentre transita nella Bocca Piccola diretto verso sud, per poi disporsi su due colonne (Neptunia e Oceania nella colonna di dritta, Victoria da sola in quella di sinistra) ed assumere rotta 215°. Dopo essere temporaneamente sceso a 15 metri (dalle 12.14 alle 12.16) per non essere avvistato da un cacciatorpediniere che ha ridotto le distanze, alle 12.18 l’Urge, nel punto 40°25’ N e 14°25’ E (al largo di Capri), lancia tre siluri da 3660 metri contro il trasporto più vicino: la Victoria, che Tomkinson ha scambiato per un più grande e vecchio transatlantico del tipo “Duilio”. La motonave viene mancata dai siluri, così come l’Urge viene mancato dalle 26 bombe di profondità gettate dalla scorta tra le 12.24 e le 12.55 (nessuna esplode particolarmente vicino al sommergibile), così ritirandosi verso sudest con l’errata impressione di avere colpito il bersaglio.
31 agosto 1941
Alle 6.30 il sommergibile britannico Upholder (tenente di vascello Malcolm David Wanklyn) rileva rumori di navi in avvicinamento, nota del fumo e poi avvista il convoglio (con i trasporti truppe disposti su due colonne) in avvicinamento su rotta 250°, poi 225°. Avvicinatosi con un’accostata verso nord, il battello britannico lancia una salva di quattro siluri, da 5500-6400 metri di distanza, alle 7.10, contro Neptunia e Oceania (in posizione 32°50’ N e 13°55’ E, a levante di Tripoli). Nessuna delle armi va a segno, e dalle 7.16 alle 7.30 due dei cacciatorpediniere contrattaccano con il lancio di 23 bombe di profondità, che tuttavia non danneggiano l’Upholder il quale frattanto si ritira verso nord.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 9.30.
Da Noli, Pessagno, Usodimare, Aviere (caposcorta), Gioberti e Camicia Nera ripartono da Tripoli alle 20.30, scortando Victoria, Neptunia ed Oceania che rientrano vuote a Taranto.
Il convoglio arriva a Taranto alle 15.
16 settembre 1941
L’Usodimare (capitano di fregata Alfonso Galleani) salpa da Taranto alle 20.20, insieme ai cacciatorpediniere Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), Pessagno, Da Noli, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, per scortare a Tripoli un convoglio veloce formato dalle motonavi Vulcania, Neptunia ed Oceania, cariche di truppe italiane e tedesche.
Il convoglio non segue subito la rotta diretta per Tripoli, mantenendosi invece molto più ad est, in modo da tenersi al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti di base a Malta (è previsto di accostare per Tripoli solo quando si sarà giunti nei pressi della costa libica). Inizialmente la navigazione del convoglio si svolge approssimativamente lungo la tangente al cerchio avente centro Malta e raggio 160 miglia; poi, dopo l’accostata, le navi imboccheranno un corridoio stretto tra il predetto cerchio di raggio 160 miglia, a nord, ed i campi minati, a sud.
E proprio nel tratto finale di questo “corridoio”, dove il percorso è obbligato, sono stati inviati in agguato, a seguito di decrittazioni di “ULTRA” su orari e rotte del convoglio, quattro sommergibili britannici: l’Unbeaten (100 miglia ad est di Tripoli), l’Upholder (10 miglia a nordovest dell’Unbeaten) e l’Upright (20 miglia a nordovest dell’Unbeaten), a formare uno sbarramento perpendicolare alla presunta rotta dei convogli diretti da Tripoli e provenienti da est; e l’Ursula, 30 miglia ad est di Tripoli, all’imbocco della rotta di sicurezza.
17 settembre 1941
In mattinata, il convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico, avvistato dall’Usodimare alle otto del mattino. Alle 16.52 l’Usodimare avvista un sommergibile su rilevamento 140°, a 7000 metri di distanza; mentre il convoglio accosta a dritta, Pessagno ed Usodimare, che sono in posizione di scorta laterale a sinistra, lasciano la formazione e danno la caccia al sommergibile, mentre Da Noli e Gioberti ricevono ordine di lanciare bombe di profondità a scopo intimidatorio, qualora vi fosse in zona un secondo sommergibile. Alle 17.20 i due cacciatorpediniere si riuniscono al convoglio che, già pochi minuti dopo l’avvistamento, è tornato sulla rotta originaria (180°). Probabilmente si è trattato di un falso allarme, non risultando che vi fossero sommergibili britannici nella zona attraversata in quel momento.
Alle 19.15 il convoglio assume rotta 255° (per giungere al punto di atterraggio “B”, tra Homs e Tripoli), ed alle 21.05 una vedetta del Pessagno avvista quello che ritiene essere un bengala del tipo utilizzato dai britannici, spentosi immediatamente; il Pessagno lo riferisce al caposcorta.
Il convoglio procede con le motonavi disposte in formazione a triangolo (Oceania a dritta, Vulcania a sinistra, Neptunia in coda tra le due), con i cacciatorpediniere tutt’intorno (il Da Recco in testa, quale caposcorta).
18 settembre 1941
Alle 3.30 appare la luna all’ultimo quarto, a poppavia sinistra del convoglio. Alcuni minuti prima, alle 3.07, l’Unbeaten (il più a sud dei tre sommergibili dislocati a cavallo della rotta) ha avvistato le navi italiane dirette verso Tripoli; essendo troppo lontano per lanciare i siluri con concrete possibilità di successo, il battello britannico comunica l’avvistamento per radio ai tre “colleghi” in agguato nelle vicinanze, che ricevono tutti il messaggio. Anche Supermarina intercetta e decifra il messaggio dell’Unbeaten, che ritrasmette il prima possibile al Da Recco, per avvisarlo: ma è già troppo tardi.
L’Upholder, infatti, non appena ricevuto il messaggio si è mosso verso il convoglio, l’ha avvistato alle 3.50 a 6 miglia per 045° (la visibilità del convoglio è aumentata da un problema della Vulcania, dal cui fumaiolo esce un vistoso pennacchio di scintille) ed ha lanciato una salva di siluri, alle 4.06 (orario britannico), da 4570 metri di distanza.
Alle 4.15 (orario italiano), due delle armi vanno a segno: in posizione 33°02’ N e 14°42’ E (fonti italiane; 33°01’ N e 14°49’ E per l’Upholder), la Neptunia e l’Oceania vengono colpite, una dopo l’altra. Il disastro coglie il convoglio del tutto di sorpresa: nessuno, né sulle motonavi né sui cacciatorpediniere, ha avvistato il sommergibile o le scie dei siluri, neanche all’ultimo momento.
L’Usodimare riceve ordine dal caposcorta di proseguire per Tripoli scortando la Vulcania, unica rimasta indenne, mentre gli altri quattro cacciatorpediniere si portano subito sotto le navi colpite, per fornire soccorso.
Alle 6.56 (altra fonte parla delle 6.20) l’Ursula (tenente di vascello Arthur Richard Hezlet) avvista Vulcania ed Usodimare (quest’ultimo identificato correttamente come un cacciatorpediniere classe Navigatori) e manovra per attaccare la motonave, lanciando alle 7.05 (per altra fonte, 7.20) quattro siluri da una distanza di 3.000 metri, in posizione 32°55’ N e 13°52’ E (una trentina di miglia ad est di Tripoli). Aerei e navi inviate da Tripoli in appoggio al convoglio, tuttavia, avvistano i siluri ed avvertono in tempo il Vulcania, che elude con la manovra il lancio – i siluri transitano a poppavia della motonave – e raggiunge indenne Tripoli insieme all’Usodimare, alle 9.30.
Una volta accompagnata in salvo la motonave, l’Usodimare si precipita nuovamente sul luogo del siluramento per partecipare al tentativo di salvataggio delle navi silurate e delle truppe imbarcate.
Nel frattempo si consuma la tragedia delle due navi colpite. La Neptunia è quella in condizioni più critiche: il siluro è esploso a poppavia del traverso, probabilmente sotto la chiglia, provocando immediatamente l’immobilizzazione della nave e la cessazione dell’erogazione dell’energia elettrica. La motonave inizia subito ad appopparsi ed a sbandare sulla sinistra (inizialmente 9°-10°); il Da Noli, insieme al Gioberti, riceve ordine dal Da Recco di prestarle assistenza, e di recuperare gli uomini che si stanno gettando in mare. (Per altra versione, il Da Noli viene inviato ad assistere il Gioberti in questa opera in un secondo tempo).
Così viene fatto: Da Noli e Gioberti si portano sulla dritta della Neptunia (cioè sopravento), fermandosi a 50-100 metri dalla motonave, mentre questa cala tutte le scialuppe, cariche di soldati. Molti altri soldati si sono gettati direttamente in acqua; quelli rimasti a bordo dopo la partenza delle scialuppe ricevono istruzione di calarsi in mare lungo corde e biscagline, mentre vengono gettati in mare tutti gli zatterini e centinaia di galleggianti di fortuna, quali tavole e pannelli da boccaporto. Da Noli e Gioberti recuperano incessantemente i naufraghi dalle imbarcazioni e dal mare; tutti indossano i giubbotti salvagente e sono privi delle scarpe. L’appoppamento e lo sbandamento della Neptunia si aggravano sempre più; alle 6.20, fallito ogni tentativo di contenere gli allagamenti, viene dato l’ordine di abbandono generale della nave (a bordo sono rimasti pochi soldati e parte dell’equipaggio). Alle 6.35 i comandanti civile e militare della Neptunia, capitano Gladulich e capitano di vascello Fedeli, scendono in mare e raggiungono a nuoto il Da Noli, a bordo del quale vengono issati alle 6.50.
Alle 6.50 la Neptunia s’inabissa con la poppa in verticale. Da Noli e Gioberti continuano a recuperare i naufraghi; verso le 7.30 si unisce a loro anche il Da Recco.
Maggiori speranze si nutrono per l’Oceania, che – colpita a poppa – non ha subito danni tali da comprometterne la galleggiabilità: gli allagamenti vengono contenuti, e la maggior parte dell’apparato propulsivo (eccetto la motrice interna di sinistra, che dev’essere fermata per probabile perdita dell’elica) rimane in funzione. Prima di tentare un rimorchio, comunque, il suo comandante decide di trasferire le truppe sul Pessagno.
Nel mentre, i britannici sono ancora all’opera: alle cinque del mattino l’Upright, avvistando le due motonavi immobilizzate, ha dato inizio ad una manovra d’attacco per dare loro il colpo di grazia, salvo rinunciare alle 5.25 per la presenza dei cacciatorpediniere.
Per giunta l’Upholder, sceso in profondità dopo l’attacco (alle 4.08) per ripiegare verso sud, alle 4.45 è riemerso ed ha osservato la scena delle due motonavi colpite con i cacciatorpediniere impegnati nei soccorsi, e Wanklyn ha deciso di spostarsi verso est per ricaricare i siluri ed attaccare nuovamente all’alba: alle 5.30 l’Upholder torna ad immergersi e si avvicina alle navi italiane, ricaricando i tubi di lancio, ed alle 6.30 avvista l’Oceania ed il Pessagno, decidendo di attaccare la prima.
Alle 6.52 anche l’Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward) avvista l’Oceania danneggiata e si avvicina per attaccare, ma viene dissuaso dalla presenza dei cacciatorpediniere.
Alle 7.56 l’Upholder sta per lanciare i siluri, quando un cacciatorpediniere classe Navigatori (probabilmente il Pessagno od il Da Recco) gli passa vicino, inducendo Wanklyn a scendere in profondità; alle 7.59 l’Upholder scende a 21 metri e manovra per portarsi di nuovo in poszione di attacco. Intanto, il Da Recco giunge sul posto per sostituire il sovraccarico Pessagno (ha a bordo oltre 2000 uomini) nell’opera di soccorso.
Alle 8.51 l’Upholder lancia un’altra salva di siluri contro l’Oceania: colpita da due delle armi, la motonave affonda in sette minuti. Al Da Recco non resta che recuperare i naufraghi, operazione alla quale partecipano anche le torpediniere Perseo, Centauro, Circe e Clio (giunte verso le otto) e la nave soccorso Laurana, inviate sul posto da Marina Libia. Un idrovolante di soccorso della Croce Rossa, tentando di ammarare nel mare agitato, perde un’ala ed affonda; il Da Noli ne recupera l’equipaggio.
La perdita dei due transatlantici è un duro colpo, ma grazie all’alacre opera di soccorso delle siluranti risulta possibile salvare la larghissima maggioranza del personale imbarcato: 5434 uomini su 5818, cioè il 93 %. L’Usodimare, giunto sul posto per ultimo dopo aver scortato in salvo la Vulcania, è il cacciatorpediniere della scorta che salva meno naufraghi, “solo” 485; il Pessagno ha tratto in salvo ben 2083 naufraghi, il Da Recco 1302, il Da Noli 682, il Gioberti 582, la Clio 163, la Perseo 131, la Circe 3 ed altri tre gli idrovolanti di soccorso.
Molti gli episodi di altruismo e di vero e proprio eroismo: diversi marinai dei cacciatorpediniere si sono tuffati in acqua per sostenere e soccorrere i soldati che versavano in condizioni peggiori; una volta a bordo, i naufraghi sono stati rifocillati e rivestiti con indumenti offerti spontaneamente da ufficiali e marinai delle unità soccorritrici.
19 settembre 1941
Usodimare, Da Recco, Pessagno e Da Noli lasciano Tripoli alle 19.30 per scortare a Napoli la Vulcania, che rientra per la rotta di ponente.
Le navi arrivano a Napoli alle 2.45.
2 ottobre 1941
Il Da Noli parte da Napoli per Tripoli alle 22.30, insieme ai cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti, Antonio Da Noli (caposcorta, capitano di fregata Luigi Cei Martini) ed Euro, scortando un convoglio composto dalle motonavi Vettor Pisani, Rialto, Fabio Filzi e Sebastiano Venier, italiane, Ankara e Reichenfels, tedesche. In tutto le navi del convoglio trasportano 828 veicoli, 12.110 tonnellate di materiali vari, provviste e munizioni, 3162 tonnellate di carburante e 1060 uomini: circa metà della loro portata, per frazionare il carico tra più navi in modo da ridurre le perdite nel caso dell’affondamento di una di esse.
Il convoglio, denominato «Pisani», segue la rotta di levante, per lo stretto di Messina ed ad est di Malta (a circa 90 miglia dall’isola, perché la recente introduzione dei bombardieri ed aerosiluranti Vickers Wellington, dotati di maggiore autonomia dei Fairey Swordfish ed Albacore sino ad ora impiegati, rende inutile viaggiare a distanza maggiore: in tali condizioni, allora, tanto vale viaggiare più vicini a Malta, per ridurre la durata della traversata e prolungare il tempo in cui la caccia proveniente dalla Sicilia può tenere il convoglio sotto la propria protezione).
La velocità del convoglio dovrebbe essere di 14 nodi, ma il Reichenfels ha problemi di macchina che costringono a ridurla a 10 nodi, che più avanti è possibile portare a 13.
L’Usodimare a Taranto (foto Paolo De Siati, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Alle 14 il Da Noli ordina a Rialto e Reichenfels di scambiarsi di posto nella formazione.
Nelle giornate del 3 e 4 ottobre, di giorno, il convoglio fruisce della scorta aerea di bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" della Regia Aeronautica e di caccia Messerschmitt della Luftwaffe, ma poco dopo le dieci del mattino del 4 ottobre viene avvistato da ricognitori britannici provenienti da Malta, che informano subito i propri comandi.
Supermarina intercetta i segnali di scoperta lanciati dai ricognitori, e richiede a Superaereo di sottoporre Malta, in serata, ad un violento bombardamento, così da impedire che gli aerei destinati ad attaccare il convoglio nottetempo possano decollare; il bombardamento avrà luogo, ma per “ragioni di forza maggiore” non sarà intenso come richiesto da Supermarina, così gli aerei di Malta possono decollare egualmente.
Dopo l’intercettazione del segnale di scoperta, Supermarina ne mette al corrente anche il comandante Cei Martini, che dopo il tramonto fa coprire tutto il convoglio con cortine nebbiogene, così che i ricognitori nemici non lo vedano accostare, poi modifica la rotta nel tentativo di ingannare gli aerei britannici.
Il provvedimento sembra avere un temporaneo successo, ma tra l’una e le due di notte del 5 ottobre i ricognitori nemici ritrovano il convoglio.
5 ottobre 1941
Alle 00.45, un sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio e l’Usodimare contrattacca, ritenendo di averlo danneggiato.
Poco dopo le 2.52 del 5 ottobre ha inizio un attacco aereo; viene dato l’allarme, ed i cacciatorpediniere della scorta riescono ad occultare i mercantili con cortine di nebbia. Non appena gli aerei si avvicinarono, tutte le navi del convoglio aprono un violento fuoco di sbarramento, che costringe gli attaccanti a ritirarsi. La navigazione prosegue, con vigilanza rafforzata.
Alle 3.52, una settantina di miglia a nord di Misurata (per altra fonte, 80 miglia a nord-nord-est di tale città), ha inizio un secondo attacco, da parte di quattro aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm decollati da Malta. Il comandante Cei Martini fa emettere nuovamente cortine fumogene, ma si accorge che, con il vento che spira dai settori poppieri, la cortina non è efficace; risale quindi il convoglio su rotta invertita ed emettendo fumo, così riuscendo ad occultare tutto il lato sinistro. Il lato dritto, quello opposto alla luna, resta però scoperto; e da quel lato attaccano gli aerosiluranti, che alle 3.57 colpiscono la Rialto con uno o due siluri. Uno degli aerei viene abbattuto, ma la motonave rimane immobilizzata ed inizia a sbandare fortemente. Il caposcorta distacca prima l’Euro e poi il Gioberti ad assisterla, ma la Rialto affonderà alle dieci del mattino, dopo che i due cacciatorpediniere avranno recuperato 145 dei 165 uomini imbarcati.
Il resto del convoglio, proseguito dopo il siluramento, viene raggiunto dalle torpediniere Partenope (dopo rastrello antisommergibile) e Calliope (per pilotaggio e rinforzo alla scorta) inviate da Tripoli, ed arriva nel porto libico alle 15 (o 15.30) dello stesso giorno.
6 ottobre 1941
Usodimare e Da Noli (caposcorta) lasciano Tripoli per Napoli alle 17.15, scortando il piroscafo Castelverde.
Le tre navi giungono a Napoli alle 17.45, senza aver subito alcun attacco.
16 ottobre 1941
L’Usodimare salpa da Napoli alle 13.30 facendo parte della scorta del convoglio «Beppe», composto dalle motonavi Marin Sanudo e Probitas e dai piroscafi Beppe, Paolina e Caterina e scortato, oltre che dall’Usodimare, dai cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti, Folgore (caposcorta, capitano di fregata Ernesto Giuriati), Fulmine ed Alfredo Oriani e dalla torpediniera Cigno.
Il convoglio, denominato «Beppe», segue la rotta che passa ad ovest di Malta, che pur essendo sotto qualche aspetto più rischiosa di quella di est, è giudicata la più idonea per il transito di convogli lenti (velocità non superiore ai 9 nodi, come appunto il «Beppe», che è considerato un convoglio lentissimo) in quanto più breve. I vantaggi di questa rotta consistono nella minor durata del viaggio e nella possibilità di garantire alle navi la scorta aerea – per lo meno di giorno – per tutta la traversata, con aerei decollati da Pantelleria e Lampedusa; gli svantaggi, nella minor distanza della rotta da Malta, nel non dare ai mercantili vie di scampo verso ovest, e nell’avere un percorso racchiuso entro un corridoio ampio poche miglia, delimitato da un lato dai campi minati posati nel Canale di Sicilia e dall’altro dalla costa della Tunisia e dalle secche di Kerkennah. Seguire la rotta di levante comporterebbe, per un convoglio lento, di trattenersi molto più a lungo entro il raggio dell’offesa britannica, così vanificando il vantaggio della maggior distanza dalla base avversaria (peraltro ulteriormente ridotto, nell’ottobre 1941, dall’arrivo a Malta degli aerosiluranti Vickers Wellington, aventi un raggio d’azione maggiore degli Swordfish e degli Albacore, così che nemmeno la rotta di levante passa più al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti).
Alle 16.50 il Probitas viene colto da un’avaria e deve rientrare a Napoli scortato dal Fulmine, mentre la minuscola motonave Amba Alagi (requisita come unità ausiliaria con sigla F 138) si unisce al convoglio a Trapani, dove viene invece lasciata la Cigno.
17 ottobre 1941
Il 17 ottobre “ULTRA”, la celebre organizzazione britannica dedicata alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, intercetta e decifra un messaggio relativo al convoglio «Beppe» (da esso chiamato «Caterina»), apprendendone così la composizione (6 mercantili e 4 cacciatorpediniere), data e luogo di partenza (Napoli, ore 11 del 16) ed arrivo (Tripoli, ore 18 del 19), rotta seguita (a ponente di Malta) e velocità (9 nodi); da Malta vengono pertanto fatti decollare dei ricognitori, che rintracciano le navi italiane a mezzogiorno e poi ancora alle 16.40, al largo di Marettimo.
Nella notte tra il 17 ed il 18 il convoglio, che procede a velocità molto bassa e si trova a sud di Pantelleria, viene informato via radio da Supermarina di essere stato avvistato da un ricognitore britannico. Un’ora dopo si verificano i primi attacchi da parte di almeno tre aerosiluranti: questi attaccano dopo aver lanciato dei razzi illuminanti, ma l’attacco può essere eluso grazie a manovre difensive ed alla pronta stesura di cortine nebbiogene, attorno ai mercantili, da parte della scorta (grazie anche alla rotta seguita, 188°, ed al leggero vento di poppa che ha facilitato la copertura dei piroscafi con le cortine fumogene). Vengono avvertite le esplosioni di tre siluri, evidentemente giunti a fine corsa dopo il lancio.
18 ottobre 1941
Alle 9.02, mentre il convoglio è a sud di Lampedusa (nel punto 35°25' N e 11°39' E), ed a 140 miglia da Tripoli (per altra fonte, 45 miglia ad ovest di Lampedusa e 85 miglia ad ovest-nord-ovest di Tripoli), il sommergibile britannico Ursula (tenente di vascello Arthur Richard Hezlet, che ha avvistato il convoglio alle 8.06 nel punto 35°27'N e 11°45'E, con rilevamento 306°) lancia quattro siluri da 5500-6400 metri contro le navi italiane: alle 9.10 il Beppe avvista due siluri; riesce ad evitarne uno, ma l’altro lo colpisce a prua, lasciandolo immobilizzato, fortemente appruato, sbandato ed abbandonato da parte dell’equipaggio. Un’unità della scorta contrattacca con nove bombe di profondità tra le 9.25 e le 10, senza riuscire a danneggiare l’attaccante (che alle 10.12, tornato a quota periscopica, avvisterà il Beppe fermo nel punto dell’attacco, iniziando a ricaricare un tubo lanciasiluri per dargli il colpo di grazia; ma a mezzogiorno, non vedendo più la sua vittima, Hezlet concluderà erroneamente che questa sia già affondata). Il caposcorta distacca per l’assistenza al Beppe l’Oriani ed il Gioberti, ma poco dopo richiama l’Oriani in formazione, a seguito della notizia che altri due cacciatorpediniere, il Nicoloso Da Recco ed il Sebenico, sono salpati da Tripoli allo stesso scopo. Il resto del convoglio prosegue (il Beppe riuscirà a raggiungere Tripoli dopo due giorni di difficile navigazione).
Alle 21.50, ad una sessantina di miglia da Tripoli, vengono avvistati quattro aerei che si avvicinano per attaccare; in realtà sono cinque, aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati Malta alle 19.40 al comando del tenente di vascello Aidan F. Wigram (altra fonte parla invece del tenente di vascello Robert Edgar Bibby). Li hanno guidati sul posto le segnalazioni di un ricognitore Vickers Wellington del 211th Squadron della Royal Air Force, munito di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la localizzazione di navi da parte di aerei), che ha localizzato e pedinato il convoglio (da esso apprezzato come composto da quattro mercantili di 3000-6000 tsl scortati da quattro cacciatorpediniere).
La scorta inizia ad emettere cortine fumogene, ma la copertura del convoglio risulta meno efficace rispetto alla sera precedente: manca infatti un cacciatorpediniere (il Gioberti, rimasto col Beppe). Il caposcorta ha tenuto un cacciatorpediniere a poppavia del convoglio con l’intento di farlo passare sul lato dove più fosse richiesta la sua presenza sulla base della probabile direzione da cui sarebbero arrivati gli aerei nemici; dato che i razzi illuminanti (li ha lanciati il Wellington del 211th Squadron per illuminare le navi e facilitare il compito degli attaccanti) sono stati lanciati sulla sinistra del convoglio (il che fa presumere che l’attacco giungerà dal lato opposto, in modo che gli attaccanti possano distinguere le sagome delle navi che si stagliano contro la luce dei bengala), Giuriati fa passare il cacciatorpediniere sulla dritta, inevitabilmente accettando di lasciare sguarnito il lato sinistro del convoglio. Alle 22.30, quando l’attacco è in corso da circa tre quarti d’ora, il caposcorta Giuriati ritiene che la nebbia artificiale si sia diffusa abbastanza da coprire un’accostata; pertanto ordina per radiosegnalatore ai mercantili di accostare di 45° a dritta (portandosi su rotta 135°) in modo da allontanarsi dalla zona illuminata dai bengala. Proprio in quel momento, però (altra versione indica le 23.45), il Caterina viene raggiunto da un siluro in sala macchine. L’aereo che l’ha lanciato, contrariamente alle previsioni, ha attaccato il convoglio sul lato sinistro, pur con lo svantaggio di avere i bengala alle spalle.
L’attacco aereo termina alle 23.01, ed alle 23.30 il convoglio compie una nuova accostata di 45° a dritta (assumendo rotta 180°) per evitare di essere individuato. Il caposcorta distacca l’Oriani per prestare assistenza al Caterina, in soccorso del quale escono da Tripoli l’anziana torpediniera Generale Antonino Cascino ed il rimorchiatore tedesco Max Berendt, nonché il Sebenico, inizialmente fatto salpare da Tripoli per andare in soccorso del Beppe. Dopo vani tentativi di rimorchio ed una lunghissima agonia, il Caterina si capovolgerà ed affonderà alle 17.30 del 19 ottobre, a 62 miglia per 350° dal faro di Tripoli.
19 ottobre 1941
Alle 11.30 Usodimare, Folgore, Paolina, Marin Sanudo ed Amba Aradam entrano a Tripoli.
27 ottobre 1941
Il capitano di fregata Galleani cede il comando dell’Usodimare al parigrado Luigi Merini, 43 anni, da Livorno.
12 dicembre 1941
Alle 10.30 l’Usodimare lascia Messina insieme al Da Recco per scortare a Taranto il convoglio
«A», composto dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco. Nell’ambito dell’operazione «M 41» per rifornire la Libia, il convoglio, una volta giunto a Taranto, dovrebbe proseguire per Tripoli (subito prima ne era stata annullata la prevista partenza per Argostoli, cambiando la destinazione intermedia con Taranto). Alle 2.10 (o 2.15, o 2.30) del 13 dicembre, tuttavia, il convoglio, in navigazione 15 miglia a sud di Capo San Vito (a circa dieci miglia da Taranto), viene attaccato dal sommergibile britannico Upright ed entrambi i mercantili sono colpiti. Il Filzi si capovolge ed affonda in appena sette minuti a causa dello spostamento del carico, il Del Greco affonda dopo meno di un’ora, prima che se ne possa tentare il rimorchio. Vengono salvati 435 naufraghi, ma in 214 risultano morti o dispersi.
16 dicembre 1941
Alle 20 l’Usodimare lascia Taranto insieme ai cacciatorpediniere Corazziere e Carabiniere (XII Squadriglia, cui è stato temporaneamente aggregato), Oriani, Maestrale, Gioberti (X Squadriglia), Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino (XIII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione, ammiraglio Angelo Parona) ed alle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura ravvicinata (corazzata Duilio, con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri Duca d’Aosta – con a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera).
Una volta in franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte l’Usodimare assume rotta 156° e velocità 20 nodi; i cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia rimangono con la Littorio, mentre III Divisione e X Squadriglia si portano 10 miglia a proravia della corazzata.
Alle 22.10 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle 22.34 l’Utmost lancia quattro siluri da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile britannico Unbeaten, che ne comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna militare Breconshire, con 5000 tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori leggeri Naiad (nave ammiraglia di Vian) ed Euryalus, dall’incrociatore antiaerei Carlisle e dai cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Hiram, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (Sikh, Legion, Maori, Lance, Lively, Legion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle otto del mattino, dopo una navigazione notturna priva di eventi, il gruppo «Littorio» dirige per sudest, in attesa di eventuali avvistamenti di navi nemiche provenienti da est. La Littorio procede in testa, seguita in linea di fila da Doria e Cesare, mentre i cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia sono disposti in scorta ravvicinata di prora e sui lati. Sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea: prima due Junkers Ju 88 della Luftwaffe di base in Sicilia, poi Savoia Marchetti S.M. 79 e CANT Z. 1007 bis italiani.
Alle 9 la formazione britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e soprattutto la Breconshire è stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico persisteranno nello scambiare la Breconshire per una corazzata.
In seguito a tale comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima (Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza della Breconshire diretta a Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio, sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un erroneo avvistamento di fumo all’orizzonte su rilevamento 195° da parte dell’Oriani alle 15.43, smentito tuttavia dallo stesso Oriani dopo due minuti) l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X Squadriglia Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per 200° dalla Littorio, mentre la XII e XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere posizione di scorta ravvicinata) e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso il nemico.
Alle 17.40, mentre il sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio adeguato.
Alle 17.52 l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso sud con la scorta di Havock e Decoy, poi dirige verso la squadra italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare la Breconshire con cortine fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante, indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi di Vian, da 29.000 metri di distanza, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche.
Calato poi il buio, alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12 Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa). Lo scontro, che prenderà il nome di prima battaglia della Sirte, ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est della formazione.
Durante la sera e la notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°, tenendosi ad est del convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del mattino, Granatiere e Corazziere entrano in collisione, distruggendosi a vicenda la prua. Alle 7.12 la III Divisione e la X Squadriglia ricevono ordine di dare loro assistenza; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto.
Oriani, Maestrale e Gioberti, cui più tardi si unisce lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a raggiungere Navarino.
La poppa dell’Usodimare, in secondo piano il Pigafetta (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net) |
A mezzogiorno il gruppo «Littorio» viene avvistato in posizione 39°14’ N e 17°49’ E, su rilevamento 235°, dal sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta Borys Karnicki), che dieci minuti prima ha rilevato rumore di motrici di navi su rilevamento 220°. Karnicki identifica la flotta avversaria come composta da due corazzate (in realtà sono tre: Littorio, Cesare, Doria), due incrociatori (Trento e Gorizia) e dieci cacciatorpediniere (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino, Corazziere, Carabiniere, Maestrale, Oriani, Gioberti, Usodimare), con un “ombrello” di dieci aerei nel loro cielo; le navi italiane hanno rotta 295° e velocità 20 nodi, la distanza dall’incrociatore più vicino è di oltre 9 km. Alle 12.15 la flotta italiana vira verso nord e scompare alla vista del Sokol, passando tra quest’ultimo ed il sommergibile britannico Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward), che forma uno sbarramento al largo del Golfo di Taranto insieme al Sokol ed al P 31 (tenente di vascello John Bertram de Betham Kershaw). L’Unbeaten avvista fumo su rilevamento 040°, ma poco dopo viene avvolto da un piovasco, che gli impedisce di avvistare le navi italiane,
Il gruppo «Littorio» arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
22 dicembre 1941
Dopo aver effettuato degli esercizi di punteria in mattinata, alle 20.45 Usodimare, Da Recco e Vivaldi lasciano Taranto per trasferirsi ad Augusta, da dove dovranno effettuare una nuova missione di trasporto verso la Libia. Superate le ostruzioni foranee, i tre cacciatorpediniere procedono a 22 nodi in linea di fila.
23 dicembre 1941
Verso le nove del mattino i tre cacciatorpediniere, giunti in vista della rada di Augusta, riducono la velocità; alle 9.15 superano le ostruzioni foranee e vanno poi ad ormeggiarsi alla banchina di Punta Cugno, dove inizia l’imbarco delle truppe e dei materiali da portare in Libia.
Alle 18.30 Vivaldi (caposquadriglia, capitano di vascello Giovanni Galati), Da Recco ed Usodimare lasciano Augusta diretti a Tripoli, navigando di nuovo a 22 nodi in linea di fila. A bordo hanno un reparto anticarro di 600 uomini con le relative armi, nonché 150 tonnellate di gasolio.
Alle 19.10 le tre unità passano in formazione a linea di fronte, e mezz’ora dopo avvistano dei razzi bianchi verso dritta: temendo che si prepari un attacco aereo nemico, viene ordinato il posto di combattimento, ma quando uno degli aerei passa a poca distanza viene riconosciuto come italiano dal rumore dei motori. Alle 21.30 la velocità viene portata a 25 nodi.
24 dicembre 1941
Verso le otto del mattino, in vista della costa africana, viene avvistato un aereo italiano che alle 9.15 lancia due fumogeni – uno bianco ed uno rosso – a proravia del Vivaldi; le tre navi seguono poi lungo la costa fino a Tripoli.
Alle 11.45 (o 11.22) i cacciatorpediniere arrivano a Tripoli, dove si ormeggiano al Molo Sottoflutto; appena finito il posto di manovra, iniziano a sbarcare rapidamente truppe e materiali, completando l’operazione alle tre del pomeriggio. Verso le 18 iniziano quindi ad imbarcare profughi civili e militari rimpatrianti (sul Vivaldi) nonché prigionieri di guerra da trasportare in Italia (su Da Recco ed Usodimare), per poi ripartire alle 18.30 (o 19).
La partenza avviene appena in tempo per evitare un’incursione aerea britannica su Tripoli: l’allarme viene suonato mentre i cacciatorpediniere si apprestano a superare le ostruzioni, e le difese contraeree del porto aprono il fuoco subito dopo che i cacciatorpediniere ne sono usciti. Qualche aereo attacca anche i cacciatorpediniere, senza causare danni.
Una volta lasciate le rotte di sicurezza, Vivaldi, Da Recco ed Usodimare si dispongono in linea di fila facendo rotta verso l’Italia; alle 21.05 vengono avvistati anche i cacciatorpediniere Bersagliere e Fuciliere (arrivati in porto quasi contemporaneamente alla Squadriglia Vivaldi, provenendo da Taranto con un carico di lattine di benzina), che si accodano alla squadriglia. In tutto i cinque cacciatorpediniere hanno a bordo 870 prigionieri Alleati (460 anglosassoni e 410 coloniali) scortati da 3 ufficiali e 45 militari italiani, nonché degli operai di passaggio, diretti in Italia.
Le cinque unità, costituendo un’unica formazione su due colonne (il cui comando va al capitano di vascello Galati), seguono a 27 nodi una rotta che passa ad est di Malta anziché, come prescritto dagli ordini ricevuti in precedenza, ad ovest dell’isola: tale variazione è stata decisa dal comandante Galati di propria iniziativa, alle ore 21 del 24, sulla base del fatto che i suoi cacciatorpediniere sono stati attaccati da bombardieri britannici dopo aver assunto la rotta definitiva per Lampione, il che dà motivo di credere che ormai i britannici conoscano con certezza gli elementi della navigazione delle navi italiane, cosa che renderebbe estremamente facile, per il nemico, organizzare la loro intercettazione nelle acque di Lampedusa. Considerato anche che le sue navi, avendo a bordo ciascuna circa 300 tra prigionieri, operai e militari di scorta e di passaggio, sono in condizioni tutt’altro che ottimali per un combattimento notturno, Galati decide di cambiare radicalmente il percorso da seguire, e pertanto cambia rotta in modo da passare 100 miglia ad est di Malta, invece di percorrere il Canale di Sicilia come previsto. La velocità viene portata a 25 nodi, in modo da essere al traverso di Malta non più tardi delle prime luci dell’alba.
25 dicembre 1941
Alle 7.30, trovandosi al traverso di Malta, il caposquadriglia Galati riferisce l’avvenuta modifica della rotta e la sua attuale posizione a Supermarina, Marina Napoli e Marina Messina.
Verso le nove vengono avvistati in lontananza degli aerei di nazionalità sconosciuta, che volano bassi sull’orizzonte, e viene ordinato il posto di combattimento, ma successivamente viene dato il cessato allarme in quanto gli aerei vengono identificati come velivoli da trasporto tedeschi.
Alle 11.25 viene avvistata la vetta dell’Etna, ed alle 12.30 i cacciatorpediniere sono al traverso di Capo dell’Armi; sempre in formazione su due colonne, imboccano lo stretto di Messina. Superato lo stretto, seguono le rotte di sicurezza fino al largo di Stromboli, poi assumono rotta verso Napoli. Alle 21.30 viene avvistato il faro di Punta Campanella.
Alle 24 Vivaldi (caposquadriglia), Da Recco, Usodimare, Bersagliere (capo sezione classe Soldati) e Fuciliere arrivano indenni a Napoli.
L’Usodimare con colorazione mimetica in una foto del 1942 (crediti sconosciuti, tratta da www.navyworld.narod.ru) |
3 gennaio 1942
L’Usodimare lascia Messina per Tripoli alle 10.15, insieme ai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, comandante dei cacciatorpediniere della scorta diretta), Bersagliere e Fuciliere, scortando le motonavi Nino Bixio, Lerici e Monginevro, nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». L’Usodimare e gli altri cacciatorpediniere del suo gruppo si sono trasferiti da Napoli a Messina il giorno precedente, rifornendosi nel porto siciliano prima di prendere il mare per la missione.
Le tre motonavi formano il convoglio n. 1 di tale operazione; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di «scorta diretta incorporata nel convoglio» (gruppo «Duilio», al comando dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia di Bergamini) con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (gruppo «Littorio», al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio (nave di ammiraglia di Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 7 e le 11, come previsto, il convoglio n. 1 si unisce ai convogli 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da Taranto e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Nomis di Pollone. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Poco dopo le tre di notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito alcun attacco. Complessivamente, con questo convoglio giungono in Libia oltre 15.000 tonnellate di carburante, 12.500 di munizioni, 650 veicoli e 900 soldati.
17 gennaio 1942
Usodimare e Da Recco (caposcorta) lasciano Tripoli alle 17 per scortare la nave cisterna Giulio Giordani di ritorno in Italia.
18 gennaio 1942
Durante la notte tra il 17 ed il 18, a sud della Sicilia, il convoglietto viene soggetto a ripetuti attacchi aerei, compreso uno da parte di cinque aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Hal Far (Malta), che ritengono di aver colpito la Giordani con un siluro, e probabilmente anche uno dei cacciatorpediniere. In realtà, nessuna delle navi italiane subisce alcun danno; anche gli Swordfish rientrano alla base senza perdite.
Giordani e scorta arrivano a Palermo alle 13.
21 febbraio 1942
Alle 13.30 l’Usodimare lascia Corfù insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Antonio Pigafetta (caposcorta, capitano di vascello Mirti della Valle) ed Emanuele Pessagno ed alla torpediniera Circe, per scortare a Tripoli un convoglio composto dalla motonave cisterna Giulio Giordani e dalle motonavi da carico Lerici e Monviso: si tratta del convoglio n. 2 (trasferitosi da Brindisi a Corfù nelle ore precedenti) nell’ambito dell'operazione «K. 7», consistente nell’invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili, scortati da dieci cacciatorpediniere e due torpediniere. I convogli fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia» (ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera).
22 febbraio 1942
Intorno alle 12.45, 180 miglia ad est di Malta, il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade), salpato da Messina e che è già stato raggiunto dai gruppi «Gorizia» e «Duilio» (quest’ultimo segue il resto delle navi italiane a breve distanza). La formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un bombardiere Boeing B-17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo Misurata, la Circe localizza con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38 (tenente di vascello Rowland John Hemingway), che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia anche Usodimare e Pessagno, che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe si deve allontanare perché la presenza delle altre navi impedisce l’utilizzo dell’ecogoniometro. Il comandante della Circe deve chiedere al caposcorta di richiamare Usodimare e Pessagno nel convoglio, il che avviene; alle 10.40, calmatosi il marasma, la Circe può rimettersi alla ricerca del sommergibile, che all’improvviso emerge a pallone a circa 30° da poppa, sulla sinistra: il battello britannico impenna la prua, compie una delfinata e si reimmerge immediatamente, appruato di circa 40°-45°. Il Pessagno, che si stava allontanando, torna indietro e riprende a lanciare bombe di profondità, nuovamente costringendo la Circe ad interrompere la ricerca. Alle 10.44 la Circe comunica al Pessagno che la sua presenza sta disturbando la sua ricerca; poco dopo, il cacciatorpediniere se ne va una volta per tutte. Il P 38 non riemergerà mai più: è affondato con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Frattanto, alle 10.30, lo Scirocco (come stabilito in precedenza) lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia», che, essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie, si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 11.25 il convoglio (composto in quel momento da Ravello, Monginevro, Unione, Vivaldi, Malocello, Zeno, Strale, Maestrale, Premuda, Pallade e Calliope) viene avvistato da un altro sommergibile britannico: il P 34, del tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison. Questi, avvistato su rilevamento 040° il convoglio che procede con rotta 250°, manovra per attaccare e lancia alle 11.49 una salva di quattro siluri, da 4150 metri di distanza, nel punto 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli). Uno dei velivoli della scorta aerea avvista i siluri e li mitraglia per dare l’allarme; il convoglio accosta prontamente per evitarli, e così nessuna delle armi va a segno (due mancano l’Unione passandole a proravia ed a poppavia). Alle 11.58 il Vivaldi passa al contrattacco, lanciando un totale di 57 bombe di profondità, alcune delle quali esplodono piuttosto vicine al P 34, ma senza riuscire a danneggiarlo.
Alle 13.30 il convoglio n. 2, avendo forzato l’andatura, giunge in vista del convoglio n. 1; quest’ultimo entra per primo a Tripoli alle 5. Entrambi i convogli sono in porto entro le 16.40.
23 febbraio 1942
Usodimare (caposcorta) e Pessagno lasciano Tripoli alle 19.50, scortando la motonave Bengasi.
24 febbraio 1942
Nella notte sul 24 il convoglio subisce numerosi attacchi aerei; nessuna nave è colpita, mentre il Pessagno abbatte un bombardiere.
25 febbraio 1942
Le navi giungono a Palermo alle otto del mattino.
8 aprile 1942
L’Usodimare si aggrega a Messina ad un convoglio proveniente da Napoli e diretto a Bengasi, formato dalla motonave tedesca Ankara scortata dal Pessagno e dalla torpediniera Lince, assumendone il ruolo di caposcorta. All’uscita del porto, però (alle 00.25 dell’8 aprile), l’Usodimare entra in collisione con l’Ankara nel punto 37°55’ N e 15°25’ E, riportando qualche danno superficiale ed una falla che lo costringe a rientrare in porto. Il resto del convoglio prosegue per Bengasi, dove arriverà l’indomani. (Per altra fonte la collisione sarebbe avvenuta alle cinque del mattino del 9 aprile).
1942
Lavori di ammodernamento, le otto mitragliere contraeree da 13,2 mm vengono sostituite con sette più efficaci armi da 20 mm.
L’Usodimare lascia Messina per Tripoli alle 10.15, insieme ai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, comandante dei cacciatorpediniere della scorta diretta), Bersagliere e Fuciliere, scortando le motonavi Nino Bixio, Lerici e Monginevro, nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». L’Usodimare e gli altri cacciatorpediniere del suo gruppo si sono trasferiti da Napoli a Messina il giorno precedente, rifornendosi nel porto siciliano prima di prendere il mare per la missione.
Le tre motonavi formano il convoglio n. 1 di tale operazione; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di «scorta diretta incorporata nel convoglio» (gruppo «Duilio», al comando dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia di Bergamini) con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (gruppo «Littorio», al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio (nave di ammiraglia di Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 7 e le 11, come previsto, il convoglio n. 1 si unisce ai convogli 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da Taranto e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Nomis di Pollone. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Poco dopo le tre di notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito alcun attacco. Complessivamente, con questo convoglio giungono in Libia oltre 15.000 tonnellate di carburante, 12.500 di munizioni, 650 veicoli e 900 soldati.
17 gennaio 1942
Usodimare e Da Recco (caposcorta) lasciano Tripoli alle 17 per scortare la nave cisterna Giulio Giordani di ritorno in Italia.
18 gennaio 1942
Durante la notte tra il 17 ed il 18, a sud della Sicilia, il convoglietto viene soggetto a ripetuti attacchi aerei, compreso uno da parte di cinque aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Hal Far (Malta), che ritengono di aver colpito la Giordani con un siluro, e probabilmente anche uno dei cacciatorpediniere. In realtà, nessuna delle navi italiane subisce alcun danno; anche gli Swordfish rientrano alla base senza perdite.
Giordani e scorta arrivano a Palermo alle 13.
Alle 13.30 l’Usodimare lascia Corfù insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Antonio Pigafetta (caposcorta, capitano di vascello Mirti della Valle) ed Emanuele Pessagno ed alla torpediniera Circe, per scortare a Tripoli un convoglio composto dalla motonave cisterna Giulio Giordani e dalle motonavi da carico Lerici e Monviso: si tratta del convoglio n. 2 (trasferitosi da Brindisi a Corfù nelle ore precedenti) nell’ambito dell'operazione «K. 7», consistente nell’invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili, scortati da dieci cacciatorpediniere e due torpediniere. I convogli fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia» (ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera).
22 febbraio 1942
Intorno alle 12.45, 180 miglia ad est di Malta, il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade), salpato da Messina e che è già stato raggiunto dai gruppi «Gorizia» e «Duilio» (quest’ultimo segue il resto delle navi italiane a breve distanza). La formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un bombardiere Boeing B-17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo Misurata, la Circe localizza con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38 (tenente di vascello Rowland John Hemingway), che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia anche Usodimare e Pessagno, che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe si deve allontanare perché la presenza delle altre navi impedisce l’utilizzo dell’ecogoniometro. Il comandante della Circe deve chiedere al caposcorta di richiamare Usodimare e Pessagno nel convoglio, il che avviene; alle 10.40, calmatosi il marasma, la Circe può rimettersi alla ricerca del sommergibile, che all’improvviso emerge a pallone a circa 30° da poppa, sulla sinistra: il battello britannico impenna la prua, compie una delfinata e si reimmerge immediatamente, appruato di circa 40°-45°. Il Pessagno, che si stava allontanando, torna indietro e riprende a lanciare bombe di profondità, nuovamente costringendo la Circe ad interrompere la ricerca. Alle 10.44 la Circe comunica al Pessagno che la sua presenza sta disturbando la sua ricerca; poco dopo, il cacciatorpediniere se ne va una volta per tutte. Il P 38 non riemergerà mai più: è affondato con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Frattanto, alle 10.30, lo Scirocco (come stabilito in precedenza) lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia», che, essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie, si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 11.25 il convoglio (composto in quel momento da Ravello, Monginevro, Unione, Vivaldi, Malocello, Zeno, Strale, Maestrale, Premuda, Pallade e Calliope) viene avvistato da un altro sommergibile britannico: il P 34, del tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison. Questi, avvistato su rilevamento 040° il convoglio che procede con rotta 250°, manovra per attaccare e lancia alle 11.49 una salva di quattro siluri, da 4150 metri di distanza, nel punto 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli). Uno dei velivoli della scorta aerea avvista i siluri e li mitraglia per dare l’allarme; il convoglio accosta prontamente per evitarli, e così nessuna delle armi va a segno (due mancano l’Unione passandole a proravia ed a poppavia). Alle 11.58 il Vivaldi passa al contrattacco, lanciando un totale di 57 bombe di profondità, alcune delle quali esplodono piuttosto vicine al P 34, ma senza riuscire a danneggiarlo.
Alle 13.30 il convoglio n. 2, avendo forzato l’andatura, giunge in vista del convoglio n. 1; quest’ultimo entra per primo a Tripoli alle 5. Entrambi i convogli sono in porto entro le 16.40.
23 febbraio 1942
Usodimare (caposcorta) e Pessagno lasciano Tripoli alle 19.50, scortando la motonave Bengasi.
Nella notte sul 24 il convoglio subisce numerosi attacchi aerei; nessuna nave è colpita, mentre il Pessagno abbatte un bombardiere.
25 febbraio 1942
Le navi giungono a Palermo alle otto del mattino.
8 aprile 1942
L’Usodimare si aggrega a Messina ad un convoglio proveniente da Napoli e diretto a Bengasi, formato dalla motonave tedesca Ankara scortata dal Pessagno e dalla torpediniera Lince, assumendone il ruolo di caposcorta. All’uscita del porto, però (alle 00.25 dell’8 aprile), l’Usodimare entra in collisione con l’Ankara nel punto 37°55’ N e 15°25’ E, riportando qualche danno superficiale ed una falla che lo costringe a rientrare in porto. Il resto del convoglio prosegue per Bengasi, dove arriverà l’indomani. (Per altra fonte la collisione sarebbe avvenuta alle cinque del mattino del 9 aprile).
1942
Lavori di ammodernamento, le otto mitragliere contraeree da 13,2 mm vengono sostituite con sette più efficaci armi da 20 mm.
L’Usodimare salpa da Taranto per Tripoli alle 18.40, scortando la nave cisterna Alberto Fassio.
11 maggio 1942
Il convoglietto viene infruttuosamente attaccato da un sommergibile alle 22.
13 maggio 1942
Raggiunto alle 5.30 dalla torpediniera Generale Antonio Cantore, uscita da Tripoli per rinforzo alla scorta, il piccolo convoglio raggiunge il porto libico alle 16.10.
19 maggio 1942
Usodimare (caposcorta) e Zeno partono da Tripoli per Napoli alle 21 scortando le motonavi Agostino Bertani (italiana) e Reichenfels (tedesca), che formano il convoglio «I».
Dal tramonto il convoglio viene cercato da ricognitori nemici, che riescono a localizzarlo: seguono, calata la notte, attacchi aerei.
20 maggio 1942
All’una di notte la Bertani viene colpita a poppa da un siluro d’aereo, che ne asporta il timone ed il dritto di poppa. Mentre Usodimare e Reichenfels proseguono, lo Zeno viene distaccato per assistere la motonave danneggiata; alle otto del mattino giunge sul posto anche la torpediniera Perseo e mezz’ora più tardi i rimorchiatori Costante e Ciclope, tutti inviati da Tripoli. Presa a rimorchio dal Ciclope ed assistita da Zeno, Costante e Perseo, la Bertani rientra a Tripoli alle 16.40.
Dal tramonto il convoglio viene cercato da ricognitori nemici, che riescono a localizzarlo: seguono, calata la notte, attacchi aerei.
20 maggio 1942
All’una di notte la Bertani viene colpita a poppa da un siluro d’aereo, che ne asporta il timone ed il dritto di poppa. Mentre Usodimare e Reichenfels proseguono, lo Zeno viene distaccato per assistere la motonave danneggiata; alle otto del mattino giunge sul posto anche la torpediniera Perseo e mezz’ora più tardi i rimorchiatori Costante e Ciclope, tutti inviati da Tripoli. Presa a rimorchio dal Ciclope ed assistita da Zeno, Costante e Perseo, la Bertani rientra a Tripoli alle 16.40.
21 maggio 1942
Usodimare e Reichenfels arrivano a Napoli alle undici.
Usodimare, Vivaldi (caposcorta) e Malocello partono da Napoli per Bengasi alle 9.30, insieme alla torpediniera Lince, scortando il convoglio «F», composto dagli incrociatori ausiliari Città di Genova, Città di Napoli e Città di Tunisi.
A Messina, alle due di notte, la Lince viene sostituita dal cacciatorpediniere Turbine.
Il convoglio subisce due attacchi di sommergibili, alle 18.40 ed alle 19, ma nessuna nave viene colpita.
28 maggio 1942
Il convoglio «F» arriva a Bengasi alle 10.30.
Usodimare, Vivaldi (caposcorta), Malocello e Turbine ripartono da Bengasi alle 10.40, sempre scortando le stesse tre navi del convoglio «F».
Alle 10 il Turbine lascia il convoglio.
30 maggio 1942
Il convoglio «F» raggiunge Napoli alle 13.30.
Il cacciatorpediniere fotografato agli inizi del 1939 (coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia, tratta da www.associazione-venus.it) |
L’affondamento
All’una (per altra fonte, le due) di notte dell’8 giugno 1942 l’Antoniotto Usodimare, al comando del capitano di fregata Luigi Merini (caposcorta), salpò da Napoli insieme al cacciatorpediniere Premuda (capitano di fregata Mario Bartalesi) scortando la motonave da carico Vettor Pisani, diretta a Tripoli nell’ambito dell’operazione di rifornimento «Pisa»: il convoglio formato dalle tre navi era denominato «U». Oltre all’equipaggio, il cacciatorpediniere aveva a bordo anche 5 ufficiali e 25 sottufficiali e marinai di passaggio, per un totale di 306 uomini.
Gli ordini diramati da Supermarina per l’operazione «Pisa» prevedevano che alle 20.30 dell’8 il convoglio «U» si unisse al convoglio «S» (costituito dalla motonave Sestriere scortata dalle torpediniere Circe e Lince), partito da Palermo alle 11.30 ed anch’esso diretto a Tripoli, 78 miglia a nord di Capo Bon, formando un convoglio unico che avrebbe poi proseguito per il Canale di Sicilia. (Per altra fonte, probabilmente erronea, da Napoli sarebbe partito con la Vettor Pisani il solo Usodimare, mentre il Premuda sarebbe stato con il convoglio «S»). La Vettor Pisani aveva a bordo 3551 tonnellate di materiali vari, munizioni e materiale d’artiglieria, 729 tonnellate di carburante, 170 automezzi, 27 carri armati e 104 soldati; la Sestriere trasportava 3256 tonnellate di materiali vari, munizioni e materiale d’artiglieria, 150 tonnellate di lubrificanti, 157 automezzi e 86 soldati.
La sera dell’8 giugno il comandante Merini, ritenendo di essere spostato verso ovest rispetto alla rotta prestabilita, ordinò di accostare verso est e successivamente, avvistate le navi del convoglio «S», fece mettere la prua a nord per agevolare il congiungimento dei due gruppi. Questo fu completato entro le 20.50, quando il convoglio unico così formato, il cui caposcorta era proprio il comandante Merini dell’Usodimare, assunse rotta 180° (verso sud) e velocità tredici nodi. La Lince, come stabilito dall’ordine d’operazione, venne lasciata libera di rientrare a Palermo, mentre il resto del convoglio si dispose in linea di fronte nell’ordine, da sinistra a destra, Usodimare-Pisani-Sestriere-Premuda; la Circe (capitano di corvetta Stefanino Palmas), che aveva la radio in avaria, si portò sottobordo al Premuda per ricevere a voce le istruzioni per la navigazione, come convenuto.
Disgrazia volle che sulla rotta del convoglio si trovasse il sommergibile italiano Alagi, al comando del tenente di vascello Sergio Puccini, appena arrivato nell’area assegnatagli per un agguato (ad ovest del meridiano di Capo Bon e circa venti miglia a nord di Capo Blanc, tra i meridiani 09°20’ E e 10°0’ E ed i paralleli 37°30’ N e 37°45’ N). Partito da Trapani alle sette del mattino dell’8 giugno, l’Alagi aveva ricevuto ordine di attaccare qualsiasi nave avesse incontrato (“Qualunque nave interferisce la vostra rotta è nave nemica”), e non era stato informato da Marina Trapani del passaggio del convoglio italiano nel suo settore. Per la verità, se sia l’Alagi che il convoglio si fossero attenuti alla sua tabella di marcia, la distanza tra l’uno e l’altro non sarebbe mai calata sotto le cento miglia; sfortuna aveva voluto però che l’Alagi perdesse tempo a causa di un’immersione d’assetto e poi dell’avvistamento di alcuni aerei (italiani) per sfuggire ai quali si era nuovamente immerso, così che attraversò la rotta del convoglio molto più tardi rispetto al previsto. Alle 19.42 gli idrofoni dell’Alagi captarono una sorgente sonora in avvicinamento in direzione vera 350°; portatosi a quota periscopica in posizione 38°09’ N e 11° E, alle 20.07 Puccini avvistò al periscopio un cacciatorpediniere ed un grosso piroscafo con rotta 170° e si avvicinò per riconoscerli, facendo intanto preparare i siluri al lancio.
Alle 20.20 la distanza era calata a 5000 metri e Puccini riuscì ad intravedere la bandiera del piroscafo, di cui però non distingueva i colori; in quel momento le due navi accostarono per 350°, mettendogli la poppa sopra (il convoglio dirigeva per doppiare Capo Bon), ed il comandante dell’Alagi ebbe finalmente modo di vedere di profilo il cacciatorpediniere, che fino a quel momento gli aveva presentato un beta molto stretto: aveva due fumaioli e quattro cannoni in impianti singoli centrali, una disposizione tipica dei cacciatorpediniere britannici.
Si trattava infatti del Premuda, un grosso cacciatorpediniere di provenienza jugoslava (era stato catturato nel 1941) e di costruzione britannica, il cui aspetto era piuttosto differente da quello delle similari unità italiane e somigliante invece a quello delle classi di cacciatorpediniere britannici “H” e “I”.
Puccini decise di seguire il convoglio fin quando possibile, lanciando il segnale di scoperta quando fosse stato possibile riemergere in sicurezza; alle 20.30 il piroscafo iniziò un’altra accostata a sinistra, ma un errore di manovra nell’allagamento dei tubi lanciasiluri provocò la perdita dell’assetto da parte dell’Alagi, che scese più in profondità e perse così il contatto con il convoglio “nemico”. Tornato a quota periscopica, il sommergibile avvistò nuovamente le navi alle 20.40, notando che adesso all’originaria coppia si erano unite altre tre unità, una delle quali era un cacciatorpediniere mentre le altre due erano troppo lontane per distinguerne la tipologia. Puccini ne trasse la conclusione che si trattasse di unità britanniche che avevano navigato isolate per eludere la ricognizione e che si stessero radunando in quel punto per navigare in convoglio durante la notte. In realtà, aveva semplicemente assistito al congiungimento dei convogli «U» e «S».
Messa la prua sulle navi “nemiche”, l’Alagi si preparò ad attaccare; quando il grosso mercantile fu sull’angolo di mira, apparve la sagoma di un’altra nave subito a proravia, ma a maggiore distanza. Alle 21.19, da 2000-3000 metri di distanza, l’Alagi lanciò contro queste due navi tre siluri da 533 mm dai tubi prodieri, con angolo d’impatto 115°. All’atto del lancio il malfunzionamento del sistema di lancio senza bolla fece appoppare l’Alagi, facendolo parzialmente affiorare in superficie per alcuni secondi, poi scese rapidamente. Tre minuti e mezzo dopo il lancio, il comandante Puccini avvertì una forte esplosione, che fu seguita a poca distanza di tempo da tre scariche di bombe di profondità piuttosto vicine. Non lo sapeva ancora, ma si era appena reso protagonista del più grave incidente di fuoco amico tra unità italiane della seconda guerra mondiale.
Dopo aver attraversato tutta la linea di fronte del convoglio, alle 21.20 (o 21.23) uno dei siluri colpì l’Usodimare a centro nave, sulla dritta: spezzato in due, il cacciatorpediniere affondò in cinque minuti, 72 miglia a nord di Capo Bon, portando con sé 6 ufficiali e 135 tra sottufficiali e marinai, tra cui il comandante in seconda Fedele De Paulis ed il direttore di macchina Luigi Piro.
La tragedia colse il convoglio completamente di sorpresa; in quel momento la Circe si trovava ancora sottobordo al Premuda per ricevere gli ordini. Il comandante Bartalesi del Premuda, assunto il comando superiore, ordinò alla Circe di riunire le motonavi, che si erano sbandate, mentre dirigeva con la sua unità in soccorso dei naufraghi dell’Usodimare. Là dove fino a poco prima era stato il cacciatorpediniere classe Navigatori, galleggiava soltanto un gran numero di naufraghi, in parte in mare, in parte su imbarcazioni e zattere Carley che si erano liberate da sole mentre la nave affondava.
I soccorsi erano in corso quando sia le navi in mare che Supermarina ricevettero un marconigramma dell’ignaro Alagi, che informava di aver avvistato una formazione navale che aveva attaccato con una salva di siluri, con esito positivo.
Dopo un po’, il comandante Bartalesi del Premuda rifletté che il sommergibile attaccante avrebbe potuto tentare di colpire anche l’unità soccorritrice, e che la Circe era meglio attrezzata del Premuda contro tale evenienza perché dotata di ecogoniometro: decise quindi di scambiare i ruoli, assumendo la scorta delle due motonavi (che nel frattempo avevano diretto per Palermo) con il Premuda ed ordinando alla Circe di provvedere al salvataggio dei naufraghi. Marina Trapani fece uscire in mare per partecipare ai soccorsi anche la torpediniera Cigno ed una squadriglia di MAS. Le operazioni di soccorso proseguirono per tutta la notte ed il mattino successivo; complessivamente, su 306 uomini imbarcati sull’Usodimare vennero tratti in salvo cinque ufficiali, tra cui il comandante Merini, e 160 sottufficiali e marinai. Il Premuda salvò 106 uomini, la Cigno 29 (tra cui Merini), i MAS 563 e 564 26 tra tutti e due, la Circe quattro. Molti naufraghi vennero tratti in salvo dopo molte ore in mare, il superstite maresciallo Emanuele Ridi raccontò in seguito di essere rimasto in acqua per quasi un giorno e mezzo, prima di essere salvato con la pelle quasi tumefatta. Il comandante Merini, tratto in salvo dopo aver passato dieci ore in acqua, assunse subito la direzione del recupero dei naufraghi. Per lui questo era il secondo affondamento dall’inizio della guerra, sempre al comando di un cacciatorpediniere classe Navigatori: era stato infatti comandante del Leone Pancaldo quando questo era stato affondato da aerosiluranti britannici nella rada di Augusta, il 10 luglio 1940.
All’una (per altra fonte, le due) di notte dell’8 giugno 1942 l’Antoniotto Usodimare, al comando del capitano di fregata Luigi Merini (caposcorta), salpò da Napoli insieme al cacciatorpediniere Premuda (capitano di fregata Mario Bartalesi) scortando la motonave da carico Vettor Pisani, diretta a Tripoli nell’ambito dell’operazione di rifornimento «Pisa»: il convoglio formato dalle tre navi era denominato «U». Oltre all’equipaggio, il cacciatorpediniere aveva a bordo anche 5 ufficiali e 25 sottufficiali e marinai di passaggio, per un totale di 306 uomini.
Gli ordini diramati da Supermarina per l’operazione «Pisa» prevedevano che alle 20.30 dell’8 il convoglio «U» si unisse al convoglio «S» (costituito dalla motonave Sestriere scortata dalle torpediniere Circe e Lince), partito da Palermo alle 11.30 ed anch’esso diretto a Tripoli, 78 miglia a nord di Capo Bon, formando un convoglio unico che avrebbe poi proseguito per il Canale di Sicilia. (Per altra fonte, probabilmente erronea, da Napoli sarebbe partito con la Vettor Pisani il solo Usodimare, mentre il Premuda sarebbe stato con il convoglio «S»). La Vettor Pisani aveva a bordo 3551 tonnellate di materiali vari, munizioni e materiale d’artiglieria, 729 tonnellate di carburante, 170 automezzi, 27 carri armati e 104 soldati; la Sestriere trasportava 3256 tonnellate di materiali vari, munizioni e materiale d’artiglieria, 150 tonnellate di lubrificanti, 157 automezzi e 86 soldati.
La sera dell’8 giugno il comandante Merini, ritenendo di essere spostato verso ovest rispetto alla rotta prestabilita, ordinò di accostare verso est e successivamente, avvistate le navi del convoglio «S», fece mettere la prua a nord per agevolare il congiungimento dei due gruppi. Questo fu completato entro le 20.50, quando il convoglio unico così formato, il cui caposcorta era proprio il comandante Merini dell’Usodimare, assunse rotta 180° (verso sud) e velocità tredici nodi. La Lince, come stabilito dall’ordine d’operazione, venne lasciata libera di rientrare a Palermo, mentre il resto del convoglio si dispose in linea di fronte nell’ordine, da sinistra a destra, Usodimare-Pisani-Sestriere-Premuda; la Circe (capitano di corvetta Stefanino Palmas), che aveva la radio in avaria, si portò sottobordo al Premuda per ricevere a voce le istruzioni per la navigazione, come convenuto.
Disgrazia volle che sulla rotta del convoglio si trovasse il sommergibile italiano Alagi, al comando del tenente di vascello Sergio Puccini, appena arrivato nell’area assegnatagli per un agguato (ad ovest del meridiano di Capo Bon e circa venti miglia a nord di Capo Blanc, tra i meridiani 09°20’ E e 10°0’ E ed i paralleli 37°30’ N e 37°45’ N). Partito da Trapani alle sette del mattino dell’8 giugno, l’Alagi aveva ricevuto ordine di attaccare qualsiasi nave avesse incontrato (“Qualunque nave interferisce la vostra rotta è nave nemica”), e non era stato informato da Marina Trapani del passaggio del convoglio italiano nel suo settore. Per la verità, se sia l’Alagi che il convoglio si fossero attenuti alla sua tabella di marcia, la distanza tra l’uno e l’altro non sarebbe mai calata sotto le cento miglia; sfortuna aveva voluto però che l’Alagi perdesse tempo a causa di un’immersione d’assetto e poi dell’avvistamento di alcuni aerei (italiani) per sfuggire ai quali si era nuovamente immerso, così che attraversò la rotta del convoglio molto più tardi rispetto al previsto. Alle 19.42 gli idrofoni dell’Alagi captarono una sorgente sonora in avvicinamento in direzione vera 350°; portatosi a quota periscopica in posizione 38°09’ N e 11° E, alle 20.07 Puccini avvistò al periscopio un cacciatorpediniere ed un grosso piroscafo con rotta 170° e si avvicinò per riconoscerli, facendo intanto preparare i siluri al lancio.
Alle 20.20 la distanza era calata a 5000 metri e Puccini riuscì ad intravedere la bandiera del piroscafo, di cui però non distingueva i colori; in quel momento le due navi accostarono per 350°, mettendogli la poppa sopra (il convoglio dirigeva per doppiare Capo Bon), ed il comandante dell’Alagi ebbe finalmente modo di vedere di profilo il cacciatorpediniere, che fino a quel momento gli aveva presentato un beta molto stretto: aveva due fumaioli e quattro cannoni in impianti singoli centrali, una disposizione tipica dei cacciatorpediniere britannici.
Si trattava infatti del Premuda, un grosso cacciatorpediniere di provenienza jugoslava (era stato catturato nel 1941) e di costruzione britannica, il cui aspetto era piuttosto differente da quello delle similari unità italiane e somigliante invece a quello delle classi di cacciatorpediniere britannici “H” e “I”.
Puccini decise di seguire il convoglio fin quando possibile, lanciando il segnale di scoperta quando fosse stato possibile riemergere in sicurezza; alle 20.30 il piroscafo iniziò un’altra accostata a sinistra, ma un errore di manovra nell’allagamento dei tubi lanciasiluri provocò la perdita dell’assetto da parte dell’Alagi, che scese più in profondità e perse così il contatto con il convoglio “nemico”. Tornato a quota periscopica, il sommergibile avvistò nuovamente le navi alle 20.40, notando che adesso all’originaria coppia si erano unite altre tre unità, una delle quali era un cacciatorpediniere mentre le altre due erano troppo lontane per distinguerne la tipologia. Puccini ne trasse la conclusione che si trattasse di unità britanniche che avevano navigato isolate per eludere la ricognizione e che si stessero radunando in quel punto per navigare in convoglio durante la notte. In realtà, aveva semplicemente assistito al congiungimento dei convogli «U» e «S».
Messa la prua sulle navi “nemiche”, l’Alagi si preparò ad attaccare; quando il grosso mercantile fu sull’angolo di mira, apparve la sagoma di un’altra nave subito a proravia, ma a maggiore distanza. Alle 21.19, da 2000-3000 metri di distanza, l’Alagi lanciò contro queste due navi tre siluri da 533 mm dai tubi prodieri, con angolo d’impatto 115°. All’atto del lancio il malfunzionamento del sistema di lancio senza bolla fece appoppare l’Alagi, facendolo parzialmente affiorare in superficie per alcuni secondi, poi scese rapidamente. Tre minuti e mezzo dopo il lancio, il comandante Puccini avvertì una forte esplosione, che fu seguita a poca distanza di tempo da tre scariche di bombe di profondità piuttosto vicine. Non lo sapeva ancora, ma si era appena reso protagonista del più grave incidente di fuoco amico tra unità italiane della seconda guerra mondiale.
Dopo aver attraversato tutta la linea di fronte del convoglio, alle 21.20 (o 21.23) uno dei siluri colpì l’Usodimare a centro nave, sulla dritta: spezzato in due, il cacciatorpediniere affondò in cinque minuti, 72 miglia a nord di Capo Bon, portando con sé 6 ufficiali e 135 tra sottufficiali e marinai, tra cui il comandante in seconda Fedele De Paulis ed il direttore di macchina Luigi Piro.
La tragedia colse il convoglio completamente di sorpresa; in quel momento la Circe si trovava ancora sottobordo al Premuda per ricevere gli ordini. Il comandante Bartalesi del Premuda, assunto il comando superiore, ordinò alla Circe di riunire le motonavi, che si erano sbandate, mentre dirigeva con la sua unità in soccorso dei naufraghi dell’Usodimare. Là dove fino a poco prima era stato il cacciatorpediniere classe Navigatori, galleggiava soltanto un gran numero di naufraghi, in parte in mare, in parte su imbarcazioni e zattere Carley che si erano liberate da sole mentre la nave affondava.
I soccorsi erano in corso quando sia le navi in mare che Supermarina ricevettero un marconigramma dell’ignaro Alagi, che informava di aver avvistato una formazione navale che aveva attaccato con una salva di siluri, con esito positivo.
Dopo un po’, il comandante Bartalesi del Premuda rifletté che il sommergibile attaccante avrebbe potuto tentare di colpire anche l’unità soccorritrice, e che la Circe era meglio attrezzata del Premuda contro tale evenienza perché dotata di ecogoniometro: decise quindi di scambiare i ruoli, assumendo la scorta delle due motonavi (che nel frattempo avevano diretto per Palermo) con il Premuda ed ordinando alla Circe di provvedere al salvataggio dei naufraghi. Marina Trapani fece uscire in mare per partecipare ai soccorsi anche la torpediniera Cigno ed una squadriglia di MAS. Le operazioni di soccorso proseguirono per tutta la notte ed il mattino successivo; complessivamente, su 306 uomini imbarcati sull’Usodimare vennero tratti in salvo cinque ufficiali, tra cui il comandante Merini, e 160 sottufficiali e marinai. Il Premuda salvò 106 uomini, la Cigno 29 (tra cui Merini), i MAS 563 e 564 26 tra tutti e due, la Circe quattro. Molti naufraghi vennero tratti in salvo dopo molte ore in mare, il superstite maresciallo Emanuele Ridi raccontò in seguito di essere rimasto in acqua per quasi un giorno e mezzo, prima di essere salvato con la pelle quasi tumefatta. Il comandante Merini, tratto in salvo dopo aver passato dieci ore in acqua, assunse subito la direzione del recupero dei naufraghi. Per lui questo era il secondo affondamento dall’inizio della guerra, sempre al comando di un cacciatorpediniere classe Navigatori: era stato infatti comandante del Leone Pancaldo quando questo era stato affondato da aerosiluranti britannici nella rada di Augusta, il 10 luglio 1940.
Sbarcati i naufraghi
a Palermo, la Circe ne uscì
nuovamente per andare a rinforzare il Premuda
nella scorta alle due motonavi, che giunsero in porto alle otto del mattino del
9 giugno (da qui ripartirono poi l’indomani con la scorta di Premuda, Circe e Cigno,
raggiungendo indenni Tripoli il 12 giugno). Le altre siluranti, completate le
ricerche dei naufraghi, entrarono a Palermo nel corso della giornata.
Le vittime tra l’equipaggio:
Donato Amoruso, marinaio, disperso
Achille Andreoni, marinaio cannoniere,
disperso
Arturo Balbiano, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Bancalà, marinaio, disperso
Agostino Barabino, marinaio fuochista,
deceduto
Nello Baracchini, marinaio meccanico, disperso
Leonardo Barbera, marinaio fuochista, disperso
Aurelio Basso, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Bedoschi, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Bianco, marinaio, disperso
Francesco Boemo, marinaio, deceduto
Domenico Bonaccorsi, marinaio cannoniere,
disperso
Luigi Bondoni, marinaio cannoniere, deceduto
Alfredo Eugenio Bongiovanni, marinaio
elettricista, disperso
Celestino Aventino Bovolenta, marinaio,
deceduto
Giuseppe Bucceri, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Calabria, capo segnalatore di terza
classe, disperso
Salvatore Calì, sottocapo S. D. T., disperso
Eugenio Cantero, marinaio segnalatore,
disperso
Giovanni Capozzi, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Cariola, marinaio fuochista, deceduto
Luigi Casciaro, marinaio fuochista, disperso
Ilario Ceccarelli, sottocapo cannoniere,
disperso
Fabbio Co, sergente furiere, disperso
Sergio Coccapani, sottotenente di vascello,
disperso
Francesco Colonna, sergente cannoniere,
disperso
Carlo Commesso, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Coraducci, marinaio cannoniere,
disperso
Fulvio Corsini, marinaio fuochista, disperso
Luigi Corvaglia, marinaio motorista, disperso
Attilio Costigliolo, sottocapo elettricista,
disperso
Ignazio Crapola, marinaio fuochista, disperso
Welton Crescenzi, sottocapo furiere, disperso
Alberto Criscuolo, marinaio fuochista,
disperso
Michele D’Elia, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni D’Ignoti, marinaio cannoniere,
disperso
Vito Dal Cin, marinaio cannoniere, disperso
Fedele De Paulis, capitano di corvetta,
disperso
Luca De Rosa, marinaio, disperso
Luigi De Sio, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Dello Iacovo, marinaio cannoniere,
disperso
Nino Di Giacomo, sottocapo nocchiere, disperso
Antonio Di Iorio, marinaio elettricista,
disperso
Giovanni Di Pinto, marinaio, disperso
Sebastiano Dionisio, sergente infermiere,
disperso
Gastone Domenici, secondo capo meccanico,
disperso
Onorino Fabian, marinaio torpediniere,
disperso
Giuseppe Facciano, marinaio, disperso
Livio Faragli, marinaio cannoniere, disperso
Biagio Farinella, marinaio cannoniere,
disperso
Ezzelino Flora, marinaio, disperso
Eustacchio Fogato, marinaio fuochista,
disperso
Francesco Fortunato, marinaio elettricista,
disperso
Giuseppe Galatola, marinaio fuochista,
disperso
Rino Luigi Galbusera, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Mario Gallo, marinaio meccanico, disperso
Raffaele Gargiulo, sottotenente del Genio
Navale, disperso
Calogero Gatto, marinaio fuochista, disperso
Antonio Gavini, sottocapo meccanico, disperso
Leonardo Gazzuolo, marinaio S. D. T., disperso
Ermes Gelati, marinaio, disperso
Pietro Gerichievich, capo nocchiere di prima
classe, disperso
Luigi Gimona, marinaio, disperso
Vincenzo Gobbi, marinaio fuochista, disperso
Mario Gualla, marinaio cannoniere, disperso
Carlo Guercia, marinaio, disperso
Pasquale Illiano, marinaio, disperso
Rodolfo Innocente, sottocapo cannoniere,
disperso
Carlo Lanzani, sottocapo meccanico, disperso
Luigi Laura, marinaio fuochista, disperso
Carmelo Leotta, sergente fuochista, disperso
Carlo Guido Lepore, sottotenente medico,
disperso
Pasquale Mammola, sergente carpentiere,
disperso
Filippo Manuguerra, sottocapo cannoniere,
disperso
Francesco Marzocca, marinaio fuochista,
disperso
Carlo Masini, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Mauriello, marinaio silurista,
disperso
Bruno Mazzucco, marinaio cannoniere, disperso
Mario Merlin, marinaio motorista, disperso
Libero Molon, sottocapo meccanico, disperso
Nicola Monti, marinaio cannoniere, disperso
Alberto Musca, marinaio cannoniere, disperso
Gemino Nardelotto, marinaio, disperso
Mario Pagano, marinaio fuochista, disperso
Michele Pagliero, marinaio fuochista, disperso
Basso Palermo, marinaio silurista, disperso
Giuseppe Pantè, marinaio, disperso
Ubaldo Pastore, marinaio fuochista, disperso
Adriano Pavani, marinaio fuochista, disperso
Lorenzo Pedretti, marinaio fuochista, disperso
Pietro Piccardi, sottocapo cannoniere,
disperso
Amelio Pifferi, secondo capo silurista,
disperso
Nicola Pino, sottocapo segnalatore, deceduto
il 9.6.1942
Antonio Pirinu, sottocapo segnalatore,
disperso
Luigi Piro, capitano del Genio Navale,
disperso
Amelio Polese, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Ponti, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Punzo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Rui, sergente meccanico, disperso
Angelo Schiavone, marinaio S. D. T., disperso
Nello Scorrano, marinaio S. D. T., disperso
Teodoro Scotti, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Servillo, marinaio cannoniere,
disperso
Carmine Siano, marinaio, disperso
Umberto Spekar, sottotenente di vascello,
disperso
Carlo Suardi, marinaio fuochista, disperso
Luigi Tarantini, marinaio cannoniere, disperso
Lorenzo Torone, sottocapo silurista, disperso
Carmelo Tosto, marinaio cannoniere, deceduto
in territorio metropolitano il 21.6.1942 Michele Vasta, sottocapo elettricista,
disperso
Giulio Carmelo Veltri, marinaio, disperso
Salvatore Virgilio, secondo capo meccanico,
disperso
Mario Vollaro, marinaio cannoniere, disperso
Marino Vucas, marinaio fuochista, disperso
Celestino Zampetti, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Gino Zanellati, marinaio fuochista, disperso
Rolando Zerbini, marinaio cannoniere, disperso
Erano in precedenza caduti sull’Usodimare:
Sergio Di Patrizi, marinaio, deceduto nel
Mediterraneo centrale il 27.8.1940
Giuseppe Gensini, sergente meccanico, deceduto
l’1.2.1941 nel Mediterraneo centrale
Sante Marchiori, marinaio fuochista, deceduto
il 27.8.1940 in Mediterraneo centrale
Guido Ortenzi, marinaio S. D. T., deceduto in
Mediterraneo centrale il 23.2.1942
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico
di terza classe Mario Angelini, nato a Seravezza il 3 febbraio 1909:
"Capo meccanico
di guardia all’apparato motore di unità sottile, colpita da offesa subacquea
nemica, benché gravemente ferito e ustionato in più parti del corpo, si
prodigava per guidare i dipendenti fuori dai locali danneggiati e con essi
raggiungeva una delle zattere. Estenuato per le ferite e per la lunga
permanenza sul mare agitato, invitava i camerati a non curarsi di lui e li
esortava alla disciplina e al coraggio in attesa dei soccorsi, scomparendo in
mare. Esempio di elevato attaccamento al dovere e di belle qualità militari.
(Acque di Capo Bon, 8 giugno 1942)"
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
corvetta Aldobrando De Paulis, nato a Teramo il 19 giugno 1908:
"Comandante in
2a di cacciatorpediniere, di scorta a convoglio, che, irrimediabilmente colpito
da offesa subacquea affondava rapidamente, rendendo vano ogni provvedimento
atto a salvare l’unità e il suo equipaggio, scompariva con la nave, al cui
potenziamento aveva costantemente dedicata la sua opera, nell’adempimento
generoso del proprio dovere. (Mediterraneo centrale, 8 giugno 1942)."
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
Genio Navale Luigi Piro, nato a New York il 15 aprile 1905:
"Capo Servizio
Genio Navale di cacciatorpediniere di scorta a convoglio, che, gravemente
colpito da offesa subacquea affondava rapidamente, rendendo vani i
provvedimenti atti alla salvezza della nave e dell’equipaggio, scompariva con
l’unità nell’adempimento incondizionato del proprio dovere. (Mediterraneo
centrale, 8 giugno 1942)"
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al capitano di fregata Luigi
Merini, nato a Livorno il 15 marzo 1898:
"Comandante di
cacciatorpediniere di scorta a convoglio, colpito e rapidamente affondato per
offesa subacquea nemica, si prodigava durante la permanenza in mare per il
salvataggio del personale che faceva imbarcare su una motolancia di unità
venuta in soccorso. Recuperato il mattino successivo su una silurante, insieme
agli altri naufraghi della zattera, provvedeva con coraggio ed elevato senso di
abnegazione al rastrellamento della zona, onde porre in salvo tutta la gente
ancora in mare. (Acque di Capo Bon, 8 giugno 1942)"