Incrociatore pesante, unità singola della classe omonima (11.065
tonnellate di dislocamento standard, 13.243 in carico normale, 13.885 a pieno
carico).
Autorizzato con il programma navale del 1929-1930, fu il settimo ed
ultimo incrociatore pesante costruito per la Regia Marina: in origine, il
programma di costruzioni della Marina prevedeva solo sei incrociatori pesanti,
ossia i due della classe Trento ed i quattro della classe Zara. Quando, però,
divenne evidente che uno di questi ultimi, il Pola, avrebbe dovuto servire per lungo tempo (quello necessario al
rimodernamento delle corazzate Cesare
e Cavour) come nave ammiraglia della
squadra navale, si decise di costruire un settimo incrociatore pesante, in modo
da avere – escludendo il Pola – due
divisioni composta ciascuna da tre incrociatori pesanti.
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Il
Bolzano in allestimento a Genova nella
primavera del 1933 (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net).
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Dal momento che i tre restanti "Zara" avrebbero costituito una
di tali divisioni, il Bolzano avrebbe
dovuto completare l’altra, composta dai due "Trento": per questa
ragione, si decise di costruire un’unità che avesse caratteristiche omogenee ai
"Trento" (in modo da poter operare efficacemente insieme ad essi),
anche se ciò rappresentava un passo indietro rispetto agli "Zara".
Mentre questi ultimi presentavano infatti un ottimo bilanciamento tra
corazzatura e velocità, il Bolzano,
come i "Trento", fu caratterizzato da elevata velocità ma protezione
insufficiente. D’altra parte, vi era ancora, negli ambienti della Marina, chi
riteneva che la velocità fosse un fattore più importante di robustezza (ma si
volle comunque che il Bolzano fosse
un po’ più robusto dei "Trento") e protezione.
Un’altra delle ragioni dietro la decisione di costruire il Bolzano furono le forti pressioni
esercitate dalla società Ansaldo, che poi costruì la nave: i cantieri Ansaldo,
infatti, erano fino ad allora rimasti “fuori” dal programma di costruzioni
degli incrociatori pesanti (i sei precedenti erano stati costruiti dai cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno e La Spezia, dai Cantieri del Quarnaro di Fiume
e Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste), ed in caso di costruzione di
un’altra nave tipo "Zara" (come si era ipotizzato) avrebbero dovuto
condividere parte dei profitti con la rivale OTO.
Il nuovo incrociatore doveva avere cannoni dello stesso tipo usato sugli
"Zara" (più moderni rispetto a quelli dei "Trento"), ma in
torri con corazzatura più ridotta; una compartimentazione migliore di quella
dei "Trento", che rendesse la nave in grado di restare a galla con
tre compartimenti adiacenti allagati; scafo, sistema elettrico ed alloggi
ammiraglio simili a quelli degli "Zara".
Progettato dal generale del Genio Navale Luigi Bonfiglietti, il Bolzano risultò dunque una versione
migliorata dei "Trento", che beneficiava dell’esperienza degli "Zara"
(tranne che per la corazzatura): a differenza dei "Trento", che
avevano un ponte “continuo” da prora a poppa, il Bolzano fu dotato di castello di prua (della lunghezza di circa i
due quinti dello scafo), come gli "Zara"; verso poppa il castello
presentava degli “sgusci” per permettere ai pezzi secondari da 100/47 mm di
sparare anche verso prora.
Inoltre il Bolzano venne
dotato dei più moderni cannoni da 203/53 mm, adottati sugli "Zara", in
luogo dei meno potenti 203/50 (Mod. 1924) di cui erano provvisti i "Trento".
L’unica differenza tra il Mod. Ansaldo 1929, usato sul Bolzano, ed il Mod. 1927 degli "Zara" consisteva nella
corazzatura delle torri, che sul Bolzano
era minore. Caratteristica comune ai cannoni degli incrociatori pesanti
italiani, i 203 del Bolzano, essendo montati
in culla unica e dunque troppo "vicini" l’uno all’altro, lamentarono
una notevole dispersione del tiro; per cercare di ovviare al problema si
ridusse la velocità alla volata, ma con scarsi risultati. Risultarono comunque
più precisi dei Mod. 1924 dei "Trento", sebbene a costo di una
gittata e velocità iniziale del proiettile più basse. Inoltre, dato che ogni
cannone disponeva di un elevatore dedicato ed era caricabile a qualsiasi angolo
di elevazione, i Mod. 1929 del Bolzano
ebbero cadenza di tiro quasi doppia rispetto ai Mod. 1924 dei "Trento".
Ogni cannone da 203 mm era lungo 11,177 metri e pesava 26,6 tonnellate
(più di quelli Mod. 1924 dei "Trento", che ne pesavano 25); poteva
sparare proiettili esplosivi del peso di 110,57 kg (con velocità di 940 m/s) ad
una distanza massima di 31.550 metri (con alzo 45°) e proiettili perforanti del
peso di 125,3 kg (con velocità di 900 m/s) ad una distanza massima di 31.566
metri (sempre con alzo 45°), al ritmo di 3,8 colpi al minuto. Le torri modello
1929 permettevano un alzo da –5° a +45° (ad una velocità di alzo di 5° al
secondo) ed una rotazione di 150° su entrambi i lati.
Per la prima ed unica volta su un incrociatore pesante italiano, la
catapulta per gli idrovolanti non fu collocata sul ponte di coperta a prua – dov’era
troppo esposta al mare –, bensì a centro nave, in mezzo alle sovrastrutture, ed
inoltre (altro miglioramento rispetto alle classi precedenti) risultava
“brandeggiabile”. Non c’era hangar (lo spazio, a prua, che sugli altri
incrociatori era occupato dall’hangar, venne impiegato per gli alloggi
dell’equipaggio); uno degli idrovolanti sarebbe rimasto sulla catapulta, gli
altri due sul ponte.
Per lasciare tra i due fumaioli lo spazio necessario all’installazione
ed utilizzo della catapulta, la sala macchine fu divisa in due unità separate,
una a prora ed una a poppa. Sebbene il peso dell’apparato motore fosse simile a
quello dei "Trento", il Bolzano,
dato che ogni sua caldaia produceva una maggior quantità di vapore rispetto a
quelle dei predecessori, ebbe un numero inferiore di caldaie (dieci in luogo di
dodici); la disposizione dell’apparato motore, andando da prora verso poppa,
presentava nell’ordine: tre sale caldaie prodiere (1°, 2° e 3°, che
alimentavano la motrice di prora), con due caldaie in ciascun locale (mentre
erano tre per locale sui "Trento"); la sala macchine prodiera (che
azionava le due eliche esterne); altre due sale caldaie (4° e 5°, che
alimentavano la motrice di poppa); la sala macchine poppiera (che azionava le
due eliche interne). Questa soluzione si presentava anche come più sicura in
caso di danneggiamento: la messa fuori uso di un compartimento caldaie,
infatti, avrebbe privato la nave solo del 20 % della potenza, anziché del 33 %
dei "Trento".
Le
torri da 203 mm del Bolzano: sopra,
quelle poppiere, e sotto, quelle prodiere (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net).
Per la produzione della corrente elettrica non vi erano diesel dinamo
come sulle navi precedenti, bensì soltanto turbodinamo, il che permetteva di
risparmiare spazio (ma aumentava i rischi in caso di inconvenienti); i
generatori potevano produrre 1080 kilowatt di corrente.
Altre differenze tra Bolzano e
"Trento" consisteva nella maggior profondità del doppio fondo nello
scafo del Bolzano; nel fatto che il
fumaiolo prodiero costituisse una struttura unica con la sovrastruttura
prodiera, come sul Pola (mettendo a
disposizione maggior spazio per gli alloggi dell’equipaggio); ed in migliori
sistemazioni per l’equipaggio.
Come tutti gli incrociatori pesanti italiani, anche il Bolzano sforava abbondantemente le
10.000 tonnellate di dislocamento previste come limite massimo dal trattato di
Washington (secondo una fonte, il Bolzano
fu l’ultimo incrociatore ad essere costruito “ufficialmente” nei limiti del
trattato di Washington), nonostante varie idee per tentare di ridurre il
dislocamento (riduzione del numero delle ancore da tre a due e della lunghezza
delle loro catene, riduzione delle scorte di proiettili da 203 da 100 ad 80 per
pezzo, dimezzamento dei cannoni da 100/47 mm, riduzione del 20 % del loro
munizionamento, etc.).
L’armamento secondario consisteva in sedici cannoni a doppio scopo OTO 1928
da 100/47 mm in complessi binati (in seguito ridotti a dodici), quello
contraereo in quattro mitragliere singole Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm e
quattro binate da 13,2/76 mm.
Nel 1937 l’armamento secondario e contraereo fu modificato; vennero eliminati
i due complessi poppieri da 100/47 mm e le mitragliere Vickers-Terni da 40/39
(per altra fonte, due delle quattro Vickers-Terno da 40/39 erano già state
eliminate nel 1934, mentre le altre due furono sbarcate nel 1937), mentre
furono imbarcate otto mitragliere pesanti Breda 1932 da 37/54 mm e due
mitragliere binate da 20/65 mm (cui nel 1942 se ne aggiunsero altre quattro
dello stesso calibro Mod. Breda 1940, singole, in sostituzione delle inefficaci
mitragliere da 13,2 mm).
I cannoni da 100/47 tiravano proiettili da 26 kg ad una distanza massima
di 15.240 metri (con alzo 45°) per tiro antinave, e di 10.000 metri (con alzo
85°) per tiro contraereo, al ritmo di 8-10 colpi al minuto. L’alzo di tali
cannoni andava da –5° a +85°, e potevano ruotare di 360°.
Vi era anche un armamento silurante, consistente in otto tubi
lanciasiluri da 533 mm in impianti binati fissi (due a proravia del fumaiolo
poppiero e due a poppavia di quest’ultimo), con riserva di dodici siluri tipo
Si 270 (peso 1700 kg, con carica esplosiva di 270 kg; autonomia di 4000 metri a
46 nodi, 8000 metri a 35 nodi e 1200 metri a 29 nodi).
La dotazione aerea consisteva in tre idrovolanti da ricognizione:
inizialmente dei Piaggio P. 6, poi sostituiti da Macchi M. 41 (altra fonte
parla anche di CANT 25ARS e CMASA M.F.6) ed infine, dal 1938, da degli IMAM Ro.
43, che furono gli aerei di bordo durante la seconda guerra mondiale (quelli
imbarcati al 10 giugno 1940 recavano i numeri di serie 321, 322 e 323). Secondo
alcune fonti, tuttavia, il numero di aerei effettivamente imbarcati sul Bolzano non fu mai superiore ai due.
Nel 1939, la sovrastruttura della plancia sarebbe stata modificata per
permettere un miglior posizionamento della centrale di direzione del tiro
contraereo.
L’apparato motore, quattro gruppi di turbine Parsons alimentati da dieci
caldaie Yarrow-Ansaldo, imprimeva su quattro eliche la potenza di 150.000 HP,
permettendo una velocità massima di 33 nodi, il che fece del Bolzano il più veloce incrociatore
pesante della Regia Marina.
Alle prove in mare il Bolzano
raggiunse una velocità massima di 36,81 nodi, con potenza sviluppata di 173.772
HP; ma tali prove erano eseguite in condizioni del tutto inverosimili, forzando
l’apparato motore del 15 % e soprattutto con parte dell’armamento, la catapulta
e parte degli apparati di direzione del tiro ancora non installati, per
raggiungere velocità inverosimilmente elevate a fini propagandistici. Nel caso
del Bolzano, le prove in mare furono
effettuate con un dislocamento di sole 10.847 tonnellate, inferiore a quello
che la nave ebbe poi in normali condizioni operative (secondo altra fonte, alle
prove in mare fu raggiunta una velocità di 38 nodi, che però fu ridotta a 34
con la nave in condizioni operative). La riserva di carburante era di 2224 tonnellate,
l’autonomia di 4432 miglia a 16 nodi.
Eccessivo, però, era stato il sacrificio della corazzatura: solo 70-75
mm al galleggiamento e 20-50 mm sul ponte principale, per appena due nodi in
più rispetto ai ben più protetti "Zara". Per questa ragione, il Bolzano, tanto elegante nelle linee
quanto vulnerabile nei fatti, si guadagnò l’appellativo di “errore
splendidamente riuscito”.
Il peso complessivo della corazzatura era analogo a quella dei "Trento",
ma con varie differenze nella sua disposizione; la cintura corazzata, spezza 70
mm, si estendeva tra hangar e depositi posteriori e tra ponte corazzato e
inizio doppi fondi ed era alta circa 4,8 metri, di cui 1,1 sott’acqua. Oltre ai
dati già citati, la corazzatura delle torri era spessa tra 80 mm sui lati e sul
cielo e 100 mm sul lato frontale, quella delle barbette di 60 mm (meno dei 70
mm dei "Trento", per compensare il maggiore diametro delle barbette
delle torri modello M1929 rispetto alle M1924 dei "Trento"), quella
del torrione 100 mm sui lati, 40 mm sul ponte principale e 50 mm sul cielo,
quella delle paratie 50-60 mm, quella della centrale di direzione del tiro 80
mm sui lati e 60 sul cielo, quella del tubo per le comunicazioni 70 mm sopra
coperta e 60 sotto. Il timone era protetto da una corazzetta di 20 mm nella
parte orizzontale e di 30 mm nella parte inclinata: insufficiente, come fu
dimostrato nella battaglia di Punta Stilo.
Il “ridotto” corazzato centrale consisteva quindi in una cintura
principale di 70 mm che si estendeva dal lato prodiero della barbetta della
torre numero 1 al lato poppiero della barbetta della torre numero 4
(l’eliminazione dei diesel generatori situati a proravia della torre 1 aveva
permesso di ridurne la lunghezza, spostando a poppavia la paratia), chiusa alle
estremità da paratie corazzate di 50 mm a prora e 40 mm a poppa nella parte
inferiore, e 60 mm nella parte superiore. All’estremità superiore, la cintura
corazzata era “collegata” al ponte corazzato principale.
Tra le maggiori differenze rispetto ai "Trento" c’era l’inserimento,
al di fuori del “ridotto” corazzato, di un ponte corazzato secondario
(copertino) di 20 mm (con estremità inclinate spesse 30 mm) che si estendeva
dalla paratia trasversale di poppa all’apparato motore della torre numero 1 da
203. Grazie all’eliminazione del locale diesel dinamo, la paratia corazzata
trasversale prodiera poté essere spostata più a poppavia, in una posizione
subito a proravia della barbetta della torre numero 1.
Il peso complessivo della corazzatura, sul Bolzano, era di 940 tonnellate, l’8,5 % del dislocamento standard
della nave, leggermente di più che sui "Trento".
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Vista
della zona poppiera del Bolzano, a
Genova, nel 1933 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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Nel 1938, al tempo della crisi dei Sudeti, la Regia Marina prese in
considerazione la possibilità di dotarsi una portaerei (idea scartata anni
prima); tra le possibilità vagliate vi fu anche quella di trasformare il Bolzano in “incrociatore lanciaerei”.
L’idea, basata su un progetto di incrociatore portaerei messo a punto nel 1925
dal generale del Genio Navale Giuseppe Rota, prevedeva la rimozione delle
sovrastrutture e di due delle quattro torri da 203, lasciando soltanto la prima
a prora e l’ultima a poppa, e l’installazione di quattro catapulte (tre
brandeggiabili ed una incassata nel ponte); sul lato di dritta sarebbe stata
realizzata un’isola di ridotte dimensioni, con uno o due fumaioli. La dotazione
di aerei sarebbe stata di una dozzina di velivoli da caccia. Il progetto rimase
sulla carta; una simile trasformazione, come si vedrà, fu nuovamente presa in
considerazione durante la guerra, ma senza mai vedere la luce.
Particolarmente curati erano anche gli allestimenti interni del Bolzano: l’arredamento dei locali
ufficiali era stato affidato all’architetto ed arredatore Tommaso Buzzi, che
realizzò pareti e mobili in radica (la parete di una sala era fatta di radica
intagliata che riproduceva in grande la carta geografica dell'Alto Adige),
soprammobili raffinati e mobili avveniristici per l’epoca; alle pareti erano
appesi quadri raffiguranti paesaggi dell’Alto Adige. La vetreria Vernini di
Venezia realizzò le lampade a muro ed una grande coppa costata 240 lire
dell’epoca; gli intarsi del legno vennero fatti a Milano, i rivestimenti degli
zoccoli dei mobili nei bagni furono realizzati in ottone cromato ed i pavimenti
in linoleum, con poltroncine e sedie in pelle arancio e rosso.
Durante la seconda guerra mondiale il Bolzano effettuò 23 missioni di guerra (14 di ricerca del nemico, 8
di scorta e protezione del traffico, una di protezione ad unità impegnate nella
posa di mine), percorrendo complessivamente 21.785 miglia nautiche e
trascorrendo 1139 ore in mare; nave decisamente poco fortunata, passò ben 678
giorni ai lavori, cioè 22 mesi, su un totale di 39 mesi di conflitto tra
l’Italia e gli Alleati, a causa dei gravi danni subiti in due siluramenti ed un
bombardamento.
Breve e parziale
cronologia.
11 giugno 1930
Impostazione nei cantieri Ansaldo di Genova (numero di costruzione 295).
31 agosto 1932
Varo nei cantieri Ansaldo di Genova.
È madrina della nave Maria Adelaide di Savoia.
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Il
Bolzano sullo scalo, nel 1932.
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Il
Bolzano durante l’allestimento.
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19 agosto 1933
Entrata in servizio.
Il Bolzano e gli incrociatori
pesanti Trento e Trieste formano la II Divisione della 1a Squadra Navale
(al comando, dal 2 dicembre 1933, dell’ammiraglio di divisione Vincenzo De
Feo).
In questo peridoo presta servizio sul Bolzano, quale ufficiale di rotta, il tenente di vascello Salvatore
Pelosi, futura M.O.V.M.
Due
immagini del Bolzano nel 1933 (sopra:
g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net;
sotto: g.c. STORIA militare)
29 giugno 1934
Il Bolzano, insieme al Trento, riceve la bandiera di
combattimento (offerta dalle scuole della provincia di Bolzano), con una
cerimonia tenuta a Venezia.
Luglio 1934
La II Divisione diventa III Divisione della 2a Squadra, con
base a Messina: questa rimarrà la sua denominazione fino alla sua dissoluzione
nel 1943.
Il porto siciliano diventerà la base storica della III Divisione: tra
gli equipaggi acquisterà un particolare significato la statua della Madonnina
presente all’imboccatura del porto, le cui tre dita benedicenti saranno
associate alla III Divisione.
In questo periodo è comandante del Bolzano
il capitano di vascello Giuseppe Lombardi.
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Il
Bolzano ai lavori a Livorno nel 1934
(g.c. STORIA militare)
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1935-1940
La III Divisione partecipa all’addestramento di squadra e compie
crociere di breve durata nel Mediterraneo orientale, in Grecia ed in Libia.
La Divisione prende inoltre parte alle operazioni connesse alla guerra
civile spagnola, fornendo copertura ai convogli che trasportano in Spagna le
truppe volontarie inviate a supporto dei falangisti di Francisco Franco, ed
agendo come forza dissuasiva per impedire l’intervento della Marina spagnola
repubblicana.
27 novembre 1936
Partecipa ad una rivista navale nel Golfo di Napoli, tenute in onore di
Miklos Horthy, reggente d’Ungheria.
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Il Bolzano (a destra) a Napoli insieme a Trento (al centro) e Trieste (a sinistra) nel 1937-1938. |
10-12 marzo 1937
Scorta Benito Mussolini che si reca in crociera in Libia.
25 maggio 1937
Durante la guerra di Spagna, il Bolzano
viene inviato a Maiorca per imbarcare e rimpatriare le salme di sei marinai
dell’incrociatore ausiliario Barletta,
uccisi da un bombardamento dell’aviazione repubblicana spagnola. Ritorna in
Italia il 3 giugno.
7 giugno 1937
Partecipa ad una rivista navale organizzata in onore della visita in
Italia del Ministro della Guerra tedesco Werner Von Blomberg.
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Il
Bolzano nell’estate del 1937 (per
altra fonte, la foto risalirebbe invece alla rivista "H" tenuta l’anno
successivo) (g.c. STORIA militare)
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5 maggio 1938
Partecipa alla rivista navale "H" organizzata in occasione
della visita in Italia di Adolf Hitler: nella rivista, il Bolzano fa parte della 1a Squadra Navale dell’ammiraglio
Vladimiro Pini, formata, oltre che dal Bolzano,
dal Trento, dal Trieste, dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli
Minghetti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), Barone (Alberto Di Giussano, Giovanni
delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni)
e Romagna (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), da due squadriglie di esploratori classe Navigatori
(Antonio Da Noli, Antoniotto Usodimare, Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi, Nicolò Zeno,
Giovanni Da Verrazzano, Alvise Da Mosto ed Antonio Pigafetta) e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco).
Ottobre 1938
Il Bolzano scorta un convoglio
di quattro piroscafi che riportano in Italia 10.000 volontari italiani che
hanno combattuto in Spagna durante la guerra civile, che ormai volge al
termine.
18 dicembre 1938
Il Bolzano trasporta in
Sardegna Benito Mussolini, che si reca a presenziare all’inaugurazione della
nuova città di Carbonia, eretta per volere del regime nella regione mineraria
del Sulcis.
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Il
Bolzano a La Spezia nel maggio 1938.
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Gennaio 1939
Il Bolzano viene visitato da
Mussolini mentre si trova a La Maddalena.
1939
La III Divisione viene momentaneamente ampliata con l’assegnazione degli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Bartolomeo Colleoni ed Armando Diaz (nonché delle Squadriglie
Cacciatorpediniere XI e XII, composte rispettivamente da Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera e da Lanciere,
Carabiniere, Ascari e Corazziere), che
vanno poi a formare la IV Divisione.
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Il Bolzano in transito presso il ponte girevole di Taranto nel 1939 (da www.youtube.com |
11 maggio 1939
Partecipa ad una rivista navale in onore del principe reggente Paolo di
Jugoslavia.
10 giugno 1939
Partecipa ad una rivista navale tenuta a Livorno in occasione della
festa della Marina, appena istituita.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale.
Il Bolzano fa parte della III
Divisione Navale, insieme al Trento
(nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo, comandante la III
Divisione) ed al Trieste (che però si
trova ai lavori), con base a Messina.
Lo stesso 10 giugno, alle 19.10, il Bolzano
ed il Trento, insieme all’incrociatore
pesante Pola (nave ammiraglia della 2a
Squadra Navale) ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera), salpano da Messina per fornire copertura alla X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
La mattina dell’11 giugno, la III Divisione si unisce alla VII Divisione
(incrociatori leggeri Eugenio di Savoia,
Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), partita da Napoli il giorno precedente. Le
navi procedono poi fino a nord di Favignana, a protezione della X
Squadriglia (e, sempre secondo il relativo volume dell'USMM, anche del gruppo «Da Barbiano» che rientrava alla
base dopo aver posato il campo minato «L. K.»: ma in realtà tale gruppo era tornato ad Augusta già nel pomeriggio del 10 giugno, per poi trasferirsi a Taranto nella notte dell'11).
Tutte le navi rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
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Il Bolzano in una foto d’anteguerra (g.c.
STORIA militare |
12 giugno 1940
Alle due di notte Bolzano, Trento e Pola, insieme alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
Corazziere, Ascari, Carabiniere),
lasciano nuovamente Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso
ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese,
è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano: due
corazzate ed una portaerei britannica compiono una ricognizione offensiva fra
Creta, Capo Matapan e Bengasi, mentre forze navali francesi di base ad
Alessandria effettuano un rastrellamento in Mar Egeo). (Per altra fonte le navi
sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico,
segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest;
segnalazione che si rivela poi errata).
Al contempo salpano da Taranto, per fornire loro appoggio, la I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo
Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a
trovare le navi nemiche, tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in
porto.
A mezzogiorno il sommergibile britannico Orpheus (capitano di corvetta James Anthony Surtees Wise), in
agguato 70 miglia a nordest di Malta, avvista il Pola, la III Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII
(meno il Geniere, che è dovuto
rientrare in porto da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest.
Forse perché troppo lontano, il sommergibile non attacca.
22-24 giugno 1940
La III Divisione (Trento e Bolzano), insieme alle Divisioni
incrociatori I (Zara, Fiume, Gorizia) e II (Giovanni delle
Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), al Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare) ed alle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX, X e XII (cioè tutta la II Squadra Navale, più la I
Divisione), prende il mare per fornire copertura alla VII Divisione ed alla
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il
traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale.
Le forze della II Squadra, partite da Messina (Pola e III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da
Taranto la notte tra il 21 ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si
riuniscono al tramonto dello stesso giorno a nord di Palermo.
L’operazione non porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
7 luglio 1940
La III Divisione (ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo), formata da Trento (nave ammiraglia) e Bolzano (capitano di vascello Gaetano
Catalano Gonzaga di Cirella), salpa da Messina alle 15.45 insieme alla XI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere,
Artigliere – nave di bandiera del
caposquadriglia, capitano di vascello Carlo Margottini –, Geniere e Camicia Nera)
per poi congiungersi al resto della 2a Squadra Navale (incrociatore
pesante Pola – nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra
–, I e VII Divisione incrociatori con nove unità in tutto e IX, XII e XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere) per scortare a distanza un convoglio salpato da
Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a Bengasi (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro – salpata da Catania
alle 12 del 7 – e Vettor Pisani,
motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X
Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie
torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori) con un carico di 232
veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante,
oltre a 2190 uomini.
La 1a Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri,
VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa
in mare a sostegno dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio
di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e della 2a Squadra salpano tra
le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola,
I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto
(IV, V e VIII Divisione).
La II Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII
Divisione con la XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad
ovest.
Durante la notte, la III Divisione naviga di conserva con la I Divisione
con rotta verso la Cirenaica.
8 luglio 1940
L’operazione va a buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e
le 22 dell’8), ed alle 14.30 le navi delle due squadra navali inizian la
navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica
– anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli –
la 1a e la 2a Squadra Navale dirigono per intercettare le
navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di
impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della
Regia Marina, che, a differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di
apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei
movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle
basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi
vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con
intenso tiro contraereo. Le bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non
causano danni.
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Il
Bolzano fotografato poco prima della
battaglia di Punta Stilo (g.c. STORIA militare)
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9 luglio 1940
Per ordine dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso
nord dalle 00.45 del 9 sulla dritta di Pola
e I Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con
la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo
stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina,
alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti,
salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a
Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso
nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8, però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme
che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le
coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N
e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est
del gruppo «Cesare»; l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi
avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha
informato dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (il che
differisce da quanto ordinato in precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la
XV Squadriglia Cacciatorpediniere segnala grosse ombre su tale lato (che è
quello da cui si prevede che possa provenire il nemico), ritiene che si tratti
di unità nemiche. Vengono così inviate ad attaccarle, in rapida successione, la
XV e la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento, che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di
Campioni – non dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV
Squadriglia mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma
delle navi “nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di interrompere l’attacco e chiarire
l’equivoco.
Alle 6.40 la III Divisione si ricongiunge con Pola e I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore
Short Sunderland che pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della
portata delle artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad
intervenire, non verrà però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un
velivolo italiano avvista la Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V
Divisione, ossia molto più a nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad
interporsi tra la flotta italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni
inverte allora la rotta, ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta
dirigendo per ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per
riunire più rapidamente le due Squadre.
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Eccesso
di fumo dalle caldaie poppiere del Bolzano
durante la battaglia di Punta Stilo (g.c. STORIA militare)
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Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si
dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra:
la III Divisione, insieme alla I, al Pola
ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII, va a formare la seconda
colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V
Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione si trova tre
miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e
VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori
pesanti, mentre il Pola, nave
ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Tra le 13.15 e le 13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo
Spartivento, il gruppo «Pola» (di cui la III Divisione fa parte), mentre si
trova a poppa dritta della Cesare e
con rotta 183° – è in corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione
ordinata da Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici, decollati dalla Eagle alle 11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate
italiane, che però non hanno trovato, provegono da ovest (cioè da sinistra); si
avvicinano con decisione da poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto
che i cacciatorpediniere sono invece a proravia degli stessi), scendono in
picchiata fino a 20-30
metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di
distanza. Gli incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed
aprono subito un violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due
diretti contro il Bolzano,
altrettanti contro il Trento ed uno
contro lo Zara). Gli aerei si
allontanano, tre di essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15
gli incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che
al contempo, insieme al gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e
così si spostano ad est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per
supportare gli incrociatori leggeri, i primi ad essere impegnati in
combattimento. Entro le 15.40 i sei incrociatori pesanti della 2a
Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare, nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31
ed alle 15.35, per poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle
15.56 alle 16.15 (incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al
gruppo «Pola» di serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento
040°, per avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da
poter usare i cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità
di calibro tra i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche
(381 mm) facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche.
Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni
degli incrociatori pesanti italiani, dei quali solo il Trento spara tre salve contro di esse.
Nella seconda fase, la 2a Squadra manovra per avvicinarsi
alle unità avversarie, e tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su
ordine dell’ammiraglio Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro
gli incrociatori leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester), che rispondono al fuoco con
granata perforante e tiro raccolto ma poco efficace. Il Bolzano apre il fuoco alle 16, insieme allo Zara ed al Pola (che aprono entrambi il fuoco qualche
secondo dopo il Bolzano), preceduto
di alcuni minuti da Trento e Fiume e seguito di un minuto
dal Gorizia.
Alle 15.59, però, la Cesare,
la nave ammiraglia, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo
ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni,
comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il
contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le
squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della
Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
Alle 16.03 (o 16.06) anche la 2a Squadra di Paladini, che sta
riducendo le distanze con gli incrociatori di Tovey (che da parte loro stanno pericolosamente
consumando le proprie già esigue riserve di munizioni) riceve da Campioni
l’ordine di ritirarsi, ma Paladini fa proseguire il tiro alle sue navi finché i
bersagli sono visibili.
Il
Bolzano, in primo piano, ed il Pola a Punta Stilo (sopra: g.c. STORIA
militare; sotto: g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
In questa fase, alle 16.05, anche il Bolzano
viene colpito, da tre granate perforanti da 152 mm del Neptune (secondo quanto attestato dalle fonti ufficiali; lo storico
Francesco Mattesini, analizzando i rapporti britannici, ha però recentemente
affermato che sarebbe stato l’Orion,
e non il Neptune, a sparare i tre colpi
che centrarono il Bolzano), sparate
da 21.000 metri di distanza.
Il primo colpo raggiunge il Bolzano
a poppa dritta (tra le ordinate 67 e 68, con inclinazione verso prua), subito
sotto la linea di galleggiamento; perfora in successione il ponte di batteria,
il ponte di corridoio e la parte inclinata della corazza di 30 mm che protegge
il locale timone a mano, per poi esplodere nell’adiacente cala del capo carpentiere,
sulla dritta. Le schegge del proiettile perforano in più punti il fasciame
esterno, la paratia longitudinale che divide la cala del capo carpentiere dal
locale timone a mano, la parte inclinata del cielo del deposito di nafta n. 19
e la paratia 64 AD, che divide la cala carpentiere dall’intercapedine 62-64,
provocando una falla ed il conseguente allagamento del locale timone a mano,
della cala carpentiere e dell’intercapedine 62-64, nonché di altri locali
(intercapedine 78-81 AD, cale laterali); si verificano anche limitate
infiltrazioni d’acqua nel locale dell’asse dell’elica centrale di sinistra
(fino al cuscinetto portante più basso; ciò causerà l’inquinamento del circuito
di lubrificazione della motrice) e nelle cale inferiori laterali del deposito
munizioni della torre 4, ma qui il livello dell’acqua non supera il mezzo metro.
Inoltre, l’esplosione trancia diversi cavi elettrici, così causando anche
l’arresto dell’elettropompa n. 2 del timone e dell’elettropompa G.M.4 (poi
riattivata con una linea di fortuna), per mancanza di corrente elettrica: dei
due motori di azionamento del timone, uno è danneggiato e l’altro funziona a
potenza ridotta.
Al contempo, un altro colpo del Neptune
cade in mare a poppa dritta, vicinissimo al timone, il quale al momento
dell’impatto stava venendo brandeggiato
per essere portato a 15°-20° sulla sinistra: l’onda di pressione causata dal
proiettilie accelera bruscamente il movimento del timone già in corso,
provocando degli scompensi nei meccanismi idraulici dell’agghiaccio, così che il
timone rimane incastrato (cioè bloccato) a sinistra.
Di conseguenza, il Bolzano
prende ad accostare a sinistra, e per circa sei minuti si ritrova ad effettuare
una volta tonda a sinistra (cioè un’accostata di 360°), continuando nel mentre
a rispondere al fuoco con tutte le torri.
Dato che si sono verificati contemporaneamente due danni che impediscono
di governare, per alcuni minuti il Servizio di Sicurezza non riesce a
determinare la natura del problema: si cerca di smuovere il timone, usando
l’elettropompa n. 1 (ancora funzionante), ma senza successo; essendosi allagato
il locale timone a mano, non è possibile è possibile tentare la manovra
manuale. Un’ispezione dell’agghiaccio del timone rivela che questo si trova
completamente alla banda sulla sinistra, e l’elettropompa n. 1 sforza senza
riuscire a smuoverlo a causa degli scompensi presenti nei meccanismi
dell’agghiaccio. A questo punto, individuato il problema, il direttore di
macchina, maggiore del Genio Navale Giuseppe Nicolò Accame, fa eseguire
dall’alloggio guardiamarina la manovra di messa in comunicazione dei torchi dell’agghiaccio,
aprendo la valvola bypass (vengono, cioè, momentaneamente disinnestati i
meccanismi del timone). Ciò, grazie all’effetto stabilizzante della velocità
della nave, fa sì che il timone si porti nuovamente alla via; dopo di che, si
richiude il bypass, ed il timone ritorna sotto il controllo della pompa.
Ci sono voluti sei minuti per ripristinare la governabilità della nave;
in questo lasso di tempo, il Neptune
ha colpito il Bolzano altre due
volte, ed altri sui colpi sono caduti vicini allo scafo, causando altri danni.
Il secondo colpo a segno sul Bolzano
colpisce a cira un metro dall’estremità della volata del cannone di dritta
della torre numero 2 da 203 mm, danneggiandolo gravemente e mettendone a nudo
il tubo anima; le schegge intaccano profondamente anche l’altro cannone,
mettendo fuori uso un congegno di mira e mandando in avaria il telemetro da
7,20 della torre. Ciononostante, la torre continua a sparare con entrambi i
cannoni (ma quando, durante le riparazioni, si farà una prova di tiro col
cannone danneggiato, questo si spezzerà al primo colpo; anche l’altro cannone,
per i danni causati dalle schegge, verrà sostituito). Due grosse schegge
entrano nel locale rds. di dritta, mentre altre perforano il lato dritto della
plancia comando (specie le stazioni di vedetta ivi situate) e le tughe
sottostanti.
Un puntatore, il marinaio cannoniere Alfonso Marino, viene ucciso da una
scheggia, penetrata in una feritoia della torre numero 2.
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I
danni alle volate dei cannoni da 203 della torre numero 2 (g.c. STORIA
militare)
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Il terzo colpo va a segno sulla sinistra, tra le ordinate 31 e 32 AD
(secondo un’altra relazione, invece, sull’ordinata 30), perforando la lamiera
del trincarino, entrando nella camera di lancio poppiera, rimbalzando sul ponte
di batteria (corazzato di 50 mm) ed esplodendo nel medesimo locale, sulla
sinistra, dietro gli stipetti per gli effetti dell’equipaggio, distruggendo
stipetti, condotte di ventilazione ed altre parti leggere dell’allestimento,
deformando il fasciame nel punto dell’attacco del ponte di coperta e del ponte
di batteria al fasciame di murata, rompendo la guida per l’imbarco dei siluri,
rompendo e deformando le ordinate 29, 30 e 31 AD, rompendo il baglio
dell’ordinata 30, tranciando diversi cavi della luce elettrica, deformando la
mastra del portellone di carico dei siluri, mettendo fuori uso il compressore
siluri della stazione di lancio AD e rompendo diverse lamiere dell’osteriggio
della sala macchine. Alcune schegge cadono nel locale macchine AD attraverso le
griglie di protezione, ma non provocano danni.
L’esplosione del proiettile in camera di lancio uccide il marinaio
fuochista Cosimo Balestra, ferendo altri 15 uomini (uno dei quali, il marinaio
fuochista Damiano Altomare, in modo fatale), mettendo fuori uso il complesso
lanciasiluri poppiero e provocando il lancio accidentale di sei degli otto siluri
presenti. Anche i tubi lanciasiluri di sinistra subiscono diverse ammaccature,
causate dalle schegge. L’esplosione di questo colpo riempie alcuni locali
(tutto il ponte di batteria fino alla camera di lancio prodiera) di gas densi e
scuri, costringendo il personale ad indossare le maschere antigas (tra l’altro,
si nota la mancanza di estintori portatili).
I
fori d’entrata dei proiettili da 152 mm che colpirono il Bolzano a Punta Stilo (g.c. STORIA militare)
Il Bolzano imbarca 316
tonnellate d’acqua nei compartimenti poppieri (per via della falla aperta dal
primo colpo a segno), di cui un centinaio nel deposito nafta n. 19 (che non
contiene nafta), ma continua a fare fuoco ed evoluire ad alta velocità.
Altre salve cadono nelle immediate vicinanze del Bolzano durante la volta tonda; le loro schegge, insieme ad un
successivo mitragliamento aereo, provocano anche la deformazione delle
cucchiaie dei tubi lanciasiluri di poppa dritta, due fori in un’elica, la
distruzione del proiettore prodiero, il danneggiamento di un altro ed
innumerevoli fori sulle sovrastrutture.
A seguito dei colpi a bordo, si verificano anche dei problemi nella
trasmissione delle comunicazioni in sala macchine, il che costringe a passare
ordini a voce tra la centrale di controllo motore e gli altri locali.
Nonostante tutto, la nave continua a fare fuoco con tutti i cannoni ed ad
evoluire a quasi 35 nodi.
Il marinaio fuochista Damiano Altomare, ferito mortalmente e portato sul
tavolo operatorio, prende una matita e inizia a scrivere un ultimo messaggio
per i genitori: “Mamma, sono quasi contento di morire così. Baci da…”, ma muore
prima di poter completare la frase, lasciando sul foglio una riga.
Via via che il fumo s’infittisce e nasconde le navi di Tovey, gli
incrociatori pesanti della II Squadra cessano il fuoco: il Bolzano è l’ultimo a farlo, alle 16.20.
Intanto, dalle 16.03 e cioè da quando la danneggiata Cesare ha comunicato «la mia rotta
è 270° – la mia velocità 20 nodi», Paladini ha ordinato ai suoi incrociatori di
accostare di 140° sulla sinistra, mentre viene stesa una cortina nebbiogena.
Gli incrociatori di Tovey, la cui azione è ostacolata negli ultimi minuti dai
cacciatorpediniere mandati all’attacco silurante, cessano il fuoco alle 16.15,
quando le distanze con quelli italiani sono scese a 18.000-21.000 metri. Si
registra anche il breve intervento della Warspite, che alle 16.09 tira sei salve contro le navi di Paladini.
Tra le 16.10 e le 16.15 si svolge un nuovo attacco da parte di altri
nove aerosiluranti Swordfish, anch’essi decollati dalla Eagle (alle 15.45): anche in questo caso, loro compito è attaccare
le corazzate della V Divisione. Quando, verso le 15.55, giungono sul cielo
delle due flotte in battaglia, gli Swordfish (guidati dal capitano di corvetta
A. J. Debenham) si dirigono verso due grosse navi che procedono in testa agli
incrociatori, pensando che siano le corazzate che cercano: calata la distanza,
si accorgono che la prima è in realtà il Bolzano
(le due grandi navi sono quelle della III Divisione, nella quale il Bolzano è, al momento dell’attacco, la
nave di testa), che in questo momento procede in testa all’intera flotta
italiana; ma decidono di attaccare lo stesso. Sotto l’intenso tiro contraereo
italiano, gli Swordfish attaccano divisi in tre pattuglie, in rapida
successione, lanciando sul lato di dritta del Bolzano; nessun siluro, comunque, va a segno. Gli aviatori
britannici ritengono di aver messo a segno almeno un siluro, mentre da parte
italiana sii stima di aver abbattuto almeno due aerei e probabilmente tre; in
realtà, nessuno dei due contendenti ha subito danni.
Durante un mitragliamento aereo a bassa quota, la volata di una
mitragliera da 13,2 mm del Bolzano
viene colpita da un proiettile.
Tra le 16.19 e le 16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici
(2th, 10th e 14th Flotilla) aprono il fuoco
contro quelli italiani da 11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le
16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra cacciatorpediniere, svoltasi a
grande distanza, ha termine senza che nessuna unità sia stata colpita.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi
con direttrice di marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il
rientro, tra le 16.20 e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte
degli stessi bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126
inviati in totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e
bombardano pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il
comando delle due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui
appartengono i bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di
quella britannica. Le insensate disposizioni vigenti in materia di
comunicazioni tra Marina ed Aeronautica, che non contemplano la possibilità di
comunicazioni dirette tra navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai
secondi l'errore; le stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli
aerei attaccanti, apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree,
rafforzando nei piloti l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune
delle navi ed alcuni degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e
rinunceranno all'attacco riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità
del "nemico", ma alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane
eguaglieranno, in intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera
Mediterranean Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita,
mentre un bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia
(XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco
amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire
equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di
emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle
esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica,
ma per lo meno servirà a dare l'impulso ad un migliore sviluppo della
collaborazione aeronavale, che però raggiungerà risultati soddisfacenti solo
nel 1942.
Due
foto scattate sul Bolzano durante la navigazione di rientro dopo la battaglia
di Punta Stilo (g.c. STORIA militare). Sopra, si nota l’accentuato rollio dell’incrociatore,
causato dallo svuotamento dei depositi di nafta; sotto, è visibile un “paglietto
turafalle” adagiato in coperta prima dell’uso.
Durante la navigazione di rientro, il Servizio di Sicurezza del Bolzano provvede a tamponare le vie
d’acqua; dato che la forma dei “paglietti turafalle” non è adatta ai fori
slabbrati verso l’esterno aperti dalle schegge, si cerca di otturarli alla
meglio con feltro ed altri materiali di fortuna. Rimessa in funzione (con
allacciamenti volanti) la pompa grandi masse numero 4, risulta possibile
contenere e ridurre gli allagamenti; dopo un paio d’ore, però, il circuito di
alimentazione della pompa va in avaria (l’elettropompa è finita sott’acqua, ma
il motore elettrico è rimasto isolato e funzionante: il suo mancato
funzionamento è causato da spruzzi d’acqua entrati in una cassetta di
derivazione della linea elettrica, perforata da una scheggia), sicché la pompa
smette di funzionare, e l’acqua nel locale timone a mano e nell’intercapedine
62-64 AD riprende a salire, costringendo a chiudere, tamponare e puntellare la
portelleria di comunicazione fra i locali che si stanno allagando di nuovo e
quelli soprastanti, ed a rinforzare le relative paratie trasversali. Bisogna
sgottare, con un’autopompa barellabile ed una catena di secchi, l’acqua che sta
iniziando a filtrare nel locale verricelli, prima che raggiunga i loro motori
elettrici.
Mentre il grosso della flotta italiana dirige su Augusta, la III
Divisione, insieme alla danneggiata Cesare,
fa rotta per Messina, dove giunge alle 21 del 9 luglio.
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Il
Bolzano all’arrivo a Messina dopo la
battaglia di Punta Stilo, con i segni dei danni subiti alle torri prodiere
(g.c. STORIA militare)
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Il Bolzano, a causa dello
svuotamento di alcuni depositi di nafta, subisce un aumento del rollio a ben
11°, anche in condizioni di mare calmo; si rende necessario pompare molta acqua
di zavorra nei serbatoi, per bilanciare la nave. Nei due giorni in mare e nella
battaglia, la nave ha consumato 100 colpi da 203 mm, 800 tonnellate di
carburante e 400 di acqua dolce.
I caduti del Bolzano a Punta Stilo:
Damiano Altomare,
marinaio fuochista, 22 anni, da Molfetta (M.A.V.M.)
Cosimo Balestra,
marinaio fuochista, 22 anni, da Massafra (C.G.V.M.)
Alfonso Marino,
marinaio cannoniere o., 21 anni, da Angri (C.G.V.M.)
10 luglio 1940
In mattinata, nel porto di Messina, si riprende a prosciugare l’acqua
che ha allagato il locale timone a mano e le intercapedini 62-64, con l’ausilio
delle pompe del rimorchiatore Ursus.
Un palombaro, intanto, tampona i fori da schegge con stoppa intrisa di sego ed
un grosso paglietto turafalle; ciò permett di ridurre fortemente le
infiltrazioni d’acqua e prosciugare del tutto anche l’acqua entrata nella cala
laterale di sinistra del locale timone a mano. Dopo di che, viene effettuata
sui fori una gettata di cemento a presa rapida rinforzata con tavole e puntelli
di legno, il che permette di ripristinare la tenuta stagna dello scafo,
annullando quasi del tutto le infiltrazioni.
12 luglio 1940
In serata Bolzano e Cesare, entrambe danneggiate, lasciano
Messina scortate dai cacciatorpediniere Aviere,
Geniere, Pigafetta, Malocello e Zeno (due dei quali assegnati al Bolzano) nonché – di giorno – da aerei
antisom della Regia Aeronautica, e dirigono per La Spezia, dove potranno
effettuare rapidamente le necessarie riparazioni in una base non esposta ai
bombardamenti aerei britannici. Le navi attraversano il Tirreno a 22-24 nodi
fin quasi all’altezza delle Bocche di Bonifacio, indi costeggiano la Corsica
fino a Capo Corso, per poi puntare su La Spezia. Durante la navigazione si
rinforza, sul Bolzano, la paratia
longitudinale di dritta del locale timone a mano, con lamiere elettrosaldate,
nel caso dovesse cedere la colata di cemento.
13 luglio 1940
Preceduti da Aviere e Geniere che fanno dragaggio protettivo, Bolzano e Cesare passano tra l’Isola del Tino e Palmaria, e si ormeggiano in
rada a La Spezia in tarda serata.
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Il
Bolzano all’arrivo a La Spezia dopo
la battaglia di Punta Stilo. Sono visibili i danni alla torre numero 2 (g.c.
STORIA militare)
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14-16 luglio 1940
Il Bolzano viene portato in
Arsenale e viene scoperchiata la torre numero 2, rimuovendo i due cannoni
danneggiati da 203 mm: quello di dritta, danneggiato in modo irreparabile,
viene esaminato e provato per capire come abbia potuto sparare ancora dopo
essere stato colpito; sottoposto a prova di tiro, si spezza dopo il primo
colpo. Il secondo cannone viene giudicato anch’esso irrecuperabile.
Il Bolzano viene immesso in
bacino di carenaggio per riparare i danni allo scafo, ed a fine mese vengono
imbarcati i due nuovi cannoni Ansaldo da 203 che sostituiscono quelli della
torre numero 2.
4 agosto 1940
Terminate le riparazioni il giorno precedente, il Bolzano lascia La Spezia in mattinata per tornare a Messina,
scortato dai cacciatorpediniere Ascari
e Corazziere e dalle torpediniere Curtatone e Castelfidardo (queste ultime lasciano la scorta nel pomeriggio),
nonché – di giorno – da aerei antisommergibili.
5 agosto 1940
Bolzano, Ascari e Corazziere giungono a Messina in tada mattinata.
31 agosto-1
settembre 1940
Il 31 settembre la III Divisione (Trento,
Trieste, Bolzano) salpa da Messina insieme ad otto cacciatorpediniere, per
partecipare alle operazioni di contrasto all’operazione britannica «Hats»
(consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad
Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli
incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
Complessivamente, all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi
e Messina 4 corazzate della V (Cesare,
Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13
incrociatori della I (Pola, Zara, Fiume, Gorizia), III, VII
(Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo)
e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) Divisione e 39
cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta e Strale
della VII Squadriglia; Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno
dell’VIII Squadriglia; Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco
della X Squadriglia; Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera della XI Squadriglia; Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia; Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino
della XIII Squadriglia; Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno della XV Squadriglia; Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare della XVI
Squadriglia). La III Divisione si
riunisce al grosso della squadra italiana, partita da Brindisi e da Taranto,
verso le 13 del 1° settembre.
La III Divisione forma con la I Divisione la 2a Squadra (che
precede il grosso delle forze italiane).
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra è composta
dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII,
VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite sotto il comando dell’ammiraglio di
squadra Inigo Campioni, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le
forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare
uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno
l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non
riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto.
Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche;
alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a
Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di
proseguire verso le forze nemiche. L’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante
la 2a Squadra, ha chiesto alle 16.20 libertà di manovra per dirigere
contro le forze britanniche, segnalate da ricognitori alle 15.35
a 120 miglia di distanza dalla 2a Squadra. Campioni gli ha
dato l’autorizzazione alle 16.31, ma revoca l’autorizzazione alle 16.50
(comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a
raggiungere le unità avversarie), ed alle 17.27 ordina alla 2a
Squadra di invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come
la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve
l’ordine di portarsi per le sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20
nodi, in un punto 36 miglia ad ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante;
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante.
Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla
sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le
forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di
nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare
la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte
possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta
italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di
tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare
in formazione né usare l’armamento). A causa della burrasca, la III Divisione
deve raggiungere Taranto, anziché la propria base abituale di Messina. Poco
dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive
basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3
settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
7 settembre 1940
La III Divisione, con Trento, Trieste e Bolzano, lascia Taranto alle 16 insieme al resto della 2a Squadra
Navale (incrociatore pesante Pola,
ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia
della I Divisione; cacciatorpediniere Carabiniere, Ascari e Corazziere della XII Squadriglia, Alfieri della IX Squadriglia e Geniere della XI Squadriglia) ed alla 1a Squadra
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX
Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duilio della VI Divisione;
cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della
X Squadriglia, Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia, Freccia, Saetta e Dardo della VII Squadriglia, Folgore, Fulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia). La
flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo
da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per
intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in
realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato
un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria
uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi
attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il
contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a
levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il
meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali attraversano lo stretto di Messina nella notte tra
il 7 e l’8 e raggiungono il punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16
dell’8 settembre; però, dato che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave
nemica (visto che la Forza H, dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la
formazione italiana inverte la rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le
basi del Tirreno meridionale (Napoli per la 1a Squadra, Palermo
e Messina per la I e III Divisione rispettivamente).
9 settembre 1940
La III Divisione giunge a Messina dopo essersi appoggiata a Napoli.
Le navi si riforniscono di carburante e rimangono pronte a
muovere, ma non ci sono novità sul nemico.
29 settembre-2
ottobre 1940
La III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), con i quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera), esce da Messina alle
20.28 del 29 settembre, mentre tra le 18.05 e le 19.30 prendono il mare da
Taranto il Pola, le divisioni I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare, Duilio e Conte di Cavour), VII (incrociatori
leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi),
VIII (incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e IX (corazzate Littorio
e Vittorio Veneto) e 19
cacciatorpediniere (Dardo, Saetta e Strale della VII Squadriglia; Gioberti, Alfieri, Oriani e Carducci della
IX; Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco
della X; Ascari della XII; Granatiere, Bersagliere ed Alpino
della XIII; Da Mosto e Da Verrazzano della XV; Pessagno ed Usodimare della XVI), per contrastare l’operazione britannica «MB.
5» (invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti, ed invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto
con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e
di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione). Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio Campioni.
La III Divisione si riunisce alle navi partite da Taranto alle 7.30 del
30 settembre.
Alle 13.24 del 30 il sommergibile britannico Regent (capitano di corvetta Hugh Christopher Browne) avvista parte
della formazione italiana (due corazzate, tre incrociatori e diversi
cacciatorpediniere) in posizione 38°09’ N e 18°17’ E. Alle 13.39 il battello
lancia cinque siluri (sei nelle intenzioni, ma uno si rivela difettoso) da una
distanza di 820 metri, ma nel farlo perde il controllo della quota ed affiora
accidentalmente in superficie; torna subito ad immergersi, scendendo a 90
metri. Nessun siluro va a segno; alle 14.05 segue il contrattacco della scorta
con bombe di profondità, nessuna delle quali esplode vicina al Regent.
In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i
movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di
una burrasca da Scirocco (che avrebbe
reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei
cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione
ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed
incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed
alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi,
alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta
italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre,
vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere
il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà
impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine
di spegnere le caldaie.
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Il Bolzano in uscita dal Golfo di La Spezia nel 1940 (g.c. STORIA
militare)
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6 ottobre 1940
Il Bolzano parte da Messina in
mattinata insieme a Trento e Trieste ed alla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera),
in appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio da Taranto a Lero
delle due veloci e moderne motonavi Calitea
e Sebastiano Venier, cariche di rifornimenti
destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere. L’operazione (il convoglio è partito da Taranto la sera del
5, ed il 6 mattino, oltre al gruppo cui appartiene la III Divisione, sono
salpate da Taranto anche il Pola,
nave di bandiera della II Squadra Navale, la I Divisione con gli incrociatori
pesanti Zara, Fiume e Gorizia e la IX
Squadriglia Cacciatorpediniere) viene però interrotta il mattino stesso del 6
ottobre, dopo che la ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate,
due incrociatori e sette cacciatorpediniere britannici sulla rotta
Alessandria-Caso, ossia dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso.
Tutte le unità italiane vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà
più.
12 ottobre 1940
La III Divisione (Trento, Trieste
e Bolzano), al comando
dell’ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti, salpa da Messina alle otto del
mattino per dare appoggio al cacciatorpediniere Camicia Nera, che sta rientrando alla base inseguito da navi ed
aerei britannici dopo che, in un fallito attacco silurante nella notte
precedente e nei suoi successivi sviluppi il mattino del 12 ottobre, sono stati
affondati il cacciatorpediniere Artigliere
(posto fuori uso dall’incrociatore leggero Ajax
e finito dall’incrociatore pesante York)
e le torpediniere Airone ed Ariel (entrambe dall’Ajax). L’ordine è di supportare il
rientro del Camicia Nera (nonché dei
cacciatorpediniere Aviere e Geniere, anch’essi scampati allo
scontro, l’Aviere piuttosto
danneggiato) e, se possibile, impegnare gli incrociatori britannici. La III
Divisione, insieme alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Luca Tarigo, Antonio Da Noli),
dirige per il punto in cui si sa essere il Camicia
Nera e catapulta due degli idroricognitori in dotazione agli incrociatori.
In base alle intercettazioni, l’ammiraglio Sansonetti capisce che Aviere, Geniere e Camicia Nera
non necessitano più di protezione, dunque alle 10.15 fa ridurre la velocità da
30 a 25 nodi, continuando a navigare verso sud fino alle 12.15, quando giunge
da Supermarina l’ordine di rientrare alla base. Durante la navigazione di
ritorno la III Divisione avvista un ricognitore britannico Short Sunderland e
diverse squadriglie di bombardieri della Squadra Aerea della Sicilia, scortati
da caccia, inviati a cercare il nemico.
21 ottobre 1940
Pochi giorni prima dell’attacco alla Grecia, la III Divisione viene
trasferita a Taranto.
11-12 novembre 1940
Il Bolzano è presente a
Taranto (dov’è giunto da pochi giorni), alla boa in Mar Piccolo, durante
l’attacco aerosilurante britannico che affonda la corazzata Conte di Cavour e pone fuori uso le
corazzate Littorio e Duilio (“notte di Taranto”).
Il Bolzano, alla boa sul lato
meridionale del Mar Piccolo non lontano dal Trieste
(che è alla sua sinistra) e poco a nord dei quattro cacciatorpediniere della
XIII Squadriglia (l’Alpino a poppavia
del Bolzano, il Fuciliere a poppa dritta del Bolzano,
il Bersagliere a poppa dritta del Trieste ed il Granatiere a poppa sinistra di quest’ultimo), a loro volta più a
nord della fila di unità ormeggiate in banchina torpediniere (tra cui il Trento, il Pola, gli incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi e la portaidrovolanti Giuseppe
Miraglia, oltre a numerosi cacciatorpediniere), viene attaccato, come le
altre unità presenti in Mar Piccolo, da cinque Fairey Swordfish impiegati come
bombardieri, in azione diversiva volta a distogliere l’attenzione dall’attacco
principale effettuato dagli aerosiluranti contro le corazzate in Mar Grande.
Gli Swordfish sganciano una sessantina di bombe da 500-600 metri, ma meno di un
terzo cadono vicine alle navi, in massima parte in acqua tra le navi od a
proravia delle stesse; il Trieste non
viene colpito (secondo una fonte britannica, ciò è dovuto al fatto che Trento, Trieste e Bolzano non
aprono il fuoco col loro armamento contraereo e si affidano all’oscurità per
proteggersi, non rivelando la propria posizione: così i piloti britannici,
anziché attaccare questi bersagli principali, sono costretti a sganciare contro
obiettivi secondari).
Tra le 14.30 e le 16.45 del 12 novembre la III Divisione, insieme alla
XII Squadriglia Cacciatorpediniere, lascia Taranto, valutata ormai insicura,
per raggiungere Messina.
16-18 novembre 1940
La III Divisione lascia Messina alle 10.30 del 16, mentre da Taranto
prendono il mare Vittorio Veneto e Cesare e la I Divisione (da Napoli)
nonché le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Gioberti, Alfieri, Oriani, Carducci), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere),
XIII (Bersagliere,Granatiere, Fuciliere, Alpino) e
XIV (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello;
questi ultimi da Palermo) per intercettare una formazione britannica diretta
verso est. Una formazione britannica (la Forza H dell’ammiraglio James Somerville,
con le portaerei Argus e Ark Royal, l’incrociatore da
battaglia Renown, gli
incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle ed otto
cacciatorpediniere), salpata da Gibilterra e con rotta verso levante, è stata
infatti avvistata nel Mediterraneo occidentale: è in corso l’operazione
britannica «White», consistente nel lancio, da parte della portaerei Argus della Forza H, di 14 aerei
destinati a rinforzare le modeste forze aeree di base a Malta, nonché un’azione
di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark
Royal) ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF
sul Newcastle.
La III Divisione e la XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (la prima
da Messina, la seconda da Palermo) si uniscono al grosso della squadra, partito
da Napoli, nel pomeriggio del 16.
La forza così riunita sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume
quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna,
procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare la
navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata del 16 non si ricevono informazioni sulle forze
nemiche; solo alle 10.15 del 17 queste vengono avvistate da ricognitori, che
però non precisano né la rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in
direzione di Bona, sperando di riuscire ad intercettare le unità britanniche
nel pomeriggio, se esse proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di
Ustica, la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35
miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione
dell’Algeria, nella totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia
diretto, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che
le condizioni del mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte
rollio e beccheggio in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire
l’uso dei cannoni se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane
eseguono esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sebbene non vi sia stato contatto tra le opposte formazioni navali,
l’uscita in mare delle forze italiane ha indirettamente causato il fallimento
dell’operazione «White»: l’avvistamento della squadra italiana da parte dei
ricognitori di Malta, infatti, ha indotto Somerville a far decollare gli aerei
dall’Argus in anticipo, tenendo
la portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto
inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli
aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati
dall’Argus (dodici Hawker
Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua)
giungeranno a Malta: gli altri nove esauriranno il carburante e precipiteranno
in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del
vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso
Siracusa, venendo catturato.
26-28 novembre 1940
Alle 12.30 del 26 il Bolzano lascia
Messina insieme al resto della III Divisione (Trento e Trieste, nave
ammiraglia dell’ammiraglio Luigi Sansonetti, comandante la III Divisione) ed
alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari,
Lanciere e Carabiniere), mentre da Napoli escono le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità e la IX e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere con otto unità.
La formazione italiana si riunisce nel punto 39°20’ N e 14°20’ E, 70
miglia a sud di Capri, alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e
velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta.
Alle otto del mattino del 27 la III Divisione con la XII Squadriglia si
trova a cinque miglia per 180° dal Pola,
nave ammiraglia della 2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III
Divisione; il tutto sotto il comando dell’ammiraglio Iachino), con rotta 250° e
velocità 16 nodi, mentre la I Divisone è insieme al Pola e la 1a Squadra (le due corazzate ed i cacciatorpediniere
della VII e della XIII Squadriglia; ammiraglio Campioni) è più a poppavia.
Alle 7.55 il Bolzano, in base
ad ordini ricevuti nella notte, catapulta un idrovolante da ricognizione che
dovrà cercare eventuali forze nemiche lungo il percorso che, dalla nave che lo
ha lanciato, porta a La Galite, Cap de Fer (all’estremo orientale del Golfo di
Philippeville) e Cagliari.
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Il
Bolzano fotografato dal Trento il 27 novembre 1940 (g.c. STORIA
militare)
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La formazione italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino
del 27 incrocia nove miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare
uno dei due gruppi britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da
Gibilterra) prima che possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene
avvistato alle 9.45 dall’idroricognitore del Bolzano, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90°
e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05
dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo
il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche;
continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad
ovest), questo avvistamento è il primo concreto segnale, per il comandante
superiore in mare, della presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la formazione italiana dirige per sudest, in modo da
intercettare il gruppo nemico e tagliargli la rotta.
Alle 11.01 la III Divisione riceve ordine da Iachino di portarsi a
poppavia (a tre miglia per 270°) del resto della 2a Squadra, ed alle
11.28 l’intera formazione assume rotta 135°, per intercettare la formazione
britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione
differente da quella prevista.
Durante l’inversione di rotta conseguente all’ordine delle 11.01,
tuttavia, si verifica una certa confusione causata dall’errata interpretazione
di un segnale da parte del Trento
(che per invertire la rotta vira di contromarcia, mentre gli altri due
incrociatori virano ad un tempo), così che il Trieste, nave ammiraglia, finisce al centro della formazione,
invece che in testa, e la III Divisione si ritrova arretrata rispetto al resto
della 2a Squadra: ultima della formazione, 8 km a poppavia della I
Divisione.
Alle 11.35 la 2a Squadra riceve dall’ammiraglio Campioni di
portarsi su rilevamento 195° rispetto alla sua nave ammiraglia (la Vittorio Veneto), in modo che la
formazione divenga perpendicolare alla probabile direzione d’avvicinamento
della squadra britannica. Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la
formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di
impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità), essendosi i due gruppi
riuniti, l’ammiraglio Campioni ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle
basi senza ingaggiare il combattimento, e tre minuti dopo ordina alla 2a
Squadra di aumentare la velocità per riunirsi alle corazzate, pertanto la 2a
Squadra accelera a 25 nodi, poi a 28.
Alle 12.15, tuttavia, le unità della 2a Squadra avvistano
improvvisamente quattro cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli
incrociatori italiani: le siluranti nemiche spariscono subito, avendo
apparentemente invertito la rotta, ma poco dopo vengono avvistati altri
cacciatorpediniere, incrociatori, corazzate: è la squadra britannica, che
comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), Sheffield, Southampton, Newcastle e Manchester (leggeri), oltre a numerosi cacciatorpediniere. In
questo momento la III Divisione si trova in linea di fila 8 km a poppa della I
Divisione, con rotta 90° e velocità 25 nodi, in aumento (le corazzate sono
invece a proravia della I Divisione). A seguito dell’avvistamento delle forze nemiche,
l’ammiraglio Campioni ordina di incrementare ancora la velocità. Inizia così la
battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non
impegnarsi, gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione
dal Pola e da quelli della III
Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una
distanza di 21.500 metri (Pola e I
Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori
britannici (uno, il Manchester, viene
mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento,
scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano il loro tiro
contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a
Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per
sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in
linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine
di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo
scontro, le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi
esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono
tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del
combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di 18.000
metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione
(che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in ritardo
rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno ancora
raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di
allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche
difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli
incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella
loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del
fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a
causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti
britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e
poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla
combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III
Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15,
quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm degli incrociatori italiani (probabilmente sparate
dal Trieste o dal Trento; per altri sarebbe potuto essere
stato anche il Bolzano) colpiscono,
alle 12.22 ed alle 12.35, l’incrociatore pesante britannico Berwick: la prima uccide sette uomini,
ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre da 203 dell’unità britannica,
la seconda danneggia il quadrato ufficiali e locali adiacenti, ma il Berwick continua a fare fuoco.
Fino alle 12.40 le navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano
intensamente contro la III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione,
che è divenuta più vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle
navi italiane); in questa fase la III Divisione, mentre la velocità aumenta
progressivamente fino a 34 nodi, aumentando le distanze con le navi nemiche, di
quando in quando accosta in modo da sparare con tutte le artiglierie invece che
con le sole torri poppiere. Le corazzate britanniche intervengono solo
sporadicamente, trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori: alle 12.26
la Renown spara due salve contro il Bolzano, incrociatore centrale del
gruppo occidentale, che ha fatto una fugace apparizione in mezzo al fumo.
Presto, una volta che gli apparati motori funzionano a pieno regime, la III
Divisione riuscirà ad aumentare le distanze con il nemico abbastanza da indurlo
a cessare il fuoco.
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Il
Bolzano sotto il fuoco del Renown
durante la battaglia di Capo Teulada (dal libro “Big Gun Battles”, di Robert C.
Stern)
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La III Divisione procede verso nord (in modo da allontanarsi più
rapidamente), accostando per 30° a sinistra (rotta 330°) per sottrarsi più
rapidamente al tiro delle corazzate, con rotta divergente rispetto alla I
Divisione (che ha rotta 50°) ed alle corazzate di Campioni, poi, una volta
giunta fuori tiro, accosta verso est per riavvicinarsi alla I Divisione, ma
alle 12.52 riceve ordine dall’ammiraglio Iachino di disimpegnarsi e, se
necessario, emettere cortine nebbiogene. Nel frattempo anche la 1a
Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da poco
meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e la
distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il fuoco
già alle 13.10.
Quando viene cessato il tiro, il Bolzano
risulta aver sparato in tutto 27 salve: è in assoluto l’incrociatore italiano
che ha sparato di meno, di gran lunga (tutti gli altri hanno sparato tra le 92
e le 210 salve), perché, trovandosi di poppa al Trento, il fumo emesso da quest’ultimo gli ha ostruito quasi sempre
la visuale, impedendogli di vedere le navi nemiche.
Il Berwick, però, non è stata
l’unica nave ad essere colpita nello scontro: alle 12.35, infatti, il
cacciatorpediniere Lanciere,
caposquadriglia della XII Squadriglia (che, assegnata alla III Divisione, si
trovava ad est di questa e più vicina alle unità nemiche), è stato colpito da
una granata da 152 mm sparata dall’incrociatore leggero Southampton, che ha messo fuori uso la macchina di poppa, lasciando
il cacciatorpediniere con una sola macchina funzionante. Alle 12.40, mentre la
XII Squadriglia (il Lanciere riusciva
a sviluppare 23 nodi di velocità) stava spostandosi verso ovest passando a
poppavia della III Divisione, il Lanciere
è stato colpito altre due volte, ed alle 13.15 comunica di essere rimasto
immobilizzato per mancanza d’acqua. Alle 13.16 l’ammiraglio Iachino ordina alla
III Divisione di dare assistenza al cacciatorpediniere colpito, ma Sansonetti,
perplesso su cosa potrebbe fare tornando indietro con l’intera divisione, alle
13.26 chiede conferma a Iachino sul fatto di dover tornare indietro per
assistere il Lanciere (che dev’essere
preso a rimorchio, operazione che, secondo Iachino, richiede l’intervento di
tutta la III Divisione), ricevendo subito risposta affermativa. (Un simile
scambio di comunicazioni – tra Iachino e l’ammiraglio Carlo Cattaneo,
comandante la I Divisione – si avrà, quattro mesi più tardi, nella tragica
battaglia di Capo Matapan: questa volta con esito molto più funesto). La III
Divisione ritorna perciò nel punto in cui si trova l’immobilizzato Lanciere, che viene preso a rimorchio
dal gemello Ascari; alle 15.35,
mentre i due cacciatorpediniere iniziano a porsi in moto, la III Divisione
viene violentemente attaccata da sette bombardieri britannici Blackburn Skua (appartenenti
all’800th Squadron della Fleet Air Arm, e guidati dal tenente di
vascello R. M. Smeeton) decollati dalla portaerei Ark Royal. Gli Skua, senza attaccare i due cacciatorpediniere
intenti nella delicata manovra di rimorchio, bombardano in picchiata (con bombe
da 227 kg) gli incrociatori di Sansonetti, che reagiscono con pronte manovre e
con intenso tiro contraereo (pur senza colpire alcun velivolo). Nessuna nave
viene colpita, sebbene cinque delle bombe da 500 libbre cadono molto vicine al Bolzano ed al Trento. La III Divisione scorta poi, sino al tramonto, l’Ascari che rimorchia il Lanciere verso Cagliari, dove i due
cacciatorpediniere giungeranno senza problemi.
Terminato questo compito, la III Divisione segue le rotte costiere ad
est della Sardegna durante la notte, per poi ricongiungersi con la II Squadra
il mattino successivo, al largo di Ponza.
L’intera 2a Squadra, senza ulteriori problemi, arriva a
Napoli alle 14 del 28, dopo di che la III Divisione prosegue per Messina alle
20.35 del giorno stesso, insieme alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere.
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Dettaglio
di un’immagine del Bolzano a Capo
Teulada.
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8 gennaio 1941
Il Bolzano si trova a Napoli quando
il porto viene attaccato da otto bombardieri britannici Vickers Wellington
decollati da Malta, che danneggiano la corazzata Cesare.
8-11 febbraio 1941
Alle 7 dell’8 febbraio (dopo aver ricevuto l’ordine di accendere le
caldaie già alle 14.15 del 7), per ordine di Supermarina, la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), al
comando dell’ammiraglio Sansonetti (imbarcato sul Trieste), ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere
salpano da Messina alla volta di La Spezia, mentre da La Spezia escono in mare
le corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria e la X (Maestrale,
Grecale, Libeccio, Scirocco) e
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere,
Fuciliere, Alpino). Scopo dell’uscita è l’intercettazione dell’aliquota della
Forza H britannica (incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya,
portaerei Ark Royal,
incrociatore leggero Sheffield,
cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake)
che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure
(ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Al largo di
Napoli anche un terzo cacciatorpediniere, il Camicia Nera, si unisce, come da ordini, alla scorta della III
Divisione.
Poco dopo le otto del mattino del 9, come da disposizioni, la III
Divisione si riunisce, 40 miglia ad ovest di Capo Testa sardo (a nord
dell’Asinara), alle forze navali uscite da La Spezia, ed alle 8.25 l’intera
formazione (sotto il comando dell’ammiraglio Iachino) assume rotta 230°,
dirigendo per quella che è ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi
nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione sia diretta contro la
Sardegna.
Tale rotta, controvento, permette anche di catapultare gli
idroricognitori: per ordine dell’ammiraglio Iachino, il Bolzano catapulta il suo IMAM Ro. 43 alle 8.55, seguito dal Trento alle 9.35; i due aerei hanno il
compito di cercare il nemico verso sud e sud-ovest, ma in realtà la Forza H si
trova 170 miglia più a nord dell’aerea oggetto della ricerca.
La squadra italiana non riesce a raggiungere la Forza H prima che il
bombardamento di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre
la squadra italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando
al largo dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il
nemico ad ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381
mm, 782 da 152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254
edifici, uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e
viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le
navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord, con la III
Divisione in posizione avanzata 10 km a proravia delle corazzate. Procedendo
verso nord la visibilità (20.000 metri) e le condizioni meteomarine vanno
migliorando, sebbene il cielo rimanga coperto da nuvole alte. Alle 12.35 il Trieste catapulta il suo idrovolante con
l’ordine che questi segua la rotta 330° fino a 20 miglia dalla costa francese,
per poi dirigere verso Genova ed infine ammarare a La Spezia. Alle 12.44, dopo
vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche ed in
mancanza di notizie fresche, la formazione italiana assume rotta 330° in modo
da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte
costiere, ma alle 13.07, dopo aver ricevuto nuovi messaggi (che fanno pensare a
Iachino che le forze britanniche si siano riuniti poco dopo mezzogiorno a sud
di Capo Corso e stiano ripiegando verso sud intenzionati a passare vicino alle
coste occidentali della Corsica), Iachino ordina che la III Divisione accosti
per 50° (le corazzate assumono invece rotta 30° alle 13.16), dopo di che,
quando le navi di Sansonetti si vengono a trovare 15 km a proravia delle
corazzate a seguito di tale manovra, Iachino dispone che la III Divisione
assuma rotta 30° e porti la velocità a 24 nodi. Alle 13.21 viene diramato
l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo
l’incontro con il nemico (anche perché alle 13.27 l’aereo del Trieste ha comunicato di essere 20
miglia a sudest di Capo Camarat e di non aver incontrato navi nemiche,
apparentemente confermando che queste non stiano seguendo le rotte costiere,
bensì fuggendo verso sud costeggiando la Corsica occidentale: in realtà, si
saprà solo in seguito che era passato prima a 40 e poi a 20 miglia dalla Forza
H, senza vederla a causa della scarsa visibilità), ed alle 15.24 il Trieste (la III Divisione si trova 15 km
a proravia delle corazzate) avvista delle alberature e segnala di aver
avvistato il nemico su rilevamento 50°: viene ordinato il posto di
combattimento su tutte le unità, ma alle 15.32 il Trieste annulla il segnale di avvistamento, spiegando che la nave
avvistata è in realtà una petroliera. Alle 15.38 Trieste annuncia di nuovo navi sospette su rilevamento 50°, ed alle
15.40 anche dalle corazzate vengono avvistate le loro alberature: certe di aver
finalmente trovato la formazione britannica, le navi italiane si preparano al
fuoco, ma alle 15.48 un’osservazione più attenta rivela che le alberature sono
quelle di sette mercantili francesi che navigano in convoglio verso sudest (un
convoglio di cui le autorità italiane, come da clausole di armistizio con la
Francia, erano state preavvertite).
Iachino comprende che la sua supposizione era errata, ed alle 15.50 la
squadra italiana accosta verso ovest (la III Divisione, su ordine di Iachino,
accelera a 30 nodi per portarsi prima possibile nella nuova direzione di
probabile avvistamento del nemico) per intercettare la Forza H nel caso stia
navigando verso ovest lungo la costa francese, ma alle 17.20 la velocità viene
ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi
britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est,
riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di combattimento. Durante
la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana
incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del
mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del 10, al
centro del quadratino 19-61, come ordinato (la III Divisione è in quel momento
10 km a proravia delle corazzate). Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di
rientrare alle basi, e la III Divisione fa pertanto rotta su Messina, dove
giunge in giornata.
12-13 marzo 1941
La III Divisione (Bolzano, Trieste e Trento), unitamente ai cacciatorpediniere Aviere, Carabiniere e Corazziere, alla vecchia torpediniera Giuseppe Dezza ed a tre MAS, fornisce
protezione strategica (procedendo a qualche miglio dal convoglio) ai trasporti
truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia e Victoria in
navigazione da Napoli (da dove sono partiti all’1.30 del 12) a Tripoli (dove
arrivano alle 15.30 del 13) con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Folgore, Geniere e Camicia Nera.
27 marzo 1941
Il Bolzano (capitano di
vascello Franco Maugeri) esce da Messina alle 5.30 del 27 insieme a Trento e Trieste (con a bordo l’ammiraglio Sansonetti, comandante la III
Divisione) ed alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Corazziere, Carabiniere), per partecipare, insieme
alla corazzata Vittorio Veneto, alla
I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè
Carducci), XIII (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino) e
XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno), all’operazione
«Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo
orientale, a nord di Creta. Verso le 6.15, nello stretto di Messina, la III
Divisione con la XIII Squadriglia si pone 7 miglia a proravia della Vittorio Veneto, scortata dalla XIII
Squadriglia: queste unità formano il gruppo «Vittorio Veneto» al comando
dell’ammiraglio Iachino.
La navigazione prosegue senza incidenti sino alle 12.25 del 27 marzo,
quando il Trieste comunica a Iachino
la presenza di un ricognitore britannico Short Sunderland a sud della III
Divisione (e che continuerà a tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a
questo – alle 12.20 il Sunderland ha comunicato l’avvistamento di tre
incrociatori ed un cacciatorpediniere a cinque miglia per 270°, al largo di
Capo Passero, per poi precisare alle 12.35 che le navi avvistate hanno rotta
120° e velocità 15 nodi: entrambi i messaggi vengono intercettati dalla Vittorio Veneto –, la squadra italiana,
poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per trarre in
inganno il velivolo (il cui messaggio rischia di rivelare la destinazione, e
dunque le intenzioni, della squadra italiana), e segue questa rotta sino alle
16, per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la
velocità a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo
all’alba del 28. Alle 22 del 27 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta,
dato che dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.
28 marzo 1941
Alle 6.05 del mattino del 28 il Bolzano
catapulta un idrovolante da ricognizione, avente il compito di esplorare il
mare tra Gaudo e Cerigotto in cerca di eventuali forze nemiche che si trovino a
nord della squadra italiana, per poi ammarare a Lero. L’aereo non troverà
nulla, ed ammarerà a Lero alle 10.20, comunicando che non vi sono navi nemiche
nella zona da esso esplorata.
Alle 6.35 un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli
incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e dai
cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex, il
tutto sotto il comando del viceammiraglio Henry Daniel Pridham-Wippell), in
navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia
ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la Vittorio Veneto (nonché il
sopraggiungente gruppo «Zara», composto da I e VIII Divisione, che si riunisce
al resto della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo
Spartivento Calabro) aumenta la velocità a 28 nodi, la III Divisione riceve
l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi: Iachino intende far
raggiungere alla divisione di Sansonetti gli incrociatori britannici, poi farla
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III
Divisione di ripiegare verso la Vittorio
Veneto dopo aver avvistato le forze britanniche. Pochi minuti dopo, alle
7.39, la III Divisione viene avvistata da un ricognitore decollato dalla
portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III Divisione inizia a scorgere su rilevamento 205° i primi
segni della sopraggiungente Forza B, comunicandolo a Iachino, e nel giro di
qualche minuto tutta la formazione di Pridham-Wippell è in vista.
Anche la Forza B, tuttavia, ha l’ordine di attirare le navi italiane
verso il grosso della Mediterranean Fleet, uscita in mare con le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la
portaerei Formidable, della cui
presenza in mare i comandi italiani sono totalmente all’oscuro: di conseguenza,
le navi di Pridham-Wippell ripiegano verso Alessandria, costringendo la III
Divisione ad inseguirle anziché ripiegare, e facendo fallire la trappola
pianificata dall’ammiraglio Iachino. Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 le navi di Sansonetti aprono il fuoco sulla Forza B da 22.000
(fonti italiane) o 23.000 (fonti britanniche) metri, mentre le unità
britanniche – i cui cannoni da 152 mm (essendo tutti incrociatori leggeri)
hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”
– non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a
quelle italiane, spara tre salve, che sono ben raccolte e dirette ma cadono
corte, a partire dalle 8.27 o 8.29, da 21.000 metri di distanza.
È proprio il Gloucester, per
via della sua posizione, a costituire il bersaglio principale dei cannoni della
III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per evitare di essere colpito
dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti: a sparare contro di esso è
soprattutto il Bolzano, serrafila,
che alle 8.29 ritiene di aver messo un colpo a segno sulla poppa del Gloucester da oltre 24.000 metri di
distanza. Secondo quanto attestato dalle storie ufficiali, il Gloucester non sarebbe stato colpito;
per altra fonte, invece, il proiettilie del Bolzano
avrebbe effettivamente colpito il Gloucester,
ma avrebbe perforato tre ponti e sarebbe poi uscito a poppa sinistra,
all’altezza della terza torre, senza esplodere e dunque senza causare danni di
rilievo.
Poco dopo la III Divisione accosta in fuori di 25°, passando da rotta
160° a rotta 135° (così portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B),
per poi riassumere, verso le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della
Forza B.
Gli apparati di punteria dei “Trento”,
telemetri a coincidenza Zeiss ormai superati (già prima della guerra si era
pensato di rimodernarli, ma non era ancora stato possibile farlo, avendo dato
la priorità alle nuove costruzioni), non consentono una grande precisione ed
attendibilità: complici anche condizioni atmosferiche sfavorevoli al
telemetraggio a grandi distanze, non danno alcuna misurazione affidabile prima
che sia aperto il fuoco, e, anche in seguito, danno informazioni imprecise e
sporadiche. Il Bolzano, più moderno,
è in condizioni migliori sotto questo aspetto: ma i suoi telemetri riescono a
dare qualche battuta solo dopo l’apertura del fuoco, e misurano una distanza di
28.000 metri, molto superiore a quella apprezzata dai direttori di tiro.
Le salve delle unità italiane risultano troppo disperse.
Alle 8.36 Iachino ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed
interrompere il combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche,
ritenendo, a ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il
controllo dei cieli è in mano britannica.
Benché sulla carta la velocità dei “Trento”
dovrebbe essere di tre nodi superiore a quella della classe “Leander”, cui
appartengono Ajax ed Orion, le navi di Sansonetti non
riescono a serrare le distanze in maniera significativa: ciò perché i “Trento” hanno apparati motori vecchi di
dodici anni contro gli otto dei “Leander”, ma soprattutto perché era uso della
Royal Navy di calcolare la velocità massima delle proprie navi in effettive
condizioni operative, contro la consuetudine della Regia Marina di prendere per
buona la velocità sviluppata durante le prove a mare, con le navi alleggerite,
in carico ridotto e talvolta ancora prive di alcuni componenti, il che dava
risultati del tutto falsati.
La III Divisione continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a
colpire nessuna nave: tutte le salve cadono corte, tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion e Perth subiscono solo lievi danni da schegge. Il Bolzano ha sparato in tutto 189 granate
perforanti da 203 mm. A quell’ora, non essendo riusciti né a colpire in modo
apprezzabile le navi nemiche né a ridurre le distanze, gli incrociatori di
Sansonetti (al pari della Vittorio Veneto)
accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, ma vengono
seguiti a distanza dalla Forza B, che si mantiene fuori tiro e tiene informato
il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane.
Essendosene reso conto, alle 10.17 l’ammiraglio Iachino ordina alla III
Divisione di proseguire sulla sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al
combattimento (spiegando anche le sue intenzioni), mentre la Vittorio Veneto e le altre navi
invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B
(portandosi ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla
tra due fuochi (la III Divisione da una parte, la Vittorio Veneto ed il resto della formazione italiana dall’altra)
ed impedirne la ritirata.
Le unità della Forza B sono però più a nord di quanto ritenuto (e
segnalato), e pertanto l’incontro avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B,
incerta se le navi avvistate siano amiche o nemiche, effettua il segnale di
riconoscimento, ma alle 10.56 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, ed al contempo Iachino ordina alla
III Divisione di invertire la rotta e riprendere il combattimento.
La Forza B subito accosta verso sud e si ritira inseguita dalle navi
italiane (la III Divisione cerca di serrare le distanze ma non fa in tempo ad
intervenire), coprendosi con cortine fumogene; le distanze vanno aumentando ed
il tiro della Vittorio Veneto risulta
inefficace.
Alle 11.18, a causa delle distanze in aumento e dell’arrivo di
aerosiluranti britannici che attaccano la Vittorio
Veneto, la III Divisione riceve l’ordine di riassumere rotta 300°.
Successivi messaggi e segnalazioni (compresa quella dell’idroricognitore
del Bolzano), che confermano
l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio
Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed
alle 11.30 la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 12.07 anche la III Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti Fairey
Swordfish decollati dall’aeroporto cretese di Maleme (armati con siluri Mark
12), provenienti dalla direzione del sole, che lanciano contro il Bolzano (nave di coda della formazione)
attaccando da prua, ma la Divisione riesce a sventare l’attacco
contromanovrando ed aprendo un intenso tiro contraereo, pur non colpendo alcun
velivolo.
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Il
Bolzano sotto attacco da parte di
aerosiluranti Swordfish a Capo Matapan.
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Alle 13.23 la III Divisione si trova a 57 miglia per 214° da Gaudo; alle
15.20 ed alle 16.58 tale divisione viene attaccata da bombardieri britannici
Bristol Blenheim, che sganciano in quota in due ondate, la prima di quattro
(alle 15.20) e la seconda di sei (alle 16.58): nessuna nave viene colpita, ma
alcune bombe cadono molto vicine a Trento
e Bolzano.
Alle 15.19 tre aerosiluranti attaccano la Vittorio Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII
Squadriglia che la scortano, in cooperazione con bombardieri in quota
partecipano: l’aereo del capitano di corvetta John Dalyell-Stead, prima di
essere abbattuto, riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che
colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle
15.30 la Vittorio Veneto, che ha
imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette
in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di
19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio
Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, lascia
libera l’VIII Divisione per il rientro a Brindisi ed ordina che le altre unità
si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio
Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà assunta
alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da sinistra
a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, Carabiniere, Ascari), la III Divisione (nell’ordine Trieste, in testa, Trento al centro e Bolzano in
coda), la Vittorio Veneto preceduta
da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in
coda), la I Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi) vengono
avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza, alle 18.51
tramonta il sole, ed alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione
ed assume rotta 270° (in modo da essere meno illuminate possibile dal sole che
tramonta) ed alle 19.24 i cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere
cortine fumogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si avvicinano – le navi più
esterne accendono i proiettori –, alle 19.30 vi è una nuova accostata per
conversione (rotta assunta 300°) e sei minuti dopo tutti i cacciatorpediniere
emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli aerei passano
all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola
viene colpito ed immobilizzato da un siluro.
Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori
ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio
Iachino ordina alla III Divisione di portarsi 5 km a proravia della Vittorio Veneto, alla XIII Squadriglia
di assumere posizione di scorta ravvicinata ed alla I Divisione di posizionarsi
5 km a poppavia della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si
era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la
I Divisione invertirà la rotta per andare al soccorso dell’incrociatore
colpito. Questa decisione, molto discussa in seguito, porterà al disastro: la I
Divisione verrà infatti sorpresa mentre raggiunge il Pola dalle corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la
perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola
(e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita
dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della
squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di
Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti (alle 21.35 Iachino fa
trasmettere al Trieste una richiesta
d’intervento della caccia aerea per l’alba dell’indomani, a 60 miglia per 140°
da Capo Colonne, per non congestionare la stazione radiotelegrafica della Vittorio Veneto) sino alle 22.30 quando,
in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane
assistono alla fine della I Divisione. Da bordo della Vittorio Veneto si vede la III Divisione, che si è frattanto
portata alcuni km a poppavia della corazzata, stagliarsi nettamente sullo
sfondo dei bagliori dei proiettili illuminanti. Lo scontro, benché avvenga a
circa 50 miglia di distanza, sembra svolgersi così vicino che Iachino invia il messaggio
“Dite se siete attaccato” anche alla III Divisione, oltre che alla I.
Sansonetti, ovviamente, risponde di no, mentre alla I Divisione l’unica
risposta è il silenzio. Il tiro che si osserva a distanza si svolge in più
fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori delle ultime esplosioni vengono
visti alle 23.55.
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29 marzo 1941
Il resto della formazione italiana (compresa la III Divisione),
inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova il Pola immobilizzato, scambiandolo per la Vittorio Veneto) e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere
britannici al comando del capitano di vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte,
alle otto del 29 marzo, a 60 miglia per 139° da Capo Colonne, viene raggiunto
dall’VIII Divisione frattanto richiamata; la III Divisione si pone quindi a
dritta della Vittorio Veneto, con la
VIII Divisione a sinistra della corazzata (e la X Squadriglia
Cacciatorpediniere, anch’essa inviata di rinforzo, a sinistra della VIII
Divisione). A partire dalle 6.23 giungono sul cielo della formazione, per
scortarla nella navigazione di rientro, aerei tedeschi ed italiani: la scorta
aerea, mancata – elemento cruciale – durante tutta l’operazione, arriva solo
ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 del 29 marzo la formazione italiana assume rotta 343°,
mettendo la prua su Taranto, ed arriva a Taranto poco dopo le 15.30. La III
Divisione non viene fatta rientrare subito a Messina, ma viene bensì trattenuta
per qualche tempo a Taranto.
24-30 aprile 1941
Bolzano e Trieste, insieme ai cacciatorpediniere Gioberti, Ascari e Carabiniere ed
ed all’incrociatore leggero Eugenio di
Savoia della VII Divisione, scortano a distanza un convoglio (mercantili
italiani Rialto e Birmania, mercantili tedeschi Marburg, Reichenfels e Kybfels,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Fulmine ed Euro e delle
torpediniere Procione, Orione e Castore) in navigazione in convoglio da Napoli (da dove è
partito alle 23 del 24) verso la Libia.
A causa del mare mosso e delle notizie sugli spostamenti delle forze
navali britanniche, il convoglio viene fatto sostare a Palermo e Messina
(diviso in due gruppi) finché, riunito al largo Augusta, può infine partire per
la Libia solo tra il 29 ed il 30 aprile. Giungerà indenne a Tripoli ale 23 del
1° maggio.
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Vista da
poppa (da forum.valka.cz) |
6 maggio 1941
Assume il comando del Bolzano
il capitano di vascello Francesco Ruta, che sostituisce il parigrado Maugeri.
24 maggio 1941
Alle 16 del 24 maggio la III Divisione (Bolzano e Trieste), di
cui ha da poco assunto il comando l’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi (imbarcato
sul Trieste), salpa da Messina
insieme ad Ascari, Lanciere e Corazziere della XII Squadriglia, per fornire scorta a distanza ad
un convoglio per la Libia composto dai trasporti truppe Conte Rosso (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzoneri), Esperia, Victoria e Marco Polo
scortati dal cacciatorpediniere Freccia
(caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè) e dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi temporaneamente rinforzate
con l’invio di Perseo, Calliope e Calatafimi), salpato da Napoli alle 4.40 e che ha appena superato
lo stretto di Messina.
Alle 20.45 del 24 maggio, tuttavia, una decina di miglia ad est di Capo
Murro di Porco, il Conte Rosso viene
silurato dal sommergibile britannico Upholder
ed affonda rapidamente nel punto 36°41’ N e 15°42’ E, portando con sé 1297 dei
2729 uomini a bordo.
La III Divisione, che al momento dell’attacco si trovava 3000 metri a
poppa del convoglio (Trieste e Bolzano in linea di fila con
l’ammiraglia in testa, preceduta dai tre cacciatorpediniere della XII
Squadriglia in linea di fronte) e che nulla ha potuto – come qualsiasi scorta
di navi maggiori – contro un attacco subacqueo, può soltanto distaccare Lanciere e Corazziere alle 20.55 per dare la caccia all’Upholder insieme al Freccia,
senza risultato (vengono lanciate 37 bombe di profondità i 19 minuti), e per
soccorrere i superstiti.
Bolzano e Trieste, insieme all’Ascari, continuano a fornire protezione
al resto del convoglio, che prosegue per Tripoli.
25 maggio 1941
Il convoglio entra a Tripoli alle 17.30; le navi di Brivonesi rientrano
a Messina alle 20.
27 maggio 1941
Bolzano e Trieste scortano Esperia, Victoria e Marco Polo di ritorno in Italia ed un
altro convoglio anch’esso in navigazione in rientro da Tripoli.
8 giugno 1941
Bolzano e Trieste, insieme a Lanciere, Ascari e Corazziere, salpano da Messina alle 15
per fornire scorta a distanza al convoglio «Esperia» (trasporti truppe Esperia, Marco Polo e Victoria,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia, Strale e Gioberti), salpato da Napoli alle 2.50 e
diretto a Tripoli.
9 giugno 1941
La III Divisone torna a Messina alle sei del mattino. Il convoglio «Esperia»
giunge a Tripoli alle 15.
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Il
Bolzano (in primo piano) ed il Trieste a Messina nel luglio 1941 (g.c.
STORIA militare)
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16-18 luglio 1941
Bolzano, Trieste (per altra fonte anche il Trento), Ascari, Carabiniere e Corazziere forniscono scorta a distanza
ad un convoglio veloce partito da Taranto alle 16 del 16 e diretto a Tripoli,
formato dai trasporti truppe Marco Polo,
Neptunia ed Oceania con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Lanciere, Geniere (caposcorta), Oriani
e Gioberti e della torpediniera Centauro. Il convoglio raggiunge Tripoli
alle 14.30 del 18, dopo aver eluso un attacco da parte del sommergibile
britannico Unbeaten contro l’Oceania.
19 luglio 1941
Il convoglio e la scorta lasciano Tripoli per tornare in Italia.
21 luglio 1941
Bolzano, Trieste e Gorizia (che formano la III Divisione), in porto a Messina, vengono
allertati, come altre navi maggiori a Taranto e Palermo, per una possibile
operazione di contrasto all’operazione britannica «Substance», consistente
nell’invio da Gibilterra a Malta di un convoglio di sei navi mercantili cariche
di truppe e rifornimenti, ma Supermarina comprende quali sono gli obiettivi
dell’operazione nemica solo quando è ormai troppo tardi per inviare le forze
navali contro il convoglio.
30 luglio 1941
Il marinaio ventunenne Paolo Costanzo, di Augusta, muore sul Bolzano nel Mediterraneo Centrale.
Siluri e bombe
Alle 9.50 del 23 agosto 1941 il Bolzano
(al comando del capitano di vascello Francesco Ruta), insieme a Trento, Trieste e Gorizia (coi
quali formava la III Divisione), salpò da Messina unitamente a quattro
cacciatorpediniere, cui alle 18 se ne aggiunsero altri due inviati da Palermo.
Alle cinque del mattino del 24 agosto la III Divisione si unì al largo di Capo
Carbonara al gruppo «Littorio» (corazzate Littorio
e Vittorio Veneto della IX Divisione
e sei cacciatorpediniere), formazione che fu poco dopo rinforzata da altri
cinque cacciatorpediniere provenienti da Trapani. Le navi italiane assunsero
una rotta che le conducesse al centro del Tirreno: erano uscite in mare per
contrastare l’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da
Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson,
l’incrociatore leggero Hermione e
cinque cacciatorpediniere) per bombardare gli stabilimenti industriali ed i
boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di
Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse.
Tra le 6.30 e le 6.40 Littorio,
Vittorio Veneto e Trieste catapultarono i loro idrovolanti
da ricognizione, che tuttavia non riuscirono a trovare nulla; alle 11.15 fu il Bolzano a catapultare il suo ricognitore,
ma con risultati non migliori. La formazione italiana, al comando
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, aveva l’ordine di trovarsi per le
otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la Forza H era stata
avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a sud di Maiorca
(il ricognitore ne aveva stimato la composizione in una corazzata, una
portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici avevano collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque del mattino del 24, gli aerei dell’Ark Royal attaccarono la zona di
Coghinas e Tempio Pausania con bombe e spezzoni incendiari, causando però pochissimi
danni (una casa distrutta ed un soldato ucciso) nonostante la zona fosse ricca
di boschi di sughero, mentre alle 7.45 la squadra italiana venne avvistata a
sud della Sardegna da un ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza
H veniva a sua volta localizzata 30 miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e
velocità 20 nodi.
Sulla base di tale avvistamento, Supermarina (che aveva intercettato il
segnale di scoperta del ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio
Iachino), ritenendo improbabile che le forze italiane potessero incontrare
quelle britanniche entro il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura
della caccia aerea, ordinò a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo,
per l’appunto, riuscire ad incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona
protetta dalla caccia italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato
la ricognizione che l’VIII Divisione era stata mandata a svolgere nelle acque
di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordinò poi alla III ed alla IX
Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150°
da Capo Carbonara, per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze
britanniche vennero avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di
Maiorca, il che confermava che un incontro per il 24 non sarebbe stato
possibile, mentre sarebbe stato probabile il giorno seguente.
Il mattino del 25, dato che la ricognizione aerea (che si spinse fino al
3° meridiano) non trovava traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico
stava tornando ai ritmi usuali, Supermarina decise di far rientrare alle basi
le proprie forze navali; alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino
ricevette ordine di rientrare a Napoli. La sera del 25 si venne a sapere che
all’alba la Forza H era stata avvistata ormai già in acque spagnole, tra
Sagunto e Valencia, prima con rotta nord e poi diretta verso sud, accompagnata
da numerosi velivoli. Più tardi era stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si
erano sentite molte cannonate, probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Nel corso dell’operazione, per due volte la III Divisione aveva
avvistato sommergibili nemici: la seconda, purtroppo, non si risolse in un
semplice incontro.
Alle 5.54 del mattino del 26 agosto il sommergibile britannico Triumph (capitano di fregata Wilfrid
John Wentworth Woods), in agguato a nord di Messina, avvertì rumori piuttosto
forti di scoppi di bombe di profondità, che sembravano avvicinarsi. Sei minuti
dopo, in posizione 38°22’ N e 15°38’ E, il Triumph
avvistò verso nordovest un folto gruppo di navi italiane: essendo la luce
ancora insufficiente, ed il periscopio d’osservazione fuori uso, Woods ci mise
qualche minuto prima di riuscire a discernere la tipologia di navi nel
periscopio, “tre corazzate od incrociatori, scortati da circa dieci
cacciatorpediniere”. Era la III Divisione, che si apprestava ad imboccare lo
stretto di Messina, di rientro dalla missione.
Il Triumph iniziò la manovra
di attacco alle 6.11, ed alle 6.38, poco a nord dello stretto, lanciò due siluri
da 4850 metri di distanza, contro l’incrociatore di coda: cioè contro il Bolzano. Subito dopo il lancio, il
sommergibile britannico scese a 24 metri di profondità ed assunse rotta nord,
per allontanarsi dalla posizione del lancio.
Uno dei siluri, circa tre minuti dopo il lancio, raggiunse il bersaglio:
avvistate le armi all’ultimo momento e riuscita vana una manovra d’emergenza,
il Bolzano fu colpito a poppa dritta,
subito a poppavia della paratia dell’ultimo locale macchine, aprendo una falla
lunga 15 metri ed alta 10.
Lo scoppio del siluro uccise otto uomini e ne ferì 22 (altra fonte parla
di 7 morti, tra cui 3 ufficiali, e 19 feriti); tra le vittime ci fu il giovane
tenente del Genio Navale Carlo Bertolini, che si era appena imbarcato sul Bolzano, mentre tra i feriti, in modo
grave, vi fu il capitano del Genio Navale Armando Traetta, sottordine del
direttore di macchina.
Diversi compartimenti poppieri furono allagati da 2000 tonnellate
d’acqua, determinando un forte appoppamento della nave; l’esplosione della
carica di 340 kg di esplosivo aveva danneggiato in modo gravissimo le strutture
dello scafo a poppa estrema, lesionando anche il lato opposto a quello
d’impatto del siluro (quello sinistro) e deformando e sollevando tutti i ponti,
al punto che il ponte di coperta rimase “ingobbato” a poppavia delle torri
poppiere. A malapena la poppa rimase attaccata al resto della nave, grazie alla
struttura delle lamiere del lato sinistro e dei ponti, sebbene molto deformati.
Gli assi delle due eliche azionate dalla motrice di poppa furono gravemente
danneggiati, risultando pressoché inutilizzabili; le caldaie rimasero invece
tutte in funzione, mentre il locale timone a mano era allagato, ma risultò
comunque possibile, seppur con difficoltà, sbloccare il timone. Il deposito
munizioni della torre numero 4 venne subito allagato.
Il servizio di sicurezza agì tempestivamente, chiudendo immediatamente
le paratie e prendendo altri provvedimenti d’emergenza. Il direttore di
macchina, maggiore del Genio Navale Luigi Petrillo, diede subito gli ordini
necessari per mantenere la nave in condizioni di galleggiabilità; si provvide a
puntellare le paratie danneggiate ed effettuare intercettazioni e
bilanciamenti. L’ammiraglio Brivonesi elogiò poi, nel suo rapporto, la condotta
di Petrillo, del comandante Ruta e di tutto l’equipaggio del Bolzano, che rimase ai propri posti
mantenendo calma e disciplina, permettendo il salvataggio della nave.
Il direttore di macchina Petrillo sarebbe stato in seguito insignito
della Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione: “Capo servizio G.N. di incrociatore,
apportava con la sua opera professionale, inspirata ad elevatissimo senso del
dovere, un valido contributo al potenziamento dell’unità e alla preparazione
tecnica del personale dipendente. Colpita gravemente la nave da siluro di
sommergibile nemico, si prodigava con slancio, ardimento e sicura competenza
nella direzmne di ardue operazioni in locali pericolanti e con vie d’acqua,
apportando un essenziale concorso al salvataggio dell'unità”.
La stessa decorazione fu conferita al comandante Ruta: “Comandante di incrociatore fatto segno al
lancio di un siluro da parte di un sommergibile nemico, in condizioni che non
consentivano di evitare l'offesa, affrontava con risolutezza la grave situazione
e, manovrando rapidamente, riusciva a far sì che l’unità non venisse colpita in
zone vitali. Conduceva subito dopo la navigazione per il rientro alla base con
perizia e calma esemplari, e dirigeva le operazioni per garantire la sicurezza
della nave colpita, infondendo in tutti i dipendenti serena fiducia e spirito
di fattiva collaborazione.
Riusciva a portare
in salvo alla base la sua nave, sfruttando con sagacia l’alto grado di
preparazione a cui l’aveva condotta con tenace e fattiva opera.”
Due
immagini del Bolzano in arrivo a
Messina la mattina del 26 agosto 1941, dopo il siluramento da parte del Triumph: è vistoso l’“ingobbamento” della
coperta, segno dei danni strutturali causati dal siluro (g.c. STORIA militare)
Assistito da due rimorchiatori, il Bolzano
riuscì faticosamente a raggiungere Messina alle 10.55, mentre il
cacciasommergibili Albatros e la
vecchia torpediniera Giuseppe Missori
venivano inviati a dare la caccia al sommergibile. Durante la caccia la Missori perse la propria torpedine da
rimorchio, ed il suo comandante ritenne che questa fosse incappata nel battello
nemico, affondandolo; in realtà il Triumph
era indenne e si stava ritirando verso il mare aperto, per sottrarsi alla
pesante caccia antisommergibili portata da unità sottili ed aerei antisom della
scorta. Nella notte tra il 27 ed il 28, anzi, il sommergibile sbarcò sulla
costa siciliana anche alcuni commandos britannici incaricati di distruggere un
ponte sul torrente Furiano, una novantina di chilometri ad est di Palermo.
I caduti nel
siluramento:
Francesco Alfiere,
marinaio carpentiere, 21 anni, da Caronia
Carlo Bertolini,
tenente del Genio Navale, 23 anni, da Reggio Emilia
Giovanni Cesale
Ros, marinaio fuochista, 21 anni, da Torino
Sante Cinti, marinaio,
20 anni, da Comacchio
Giovanni Cutich,
marinaio elettricista, 19 anni, da Pola
Gerlando (Dino) Liotta,
sottotenente di vascello, 25 anni, da Licata
Emilio Mazzola,
marinaio meccanico, 20 anni, da Zanica
Ettore Zanetto,
sottotenente del Genio Navale, 25 anni, da Venezia
A Messina iniziarono subiti i primi e più urgenti lavori di riparazione,
effettuati con i modesti mezzi disponibili nel piccolo arsenale della base
siciliana (che disponeva di un unico bacino di carenaggi di lunghezza
insufficiente, solo 105 metri), allo scopo di mettere il Bolzano in condizione di trasferirsi sul continente, dove avrebbe
potuto ricevere riparazioni più estese in un arsenale maggiormente attrezzato.
Il siluramento del Bolzano nel
giornale di bordo del Triumph (da Uboat.net):
“0554 hours - Heard fairly loud depth charging getting nearer.
0600 hours - In position 38°22'N, 15°38'E sighted a number of ships to
the North-Westward. The light was still very poor, and as the high power
periscope was out of action it was some minutes before these were seen to be
three battleships or cruisers escorted by about ten destroyers.
0611 hours - Started attack.
0638 hours - Fired two torpedoes from 5300 yards at the rear cruiser.
Immediately upon firing Triumph went
to 80 feet and cleared the firing position by setting course to the Northward.
One muffled explosion was heard approximately three minutes after firing. A
second muffled explosion was heard eleven minutes after firing.
0647 hours - Returned to periscope depth. The visibility in the
direction of Messina was still very poor, but as far as could be seen only two
large ships were entering the Straits. Some way astern of them hardly visible
against the land, was what appeared to be a stationary ship with a column of
smoke rising from it. Several minutes later aircraft and destroyers appeared
and started dropping depth charges. It seemed very likely that one of the
torpedoes did hit the rear cruiser. Due to the very heavy A/S activity Cdr.
Woods retired to seaward.”
Le disgrazie, per il Bolzano,
non erano ancora finite: la nave rimase a Messina per gli iniziali lavori di
riparazione, ma nella notte tra il 9 ed il 10 settembre 1941 la base siciliana
fu oggetto di un’incursione aerea da parte di bombardieri Vickers Wellington della
Royal Air Force di Malta. L’allarme fu dato alle 23.15 del 9 e si protrasse
fino alle 3.20 del 10; la contraerea sparò in tutto 16.500 colpi di cannone ed
oltre 72.000 di mitragliera, le navi della III Divisione spararono contro gli
aerei 1786 colpi da 100 mm, 8783 da 37 mm, 15.560 da 20 mm, 21.980 da 13,2 mm e
3000 di calibri minori. Venne anche emessa tempestivamente nebbia artificiale,
che insieme al furioso tiro contraereo (che però non abbatté alcun velivolo)
impedì ai bombardieri di mettere molte bombe a segno.
Il Bolzano, ormeggiato al Molo
Libia, fu l’unica nave ad essere colpita: intorno alle ore 20 (per altra fonte,
subito dopo mezzanotte), una singola bomba semi perforante da 113 kg perforò il
ponte di tuga, a dritta della catapulta (lasciando un foro di 20 cm sul ponte
di coperta corazzato), ed esplose sul ponte di batteria, nel locale
lanciasiluri prodiero, lanciando tutt’intorno fiamme e schegge e provocando una
strage tra il personale che vi si trovava.
L’esplosione costrinse a spegnere i tre generatori elettrici, provocando
un momentaneo blackout, e scatenò un violento incendio a poppa dritta (un
medico dell’ospedale di Messina commentò che la nave “ardeva come una torcia”),
che poté essere domato soltanto alle cinque del mattino.
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Il
foro d’entrata della bomba che colpì il Bolzano
(g.c. STORIA militare)
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Nondimeno, la nave continuò a fare fuoco con il proprio armamento
contraereo, per ordine del comandante Ruta.
Le manichette erano prive di acqua, perché la pompa aveva smesso di
funzionare dopo lo scoppio della bomba; il direttore di macchina Petrillo,
ferito ed accecato ad un occhio dall’esplosione, diede ordine di portare sul
posto gli estintori, poi perse i sensi a causa delle ferite. Portato in
infermeria, quando si riprese tornò di nuovo a dirigere gli sforzi per
arrestare l’incendio; mentre le vittime venivano portate fuori dai locali
colpiti ed i feriti erano trasportati in infermeria, fece chiudere tutti gli
osteriggi della tuga, per soffocare eventuali focolai d’incendio nei locali
sottostanti. Un’autompompa arrivò sulla banchina e si portò sottobordo al Bolzano per contribuire a domare le
fiamme, mentre si cercava di attingere acqua dalla cisterna che si trovava
sotto l’altro fianco dell’incrociatore.
I feriti gravi vennero caricati sulle ambulanze che via via arrivavano
sul molo, e portati all’ospedale di Messina; una volta domato l’incendio, fu
condotto – controvoglia – in ospedale anche il direttore di macchina Petrillo,
che ormai non ci vedeva quasi più neanche dall’altro occhio. Il trauma era solo
temporaneo, e nel giro di qualche tempo Petrillo avrebbe riacquistato
pienamente la vista da entrambi gli occhi; per il suo operato a seguito del
bombardamento avrebbe ricevuto una Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con
motivazione “Capo Servizio del G.N. di
incrociatore, durante una incursione aerea del nemico, in seguito allo scoppio
di una bomba, riportava, stando al suo posto di combattimento, una grave
contusione alla testa con temporanea perdita della vista. Benché inviato a
raggiungere il posto di medicazione insisteva per rimanere nella zona colpita
ed esposta, mentre perdurava l’attacco, nell’intento di seguire le operazioni
atte a far fronte ai danni causati dalla bomba. Soltanto allorché stremato di
forze, si abbatteva esanime, poteva essere allontanato dal suo posto”.
Anche il comandante Ruta fu decorato di Medaglia di Bronzo, con la
motivazione “Comandante di incrociatore
colpito al centro da una grossa bomba aerea scoppiata in batteria, causando
molti morti e feriti, provocando un violento incendio ed inutilizzando la
centrale elettrica, si preoccupava prima di tutto di far continuare il tiro
contraereo. Accorreva poi sul posto e coadiuvato dai pochi ufficiali che si
trovavano a bordo della nave già precedentemente menomata, dirigeva l’opera di
spegnimento dell’incendio e di soccorso ai feriti ed agli ustionati, dando
chiaro esempio di calma, di forza d’animo e di altro sentimento del dovere”.
Le conseguenze del bombardamento, per l’equipaggio del Bolzano, furono ancora più funeste di
quelle del siluramento di appena due settimane prima: dodici uomini rimasero
uccisi ed una trentina furono feriti (uno dei quali, il sottocapo meccanico
Tullio Moschen, morì in ospedale cinque giorni più tardi).
Le vittime:
Amerio Pietro,
marinaio fuochista, 21 anni, da Villa S. Secondo
Luigi Colledan,
marinaio fuochista, 23 anni, da Pasiano di Pordenone
Angelo Comparato,
sottocapo carpentiere, 24 anni, da Licata
Giuseppe De Ceglie,
marinaio fuochista, 21 anni, da Molfetta
Sante Deligia,
sottocapo carpentiere, 23 anni, da La Maddalena
Vincenzo Di
Martino, marinaio fuochista, 21 anni, da Castellammare di Stabia
Luigi Di Napoli,
secondo capo meccanico, 29 anni, da San Severo
Placido Freni,
marinaio fuochista, 20 anni, da Messina
Tullio Moschen,
sottocapo meccanico, 20 anni, da Levico, caduto il 15/9/1941
Giuseppe Putignano,
marinaio cannoniere, 21 anni, da Santeramo in Colle
Federico Savarese,
tenente CREM, 51 anni, da Caggiano
Luigi Scagnetti,
sottocapo carpentiere, 19 anni, da Treppo Grande
Roberto Zafarana,
marinaio fuochista, 21 anni, da Catania
La notte successiva, il Bolzano
fu nuovamente attaccato da aerei nemici: questa volta, però, la reazione delle
difese contraeree a terra fu più efficace e nessuna nave venne colpita, mentre
uno dei velivoli attaccanti venne abbattuto.
I gravi danni subiti nel bombardamento ritardarono la partenza del Bolzano da Messina per il continente: fu
necessario rinforzare i locali danneggiati, prosciugare quelli allagati (nei
limiti del possibile) ed anche realizzare una paratia stagna d’emergenza. Solo
il 4 ottobre 1941, dopo una prova in mare effettuata il 29 settembre,
l’incrociatore poté lasciare la base siciliana, propulso esclusivamente dalle
motrici di prua (che azionavano le due eliche esterne). Aveva a bordo 1850
tonnellate di carburante, 266 di acqua e 31 di olio. Il deposito munizioni
numero 3 venne svuotato, mentre quelli prodieri furono lasciati pieni (302
proiettili esplosivi e 414 perforanti); il deposito numero 4, contenente 140
proiettili esplosivi e 204 perforanti, non poté essere vuotato perché ancora
allagato.
Navigando, scortato, ad una velocità media di 12 nodi, il Bolzano giunse a La Spezia il 6 ottobre,
ed il 9 si trasferì a Genova, dove entrò nei cantieri Ansaldo-OARN (Officine
Allestimento e Riparazioni Navi): qui sarebbe rimasto in riparazione fino al
maggio 1942, impegnando un gran numero di uomini e mezzi nelle riparazioni
(ancora il 20 aprile 1942, erano 995 gli uomini impiegati nei lavori sul Bolzano).
Fu praticamente necessario ricostruire l’intera zona poppiera; vennero
eliminati i tubi lanciasiluri anteriori ed installate alcune mitragliere da 20
mm.
Durante i lavori di riparazione effettuati a Genova, il 14 dicembre
1941, il Bolzano fu oggetto di una
“spiata” di Laura d’Oriano, spia al servizio dei britannici, che lo osservò nel bacino delle Grazie e ne
segnalò la presenza, per lettera (una lettera in italiano dal contenuto
“ordinario”, con le informazioni sensibili scritte tra le righe, in francese e
con inchiostro simpatico), ad un agente segreto britannico attivo a Marsiglia. Il
26 dicembre la D’Oriano, già tenuta sotto osservazione dal controspionaggio
italiano, sarebbe stata arrestata dalla polizia italiana; processata dal
Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, fu condannata a morte e fucilata
il 16 gennaio 1943.
I lavori di riparazione del Bolzano
andarono per le lunghe: la nave tornò in servizio soltanto nella prima metà di
maggio del 1942, a quasi dieci mesi dal siluramento.
Durante questo lungo periodo il comandante Ruta si ammalò
improvvisamente di polmonite, ed il 1° maggio 1942 dovette essere sostituito al comando del Bolzano dal più anziano capitano di
vascello Mario Mezzadra.
Proprio di polmonite contratta in servizio era improvvisamente deceduto a Genova il 7 gennaio 1942, dopo soli tre giorni di ricovero in ospedale, il capitano di fregata Leonardo Gramaglia, comandante in seconda del Bolzano nel 1940-1941 e poi nuovamente da fine 1941.
Due
belle foto del Bolzano a La Spezia
dopo la fine dei lavori, a inizio maggio 1942 (g.c. STORIA militare).
15 maggio 1942
Completati i lavori di riparazione, il Bolzano lascia Genova alle 5.20 e si trasferisce a La Spezia, dove
giunge alle 15.30, per un periodo di addestramento dell’equipaggio, per poter
tornare pienamente operativo.
12 giugno 1942
Il mattino del 12, mentre prende il via l’Operazione «Mezzo Giugno» per
il contrasto a due convogli britannici inviati a rifornire Malta («Harpoon» e
«Vigorous»), che darà vita ad una delle più grandi battaglie aeronavali della
guerra del Mediterraneo, il Bolzano
(ancora impegnato nell’addestramento dell’equipaggio a La Spezia, per tornare
operativo), riceve ordine da Supermarina di prepararsi ad uscire in mare, per
congiungersi a sud della Sardegna (il mattino del 14) con le forze navali (III,
VII e IX Divisione Navale) che dovranno intercettare il convoglio britannico «Harpoon»
partito da Gibilterra e diretto a Malta. La sera del 12, tuttavia, giungono a
Supermarina i rapporti di altri ricognitori, che hanno avvistato il secondo
convoglio («Vigorous», proveniente da Alessandria d’Egitto): ritenendo che
questo sia il convoglio principale, Supermarina cancella gli ordini dati in
precedenza ed invia il grosso delle forze navali contro di esso. Nonostante vi
sia tempo di trasferire il Bolzano a
sud per attaccare «Vigorous», si decide infine di lasciarlo fuori
dall’operazione, e l’incrociatore rimane così a La Spezia.
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La
nave a La Spezia nel giugno 1942.
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4 luglio 1942
Il Bolzano, insieme
all’incrociatore leggero Duca degli
Abruzzi, lascia La Spezia alle 23.30 diretto a Messina, con la scorta della
torpediniera Calliope e del
cacciatorpediniere Corsaro.
6 luglio 1942
Intorno alle 5, nello stretto di Messina, il Bolzano lascia la formazione e raggiunge Messina, mentre le altre
navi proseguono per Navarino, destinazione del Duca degli Abruzzi.
17 luglio 1942
Il Bolzano viene visitato a
Messina da Umberto di Savoia.
Mezzo Agosto: il
secondo siluramento
Alle 9.40 del 12 agosto 1942 il Bolzano
(al comando del capitano di vascello Mario Mezzadra, che era alla sua prima
missione di guerra col Bolzano),
insieme al Trieste (che però, secondo
alcune fonti, non partì da Messina ma si aggregò a Bolzano e Gorizia in mare
aperto, provenendo da un porto dell’Alto Tirreno) ed al Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo
Parona, comandante della III Divisione), nonché ai cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera, salpò da Messina per
attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione
«Pedestal», nell’ambito della battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
L’intercettazione sarebbe dovuta avvenire sud di Pantelleria, quando la
forza “pesante” di scorta (Forza Z), che includeva due corazzate e tre
portaerei, avrebbe lasciato il convoglio, affidandolo ad una forza leggera
formata da pochi incrociatori leggeri e da un decina di cacciatorpediniere
(Forza X). Nel corso delle successive ventiquattr’ore, inoltre, convoglio e
scorta sarebbero stati sottoposti ad incessanti attacchi di aerei, sommergibili
e motosiluranti, che avrebbero inflitto loro gravi perdite.
Strada facendo, la III Divisione doveva congiungersi con la VII
Divisione dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia – nave ammiraglia –, Muzio
Attendolo e Raimondo Montecuccoli,
più i cacciatorpediniere Maestrale, Oriani, Gioberti e Fuciliere),
proveniente da Cagliari (da dov’era partita alle 20 dell’11, tranne l’Attendolo, salpato da Napoli alle 9.30
del 12); insieme, le due Divisioni avrebbero potuto agevolmente distruggere
quanto che restava del convoglio, i cui pochi mercantili superstiti arrancavano
in disordine verso Malta con la sola scorta di sette cacciatorpediniere e due
incrociatori leggeri, uno dei quali danneggiato, sotto continui attacchi aerei,
subacquei e di mezzi insidiosi.
Sulle prime si era pensato di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea
era stata scartata per vari motivi: la Luftwaffe non intendeva fornire
copertura alla flotta italiana (si riteneva più utile mandare gli aerei ad
attaccare il convoglo); c’era poco carburante; si credeva che ci fossero 12-15
sommergibili britannici in agguato lungo le rotte che dalle basi italiane
portavano al luogo del probabile scontro (in realtà erano poco più della metà).
La conclusione, non scorretta, era che una forza di soli incrociatori avrebbe
corso meno rischi e sarebbe stata egualmente in grado di distruggere il
convoglio già disperso e decimato; si sarebbe replicato l’attacco portato due
mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro il convoglio
britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più potente, e facendo
tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere gli stessi errori
che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di sfuggire insieme con
la loro scorta.
Memore delle perdite subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti
di Malta (siluramento della corazzata Littorio
e dell’incrociatore pesante Trento,
quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordinava
l’intervento degli incrociatori alla disponibilità di aerei da caccia, per la
scorta aerea; nel Mediterraneo, però, non vi erano che cinque gruppi di caccia
moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare 400 bombardieri ed
aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio dalle basi siciliane e sarde. Il
comando del Corpo Aereo Tedesco, che disponeva soltanto di 40 caccia, si
rifiutò di assegnarli alla scorta delle navi, ritenendoli necessari alla scorta
degli aerei inviati contro il convoglio; Superarereo offrì maggiore
collaborazione, ma assegnò i caccia migliori alla scorta di bombardieri ed
aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più vecchi come i Macchi Mc
200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani FIAT CR. 42; nonché
alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta delle navi. L’11 ed
il 12 agosto si discusse a lungo sia al Comando Supremo che a Palazzo Venezia, finché
il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore generale delle forze
armate italiane, convinse il generale di squadra aerea Rino Corso Fougier, capo
di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il 13 agosto un buon
numero di aerei da caccia, che si sarebbero alternati in turni di sei per volta,
alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia inizialmente previsti
(Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sarebbero stati sufficienti
45.
Alle 19 del 12 agosto, la III e la VII Divisione si riunirono nel Basso
Tirreno; l’incontro con i resti del convoglio era previsto per la mattina del
13, a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia.
Alle 22 Supermarina ordinò agli incrociatori di ridurre la velocità (che
era in quel momento di 20 nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito
non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione venne avvistata e segnalata, mentre
procedeva con rotta sud un’ottantina di miglia a nord dell’estremità
occidentale della Sicilia, da un ricognitore Vickers Wellington dotato di radar
(che fu a sua volta rilevato dal radar del Legionario).
Per altra fonte, la III Divisione era stata avvistata da un aereo nemico già
alle 19.22.
Il comandante delle forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith
Parks (un neozelandese che era stato tra i protagonisti della battaglia
d’Inghilterra), resosi conto del rischio che gli incrociatori italiani
rappresentano nei confronti del convoglio, ordinò prima al Wellington che li
aveva avvistati, e poi anche ad un secondo Wellington da ricognizione inviato a
seguire gli spostamenti della formazione italiana (entrambi appartenevano al 69th
Squadron ed erano dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguevano
le lettere identificative “O” e “Z”), di sganciare bombe e bengala, per indurre
le unità italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da
dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare
l’inganno, Parks si spinse ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in
chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione
della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24
“Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistevano
(questo fu il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il
suo equipaggio, non informato dello stratagemma «Report result your attack,
latest enemy position for Liberators, most immediate»).
C’erano invece a Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort, che si
tenevano pronti ad attaccare le navi italiane in caso di estrema necessità; ma
per il momento, furono tenuti a terra.
Supermarina cadde nell’inganno. A Roma infuriarono discussioni sul da
farsi: l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina,
richiese al feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della
Luftwaffe per fornire copertura aerea alle navi, che presto – si riteneva –
sarebbero state attaccate dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre
prudentissima, non intendeva inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria
senza adeguata scorta aerea); l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di
collegamento con la Marina tedesca a Roma, appoggiò il suo collega italiano
nella richiesta a Kesselring, ed anche il maresciallo Cavallero insisté in
questo senso, temendo che l’operazione britannica potesse comprendere anche uno
sbarco sulle coste della Libia. Ma Kesselring rispose che non aveva abbastanza
caccia disponibili: quelli che c’erano sarebbero bastati solo per la scorta ai
bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi italiane. In considerazione anche
delle deludenti prove date in precedenza dalle forze da battaglia italiane
negli attacchi ai convogli britannici – il fallimento della seconda Sirte ed il
successo solo parziale a Mezzo Giugno contro il convoglio «Harpoon» –
Kesselring, poco convinto delle probabilità di successo degli incrociatori
italiani, preferiva impiegare tutti gli aerei a sua disposizione negli attacchi
diretti contro il convoglio, e quindi assegnare i caccia alla scorta dei
bombardieri. (Kesselring aveva ragione di essere deluso per i precedenti
attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il caso di notare
che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei della
Luftwaffe furono poi in grado di annientare il convoglio «Pedestal»).
Il comando della Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supportò
con tutti gli argomenti disponibili l’impiego degli incrociatori italiani,
esprimendo l’opinione che, in caso contrario, si sarebbe perduta l’occasione di
distruggere il più grande convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in
condizioni di superiorità numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spettava
la decisione finale, non condivise tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsentì
a destinare 40 caccia Macchi Mc 202 alla scorta delle navi; si trattava di un
grosso sacrificio per le sue forze, che in Sicilia disponevano già di caccia appena
sufficienti a scortare solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma
Riccardi e Cavallero non li ritennero comunque adeguati; i sempre ansiosi
vertici di Supermarina temevano inoltre, sulla base dell’interpretazione di
alcuni segnali di scoperta (quelli dei sommergibili Bronzo ed Axum, che avevano
avvistato unità navali dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello
di un idroricognitore CANT Z. 506, che aveva segnalato “tre grandi navi” – in
realtà, l’incrociatore leggero Charybdis
ed i cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguivano il convoglio, al
largo dell’Isola dei Cani), che potesse esserci anche una corazzata, o forse
più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose, un U-Boot tedesco segnalò di aver avvistato quattro
incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale,
apparentemente diretti verso Malta. Era un altro inganno: si trattava di un
convoglio “fittizio” (composto in realtà da due incrociatori, cinque
cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) che i britannici avevano inviato verso
Malta al preciso scopo di distrarre l’attenzione dei comandi italiani dal vero
convoglio.
Le discussioni finirono col giungere ad un punto morto, pertanto gli
alti ufficiali deliberarono di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il
dittatore, Cavallero gli spiegò per telefono, a tinte alquanto fosche (intento
suo e di Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi
Sansonetti – era d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il
ritiro degli incrociatori: Cavallero disse a Mussolini che Riccardi riteneva la
missione “troppo pericolosa per la Marina” e per giunta, giudizio più che
discutibile, “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”), che
senza copertura aerea sarebbero stati attaccati dai bombardieri di Malta
subendo gravi danni, aggiungendo anche la notizia dell’avvistamento di navi
britanniche nel Mediterraneo orientale; asserì che avrebbe incaricato l’Aeronautica
di massimizzare gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini fu convinto da tanto eloquio: disse a Cavallero che non
intendeva rischiare le sue navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle,
e si dichiarò convinto che gli aerei e le motosiluranti italiane sarebbero
riusciti comunque a distruggere il convoglio prima che raggiungesse Malta. Di
conseguenza, la missione degli incrociatori fu annullata: la più grande
occasione che si fosse mai presentata alla Regia Marina per trasformare un
ottimo successo tattico (colto nelle ore precedenti da sommergibili, aerei e
motosiluranti) in uno strepitoso successo strategico andò così in fumo, per
l’eccessivo timore di perdite che si verificarono lo stesso, ma in condizioni
ben più umilianti.
L’ammiraglio Burrough, comandante della Forza X di scorta al convoglio
di «Pedestal», avrebbe commentato nel 1969 di essere molto grato a Mussolini
per quella scelta, in quanto l’arrivo degli incrociatori italiani addosso al
convoglio, il mattino seguente, sarebbe risultato in un massacro per le
superstiti navi britanniche.
Alle 00.30 del 13 Supermarina ordinò alla III e VII Divisione, che in
quel momento erano ad una ventina di miglia da Capo San Vito (ad ovest di
Trapani), di virare verso est per tornare alle basi, paventando attacchi aerei
nemici sulla base dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da
Malta ai propri ricognitori. Tre minuti più tardi, tutti gli incrociatori
evoluirono per evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decise di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel
Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare
le navi avvistate nel Mediterraneo orientale, mentre la VII Divisione sarebbe
tornata in porto.
I finti attacchi aerei e messaggi continuarono ad ogni modo anche nelle
ore successive, per evitare che i comandi italiani potessero cambiare idea ed
ordinare agli incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per
attaccare il convoglio.
Per buona parte della navigazione, “ULTRA” tenne sotto controllo gli
spostamenti degli incrociatori italiani, decrittando le trasmissioni radio
compilate con la macchina cifrante Enigma: dapprima apprese della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno
(La Spezia) nella notte tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le
8.40 e le 11 del 12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere,
erano partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere erano
partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelarono che una forza navale
italiana, di consistenza sconosciuta, aveva ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine
di assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e
poi (19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di
Pantelleria. Supermarina avvisò anche gli incrociatori che torpediniere
italiane (Climene e Centauro) erano in pattugliamento a ponente della
longitudine 11°40’ E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e
dirigere per Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA” intercettò l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle
Precedenze Assolute) delle 23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete subito Napoli: 3a
Divisione con ATTENDOLO e rimanenti
cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso sudest
venne confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington “O”, subito
riconfermato dal Wellington “Z”.
Alle 00.30, in esecuzione dell’ordine di Supermarina, la III Divisione
(cui per ordine di Supermarina furono aggregati Attendolo e Grecale,
distaccati dalla VII Divisione) fece rotta su Messina, mentre la VII Divisione
diresse per Napoli. L’Attendolo
avvistò la III Divisione alle 2.55, ma riuscì ad entrare in formazione solo
alle quattro del mattino, in quanto tutte le navi avevano preso a zigzagare ad
alta velocità, illuminate dalla luce di bengala lanciati dagli aerei
britannici.
Procedendo a 22 nodi, la III Divisione superò Alicudi, dopo di che passò
dalla linea di fila alla doppia linea, con Trieste
e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro (il Bolzano
era nella colonna sinistra, più verso il largo; l’Attendolo in quella di dritta, più vicina alla costa, pressoché
parallelo al Bolzano, il quale però
era in posizione leggermente più arretrata dell’Attendolo). Due degli otto cacciatorpediniere di scorta erano
dotati di ecogoniometro; nel cielo della formazione volavano due idrovolanti
CANT Z. 506 quale scorta aerea. Il mare era calmo, la visibilità ottimale; una
radiosa giornata estiva.
Tra gli equipaggi regnava una certa frustrazione, a causa dell’ordine di
ritirarsi senza nemmeno aver tentato di attaccare un nemico che già si trovava
alle strette.
L’esagerata prudenza di Supermarina non avrebbe tardato a produrre i
propri funesti frutti: ciò che non si era voluto rischiare di perdere con
un’azione più risoluta, sarebbe andato perduto proprio a causa della rinuncia
all’attacco. Dopo tanti attacchi aerei fasulli, un attacco vero, quello di un
sommergibile, si verificò sulla rotta di ritorno.
Furono due i sommergibili britannici che avvistarono la III Divisione:
il primo fu il Safari, a nord di
Palermo, che però non fu in grado di attaccare.
Diversamente andò all’Unbroken,
al comando del tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars, che già
alle quattro del mattino era stato informato da Malta che degli incrociatori
italiani stavano dirigendosi verso di lui. Alle 7.30 del 13 agosto – a bordo
era appena finita la colazione –, mentre si trovava in posizione 38°43’ N e
14°57’ E (al largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest
dell’imbocco dello Stretto di Messina), il sommergibile britannico avvertì
rumori prodotti dagli apparati motori di navi, su rilevamento 230°; alle 7.43
avvistò sullo stesso rilevamento numerose navi italiane, che gli stavano
proprio venendo incontro. Mars identificò correttamente la colonna centrale
come composta da due incrociatori pesanti e probabilmente due incrociatori
leggeri, che procedevano in linea di fila; li scortavano otto cacciatorpediniere
di tipo moderno. La distanza era di 11.000 metri, e Mars stimò la velocità delle
navi italiane in circa 25 nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi
stavano passando tra Filicudi e Panarea; erano al traverso di Salina, Stromboli
era otto miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè
a sudovest).
Iniziata la manovra d’attacco, e penetrato lo schermo dei
cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di essi passarono vicinissimi al
periscopio del sommergibile, ma senza notarlo), alle 8.04 l’Unbroken lanciò quattro siluri contro il
più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di questa nave c’erano i due
incrociatori “leggeri”, e Mars riteneva – a ragione – che se i siluri avessero
mancato il bersaglio designato, avrebbero avuto una buona possibilità di
colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della formazione italiana a
due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si preparava ad attaccare), i bersagli si “sovrapponevano”
nel periscopio di Mars; l’incrociatore più vicino era a 25° di prora dritta,
distanza 2740 metri.
Subito dopo il lancio, l’Unbroken
scese in profondità, virò di 90° a dritta ed aumentò la velocità per cinque
minuti. Quando sentì le detonazioni, Mars stimò che due siluri avessero
centrato l’incrociatore pesante, e che forse gli altri avevano colpito uno
degli altri.
Il comandante britannico aveva apprezzato correttamente gli esiti del
proprio lancio: alle 8.05, mentre l’Unbroken
stava lanciando i siluri, gli incrociatori italiani avevano ridotto la velocità
a 18 nodi, per consentire al Gorizia
di lanciare un idrovolante; poco dopo il cacciatorpediniere Fuciliere aveva avvistato un
sommergibile sulla sinistra, ed aveva aperto il fuoco con una mitragliera
contro il periscopio, distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano
avvistarono le scie dei siluri; il Gorizia
li evitò con una brusca accostata, ma il Bolzano
non fece in tempo, e venne centrato da un siluro proprio mentre stava iniziando
a virare. Poco dopo anche l’Attendolo
fu colpito, subendo l’asportazione della prua.
Il siluro colpì il Bolzano a
centro nave sul lato sinistro (subito a poppavia del torrione), in
corrispondenza del locale caldaia 1-2 e del relativo serbatoio di nafta,
aprendo una falla di 16 metri per 8. Le sale caldaie 1-2 e 3-4 vennero
immediatamente allagate, dopo di che, per cedimento delle paratie,
l’allagamento si estese anche alla sala caldaie 5-6; in tutto la nave imbarcò
almeno 4500 tonnellate d’acqua.
Come se non bastasse, 500 tonnellate di nafta fuoriuscirono dalle casse
squarciate, in gran parte riversandosi nei locali adiacenti e prendendo fuoco.
Subito si scatenò un furioso incendio, che coinvolse alcuni locali caldaie (tra
cui appunto l’1-2) ed il ponte di batteria, per poi estendersi dalle casse di
nafta al torrione.
Il direttore di macchina del Bolzano,
che era sempre il maggiore del Genio Navale Petrillo (ormai divenuto, per
anzianità, anche Capo Servizio Genio Navale della III Divisione), registrò
l’ora d’impatto del siluro come le 8.07.
Vincenzo Costantino, sottocapo trombettiere di poco più di vent’anni,
aveva da poco finito il proprio turno di guardia in plancia del Bolzano quando l’incrociatore fu colpito
dal siluro. Si era recato nel locale numero 6, come d’abitudine, per prendere
la sua razione di caffè e gallette, ma non aveva fatto in tempo a bere il caffè
prima che la nave venisse scossa dall’esplosione del siluro.
Costantino si diresse a prua, cercando di attraversare il locale numero
uno, ma trovò la strada sbarrata dal fumo dell’incendio; tornò allora nel
locale numero 6, dal quale cercò di uscire svitando le “farfallette” di un
boccaporto. Sollevò il portello e mise la testa fuori, solo per vedere l’Attendolo a sua volta colpito.
Costantino non riusciva a sollevare del tutto il portello per uscire;
era rimasto incastrato nell’apertura, con il busto all’esterno e le gambe che
pendevano all’interno. Gridò il nome di Beato, suo capo trombettiere, chiedendo
aiuto; intanto vedeva morti e feriti che venivano trasportati a poppa, gli
ustionati coperti di una crema nera in dotazione per la cura delle ustioni. Infine
sopraggiunse anche il capo trombettiere Beato, che aiutò Costantino ad uscire;
poi quest’ultimo si diresse a sua volta verso poppa.
L’elettricista Daniele Frattini, bergamasco, scampò la morte per uno
scherzo del destino: era di guardia nel locale dinamo, proprio nella zona
colpita, ma dovendo andare in bagno, aveva chiesto ad un collega di sostituirlo
per cinque minuti mentre lui andava al gabinetto. Il siluro colpì proprio in
quei cinque minuti, uccidendo il commilitone.
Il capo elettricista Ditrè, al momento del siluramento, stava facendo
colazione in mensa sottufficiali, assieme a dei colleghi; di lì a pochi minuti
sarebbe iniziato il suo turno di servizio nella centrale elettrica. Ditrè e
colleghi avvertirono un boato, e la nave sembrò sobbalzare sotto i loro piedi;
capirono subito che il Bolzano era
stato silurato. Alcuni di essi si alzarono e si diressero verso la porta
poppiera della mensa, che permetteva di uscire rapidamente in coperta (nei
pressi del fumaiolo), ma si trovarono già di fronte alle fiamme dell’incendio.
Coprendosi alla meglio, si fecero strada tra le fiamme e riuscirono ad uscire,
ma rimasero ustionati. Ditrè, invece, uscì dalla porta prodiera, che conduceva
in un corridoio che portava sottocastello: lì le fiamme non erano ancora
arrivate. Il fuoco impediva però di uscire dalla porta che dal sottocastello
conduceva a sinistra, obbligando a proseguire verso prua; dai ponti inferiori
accorrevano altri marinai che fuggivano dall’incendio. Uno di essi aveva gli
abiti in fiamme, il volto sfigurato: camminava alla cieca, e dopo pochi passi
si accasciò a terra. Alla fine Ditrè si ritrovò nel sottocastello, all’estrema
prua, insieme ad un’altra trentina di uomini; c’era una scala che portava in
coperta, ma il relativo portello era chiuso. Era però apribile dall’interno,
con dei dadi a farfalla; il primo uomo che salì sulla scaletta lo aprì ed uscì
in coperta, mentre gli altri gli si accalcarono dietro per salire a loro volta
e finirono con l’intralciarsi a vicenda. Ditrè, che si era tenuto in disparte
dalla massa, notò che vi era anche un altro portello, privo di scala (era usato
per calare i viveri nella cambusa, che si trovava proprio lì), che conduceva in
coperta, ma doveva essere aperto dall’esterno; riuscì a fare richiamare l’attenzione
di altri uomini che si trovavano in coperta, e fece aprire il portello. La
pressione della calca, al contempo, diminuì, e fu finalmente possibile salire
sulla scala ed in coperta.
Una volta sul castello, Ditrè e compagni si ritrovarono comunque isolati
dal resto della nave: l’immenso incendio, infatti, avvolgeva tutte le strutture
attorno al fumaiolo, ed impediva così di andare verso poppa. In coperta a prua
si trovavano anche gli uomini che si erano trovati sul ponte di comando, che
erano scesi in coperta passando per i finestrini e poi i tetti delle torri 1 e
2 da 203; parlavano di com’era avvenuto il siluramento.
Solo più tardi, quando il vento fece cambiare posizione al Bolzano, facendo spostare le fiamme su
un lato solo, Ditrè e gli altri poterono recarsi verso poppa e riunirsi al
resto dell’equipaggio. Tutto il personale non addetto ai servizi di sicurezza
stava infatti venendo radunato in coperta a poppa.
La zona centrale del Bolzano
era divenuta un vero inferno: le riservetta dei cannoni da 100 mm e delle
mitragliere avevano iniziato ad esplodere, ed anche la temperatura nei depositi
munizioni prodieri da 203 mm stava salendo pericolosamente. Il torrione aveva
dovuto essere evacuato, come detto, facendo scendere il personale in coperta a
prua, passando sopra la torre n. 2.
|
Il
Bolzano, in secondo piano (in
fiamme), e l’Attendolo (senza prua)
fotografati poco dopo il siluramento, verso le 8.15 del 13 agosto (g.c. STORIA
militare).
|
|
Il
Bolzano fotografato verso le 9 del 13
agosto. La nave si sta progressivamente appruando, a causa dell’acqua imbarcata
dallo squarcio aperto dal siluro sotto il torrione, oltre che per effetto
dell’allagamento dei depositi munizioni prodieri, che è in corso; è visibile
l’equipaggio radunato in coperta a poppa (g.c. STORIA militare)
|
Due
immagini delle sovrastrutture prodiere del Bolzano
in preda alle fiamme (sopra, ANMI; sotto, da www.marina.difesa.it)
In sala macchine, il direttore di macchina Petrillo ed i suoi uomini
lavoravano alacremente per rimettere in funzione le macchine: alle 8.20, a
causa dell’inquinamento della nafta da parte dell’acqua imbarcata, si verificò
una prima perdita di pressione della motrice poppiera; alle 8.45, essendo
nuovamente aumentata la pressione, fu possibile rimettere in moto le macchine,
ma un’ora più tardi si ebbe una nuova caduta di pressione a causa della
mancanza di alimento in caldaia: le pompe di alimento della caldaia 9-10 erano
andate in avaria, costringendo al suo spegnimento. Il fermo delle macchine
comportò anche l’interruzione dell’erogazione dell’acqua alle manichette, e la
temporanea inutilizzazione dei mezzi antincendio.
Alle 10.15 fu possibile rimettere nuovamente in moto le motrici e
compiere alcune manovre, ma dopo poco giunse l’ordine del comandante Mezzadra
di non manovrare le macchine per alcun motivo per circa mezz’ora, durante la
quale furono ordinate varie manovre dalla plancia. In mancanza di comunicazioni
dirette tra motrice poppiera e caldaia, risultò difficile alla sala macchine di
intendersi col personale delle caldaie; per questo, si verificarono rapide
cadute di pressione ad ogni manovra. L’ultima manovra ordinata fu “macchine di
sinistra indietro adagio”, ma non fu possibile eseguirla. Per mancanza di acqua
nelle casse di alimento, si dovette spegnere anche la caldaia 8.
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Una
vista da prua della nave danneggiata.
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Intanto, come detto, il comandante Mezzadra ed i suoi ufficiali avevano
dovuto abbandonare la plancia, invasa anch’essa dal fumo dell’incendio.
Mezzadra non si perse però d’animo: diede ordine di allagare i depositi
munizioni prodieri per evitare che, raggiunti dalle fiamme, potessero esplodere
con conseguenze catastrofiche per la nave; agì con risolutezza e cercò in ogni
modo di tenere l’equipaggio a bordo e portare la nave ad incagliarsi.
Furono il capitano del Genio Navale Armando Traetta ed il capo meccanico
di terza classe Crescenzio Magliocca ad eseguire l’ordine di allagare i
depositi munizioni: Magliocca, un trentenne di Caserta, attraversò i locali
invasi dal fumo e lambiti dalle fiamme per cercare di raggiungere i maneggi
degli allagamenti, ma non poté fare nulla perché le trasmissioni si erano
inceppate; allora si calò nell’intercapedine adiacente il deposito munizioni e
provvide manualmente all’allagamento. Ricevette poi la Medaglia d’Argento al
Valor Militare (con motivazione: “Imbarcato
su incrociatore in missione di guerra, colpito da offesa nemica che provocava
un grave incendio in alcuni locali caldaie e nella zona di batteria sovrastante
ai depositi munizioni prodieri, assicuratosi, nella sua zona di sicurezza, del
regolare funzionamento della timoneria, accorreva con sereno coraggio ed
audacia per prestare la sua opera laddove maggiore era il pericolo. Venuto a
conoscenza dell’urgente necessita di allagare i depositi munizioni minacciati
dal fuoco, si prodigava ripetutamente per effettuare l’operazione e arditamente
si portava attraverso locali già invasi dal fumo e lambiti dalle fiamme per
raggiungere i maneggi degli allagamenti.
Riuscito vano il
tentativo a causa dell’inceppamento delle trasmissioni, non abbandonava
l’impresa e, calatosi con sagacia e sangue freddo
nell’intercapedine
adiacente al deposito in pericolo, eseguiva sul posto con
grande abilità
professionale la manovra voluta”).
Traetta, indossata una tuta ignifuga, entrò più volte nei locali invasi
dalle fiamme, provvedendo all’allagamento dei depositi. Quasi soffocato dal
fumo nel compiere questa operazione, non appena si riprese si unì ad altri
membri dell’equipaggio intenti a rimuovere le riservette dei complessi
secondari da 100/47, ormai raggiunte dalle fiamme, prima che esplodessero.
Due degli uomini impegnati in questo pericoloso lavoro, il guardiamarina
Franco Masante ed il secondo capo cannoniere puntatore scelto Pierino Lusani, persero
la vita, uccisi dallo scoppio delle munizioni che stavano cercando di gettare
in mare. Furono entrambi decorati alla memoria con la Medaglia d’Argento al
Valor Militare (la motivazione fu, per Masante: “Imbarcato su unità colpita da offesa nemica che causava gravissime avarie
e un violenta incendio presso la riservetta delle munizioni da 100 mm, si
slanciava per spegnere le fiamme con l’annaffiamento. Interrotta poi la tubatura
d'acqua, con un dipendente apriva una riservetta più minacciata e già rovente,
per togliere le munizioni a gettarle a mare. Quasi al termine della eroica e
generosa fatica, una delle ultime cartucce esplodeva nella loro mani, uccidendoli
insieme” e per Lusani: “Imbarcato su
unità colpita da raffica nemica, che causava gravissime avarie e un violento
incendio presso la riservetta delle munizioni da 100 mm, al seguito di un
ufficiale si slanciava per spegnere le fiamme con l’innaffiamento. Interrotta
poi la tubatura d’acqua, con l’ufficiale stesso apriva una riservetta già
rovente per togliere le munizioni e gettarle a mare. Una delle ultime cartucce
esplodendo, uccideva assieme i due generosi”).
Per contrastare lo sbandamento, il direttore di macchina Petrillo dispose
un’operazione di bilanciamento con lo spostamento di nafta e lo scarico di
acqua di riserva laterale per le caldaie; tali provvedimenti riuscirono, sulle
prime, ad azzerare quasi del tutto lo sbandamento, ma l’aggravarsi degli
allagamenti a prua, con l’inondazione di altri locali (in tutto furono almeno
cinque i compartimenti prodieri allagati), comportò un nuovo aumento dello
sbandamento.
Il Bolzano aveva quattro
compartimenti contigui allagati, uno in più del numero di compartimenti
adiacenti allagati a cui la nave sarebbe potuta sopravvivere secondo le
specifiche di progetto.
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Il
Bolzano fotografato verso le 10 del
mattino del 13 agosto: la nave è appena stata presa a rimorchio dal Geniere (da prua, visibile in foto) e
dall’Aviere (da poppa, dal quale è
scattata la foto). L’appruamento si è notevolmente accentuato (g.c. STORIA
militare)
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Dettaglio
della foto precedente.
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Nel mentre i cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati
di dare assistenza e protezione alle navi colpite, iniziarono a stendere
cortine fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di profondità: dalle 8.09
alle 16.40 vennero lanciate ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente alla
profondità di 39 metri, riuscì a far perdere le proprie tracce già alle nove
(la caccia vera e propria durò tre quarti d’ora, dopo di che i
cacciatorpediniere si limitarono a gettare bombe di profondità di tanto in
tanto, a scopo precauzionale). Il sommergibile se la cavò con danni
superficiali, subiti durante i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritenne
piuttosto accurata.
L’Aviere ed il Geniere cercarono di prestare assistenza
al Bolzano e di prenderlo a
rimorchio; per tre volte, nel ricordo di Vincenzo Costantino, un
cacciatorpediniere lanciò all’incrociatore colpito un sacchetto con cui
recuperare lo spesso cavo d’acciaio che passava al Bolzano per rimorchiarlo, ma ogni volta il cavo si spezzò. La nave
era fortemente appruata, e l’incendio divampava furioso: tra l’acqua che
entrava dalla grossa falla aperta dal siluro sotto il torrione, e quella giocoforza
immessa nei depositi munizioni per scongiurarne l’esplosione, la
galleggiabilità del Bolzano appariva
sempre più compromessa.
Verso le dieci, i due cacciatorpediniere riuscirono finalmente a
prendere il Bolzano a rimorchio: l’Aviere da prua, il Geniere da poppa. La nave continuava progressivamente ad appruarsi
e sbandare sulla sinistra, ormai in serio pericolo di affondamento, inducendo
il comandante Mezzadra a decidere di tentare di raggiungere un basso fondale e
qui portarla ad adagiarsi.
Nel tentativo di far accostare il Bolzano,
uno dei cavi di rimorchio si spezzò, e lo sbandamento dell’incrociatore aumentò
ancora di più (circa 15°): parve allora che il Bolzano, sempre più basso sull’acqua, stesse per affondare da un
momento all’altro. Il comandante Mezzadra si recò a poppa e, nel ricordo del
trombettiere Costantino, gridò ai suoi uomini: “Marinai del Bolzano, a chi il Bolzano?” cui i marinai risposero in coro “A noi”; poi lo scambio
proseguì con “Saluto al re” e la risposta “Viva il re”, “Saluto al duce” e la
risposta “A noi”, finché Mezzadra concluse con l’ordine: “Abbandonate la nave”.
Erano le 10.55.
L’ordine fu eseguito; nella confusione che poteva regnare in un momento
del genere, dove non si sapeva chi fosse morto, ferito, illeso o intrappolato,
parte dell’equipaggio salì su zattere e zatterini o si gettò semplicemente in
acqua, cercando di allontanarsi il più rapidamente possibile dal Bolzano, perché la nafta fuoriuscita dai
serbatoi colpiti ricopriva la superficie del mare tutt’intorno alla nave, e
poteva prendere fuoco da un momento all’altro. La maggior parte di questi
naufraghi venne recuperata dall’Aviere.
Il Geniere, intanto, manovrò
per affiancarsi al Bolzano e
trasbordare il personale che era ancora a bordo: in questo modo, la maggior
parte dell’equipaggio dell’incrociatore poté essere trasferita sul Geniere. Tra di essi vi erano il
comandante Mezzadra, il comandante in seconda Fe’ d’Ostiani, il direttore di
macchina Petrillo ed il capitano G.N. Traetta. Anche il capo elettricista Ditrè
fu tra quanti trasbordarono sul Geniere.
Dalla sua zattera, Vincenzo Costantino avvistò improvvisamente il
commilitone ed amico Vincenzo Barbera, che annaspava smarrito tra le onde, alla
ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Costantino si tuffò immediatamente in
mare, raggiunse Barbera e lo sospinse verso l’alto, aiutandolo ad aggrapparsi
alla zattera.
L’equipaggio
ha abbandonato la nave: ora non c’è più nessuno sul Bolzano (g.c. STORIA militare).
Il Bolzano, intanto, aveva
arrestato il suo apparentemente affondamento, e si era stabilizzato, al punto
che risultò nuovamente possibile, al Geniere
(capitano di fregata Marco Notarbartolo), tentare di prenderlo a rimorchio.
Il capitano del Genio Navale Traetta insisté dapprima con il comandante
in seconda, capitano di fregata Andrea Fe’ d’Ostiani (che era rimasto ferito
nel siluramento), e poi con il comandante Mezzadra allo scopo di ottenere il
permesso di tornare sul Bolzano con
una decina di volontari, per verificare che tutti i locali fossero stati chiusi
prima dell’abbandono e per filare a mare i cavi di rimorchio, che il tenente di
vascello Bozzo aveva in precedenza preparato a poppa, in modo da poterli poi
recuperare dal Geniere e prendere
così a rimorchio il Bolzano, per
portarlo all’incaglio.
Il permesso gli venne accordato; tra i volontari che tornarono a bordo,
si offrì anche il capo elettricista Ditrè. Il gruppetto si avvicinò al Bolzano con una lancia, portandosi a
poppa (la prua era già semisommersa: il ponte di coperta era al di sopra del
livello del mare fino a centro nave, mentre era a pelo d’acqua verso proravia,
e già sott’acqua a prora estrema), e risalì a bordo, dove riucì finalmente a
tendere il cavo di rimorchio.
Per la sua parte nel salvataggio della nave, il capitano Traetta avrebbe
ricevuto una Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione: “Imbarcato su incrociatore, in missione di
guerra, colpito da sommergibile nemice con siluro che provocava un grave
incendio in alcuni locali caldaie e nella zona di batteria sovrasrante ai depositi
munizioni prodierl, dopo aver personalmente eseguto le prime operazieni per l’intercettazione
e lo spegnimento delle caldaie, indossava con sereno coraggio ed audacia un
vestito antifiamme e penetrava ripetutamente nel locale in preda all’incendio
per allagare i depositi munizioni. Tratto in salvo semiasfissiato, non appena rimessosi,
accorreva con rischio della vita, in aiuto ad altri animosi che prodigarono per
scaricare le riservette dei complessi da 100 violentemente investite dalle fiamme. Impeccabile
ed ardito, scendeva successivamente nei locali inferiori, in momenti critici
per la sicurezza della nave, per controllare la chiusura della portelleria ed evitare
il propagarsi dell’incendio effettuando il taglio dei cavi elettrici”.
Il Geniere rimorchiò
l’incrociatore – sbandato di circa 5°-6° – verso la vicinissima isola di
Panarea, dove lo portò ad incagliare su un banco sabbioso dinanzi alla spiaggia
Lisca Bianca, presso Punta Peppemaria (sulla costa settentrionale dell’isola), alle
13.30. Qui l’acqua era profonda solo dodici metri; quando la carena del Bolzano toccò il fondale per la prima
volta, l’incrociatore sbandò paurosamente di ben 45° sulla sinistra: sembrando
che la nave stesse per rovesciarsi da un momento all’altro, Traetta ed i
volontari saliti a bordo dovettero di nuovo abbandonarla. Successivamente,
però, lo sbandamento tornò a diminuire, e ci si poté finalmente mettere
all’opera per domare l’incendio.
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Il
Bolzano fortemente sbandato subito
dopo l’incaglio.
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Il
Bolzano poco dopo l’incaglio sui
fondali di Panarea, nel pomeriggio del 13 agosto; sulla destra si vede il Geniere (g.c. STORIA militare).
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Un’altra
immagine del Bolzano incagliato, con
gli incendi ancora in corso.
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La popolazione di Panarea, ottocento anime, era meno numerosa dell’equipaggio
del Bolzano, che contava oltre un
migliaio di uomini; gli abitanti dell’isola, svegliati dalle esplosioni dei
siluri, assisterono a distanza al dramma dei due incrociatori. Alcune barche di
pescatori, con a bordo perlopiù anziani, donne e bambini – gli uomini validi
erano al fronte – si recarono in soccorso dei naufraghi.
Tra l’equipaggio del Bolzano
si lamentarono tre morti, due dispersi e 32 feriti (altra fonte parla invece di
nove morti e 20 feriti). Considerando la devastazione causata dal siluramento e
dall’incendio, il bilancio fu relativamente contenuto; ciò perché la sala
caldaie colpita dal siluro, la 1-2, era spenta al momento dell’impatto del
siluro, e nelle altre sale caldaie era in corso il cambio di personale quando
la nave fu silurata.
Le ossa di uno dei dispersi sarebbero state rinvenute a bordo durante i
successivi lavori di riparazione effettuati a Napoli.
Le vittime del Bolzano a Mezzo Agosto:
Emilio Busato,
marinaio fuochista, 21 anni, da Martellago, deceduto il 13/8/1942
Pierino Lusani,
secondo capo cannoniere, 27 anni, da Saluggia, deceduto il 13/8/1942
Francesco Masante,
guardiamarina, 25 anni, deceduto il 13/8/1942
Luigi Volpati,
marinaio S.D.T., 21 anni, da Milano, deceduto il 12/8/1942
Vescovo Antonio,
secondo capo elettricista, 28 anni, da Gorizia, deceduto il 21/10/1942 nel
Sanatorio di Arco per le ferite riportate
Gorizia, Trieste ed il Camicia Nera, unico cacciatorpediniere non distaccato per assistere
le navi silurate, entrarono a Messina alle 11.45; sette ore più tardi riuscì a
raggiungere il porto siciliano anche l’Attendolo,
gravemente danneggiato ma ancora in grado di navigare con i suoi mezzi, dopo
una travagliata navigazione, assistito e protetto da alcuni cacciatorpediniere
e da altro naviglio inviatogli incontro da Messina.
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Il
Bolzano completamente adagiato sui
fondali di Panarea, con uno sbandamento di circa 10° sulla sinistra, dopo lo
spegnimento degli incendi, nel pomeriggio del 15 agosto 1942. Sullo sfondo, a
destra, è visibile il cacciatorpediniere Camicia
Nera impegnato in vigilanza antiaerea ed antisommergibili, mentre in primo
piano a sinistra si può vedere la prua del rimorchiatore Salvatore I (g.c. STORIA militare).
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Dopo l’incaglio, ci vollero quasi due giorni per riuscire ad estinguere
l’incendio del Bolzano; allo scopo
giunsero a Panarea dei mezzi di soccorso inviati appositamente da Messina (tra
cui anche il rimorchiatore di salvataggio Salvatore
I), ma solo nel pomeriggio del 14 agosto le fiamme iniziarono a diminuire
d’intensità, venendo finalmente soffocate solo alle 8.30 del mattino del 15
agosto. La nave, intanto, si era del tutto adagiata sul fondale, assestandosi
su uno sbandamento di circa 10° a sinistra.
Il Camicia Nera fu lasciato a
sorvegliare la zona e proteggere l’incrociatore da eventuali attacchi di aerei
e sommergibili.
Una parte dell’equipaggio rimase a Panarea per provvedere alla
sorveglianza ed al recupero della nave, mentre il resto del personale fu
sbarcato a Messina; quelli che avevano famiglia nella città siciliana furono
mandati a casa. Dato che il corredo era rimasto a bordo del Bolzano, gli uomini erano rimasti con la
sola divisa che indossavano al momento del siluramento.
I feriti, tra cui molti ustionati, furono ricoverati nell’ospedale
Margherita di Messina; fu mandato in ospedale anche il capo elettricista Ditrè,
avendo una leggera ferita sul piede destro. Fu ricoverato nella stessa stanza
di un marinaio che aveva gravi ustioni sulla parte superiore delle mani, e che
gli spiegò cosa gli era capitato: al momento del siluramento, si trovava in
coperta vicino alla torre numero 1, e vedendo la scia del primo siluro (quello
che poi colpì l’Attendolo) passare a
proravia, aveva creduto che avrebbe colpito il Bolzano, e si era diretto verso poppa; nel mentre il secondo siluro
aveva colpito la nave per davvero, scatenando l’incendio. Le fiamme avevano
subito cominciato ad uscire dalle feritoie del locale caldaie, poste alla base
del fumaiolo; il marinaio, coprendosi il volto con le mani, aveva proseguito
verso poppa, facendosi strada nell’incendio. Il fuoco aveva così risparmiato la
sua faccia, ma le sue mani erano rimaste gravemente ustionate.
Una serie
di immagini che mostrano il Bolzano a
Panarea nell’agosto del 1942.
I lavori per rimettere il Bolzano
in condizioni di galleggiabilità iniziarono da subito, e richiesero 29 giorni;
durante le operazioni di recupero, parte dell’equipaggio del Bolzano, che non poteva alloggiare sulla
nave semiaffondata, trovò posto sulle navi cisterna “polivalenti” (erano anche
posamine e navi da sbarco) Tirso e Scrivia, appositamente inviate a Panarea
per dare vitto e alloggio a parte dell’equipaggio dell’incrociatore. Per
proteggere la nave da ulteriori attacchi siluranti, venne steso uno sbarramento
retale tutt’intorno allo scafo.
Per rimettere la nave in condizione di galleggiare, si rese necessario
alleggerirla, rimuovendo i pezzi da 100/47 mm, i due obici illuminanti da 120
mm, le mitragliere da 20 mm ed i sistemi di direzione del tiro.
La falla aperta dal siluro venne tamponata, ed i locali allagati vennero
prosciugati.
L’11 settembre il Bolzano fu
di nuovo in condizioni tali da poter tenere a bordo tutto l’equipaggio, così
che Tirso e Scrivia poterono lasciare Panarea per Trapani, dov’erano richieste
per un’operazione di posa di mine.
Alle 19 del 15 settembre il Bolzano
lasciò Panarea, fortemente scortato e rimorchiato da due rimorchiatori, diretto
a Napoli, dove giunse il mattino seguente e fu sottoposto ad un primo periodo
di lavori di riparazione necessari a consentirgli di navigare con i propri
mezzi fino a La Spezia. La nave fu immessa in bacino di carenaggio, dopo di che
la falla venne riparata, le macchine ed i locali allagati vennero ripuliti, e
si rimise così il Bolzano in grado di
navigare. Tali lavori richiesero ben tre mesi e mezzo, a causa della situazione
sempre più grave in cui versava l’organizzazione logistica e cantieristica a
Napoli, martellata dai bombardamenti, sovraccarica di lavoro e sempre più a
corto di risorse.
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Il
Bolzano a Napoli in attesa di entrate
in bacino di carenaggio, intorno al 18 settembre 1942. Si nota il fumaiolo
prodiero collassato sotto l’effetto del calore degli incendi, il marcato
appruamento ancora esistente ed il segno lasciato sullo scafo dalla nafta, a
indicare il livello della superficie del mare durante l’incaglio (g.c. STORIA
militare).
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Completata questa prima fase di riparazioni urgenti il 10 dicembre 1942,
furono condotte delle prove per verificare che la nave potesse navigare, dopo
di che il 21 dicembre il Bolzano lasciò
Napoli diretto a La Spezia, per essere sottoposto a lavori più estesi in un
cantiere ligure. Il viaggio di trasferimento durò un giorno e fu svolto alla
velocità di 14 nodi, utilizzando soltanto la motrice di poppa.
La vastità dei danni (il fumaiolo prodiero era letteralmente collassato
per il calore dell’incendio, e la sovrastruttura della plancia era pressoché
distrutta), e quindi l’entità del lavoro necessario a ripristinare l’unità, era
tale che si pensò perfino di ricostruire radicalmente il Bolzano dalla coperta in su, demolendo e sostituendo le
sovrastrutture, eliminando i cannoni del calibro principale e trasformando
l’incrociatore in “nave lancia-aerei”. Il “nuovo” Bolzano avrebbe avuto un ponte di volo che si estendeva da prora
estrema fino al fumaiolo poppiero, con due catapulte Heinkel ai lati della sua estremità
prodiera; la sovrastruttura prodiera con la plancia sarebbe stata rimossa, così
come il fumaiolo prodiero, che sarebbe stato sostituito da due fumaioli
gemelli, posti a lati del ponte di volo.
Due caldaie sarebbero state eliminate, e la disposizione delle altre
otto modificata in modo tale da ricavare spazio per quattro stive di carico.
L’armamento, interamente sistemato a poppa, sarebbe consistito in dieci
cannoni contraerei da 90/50 mm e venti mitragliere binate da 37 mm (o 20/65 mm).
Il dislocamento sarebbe divenuto di 9000 tonnellate standard e 11.000 a pieno
carico.
I piani
per la conversione del Bolzano in
nave “lancia-aerei”.
Quale nave “lancia-aerei”, non si sarebbe trattato di una portaerei
propriamente detta: gli aerei, infatti, non avrebbero potuto atterrare a bordo.
Il ponte di volo sarebbe stato utilizzato solamente per far decollare gli aerei
(di qui il termine “lancia-aerei”), che, dopo aver portato a termine la loro
missione, sarebbero dovuti atterrare in una base aerea a terra. Non era
previsto un hangar; gli aerei sarebbero stati sistemati sul ponte di volo,
pronti al lancio.
In questa forma, il Bolzano
sarebbe stato impiegato per fornire un minimo di copertura aerea alla squadra
da battaglia ed ai convogli, nonché in missioni veloci di trasporto verso il
Nordafrica, per trasportare e lanciare aerei da trasferire in Africa
Settentrionale. La dotazione di aerei sarebbe consistita in dodici caccia
Reggiane Re 2001 di tipo “ultra alleggerito” OR (ma si pensò anche ai Fiat G50
Bis 0R ed ai Fiat G50B).
Ma non se ne fece nulla: il progetto di trasformazione venne scartato
nel febbraio 1943. Stessa sorte toccò pure ad un’altra idea di trasformazione,
partorita dal nuovo comandante del Bolzano:
la nave sarebbe rimasta un incrociatore, ma le sovrastrutture sarebbero state
ricostruite in modo analogo a quelle degli incrociatori leggeri delle ultime
serie della classe Condottieri; le caldaie 1 e 2 sarebbero state eliminate (il
che sarebbe avvenuto anche con il progetto di trasformazione in lanciaerei),
riducendo la velocità di mezzo nodo ma ricavando un terzo doppio fondo che
avrebbe permesso di imbarcare maggiori quantità di carburante, ed installando
un generatore diesel.
La proposta fu approvata, ma il 24 febbraio 1943 i lavori furono
rinviati a tempi migliori e la nave rimase in attesa di lavori di ripristino
(da effettuarsi probabilmente nei cantieri Ansaldo di Genova) che non presero
mai il via: la carenza di materiali e manodopera ed il sovraccarico di lavoro
della cantieristica italiana, che doveva dare la priorità a costruzioni e
riparazioni più urgenti – in primis navi scorta e sommergibili –, diedero il
colpo di grazia al malconcio incrociatore, che fu lasciato all’ormeggio a tempo
indefinito nella base di La Spezia.
Il grosso dell’equipaggio venne assegnato a nuove destinazioni su altre
navi (il capitano Traetta, ad esempio, fu trasferito sul Gorizia) od in incarichi a terra (fu questo il caso, ad esempio,
del direttore di macchina Petrillo, destinato ad un incarico a terra a Roma).
Sul Bolzano, ormeggiato prima alla
banchina scali e poi alla fonda presso la diga foranea, circondato da recinti
parasiluri, rimase soltanto un equipaggio ridotto, incaricato soltanto della
manutenzione dei macchinari. (Secondo altra fonte, agli inizi del 1943 vennero
effettuate alcuni saltuari lavori di riparazione via via che i materiali
diventavano disponibili, ma poi furono sospesi del tutto).
Sopra:
una foto scattata a La Spezia nell’estate del 1943 (dal saggio di Francesco
Mattesini sulla battaglia di Mezzo Agosto, da www.societaitalianastoriamilitare.org):
in primo piano, il sommergibile tedesco U
73; sullo sfondo, a sinistra, si riconosce il Bolzano. Sotto: in primo piano, di nuovo l’U 73 (in riparazione a La Spezia, 1943), con a fianco un’unità ex
francese; sullo sfondo, si riconoscono le sovrastrutture del Bolzano (da www.hazegray.org).
L’attacco dell’Unbroken agli
incrociatori italiani, nel giornale di bordo del sommergibile (da Uboat.net):
“0730 hours - When in position 38°43'N, 14°57'E HE was heard bering
230°.
0743 hours - Sighted a large number of ships bearing 230° steering
straight towards. The centre coloumn consisted of four large ships, two 8"
cruisers and possibly two 6" cruisers. The escort consisted of 8 modern
destroyers. Started attack.
0804 hours - Fired four torpedoes from yards at the nearest 8"
cruiser. Two 6" cruisers were beyond the target and if torpedoes missed
there was a good possiblity of hitting the other ships beyond. P 42 went deep
on firing and altered course 90° to starboard and increased speed for 5
minutes. It was thought two hits were obtained on the nearest 8" cruiser,
and with luch the 'overs' may have hit one of the other cruisers.
0809 hours - Intensive depth charging started, went to 120 feet and
crept away.
0900 hours - The 40th charge was dropped. By this time the enemy seemed
to have lost contact, and to be drawing astern. However depth charging
continued for 8 hours and 31 minutes, the explosions becoming more distant and
less frequent as time drew on.
1640 hours - The last depth charge was dropped at a considerable
distance. The day's total came to 105. Only some superficial damage was
sustained.
1900 hours - Returned to periscope depth. Nothing in sight.”
Il siluramento del Bolzano a
Mezzo Agosto nelle memorie del capo elettricista Ditrè (da un articolo del
figlio Renato sul sito dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia – www.marinaiditalia.com):
“Si rientrava alla base dopo l’ennesima missione. Di solito la
formazione naviga in linea di fila per un preciso motivo, perchè i sommergibili
che agiscono immersi, appena lanciano il siluro, questi, lascia una scia sul
mare per cui se ne può dedurre la posizione di lancio ed attaccare i
sommergibili con i caccia di scorta. 24 Marinai d’Italia Marinai d’Italia 25
Per questo motivo, il loro bersaglio preferito è sempre la nave di coda della
formazione in modo da sottrarsi più facilmente alla ricerca. Mancavano pochi minuti
alle ore 8 del giorno 13/8/1942, per me orario di inizio del turno di servizio
nella centrale elettrica. Mi trovavo nella mensa sottufficiali per consumare la
prima colazione assieme ad altri colleghi. Sentiamo un boato con un sobbalzo
della nave. Si intuisce che deve trattarsi di un siluramento. La mensa aveva
due uscite una, verso poppa prossima all’aperto sulla coperta ma, vicina al
fumaiolo, l’altra verso prora immetteva nel sottocastello. I primi colleghi
cercando di uscire all’aperto, si sono diretti verso la porta di poppa che
appena aperta ha mostrato subito la consistenza delle fiamme e la gravità
dell’incendio. Coprendosi alla meglio, hanno affrontato le fiamme rimandendo
però ustionati. Non ricordo bene però, credo io solo, invece di affrontare le
fiamme, sono andato ad aprire l’altra porta constatando che l’incendio ancora
non si era propagato in quel corridoio che immetteva nel sottocastello. Nel
sottocastello, la porta sulla sinistra era bloccata dalle fiamme, non mi
rimaneva che proseguire verso prora. Dai locali sottostanti salivano altri
marinai in cerca di scampo tra cui uno con gli abiti in fiamme ed il viso già
sfigurato che camminava per istinto, infatti, dopo pochi altri passi è
crollato. Nel sottocastello a prora estrema, eravamo una trentina. Vi era una
scala che immetteva sopra coperta. Il portello era chiuso ma si poteva aprire
dall’interno essendo fornito di dadi a farfalla. Il primo che salì lo ha aperto
ed è uscito. Non fu altrettanto facile per gli altri che ammassatisi
all’imbocco della scala, facendo pressione uno contro l’altro, impedivano di
riuscire a svincolarsi e salire. Il locale aveva un altro portello ma senza
scala, serviva per l’imbarco dei viveri nella sottostante cambusa e si poteva
aprire da sopra coperta. Io che non ero tra gli ammassati, sono riuscito a
richiamare l’attenzione di altri superstiti che erano in coperta e feci aprire
quest’altro portello. Con questa apertura, sarà stato per l’illusione di
un’altro passaggio, la pressione si allentò e così abbiamo potuto salire la
scala. Sul castello, eravamo ancora isolati dalla poppa perchè le strutture
attorno al fumaiolo erano avvolte dalle fiamme. Quelli che erano sul ponte di
comando, passando attraverso i finestrini ed i tetti delle torri 1 e 2 erano
arrivati in coperta e commentavano le fasi del siluramento. Superata Alicudi,
la formazione dalla linea di fila era passata alla doppia linea. Trieste e Gorizia avanti, Bolzano e
Attendolo, dietro. L’Attendolo sul lato destro verso la costa
siciliana. Il Bolzano sulla sinistra
verso il largo, quasi parallelo all’Attendolo.
Il sommergibile avrebbe lanciato una coppia di siluri (in realtà 4
evidentemente non si erano accorti degli altri due. NdR) e, poichè l’Attendolo si trovava in quel momento un
poco più avanti del Bolzano, il primo
siluro lo aveva colpito proprio sotto il castello oltre la paratia rinforzata a
protezione dei depositi di munizioni delle due torri di prora troncando di
netto la prora stessa. Fortunosa circostanza, che non siano esplosi i depositi
munizioni con le immaginabili conseguenze. La nave rimase a galla e potè
rientrare in porto con i propri mezzi. Il secondo siluro, aveva colpito il Bolzano in corrispondenza del locale
caldaie 1 e 2 e del relativo deposito di nafta che prendendo fuoco aveva creato
un colossale incendio in parte sfogato dal fumaiolo ma, attaccando anche tutti
i locali adiacenti. Anche per il Bolzano,
bisogna sottolineare che la buona sorte ha risparmiato alla nave e
all’equipaggio rovinose conseguenze se il siluro avesse colpito i depositi
munizioni e se le fiamme avessero raggiunto i depositi che tuttavia furono
fatti allagare immediatamente. La nave, malgrado l’acqua imbarcata per lo
squarcio nello scafo, mantenne il galleggiamento sia pur dando l’impressione
che stesse per affondare. Quanti eravamo sopra il castello, non sapevamo la
sorte del rimanente equipaggio nè potevamo andare verso poppa. Soltanto quando
il vento aveva fatto cambiare posizione al Bolzano
ed aveva fatto spostare le fiamme verso un solo lato abbiamo potuto avviarci
verso poppa e riunirci agli altri superstiti. A causa dell’inquinamento della
nafta con l’acqua di mare, si erano fermate anche le macchine non interessate
dallo scoppio e quindi i mezzi antincendio. Dopo l’azione del siluro, le altre
navi hanno proseguito verso Messina. A darci assistenza era rimasto un caccia
sul quale trasbordammo quando la nave ancora una volta sembrava dovesse
affondare.
Invece, si era trattato soltanto di un assestamento spontaneo del
galleggiamento. A questo punto, il comandante in seconda del Bolzano, d’accordo col comandante del
caccia, decisero di tentare il rimorchio su un basso fondale di Panarea.
Bisognava tornare a bordo per predisporre le funi di rimorchio. Raccolse alcuni
volontari, me compreso, con un battello ci avvicinammo alla nave e risalimmo a
bordo. Il rimorchio fu effettuato da poppa essendo la prora già immersa quasi
per metà. L’operazione riuscì, la poppa rimase fuori fino al centro nave e la
rimanente parte a pelo d’acqua fino a prora. L’incendio continuò fin quando
l’acqua del mare non ebbe il sopravvento sul fuoco. Sull’isola fu sistemata una
parte dell’equipaggio per la sorveglianza della nave, gli altri furono portati
a Messina. Quelli che come me avevano famiglia in città, furono mandati a casa.
Con l’allagamento perdemmo tutto quello che avevamo a bordo rimanendo col solo
vestiario che avevamo addosso al momento del siluramento. I feriti furono
portati all’ospedale Margherita di Messina e la maggior parte aveva ferite da
ustioni. Anch’io avevo una piccola ferita al collo del piede destro e fui
ricoverato. Ero nella stessa stanza di un collega con la parte superiore delle
mani gravemente ustionata. Raccontò che si trovava in coperta vicino la torre
1, vide la scia del siluro che passando davanti alla propra era destinato
all’1. Credendo che colpisse il Bolzano,
si avviò verso poppa, nel frattempo però, il secondo siluro colpì la nave e
provocò l’incendio le cui fiamme fuoruscivano dalle feritoie del locale caldaie
alla base del fumaiolo. Coprendosi la faccia con le mani sfidò le fiamme
proseguendo verso poppa. Salvò la faccia, ma le mani subirono profonde
scottature. La Marina decise il recupero dello scafo. Vennero mezzi speciali
che prosciugando i locali sani e tamponando lo squarcio ripristinarono il
galleggiamento. I lavori durarono fino al 16 settembre 1942 e alle 19, il,
trainato da due rimorchiatori e sotto forte scorta (comprensiva tra l’altro
della torpediniera di scorta Ardito) fu trasferito a Napoli dove arrivammo
nella mattinata del giorno dopo. In bacino fu riparata la falla, ripulite le
macchine ed i locali allagati, fu ripristinata la possibilità di navigare con i
propri mezzi. A Napoli restammo fino al 12 dicembre 1942 da dove partimmo
diretti alla Spezia. La nave fu messa in disarmo e l’equipaggio inviato in
altre destinazioni.”
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La
Spezia sotto bombardamento aereo, il 5 maggio 1943: in primo piano la corazzata
Littorio, a destra della quale, più
lontano, è riconoscibile il Bolzano
(g.c. STORIA militare).
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Epilogo
Se l’abbandono di ogni lavoro per riparare il Bolzano, dopo tanti sforzi fatti per salvarlo, non poteva che
destare amarezza tra gli ormai ex membri del suo equipaggio, altrettanto penosa
fu la diatriba che insorse, a posteriori, tra il comandante Mezzadra ed alcuni
dei suoi ufficiali. Secondo quanto lasciato scritto dal capitano del Genio
Navale Traetta, al rientro a Messina Mezzadra mostrò una certa freddezza sia verso
i caduti che verso gli uomini che tanto si erano sforzati per salvare la nave.
Alcuni degli ordini dati da Mezzadra nei momenti successivi al siluramento
destavano forti perplessità tra gli ufficiali, i quali ritenevano che tali
disposizioni avessero influito negativamente sul salvataggio dell’unità: in
particolare, si riteneva che Mezzadra fosse stato troppo precipitoso
nell’ordinare l’abbandono della nave alla considerevole parte dell’equipaggio
che si era radunata a poppa, mentre erano ancora in corso i tentativi di
circoscrivere l’incendio, che, se proseguiti, avrebbero forse potuto dare
qualche risultato. Altrettanto discusso era stato il suo ordine di non
manovrare le macchine poppiere, che il maggiore Petrillo aveva rimesso in piena
efficienza entro 40 minuti dal siluramento, nonostante ripetute insistenze da
parte di alcuni ufficiali. Si ritenne che incertezze ed inefficienze nel
comando avessero portato alla perdita della nave, che si sarebbe invece potuta
ancora salvare.
La relazione del comando della III Divisione sull’accaduto, inviata al
Ministero della Marina, parlava di mancanza di comprensione tra gli ufficiali
ed il comandante, la quale aveva impedito una efficace collaborazione per
salvare quanto si sarebbe potuto; inoltre criticava l’operato di alcuni
ufficiali, che – secondo l’ammiraglio Parona – non avrebbero agito con la
dovuta freddezza e non avrebbero utilizzato al meglio tutti i mezzi a loro
disposizione.
Gli sforzi di diversi ufficiali per il salvataggio del Bolzano non furono riconosciuti, ed anzi
tali ufficiali furono colpiti da veri e propri provvedimenti punitivi: il già
pluridecorato maggiore Petrillo, che una volta di più aveva dato il massimo per
salvare la sua nave, venne escluso dal quadro di avanzamento a tenente colonnello
del Genio Navale; il comandante in seconda Fe’ d’Ostiani, che si era prodigato
nelle operazioni di salvataggio, non ebbe alcun riconoscimento; un altro
ufficiale, Modena, subì una revisione negativa delle sue note caratteristiche
perché incolpato di aver dato non meglio precisati suggerimenti erronei al
comandante Mezzadra. Mezzadra, nel suo rapporto, affermava tra l’altro che “più
volte il capo servizio G.N., ufficiali e personale di macchina sono venuti a
riferirmi che le motrici erano in moto, ma in realtà le eliche erano ferme”. Nonostante
le molte testimonianze raccolte da Petrillo, i comandi decisero di dare credito
a Mezzadra.
Quando l’8 settembre 1943 fu annunciata la notizia dell’armistizio tra
l’Italia e gli Alleati, il Bolzano si
trovava ancora in riparazione (o piuttosto, in attesa che i lavori di
riparazione riprendessero) nell’Arsenale di La Spezia.
Il comandante in capo del Dipartimento di La Spezia, ammiraglio Giotto
Maraghini, provvide a dare esecuzione alle disposizioni impartite da Supermarina
circa il naviglio presente in porto (tranne la squadra da battaglia, partita
per ordini di Roma nelle prime ore del 9 settembre) e le installazioni a terra:
le navi minori in grado di muovere vennero fatte partire per porti saldamente
sotto controllo italiano od Alleato, quelle impossibilitate a partire si
autoaffondarono; lo stessero fecero le navi mercantili (partenza od
inutilizzazione, ma in alcuni casi gli armamenti tedeschi delle mitragliere
imbarcate impedirono di attuare tali provvedimenti). Gli impianti, i bacini e
le attrezzature dell’Arsenale furono resi inutilizzabili, ma solo per 15
giorni, nell’ottimistica – ed irrealistica – speranza che gli Alleati avrebbero
cacciato le forze tedesche dall’Italia nel giro di qualche settimana.
Nonostante un tentativo di resistenza da parte del XVI Corpo d’Armata
italiano (Divisione Fanteria "Rovigo" e Divisione Alpina "Alpi
Graie"), La Spezia fu occupata da quattro divisioni tedesche entro il 10
settembre, senza particolari difficoltà. Le due Divisioni italiane furono
sciolte e l’ammiraglio Maraghini lasciò La Spezia il 10 settembre, dopo aver
dato esecuzione agli ordini di Supermarina.
Il 9 settembre 1943
si svolse a La Spezia il più grande autoaffondamento in massa di navi militari
italiane per impedirne la cattura da parte tedesca: si autoaffondarono nel
porto il vecchio incrociatore Taranto, i cacciatorpediniere Nicolò Zeno, FR 21 e FR 22, le
torpediniere Generale Antonino Cascino,
Generale Carlo Montanari, Ghibli, Lira e Procione, i
sommergibili Antonio Bajamonti, Ambra, Sirena, Sparide, Volframio e Murena, le corvette Euterpe,
Persefone e FR 51, il posamine Buccari,
il trasporto munizioni Vallelunga, le
cisterne militari Scrivia e Pagano, le motozattere MZ 736 e MZ 748, i rimorchiatori militari Mesco, Capri, Capodistria, Robusto e Porto Sdobba,
il MAS 525, la motosilurante MS 36.
Caddero invece in
mano tedesca il Bolzano, il Gorizia (che si trovava in condizioni
analoghe), il posamine Crotone, il
trasporto munizioni Panigaglia, la
nave bersaglio San Marco, la nave
idrografica Ammiraglio Magnaghi, la
nave salvataggio sommergibili Anteo,
la cannoniera Rimini, le cisterne
militari Bormida, Dalmazia, Leno, Sprugola, Volturno, Stura e Timavo, il
piccolo trasporto Monte Cengio, il
dragamine RD 49, il MAS 556, le Bette N. 5 e N. 16, i
rimorchiatori Atlante, Brava, Carbonara, Linaro, Santo Stefano, Senigallia, Taormina, Torre Annunziata, N 9, N 10, N 37, N 53 e N 55. Gran parte di tali unità furono
sabotate dagli equipaggi; il Gorizia
aveva anche iniziato ad autoaffondarsi, ma tale provvedimento era stato poi
sospeso.
Il Bolzano ed il Gorizia, essendo praticamente in disarmo, avevano un unico
comandante in comune, il capitano di fregata Dessì. Questi mantenne i ridotti
equipaggi a bordo degli incrociatori fino alla sera del 9 settembre; poi,
stante il precipitare della situazione, si consultò con il Comando del
Dipartimento e fece abbandonare le unità, mandando il personale nella caserma
di San Bartolomeo. Qui gli uomini furono lasciati liberi; le loro sorti si
divisero.
Non tutti avrebbero
visto la fine della guerra: il marinaio cannoniere Antonino Maio, di Milazzo,
ventitreenne, morì in Italia appena tre giorni dopo, il 12 settembre 1943.
Il sergente meccanico
Gustavo Costa, ventiquattrenne, da Alano di Piave, sarebbe anch’egli morto in
Italia, il 12 novembre 1944.
Altri membri
dell’equipaggio furono catturati dai tedeschi ed avviati alla prigionia in
Germania: tra di essi non sopravvissero il marinaio fuochista Egidio Guazzetti,
di La Spezia, ed il sottocapo cannoniere Smeraldo Macor, di Trieste. Avevano
entrambi ventiquattro anni; il primo morì nel campo di Gusen-Perg (Austria, un
sottocampo del più famoso lager di Mauthausen) il 29 dicembre 1944, il secondo morì
nel campo di Halbertstadt il 5 marzo 1945.
Il Bolzano non fu autoaffondato né
sabotato, perché si trovava già in condizioni tali da risultare inutilizzabile
almeno per parecchi mesi, e quindi non sarebbe stato di alcuna utilità ai
tedeschi. (Per altra fonte, prima dell’abbandono vennero rimosse parti vitali
dell’apparato motore).
Il 10 settembre il
relitto abbandonato di quello che era stato uno dei più magnifici incrociatori
della Regia Marina venne saccheggiato dagli occupanti tedeschi ed anche dalla popolazione
civile, venendo spogliato di qualsiasi cosa potesse essere riutilizzata. Poi fu
abbandonato a sé stesso (per altra fonte fu mantenuta a bordo una piccola
guardia tedesca).
La storia del Bolzano non era però ancora giunta alla
fine.
Dopo l’armistizio il
grosso del personale e dei materiali della X Flottiglia MAS, la celebre unità
della Regia Marina specializzata in azioni con mezzi insidiosi, era rimasto al
Nord (la sua base principale era proprio a La Spezia) ed aveva aderito alla
Repubblica Sociale Italiana, riunendosi sotto la guida del capitano di fregata
Junio Valerio Borghese. Un’altra parte, più ridotta, dei mezzi e degli uomini
della X MAS si era però trovata al Sud al momento dell’armistizio; pochi mesi
dopo l’8 settembre, durante la cobelligeranza con gli Alleati, i comandi della
Regia Marina nel Sud decisero di ricostituire un’unità per azioni insidiose
analoga alla X MAS, cui fu dato il nome di Mariassalto. Al suo comando fu
destinato il capitano di fregata Ernesto Forza, che aveva in passato comandato
per un periodo la X Flottiglia MAS.
L’attività di
Mariassalto languì per diversi mesi, per vari motivi: mancavano mezzi d’assalto
subacquei come gli SLC (al Sud erano rimasti solo mezzi di superficie, quali
barchini esplosivi e siluranti) per forzare i porti nemici, né vi erano, nell’Italia
meridionale, le necessarie risorse e capacità progettuali e cantieristiche;
mancavano bersagli di particolare rilievo (le forze navali della Kriegsmarine
nel Mediterraneo consistevano principalmente in cacciatorpediniere,
torpediniere e corvette ex italiane, la cui attività era già limitata di fronte
allo strapotere aeronavale angloamericano); mancavano operatori esperti
(alcuni, catturati dagli Alleati durante il periodo 1940-1943, come Luigi
Durand De La Penne, Antonio Marceglia, Vincenzo Martellotta e Gino Birindelli,
accettarono di tornare a combattere nella Marina del Sud e furono liberati
dalla prigionia, ma per non dover combattere contro gli ex commilitoni rimasti
al Nord con Borghese chiesero l’assegnazione od altri reparti o l’esenzione da missioni
contro obiettivi italiani od in presenza di personale italiano) ed occorreva
del tempo per addestrarne degli altri.
Nondimeno, il
Ministro della Marina del Sud, ammiraglio Raffaele De Courten, riponeva grande
importanza in qualche vittoriosa iniziativa di Mariassalto: iniziava infatti a
profilarsi la possibilità di dure condizioni di pace verso la Marina italiana a
guerra finita – consegna di alcune navi ai vincitori, disarmo forzato di altre,
limitazioni sulle nuove costruzioni – e De Courten riteneva che, se la Marina
si fosse guadagnata delle benemerenze presso gli Alleati nel corso della
cobelligeranza, le condizioni del trattato di pace sarebbero potute essere meno
dure.
Fu così che prese
forma l’operazione «QWZ», il forzamento della rada di La Spezia da parte di un
gruppo misto di mezzi d’assalto di superficie e subacquei. Mancando questi
ultimi presso la Regia Marina, fu necessario coinvolgere nell’operazione anche
la Royal Navy, che avrebber fornito alcuni “chariots”, mezzi d’assalto
subacqueo sviluppati dai britannici sulla base di alcuni SLC italiani catturati
intatti negli anni precedenti. Si riuscì a convincere i britannici che questa
sarebbe stata una buona occasione per addestrare e far fare esperienza ai loro
operatori di “chariots”; in questo modo, però, la parte subacquea – e
principale – della missione finì con l’essere svolta dai britannici, anziché
dagli italiani.
Obiettivo della
missione «QWZ» erano proprio il Bolzano
ed il Gorizia, che giacevano
abbandonati ed inutilizzati nella rada di La Spezia, poco più che relitti
galleggianti, ulteriormente danneggiati dai continui bombardamenti
angloamericani su La Spezia.
La Kriegsmarine non
aveva mai fatto alcun tentativo di rimettere in efficienza i due incrociatori,
sia per la mancanza di materiali, sia perché conscia del fatto che le due navi
non avrebbero mai avuto sensate possibilità d’impiego di fronte al dominio
angloamericano del mare e del cielo (per altra fonte, ci fu un tentativo di
riparazione, ma fu abbandonato a seguito degli ulteriori danni inflitti dalle
incursioni aeree Alleate e da sabotaggi da parte di partigiani delle S.A.P. in
collaborazione con operai antifascisti; per altra fonte, di converso, i
tedeschi avevano iniziato a smantellare il Bolzano).
Loro sorte sarebbe stata l’autoaffondamento, al momento dell’offensiva finale
Alleata verso il Nord Italia, agli imbocchi del porto di La Spezia, per
bloccarne l’accesso: il Bolzano
sarebbe stato rimorchiato fino alla diga foranea, messo di traverso e qui
affondato per bloccare l’accesso ad eventuali mezzi da sbarco Alleati.
La valenza della
missione, pertanto, era soprattutto simbolica.
I mezzi destinati
all’operazione furono imbarcati sul cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Benedetto Ponza di San Martino) e
sulla motosilurante MS 74, che furono concentrati a Bastia (Corsica) da dove
salparono il 21 giugno 1944 diretti a La Spezia. Per il forzamento della base
era previsto l’impiego di due Motoscafi da Turismo Siluranti Modificati
(tenente di vascello Luigi Durand de la Penne, capo meccanico di seconda classe
Luigi Zoppis; tenente vascello Luigi Cugia di Sant’Orsola e sottocapo motorista
Luigi Gattorno; guardiamarina Girolamo Manisco e sottocapo palombaro Evelino
Marcolini), tre «uomini gamma» (sommozzatori d’assalto: erano il guardiamarina
Francesco Berlingieri, l’aspirante Andrea De Angeli ed il sottocapo nocchiere
Corrado Giani; sarebbero stati trasportati dai MTSM) e due “chariots”
britannici, i numeri LVIII e LX, con i relativi quattro operatori della Royal
Navy. MTSM e «gamma» erano imbarcati sul Grecale,
gli “chariots” sulla MS 74. Al largo della Gorgona, il Grecale mise in mare gli MTSM, che proseguirono verso La Spezia
insieme alla MS 74; le tre piccole unità oltrepassarono senza difficoltà gli
ingressi della rada, mettendo poi in mare gli “chariots”. Uno dei due mezzi
subacquei (sergente Conrad Leonard Berey e marinaio M. Lawrence) non riuscì a
trovare l’imboccatura del porto (per altra versione, si guastò) e dovette
essere autoaffondato quando giunse l’alba; l’altro (sottotenente di vascello Malcolm
Richard Causer e marinaio scelto Harry Smith), invece, riuscì a portarsi sotto la
chiglia del Bolzano senza essere
visto, alle 4.10. Dopo aver collocato sulla carena la loro carica esplosiva,
Causer e Smith si allontanarono alle 4.30 col loro mezzo. La carica esplose nei
tempi previsti, ed il Bolzano,
malridotto già prima dell’attacco, si capovolse ed affondò nelle acque della
rada.
Terminato il suo
compito, anche il secondo “chariot” fu autoaffondato; nessuno dei quattro
operatori britannici riuscì a giungere nel punto stabilito per il loro recupero
da parte della motosilurante, così dovettero raggiungere la riva a nuoto.
Tutti e quattro
vennero soccorsi ed ospitati da un gruppo partigiano dello spezzino (secondo
una fonte, la IV Zona S.A.P. del tenente Francesco Mazzolini, appartenente alle
formazioni “Giustizia e Libertà”); soltanto Berey riuscì a raggiungere le linee
Alleate nell’agosto 1944, attraversando l’Arno, mentre gli altri tre vennero
successivamente catturati dai tedeschi.
Causer e Smith furono
catturati dai tedeschi dopo sei settimane; questi ultimi sospettavano che i due
britannici avessero qualcosa a che fare con l’affondamento del Bolzano, ma Causer e Smith negarono
sempre, sostenendo di essere due naufraghi di un sommergibile britannico
affondato nel Mar Ligure. Smith fu lungamente imprigionato in isolamento e
sottoposto a forti pressioni per farlo confessare di essere coinvolto
nell’affondamento del Bolzano, ma
continuò a ribadire la versione dell’affondamento di un sommergibile.
Per l’affondamento
del Bolzano, Causer fu insignito del
Distinguished Service Order, Smith della Conspicuous Gallantry Medal; Berey
ricevette la Distinguished Service Medal.
Sulla contestuale
missione dei «gamma» italiani esistono varie versioni; secondo alcune fonti
essa non portò ad alcun risultato, mentre per altre il guardiamarina
Berlingieri affondò con una carica esplosiva il sommergibile Volframio, che
giaceva nel porto in condizioni non molto diverse da quelle del Bolzano (autoaffondatosi all’armistizio,
era stato recuperato dai tedeschi, ma mai riparato). Tutti i «gamma», così come
gli MTSM, riuscirono a rientrare senza incidenti alla “nave madre” (per altra
fonte, uno o più «gamma» avrebbero invece raggiunto anch’essi la riva a nuoto e
sarebbero stati assistiti dai partigiani, riuscendo poi a tornare alle linee
Alleate).
Secondo lo storico
Giorgio Giorgerini (autore del libro “Attacco dal mare” sulla storia dei mezzi
d’assalto della Marina italiana), la missione «QWZ» fu concordata
preventivamente, mediante canali di contatto segreti, tra il comandante Forza
di Mariassalto ed il comandante Borghese della X MAS. Secondo Giorgerini,
Forza, spiegando l’importanza (presunta) della riuscita della missione per il
futuro della Marina nel dopoguerra, convinse Borghese – conscio che i risultati
concreti dell’attacco non sarebbero stati di rilievo, avendo per obiettivo
delle navi già inutilizzabili – ad allentare la sorveglianza, per permettere
agli incursori di attaccare indisturbati. A ciò si dovrebbe il fatto che i
mezzi di Mariassalto e gli “chariots” britannici non trovarono ostacoli o segni
di attenta sorveglianza quando penetrarono nella rada spezzina. Addirittura, la
sera del 21 giugno 1944 Borghese avrebbe ordinato che una squadriglia di
quattro MTSMA (Motoscafi da Turismo Siluranti Modificati e Allargati), al
comando del tenente di vascello Sergio Nesi, si recasse ad effettuare un
pendolamento poco al largo della costa per verificare che le ostruzioni della
bocca di levante della rada fossero aperte (lo erano da mesi) e, qualora non lo
fossero state, di aprirle. Informato da Nesi che le ostruzioni erano aperte,
Borghese avrebbe poi ordinato alla squadriglia di rientrare entro l’una di
notte (gli incursori italiani e britannici iniziarono ad entrare nella rada
alle 00.30). Non solo: Borghese avrebbe ordinato a Nesi che, qualora i MTSMA
avessero avvertito rumori di motori o notato altre stranezze nella zona del
pendolamento, non sarebbero dovuti intervenire; tanto che quando, alle 23.30,
uno dei piloti degli MTSMA disse a Nesi di sentire rumori di motori simili a
quelli dei MAS, quest’ultimo gli ordinò di limitarsi a registrarlo sul rapporto
di missione.
Nell’aprile 1945,
alla liberazione di La Spezia, il relitto capovolto (per una fonte, con la sola
carena emergente; per altra fonte, rovesciato su un fianco e parzialmente
emergente) del Bolzano venne trovato
affondato nella rada della base spezzina.
Nel settembre 1949
(per altra fonte, nel 1947), la carcassa dell’“errore splendidamente riuscito”
fu riportata a galla, senza nemmeno essere raddrizzata, e speditamente
demolita.
Vale la pena di
riportare un ultimo aneddoto: nel dopoguerra l’ex direttore di macchina del Bolzano, Luigi Petrillo, lasciò la
Marina e divenne un dirigente della Magneti Marelli di Milano. Nel 1951,
inviato a Londra per gestire i rapporti con un’azienda britannica, fu inviato
ad un pranzo dove poté incontrare due ospiti d’eccezione: Wilfrid John
Wentworth Woods ed Alastair Campbell Gillespie Mars, i comandanti del Triumph e dell’Unbroken, i due siluratori del Bolzano
quando lui ne era direttore di macchina.
Due
immagini del Bolzano a Genova nel
1933 (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)