Il Grecale al Pireo nel marzo 1942 (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della classe Maestrale (dislocamento standard 1680 tonnellate, in carico
normale 2025, a pieno carico 2235).
Durante la seconda
guerra mondiale operò sia con le forze da battaglia, sia nella scorta di convogli
diretti in Libia. Nel periodo 10 giugno 1940-8 settembre 1943 effettuò
complessivamente 154 missioni di guerra, di cui dieci di ricerca del nemico,
dieci di trasporto, 32 di scorta convogli, quattro di posa di mine, quattro di
caccia antisommergibili, 27 di trasferimento, 32 di altro tipo, percorrendo
48.492 miglia nautiche e trascorrendo 379 giorni ai lavori.
(Fonti Internet danno
invece numeri diversi: secondo il sito ufficiale della Marina Militare, il Grecale avrebbe svolto 97 missioni di
guerra, ossia 17 crociere di interdizione contro forze navali nemiche, 17 missioni
di scorta a navi maggiori, 41 di scorta a convogli, dieci di trasporto truppe,
cinque di posa mine, tre di caccia antisommergibili, tre di dragaggio ed una
missione speciale; secondo il sito www.regiamarinaitaliana.it,
invece, avrebbe effettuato 155 missioni: 8 con le forze navali, 4 di posa mine,
10 di trasporto, 35 di scorta convogli, una di caccia antisommergibili, 33 di
addestramento, 64 di trasferimento o di altro tipo, percorrendo 47.646 miglia
nautiche e trascorrendo 441 giorni ai lavori).
In navigazione subì
ben undici attacchi di sommergibili, cinque di bombardieri e due di
aerosiluranti. Svolse intensa attività anche durante la cobelligeranza con gli
Alleati (settembre 1943-maggio 1945), comprese diverse missioni “speciali”
oltre a numerose missioni di scorta convogli, percorrendo altre 97.635 miglia
nautiche.
Fu uno dei soli
cinque cacciatorpediniere lasciati all’Italia dal trattato di pace del 1947,
entrando a far parte della neonata Marina Militare.
Il motto, in comune
con le altre unità della sua classe, era “Io
sto in ascolto se rechi il vento clamor di battaglia” (tratto da un sonetto
di Gabriele D’Annunzio).
Breve e parziale cronologia.
25 settembre 1931
Impostazione nei
Cantieri Navali Riuniti di Ancona (numero di costruzione 129).
17 giugno 1934
Varo nei Cantieri
Navali Riuniti di Ancona.
Il Grecale in costruzione nel 1934 (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
Agosto 1934
Durante le prove di
velocità, effettuate con un dislocamento di 1643 tonnellate (ossia pari a
quello standard), il Grecale
raggiunge una velocità media di 39,1 nodi, con una potenza massima sviluppata
dall’apparato motore di 46.332 HP (387,9 giri al minuto). Risulta così l’unità
più veloce della classe.
15 novembre 1934
Entrata in servizio.
Inizialmente è
classificato come esploratore, e va quindi a formare, con i gemelli Maestrale, Libeccio e Scirocco,
la X Squadriglia Esploratori; solo a fine anni ’30 le navi saranno
riclassificate cacciatorpediniere e di conseguenza la squadriglia cambierà nome
in X Squadriglia Cacciatorpediniere.
Il Grecale (in testa) seguito dal Maestrale e dal resto della X Squadriglia a Taranto, nel 1935-1936 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco ad Ancona (da www.associazione-venus.it) |
25 luglio 1936
Pochi giorni dopo lo
scoppio della guerra civile spagnola, il Grecale
e lo Scirocco salpano da Cagliari
durante la notte diretti a Malaga, preceduti di qualche ora dagli incrociatori
leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli (partiti da La
Maddalena), per proteggere e poi evacuare i cittadini italiani e profughi
spagnoli dalla città, in mano alla fazione repubblicana, dove sono in corso
esecuzioni sommarie di presunti sostenitori dei nazionalisti da parte di
miliziani anarchici e comunisti (tra i giustiziati, anche otto italiani).
(Per altra fonte, Grecale e Scirocco sarebbero stati inviati a Barcellona, dove i repubblicani hanno
devastato gli uffici delle locali succursali della Società Italia e della
Pirelli, per tutelare gli italiani in quella città).
Il Grecale in transito nel canale navigabile di Taranto |
Agosto-Settembre 1936
Compie una visita in
Belgio.
Il Grecale ad Ostenda nel settembre 1936 (foto di Adriano Amadio, per g.c. del nipote Almiro Ramberti) |
1936
Il Grecale ed il gemello Maestrale compiono una crociera nel
Mediterraneo occidentale, visitando i porti di Monaco, Palma di Maiorca,
Barcellona, Valencia e Tangeri.
A Siracusa nella seconda metà degli anni Trenta (g.c. Almiro Ramberti) |
15 settembre 1936
La X Squadriglia
scorta a Portoferraio la VII Divisione incrociatori (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli, Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta) che qui
imbarca Benito Mussolini sull’Eugenio (nave
ammiraglia) per poi trasferirsi a Napoli ed eseguire un’esercitazione tattica
rientrando a La Spezia.
Nello stesso
periodo, Grecale, Maestrale, Libeccio e Scirocco scortano
sovente Vittorio Emanuele III nei suoi trasferimenti tra i porti del Tirreno.
Novembre 1936
Partecipa alla
rivista navale tenuta nel Golfo di Napoli in onore del reggente d’Ungheria,
ammiraglio Miklos Horthy, in visita in Italia.
Il Grecale durante la rivista navale in onore dell’ammiraglio Horthy; sulla destra l’incrociatore pesante Bolzano (da un saggio di Francesco Mattesini pubblicato su www.academia.edu) |
1936-1937
Il Grecale partecipa alle operazioni
connesse alla guerra civile spagnola, avendo base a Tangeri, insieme a numerose
altre unità (i tre gemelli, gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Alberto
Di Giussano, gli esploratori Quarto, Aquila, Falco, Carlo Mirabello, Augusto Riboty, Nicoloso Da Recco, Giovanni Da Verrazzano, Emanuele Pessagno, Antonio Pigafetta, Luca Tarigo ed Antoniotto Usodimare, la
torpediniera Audace), con il
compito di controllare il traffico navale da e per la Spagna e proteggere
l’invio di truppe e rifornimenti dal Marocco spagnolo (in mano alle forze
nazionaliste) alla Spagna. Il Grecale
compie anche alcune missioni al largo della costa occidentale della Spagna; in
totale sono dodici le crociere di guerra da esso svolte nelle acque spagnole.
Il Grecale a Siracusa nel 1937 (foto di Adriano Amadio, per g.c. del nipote Almiro Ramberti) |
Lancio di un siluro dal Grecale durante un’esercitazione nel Golfo di La Spezia, nella seconda metà degli anni Trenta (Coll. Almiro Ramberti) |
25-28 febbraio 1938
Il Grecale, insieme ai gemelli Libeccio e Scirocco ed agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Luigi
Cadorna ed Armando Diaz della IV
Divisione Navale, partecipa ad una rivista navale nelle acque di Sanremo, alla
presenza di Benito Mussolini e del ministro della guerra tedesco Werner Von
Blomberg.
Il Grecale in transito nel canale navigabile di Taranto nel 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
5 maggio 1938
Il Grecale (capitano di fregata Eugenio Torriani), insieme al resto della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Libeccio e Scirocco, al comando del capitano di vascello Gerardo Galatà sul Maestrale), partecipa alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler.
Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, i sette incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli undici incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, sette “esploratori leggeri” classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie Audace, Castelfidardo, Curtatone, Francesco Stocco, Nicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro “avvisi scorta” della classe Orsa), 85 sommergibili e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La X Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla I Squadriglia Esploratori (Luca Tarigo, Antonio Da Noli, Antoniotto Usodimare ed Ugolino Vivaldi) alla Sezione Esploratori (Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno) ed alle Divisioni Navali II (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni ed Alberto Di Giussano, al comando dell’ammiraglio di divisione Pietro Barone), III (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio di squadra Wladimiro Pini); IV (incrociatori leggeri Luigi Cadorna, Alberico Da Barbiano ed Armando Diaz, al comando dell’ammiraglio di divisione Giuseppe Romagna Manoia) e VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, al comando dell’ammiraglio di divisione Augusto Mengotti), forma la 2a Squadra Navale, al comando dell’ammiraglio Pini.
Grecale e gemelli in una foto del 30 maggio 1938 |
Il Grecale, insieme ai gemelli Maestrale e Scirocco ed al più moderno cacciatorpediniere Camicia Nera (che insieme al Grecale formano la X Squadriglia
Cacciatorpediniere del capitano di vascello Gerardo Galatà) nonché ai più
moderni cacciatorpediniere della XIV Squadriglia (Ugolino Vivaldi, Luca Tarigo, Antonio Da Noli ed Antoniotto Usodimare, al comando del
capitano di vascello Carlo De Bei) ed all’incrociatore pesante Trieste (nave di bandiera
dell’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante della 2a Squadra
Navale), scorta da Cadice a Napoli un convoglio formato dai trasporti
truppe Piemonte, Sardegna, Liguria e Calabria,
che rimpatriano 328 ufficiali e 9369 sottufficiali e soldati del Corpo Truppe
Volontarie, dopo un anno e mezzo di impiego in Spagna a fianco dei
nazionalisti.
Il ritiro di parte dei volontari (10.000) è stato deciso da Mussolini in seguito al deterioramento dei rapporti con Francisco Franco, nonché per mostrare al Regno Unito la volontà di ritirare gradualmente le truppe italiane dalla Spagna, così adempiendo alla condizione posta dal governo britannico in cambio del riconoscimento britannico dell’impero italiano in Africa Orientale. Al tempo stesso, non volendo lasciare la Spagna prima della vittoria finale della fazione nazionalista, Mussolini vi mantiene ancora un nutrito contingente (Divisione "Littorio" e divisioni miste italo-spagnole "Frecce Nere", "Frecce Verdi" e "Frecce Azzurre"), e soprattutto la quasi totalità dell’artiglieria e dell’aviazione, indispensabili ai franchisti i quali difettano in entrambe le componenti.
I 10.151 volontari rimpatrianti s’imbarcano a Cadice il 15 ottobre al termine di una grande parata, svolta alla presenza del generale franchista Gonzalo Queipo de Llano (quale rappresentante di Franco); il convoglio parte la sera stessa. La navigazione si svolge senza eventi di rilievo, con i trasporti truppe disposti in linea di fila e circondati dalle unità di scorta; al largo di Napoli gli equipaggi di queste ultime salutano i piroscafi, dopo di che le navi da guerra lasciano il convoglio e dirigono su Gaeta, mentre il convoglio entra a Napoli il mattino del 20 ottobre, accolto da una nutrita folla. Dopo lo sbarco, le truppe vengono passate in rassegna da Vittorio Emanuele III e da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e vicesegretario del P.N.F. (nonché genero di Mussolini, e tra le figure chiave del regime fascista).
Il ritiro di parte dei volontari (10.000) è stato deciso da Mussolini in seguito al deterioramento dei rapporti con Francisco Franco, nonché per mostrare al Regno Unito la volontà di ritirare gradualmente le truppe italiane dalla Spagna, così adempiendo alla condizione posta dal governo britannico in cambio del riconoscimento britannico dell’impero italiano in Africa Orientale. Al tempo stesso, non volendo lasciare la Spagna prima della vittoria finale della fazione nazionalista, Mussolini vi mantiene ancora un nutrito contingente (Divisione "Littorio" e divisioni miste italo-spagnole "Frecce Nere", "Frecce Verdi" e "Frecce Azzurre"), e soprattutto la quasi totalità dell’artiglieria e dell’aviazione, indispensabili ai franchisti i quali difettano in entrambe le componenti.
I 10.151 volontari rimpatrianti s’imbarcano a Cadice il 15 ottobre al termine di una grande parata, svolta alla presenza del generale franchista Gonzalo Queipo de Llano (quale rappresentante di Franco); il convoglio parte la sera stessa. La navigazione si svolge senza eventi di rilievo, con i trasporti truppe disposti in linea di fila e circondati dalle unità di scorta; al largo di Napoli gli equipaggi di queste ultime salutano i piroscafi, dopo di che le navi da guerra lasciano il convoglio e dirigono su Gaeta, mentre il convoglio entra a Napoli il mattino del 20 ottobre, accolto da una nutrita folla. Dopo lo sbarco, le truppe vengono passate in rassegna da Vittorio Emanuele III e da Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e vicesegretario del P.N.F. (nonché genero di Mussolini, e tra le figure chiave del regime fascista).
Dettaglio della prua del Grecale in una foto del maggio 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
18 dicembre 1938
Grecale, Libeccio e
l’incrociatore leggero Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi scortano l’incrociatore pesante Bolzano, avente a bordo Benito Mussolini ed altri gerarchi (il
segretario del PNF Achille Starace, il ministro della cultura popolare Dino Alfieri, il ministro delle finanze Paolo
Tahon di Revel, i membri della Commissione suprema per l’autarchia) ed alti
ufficiali (il capo di Stato Maggiore della Marina Domenico Cavagnari), a
Sant’Antioco, in Sardegna, dove il dittatore ed il suo seguito sono diretti per
presenziare alla cerimonia di inaugurazione della nuova città di Carbonia. Non
a caso, la data scelta per la cerimonia coincide con il terzo anniversario del
“Giorno della Fede”, la giornata della donazione dell’“oro alla Patria” (18
dicembre 1935) in risposta alle sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni
durante la guerra d’Etiopia.
Giunti a Sant’Antioco,
Mussolini e seguito sbarcano al porto di Ponte Romano e da qui raggiungono
Carbonia, ove Mussolini, affacciatosi dalla torre littoria, tiene un discorso
ad una folla di 50.000 persone, fatte affluire da tutta la provincia (al
contempo, il discorso è trasmesso a Cagliari, dov’è ascoltato da un’altra folla
tramite appositi altoparlanti posizionati per l’occasione dalla locale
confederazione dei fasci), per poi recarsi in visita alle locali miniere ed
agli impianti di lavorazione del carbone.
Grecale e Scirocco a Sanremo nel 1938 (foto di Adriano Amadio, per g.c. del nipote Almiro Ramberti) |
A Taranto nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
6-7 marzo 1939
In seguito alla
notizia – giunta il mattino del 6 marzo tramite gli aerei di base nelle
Baleari, che hanno avvistato e seguito le navi repubblicane – che il giorno
precedente la flotta spagnola repubblicana (composta dagli incrociatori Miguel de Cervantes, Méndez Nuñez e Libertad, dai cacciatorpediniere Ulloa, Escano, Gravina, Almirante Antequera, Almirante Miranda, Lepanto, Almirante Valdés e Jorge Juan e
dai sommergibili C.2 e C.4) è salpata dalla sua base di
Cartagena (dov’è scoppiata un’insurrezione filofranchista, scatenata dal
tradimento di alcuni ufficiali dell’Esercito repubblicano che hanno tentato un
colpo di Stato contro il loro governo), nella fase conclusiva della guerra
civile spagnola (il conflitto terminerà di lì a meno di un mese), lo Stato
Maggiore della Regia Marina, sospettando che questa possa essere diretta in Mar
Nero per consegnarsi all’Unione Sovietica, organizza un vasto dispositivo di
esplorazione e sorveglianza aeronavale volta a sbarrare la fuga alle navi
repubblicane. All’alba del 6 marzo il Grecale
ed il resto della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Libeccio
e Scirocco; capitano di vascello
Mario Rossi) vengono inviati ad ispezionare le acque tra Capo Granitola,
Pantelleria e la Tunisia, in cooperazione con aerei, mentre le
torpediniere Orsa, Procione, Spica ed Orione
fanno lo stesso tra la Sardegna e le coste del Nordafrica.
Il mattino del 7
marzo prende il mare anche la Divisione Scuola Comando (ammiraglio Angelo
Iachino), formata dall’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e da 16
torpediniere (Climene, Cantore, Centauro, Cigno, Libra, Lira, Lupo, Lince, Andromeda, Antares, Aldebaran, Airone, Alcione, Aretusa, Ariel e Altair,
appartenenti alle Squadriglie Torpediniere I, VIII, XI e XII), che si posiziona
ad est del Canale di Sicilia e si mette alla ricerca della flotta spagnola
nelle acque comprese tra la Sicilia, Malta e Tripoli. L’ordine è di localizzare
le navi repubblicane e, una volta trovate, di mantenere il contatto, senza
attaccare: si vuole infatti dirottare la flotta repubblicana ad Augusta, non
affondarla. A questo scopo, vengono trasferite da Taranto ad Augusta la I
Divisione Navale dell’ammiraglio Ettore Sportiello (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia più i
cacciatorpediniere Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci della IX
Squadriglia) e da Taranto a Messina la V Divisione Navale, composta dalle
corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour e dalla VII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta, Strale). A
Messina il comandante della 1a Squadra Navale, ammiraglio
Arturo Riccardi, assume la direzione delle operazioni; l’ordine è di ricorrere
alle armi soltanto se le navi repubblicane opporranno resistenza.
In realtà, tuttavia,
la flotta repubblicana non ha nessuna intenzione di andare in Unione Sovietica.
La loro destinazione è il Nordafrica francese: lasciata Cartagena, dapprima le
navi repubblicane si presentano davanti ad Orano, in Algeria, dove l’ammiraglio
Miguel Buiza Fernández-Palacios (comandante della flotta repubblicana) chiede
alle autorità francesi il permesso di entrare in porto e farvisi internare;
queste ultime, tuttavia, respingono la richiesta e dicono a Buiza di
raggiungere Biserta, in Tunisia. Qui le navi spagnole – sempre pedinate dagli
aerei italiani durante il loro trasferimento – possono finalmente entrare; le
autorità francesi provvedono immediatamente a sequestrarle, sbarcandone gli
equipaggi ed internandoli in un campo di concentramento vicino a Maknassy.
Quando il Comando della Regia Marina viene a sapere, lo stesso 7 marzo, che la
flotta repubblicana è entrata a Biserta e che il locale Comando navale francese
l’ha fatta disarmare, le misure messe in atto per intercettare la flotta
repubblicana vengono annullate, non essendo più necessarie. Tre settimane più
tardi le navi repubblicane, prese in consegna da equipaggi franchisti, saranno
consegnate alla Marina nazionalista spagnola, mentre parte degli equipaggi
repubblicani sceglieranno l’esilio in terra francese.
Il Grecale nel 1939 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
7 aprile 1939
Prende parte allo
sbarco ed invasione italiana dell’Albania (Operazione «Oltremare Tirana»)
inquadrato nel 3° Gruppo Navale, che il Grecale forma insieme ai gemelli Libeccio e Scirocco,
ad un quarto cacciatorpediniere, il Saetta,
alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, alle torpediniere Castore, Climene, Centauro e Cigno, al posamine Azio, alla cisterna militare Isonzo ed al grosso piroscafo Sannio. Il 3° Gruppo, al comando
dell’ammiraglio di squadra Arturo Riccardi (che ha il comando generale delle
operazioni navali) ed incaricato dell’occupazione di Valona, giunge dinanzi al
proprio obiettivo nelle prime ore del 7 aprile.
I reparti da
sbarcare, che compongono nello schieramento italiano la “colonna di Valona” al
comando del colonnello Tullio Bernardi, sono il I Battaglione del 1° Reggimento
Bersaglieri, il XVI Battaglione del 10° Reggimento Bersaglieri (riuniti sotto
il comando del 1° Reggimento Bersaglieri) ed il Gruppo Battaglioni Camicie Nere
"Nannini" (XL Battaglione Camicie Nere d’Assalto "Verona" e
LXXVI Battaglione Camicie Nere d’Assalto "Ferrara"). La difesa
albanese nel settore di Valona, al comando del tenente colonnello Kuku, è
affidata ai battaglioni di fanteria "Tomori" e "Kaptina",
al 1° Battaglione della Gendarmeria Reale Albanese, al battaglione artiglieria
da montagna "Semani", ad una sezione di artiglieria da montagna e ad
un plotone del Genio zappatori/minatori.
Lo sbarco avviene con
un ritardo di circa un’ora, e le truppe italiane – sbarcano per prime le
compagnie da sbarco di marinai, seguite poi dalla fanteria – sono accolte da
quelle albanesi, asserragliate negli edifici della gendarmeria, della dogana e
del museo archeologico, con tiro di fucili e mitragliere che viene però ridotto
al silenzio dopo un cannoneggiamento di circa dieci minuti da parte delle
torpediniere. Così spezzate le resistenze nell’area portuale, il resto della
città sarà agevolmente occupato dai reparti italiani.
Il Grecale in bacino negli anni Trenta (foto di Adriano Amadio, per g.c. del nipote Almiro Ramberti) |
Luglio 1939
Compie una crociera
in Spagna e Portogallo (visitando, tra l’altro, Lisbona) insieme alla I
Divisione Navale, dopo di che viene assegnato all’Accademia Navale di Livorno, alle
dipendenze della quale rimane fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Un'altra immagine del Grecale nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
1939-1940
In seguito a lavori
di modifica dell’armamento, le due mitragliere singole da 40/39 mm
Vickers-Terni 1917 e le due binate da 13,2/76 mm vengono rimosse, e l’armamento
contraereo viene potenziato e ammodernato con l’imbarco di sei (per altra fonte
otto, in impianti binati) mitragliere Breda singole da 20/65 mm modello
1939/1940 (in controplancia ed a poppavia del fumaiolo); sono imbarcati anche
due scaricabombe per bombe di profondità.
Una foto scattata a bordo del Grecale in navigazione nel Golfo della Spezia, con mare mosso (foto di Adriano Amadio, per g.c. del nipote Almiro Ramberti) |
La cabina di Vittorio Villa sul Grecale (g.c. Alberto Villa) |
In bacino galleggiante a Taranto, maggio 1940 (g.c. Alberto Villa)
31 maggio 1940
Il Grecale fa parte della X
Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma con i gemelli Libeccio, Maestrale e Scirocco:
la Squadriglia dei “Quattro Venti”. La X Squadriglia è assegnata alla II
Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) della 2a Squadra
Navale.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia
entra nella seconda guerra mondiale, il Grecale
(capitano di fregata Edmondo Cacace, 41 anni, da Roma) forma la X Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Maestrale,
Libeccio e Scirocco, di base in Sicilia (forse ad Augusta).
Lo stesso 10 giugno la
X Squadriglia salpa da Messina ed esegue una ricognizione notturna in cerca di
navi nemiche tra Marettimo e Capo Bon; in suo appoggio escono da Messina e
Napoli gli incrociatori pesanti Pola (nave
ammiraglia), Trento e Bolzano (III Divisione Navale), gli
incrociatori leggerei Eugenio di
Savoia, Emanuele Filiberto Duca
d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli (VII
Divisione Navale) e quattro cacciatorpediniere. Tutte le navi rientrano alle
basi entro la sera dell’11 giugno, senza aver incontrato l’avversario.
22-24 giugno 1940
La X Squadriglia
prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XII, alle
Divisioni incrociatori I, II e III ed all’incrociatore pesante Pola (tutta la 2a Squadra
Navale, più la I Divisione) per fornire copertura alla VII Divisione ed alla
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il
traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale. Le forze della 2a Squadra,
partite da Messina (Pola e III
Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21 ed il
22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto dello
stesso giorno a nord di Palermo. L’operazione non porta comunque ad incontrare
alcuna nave nemica.
L’armamento di una mitragliera, con Vittorio Villa sulla sinistra (g.c. Alberto Villa) |
2 luglio 1940
Il Grecale, le tre unità gemelle
(caposquadriglia è il Maestrale), la
I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), la II Divisione (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) forniscono scorta a
distanza ai trasporti truppe Esperia e Victoria, di ritorno vuoti da Tripoli
(da dove sono partiti alle 13 del 2) a Napoli con la scorta diretta delle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso.
4 luglio 1940
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 23.
6 luglio 1940
Il Grecale (capitano di fregata Edoardo
Cacace) salpa da Augusta alle 19.45, insieme a Maestrale (capitano di vascello Franco Garofalo, caposquadriglia
della X Squadriglia), Libeccio
(capitano di fregata Enrico Simola) e Scirocco
(capitano di fregata Francesco Matteschi) ed agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (capitano di
vascello Franco Maugeri; nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione
Ferdinando Casardi, comandante della II Divisione Navale) e Bartolomeo Colleoni (capitano di
vascello Umberto Novaro), per andare a rinforzare la scorta diretta del primo
convoglio di grandi dimensioni inviato in Libia (operazione «TCM», cioè “Terra,
Cielo, Mare”): lo compongono il piroscafo Esperia, la motonave passeggeri Calitea (usati per trasporto truppe) e le motonavi da
carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, partite da Napoli alle
ore 18 del 6 luglio (tranne la Barbaro che,
partita da Catania con la scorta delle torpediniere Pilo e Abba, si
aggrega al convoglio il mattino del 7 luglio) e scortate dalle moderne unità
della XIV Squadriglia Torpediniere (Orsa, Procione, Orione e Pegaso).
7 luglio 1940
Mentre il convoglio
si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino
del 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da
battaglia Hood, incrociatori
leggeri Arethusa, Delhi ed Enterprise, cacciatorpediniere Faulknor, Foxhound, Fearless, Douglas, Active, Velox, Vortingern, Wrestler, Escort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita
(operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere
l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a
Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da
inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti
per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal
Sovereign, portaerei Eagle,
incrociatori leggeri Orion, Neptune, Sydney, Gloucester e Liverpool, cacciatorpediniere Dainty, Defender, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Hyperion, Hostile, Ilex, Nubian, Mohawk, Stuart, Voyager, Vampire, Janus e Juno); questo, però, non è a conoscenza
dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a
Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta
viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con gli incrociatori Bande Nere e Colleoni, e dalla X Squadriglia
Cacciatorpediniere con Grecale, Maestrale, Libeccio e Scirocco (ma
per altra versione, la X Squadriglia avrebbe scortato il convoglio fin da
Napoli; non è chiaro se la partenza della squadriglia sia avvenuta il 6 oppure
il 7 luglio).
Quale scorta a
distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni
IV (incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori
leggeri Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV
(Leone Pancaldo, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli), XV (Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare),
e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le
Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano)
e VII (incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Pola, I e III Divisione, con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad
est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est,
mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest,
forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta (IV,
V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un
gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione
aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il
posamine ausiliario Barletta viene
inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in
tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche
della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si
è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la
convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio,
procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un
punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso
quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando
proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea, mentre le motonavi da
carico mantengono una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti
della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet
britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si
trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere
pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato
che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio,
Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
Il convoglio «TCM»
arriva a Bengasi, dopo una navigazione tranquilla, tra le 18 e le 22; la II
Divisione e la X Squadriglia vengono inviate a Tripoli. In tutto, il convoglio
porta in Libia 2190 uomini (1571 sull’Esperia e
619 sulla Calitea), 72 carri
armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445 tonnellate
di rifornimenti.
(da www.grupsom.com) |
9 luglio 1940
La II Divisione e la
X Squadriglia vengono dislocate a Tripoli. Queste unità non parteciperanno
quindi alla battaglia di Punta Stilo, scatenatasi il giorno seguente tra la
flotta italiana (1a e 2a Squadra Navale) e
quella britannica e conclusasi senza vincitori né vinti.
Successivamente,
mentre la II Divisione sarà inviata in Mediterraneo Orientale (subendo la perdita
del Colleoni ed il
danneggiamento del Bande Nere nello
scontro di Capo Spada del 20 luglio), la X Squadriglia rientrerà in Italia
scortando un convoglio.
19 luglio 1940
In mattinata Grecale, Maestrale, Libeccio e Scirocco, provenienti da Tripoli, vengono
mandati a rinforzare la scorta diretta di un convoglio (trasporti truppe Esperia e Calitea, motonavi da carico Marco Foscarini, Vettor
Pisani e Francesco Barbaro,
con la scorta diretta di Orsa, Procione, Orione e Pegaso)
salpato da Bengasi alle 6 per rientrare in Italia. Da Taranto esce in mare
anche la VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, più i cacciatorpediniere di scorta) per fornire
al convoglio scorta a distanza. (Per altra versione, invece, la X Squadriglia
Cacciatorpediniere avrebbe fatto parte della scorta indiretta, insieme alla
VIII Divisione, e non di quella diretta).
21 luglio 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 00.30.
30 luglio 1940
Il Grecale, assieme a Maestrale (caposquadriglia), Libeccio e Scirocco, salpa da Catania il mattino
del 31 per rinforzare nel tratto tra la Sicilia e Tripoli la scorta diretta
(torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso)
di un convoglio composto dai piroscafi Maria Eugenia, Bainsizza e Gloriastella e dalle motonavi Mauly, Col di Lana, Francesco
Barbaro e Città di Bari,
in navigazione da Napoli a Tripoli nell’ambito dell’operazione «Trasporto
Veloce Lento» (TVL). Si tratta del convoglio lento (n. 1 nell’operazione),
avente velocità 7,5 nodi.
A protezione di
questo e di un secondo convoglio diretto a Bengasi (quello veloce, che procede
a 16 nodi: trasporti truppe Marco
Polo, Città di Palermo e Città di Napoli, torpediniere Alcione, Airone, Aretusa ed Ariel) sono in mare, dal 30 luglio al 1°
agosto, gli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Trento e Gorizia (I Divisione), gli
incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano ed Alberto Di
Giussano della IV Divisione e Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi, Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo della VII
Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XII (Lanciere, Corazziere, Carabiniere, Alpino),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Ascari) e
XV (Pigafetta, Malocello, Zeno).
I due convogli, partiti
originariamente il 27 luglio, si sono rifugiati nei porti della Sicilia il 28,
per ordine di Supermarina, a seguito dell’avvistamento in mare di imponenti
forze navali britanniche.
Il convoglio 1
(quello lento), rifugiatosi a Catania, riparte il mattino del 30 luglio con il
rinforzo dalla X Squadriglia.
Intorno alle 14 lo
stesso convoglio viene attaccato, a sudovest di Capo Spartivento, dal
sommergibile britannico Oswald (capitano
di corvetta David Alexander Fraser), che ne identifica la composizione come tre
navi mercantili scortate da numerosi cacciatorpediniere, dirette verso Tripoli
a sette nodi, e lo attacca col lancio di alcuni siluri contro il Grecale e la Col di Lana, che si trova vicina a
quest’ultimo. Alle 14 un mitragliere del Grecale
avvista la scia di un siluro sulla sinistra: subito il cacciatorpediniere
accosta a sinistra ed aumenta la velocità per contrattaccare, ma poco dopo
vengono avvistate altre due scie di siluri vicine alla poppa, il che desta nel
comandante Cacace dubbi sull’effettiva posizione del sommergibile attaccante.
Quando infine viene determinato che questi si trova probabilmente verso
poppavia, è ormai troppo tardi per effettuare un’azione antisommergibili
efficace, pertanto il Grecale si
riunisce al convoglio, provvedendo al contempo a segnalare la presenza di un
sommergibile venti miglia a sud di Capo dell’Armi (Marisicilia invierà
successivamente in zona la XIV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere ad
effettuare un rastrello antisommergibili, che porterà all’affondamento dell’Oswald da parte dell’Ugolino Vivaldi).
A sua volta, l’Oswald (che non è riuscito a mettere a
segno nessun siluro) lancia via radio un segnale di scoperta relativo al
convoglio.
Successivamente
il Grecale ed il resto
della X Squadriglia lasciano il convoglio e vengono tenuti in crociera
protettiva a metà strada tra i convogli 1 e 3 (quest’ultimo, formato dai
piroscafi Caffaro e Bosforo scortati dalle
torpediniere Generale Antonino Cascino, Generale Achille Papa, Vega e Perseo, è in navigazione da Trapani a Tripoli) e Malta.
1° agosto 1940
Il convoglio 1
raggiunge indenne Tripoli alle 9.45, seguito a mezzogiorno dal convoglio 3.
L’operazione «TVL» viene portata a termine con successo.
8 agosto 1940
Il Grecale (capitano di fregata Edmondo
Cacace), insieme a Maestrale (caposquadriglia,
capitano di vascello Franco Garofalo), Libeccio (capitano
di fregata Errico Simola) e Scirocco (capitano
di fregata Franco Gatteschi), lascia Palermo diretto a Trapani in preparazione
della posa degli sbarramenti di mine 5 AN (200 mine tipo P 200) e 5 AN bis (216
o 240 mine tipo Elia), tra Pantelleria (ad ovest di quest’isola) e la Tunisia.
Qui i quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia imbarcano le mine da
posare, per poi partire alle 17.40, preceduti di quaranta minuti dal posamine
ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla che
è scortato dalle torpediniere Antares (tenente
di vascello Senese) e Sagittario (capitano
di fregata Del Cima).
9 agosto 1940
La posa – effettuata
dallo Scilla per il 5 AN e
dalla X Squadriglia per il 5 AN bis – avviene regolarmente; per determinare
correttamente la posizione, vengono usati oltre al faro di Pantelleria anche
quelli di Capo Bon e Kelibia, accesi dal Comando francese di Biserta su
richiesta della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF) a sua
volta sollecitata da Supermarina. Il campo minato è delimitato dai punti 36°53'
N e 11°16.4' E e 36°56' N e 11°30.2' E.
Il 23 agosto il
cacciatorpediniere britannico Hostile (capitano
di corvetta Anthony Frank Burnell-Nugent) urterà una delle mine dello
sbarramento 5 AN, riportando danni tanto gravi da costringere il gemello Hero a dargli il colpo di grazia,
affondandolo nel punto 36°53’ N e 11°19’ E, una ventina di miglia a sudest di
Capo Bon.
È tuttavia possibile
che su queste mine sia andato accidentalmente perduto anche il sommergibile Smeraldo (tenente di vascello Bartolomeo
La Penna), scomparso con tutto l’equipaggio nel settembre 1941: la sua zona di
agguato, infatti, distava meno di quattro miglia dallo sbarramento 5 AN bis, ed
è possibile che il battello scomparso abbia accidentalmente sconfinato dalla
zona assegnata, finendo sul campo minato.
Grecale, Libeccio, Maestrale, Scirocco, Scilla, Sagittario ed Antares rientrano a Trapani tra le
11 e le 12; le quattro unità della X Squadriglia e lo Scilla imbarcano subito le mine per altri due campi minati, il
6 AN (200 mine tipo P 200) ed il 6 AN bis (240 mine tipo Elia), e ripartono nel
pomeriggio (lo Scilla è
scortato ancora da Antares e Sagittario). Anche queste operazioni di posa
(effettuate dallo Scilla per
il 6 AN e dalla X Squadriglia per il 6 AN bis) sono effettuate regolarmente;
unico inconveniente è lo scoppio di una delle mine lanciate dal Maestrale. La X Squadriglia raggiunge
poi Palermo, da dove ripartirà per ricongiungersi con la sua Squadra.
16-17 agosto 1940
Durante la notte
il Grecale ed i tre gemelli
della X Squadriglia, unitamente alla I Squadriglia Torpediniere (Airone, Alcione, Aretusa, Ariel), vanno a rinforzare la scorta
diretta (torpediniere Procione, Orsa, Orione, Pegaso) dei
trasporti truppe Marco Polo, Città di Palermo e Città di
Napoli, partiti da Tripoli alle 18.30 del 16 per rientrare in Italia.
18-19 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 3 del 18 ed a Napoli alle 19 del 19.
Tiri con i pezzi da 120/50 mm nell’agosto 1940 (g.c. Alberto Villa) |
I serventi di una delle mitragliere contraeree del Grecale consumano il rancio, settembre 1940 (g.c. Alberto Villa) |
1° settembre 1940
A seguito della
riorganizzazione delle forze navali e dello scioglimento della II Divisione a
seguito dello scontro di Capo Spada, la X Squadriglia Cacciatorpediniere viene
assegnata, insieme alla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) della 1a Squadra
Navale.
1-2 settembre 1940
Il Grecale partecipa all’uscita in
mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats», consistente in
varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per
rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
La X Squadriglia cui
appartiene il Grecale (con Maestrale, Libeccio e Scirocco)
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio, nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio
Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie),
alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia),
all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno), e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Complessivamente,
all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13
incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII
e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per
lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare
troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una
velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e
raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in
contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze
italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un
cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si
trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le
forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra,
ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le
forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di
distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a Squadra
non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27
la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere
rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le
navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma
non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
Anche il Grecale lamenta la perdita di due uomini
nella data del 1° settembre: il marinaio Pietro Fissore, di 20 anni, da Bra, ed
il capo meccanico di prima classe Albino Santaniello, di 40 anni, da
Castellammare di Stabia. Entrambi risultano dispersi in mare.
7-9 settembre 1940
Il Grecale lascia Taranto alle 16 del
7, insieme ai tre gemelli, al resto della 1a Squadra
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX
Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duilio della VI Divisione;
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia, Freccia, Saetta e Dardo della VII Squadriglia, Folgore, Fulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia) ed
alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia della I Divisione, Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione;
cacciatorpediniere Carabiniere, Ascari e Corazziere della XII Squadriglia, Alfieri della IX Squadriglia e Geniere della XI Squadriglia). La flotta italiana, che procede
a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50 miglia a sud
di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la Forza H
britannica che si presume diretta verso Malta; in realtà tale formazione,
salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in
Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare:
dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze
francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico,
gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della
congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per
le ore 7 del 9 settembre.
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III
Divisione rispettivamente). Le navi si riforniscono di carburante e rimangono
pronte a muovere, ma non ci sono novità sul nemico, ergo nel pomeriggio
del 10 settembre lasciano Napoli e Palermo per tornare nelle basi di
dislocazione; la 1a Squadra giungerà a Taranto nel tardo
pomeriggio dell’11.
17 settembre 1940
Il marinaio
cannoniere Ugo Asinaro del Grecale,
20 anni, da Sessame, viene dichiarato disperso nel Mediterraneo centrale.
29 settembre-1° ottobre 1940
Il Grecale lascia Taranto la sera del
29 settembre, insieme ai tre gemelli nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori
pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Duilio,
Giulio Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori
leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi),
VIII (incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi e Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio
Veneto) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), XIII (Granatiere,Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano)
e XVI (Pessagno, Usodimare) per contrastare un’operazione
britannica in corso, la «MB. 5», consistente nell’invio a Malta degli
incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti e nell’invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il
tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite,
della portaerei Illustrious,
degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura
dell’operazione.
Il Pola con la I Divisione e 4
cacciatorpediniere partono alle 18.05 del 29, le altre unità alle 19.30; in
aggiunta a queste forze, prende il mare da Messina anche la III Divisione Navale,
con quattro cacciatorpediniere
La formazione uscita
da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi
provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre.
Alle 14.24 del 30
settembre il sommergibile britannico Regent
(capitano di corvetta Hugh Christopher Browne) avvista la formazione italiana
in posizione 38°09’ N e 18°17’ E; trovandosi immediatamente a proravia di essa,
ed a causa dell’elevata velocità delle navi italiane, il sommergibile fatica a
portarsi in una posizione favorevole per l’attacco, ma alle 14.39 lancia
comunque una salva di cinque siluri (sarebbero dovuti essere sei, ma uno si
rivela essere difettoso) contro una delle corazzate, da soli 823 metri di
distanza. In fase di lancio, il Regent
perde il controllo dell’assetto e viene accidentalmente ad affiorare; subito
dopo l’equipaggio lo porta a 91 metri di profondità, ma intanto il sommergibile
è stato avvistato dalla Vittorio Veneto,
mentre la Duilio segnala di essere
stata mancata da tre siluri, il più vicino dei quali le passa un centinaio di
metri a proravia. Il contrattacco dei cacciatorpediniere ha inizio alle 15.05,
ma nessuna delle bombe di profondità esplode vicina al Regent.
In mancanza di
elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della
Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca
da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
Alcune fotografie scattate dal guardiamarina Vittorio Villa del Grecale in Mar Piccolo a Taranto nell’ottobre 1940 (per g.c. del figlio Alberto): il Palazzo del Governo… |
…siluranti ormeggiate alla banchina scuola comando… |
11-12 novembre 1940
Il Grecale si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (banchina torpediniere/banchina di Porta Ponente) insieme al
resto della X Squadriglia (Libeccio, Grecale, Scirocco) ed a numerose altre unità (incrociatori pesanti Pola e Trento, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, Geniere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi,
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
posamine Vieste e
rimorchiatore di salvataggio Teseo),
quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la
corazzata Conte di Cavour e
pongono fuori uso la Littorio e
la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma una sola bomba va a segno, colpendo il Libeccio (che non subisce danni
gravi, perché la bomba non esplode).
Nel pomeriggio del 12
novembre la X Squadriglia, insieme alla XIII Squadriglia ed alle
corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria (uniche uscite indenni
dall’attacco) lascia Taranto, base non più sicura, e raggiunge Napoli.
Della “notte di
Taranto” racconta Alberto Villa, figlio del guardiamarina Vittorio Villa
imbarcato all’epoca sul Grecale: "L’11 novembre del ‘40 il Grecale si trovava
nel porto di Taranto durante il famoso attacco notturno degli aerei inglesi.
Mio padre era di guardia quella notte, quando gli aerosiluranti giunsero sul
porto volando in formazione a bassa quota e per giunta con le luci di posizione
accese (forse per potersi tenere d’occhio a vicenda, dato erano vicini l’uno
all’altro). Erano dunque ben visibili, e si trattava di biplani che procedevano
piuttosto lentamente. Mio padre fece una cosa ovvia, date le circostanze: diede
subito l’ordine di aprire il fuoco con le mitragliere, il che avvenne
prontamente. Il giorno dopo il Guardiamarina Villa venne punito per aver dato
quell’ordine (se non ricordo male, l’ordine andava impartito da un ufficiale
superiore, e mio padre avrebbe forse dovuto prima svegliare il comandante, o
qualcosa di simile...)".
Vittorio
Villa sul Grecale a La Spezia,
inverno 1940-1941 (g.c. Alberto Villa)
19 dicembre 1940
Il Grecale partecipa al salvataggio dei naufraghi dei grossi piroscafi tedeschi Geierfels e Freienfels, saltati su mine (un campo minato difensivo italiano, della cui posizione non erano al corrente) al largo della Gorgona, durante la navigazione da Napoli verso la Francia meridionale dove avrebbero dovuto caricare truppe e mezzi in preparazione dell'operazione "Felix", il pianificato ma mai attuato assalto a Gibilterra. Gli equipaggi di entrambi i piroscafi risulterebbero essere stati tratti in salvo al completo; Geierfels e Freienfels sono le prime navi tedesche affondate in Mediterraneo nella seconda guerra mondiale.
Una serie di foto scattate dal guardiamarina Vittorio Villa del Grecale (si ringrazia il figlio Alberto)
durante il salvataggio dei naufraghi: la nave in affondamento dovrebbe essere
il Freienfels, che risulterebbe
essere affondato di prua, mentre il Geierfels
(gemello del Freienfels) sarebbe
affondato di poppa
11-12 gennaio 1941
Il Grecale, insieme ai tre gemelli, ad una
sezione della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere ed Alpino)
ed ai cacciatorpediniere Freccia e Saetta della VII Squadriglia, parte
da La Spezia alle 4 dell’11 gennaio, scortando le corazzate Andrea Doria e Vittorio Veneto (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino) inviate ad intercettare e finire la
portaerei britannica Illustrious,
che è stata gravemente danneggiata dalla Luftwaffe, nel canale di Sicilia (cioè
a più di un giorno di navigazione da La Spezia). Le navi dirigono verso sud a
20 nodi, ma alle 14.30 Supermarina, informata che l’Illustrious ha già raggiunto Malta nella notte precedente,
ordina a Iachino, che si trova in quel momento nelle acque delle Isole Pontine,
di tornare indietro. Durante il rientro alla base le navi effettuano una serie
di esercitazioni di tiro e di manovra, per poi giungere a La Spezia alle 9 del 12
gennaio.
Lancio di un siluro (g.c. Alberto Villa) |
Il comandante Cacace ed il tenente di vascello Tenti nel gennaio 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Il
guardiamarina Vittorio Villa nel gennaio 1941 (g.c. Alberto Villa)
Altri cacciatorpediniere fotografati da bordo del Grecale nel gennaio 1941; l’unità più vicina sembrerebbe essere il Vincenzo Gioberti (g.c. Alberto Villa) |
8-11 febbraio 1941
Alle 18.30 dell’8
febbraio il Grecale ed il resto
della X Squadriglia (Maestrale, Libeccio e Scirocco) superano le ostruzioni foranee
uscendo per primi dal porto di La Spezia, insieme alle corazzate Vittorio Veneto (ammiraglia dell’ammiraglio
Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (della V Divisione) ed
alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Fuciliere, Alpino) per intercettare l’aliquota della Forza H britannica
(incrociatore da battaglia Renown,
corazzata Malaya,
portaerei Ark Royal,
incrociatore leggero Sheffield,
cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake)
che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure
(ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in
mare la X Squadriglia assume posizione di scorta ravvicinata a dritta (la XIII
Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a sinistra) delle tre navi da
battaglia, che procedono su rotta 220°
ad una velocità di 16 nodi. Alle otto del mattino del 9 le unità uscite da La
Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad ovest di Capo Testa sardo, alla III
Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia,
ed alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è
ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi,
errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana,
in navigazione verso sudest (verso la posizione in cui si ritiene probabile
trovarsi il nemico), non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento
di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra
italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo
dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad
ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da
152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici,
uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene
inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi
italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi (solo alle 9.50 Iachino viene a
sapere del bombardamento di Genova), fanno rotta verso nord, con le corazzate
precedute di 10 km dalla III Divisione. La formazione si trova 30 miglia più a
sud di quanto previsto. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta
e posizione delle forze britanniche, la formazione italiana assume rotta 330°
in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest
costeggiando la Provenza (una ipotesi corretta, che avrebbe effettivamente
permesso alle forze italiane di intercettare la Forza H entro un’ora), ma alle
13.16, dopo aver ricevuto nuovi messaggi su (errati) avvistamenti delle navi
britanniche (una portaerei ancora nel Golfo di Genova, diretta a sud, ed altre
tre navi ad ovest-sud-ovest di Capo Corso con rotta nordest: queste ultime sono
in realtà un convoglio francese, il «CN 4», in navigazione da Tolone a Bona),
che spingono Iachino a pensare che le forze britanniche, divise in due gruppi,
intendano riunirsi ad ovest di Capo Corso per poi ritirarsi verso sud lungo la
costa occidentale della Sardegna (impressione rafforzata dal fatto che un
idroricognitore catapultato dal Trieste non
ha avvistato nulla nelle acque della Provenza, nonché da rilevamenti
radiogoniometrici sospetti che sembrano confermare tale ipotesi), le corazzate
accostano di 60° assumendo rotta 30° (la III Divisione assume invece rotta 50°
alle 13.07), accelerando a 24 nodi (30 per gli incrociatori), e la X
Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità
settentrionale della formazione (analogamente fa la XIII Squadriglia, che però
si posiziona all’estremità meridionale).
Alle 13.21 viene
diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo
prossimo l’incontro con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate
delle navi sospette, che però si rivelano essere mercantili francesi in
navigazione: quelli del convoglio «CN 4». Alle 15.50 la squadra italiana
accosta verso ovest (rotta 270°) e prosegue a 24 nodi (per il gruppo delle
corazzate; 30 per gli incrociatori) per intercettare la Forza H nel caso stia
navigando verso ovest lungo la costa francese (infatti Supermarina ha
comunicato che tra le 12 e le 13 aerei italiani hanno avvistato ed attaccato la
Forza H a sud della Provenza), ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20
nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18
le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18
nodi e cessando il posto di combattimento. Durante la notte, in seguito ad un
ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a
15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi
così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61,
come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina
per la III Divisione), dove le navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio, in
quanto l’accesso al porto di La Spezia è temporaneamente ostruito dalle mine
lanciate da aerei britannici durante l’attacco; dragate queste ultime, il
gruppo delle corazzate potrà lasciare Napoli nel tardo pomeriggio dell’11,
giungendo a La Spezia nel pomeriggio del 12.
22 marzo 1941
Il Grecale e le altre tre unità della
X Squadriglia, insieme alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (che poi
prosegue per Messina) ed ad una sezione della VII Squadriglia, lasciano La
Spezia per Napoli, scortando la corazzata Vittorio Veneto, che giunge nel porto Partenopeo il mattino del 23, per poi attendere l’inizio
dell’operazione «Gaudo».
Il Grecale ed un gemello in navigazione a tutta forza (da Wiki Wargaming) |
23 marzo 1941
Il marinaio
cannoniere Giuseppe Celentano del Grecale,
di 22 anni, da Vico Equense, muore in territorio metropolitano.
26-27 marzo 1941
Grecale (capitano di fregata Edmondo Cacace), Maestrale (caposquadriglia, capitano di vascello Ugo
Bisciani), Libeccio (capitano
di fregata Errico Simola) e Scirocco (capitano
di fregata Domenico Emiliani) lasciano Pozzuoli alle 21 per scortare da Napoli
a Messina la corazzata Vittorio
Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, partita da
Napoli alle 20.30), che insieme alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano),
alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi), alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo
Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), alla XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno) ed alla XII
Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere), parteciperà all’operazione «Gaudo», un’incursione
contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta.
Alle 6.15 del 27,
davanti a Messina, la X Squadriglia viene rilevata dalla XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) che scorterà la Vittorio Veneto per il resto della
missione, e poi entra a Messina, rifornendosi di carburante e restandovi poi
pronta a muovere in due ore. La X Squadriglia non prenderà quindi parte
all’operazione, che sfocerà nella tragica sconfitta di Capo Matapan.
28 marzo 1941
Alle 22.20 la X
Squadriglia, su richiesta dell’ammiraglio Iachino, viene fatta partire da
Messina per raggiungere in un punto a 92 miglia per 231° da Capo Matapan (od in
altro punto che dovrà eventualmente essere indicato dal Comando della I Divisione)
la I Divisione Navale (incrociatori pesanti Zara e Fiume,
cacciatorpediniere Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci della
IX Squadriglia), che è stata inviata in soccorso del Pola, immobilizzato da aerosiluranti britannici nel punto
sopraindicato. Proprio in quei minuti, però, le corazzate britanniche Valiant, Warspite e Barham,
giunte vicine al Pola prima
della I Divisione, si accingono ad aprire il fuoco contro quest’ultima: colta
completamente di sorpresa, la I Divisione viene annientata, con l’affondamento
di Zara, Fiume, Alfieri e Carducci (oltre
al Pola) ed il danneggiamento
dell’Oriani, che riesce a sfuggire
insieme all’indenne Gioberti.
29 marzo 1941
Iachino, che ha
assistito a distanza al disastro, all’1.18 chiede che la X Squadriglia – siccome
per la I Divisione non c’è più nulla da fare – raggiunga la Vittorio Veneto (anch’essa
danneggiata da un aerosilurante la giornata del 28, e costretta a procedere a
velocità ridotta) a 60 miglia per 139° da Capo Colonne. Ciò viene fatto; con le
luci dell’alba, la X Squadriglia assume posizione di scorta a sinistra
dell’VIII Divisione, che a sua volta è posizionata a sinistra della Vittorio Veneto (mentre alla dritta
della corazzata c’è la III Divisione), in formazione diurna di marcia. Alle
6.23 sopraggiungono cinque bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 di scorta aerea,
seguiti più tardi da caccia tedeschi e poi (già dentro il Golfo di Taranto)
anche tre caccia italiani. Alle 9.08 la formazione italiana assume rotta 343°,
ed alle 9.40 Maestrale e Libeccio vengono distaccati per
raggiungere l’Oriani, rimasto
immobilizzato per i danni a 110 miglia per 280° da Capo Matapan.
La formazione
italiana giunge a Taranto alle 15.30, dopo di che Grecale e Scirocco
vengono fatti proseguire per Brindisi scortando l’VIII Divisione.
14 aprile 1941
Il Grecale (capitano di fregata Giovanni Di
Gropello), i cacciatorpediniere Aviere (caposcorta,
capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere (capitano
di fregata Giovanni Bonetti) e Camicia
Nera e la torpediniera Pleiadi partono
da Napoli per Tripoli all’1.45, scortando un convoglio formato dai piroscafi
tedeschi Maritza, Procida, Alicante e Santa Fe,
con truppe e materiali dell’Afrika Korps.
17 aprile 1941
In seguito alla
distruzione di un altro convoglio, il «Tarigo», da parte di una squadriglia di
cacciatorpediniere britannici, Supermarina decide di interrompere
momentaneamente il traffico con la Libia; di conseguenza il convoglio di cui fa
parte il Grecale (convoglio
«Alicante») viene temporaneamente dirottato a Palermo, dove giunge alle tre di
notte.
18 aprile 1941
Dopo meno di
ventiquattr’ore di blocco, il traffico con la Libia viene ripreso, dal momento
che l’Armata corazzata italo-tedesca necessita di rifornimenti urgenti per
proseguire l’offensiva in Cirenaica. Il convoglio di cui fa parte il Grecale riparte quindi da Palermo alle
8.
Grecale e Maestrale di scorta ad un convoglio nell’aprile 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Uno Junkers Ju 88 della scorta aerea (g.c. Alberto Villa) |
20 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 5.
21 aprile 1941
Dopo alcuni attacchi
aerei (tra l’1.50 e le 3.51) da parte di bombardieri Vickers Wellington
(decollati da Malta), Fairey Albacore e Fairey Swordfish (in parte decollati da
Malta, in parte dalla portaerei Formidable), tra le 4.03 e le 5 il porto
di Tripoli viene bombardato da una nutrita formazione navale britannica, che
comprende le corazzate Warspite, Valiant e Barham, gli incrociatori leggeri Ajax, Orion, Perth e Gloucester e tredici cacciatorpediniere (Havock, Hasty, Hero, Hereward, Havock, Hotspur, Jervis, Janus, Juno, Jaguar, Griffin, Defender, Kingston, Kimberley):
si tratta dell’operazione «M.D. 3».
Il bombardamento,
protrattosi per tre quarti d’ora, colpisce duramente la città, provocando
elevate perdite tra la popolazione civile, ma arreca danni relativamente
contenuti alle attrezzature portuali ed al naviglio presente.
Nel corso del
bombardamento vengono affondati il piroscafo Marocchino, la motonave Assiria e
la motovedetta Cicconetti della
Guardia di Finanza, mentre subiscono danni non gravi il cacciatorpediniere Geniere, la torpediniera Partenope, la cisterna militare Tanaro ed alcune unità minori. Le
perdite militari ammontano in tutto a cinque morti e 21 feriti.
A dispetto del
bombardamento, alle 14.30 dello stesso giorno Grecale, Aviere (caposcorta),
Geniere e Camicia Nera ripartono da Tripoli scortando Alicante, Maritza e Santa Fe che
rientrano indenni in Italia, dopo aver regolarmente scaricato i rifornimenti
che trasportavano.
Alcune foto scattate da Vittorio Villa a Tripoli nell’aprile 1941, poco dopo il bombardamento navale (g.c. Alberto Villa) |
Un idrovolante da soccorso in secco vicino ad un peschereccio requisito (g.c. Alberto Villa) |
Un mercantile tedesco in porto (g.c. Alberto Villa) |
22 aprile 1941
A seguito di allarme
navale (Supermarina ha nuovamente sospeso il traffico con la Libia a causa di
movimenti di forze di superficie britanniche nel Mediterraneo orientale), il convoglio
deve rientrare a Tripoli alle 9. Da qui poi riparte alle 17.50 (o 19), con
l’aggiunta del Procida, seguendo
la rotta delle Kerkennah.
25 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 6.30.
8 maggio 1941
Il Grecale lascia Napoli alle tre di
notte scortando, insieme ai cacciatorpediniere Dardo, Aviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera, un convoglio composto dai piroscafi Ernesto e Tembien, dalle motonavi italiane Giulia e Col di
Lana e dalle tedesche Preussen e Wachtfels.
9 maggio 1941
Il convoglio deve
rientrare a Napoli all’1.15 a seguito di allarme navale.
(da www.klueser.eu) |
11 maggio 1941
Il convoglio riparte
da Napoli alle due di notte.
Per fornirgli scorta
a distanza nel Canale di Sicilia, escono in mare gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Luigi Cadorna della IV
Divisione, Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi dell’VIII Divisione, ed i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Antonio Pigafetta (aggregati alla
VIII Divisione), Maestrale, Scirocco, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino (aggregati alla IV
Divisione).
La navigazione del
convoglio, che fruisce anche di una robusta scorta aerea nelle ore diurne,
procede senza intoppi, salvo qualche problema nelle comunicazioni interne al
convoglio ed in quelle con le divisioni di incrociatori.
12 maggio 1941
La IV Divisione,
uscita da Palermo la sera precedente, raggiunge il convoglio alle cinque del
mattino. Nel tardo pomeriggio il Bande
Nere lascia la formazione e rientra a Palermo, scortato dall’Alpino, a causa di un’avaria in caldaia.
13 maggio 1941
Il convoglio arriva
Tripoli alle 11.40.
Il Tembien e le altre navi del convoglio viste dal Grecale (g.c. Alberto Villa) |
Vittorio Villa al lavoro con il sestante nel maggio 1941 (g.c. Alberto Villa) |
20 maggio 1941
Grecale, Dardo, Aviere (caposcorta) e Camicia Nera, insieme alla torpediniera Enrico Cosenz, lasciano Tripoli per
Napoli alle 16, scortando Col di Lana,
Giulia, Ernesto, Wachtfels, il
piroscafo Amsterdam e la nave
cisterna Sanandrea, di ritorno in
Italia. È presente anche una scorta indiretta, rappresentata dalla VIII
Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi, cacciatorpediniere Granatiere,
Bersagliere ed Alpino).
23 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 23.
25-29 maggio 1941
Grecale, Maestrale e
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna forniscono
scorta a distanza ad un convoglio (piroscafi tedeschi Duisburg e Preussen,
piroscafi italiani Bosforo e Bainsizza, navi cisterna Panuco e Superga) in navigazione da Tripoli a Napoli, con la scorta diretta
dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine e Turbine. Il convoglio lascia Tripoli alle 9, vi fa ritorno alle 15
del 26 per un allarme a Lampedusa e poi riparte alle 8 del 27.
Al contempo, Grecale, Maestrale e Cadorna fungono
da scorta a distanza anche per un secondo convoglio (motonavi italiane Andrea Gritti, Marco Foscarini, Sebastiano
Venier, Barbarigo e Rialto, motonave tedesca Ankara, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Antonio Da Noli e delle
torpediniere Cigno, Procione e Pegaso) in navigazione sulla rotta
opposta (partito da Napoli alle 2.30).
Il 27 maggio il convoglio
proveniente da Napoli viene attaccato da bombardieri britannici a volo radente;
la Venier subisce solo
danni leggeri, ma la Foscarini viene
incendiata e, benché portata ad incagliare davanti a Tripoli, non verrà mai
recuperata. Le altre motonavi entrano a Tripoli il mattino del 28.
Grecale, Maestrale e Cadorna entrano a Palermo il
mattino del 29 maggio; le navi del convoglio proveniente da Tripoli
raggiungeranno le rispettive destinazioni (Trapani, Palermo e Tripoli) tra la
sera del 29 e le prime ore del 30.
Giugno 1941
Assume il comando del
Grecale il capitano di fregata
Giovanni Di Gropello (39 anni, da Alessandria), che avvicenda il comandante
Cacace.
9 giugno 1941
Grecale, Scirocco e Maestrale scortano il Bande Nere in una breve uscita da
Palermo per esercitazioni di tiro.
Il Grecale in navigazione nel giugno 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Il sottocapo elettricista Di Donato ed il sottocapo segnalatore Tricarico nel giugno 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Il sottocapo elettricista Tasso (g.c. Alberto Villa) |
Il sottotenente di vascello Carlo Ferrari nel maggio 1941 (g.c. Alberto Villa) |
23 giugno 1941
Grecale, Maestrale ed un
altro cacciatorpediniere, l’Antoniotto
Usodimare (temporaneamente aggregato alla X Squadriglia Cacciatorpediniere),
vanno a rinforzare la scorta diretta (cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello, caposcorta, e
torpediniere Orsa, Procione, Pegaso, Enrico Cosenz e Clio) di un convoglio (piroscafi
italiani Amsterdam, Tembien ed Ernesto, piroscafo tedesco Wachtfels, motonavi Giulia e Col di Lana) partito da Tripoli per Napoli alle 15 del 21, dopo che
nella giornata del 22 il convoglio è stato oggetto di pesanti attacchi aerei
che hanno gravemente danneggiato il Tembien ed
il Wachtfels, costringendoli a
dirottare su Trapani con la scorta dell’Orsa.
(Per altra versione, invece, Grecale e Maestrale vengono fatti salpare da
Palermo e mandati incontro a Tembien e Wachtfels, che scortano a Pantelleria
insieme ad Orsa e Procione, le quali erano rimaste ad
assisterli fin dal momento del loro danneggiamento).
24 giugno 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 3.30.
(da www.naviearmatori.net, utente pasturin) |
6 luglio 1941
Il Grecale salpa da Palermo alle 19.30
insieme a Maestrale e Scirocco (per altra fonte sarebbe
stato presente anche il Libeccio),
per scortare la IV Divisione (Bande Nere e Di Giussano, al comando dell’ammiraglio
Guido Porzio Giovanola) che deve prendere parte alla posa della terza tratta
(«S 3», con le spezzate «S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444 boe
esplosive) dello sbarramento «S».
7 luglio 1941
Poco dopo le cinque
del mattino la X Squadriglia e la IV Divisione si accodano alla VII Divisione (Attendolo e Duca d’Aosta, che ha a bordo
l’ammiraglio Ferdinando Casardi, comandante superiore in mare) ed ai
cacciatorpediniere Da Recco, Da Mosto, Da Verrazzano, Pigafetta e Pessagno (questi ultimi due partiti
da Trapani, mentre le altre unità sono salpate da Augusta). Data la scarsa
visibilità, l’ammiraglio Casardi tiene i cacciatorpediniere in posizione di
scorta ravvicinata anche di notte, e fa zigzagare nelle zone dove più probabile
è l’incontro con sommergibili avversari.
Alle 7 le navi (le
mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta)
iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa – durante tale
manovra un aereo della ricognizione marittima avvista una mina, che segnala con
una fumata verde: uno dei cacciatorpediniere della X Squadriglia viene quindi
distaccato per distruggerla –, ed alle 7.45 iniziano a posare le mine,
terminando alle 8.57.
La VII Divisione
dirige poi per Taranto; alle 15.11 la IV Divisione viene lasciata libera di
raggiungere Palermo.
21-22 luglio 1941
Grecale, Libeccio, Maestrale e Scirocco scortano le corazzate Littorio e Vittorio
Veneto della IX Divisione durante esercitazioni di tiro diurno e
notturno.
15 agosto 1941
A seguito di una
nuova riorganizzazione delle forze navali, la X Squadriglia Cacciatorpediniere
viene assegnata alla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Montecuccoli, Attendolo e Duca
d’Aosta).
19 agosto 1941
Il Grecale, insieme ai gemelli Maestrale e Scirocco, lascia Trapani e si unisce
alle 14.50, al largo delle Egadi (poco a nord di Marettimo), alla scorta –
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta
e comandante superiore in mare, contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da Recco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti partiti col convoglio
da Napoli, più la vecchia torpediniera Giuseppe Dezza aggregatasi
alle 13.30 – del convoglio «Marco Polo», salpato da Napoli per Tripoli alle due
di notte e composto dai trasporti truppe Marco Polo (capo convoglio, contrammiraglio Francesco
Canzoneri), Esperia, Neptunia ed Oceania. Il convoglio segue la rotta che
passa a ponente di Malta (Canale di Sicilia, Pantelleria, Isole
Kerkennah); Grecale e
gemelli si sono uniti per la scorta all’inizio del tratto più pericoloso. Di
giorno il convoglio fruisce anche di scorta aerea fornita in modo continuativo
da bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero", caccia biplani
Fiat CR. 42 "Falco" e idrovolanti antisommergibile CANT Z. 501
"Gabbiano" e CANT Z. 506 "Airone" (questi ultimi nel tardo
pomeriggio del 19).
Nel tardo pomeriggio
il convoglio incappa in uno sbarramento di sommergibili britannici (formato in
seguito all’intercettazione di comunicazioni italiane, da cui risulta che il
convoglio passerà ad ovest della Sicilia), venendo attaccato pressoché contemporaneamente
dall’Urge (tenente di vascello
Edward Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten (capitano
di corvetta Edward Arthur Woodward).
Quest’ultimo avvista
il convoglio alle 18.18 in posizione 37°02’ N e 12°00’ E, circa 15 miglia a
nord di Pantelleria (a 8700 metri di distanza per 325° dall’Unbeaten), ed alle 18.31 lancia tre
siluri (un quarto non parte) contro le navi italiane; le armi passano tutte a
molto proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT Z. 501 della 196a Squadriglia
avvista le scie e lancia due bombe contro l’Unbeaten,
che tuttavia è già sceso in profondità dopo il lancio.
L’Urge, invece, avvista il convoglio
(avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N e 11°51’ E (una quindicina
di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a 6400-7315 metri per 30°, e
manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra d’attacco è interrotta da
un’accidentale perdita di assetto, mentre uno dei cacciatorpediniere, avvisato
da un aereo che lo ha avvistato alle 18.15, si avvicina per contrattaccare. Tra
le 18.36 e le 19.25 Vivaldi e Gioberti bombardano l’Urge con bombe di profondità, senza
riuscire a danneggiarlo, ma costringendolo a ritirarsi verso nordovest e
rinunciare all’attacco. Tutti i siluri lanciati nei due attacchi vengono
evitati con pronte contromanovre.
Prima di questi
attacchi, alle 17.20 (a nord di Pantelleria), il Marco Polo ha già evitato due siluri con la manovra, dopo che
è stato diramato il segnale «Scie di siluri a sinistra».
Una serie
di immagini del Grecale e del suo
equipaggio scattate dal guardiamarina Vittorio Villa nell’agosto 1941:
L’elettricista
Di Pietro (sopra) ed il sottocapo elettricista Di Donato (sotto) al lavoro nella centrale
elettrica (g.c. Alberto Villa)
“Che dio ce la mandi buona” (g.c. Alberto Villa) |
Il marinaio Alliano (g.c. Alberto Villa) |
Fritz (g.c. Alberto Villa) |
La mascotte di bordo Lola con il suo cucciolo Fritz (g.c. Alberto Villa) |
Il sottotenente del Genio Navale Oreste Ricotti (g.c. Alberto Villa) |
Il sottotenente di vascello Lando Caimmi affacciato ad una delle finestre della plancia (g.c. Alberto Villa) |
I sottotenenti di vascello Carlo Ferrari e Lando Caimmi (in primo piano) sull’aletta di plancia con alcuni marinai (g.c. Alberto Villa) |
Il sottotenente di vascello Carlo Ferrari ed il tenente di vascello Giorgio Volpe, comandante in seconda del Grecale, in plancia (g.c. Alberto Villa) |
Il cannoniere Milani su un’amaca allestita presso il posto di combattimento (g.c. Alberto Villa) |
Vittorio Villa in cuccetta (g.c. Alberto Villa) |
Giovannelli, membro dell’equipaggio non meglio identificato (g.c. Alberto Villa) |
Il silurista Viviani suona il mandolino in un momento di relax (g.c. Alberto Villa) |
Il sottocapo infermiere Micheletti affacciato a una finestra della plancia (g.c. Alberto Villa) |
Pennesi e Volpe (g.c. Alberto Villa) |
Pennesi, Ferrari ed un ufficiale non identificato (g.c. Alberto Villa) |
Un incrociatore leggero, forse l’Attendolo, nel porto di Palermo (g.c. Alberto Villa) |
In navigazione nell’agosto 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Oceania ed Esperia fotografate da bordo del Grecale il 20 agosto 1941 (g.c. Alberto Villa)
|
Marco Polo, Esperia, Neptunia ed Oceania viste dalla plancia del Grecale (g.c. Alberto Villa) |
Caccia Macchi 200 della scorta aerea visti dal Grecale (g.c. Alberto Villa) |
20 agosto 1941
All’una di notte Grecale e Maestrale rientrano a Trapani, mentre alle 8.30 si
aggregheranno al convoglio la torpediniera Partenope, giunta da Tripoli per pilotare il convoglio sulla rotta
di sicurezza (le cui acque sono state dragate da un gruppo di dragamine, che
precedono inoltre il convoglio lungo la rotta di sicurezza), e due MAS
anch’essi usciti da Tripoli.
Diverse ore più
tardi, l’Esperia verrà silurata
dal sommergibile britannico Unique (inviato
anch’esso in agguato davanti a Tripoli in seguito alle già citate
decrittazioni) ed affonderà in vista di Tripoli, anche se le navi della scorta
riusciranno a salvare 1139 dei 1182 uomini a bordo.
24-25 settembre 1941
Grecale, Scirocco e Maestrale (la X Squadriglia
Cacciatorpediniere) si trasferiscono da Palermo a La Maddalena insieme agli
incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VIII
Divisione) in preparazione del contrasto all’operazione britannica «Halberd»,
iniziata il 24 settembre.
Scuola
di nuoto e tuffi a Palermo, settembre 1941 (g.c. Alberto Villa)
26 settembre 1941
In serata Grecale, Scirocco, Maestrale, Attendolo e Duca degli Abruzzi prendono il mare da La Maddalena per intercettare
ed attaccare a sudest della Sardegna un convoglio britannico diretto a Malta
nell’ambito dell’operazione «Halberd».
Tale convoglio è
formato dalla cisterna militare Breconshire e
dai mercantili Ajax, City of Calcutta, City of
Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star e Rowallan
Castle, con 81.000 tonnellate di
rifornimenti, e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of
Wales), una portaerei (Ark Royal),
cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus) e 18 cacciatorpediniere (i
britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers).
Dopo la partenza da
Gibilterra, la forza navale britannica si è divisa in due gruppi: uno, composto
da Nelson (nave ammiraglia
dell’ammiraglio James Somerville, comandante superiore in mare), Ark Royal, Hermione, Cossack, Zulu, Forester, Foresight, Lightning e Laforey, procede in posizione avanzata con rotta verso il
Mediterraneo centrale, mentre l’altro, al comando dell’ammiraglio Alban Curteis
e composto da Rodney, Prince of Wales, Sheffield, Kenya, Edinburgh, Euryalus, Oribi, Piorun, Isaac Sweers, Heythrop, Ghurkha, Legion, Lance, Lively, Duncan, Fury e Farndale, rimane a protezione dei mercantili e segue una rotta che
passa più a nord.
Alle 7.18 del 26 un
idrovolante CANT Z. della 287a Squadriglia da Ricognizione Marittima
ha avvistato il gruppo dell’ammiraglio Somerville ad ovest dell’isola di La
Galite, lanciando un primo segnale di scoperta relativo ad una corazzata, una
portaerei, quattro incrociatori ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere
con rotta 90° e velocità 12 nodi in posizione 37°43’ N e 08°55’ E, seguito più
tardi da un secondo segnale relativo a tre incrociatori con rotta 90° e
velocità 18 nodi in posizione 37°55’ N e 08°55’ E. Successivamente, un aereo
civile spagnolo avvista anche il gruppo dell’ammiraglio Curteis, la cui
posizione verrà inoltrata dagli spagnoli ai Comandi italiani.
Per intercettare il
convoglio, oltre all’VIII Divisione e la X Squadriglia da La Maddalena, prendono
il mare anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la IX Divisione (Littorio, Vittorio Veneto) rispettivamente da
Messina e Napoli, accompagnate rispettivamente dalla XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Gioberti)
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno). Comandante in capo è l’ammiraglio Angelo Iachino.
Da parte italiana,
però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che
la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i
britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste
italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei. L’ordine per le forze
italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva, e di
non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta
superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di
Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La
Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una
delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Radiotelegrafisti al lavoro nella stazione radio principale del Grecale, settembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Radiosegnalatore (g.c. Alberto Villa) |
Un radiogoniometrista non identificato, successivamente rimasto ucciso nell’azione del 9 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa). Forse si trattava del sottocapo radiotelegrafista Paolo Gennaro. |
Il tenente medico Pennesi, il comandante in seconda Volpe ed il comandante Di Gropello a bordo del Grecale a Palermo nel settembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
27 settembre 1941
A mezzogiorno la III,
la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere,
si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per
intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a 24 nodi per
l’intercettazione, con gli incrociatori che precedono di 10.000 metri le
corazzate. Più o meno alla stessa ora, l’ammiraglio Somerville viene informato
dell’uscita in mare della flotta italiana.
Sempre a mezzogiorno,
dato che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una
portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli
aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a
silurare e danneggiare la Nelson),
la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve
libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di combattimento, e le
corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico.
Quando però il contatto appare imminente, in seguito a nuove segnalazioni dei
ricognitori viene appreso che le forze britanniche ammontano in realtà a due
corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei incrociatori, il che pone la squadra
italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica, e per
giunta la prima è sprovvista di copertura aerea (soltanto sei caccia, con
autonomia dalle basi non superiore a 100 km), mentre le navi italiane sono
tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e più tardi, dalle 15.15 alle
17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed
esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei. Alle 14.30,
considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza
di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal
raggio degli aerosiluranti nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia
italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della loro
somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono
inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia (il pilota sarà tratto
in salvo dal Granatiere), mentre
gli altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo
cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e due
incrociatori silurati e danneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli
attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava
procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per
est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato
da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima
del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino
le navi italiane attraversano il canale di Sardegna e, come ordinato,
raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno rotta per
ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più
alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti
passato) viene ordinato il rientro alle basi; l’VIII Divisione viene fatta
dirigere a Messina (eccetto lo Scirocco,
mandato a Cagliari a seguito di un’avaria).
Alle 17.22 l’Attendolo avvista scie di siluri ed
accosta immediatamente a sinistra; così fa anche il Montecuccoli, che lo segue e vede passare due siluri a soli 20
metri, sulla dritta. Le navi lanciano in mare alcune bombe di profondità.
29 settembre 1941
L’VIII Divisione
raggiunge Messina alle otto del mattino.
Gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (a destra) e Muzio Attendolo fotografati dal Grecale, ottobre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
In
navigazione nel Canale di Sicilia, ottobre 1941 (g.c. Alberto Villa)
Il marinaio Gennaro Martuscelli, rimasto ucciso nella notte del 9 novembre 1941, in una foto del precedente ottobre (g.c. Alberto Villa) |
I secondi capi cannonieri Ventrella e Giuseppe Rigamonti (a destra). Anche Rigamonti sarebbe rimasto ucciso il 9 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Il tenente medico Pennesi ed il sottotenente di vascello Cremonini (g.c. Alberto Villa) |
Il tenente medico Pennesi nell’ottobre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Il Grecale aveva una notevole “muta” di mascotte: qui insieme a Ciccia e Fritz, Paolina (g.c. Alberto Villa) |
Ciccia sonnecchia in coperta (g.c. Alberto Villa) |
Sopra, il Grecale all’ormeggio a Napoli nell’ottobre 1941; sotto, alcune foto scattate da Vittorio Villa in quel periodo (per g.c. del figlio Alberto): |
I cacciatorpediniere Fulmine e Fuciliere con i panni stesi in coperta |
La nave ospedale Virgilio |
Particolare di un piroscafo sotto carico ormeggiato accanto al Grecale… |
Convoglio “Duisburg”
Alle 3.30 dell’8
novembre 1941 il Grecale, al comando
del capitano di fregata Giovanni Di Gropello, salpò da Messina insieme ai
cacciatorpediniere Libeccio (capitano
di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo
Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò), scortando il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso
Guglielmo Schettini) e la pirocisterna Conte
di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco) diretti a Tripoli.
Queste cinque navi
formavano il secondo gruppo di un grande convoglio, denominato «Beta», in
partenza per la Libia con un ingente quantitativo di rifornimenti per le truppe
italo-tedesche operanti in Nordafrica: in tutto costituivano tale convoglio
sette navi mercantili e sei cacciatorpediniere di scorta.
Il primo e più
numeroso gruppo del convoglio, salpato da Napoli il giorno precedente, era
formato dalla motonave Maria (capitano
di lungo corso Angelo Pogliani), dal piroscafo italiano Sagitta (capitano di lungo corso
Domenico Ingegneri), dalla motonave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati) e dai
piroscafi tedeschi Duisburg (capitano
di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso
Paul Ossemberg), scortati dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo
Bisciani), Euro (capitano
di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano
di corvetta Mario Milano). La riunione dei due gruppi era prevista per il
mattino dell’8 novembre, nello stretto di Messina.
…il direttore di macchina del Grecale schiaccia un pisolino in una pausa dal suo estenuante lavoro… |
…il Grecale in porto. |
Il convoglio «Beta»,
noto anche come "Duisburg" (51. Seetransportstaffel per i comandi
tedeschi), era in assoluto uno dei più grandi convogli dell’Asse mai partiti
per l’Africa Settentrionale: normalmente, infatti, i convogli italo-tedeschi
per la Libia non contavano più di tre o quattro mercantili. La formazione di un
convoglio tanto numeroso, in vista di una pianificata offensiva italo-tedesca
contro Tobruk e l’Egitto (con inizio previsto per il 21 novembre, per la quale
era necessario costituire considerevoli riserve di carburante ed altri
rifornimenti), era stata autorizzata dal Comando Supremo il 29 ottobre, a
dispetto della perplessità della Marina. A fine ottobre il traffico con il
Nordafrica era stato temporaneamente interrotto a seguito della notizia
dell’arrivo a Malta, il 21 ottobre (136° anniversario di Trafalgar, data scelta
non a caso), di una formazione navale britannica: la Forza K, composta dagli
incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dai
cacciatorpediniere Lance e Lively. Questa formazione aveva la precisa
finalità di insidiare le linee di rifornimento italo-tedesche dell’Africa
Settentrionale, compiendo scorrerie notturne – profittando della superiorità
della Royal Navy rispetto alla Regia Marina nel combattimento notturno, dovuta
sia al possesso del radar che ad un migliore addestramento alle azioni di notte
– a danno dei convogli dell’Asse diretti in Libia. Aurora e Penelope erano
stati inviati direttamente dal Regno Unito (provenivano da Scapa Flow), Lance e Lively erano invece stati distaccati dalla Forza H di
Gibilterra.
L’invio a Malta della
Forza K scaturiva da una richiesta originatasi direttamente dal primo ministro
britannico Winston Churchill, il 22 agosto 1941, per mezzo di una lettera
spedita all’Ammiragliato britannico: intervenendo in una diatriba in corso fin
da inizio luglio tra l’Ammiragliato ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore,
nella quale si lamentava l’insufficienza dei mezzi a disposizione della
Mediterranean Fleet per assolvere il suo compito di contrasto all’invio di
rifornimenti dall’Italia alla Libia, Churchill proponeva di dislocare a Malta
una forza leggera composta da uno o due incrociatori ed unità sottili. La
risposta fu la costituzione della Forza K.
Tra il 21 ottobre e
l’8 novembre la nuova forza britannica di base a Malta aveva già compiuto due
tentativi di scorreria notturna, ma senza successo: nelle notti del 25-26
ottobre e dell’1-2 novembre, infatti, le navi della Forza K erano uscite in
mare per intercettare rispettivamente un convoglio italiano ed una formazione di
cacciatorpediniere in missione di trasporto, ma non erano riuscite a trovare né
l’uno né l’altra ed erano rientrate a mani vuote.
La sospensione dei
traffici da parte italiana, ordinata il 22 ottobre (dopo che l’arrivo a Malta
delle navi britanniche, segnalato dallo spionaggio italiano nell’isola, era
stato confermato anche dalla ricognizione aerea) dal capo di Stato Maggiore
della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi (che aveva altresì sollecitato
un’intensificazione dei bombardamenti su Malta da parte dell’Aeronautica,
invitando al contempo il Comando Supremo a fare pressione sull’alleato tedesco
affinché i reparti aerei della Luftwaffe, ritirati dal Mediterraneo qualche
mese prima, venissero riportati in Italia), era durata pochi giorni: poi era dovuta
inevitabilmente riprendere, data la necessità di far avere nuovi rifornimenti
alle forze di Rommel, a maggior ragione in vista della già citata nuova
offensiva prevista per il 21 novembre, la cui preparazione richiedeva
rifornimenti urgenti di considerevoli quantitativi di munizioni, carburanti ed
automezzi. Per prima cosa si era ripreso ad inviare mercantili isolati o a
coppie a Bengasi; poi si era deciso l’invio del convoglio «Beta», che però
sarebbe stato mandato a Tripoli, porto molto più lontano dalla prima linea,
invece che a Bengasi: quest’ultimo porto, infatti, non era in grado di ricevere
e scaricare un convoglio tanto grande. Non era possibile inviare rapidamente in
Libia i rifornimenti previsti per la nuova offensiva utilizzando soltanto Bengasi;
c’erano per la verità anche altri porti della Cirenaica (Bardia, Derna,
Ain-el-Gazala) che per la loro posizione avrebbero potuto essere raggiunti
senza grande rischio di essere attaccati da Malta, ma le loro capacità
ricettive erano ancora più ridotte di quelle di Bengasi, ed inoltre tali
approdi erano troppo esposti agli attacchi aerei provenienti dalle basi
dell’Egitto. In tutta la Libia, soltanto Tripoli era in grado di ricevere e
scaricare i quantitativi di rifornimenti necessari per la preparazione
dell’offensiva, od anche solo per la normale “sopravvivenza” dell’armata
italo-tedesca. Pertanto, fin da inizio novembre l’ammiraglio Arturo Riccardi,
capo di Stato Maggiore della Regia Marina, si era ritrovato insistentemente
“pressato” affinché si riprendesse il prima possibile il traffico con Tripoli,
a partire dall’invio dei numerosi mercantili, tra cui due navi cisterna, già
carichi ed in attesa dell’ordine di partenza nei porti del Sud Italia. Il 3
novembre Supermarina aveva risposto che il convoglio richiesto sarebbe potuto
essere preparato subito, a patto che gli fosse stata fornita una scorta aerea
sia diurna che notturna; ma la scorta aerea notturna era al di fuori delle
possibilità della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, per cui si era dovuto
organizzare il convoglio «Beta» accontentandosi della sola scorta diurna.
In origine
Supermarina aveva stabilito che Rina
Corrado e Conte di Misurata sarebbero
dovuti partire da Palermo, invece che da Messina, e con la scorta dei
soli Grecale e Libeccio (l’Oriani non avrebbe fatto parte della scorta del convoglio,
mentre nella scorta del gruppo proveniente da Napoli ci sarebbe dovuto essere
un cacciatorpediniere in più, l’Antoniotto
Usodimare, che poi non partecipò all’operazione); questo gruppo si sarebbe
dovuto unire a quello proveniente da Napoli 20 miglia a nord di Pantelleria.
Era inoltre previsto che il convoglio dovesse salpare tra il 4 ed il 5
novembre, raggiungendo Tripoli la sera del 6 novembre. Di ciò Supermarina aveva
informato Superaereo il mattino del 3 novembre; il Comando Superiore
dell’Aeronautica aveva impartito le disposizioni per la scorta del convoglio
con aerei da caccia, voli di vigilanza e ricognizione, il bombardamento dei
porti ed aeroporti di Malta e l’approntamento su allarme dei reparti aerei, ma
poco dopo Supermarina aveva fatto sapere che la partenza del convoglio era
rimandata per via delle avverse condizioni meteomarine. Per la verità, più che
un miglioramento del tempo i vertici della Marina aspettavano di poter chiarire
quali scorte aeree e navali sarebbero state disponibili, ed erano ancora
incerti sulla rotta da seguire (inizialmente si era pensato di far passare il
convoglio ad ovest di Malta, seguendo la rotta del Canale di Sicilia, ma alla
fine si decise invece per la rotta ad est di Malta, tracciando un percorso
molto allargato che passasse vicino alla costa occidentale greca per tenersi
lontano dal raggio d’azione degli aerosiluranti maltesi). Si sarebbe voluto
aspettare almeno una settimana, confidando nel previsto arrivo in Sicilia dei
30 bombardieri tedeschi Ju 88 del Kampfgruppe 606 della Luftwaffe, che il
sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti,
giudicava «particolarmente adatti alla
lotta su Malta». Ma non c’era tanto tempo a disposizione: il Comando
Supremo premeva perché quegli urgenti rifornimenti venissero inviati a Tripoli
al più presto, accettando «il rischio e
il prezzo» che si sarebbe dovuto pagare, come riferì per telefono
l’ammiraglio Sansonetti all’ammiraglio Angelo Iachino, comandante in capo della
Squadra Navale.
Il 5 novembre il capo
di Stato Maggiore generale, Ugo Cavallero, aveva ordinato personalmente al
generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di
garantire al convoglio una adeguata scorta aerea. Per parte sua Supermarina, al
fine di scongiurare eventuali attacchi da parte delle navi di superficie
britanniche che si sapeva ora avere base a Malta, assegnò al convoglio, oltre
ai soliti cacciatorpediniere della scorta diretta, anche una scorta indiretta
formata da due incrociatori pesanti, aventi armamento nettamente superiore a
quello degli incrociatori britannici di Malta: la III Divisione Navale
dell’ammiraglio Bruno Brivonesi, formata da Trento e Trieste.
In un primo momento si era optato per l’VIII Divisione Navale, di base a
Palermo e composta dai due grossi incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (i più moderni e
potenti incrociatori del tipo presenti nei ranghi della Regia Marina,
nettamente superiori ad Aurora e Penelope), ma poi si era ritenuto meglio
utilizzare degli incrociatori pesanti.
L’ammiraglio
Brivonesi, che aveva già compiuto altre missioni di scorta convogli, fin dal
maggio 1941 aveva avanzato dei dubbi sulla realizzabilità e opportunità di una
scorta ravvicinata ad un convoglio da parte di grossi incrociatori: in caso di
allarme, infatti, con le improvvise accostate e dispersioni di unità che
conseguivano spesso a tali situazioni, aumentava il rischio di collisioni o di
incidenti di fuoco amico; per quanto riguardava la posizione da far assumere
gli incrociatori, Brivonesi riteneva che l’unica abbastanza soddisfacente fosse
una posizione a poppavia del convoglio, che oltre a proteggere il lato poppiero
avrebbe consentito di intervenire rapidamente in caso di attacco sia sul lato
dritto che su quello sinistro, e di manovrare tempestivamente in armonia col
convoglio. Tenere gli incrociatori a proravia del convoglio, infatti, risultava
difficile sul piano pratico e non consentiva di proteggerne né i fianchi né il
lato poppiero; tenerli su un lato sarebbe stato più semplice, avrebbe
consentito di proteggere adeguatamente soltanto quel lato, lasciando scoperto
l’altro.
Il 6 novembre,
Supermarina aveva comunicato a Superareo i particolari dell’operazione con
l’Avviso n. 7401: i mercantili Duisburg, San Marco, Maria, Minatitlan e Sagitta sarebbero dovuti partire da
Napoli alle cinque del 7 novembre, scortati da sette cacciatorpediniere della
Squadriglia «Maestrale» (quest’ultima
essendo la nave caposcorta), ed avrebbero fatto rotta sud verso lo stretto di
Messina, ove si sarebbero uniti al convoglio formato da Rina Corrado e Conte di Misurata, provenienti da
Palermo con la scorta di altri tre cacciatorpediniere. I quattro
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante
Capponi: Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino,
partiti da Napoli insieme al primo gruppo del convoglio, che avevano seguito a
distanza) si sarebbero poi uniti alla III Divisione Navale, mentre il convoglio
così formato sarebbe entrato in Mar Ionio con la scorta degli altri sei caccia;
la formazione avrebbe fatto rotta su Tripoli e la III Divisione, partita da
Messina, avrebbe fornito protezione al convoglio con speciale attenzione a
minacce provenienti da Malta. Alle 19 del 10 novembre il convoglio si sarebbe
ormai trovato prossimo a Tripoli, dunque il gruppo «Trieste» avrebbe invertito
la rotta per tornare alla base, mentre i mercantili e la scorta diretta
avrebbero raggiunto Tripoli alle 17.30 dell’11 novembre. Per precauzione nel
caso di intercettazioni, il messaggio non indicava i nomi dei porti,
sostituendoli con nominativi convenzionali: ad esempio, "punto Base"
per Messina, "punto Lunghezza" per Tripoli. Per quanto riguardava la
copertura aerea, gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Messina
avrebbero fornito scorta aerea antisommergibili sia al convoglio che alla III
Divisione fino al tramonto dell’8 novembre, per un raggio di 100 miglia dalle
coste della Sicilia. Il 9 ed il 10 novembre, invece (durante l’avvicinamento e
l’arrivo a Tripoli del convoglio), se ne sarebbero occupati gli idrovolanti
della Ricognizione Marittima di base a Tripoli. Gli idrovolanti di Messina
avrebbero poi riassunto la protezione della III Divisione, di ritorno alla
base, quando questa fosse giunta a 100 miglia dalla costa siciliana, nella
giornata dell’11 novembre.
Il convoglio avrebbe
seguito la rotta che passava ad est di Malta; complessivamente, i sette
mercantili avrebbero trasportato in Nordafrica 34.473 tonnellate di materiali
(di cui 17.281 tonnellate di carburante e 1579 di munizioni), 389 autoveicoli
(172 italiani e 217 tedeschi) e 243 uomini (145 militari italiani, 77 militari
tedeschi e 21 civili diretti in Libia).
Rispetto ai piani
originari era stato inserito uno scalo intermedio per Rina Corrado e Conte
di Misurata, che non sarebbero più partiti direttamente da Palermo per
unirsi al gruppo di Napoli a nord di Pantelleria, bensì avrebbero fatto scalo a
Messina e si sarebbero uniti al primo gruppo nello stretto. I due bastimenti
avevano infatti imbarcato il loro carico a Palermo, come previsto, e poi
avevano lasciato quel porto poco prima della mezzanotte del 6 novembre,
scortati da Grecale, Libeccio ed Oriani, ed avevano raggiunto Messina
intorno alle due del pomeriggio del 7 novembre, sostandovi fino alle prime ore
dell’8, quando ne erano ripartiti per congiungersi col gruppo proveniente da
Napoli.
Insieme a Grecale, Libeccio, Oriani, Rina Corrado e Conte di Misurata uscirono da Messina anche Maestrale, Fulmine ed Euro,
che erano entrati in quel porto nel pomeriggio del 7 novembre per fare
rifornimento, affidando temporaneamente la scorta dei mercantili di Napoli alle
quattro unità della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Dopo aver lasciato
Messina il Grecale e le altre navi
del suo gruppo diressero per uscire dallo Stretto assumendo rotta verso sud a
bassa velocità, in modo da lasciarsi raggiungere dal gruppo proveniente da
Napoli. La riunione tra i due gruppi del convoglio – dei quali il primo, quello
proveniente da Napoli, aveva già superato lo stretto – avvenne alle 4.30 dell’8
novembre, a sud dello stretto di Messina; si formò un unico convoglio di sette
mercantili scortati da Grecale, Libeccio, Maestrale, Oriani, Fulmine ed Euro, mentre i quattro
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a loro volta
a Messina (cosa che fecero dopo la riunione delle altre navi), si unirono alla
III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), salpata da Messina alle 12.35
per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina
vennero avvistati da diverse navi alcuni aerei nemici diretti verso ovest:
andavano ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio "Pegaso".
Alle 16.45, con
l’arrivo della III Divisione (che raggiunse il convoglio in posizione 37°40’ N
e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia
dello stesso) la formazione poteva dirsi completa.
Il convoglio procedeva
su tre colonne: San Marco e Conte di Misurata formavano la
colonna di dritta, Rina Corrado, Duisburg e Sagitta quella centrale, Minatitlan e Maria quella di sinistra. Il Grecale seguiva la colonna sinistra, che
era preceduta dall’Euro, mentre Maestrale ed Oriani precedevano e seguivano la colonna di dritta e Fulmine e Libeccio navigavano sui fianchi della formazione, il primo a dritta
e l’altro a sinistra. Le navi procedevano ad otto nodi di velocità.
Vi era anche, fin
dalla partenza da Napoli e Messina – ma solo di giorno –, una scorta aerea per
la quale erano stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6
idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in
volo sul cielo del convoglio. Sul Maestrale,
per coordinare l’attività di tale scorta aerea, era stato imbarcato il tenente
pilota Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle
17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternarono dieci
idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia
Marchetti SM. 79 "Sparviero" e ben 66 caccia (34 Macchi MC 200 del
54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR.
42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9a Squadriglia
del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si
alternavano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta
quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una coppia a 1000
metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79
decollarono dalla Sicilia ed effettuarono ricognizione marittima verso sudest;
altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia erano incaricati di effettuare
missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore
protezione del convoglio, Supermarina aveva inviato nelle acque di Malta i
sommergibili Delfino, Corallo e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei
confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore
pesante Gorizia (anch’esso
appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia
erano a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne fosse manifestata la
necessità.
Una volta in franchia
dello stretto di Messina (la riunione avvenne subito dopo il suo superamento da
parte del primo gruppo di navi), il convoglio mise la prua verso est (rotta
90°), per imboccare la rotta che passava ad est di Malta, al largo della costa
occidentale greca – rotta più lunga ma anche più sicura, perché avrebbe
consentito di restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta,
stimato in 190 miglia –, nonché per ingannare i britannici circa la
destinazione del convoglio, facendo credere che questa fosse un porto della
Grecia oppure Bengasi. (La formazione compì le accostate prestabilite con un
anticipo di circa un’ora e mezza rispetto a quanto disposto da Supermarina, ma
ciò ebbe l’effetto positivo di far passare il convoglio a distanza da Malta
ancora superiore rispetto a quanto stabilito).
Durante la
navigazione verso est, inoltre, le unità effettuarono diverse accostate verso
ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò
non bastò tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle
16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55,
secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venisse
comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (o 37°53’ N e 16°56’ E;
40 o 45 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro, parecchio ad est di Malta),
da un ricognitore Martin Maryland del 69th Reconnaissance
Squadron della Royal Air Force, decollato da Luqa (Malta) e pilotato
personalmente dal tenente colonnello John Noel Dowland, comandante del 69th Reconnaissance
Squadron. L’idrovolante stava rientrando a Malta quando avvistò il convoglio.
In quel momento,
aerei italiani e tedeschi si trovavano ancora sul cielo del convoglio; le navi
della scorta – e più precisamente l’Euro,
che lo segnalò subito al Maestrale con
il messaggio ad ultracorte «Aerei in
vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», e poi anche a tutte le altre
navi ed a Supermarina con un segnale di scoperta via radio lanciato all’aria –
avvistarono il ricognitore da 5000 metri di distanza e fecero segnali luminosi
alla scorta aerea – con cui non fu possibile comunicare via radio – per
richiedere che attaccasse il velivolo nemico; al contempo il Duisburg, mercantile capoconvoglio, alzò
a riva i palloni di avvistamento aereo, ma gli aerei della scorta non fecero
nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei
della presenza del ricognitore non vennero effettuate, “per grave disservizio”).
Il Maryland si
trattenne in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a
rilevarne gli elementi del moto, che comunicò prontamente a Malta alle ore 14
(«Un convoglio di 6 navi mercantili e 4
cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo
Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, era sovrastimata
in 10-12 nodi). Il messaggio inviato a Malta dal Maryland venne intercettato
anche a Roma, ma fu decifrato
soltanto in seguito. Oltre a sovrastimare la velocità, il ricognitore aveva
leggermente sottostimato il numero di navi nel convoglio (specie di
cacciatorpediniere) e non aveva minimamente notato la III Divisione, che
seguiva a distanza, mentre aveva apprezzato con estrema accuratezza la rotta e
posizione del convoglio.
Contrariamente a
molte altre occasioni, e nonostante quanto riferito da diverse fonti
secondarie, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA”
non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»: vennero infatti
intercettati soltanto tre messaggi molto vaghi, dei quali il primo – risalente
alle 13.10 del 7 novembre – poté essere decifrato solo alle 20.49 dell’8
novembre, risultando essere un radiocifrato in cui il Ministero della Marina
chiedeva al Comando Marina di Salonicco di inoltrare al X Corpo Aereo Tedesco
la richiesta di compiere alcuni voli di ricognizione nel Mediterraneo orientale
a protezione del convoglio «Beta». Il secondo messaggio intercettato, sempre
dal Ministero della Marina a Salonicco, era delle 20 dell’8 novembre e
recitava: "A protezione di attacchi
provenienti da Alessandria contro l’importante convoglio diretto a Tripoli, si
richiede al X Fliegerkorps tedesco di tenere pronte tutte le disponibili unità
per i giorni 9 e 10". Il terzo ed ultimo, in cui ancora una volta si
parlava di grosso convoglio diretto a Tripoli che sarebbe stato in mare il 9-10
novembre, per il quale si chiedeva la copertura del X Fliegerkorps, fu
decrittato dalla Special Liaison Unit di “ULTRA” al Cairo alle 00.34 del 9
novembre, cioè pochi minuti prima che la Forza K aprisse il fuoco contro il
convoglio. Tutti e tre i messaggi erano troppo vaghi per poter organizzare
un’intercettazione, non contenendo alcuna informazione su porti e orari di
partenza o di arrivo, rotta e velocità del convoglio; ma soprattutto, il primo
ad essere decrittato lo fu soltanto quando già da tre ore la Forza K era
partita per intercettare il convoglio “Duisburg”, basandosi sulle sole
informazioni dei ricognitori.
L’orientamento verso
est della rotta del convoglio (che virò verso sud solo più tardi) non ingannò i
comandi britannici: un convoglio tanto grande non poteva essere diretto né in
Grecia né a Bengasi, porto dalle capacità ricettive insufficienti ad accogliere
sette mercantili. L’unica destinazione plausibile era Tripoli, e le navi italiane
avrebbero cercato di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio della
portata degli aerosiluranti: il che permise ai britannici di intuire che il
convoglio sarebbe dovuto passare circa 200 miglia ad est di Malta, per poi
puntare verso sud dopo il tramonto per raggiungere un porto della Libia, sempre
seguendo una rotta che lo tenesse al di fuori del raggio degli aerosiluranti di
Malta.
Alle 17.30, di
conseguenza, salpò da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori
leggeri Aurora (capitano di
vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello
Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott)
e Lively (capitano di
corvetta William Frederick Eyre Hussey), con il compito di intercettare il
convoglio segnalato. La partenza della Forza K fu tanto Fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, dovette raggiungere la sua
nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore stava già manovrando per
uscire dal porto. Lasciatesi Malta alle spalle, le navi britanniche assunsero
rotta 064° (verso est-nord-est) e velocità 28 nodi, in modo da intercettare il
convoglio alle due della notte seguente. La ricerca delle navi dell’Asse sarebbe
avvenuta lungo la presumibile rotta che il convoglio avrebbe seguito per
tenersi al di fuori della portata degli aerosiluranti di Malta.
La ricognizione aerea
italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers
Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvistò le navi britanniche.
Anche un bombardiere
Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed
otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della
Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollarono da Malta per rintracciare il
convoglio nel tardo pomeriggio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto
con esso, guidando sul posto la Forza K; i secondi per attaccarlo), ma non
riuscirono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del
radar, gli Swordfish perché il convoglio seguiva appunto una rotta che lo
teneva al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò
era a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguirono regolarmente
per la loro rotta. Il tempo era buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole,
forza 3. La scorta aerea venne ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30,
mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
zigzagavano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovrò per passare
dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di
1000-1500 metri. La nuova formazione era così composta: a dritta,
nell’ordine, Minatitlan, Maria e Sagitta; a sinistra, nell’ordine, Duisburg, San Marco e Conte di Misurata, mentre il Rina Corrado procedeva in coda alla
formazione, a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale
rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al
convoglio, Grecale in coda
(a poppavia del Rina Corrado), Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro, ed Euro seguito dal Fulmine sul lato
destro.
Fino alle 19.30 il
convoglio seguì rotta 090°, poi accostò per 122°, ed alle 19.55 per 161°,
sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III
Divisione si portò a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi di
Brivonesi risalirono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta
del Maestrale (distante da
loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertirono la rotta a un tempo per defilare di
controbordo al convoglio. L’ammiraglio italiano aveva pianificato i movimenti
della sua Divisione e la velocità da tenere in modo da tenersi in contatto col
convoglio, mantenendo al tempo stesso una sufficiente libertà di manovra, lungo
le spezzate da percorrere, per ridurre il pericolo di attacchi di sommergibili
avversari contro i suoi incrociatori. La velocità che la III Divisione avrebbe
dovuto tenere, secondo gli ordini di Supermarina, sarebbe stata di 16 nodi; ma
con una tale velocità gli incrociatori, per mantenersi in vista del convoglio
che procedeva a soli 9 nodi, avrebbero dovuto compiere accostate esageratamente
ampie, oppure allontanarsi troppo dal convoglio in ogni accostata. D’altra
parte, una velocità di 9 nodi non avrebbe consentito a Trento e Trieste di mantenere un’adeguata manovrabilità; pertanto
Brivonesi era giunto ad una soluzione di compromesso, facendo assumere alla III
Divisione una velocità di 12 nodi e tenendosi nella scia del convoglio,
manovrando periodicamente per risalire il convoglio sul lato di dritta (quello
rivolto verso Malta e dunque ritenuto più esposto) fino all’unità capofila,
indi accostare di controbordo e tornare in scia al convoglio, per poi replicare
tale manovra di pendolamento. In tal modo, le navi di Brivonesi si sarebbero
interposte tra i trasporti e la probabile direzione di provenienza di un
attacco navale britannico. Alle 22 la III Divisione era a poppavia del
convoglio, tra le 22 e le 00.10 lo rimontò sulla dritta fino a portarsi a
proravia, ed a mezzanotte invertì la rotta e defilò di controbordo giungendo
nuovamente a poppavia alle 00.30.
Intanto, la Forza K
navigava verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso
est, la formazione britannica virò verso sudest subito dopo il tramonto, ed
attraversò, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche erano
disposte in linea di fila, con l’Aurora in
testa seguito nell’ordine da Lance, Penelope e Lively, distanziati tra loro di 750
metri.
Agnew aveva già da tempo
preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di
attacco ad un convoglio: le navi britanniche sarebbero rimaste in linea di
fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente
siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K avrebbe neutralizzato le
navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta
fossero apparse durante l’attacco ai mercantili, esse sarebbero immediatamente
divenute bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila)
avrebbe mantenuto ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori
uso. Così facendo, le navi britanniche avrebbero potuto sfruttare al massimo la
loro potenza di fuoco contro il convoglio, e minimizzare il rischio di un
attacco silurante. Agnew sottolineò l’importanza di colpire subito i bersagli,
fin dalle prime salve, e distribuire il tiro in modo da non lasciar scampo a
nessuna delle unità avversarie.
Alle 00.39 del 9
novembre le vedette sulla plancia dell’Aurora avvistarono
un gruppo di navi oscurate aventi rotta approssimata 170° (verso sud), a nove
miglia di distanza, su rilevamento 30°: era il convoglio “Duisburg”. Il radar
non ebbe alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi
italiane vennero avvistate otticamente dalla Forza K, col solo uso di binocoli,
perché illuminate dalla luce lunare, mentre il radar fu poi impiegato nel
puntamento dei cannoni durante il combattimento. Secondo il rapporto
britannico, in quel momento le navi italiane si trovavano in posizione 36°55’ N
e 17°58’ E (135 miglia a sud o sudest di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di
Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a cinque miglia per 30° dalla
Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana
indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120
miglia dalle coste della Calabria ("Navi mercantili perdute" indica
la posizione come 37°08’ N e 18°09’ E, circa 120 miglia a sudest di Punta Stilo
o 130 miglia a sudovest della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna
era ottimale per un’intercettazione, la luna – all’ultimo quarto – splendente e
luminosa (su rilevamento 100°, con un’elevazione di 45°), e le condizioni
perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere
e calma di mare, notte limpida); nel suo rapporto, il caposcorta Bisciani
registrò brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con
«orizzonte ottimo nel secondo quadrante,
buono nel terzo, fosco nel quarto». Secondo Brivonesi, la visibilità era
buona quando la luna era libera, e scarsa quando le nubi la coprivano.
(Secondo
"Struggle for the Middle Sea" di Vince O’Hara, poco ci era mancato
che le navi dell’Asse scampassero, anche questa volta, all’intercettazione: le
unità della Forza K erano infatti giunte quasi al punto in cui avrebbero dovuto
interrompere le ricerche e tornare indietro per raggiunti limiti di autonomia,
e Agnew scrisse in seguito che aveva quasi abbandonato le speranze di trovare
il convoglio segnalato dal Maryland, quando all’improvviso apparvero
nell’oscurità le sagome delle navi nemiche. Questo sembra però in contrasto con
quanto riferito da altre fonti, tra cui la storia ufficiale dell’USMM, secondo
cui invece l’incontro con il convoglio italiano avvenne un’ora prima del
previsto, dato che Agnew si aspettava di incontrarlo intorno alle due di notte:
invece, le navi dell’Asse avevano seguito una rotta più ad ovest di quella
stimata dai britannici, e la Forza K riuscì a trovarle senza neanche bisogno di
dispiegarsi in catena di ricerca. Questo era, peraltro, il modus operandi
generalmente seguito dalle unità britanniche: mentre nella nella Marina
italiana la ricerca di formazioni nemiche si compiva distendendo le proprie
navi “a rastrello” in linea di fronte o di rilevamento, i britannici compivano
andavano in cerca di convogli mantenendo le proprie formazioni compatte, in
linea di fila).
Il convoglio
italo-tedesco avanzava su rotta 161° alla velocità di 9 nodi, nella formazione
su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta,
seguiva il convoglio a quattro chilometri a poppavia dritta (ossia verso ovest,
ritenuta la più probabile direzione di provenienza di un attacco: Malta,
infatti, era a dritta rispetto al convoglio), zigzagando alla velocità di
dodici nodi. Mezz’ora prima, le navi di Brivonesi avevano raggiunto il punto
più settentrionale nel loro pendolamento, ultimando l’accostata per defilare di
controbordo al convoglio; ora avevano accostato per assumere rotta parallela al
convoglio e ripetere il pendolamento, verso sud.
Qualcuna delle unità
della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvistò anche la Forza K, 3-5 km
a poppavia, ma ritenne trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvistò le navi
britanniche meno di un minuto prima che aprissero il fuoco, fu l’unico a capire
che si trattava di navi nemiche, ed a lanciare immediatamente il segnale di
scoperta, ma era già troppo tardi; il segnale fu ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K
iniziava a sparare.
Anziché attaccare
subito il convoglio, il comandante Agnew manovrò flemmaticamente per portarsi
nella posizione più favorevole all’attacco, di poppa al convoglio (dove in
genere la sorveglianza risultava più debole) e con la luna di fronte,
approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembrasse accorgersi della
sua presenza.
La Forza K ridusse la
velocità da 28 a 20 nodi ed accostò a sinistra per 350°, quindi aggirò il
convoglio con una manovra che richiese 17 minuti, attraversandone la scia e
portandosi a poppavia dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si
stagliassero contro la chiara luce lunare. Alle 00.50 l’Aurora, trovandosi quasi al traverso di un cacciatorpediniere
italiano che procedeva in coda al convoglio (probabilmente il Grecale), puntò dritto su di esso,
accostando a dritta su rotta est/nordest; Agnew apprezzò la composizione del
convoglio in otto grossi mercantili e quattro cacciatorpediniere. Aveva ormai
deciso cosa fare: avrebbe attaccato il convoglio da poppa e poi ne avrebbe
“risalito” la formazione, distruggendo sistematicamente i mercantili dopo aver
neutralizzato la scorta sul lato attaccato. I bersagli vennero identificati e
scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo
sicuro. L’Aurora puntò
l’armamento principale, asservito al radar di scoperta navale tipo 284, sui
cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti
al radar tipo 290 ed alla centrale di tiro poppiera, sui mercantili. La paratia
prodiera del locale caldaia n. 1 resistette tuttavia alla collisione, rimanendo
integra e stagna.
Alle 00.52 la Forza K
avvistò su rilevamento 330° (verso sinistra) la III Divisione, della cui
presenza nessuno, da parte britannica, aveva fino a quel momento avuto sentore;
ma ciò non modificò le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo concluse che le
due “navi maggiori” (che erano, in effetti, il Trento ed il Trieste,
che in quel momento si trovavano un poco di prua rispetto al traverso sinistro
dell’Aurora: il Trieste distava tre miglia e mezzo,
il Bersagliere meno di tre)
ed i cacciatorpediniere che le accompagnavano, oscurate e distanti sei miglia,
dovessero essere degli altri mercantili con la loro scorta (tanto che a cose fatte,
i britannici ritennero erroneamente di aver affondato dieci mercantili invece
che sette, credendo di aver attaccato "otto
mercantili e quattro cacciatorpediniere nemici, seguiti da un secondo convoglio
di due cacciatorpediniere e due mercantili"). Alle 00.56 il Lively stimò che il convoglio
avesse rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale (che al momento
dell’attacco si trovava al traverso a poppavia della Forza K, a sud della
stessa) distava 10.060 metri, i mercantili che lo seguivano 8230 metri.
Solo alle 00.57 Aurora e Penelope, giunti circa 5 km a sudest del convoglio, aprirono il
fuoco simultaneamente su due cacciatorpediniere situati sulla dritta del
convoglio, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284 e defilando
lungo il fianco dei mercantili. Sempre per agevolare il tiro, le navi
britanniche lanciarono dei bengala illuminanti a quote comprese tra i 600 ed i
1000 metri.
Primi bersagli dei
due incrociatori britannici furono i cacciatorpediniere della scorta diretta che
si trovavano più vicini alla Forza K: e cioè Grecale e Fulmine,
distanti in quel momento 5200 metri. Gli effetti del tiro britannico su queste
due unità furono devastanti: entrambi i cacciatorpediniere vennero
ripetutamente colpiti mentre incrementavano la velocità per tentare di andare
all’attacco silurante (il Grecale
iniziò due volte delle manovre per attaccare col siluro, ma non poté portarle a
fondo, perché colpito e messo fuori uso); il Fulmine affondò dopo pochi minuti, mentre il Grecale, rimasto fortunosamente a galla, fu gravemente danneggiato
e costretto ad abbandonare il contrattacco e ritirarsi arrancando verso nord, tentando
di riparare i danni subiti con i mezzi disponibili a bordo, per poi restare
immobilizzato.
Il Grecale, in particolare, fu il primo
bersaglio dell’Aurora (ed in assoluto
la prima unità della scorta ad essere attaccata), il cui direttore del tiro si
servì del radar tipo 284 per correggere la distanza del bersaglio: le prime tre
salve sparate dalle artiglierie principali (152 mm) dell’incrociatore andarono
tutte a segno; da bordo dell’incrociatore furono visti cadere dei colpi sulla
poppa della nave italiana, sulla quale si verificò un’esplosione che scatenò un
violento incendio. Altri colpi perforarono lo scafo ed esplosero nei locali
caldaie.
Dopo aver
immobilizzato ed incendiato il Grecale,
l’Aurora spostò il tiro
sul Maestrale, contro il quale
stava già sparando il Penelope.
Nel giro di pochi minuti dall’inizio dell’attacco, un terzo dei
cacciatorpediniere della scorta diretta era stato messo fuori combattimento,
senza aver potuto infliggere alcun danno agli attaccanti.
Sul Grecale, le vampe dei cannoni britannici
furono avvistate alle 00.59.30, poco di poppavia al traverso a dritta; subito
dopo, il cacciatorpediniere fu raggiunto da un primo proiettile nemico. Non
appena ebbe visto le vampe, il comandante Di Gropello si rese conto che il
convoglio era sotto attacco da parte di un imprecisato numero di incrociatori e
cacciatorpediniere avversari, ed ordinò dapprima di portare la velocità a 25
nodi e poi di incrementarla fino alla velocità massima, accostando al contempo
su rotta vera 195°, in modo da interporsi tra il nemico ed il convoglio e di
spostarsi più o meno perpendicolarmente al rilevamento vero, al fine di
avvicinarsi per portarsi a distanza di avvistamento e guadagnare sul beta. Non
appena fossero state avvistate le sagome delle navi nemiche, il Grecale le avrebbe attaccate col siluro
e col cannone.
Dopo poche decine di
secondi, tuttavia, il cacciatorpediniere italiano si ritrovò inquadrato da
parecchie salve britanniche e fu colpito in pieno da diversi proiettili, che
causarono gravi danni ed uccisero o ferirono decine di uomini. In plancia, il
comandante Di Gropello si rese conto che il timone non rispondeva più ai
comandi; siccome la nave stava già accostando a dritta ad alta velocità,
minacciando di effettuare un giro completo ed andare a speronare qualche
mercantile del convoglio, Di Gropello ordinò di fermare le macchine e passare
al controllo manuale del timone. Non appena si fu attivato il timone a mano, Di
Gropello fece mettere nuovamente in moto e tornò ad incrementare la velocità,
scontrando la barra a sinistra per riportarsi in rotta di attacco. Nel mentre,
però, emersero altri danni dai colpi giunti a bordo: la girobussola non
funzionava più, così come i telegrafi ed i telefoni diretti che collegavano con
la sala macchine. Neanche i portavoce erano utilizzabili: ne usciva del vapore.
Per ordinare di aumentare la velocità, fu necessario ricorrere ai timpani.
In tutto il Grecale era stato centrato da otto colpi
da 152 e 102 mm, tutti sparati dall’Aurora;
oltre ai gravi danni materiali, un quarto dell’equipaggio era fuori
combattimenti: in quei brevi attimi 23 uomini erano rimasti uccisi, 35 erano
stati feriti gravemente ed altri 21 erano rimasti feriti in modo lieve.
I danni
subiti dal Grecale nel combattimento
notturno in una serie di foto scattate dal guardiamarina Vittorio Villa (per
g.c. del figlio Alberto):
Il foro lasciato nel fumaiolo da un proiettile da 152 mm che lo passò da parte a parte senza esplodere |
Effetti di un proiettile esploso alla base della torretta telemetrica |
Un’altra immagine dei danni alla coffa, lato sinistro |
L’interno della coffa colpita |
I danni alla caldaia numero 2, colpita da un proiettile |
Danni da schegge in sala caldaie |
Il foro d’uscita di un proiettile da 152 mm che attraversò la plancia, provocando morti e feriti, per poi esplodere in mare |
I sottotenenti di vascello Carlo Ferrari e Lando Caimmi accanto al foro |
Il guardiamarina Vittorio Villa, ferito dalle schegge del proiettile che colpì la plancia, con la testa bendata… |
…e la cicatrice lasciata dalla ferita |
Il locale cannonieri devastato da un colpo da 152 mm |
Il fuochista Giacomo Fossati, gravemente ustionato ai piedi |
Uno dei marinai rimasti uccisi |
Il foro d’entrata di un proiettile da 152 mm che colpì la mensa sottufficiali per poi esplodere in caldaia |
I resti di una mitragliera di dritta centrata da un proiettile |
Subito dopo l’Aurora, anche Lance e Penelope aprono
il fuoco: quest’ultimo tirò prima su un piroscafo, colpendolo, e poi sul Maestrale, che accostò per 80° (verso
sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritenne che l’unica
possibilità di attacco consistesse nel portarsi in posizione prodiera rispetto
alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelerò a 20 nodi ed emise cortine
fumogene, seguito dal convoglio. Euro
(rimasto anch’esso danneggiato, anche se non in modo grave) e Libeccio manovrarono anch’essi
aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio
con cortine fumogene (secondo una fonte, anche il Grecale avrebbe cercato di coprire i mercantili con cortine di
nebbia artificiale).
Dopo aver rapidamente
neutralizzato Grecale e Fulmine, la Forza K puntò decisamente
sui mercantili, descrivendo intorno ad essi una specie di volta tonda: alle
00.59, messo fuori uso il Grecale, l’Aurora accostò a dritta e diresse a sud
parallelamente al convoglio, seguita dal resto della Forza K; le navi
britanniche aggirarono il convoglio da ovest verso est e cannoneggiarono, a
turno, tutti i trasporti finché ciascuno di essi non esplodeva o s’incendiava.
Dopo un iniziale
aumento, la velocità del Grecale
tornò a diminuire, fino a divenire bassissima, mentre il comandante Di Gropello
notava fortissime fughe di vapore dal carruggetto di dritta e dal centro. Il
direttore di macchina spiegò al comandante in seconda, che lo riferì poi a Di
Gropello, che un colpo nemico nel locale caldaie 2 aveva provocato fortissime
perdite, e che nel giro di pochissimo tempo la nave sarebbe pertanto rimasta
senz’acqua e si sarebbe dovuta fermare. In aggiunta a questi problemi, l’equipaggio
del cacciatorpediniere doveva ora assistere impotente mentre la Forza K sparava
sui mercantili del convoglio, incendiandoli uno dopo l’altro.
All’1.03 la
drammatica situazione del Grecale era
così riassunta dal comandante Di Gropello: «non
vedevo il nemico ma solo le vampe delle cannonate in un primo tempo, e
successivamente (quando il nemico diresse il tiro contro i piroscafi) soltanto
le codette luminose: i piroscafi colpiti cominciavano a prendere fuoco e i più
poppieri della formazione erano già trasformati in roghi. Non vedevo gli altri
Ct. La situazione del Grecale era la seguente: i molti colpi giunti a bordo,
dalle comunicazioni pervenutemi, avevano provocato oltre a molti morti e
feriti, anche avarie tali da non consentire altro che il governo a mano da
poppa e il moto precario delle macchine a bassa velocità e ancora per breve
tempo. Trovandomi in tali condizioni non potevo proseguire nella due volte
iniziata manovra di attacco (dapprima con il governo dalla plancia, quindi con
governo a mano da poppa) poiché avrei finito per rimanere fermo tra il nemico
ed il convoglio, profilandomi sulla cortina fiammeggiante degli incendi, con
probabilità di trovarmi in un mare di fiamme se la nafta dei piroscafi (vi era
per lo meno uno di essi, il Conte di Misurata con 5000 tonn. di nafta) si fosse
sparsa sul mare incendiandosi totalmente (che parzialmente lo era già)».
Stando così le cose, Di Gropello decise di focalizzare gli sforzi sul portare
in salvo almeno la propria nave, tenendo le armi pronte a reagire se attaccato
ed anche ad attaccare qualche unità nemica qualora ne fosse comparsa la sagoma;
diede quindi ordine di venire con tutta la barra a sinistra per portarsi sul
lato opposto del convoglio ed allontanarsi dalla zona, assumendo rotta vera 70°
(siccome il rilevamento medio delle vampe dei cannoni avversari era 235°, Di
Gropello stimò che la Forza K si stesse spostando verso sud). All’1.10 il Grecale trasmise un telegramma di
scoperta al Centro Radiotelegrafico di Messina: "Grecale ore 01.10 – il nemico ha aperto il fuoco – lat. 36°50’ long.
17°30’". Ormai la Forza K non sparava più contro il Grecale, ma il tiro sui mercantili del
convoglio proseguiva imperterrito: non appena un bastimento veniva colpito,
prendeva fuoco in pochissimo tempo; Di Gropello stimò che tutti e sette i
mercantili fossero ormai in fiamme.
E così era, infatti.
Uno dopo l’altro, tutti e sette i bastimenti che componevano il convoglio “Duisburg”
furono colpiti, incendiati e ridotti a relitti in via di affondamento, mentre
le superstiti unità della scorta diretta, rimaste senza guida (un proiettile
britannico aveva abbattuto l’antenna radio del Maestrale, che non era così più in grado di comunicare con le unità
dipendenti), si mostravano incapaci di organizzare una reazione adeguata. Primi
ad essere colpiti furono Maria e Sagitta; poi fu il turno di Rina Corrado e Conte di Misurata, dopo di che venne colpita la Minatitlan, subito avvolta da un immenso
rogo, indi le restanti unità. All’1.25 l’Aurora accostò
a sinistra, di prora al convoglio, per tagliargli la rotta ed assicurarsi che
nessun mercantile potesse sfuggire, ed all’1.45 diresse verso ovest per
girargli intorno: tutti i mercantili erano ormai avvolti dalle fiamme. Alle
2.06, completata la propria opera di distruzione, la Forza K accelerò a 25 nodi
e diresse per rientrare a Malta, senza aver subito alcun danno (eccetto uno
lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively).
Altrettanto
inefficace fu la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe
dei cannoni della Forza K che aprivano il fuoco sul convoglio, le navi
dell’ammiraglio Brivonesi accostarono a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra;
il Trieste aprì il fuoco
all’1.03 ed il Trento due
minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). All’1.08 la III Divisione assunse
rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi
mantenne inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K
procedeva a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18.
All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III
Divisione cessò il fuoco: a quell’ora il convoglio “Duisburg” non esisteva già
più. Gli incrociatori di Brivonesi avevano sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da
100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fece assumere
alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi, per intercettare le unità
britanniche dirette verso Malta, ma l’incontro non avvenne, perché Brivonesi,
informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti,
credette di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica ed
all’1.35 assunse rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e
dalla Forza K.
Complessivamente, nel
corso dello scontro l’Aurora sparò
279 colpi da 152 mm (122 dalla torre A, 124 dalla torre B, 33 dalla torre Y di
poppa) e 73 da 120 mm, oltre a lanciare tre siluri; il Penelope sparò 259 colpi da 152 e 111 da 120, mentre il Lance ne sparò 434 da 120 (mancano dati
su quanti colpi furono sparati dal Lively).
All’1.25, essendosi
allontanato di parecchio dalla zona in cui bruciavano le navi del convoglio, il
Grecale assunse rotta nord, «per realizzare un compromesso tra il maggior
allontanamento possibile dal nemico e l’avvicinamento alle coste nazionali».
Delle tre caldaie, soltanto una – la numero 3 – era ancora in funzione,
alimentata con acqua di mare; la numero 1 era stata spenta per mancanza di
acqua, mentre la 2 era fuori uso fin dall’una, a causa del proiettile che
l’aveva colpita in pieno.
Rimasta la nave
senz’acqua, alle 3.40 si fermò una delle due motrici, seguita dopo un po’ di
tempo (verso le quattro del mattino) anche dall’altra; come previsto dal
direttore di macchina, il Grecale si
ritrovava così immobilizzato. La possibilità di rimetterle in funzione appariva
«molto incerta». Alle 4.17 il Grecale contattò il Maestrale per radiosegnalatore, su un’onda di 107,33 metri,
comunicando "Sono completamente
immobilizzato confermo richiesta urgente rimorchio – mittente nave Grecale".
Alle quattro del
mattino l’ammiraglio Brivonesi, che in quel momento era in navigazione verso la
Sicilia con la III Divisione, trasmise a Supermarina un telegramma (n. 31450)
con cui riferiva che alle sette del mattino avrebbe diretto nel punto 37°38’ N
e 16°38’ E, la zona dello scontro, in cui risultava trovarsi in avaria il Grecale; alle cinque del mattino
Supermarina rispose (con telegramma n. 897079) ordinando di “dirigere immediatamente a sostegno della
squadriglia Maestrale”, impegnata nel soccorso al Grecale. Bisciani distaccò l’Oriani
per rimorchiare il Grecale verso la
costa della Calabria, a Capo Colonne.
Un’altra
serie di immagini scattate sul Grecale
il mattino successivo allo scontro (g.c. Alberto Villa):
Sostituzione delle canne danneggiate di una mitragliera di sinistra |
Vittorio Villa in plancia… |
…e seduto in coperta, insieme a Lando Caimmi ed al sottocapo Aprile |
Marinai sul passaggetto di dritta |
I corpi dei caduti raccolti nel sottocastello per l’identificazione… |
…e radunati al centro in coperta per essere sbarcati |
I feriti leggeri radunati a poppa |
Carlo Ferrari, ufficiale di rotta del Grecale, al lavoro con il sestante |
Mitragliera danneggiata sul lato di dritta |
I sottotenenti di vascello Ferrari e Caimmi in plancia |
Verso le sei del
mattino, l’equipaggio del Grecale
riuscì finalmente a rimettere in funzione le macchine, almeno parzialmente; per
un’ora il Grecale avanzò a bassissima
velocità su rotta vera 290°, finché alle sette avvistò l’Oriani, inviato dal Maestrale
per prenderlo a rimorchio. Alle 7.40 l’Oriani
era sottobordo al Grecale, pronto a
prenderlo a rimorchio; dopo aver teso il cavo, alle 8.20 ebbe inizio la
navigazione a rimorchio alla volta di Crotone, come ordinato all’Oriani dal Maestrale. A partire dalle 9.30, essendo riuscito il personale di
macchina a stabilire un ciclo di vapore prodotto da acqua salata, il Grecale fu in grado di usare anche le
proprie macchine per andare avanti adagio, in modo da ridurre il più possibile
i tempi necessari a raggiungere Crotone. Nondimeno, il cacciatorpediniere
danneggiato continuò ad essere rimorchiato dall’Oriani fino alle 15.33, quando il cavo di rimorchio si ruppe; a
questo punto il Grecale proseguì con
i propri mezzi, scortato dall’Oriani,
riuscendo a sviluppare una velocità di 10-11 nodi.
La tragedia del
convoglio “Duisburg”, nel mentre, era giunta al termine. Uno dopo l’altro,
tutti i mercantili erano colati a picco; ultima ad inabissarsi era stata la Minatitlan, dopo essere bruciata per
tutta la notte, la mattina del 9 e buona parte del pomeriggio. I
cacciatorpediniere superstiti della scorta diretta e quelli della XIII
Squadriglia avevano provveduto ai soccorsi, recuperando dal mare e dalle
imbarcazioni oltre settecento naufraghi; durante le operazioni di soccorso si
era verificata anche un’ultima, dolorosa perdita, quando il Libeccio era stato silurato ed affondato
dal sommergibile britannico Upholder.
La distruzione del convoglio
“Duisburg” avrebbe avuto un effetto particolarmente deleterio sulla situazione
delle forze italo-tedesche in Africa Settentrionale, che si ritrovarono
indebolite e a corto di rifornimenti dinanzi all’offensiva britannica
"Crusader", iniziata il 18 novembre e conclusasi a fine dicembre,
dopo alterne vicende, con la conquista britannica dell’intera Cirenaica, per la
seconda volta dall’inizio della guerra. Le forze dell’Asse averebbero dovuto
abbandonare l’assedio di Tobruk a inizio dicembre, a causa della mancanza di
rifornimenti; Mussolini avrebbe scritto a Hitler in una lettera, facendo
riferimento alla distruzione del convoglio “Duisburg”: "L’esito della battaglia fu compromesso sul
mare, non sulla terra. Gravissima fu la perdita dell’intero convoglio di sette
navi, che portavano reparti tedeschi di carri armati". Asperrime
critiche, in seno ai comandi della Regia Marina, sarebbero fioccate sulla
condotta dell’ammiraglio Brivonesi e del capitano di vascello Bisciani, ambedue
sbarcati e privati del comando (Brivonesi fu anche sottoposto a corte marziale,
pur venendone assolto).
Navigazione
a rimorchio dell’Oriani (g.c. Alberto
Villa)
Alla fonda davanti a Crotone, il 10 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Alle 18.55 di quel
terribile 9 novembre, infine, il Grecale
poté dare fondo a 1380 metri per 250°
dalla testata della diga foranea di Crotone. Subito il comandante Di Gropello scese
a terra e si recò presso il locale Comando Marina, per prendere accordi sullo
sbarco dei feriti e dei morti e sull’entrata in porto. Non c’era, a Crotone,
neanche un rimorchiatore: soltanto il piroscafetto Fauno e due motopescherecci; per entrare in porto, pertanto (alle
20.50, dopo aver sbarcato i feriti), il Grecale
dovette farsi prendere a rimorchio dal Fauno,
che tuttavia si rivelò inadeguato a tale compito sia per le sue
caratteristiche, sia per la scarsa pratica del suo equipaggio con operazioni
del genere. Ancora alle 22.15, infatti, il Grecale
non era riuscito ad entrare in porto; a quell’ora venne dato l’allarme aereo, e
le batterie contraeree di terra aprirono il fuoco, ma non vi fu alcuno sgancio
di bombe. Mollato il rimorchio, il Grecale
diede fondo a 750 metri per 235° dalla testata della diga foranea: stante la
mancanza di rimorchiatori e l’inadeguatezza del Fauno, infatti, Di Gropello reputò più opportuno restarsene alla
fonda per la notte ed aspettare che fosse giorno fatto per entrare in porto.
Alle 22.40, cessato l’allarme, si procedette allo sbarco delle salme degli
uomini uccisi nel combattimento della notte precedente.
Il sorgere del nuovo
giorno rese superfluo ogni ulteriore tentativo per entrare in porto, in quanto
giunsero sul posto i rimorchiatori Atlante
e Lipari e le torpediniere Antares ed Aretusa, incaricate di condurre il Grecale a Taranto. Alle 12.15 del 10 novembre, pertanto, il
cacciatorpediniere sinistrato lasciò Crotone a rimorchio di Atlante e Lipari, con la scorta delle due torpediniere; dopo una navigazione
durata esattamente ventiquattr’ore, il Grecale
raggiunse Taranto alle 12.15 dell’11 novembre, entrando subito in Arsenale.
La navigazione verso Taranto a rimorchio dei rimorchiatori Atlante e Lipari, il 10 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
La torpediniera Antares, di scorta al Grecale, in una foto scattata da bordo del cacciatorpediniere al tramonto del 10 novembre (g.c. Alberto Villa) |
Il Grecale entra a rimorchio nel Mar Grande di Taranto, l’11 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
L’equipaggio schierato in coperta (g.c. Alberto Villa) |
La squadra rende gli onori al Grecale (g.c. Alberto Villa) |
Gli equipaggi delle altre navi salutano il Grecale alla voce; tra alcuni incrociatori leggeri si riconosce la portaidrovolanti Giuseppe Miraglia (g.c. Alberto Villa) |
Sempre a rimorchio, il Grecale entra in Mar Piccolo (g.c. Alberto Villa) |
Sale a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione incrociatori (g.c. Alberto Villa) |
Il Grecale entra in Arsenale l'11 novembre
(g.c. Alberto Villa)
Sbarco dal Grecale di un proiettore colpito durante lo scontro, 11 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
Un altro
paio di immagini scattate da Vittorio Villa in Arsenale a Taranto l’11 novembre
1941 (g.c. Alberto Villa)
Il Grecale in Arsenale a Taranto, il 12 novembre 1941 (g.c. Alberto Villa) |
I caduti tra l'equipaggio del Grecale:
Alfio Catania, marinaio fuochista, da Lentini,
21 anni, deceduto
Onofrio De Vita, marinaio cannoniere, da 20
anni, da Tropea, deceduto
Francesco Fadda, marinaio, 22 anni, da Bosa,
deceduto in territorio metropolitano (per ferite?) il 30/11/1941
Francesco Fratta, sottocapo cannoniere, 24
anni, da San Paolo di Civitate, deceduto
Stefano Freni, marinaio furiere, 23 anni, da
Itala, deceduto
Paolo Gennaro, sottocapo radiotelegrafista, 21
anni, da Palermo, disperso
Andrea Guglietti, marinaio, 22 anni, da
Terracina, deceduto
Alberto Iannuzzi, marinaio, 23 anni, da
Trapani, deceduto
Antonio La Piana, marinaio, da Randazzo, 19
anni, deceduto
Giovanni Lauretti, marinaio cannoniere, da Pola, 22 anni, deceduto
Salvatore Leone, marinaio cannoniere, 21 anni,
da San Gregorio di Catania, deceduto
Gianmario Lodoli, marinaio nocchiere, 20 anni,
da Milano, deceduto
Pietrino Manca, marinaio, 21 anni, da Sedini,
deceduto
Gennaro Martuscelli, marinaio, 21 anni, da
Castellabate, deceduto
Alfonso Mauro, marinaio, 21 anni, da Pergine
Valsugana, deceduto
Girolamo Mazzeo, marinaio cannoniere, 22 anni,
da Ricadi, deceduto
Salvatore Messina, marinaio, 21 anni, da
Cefalù, deceduto
Armando Mezzacasa, sottocapo meccanico, 19
anni, da San Gregorio nelle Alpi, deceduto
Enzo Micheletti, sottocapo infermiere, 26
anni, da Firenze, deceduto
Mario Nozza, marinaio cannoniere, 22 anni, da
Stezzano, deceduto
Angelo Pilla, marinaio cannoniere, 20 anni, da
San Giorgio del Sannio, deceduto
Giuseppe Pulella, marinaio cannoniere, 24
anni, da Ricadi, deceduto
Osvaldo Quamino, sottocapo cannoniere, 26
anni, da Taranto, deceduto
Giuseppe Rigamonti, secondo capo cannoniere,
31 anni, da Presezzo, deceduto
Francesco Santi, marinaio, 21 anni, da
Cremona, deceduto
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo
cannoniere puntatore scelto Giuseppe Rigamonti, nato a Presezzo (Bergamo) l’8
settembre 1910:
"Imbarcato su CT., impegnato in uno scontro
notturno con unità nemiche, veniva mortalmente ferito al suo posto di
combattimento, mentre si prodigava con coraggio ed elevato senso del dovere
nell'assolvimento del suo compito. Nell'imminenza della fine, offriva nobile
esempio di stoica forza d'animo e di superbe virtù militari, e, rivolgendo ai
presenti parole di fede e di devozione alla Patria, alla quale aveva sacrificato
tutto, anche la vita, spirava con sulle labbra l'ardente grido: «Viva il Re».
(Mar Jonio, 9 novembre 1941)"
La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita al fuochista Giacomo Fossati, nato a Sampierdarena (Genova) il 22 agosto 1918:
"Imbarcato su silurante, nel corso di uno scontro notturno con unità nemiche, resosi conto della difficoltà di rifornimento d'acqua alle caldaie, s'introduceva spontaneamente in un locale caldaia, danneggiato dall'offesa avversaria, nel generoso disegno di effettuare il travaso dell'acqua e rendere possibile il funzionamento dei macchinari. Gravemente ustionato, sopportava con stoicismo il dolore proseguendo con immutata serenità e forza d'animo, nell'assolvimento del suo compito, al quale dedicava con entusiasmo ed abnegazione le sue migliori energie.
(Mare Jonio, 9 novembre 1941)"
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al capo S.D.T. di terza classe
Valerio Fava, nato a Canal San Bovo (Trento) il 3 agosto 1910:
"Capo S.D.T. su silurante, impegnata in uno
scontro notturno con unità nemiche, benché ferito, restava con ferma e
coraggiosa determinazione al suo posto di combattimento, per non interrompere
il suo importante servizio. Rimasto inutilizzato il suo apparecchio, si
sostituiva di propria iniziativa al puntatore di un'arma gravemente colpito,
prodigandosi nel nuovo compito con ardimento ed elevato senso del dovere.
(Mare Jonio, 9 novembre 1941)".
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al guardiamarina Vittorio Villa, nato a Varese il 2 aprile 1914:
"Imbacato su cacciatorpediniere, nel corso di uno scontro notturno con unità nemiche, rimasto ferito alla testa, chiedeva con serena fermezza d'animo all'ufficiale medico che lo curava, di arrestare soltanto l'emorragia, onde poter subito tornare al suo posto di combattimento. Riprendeva la lotta non appena sommariamente medicato, dimostrando elevate virtù militari ed incondizionato attaccamento al dovere.
(Mare Jonio, 9 novembre 1941)."
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita al capitano di fregata Giovanni Di
Gropello, nato a Torino il 28 febbraio 1902:
"Comandante di C.T., impegnato in uno scontro
navale notturno, dava prova di serenità e noncuranza del pericolo ed
organizzava sotto il continuo ed intenso fuoco nemico, tutte le provvidenze
necessarie per contenere i danni provocati dallo scoppio di numerose granate".
La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al sottotenente di vascello Carlo Ferrari, nato a Castelnuovo Scrivia il 23 ottobre 1917:
"Ufficiale di rotta ed alle comunicazioni di C.T., gravemente colpito in un scontro navale notturno, coadiuvava validamente con serenità e perizia il Comandante nell'assicurare, sotto l'infuriare del tiro nemico, l'efficienza dei servizi affidatigli, dimostrando elevate virtù militari".
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita ai sottotenenti del Genio Navale
Direzione Macchine Giuseppe Suffi, nato a Fiume
il 13 marzo 1908, ed Oreste Ricotti, nato ad Ancona l’8 giugno 1907:
"Imbarcato su C.T., durante uno scontro
notturno con unità nemiche, si prodigava con sereno coraggio e perizia
professionale, sotto il violento fuoco avversario, nel ripristino
dell’efficienza dell’apparato motore, gravemente compromessa, dimostrando
elevate doti tecniche e militari".
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita al capo meccanico di seconda classe
Michele Olivieri (nato a Terlizzi il 23 luglio 1903), al secondo capo meccanico
Antonino Nicita (nato a Santa Teresa Riva il 3 novembre 1914) ed al secondo
capo meccanico Adelino Mazzi (nato a Verona il 26 luglio 1914):
"Imbarcato su silurante, colpita nel corso di
uno scontro notturno con unità nemiche, si prodigava, con sereno coraggio e
perizia, sotto l’intenso tiro avversario, nell’assolvimento del suo compito,
coadiuvando il direttore di macchina nel ripristino dell’efficienza degli
impianti di bordo".
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita al nocchiere di seconda classe
Giuseppe Iannuzzi, nato a Canosa di Puglie il 30 ottobre 1907:
"Imbarcato quale nostromo su silurante,
impegnata in combattimento notturno contro forze navali nemiche, coadiuvava con
slancio e sereno coraggio il Comando nell’attuazione dei provvedimenti intesi
ad eliminare i danni provocati dal tiro avversario ed a ripristinare
l’efficienza dell’unità".
20 dicembre 1941
Muore in territorio
metropolitano, all’età di 26 anni, il marinaio cannoniere Sebastiano Marino del
Grecale, da Acireale (forse per
ferite riportate nello scontro del 9 novembre?).
Novembre 1941-Marzo 1942
Lavori di riparazione
dei danni subiti durante lo scontro dell’8-9 novembre, svolti nell’Arsenale di
Taranto, durante i quali vengono anche apportate alcune modifiche
all’armamento; in particolare, viene installato un obice illuminante da 120/15
mm OTO 1933-1934 sulla tuga centrale (tra i due impianti lanciasiluri), in
luogo dei due che si trovavano sul castello, e le mitragliere binate da 20/65
mm situate sulle alette di controplancia vengono sostituite con altrettante
armi singole a libero puntamento dello stesso calibro, mentre altre due
mitragliere singole (per altra fonte, binate) da 20/65 vengono installate sul
castello di prua (al posto dei due obici illuminanti). Vengono sbarcati i
paramine, usati di rado (a causa dei lunghi tempi necessari per la loro messa
in mare) e ritenuti financo pericolosi per la nave (a causa del rischio del
loro ingarbugliamento nelle eliche o nel timone), mentre vengono installati due
lanciabombe per bombe di profondità, di fabbricazione tedesca.
Sempre nel corso di
questi lavori, nel marzo 1942, il Grecale
viene riverniciato secondo uno schema mimetico: è in assoluto il secondo
cacciatorpediniere italiano a ricevere una colorazione mimetica (il primo è stato
il Lanciere, in febbraio), in base
alle disposizioni emanate da Supermarina il 29 dicembre 1941 e che porteranno,
nel corso del 1942, all’applicazione di questi schemi a tutti i
cacciatorpediniere. La colorazione mimetica del Grecale consiste inizialmente in strisce oblique o macchie di forma
irregolare con bordi ondulati; successivamente sarà rimpiazzata da un nuovo
schema costituito da poligoni scuri relativamente piccoli e cunei su uno sfondo
chiaro uniforme. Le estremità sono invece dipinte di bianco.
16-18 marzo 1942
Il Grecale ed il gemello Scirocco escono da Taranto alle 18.15
del 16 insieme all’incrociatore leggero Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara) per dare protezione a
distanza al convoglio – motonavi Vettor
Pisani e Reichenfels (il
cui carico assomma a 36 carri armati, 278 veicoli e 13.124 tonnellate di
materiali oltre a 103 militari), cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Ignazio
Castrogiovanni), Emanuele Pessagno, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno e torpediniera Pallade (più, nell’ultimo tratto,
anche la vecchia torpediniera Generale
Marcello Prestinari) – in
navigazione da Napoli e Messina per Tripoli in occasione dell’operazione di
traffico «Sirio», che prevede anche la navigazione di altri tre convogli
(piroscafo Assunta De Gregori, cacciatorpediniere Premuda e torpediniera Castore da Palermo a Tripoli;
motonavi Gino Allegri e Reginaldo Giuliani e
torpediniere Circe e Perseo da Tripoli a Palermo;
motonavi Nino Bixio e Monreale da Tripoli a Napoli
scortate da Vivaldi, Pessagno, Malocello, Zeno e Pallade dopo che il convoglio di
andata è giunto a Tripoli). La formazione passa a circa 200 miglia da Malta,
seguendo la rotta di levante; il convoglio giunge inenne a Tripoli il 18 marzo,
dopo di che Grecale, Scirocco e Duca d’Aosta rientrano a Taranto alle 18.40 dello stesso
giorno.
21 marzo 1942
A mezzanotte il Grecale lascia Taranto insieme ai
cacciatorpediniere Ascari, Aviere ed Alfredo Oriani (che formano con esso la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere) ed alla corazzata Littorio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Angelo
Iachino, comandante superiore in mare), per partecipare all’intercettazione del
convoglio britannico «M.W. 10» diretto a Malta con rifornimenti per la
guarnigione dell’isola assediata. Tale convoglio, partito da Alessandria alle
sette del mattino del 20 marzo, è formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot,
con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più
pericoloso dagli incrociatori leggeri Dido, Euryalus e Cleopatra e dai
cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston e Kipling.
Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è
salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L.
Vian. Da Malta si uniscono ad essi, nella giornata del 22 marzo, anche
l’incrociatore leggero Penelope ed
il cacciatorpediniere Legion.
Il Grecale e le altre unità partite da
Taranto formano uno dei due gruppi usciti in mare per tale missione; l’altro
gruppo, denominato «Gorizia», parte invece da Messina (all’1.05 del 22) ed è
composto dalla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere; comandante l’ammiraglio di divisione
Angelo Parona, con bandiera sul Gorizia)
e dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Fuciliere, Bersagliere, Lanciere, Alpino). Altri due cacciatorpediniere, Geniere e Scirocco, che
avrebbero dovuto far parte del gruppo «Littorio» partiranno con alcune ore di
ritardo, alle 2.50 del 22 marzo, avendo dovuto rinviare la partenza a causa di
avarie che ne hanno ritardato l’approntamento.
Il primo sentore di
una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da
intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore
classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean Fleet,
ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo è stato intercettato un
telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò è derivata
l’impressione che le navi britanniche siano in movimento da Alessandria verso
Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps
tedesco ha avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro cacciatorpediniere
con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi
ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato
che il convoglio dirige verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti
radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del
20-21 marzo, hanno confermato l’esistenza di importante traffico nemico al
largo dell’Egitto, anche se si è ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju
88 sia diretto a Tobruk e non a Malta (per quanto anche questa possibilità non
venga categoricamente esclusa), il che appare anche dalle comunicazioni
intercettate, nelle quali il convoglio riferisce ad Alessandria i propri
movimenti.
Quello stesso giorno
un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato
alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani,
con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal
sommergibile italiano Platino (tenente
di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un incrociatore
leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si trovano a 48
miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro
ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento
miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di
grandi dimensioni; al tramonto una formazione di sei aerei da trasporto Junkers
Ju 52, imbattutasi nella squadra britannica durante il volo dal Nordafrica a
Creta, la sorvola e ne comunica posizione, composizione, rotta e velocità. Alle
18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a Malta, accompagnato da
un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre incrociatori ed alcuni
cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite da La Valletta nella
notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio ricognitori tedeschi hanno
avvistato in quel porto delle bettoline di rifornimento affiancate ad un
incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso di intervenire con la flotta
da battaglia, ossia la Littorio e
la III Divisione Navale, più le relative squadriglie di cacciatorpediniere. Per
il gruppo «Littorio» l’ordine operativo è: «Nave LITTORIO et
sei C.T. escano ore et dirigano vela 24 rotta 150 fino meridiano 18 quindi
rotta sud fino punto Alfa latitudine 3530 longitudine 1800 dove dovrà giungere
ore Terza Divisione con BANDE NERE ALPINO FUCILIERE LANCIERE BERSAGLIERE escano
appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore punto Beta latitudine
3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto
attesa risultati ricognizioni», mentre la III Divisione riceve i seguenti
ordini: «Terza Divisione con BANDE
NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE escano
appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta
latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno
detto punto attesa risultati ricognizioni». Il punto “Beta” è situato a 160
miglia per 095° da Malta, il punto “Alfa” 20 miglia a sudest di quest’ultimo.
Il Grecale al Pireo nel 1942, con la nuova colorazione mimetica (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
22 marzo 1942
Una volta lasciata
Taranto (le navi escono dal Mar Grande alle 00.27), il gruppo «Littorio» dirige
a 24 nodi, con rotta 150°, lungo l’asse del Golfo di Taranto, accostando verso
sud alle 4.40 per raggiungere il punto “Alfa”. All’1.31 il sommergibile
britannico P 36, in agguato nel Golfo di Taranto, avvista il gruppo «Littorio»
e lancia il relativo segnale di scoperta (in cui riferisce che la squadra
italiana ha rotta 150° e velocità 23 nodi), che viene ricevuto dall’ammiraglio
Vian alle 5.18, così mettendo i comandi britannici al corrente dell’uscita in
mare di una formazione navale italiana per intercettare il convoglio «M.W. 10».
Alle 6.55 il gruppo «Littorio»
viene raggiunto dalla scorta aerea, formata da velivoli della Regia Aeronautica
(dodici CANT Z. 1007, di cui però soltanto la metà raggiunge le navi, a causa
delle condizioni atmosferiche in peggioramento); questa rimarrà nel suo cielo
fin verso le 9, dopo di che, al crescere della distanza dalle basi, le
apparizioni degli aerei italiani diverranno più sporadiche.
Il primo avvistamento
delle navi britanniche da parte degli aerei italiani avviene alle 9.40, da
parte di un aerosilurante che lancia un segnale di scoperta relativo ad una «forza navale considerevole (15 unità)»
in posizione 34°10’ N e 19°10’ E, avente rotta 270° e velocità di 14 nodi
(cinque aerosiluranti SM. 79 “Sparviero” della V Squadra, decollati da basi in
Libia, hanno infatti attaccato il convoglio a quell’ora: nessun siluro è andato
a segno, mentre uno “Sparviero” è stato abbattuto). Il messaggio viene ricevuto
sulla Littorio alle 9.55, e cinque
minuti dopo la corazzata ed i cacciatorpediniere della scorta incrementano la
velocità a 28 nodi e poi accostano per 190°, assumendo rotta di collisione con
quella stimata della formazione britannica. Alle 10.13 l’ammiraglio Iachino
riceve un secondo segnale di scoperta trasmesso dal Centro Radiotelegrafico di
Trapani, che a sua volta sta ritrasmettendo il segnale di un ricognitore della
186a Squadriglia che alle 9.53, in posizione 33°46’ N e 18°55’ E, ha
avvistato cinque incrociatori, sette cacciatorpediniere ed altrettanti
piroscafi con rotta 300°, velocità imprecisata. Questa seconda segnalazione
risale a soli tredici minuti dopo la prima, ma la posizione indicata da questo
secondo messaggio si trova a 28 miglia per 210° da quella riferita dal primo,
ed anche la rotta stimata del nemico è differente (300° anziché 270°). Non
sapendo quale dei due messaggi sia quello più accurato, l’ammiraglio Iachino
decide di non cambiare gli ordini impartiti alle dieci (per fortuna, dato che
il primo segnale di scoperta, col senno di poi, era il più corretto), ed ordina
alla III Divisione di catapultare un idrovolante da ricognizione per ottenere
informazioni più precise. Alle 10.20 Iachino ordina al gruppo «Gorizia» di
dirigere a 30 nodi verso il nemico per stabilire il contatto visivo, ma senza
impegnarsi.
Alle 11.07 altri
quattro aerosiluranti della V Aerosquadra attaccano il convoglio, di nuovo
senza successo. Alle 11.45 il gruppo «Gorizia» si trova 55 miglia a proravia
del gruppo «Littorio», con rotta 165° e velocità di 30 nodi. Il mare da scirocco
sta diventando sempre più agitato: ormai è già forza 5, tanto che alle 12.12 il
gruppo «Gorizia» riduce la velocità a 28 nodi per alleviare lo sforzo dei
cacciatorpediniere, mentre il gruppo «Littorio» prosegue a 30 nodi e modifica
la rotta da 190° a 180° per arrivare prima addosso al convoglio britannico, che
in base ad una nuova segnalazione del Centro R.T. di Trapani avrebbe rotta 330°
anziché 300° (ma in realtà è di 270°). Alle 12.40 un idroricognitore
catapultato dal Trento comunica a
Iachino e Parona di aver avvistato alle 12.20 cinque incrociatori, altrettanti
cacciatorpediniere e quattro mercantili in posizione 34°10’ N e 18°35’ E, a 90
miglia per 160° dal gruppo «Gorizia», con rotta 285° e velocità 16 nodi. Alle
12.54 l’aereo trasmette una rettifica sulla composizione della formazione
nemica: i cacciatorpediniere sono otto, i mercantili sette. Mancando, sul cielo
della formazione nemica, una scorta aerea, l’idrovolante può mantenersi in
vista dell’avversario.
Alle 12.20 la
formazione britannica accosta per 250°
per ritardare l’incontro con la squadra italiana, e dieci minuti dopo Vian
divide le sue forze in sei gruppi. Alle 13.35, 13.58, 14.03, 14.07 e 14.20 l’ammiraglio
Iachino riceve una serie di segnali di scoperta lanciati da bombardieri
italiani e dal Centro R.T. di Messina; alle 13.53, sulla base del segnale di
scoperta delle 13.35 (in cui un bombardiere dell’Aeronautica della Sicilia ha
riferito di aver avvistato navi nemiche in posizione 33°50’ N e 18°10’ E alle
13.25), il gruppo «Littorio» assume rotta 200°.
Alle 14.23 il gruppo
«Gorizia» avvista le navi nemiche, a 23.000 metri di distanza, divisi in tre
gruppi su rilevamento 185°, 170° e 160° (rispettivamente), ed inizia
l’avvicinamento, con un’accostata per 250°,
accelerando fino a 30 nodi.
Gli incrociatori
britannici dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, e la III
Divisione, come precedentemente stabilito, fa rotta verso nord per attirarli
verso il gruppo «Littorio». Gli incrociatori italiani aprono il fuoco per
primi, alle 14.35 (da 21.000 metri di distanza), mentre i britannici rispondono
al fuoco alle 14.56 (da 19.000 metri); le navi di Vian accostano prima ad est,
poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non allontanarsi dal convoglio, ed il
gruppo «Gorizia» le asseconda, continuando a sparare ed a tenere il contatto. Quando
le unità nemiche accostano di nuovo verso nord, Parona cerca di nuovo di
portarle verso il gruppo «Littorio», cui si unisce alle 15.23; alle 15.20,
frattanto, gli incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud per
riunirsi al convoglio.
Alle 16.31 la squadra
italiana, ora riunita, avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210°,
quindi accosta in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 si
apre il fuoco da entrambe le parti.
A questo punto,
tuttavia, il Grecale non fa più parte
della formazione italiana: colpito da un’avaria al timone, infatti, il
cacciatorpediniere ha ottenuto l’autorizzazione a rientrare a Taranto già alle
tre del pomeriggio (secondo James J. Sadkovich, i problemi al timone del Grecale avrebbero anche costretto
l’ammiraglio Iachino a ridurre la velocità della sua formazione durante la fase
di avvicinamento al nemico). Il Grecale
non partecipa così al successivo scontro tra le due formazioni, che prenderà il
nome di seconda battaglia della Sirte e che vedrà la squadra italiana
infliggere vari danni a quella britannica (tre incrociatori e cinque
cacciatorpediniere danneggiati, di cui due cacciatorpediniere in modo grave),
senza per contro subire danni di rilievo, ma senza tuttavia riuscire ad
infliggere alcuna perdita al convoglio, suo obiettivo (il cui arrivo a Malta
verrà però ritardato, così agevolando la sua distruzione ad opera della
Luftwaffe).
La battaglia ha
termine tra le 18.56 e le 18.58, quando il fuoco viene cessato da entrambe le
parti; alle 19.06 la formazione italiana accosta verso nord, per rientrare alle
basi.
Quando le navi hanno
lasciato le basi c’era solo un vento debole da sudest e mare leggermente mosso,
ma il rientro avviene in condizioni estremamente avverse, con forte vento
da scirocco ed un mare molto mosso, che degenera progressivamente in una
vera e propria tempesta da sudest, con mare forza 8, di intensità continuamente
crescente. L’usura dell’apparato motore, la leggerezza della costruzione dei
cacciatorpediniere italiani e la tenuta non ottimale della portelleria di coperta
iniziano a farsi sentire: la squadra è costretta ad accostare per 25° e ridurre
la velocità a 20 nodi alle 20.00, poi a 18 nodi alle 21.17 e 16 alle 23.57, per
lenire il travaglio dei cacciatorpediniere. Molte delle navi rollano
pericolosamente, e numerosi cacciatorpediniere iniziano a manifestare avarie:
l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco,
il Lanciere, il Fuciliere e l’Alpino comunicano tutti problemi ed avarie più o meno gravi,
restando arretrati o perdendo il contatto con le altre unità. Un poco per
volta, la formazione viene dispersa dalla tempesta, e le unità proseguono da
sole od a piccoli gruppi, lottando contro la violenza del mare.
Nella mattina del 23
marzo, Lanciere e Scirocco soccomberanno alla furia
della tempesta, inabissandosi nel Mediterraneo centrale; dei 478 componenti dei
loro equipaggi (242 sul Lanciere e
236 sullo Scirocco), soltanto in
17 (15 del Lanciere e due
dello Scirocco) verranno
recuperati in vita nei giorni seguente.
Anche il Grecale, in navigazione isolata per
rientrare a Taranto fin dalle 15 del 22, se la vede alquanto brutta durante la
tempesta, tanto più in quanto si ritrova con il timone in avaria già da prima:
la violenza del mare provoca numerose avarie al cacciatorpediniere, che è
costretto a rinunciare a raggiungere Taranto e deve lottare contro la furia
delle onde per tutta la sera del 22, la notte successiva, la giornata e notte
del 23 e le prime ore del 24. A terra si nutre preoccupazione sulla sua
sorte, tanto che a mezzogiorno del 23 il Comando della 2a Squadra
Navale, con sede a Taranto, fa presente all’ammiraglio Iachino (che con la Littorio entrerà a Taranto alle 18.42)
che il Grecale non è ancora
rientrato.
Il Grecale nel pomeriggio del 22 marzo 1942, poco prima di essere autorizzato a rientrare per avaria al timone; lo stato del mare è in peggioramento (g.c. STORIA militare) |
24 marzo 1942
Alle 9.45 il
malconcio Grecale raggiunge Punta
Stilo, a ridosso della quale si mette all’ancora con gravi avarie: ormai
l’intensità della tempesta è almeno in parte calata. Il cacciatorpediniere
passerà un giorno all’ancora a ridosso di Punta Stilo, in queste condizioni.
25 marzo 1942
Alle 6.20 il
rimorchiatore Atlante prende a rimorchio il Grecale
a Punta Stilo e, con la scorta della torpediniera Generale Antonio Cantore, inizia a trainarlo verso Crotone, dove
giunge poco dopo le 23. Il Grecale è
così l’ultima unità della flotta italiana a raggiungere un porto dopo la
tempesta: Gorizia, Aviere, Alpino, Fuciliere, Oriani e Geniere hanno raggiunto alla spicciolata Messina nella giornata del
23, mentre Littorio, Ascari e Bersagliere hanno raggiunto Taranto poco prima delle sette di sera
dello stesso giorno, e Trento e Bande Nere sono entrati a Messina il
mattino del 24.
2 aprile 1942
Alle 00.20, dopo aver
sommariamente riparato le avarie causate dalla tempesta con i mezzi disponibili
in loco, il Grecale lascia Crotone
alla volta di Taranto, dove arriverà il giorno stesso.
Maggio 1942
Il Grecale viene dotato di sonar tipo
SCRAM, di produzione italiana.
14 maggio 1942
Il capitano di
fregata Di Gropello cede il comando del Grecale
al parigrado Luigi Gasparrini (40 anni, da Fermo).
21 luglio 1942
Il Grecale (caposcorta) e le
torpediniere Pallade e Circe partono da Suda per Bengasi alle
11, scortando il piroscafo tedesco Wachtfels,
proveniente da Napoli.
22 luglio 1942
Raggiunto anche dalla
torpediniera Clio, recataglisi
incontro per rinforzarne la scorta, il convoglio raggiunge Bengasi alle 12.30.
Alle 15 Grecale (caposcorta), Pallade e Polluce ripartono da Bengasi per scortare a Taranto la
motonave Ravello.
24 luglio 1942
Il convoglietto
giunge a Taranto alle 14.20.
3 agosto 1942
Il Grecale parte da Taranto per Tobruk alle
00.30, insieme ai cacciatorpediniere Freccia,
Folgore e Turbine, di scorta alla motonave tedesca Ankara.
Alle 9.30 il
convoglio si unisce ad un altro partito da Brindisi per Bengasi, formato dalle
motonavi italiane Nino Bixio e Sestriere con la scorta dei
cacciatorpediniere Legionario e Corsaro e delle torpediniere Partenope e Calliope. Si forma così un unico convoglio, le cui tre motonavi
trasportano complessivamente un carico che assomma a 92 carri armati, 340
veicoli, tre locomotive, una gru, 4381 tonnellate di carburanti e lubrificanti
e 5256 tonnellate di altri materiali,
oltre a 292 uomini. Caposcorta del convoglio unico così formato (dalla scorta
molto eterogenea, perché bisogna utilizzare le unità disponibili al momento:
alcune delle unità non hanno mai navigato assieme, con conseguente scarso
affiatamento) è il Legionario
(capitano di vascello Giovanni Marabotto), dotato di radar tedesco tipo
«De.Te.»; il Folgore è
munito di un nuovo ritrovato della tecnologia tedesca, l’apparato «Metox», in
grado di rilevare le emissioni dei radiotelemetri di unità nemiche in un raggio
di 150 km, indicando sia la presenza di radar sia se si sia stati
individuati da essi.
Di giorno il
convoglio fruisce anche di una nutrita scorta aerea con velivoli sia italiani
che tedeschi.
I comandi britannici,
però, sono al corrente dei dettagli del viaggio delle navi italo-tedesche fin
da prima della partenza: una serie di decrittazioni di messaggi intercettati da
“ULTRA”, il 31 luglio e poi l’1, il 3 ed il 4 agosto, rivelano ai britannici
gli orari previsti di partenza e di arrivo, nonché le rotte che il convoglio
dovrà seguire.
4 agosto 1942
Alle 18, 150 miglia a
nordovest di Derna, il convoglio viene attaccato da dieci bombardieri
statunitensi Consolidated B-24 Liberator che sganciano le loro bombe da alta
quota, ma nessuna nave viene colpita. Si tratta, in assoluto, del primo attacco
condotto da velivoli dell’aviazione statunitense contro naviglio italiano.
Alle 21.40 (per altra
fonte, 19.30) l’Ankara si separa
dal resto del convoglio e dirige per Tobruk, scortata da Grecale, Folgore e Turbine, mentre il resto del convoglio
prosegue per Bengasi.
Poco dopo la Nino Bixio viene immobilizzata da
un’avaria di macchina, il che porta il caposcorta Marabotto a distaccare con
essa Freccia, Freccia e Corsaro ed a
proseguire separatamente con Sestriere, Legionario e Calliope. Alle 22.25, riparata
rapidamente l’avaria, la Nino Bixio può
riprendere la navigazione, appena in tempo prima che iniziano gli attacchi
aerei. Poco dopo, infatti, i tre gruppi in cui il convoglio si è diviso
iniziano ad essere continuamente seguiti da ricognitori (per altra versione, i
ricognitori li avrebbero seguiti fin dalle 19.30, momento della separazione
dell’Ankara dalle altre motonavi) e
vengono attaccati da aerei angloamericani: seguono quattro ore di attacchi di
bombardieri e bengalieri, che attaccano tutti e tre i gruppi, spostandosi di
continuo dall’uno all’altro, ma non riescono a colpire nessuna nave.
5 agosto 1942
All’1.15 Supermarina
invia al caposcorta un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze
Assolute) per avvisarlo del pericolo di attacchi nemici, ma è tardi: gli aerei
“apripista” (“Pathfinder”) hanno già illuminato il convoglio con i bengala, e
dieci aerosiluranti Vickers Wellington sono decollati da Malta e si preparano
ad attaccare. Il capoconvoglio, tuttavia, usa comunicazioni al radiotelefono ad
alta frequenza tra nave e nave, nonché il radar del Legionario, al fine di confondere gli aerosiluranti. Inoltre, i
cacciatorpediniere di scorta occultano i mercantili con delle cortine fumogene;
l’attacco dei Wellington risulta completamente infruttuoso.
Tutte le navi
giungono indenni nei porti di destinazione alcune ore più tardi; il gruppo di
cui fa parte il Turbine arriva a
Tobruk a mezzogiorno.
Alle 20.15 dello
stesso 5 agosto il Grecale
(caposcorta) riparte da Tobruk insieme al cacciatorpediniere Turbine di scorta alla motonave Città di Savona, diretta a Suda, ed alla
nave cisterna Rondine, diretta a
Taranto.
6 agosto 1942
Alle 15.54 un
sommergibile attacca infruttuosamente la Rondine
al largo di Gaudo (secondo una fonte, si sarebbe trattato del britannico Thorn, poi affondato con tutto
l’equipaggio dalla torpediniera Pegaso
alcuni giorni più tardi).
7 agosto 1942
All’1.40, in
posizione 35°50’ N e 23°56’ E, il convoglio si scinde: la Città di Savona, scortata dal Turbine,
dirige per Suda, dove arriverà alle dieci di quel mattino, mentre la Rondine fa rotta su Taranto con la
scorta del Grecale.
Alle 9.40 dello
stesso 7 agosto il sommergibile britannico Proteus
(capitano di corvetta Robert Love Alexander) avvista in posizione 36°52’ N e
24°07’ E (al largo di Capo Spada ed a nordovest di Milos, nell’isola di Creta)
la Rondine ed il Grecale ad otto miglia di distanza, su rilevamento 245°. Alle 10.21
(10.14 secondo le fonti italiane) il Proteus
lancia quattro siluri contro la Rondine
da una distanza di 4500 metri, ma nessuna delle armi va a segno; il
cacciatorpediniere contrattacca con 21 bombe di profondità, nessuna delle quali
esplode vicina al Proteus.
Successivamente, Grecale e Rondine raggiungono Patrasso, dove fanno tappa intermedia prima di
proseguire per Taranto.
Pireo, 8 agosto 1942 (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
10 agosto 1942
Grecale e Rondine lasciano
Patrasso per Taranto.
11 agosto 1942
Raggiungono Taranto alle 19.40.
12 agosto 1942
Alle 9.40 il Grecale (capitano di fregata Luigi
Gasparrini), insieme ai cacciatorpediniere Aviere (caposquadriglia, capitano di vascello Gastone Minotti), Geniere (capitano di fregata Marco
Notarbartolo), Corsaro (capitano
di fregata Lionello Sagamoso), Legionario
(capitano di fregata Corrado Tagliamonte), Ascari (capitano
di fregata Teodorico Capone) e Camicia
Nera (capitano di fregata Adriano Foscari) ed agli incrociatori
pesanti Trieste (capitano
di vascello Umberto Rouselle), Gorizia (capitano
di vascello Paolo Melodia; nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo
Parona, comandante della III Divisione) e Bolzano (capitano di vascello Mario Mezzadra) della III
Divisione, salpa da Messina per attaccare il convoglio britannico diretto a
Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal», durante la battaglia aeronavale
di Mezzo Agosto. (Secondo alcune fonti, il Trieste
non sarebbe partito da Messina ma si sarebbe invece aggregato a Gorizia e Bolzano in mare aperto, provenendo da un porto dell’Alto
Tirreno).
Pur facendo
formalmente parte della X Squadriglia Cacciatorpediniere, per questa occasione
il Grecale è aggregato alla XI
Squadriglia, formata da Aviere
(caposquadriglia), Geniere, Ascari, Legionario e Camicia Nera;
anche il Corsaro, facente parte di
un’altra squadriglia cacciatorpediniere (la XVII) è aggregato alla XI
specificamente per questa operazione.
Il convoglio
britannico è formato da tredici navi da carico (Empire Hope, Dorset, Deucalion, Melbourne Star, Brisbane Star,
Rochester Castle, Santa Elisa, Almeria Lykes, Wairangi, Waimarama, Glenorchy, Port Chalmers,
Clan Ferguson) ed una nave cisterna (Ohio) con la scorta diretta di quattro
incrociatori leggeri (Cairo, Nigeria, Kenya e Manchester) ed
undici cacciatorpediniere (Ashanti, Intrepid, Icarus, Fury, Foresight, Bicester, Bramham, Derwent, Ledbury, Pathfinder e Penn). Dei rifornimenti trasportati da queste
navi vi è a Malta un disperato bisogno: martellata dai bombardamenti ed
assediata dalle forze aeronavali dell’Asse, l’isola è allo stremo dopo il
parziale o totale fallimento delle operazioni di rifornimento tentate in marzo
(convoglio «M.W. 10», culminato nella seconda battaglia della Sirte) e giugno
(operazioni «Harpoon» e «Vigorous», culminate nella battaglia di Mezzo Giugno).
L’intercettazione del
convoglio da parte della III Divisione dovrebbe avvenire sud di Pantelleria,
quando la forza “pesante” di scorta (Forza Z), che include due corazzate (Rodney e Nelson) e tre portaerei (Victorious,
Eagle, Indomitable), avrà lasciato il convoglio, affidandolo ad una forza
leggera formata da pochi incrociatori leggeri e da un decina di
cacciatorpediniere (Forza X). Nel corso delle successive ventiquattr’ore,
inoltre, convoglio e scorta saranno sottoposti ad incessanti attacchi di aerei,
sommergibili e motosiluranti, che infliggeranno loro gravi perdite, affondando
nove dei quattordici mercantili e la portaerei Eagle (un’altra portaerei, l’Indomitable,
subirà gravi danni) e decimando la Forza X, che rimarrà senza un solo
incrociatore indenne (affondati Cairo
e Manchester, danneggiati gravemente Kenya e Nigeria, anche se il primo riuscirà a proseguire insieme al
convoglio).
Strada facendo, la
III Divisione deve congiungersi con la VII Divisione dell’ammiraglio di
divisione Alberto Da Zara, proveniente da Cagliari (da dov’è partita alle
20 dell’11, tranne l’Attendolo,
salpato da Napoli alle 9.30 del 12) e formata dagli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (capitano di
vascello Franco Zannoni; nave ammiraglia di Da Zara), Muzio Attendolo (capitano
di vascello Mario Schiavuta) e Raimondo
Montecuccoli (capitano di vascello Arturo Solari), più i
cacciatorpediniere Maestrale
(capitano di vascello Riccardo Pontremoli, caposquadriglia), Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci), Gioberti (capitano di fregata Vittorio
Prato) e Fuciliere
(capitano di fregata Umberto Del Grande) della X Squadriglia (tranne il Fuciliere, che fa parte della XIII
Squadriglia ma è in questa occasione aggregato alla X). Insieme, le due
Divisioni potranno agevolmente distruggere quanto che restava del convoglio, i
cui pochi mercantili superstiti arrancano in disordine verso Malta con la sola
scorta di sette cacciatorpediniere e due incrociatori leggeri, uno dei quali
danneggiato, sotto continui attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.
Sulle prime si è
pensato di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea era stata scartata per
vari motivi: la Luftwaffe non intende fornire copertura alla flotta italiana
(si ritiene più utile mandare gli aerei ad attaccare il convoglio); c’è poco
carburante; si crede che ci siano 12-15 sommergibili britannici in agguato
lungo le rotte che dalle basi italiane portano al luogo del probabile scontro
(in realtà sono poco più della metà). La conclusione, non errata, è che una
forza di soli incrociatori correrebbe meno rischi e sarebbe egualmente in grado
di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si replicherebbe l’attacco
portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro
il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più
potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere
gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di
sfuggire insieme con la loro scorta.
Memore delle perdite
subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti di Malta (siluramento della
corazzata Littorio e
dell’incrociatore pesante Trento,
quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordina l’intervento degli incrociatori alla
disponibilità di aerei da caccia, per la scorta aerea; nel Mediterraneo, però,
non vi sono che cinque gruppi di caccia moderni (tre italiani e due tedeschi)
per scortare 400 bombardieri ed aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio
dalle basi siciliane e sarde. Il comando del Corpo Aereo Tedesco, che dispone
soltanto di 40 caccia, si rifiuta di assegnarli alla scorta delle navi, ritenendoli
necessari alla scorta degli aerei inviati contro il convoglio; Superarereo
offre maggiore collaborazione, ma assegna i caccia migliori alla scorta di
bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più vecchi come
i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani FIAT CR.
42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta delle
navi. L’11 ed il 12 agosto si discute a lungo sia al Comando Supremo che a
Palazzo Venezia, finché il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore
generale delle forze armate italiane, convince il generale di squadra aerea
Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per
il 13 agosto un buon numero di aerei da caccia, che si dovrebbero alternare in
turni di sei per volta, alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia
inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sono
ritenuti sufficienti 45.
Alle 19 del 12
agosto, la III e la VII Divisione si riuniscono nel Basso Tirreno; l’incontro
con i resti del convoglio è previsto per la mattina del 13, a sud di
Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia.
Alle 22 Supermarina
ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20
nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia,
la formazione viene avvistata e segnalata, mentre procede con rotta sud
un’ottantina di miglia a nord dell’estremità occidentale della Sicilia, da un
ricognitore Vickers Wellington dotato di radar (che viene a sua volta rilevato
dal radar del Legionario). Per
altra fonte, la III Divisione è stata avvistata da un aereo nemico già alle
19.22.
Il comandante delle
forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un neozelandese che è
stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra), resosi conto del
rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti del
convoglio, ordina prima al Wellington che li ha avvistati, e poi anche ad un
secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli spostamenti della
formazione italiana (entrambi appartengono al 69th Squadron e
sono dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguono le lettere
identificative “O” e “Z”), di sganciare bombe e bengala, per indurre le unità
italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da
dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare
l’inganno, Parks si spinge ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in
chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione
della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24
“Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistono
(questo è il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il suo
equipaggio, non informato dello stratagemma: «Report result your attack, latest enemy position for Liberators, most
immediate»).
Ci sono invece a
Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort, che si tengono pronti ad attaccare
le navi italiane in caso di estrema necessità; ma per il momento, vengono
tenuti a terra.
Supermarina cade
nell’inganno. A Roma infuriano discussioni sul da farsi: l’ammiraglio Arturo
Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, richiede al
feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della Luftwaffe per
fornire copertura aerea alle navi, che presto – si ritiene – verranno attaccate
dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre prudentissima, non intende
inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria senza adeguata scorta aerea);
l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento con la Marina tedesca
a Roma, appoggia il suo collega italiano nella richiesta a Kesselring, ed anche
il maresciallo Cavallero insiste in questo senso, temendo che l’operazione
britannica possa comprendere anche uno sbarco sulle coste della Libia. Ma
Kesselring risponde che non ha abbastanza caccia disponibili: quelli che ci
sono bastano solo per la scorta ai bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi
italiane. In considerazione anche delle deludenti prove date in precedenza
dalle forze da battaglia italiane negli attacchi ai convogli britannici – il
fallimento della seconda Sirte ed il successo solo parziale a Mezzo Giugno
contro il convoglio «Harpoon» – Kesselring, poco convinto delle probabilità di
successo degli incrociatori italiani, preferisce impiegare tutti gli aerei a
sua disposizione negli attacchi diretti contro il convoglio, e quindi assegnare
i caccia alla scorta dei bombardieri. (Kesselring ha ragione di essere deluso
per i precedenti attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il
caso di notare che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei
della Luftwaffe si riveleranno poi in grado di annientare il convoglio
«Pedestal»).
Il comando della
Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supporta con tutti gli argomenti
disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo l’opinione che,
in caso contrario, si perderebbe l’occasione di distruggere il più grande
convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in condizioni di superiorità
numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spetta la decisione finale, non
condivide tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni
di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsente a destinare 40 caccia Macchi
Mc 202 alla scorta delle navi; si tratta di un grosso sacrificio per le sue
forze, che in Sicilia dispongono già di caccia appena sufficienti a scortare
solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non
li ritengono comunque adeguati; i sempre ansiosi vertici di Supermarina temono
inoltre, sulla base dell’interpretazione di alcuni segnali di scoperta (quelli
dei sommergibili Bronzo ed Axum, che hanno avvistato unità navali
dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello di un idroricognitore
CANT Z. 506, che ha segnalato “tre grandi navi” – in realtà, l’incrociatore
leggero Charybdis ed i
cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguono il convoglio,
al largo dell’Isola dei Cani), che porebbe esserci anche una corazzata, o forse
più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose,
un U-Boot tedesco segnala di aver avvistato quattro incrociatori e dieci
cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale, apparentemente
diretti verso Malta. È un altro inganno: si tratta di un convoglio “fittizio”
(composto in realtà da due incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni
mercantili) che i britannici hanno inviato verso Malta al preciso scopo di
distogliere l’attenzione dei comandi italiani dal vero convoglio.
Le discussioni
finiscono col giungere ad un punto morto, pertanto gli alti ufficiali
deliberano di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore,
Cavallero gli spiega per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di
Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – è
d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli
incrociatori: Cavallero dice a Mussolini che Riccardi ritiene la missione “troppo pericolosa per la Marina” e per
giunta, giudizio più che discutibile, “un
rischio non pagato da un rendimento corrispondente”), che senza copertura
aerea verrebbero attaccati dai bombardieri di Malta subendo gravi danni,
aggiungendo anche la notizia dell’avvistamento di navi britanniche nel
Mediterraneo orientale; asserisce che incaricherà l’Aeronautica di massimizzare
gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini viene
convinto da tanto eloquio: dice a Cavallero che non intende rischiare le sue
navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiara convinto che
gli aerei e le motosiluranti italiane riusciranno comunque a distruggere il
convoglio prima che raggiungesse Malta. Di conseguenza, la missione degli
incrociatori viene annullata: la più grande occasione che si sia mai presentata
alla Regia Marina per trasformare un ottimo successo tattico (colto nelle ore
precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in uno strepitoso successo
strategico va così in fumo, per l’eccessivo timore di perdite che si
verificheranno lo stesso, ma in condizioni ben più umilianti.
13 agosto 1942
Alle 00.30
Supermarina ordina alla III e VII Divisione, che in quel momento sono ad una
ventina di miglia da Capo San Vito (ad ovest di Trapani), di virare verso est
per tornare alle basi, paventando attacchi aerei nemici sulla base
dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri
ricognitori. Tre minuti più tardi, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare
siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di
inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII
Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare le navi avvistate nel
Mediterraneo orientale, mentre la VII Divisione dovrà tornare in porto.
I finti attacchi
aerei e messaggi continuano ad ogni modo anche nelle ore successive, per
evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli
incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il
convoglio.
Per buona parte della
navigazione, “ULTRA” tiene sotto controllo gli spostamenti degli incrociatori
italiani, decrittando le trasmissioni radio compilate con la macchina cifrante
Enigma: dapprima apprende della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno (La Spezia) nella notte
tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le 8.40 e le 11 del
12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere,
sono partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere
sono partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelano che una forza navale
italiana, di consistenza sconosciuta, ha ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine di
assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e poi
(19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria.
Supermarina avvisa anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) sono in pattugliamento a ponente della longitudine 11°40’
E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per
Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA”
intercetta l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) delle
23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete
subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti
cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso
sudest viene confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington “O”,
subito riconfermato dal Wellington “Z”.
Alle 00.30, in esecuzione
dell’ordine di Supermarina, la III Divisione (cui per ordine di Supermarina
vengono aggregati Attendolo e Grecale, distaccati dalla VII Divisione)
fa rotta su Messina, mentre la VII Divisione dirige per Napoli. L’Attendolo avvista la III Divisione
alle 2.55, ma riesce ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in
quanto tutte le navi hanno preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla
luce di bengala lanciati dagli aerei britannici. Dal momento che ricognitori
britannici pedinano la Divisione fin dalle tre di notte, l’ammiraglio Parona
varia a più riprese la rotta nel tentativo di disorientarli; inoltre, siccome
fin dalla partenza è stato informato che un sommergibile britannico si è
spostato dalle acque di Paola (Calabria) verso il canale che divide Capo
Milazzo dall’isola di Lipari, decide di allontanare le sue navi dalla zona
pericolosa, oltre che dalla rotta su cui viene incessantemente tampinato dai
ricognitori maltesi, ordinando alle 4.55 un’accostata verso nordest, onde transitare
a nord di Stromboli e raggiungere Messina seguendo le rotte costiere di Capo
Vaticano.
Procedendo a 22 nodi,
la III Divisione supera Alicudi, dopo di che alle 6.04 – per ordine
dell’ammiraglio Parona – passa dalla linea di fila alla doppia linea, con Trieste (a dritta) e Gorizia (a sinistra) davanti
ed Attendolo (a dritta) e Bolzano (a sinistra) dietro. I
cacciatorpediniere della XI Squadriglia vengono disposti in posizioni di scorta
prodiera e laterale: il Legionario,
essendo munito di radar, viene posizionato in avanscoperta, 2500 metri a proravia degli incrociatori,
mentre Grecale, Ascari, Aviere e Corsaro vengono disposti sul lato dritto
della formazione e Geniere, Fuciliere e Camicia Nera su quello sinistro.
Due degli otto
cacciatorpediniere di scorta – uno di essi è proprio il Grecale – sono dotati di ecogoniometro; alle prime luci dell’alba
giungono sul cielo della formazione due idrovolanti CANT Z. 506 della 186a
Squadriglia Ricognizione Marittima (decollati dall’idroscalo di Augusta poco
dopo le quattro del mattino) con compiti di scorta aerea antisommergibili. Il
mare è calmo, la visibilità ottimale; una radiosa giornata estiva.
Tra le 6.28 e le 6.33
la III Divisione compie due accostate ad un tempo di 30° a dritta ed a
sinistra, per passare tra Alicudi e Salina, mentre Gorizia e Bolzano si
preparano a catapultare i rispettivi idroricognitori.
Tra gli equipaggi
regna una certa frustrazione, a causa dell’ordine di ritirarsi senza nemmeno
aver tentato di attaccare un nemico che già si trova alle strette.
Come se non bastasse,
i timori di Supermarina di subire perdite tra i propri incrociatori si
avvereranno proprio adesso, mentre questi stanno dirigendo per rientrare alle
basi.
Alle cinque del
mattino, infatti, il capitano di vascello George Simpson, comandante della 10a
Flottiglia Sommergibili britannica avente base a Malta, ha informato il
sommergibile Unbroken (tenente di
vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), in agguato al largo della costa
settentrionale della Sicilia, che incrociatori italiani si stanno dirigendo
proprio verso la sua area d’agguato, dove giungeranno prevedibilmente verso le
7.30; successivamente un altro radiogramma ha informato l’Unbroken che alle tre un aereo ha avvistato al largo di Capo Gallo
degli incrociatori diretti verso est, alla velocità di 20 nodi. Anche un
secondo sommergibile, il Safari
(capitano di fregata Benjamin Bryant), che si trova in quel momento a nordovest
di Palermo, è stato allertato da Simpson: “Incrociatori nemici in arrivo
sulla vostra rotta”.
Proprio il Safari, a nord di Palermo, è il primo ad
imbattersi nelle navi italiane: alle tre del 13 agosto, mentre procede in
superficie, avvista infatti le sagome degli incrociatori della III Divisione in
navigazione verso est, ma non è in grado di attaccare a causa dell’eccessiva
distanza.
Diversamente vanno le
cose per l’Unbroken. Nel momento in
cui riceve la segnalazione da Simpson, il sommergibile si trova trenta miglia
più a sud rispetto al previsto, ed il suo comandante è inizialmente incerto se
dirigere a tutta forza verso il punto assegnato per l’agguato, oppure proseguire
per la propria rotta nell’ipotesi che le navi italiane, dopo essere state
avvistate dall’aereo che ha comunicato la loro posizione ai comandi britannici,
abbiano modificato la rotta accostando verso sinistra (cioè verso il largo), il
che potrebbe portarle nella zona in cui l’Unbroken
si trova in quel momento. Mars sceglie alla fine la seconda opzione; scelta
ripagata in quanto alle 7.30, quando ormai l’ufficiale britannico sta già iniziando
a dubitare della validità della propria decisione, l’Unbroken rileva all’idrofono rumore di Turbine su rilevamento 230°, mentre si trova in posizione 38°43’ N
e 14°57’ E (a nordovest dell’imbocco dello Stretto di Messina). Alle 7.43 il
sommergibile avvista sullo stesso rilevamento numerose navi italiane disposte
in formazione a losanga, che gli stanno proprio venendo incontro: Mars
identifica correttamente la colonna centrale come composta da due incrociatori
pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri, che procedono in linea di
fila; li scortano otto cacciatorpediniere di tipo moderno e due idrovolanti. La
distanza è di 11.000 metri, e Mars stima la velocità delle navi italiane in
circa 25 nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi stanno accingendosi
a passare tra Filicudi e Panarea; sono al traverso di Salina, Stromboli è otto
miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè a
sudovest).
Ironia della sorte, è
stata proprio la decisione dell’ammiraglio Parona di modificare la rotta alle
4.55 per evitare la zona in cui è stato segnalato un sommergibile a portare le
sue navi nella bocca dell’Unbroken,
che a sua volta si trova più a nord rispetto a dove dovrebbe essere: proprio
come previsto da Mars.
La disposizione dello
schermo dei cacciatorpediniere appare favorevole ad un attacco da parte dell’Unbroken: cinque su otto, infatti, si
trovano sul lato opposto della formazione (insieme ad uno degli idrovolanti),
ed i tre che sono sul lato dell’Unbroken
procedono in linea di fila, il che induce Mars a ritenere possibile, salvo
cambiamenti di rotta da parte dei cacciatorpediniere, oltrepassarli passando
loro a proravia, per poi lanciare i siluri contro gli incrociatori. Altro
fattore che agevola l’attacco dell’Unbroken
è la decisione di Parona di interrompere lo zigzagamento per permettere il
lancio degli idrovolanti: scelta che sarà criticata dal comandante della
Squadra, ammiraglio Iachino, il quale nel suo rapporto a Supermarina scriverà
che “data la calma quasi assoluta di vento il catapultamento avrebbe potuto
essere effettuato su qualunque lato della spezzata di zigzagamento”.
Iniziata la manovra
d’attacco, l’Unbroken riesce infatti
a penetrare lo schermo dei cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di essi
passano vicinissimi al periscopio del sommergibile, ma senza notarlo,
nonostante le eccellenti condizioni meteorologiche caratterizzate da mare
calmo, buona visibilità, vento forza 1 da nord e sole a 20 gradi sulla prua a
dritta delle navi), ed alle 8.04 (8.15 per altra fonte, ma ciò contraddice il
giornale di bordo dell’Unbroken) lancia
quattro siluri (regolati per una profondità di 4-5 metri) contro il più vicino
dei due incrociatori pesanti; al di là di questa nave ci sono i due
incrociatori “leggeri”, e Mars ritiene – a ragione – che se i siluri dovessero
mancare il bersaglio designato, avrebbero una buona possibilità di colpire uno
dei due incrociatori leggeri. Per via della formazione italiana a due colonne
affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si
prepara ad attaccare), i bersagli si “sovrappongono” nel periscopio di Mars;
l’incrociatore più vicino è a 25° di prora dritta, distanza 2740 metri. (Secondo
lo storico Francesco Mattesini, contrariamente alle dichiarazioni di Mars, l’Unbroken non avrebbe superato lo schermo
dei cacciatorpediniere prima di attaccare: avrebbe invece lanciato i suoi
siluri da 4000 metri di distanza, restando all’esterno della formazione).
L’attacco si verifica
in posizione 38°40’ N e 15°00’ E, a cinque miglia per 303° da Panarea, proprio
nel momento (8.05) in cui l’ammiraglio Parona ha ordinato di ridurre la
velocità da 22 a 18 nodi per non far allontanare troppo il Gorizia, che sta uscendo di formazione (accostando a sinistra) per
catapultare il suo idroricognitore IMAM Ro. 43. Grecale e Fuciliere,
entrambi di scorta sul lato sinistro, hanno l’ecogoniometro in funzione, mentre
sul cielo della formazione girano i due CANT Z. 506; l’ascolto degli
ecogoniometri è però disturbato in quel momento dalla subitanea riduzione di
velocità decisa dall’ammiraglio Parona.
Subito dopo il
lancio, l’Unbroken scende in
profondità, vira di 90° a dritta ed aumenta la velocità per cinque minuti.
Quando sente le detonazioni, Mars stima che due siluri abbiano centrato
l’incrociatore pesante, e che forse gli altri abbiano colpito uno degli altri.
Il comandante
britannico ha apprezzato correttamente gli esiti del proprio lancio: alle 8.05,
mentre l’Unbroken stava
lanciando i siluri, gli incrociatori italiani hanno ridotto la velocità a 18
nodi, per consentire al Gorizia di
lanciare il suo idrovolante; alle 8.08 (mentre il Gorizia iniziava l’accostata per portarsi in posizione idonea a
lanciare il ricognitore), il cacciatorpediniere Fuciliere ha avvistato un sommergibile sulla sinistra, ed ha
aperto il fuoco con una mitragliera contro il periscopio, distante solo 410
metri (4000 metri secondo Francesco Mattesini), alzando al contempo bandiera
rossa per segnalare l’avvistamento alle altre navi. Gorizia e Bolzano avvistano
le scie dei siluri; il Gorizia li
evita con una brusca accostata, ma il Bolzano non
fa in tempo, e viene centrato da un siluro proprio mentre sta iniziando a
virare. Poco dopo anche l’Attendolo,
che non avendo né visto i segnali né sentito la raffica sparata dal Fuciliere (a causa della sua posizione nella
formazione) ha iniziato l’accostata soltanto dopo che il Bolzano è stato colpito, viene a sua volta raggiunto da un
siluro, subendo l’asportazione della prua.
Mentre gli equipaggi
dei due incrociatori lottano per tenere le loro navi a galla, i cacciatorpediniere
della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare loro assistenza e protezione,
iniziano a stendere cortine fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di
profondità: quest’ultimo compito è assolto da Camicia Nera e Fuciliere
(i più vicini all’Unbroken), che
dalle 8.09 alle 16.40 lanciano ben 105 bombe di profondità, molte delle quali
esplodono vicine al sommergibile, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente verso sudest alla profondità di
39 metri (cui è sceso subito dopo il lancio) in modalità di navigazione
silenziosa, riesce a far perdere le proprie tracce già alle nove. La caccia
vera e propria dura tre quarti d’ora, dopo di che – dopo il lancio della
quarantesima bomba di profondità – i cacciatorpediniere si limitano a gettare
bombe di profondità di tanto in tanto, a scopo precauzionale, e le esplosioni
si fanno sempre più sporadiche e lontane; dopo poco il Camicia Nera viene richiamato in formazione, mentre il Fuciliere prosegue nella caccia
sistematica. Il sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti durante
i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata: ad essere
sbagliata è stata la regolazione della profondità delle bombe.
L’attacco dell’Unbroken scompagina la formazione
italiana, che si divide in due gruppi: i due incrociatori rimasti indenni, Trieste e Gorizia, proseguono verso Messina a 25 nodi, scortati da Corsaro e Camicia Nera (qui arriveranno alle 11.45 dello stesso giorno); gli
altri sei cacciatorpediniere, Grecale
compreso, rimangono invece sul luogo del siluramento per prestare assistenza ad
Attendolo e Bolzano.
Il caposquadriglia
Minotti, che dall’Aviere dirige le
operazioni di soccorso, incarica Grecale
ed Ascari di occuparsi dell’Attendolo. Dei due incrociatori
silurati, questi è quello in condizioni migliori: a differenza del Bolzano, infatti, non corre immediato
rischio di affondamento; ha perso 25 metri della prua, fino all’altezza del
deposito munizioni prodiero (sorprendentemente, senza perdite tra l’equipaggio:
soltanto due feriti leggeri; tre uomini sono stati sbalzati in mare
dall’esplosione del siluro, ma sono stati ripescati sani e salvi), ed ha dovuto
fermare temporaneamente le macchine rimanendo immobile, lievemente appruato e
sbandato di 3°-4° a sinistra. La prima paratia prodiera ha retto perfettamente
lo scoppio del siluro, ma i rottami di parte della prua, abbattutasi sulla
dritta, non si sono staccati del tutto dalla nave e fanno adesso da “timone”,
impedendo all’Attendolo di governare;
ragion per cui il suo comandante segnala ai cacciatorpediniere di necessitare
di rimorchio di poppa. Il caposquadriglia Minotti incarica allora l’Ascari di prendere l’Attendolo a rimorchio, ed il Grecale di proteggere l’incrociatore mutilato
con cortine fumogene e col lancio a scopo intimidatorio di bombe di profondità,
onde dissuadere il sommergibile siluratore dal tornare all’attacco.
L’Ascari passa all’Attendolo un cavo d’acciaio per il rimorchio, ma alle dieci, non
appena l’incrociatore mette in moto, il cavo si spezza; a questo primo
inconveniente seguono un allarme per l’avvistamento della scia del periscopio
di un sommergibile, a 1500-2000 metri sulla sinistra, e poi un altro per
l’avvistamento di un aereo, identificato come un Bristol Blenheim, che si
avvicina volando ad alta quota, sgancia alcune bombe (che cadono in mare
attorno all’Attendolo, senza recar
danno) e poi si allontana velocissimamente. L’Attendolo spara alcune salve contro l’aereo con le sue artiglierie
secondarie da 100 mm, poi altre contro il periscopio (per richiamare su di esso
l’attnzione dei cacciatorpediniere) e rimette in moto le macchine, appena in
tempo per evitare quelle che vengono identificate come le scie di due siluri,
che vengono viste passare vicinissime parallelamente al lato di dritta
dell’incrociatore. (Dai rapporti britannici, tuttavia, non risulta nessun
attacco aereo o subacqueo contro l’Attendolo
in questa circostanza: è probabile che le “scie” di siluri fossero in realtà
prodotte da qualche cetaceo od altro animale, mentre meno spiegabile è
l’attacco aereo. Unico sommergibile in zona era l’Unbroken, che non tentò di ripetere l’attacco ma al contrario si
allontanò dalla zona per sottrarsi alla reazione della scorta).
Subito dopo il
presunto attacco del sommergibile, il pezzo di prua dell’Attendolo che faceva da “timone” si stacca ed affonda, permettendo
finalmente alla nave di dirigere su Messina a 5 nodi, manovrando con le proprie
macchine. Lo scortano Grecale ed Ascari; successivamente la scorta viene
rinforzata anche dal Freccia (inviato
da Messina) e poi da Corsaro e Legionario. Attendolo e scorta raggiungeranno infine Messina alle 18.54.
Molto più difficile
il salvataggio del Bolzano, sul quale
gli allagamenti in rapida estensione inducono il comandante ad ordinare
l’abbandono della nave, che sembra dover affondae da un momento all’altro; ma
ciò non avviene, e dopo qualche tempo un gruppo di volontari torna a bordo del Bolzano e riesce a tendere un cavo di
rimorchio con il Geniere.
L’incrociatore viene così portato ad incagliare su un bassofondale presso l’isola
di Panarea, dove rimane semiaffondato; sarà poi rimesso a galla e rimorchiato
dapprima a Napoli e poi a La Spezia, ma i lavori di riparazione non verranno
mai completati.
L’ufficiale polesano
Guglielmo Belli, imbarcato all’epoca sul Grecale,
avrebbe così ricordato le vicende di Mezzo Agosto a decenni di distanza: “A questo punto [dopo che gli attacchi di
sommergibili, aerei e motosiluranti avevano decimato la scorta del convoglio
britannico], un'azione di forze di
superficie, avrebbe veramente inferto il colpo di grazia ai resti del convoglio
e la sopravvivenza dell'isola sarebbe stata seriamente compromessa. (…) Perché le nostre divisioni incrociatori non
intervennero? Quali furono le mosse della 3.a e della 7.ma Divisione navale,
nei giorni 11, 12 e 13? Alle 22 dell'I 1, Bolzano e Gorizia, con sette
cacciatorpediniere prendono ormeggio nel porto di Messina e procedono al
rifornimento rapido di combustibili e di viveri. All'alba del 12 mollano gli
ormeggi e dirigono verso un punto del Tirreno dove, alle 19, si riuniscono con
una formazione composta dal Trieste e due cacciatorpediniere e con una seconda
composta da Eugenio di Savoia, Montecuccoli, Attendolo e tre
cacciatorpediniere. Tutta la forza navale, la sera del 12, è in rotta per le
Egadi, onde appostarsi fra Pantelleria e Malta, per attendere e distruggere gli
eventuali resti del convoglio britannico. Era indispensabile, però, avere una
buona copertura aerea, essendo Malta forte di non meno di duecento aerei da
combattimento. Ma anche i bombardieri italiani e tedeschi necessitavano di
protezione, come le navi. Gli aerei da caccia erano pochi e, stante
l'impossibilità di frazionarli, bisognava decidere se dovevano scortare i
bombardieri o le unità navali. «Ne nacque, la sera del 12 agosto, una divergenza
fra i capi delle due formazioni armate, ciascuna delle quali reclamava quei
pochi cacciatori per sé. Dato che la discussione divenne molto vivace, e
nessuno voleva cedere, fu chiesto l'arbitrato di Mussolini: il quale decise che
gli aerei da caccia scortassero i bombardieri e che gli incrociatori dovessero
tornare in porto. Così venne a mancare l'ultimo "numero", il più
distruttivo, della nostra pur clamorosa vittoria navale» (M. A. Bragadin).
L'alba del 13 trova la nostra forza navale che —obbediente agli ordini — dirige
su Messina. Il mare è calmissimo, olio. Su uno dei cacciatori di scorta, il Grecale,
è imbarcato chi scrive. Alle otto (sono certissimo dell'ora, poiché ero appena
montato di guardia in plancia, col turno fino alle 12) vedo un incendio sul Bolzano,
al centro; ne dò voce al comandante e, frazioni di secondo, un'onda compare
sulla prora dell'Attendolo; quando si ritira, la nave è mutilata della parte
prodiera, fino a pochi metri dalle artiglierie principali. Sapremo,
successivamente, che un sommergibile britannico aveva lanciato un ventaglio di
siluri, colpendo il Bolzano nelle macchine, al centro, con due siluri, e l'Attendolo
con altri due a prora. Noi, con altri cacciatorpediniere dirigiamo subito
sull'ipotetico punto di lancio e tentiamo la caccia, ma i bassi fondali e la
vicinanza di isolette come Panarea e Basiluzzo (Eolie), non consentono l'uso
dell'ecogoniometro per cui il battello inglese può rimanere da qualche parte,
sul fondo, fra gli scogli. In conclusione va rilevato che sul piano tattico,
non si può disconoscere che si trattò di una grande vittoria, che avrebbe
potuto essere strepitosa se, dopo le azioni delle motosiluranti e dei Mas, lo
sparuto e snervato resto del convoglio britannico fosse stato intercettato
dalle nostre Divisioni incrociatori. Una breve digressione sulla sorte dei due
incrociatori. Il Bolzano ha subito l'acqua fino alla coperta, ma si riesce ad
incagliarlo sui bassi fondali, evitandone l'affondamento. (…) Sull'Attendolo il personale lottò con ogni
mezzo per puntellare le paratie e, navigando a mezza forza indietro, diresse su
Messina, scortato dal solo Grecale, che si dava da fare per proteggerlo ed
assisterlo. Davanti al porto di Messina intervennero i rimorchiatori che
ormeggiarono l'unità entro il porto medesimo. Dopo un breve periodo di lavori,
per puntellare meglio le paratie prodiere, l'unità venne rimorchiata a Napoli
per la riparazione e la ricostruzione della prora”.
4 settembre 1942
Grecale e Maestrale
salpano da Messina alle 12.50 per scortare a Napoli il Muzio Attendolo, che deve trasferirsi
nella base Partenopea per i lavori di
ricostruzione della prua. Appena fuori del porto, Grecale e Maestrale
assumono posizione di scorta laterale, Grecale a
dritta e Maestrale a sinistra; i
cacciasommergibili VAS 204, VAS 210, VAS 215 e VAS 217 procedono
in linea di fronte 30 miglia a proravia della formazione (che procede a 15
nodi), effettuando ascolto idrofonico, finché, all’altezza di Punta Licosa, si
lasciano scadere in modo da ridurre le distanze a 10 miglia. Un aereo della
ricognizione marittima si tiene nel cielo della formazione per scorta aerea,
effettuando cerchi di 5000 metri di raggio che hanno l’Attendolo al centro; la navigazione di trasferimento è anche
appoggiata da sommergibili in ricognizione lontana.
5 settembre 1942
Grecale, Maestrale ed Attendolo entrano a Napoli alle
9.10.
17 ottobre 1942
Il Grecale (capitano di fregata Luigi
Gasparrini) salpa da Napoli alle 4.10, insieme al Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Riccardo
Pontremoli), per scortare a Tripoli la motonave cisterna Panuco, carica di carburante.
18 ottobre 1942
Le tre navi
raggiungono Messina, dove sostano dalle 2.45 (o 2.30) alle 5.30; qui il
caposcorta riceve le disposizioni in merito al prosieguo della traversata,
mentre i cacciatorpediniere si riforniscono di nafta.
Alle 5.30 il Grecale riparte da Messina per scortare
a Tripoli la Panuco, insieme
al Maestrale ed alle
vecchie torpediniere Giuseppe Dezza (tenente
di vascello richiamato Reginaldo Scarpa) e Giuseppe Sirtori (tenente di vascello di complemento
Emilio Gaetano) aggregate per rinforzare la scorta.
Il convoglio costeggia
verso nord la Calabria fino a raggiungere le acque della Grecia, per poi
puntare su Tripoli cercando di mantenersi sempre alla massima distanza possibile
da Malta.
Alle 10.20
Supermarina comunica al convoglio di stare pronto a fronteggiare un possibile
attacco aereo: le navi sono state avvistate da ricognitori nemici.
Alle 15.15 il Grecale, che procede in testa alla
formazione, localizza con l’ecogoniometro un sommergibile nemico in agguato a
proravia del convoglio e passa a dargli la caccia per un’ora con lancio di
bombe di profondità, evitando un siluro (lanciato verso la fine della caccia) e
riscontrando affioramento di nafta in superficie.
Da parte britannica
risulterebbe che alle 13.50 il sommergibile britannico Una (tenente di vascello Compton
Patrick Norman), in posizione 38°26’ N e 16°41’ E (al largo di Capo Spartivento
ed a nord di Catania), avrebbe avvistato su rilevamento 220° il fumo delle navi del convoglio, e si sarebbe avvicinato per
attaccare, identificando le unità del convoglio – che avevano rotta 040° – alle
14.30 come una nave cisterna di 10.000 tsl scortata da tre cacciatorpediniere. L’Una, secondo la valutazione del suo
comandante, si trovava in posizione ideale per un attacco; tuttavia alle 14.56,
cinque minuti prima di poter lanciare i siluri, l’Una è stato localizzato dalla scorta (appunto il Grecale) e costretto a rinunciare
all’attacco e scendere in profondità, per poi essere sottoposto a caccia
antisommergibili protrattasi per tre quarti d’ora. Secondo il giornale di bordo
dell’Una, alle 15.33 un
cacciatorpediniere situato a poppavia del sommergibile ottiene un contatto e si
era avvicina per attaccare; alle 15.35 il cacciatorpediniere passa sulla
verticale del sommergibile e lancia un “pacchetto” di tre bombe di profondità,
che esplodono molto vicine, senza però causare danni. Alle 15.40 tutti e tre i
cacciatorpediniere sembrano essere ancora intenti nella caccia, ragion per cui
Norman abbandona definitivamente ogni residuo proposito di riprendere l’attacco
ed inizia a ritirarsi verso sudest; entro le 16.20 i cacciatorpediniere hanno
perso il contatto con il sommergibile e due di essi ritornano dalla nave
cisterna, mentre il terzo rimane nei pressi dell’Una per altri 45 minuti prima di allontanarsi verso est.
Alle 19 il
caposcorta lascia libere Dezza e Sirtori, con l’ordine di effettuare un
rastrello antisommergibili prima di rientrare a Messina.
La notte è chiara,
con la luna che tramonta verso le due.
Alle 22.37 inizia una
serie di attacchi aerei – sei in tutto – diretti contro la Panuco, che si susseguiranno fino alle
00.40 del 19 (per altra versione gli attacchi aerei si sarebbero susseguiti
ininterrottamente contro il convoglio dalle 15.30 alle 22.40). Nel primo
attacco, verso le 22.40, la Panuco viene
colpita da un siluro a prora sinistra, una settantina di miglia ad est di Punta
Stilo.
La petroliera si
ferma subito; per fortuna non scoppiano incendi, ma la gran quantità di vapori
di benzina fuoriusciti dalle cisterne costringono i 101 componenti
dell’equipaggio ad abbandonare la nave.
I successivi cinque
attacchi aerei consistono tutti nel lancio di bombe anziché di siluri; benché
la Panuco sia ferma, neanche
una bomba la colpisce, grazie all’opera di Grecale
e Maestrale, che la avvolgono in
fitte cortine nebbiogene e reagiscono rabbiosamente con le proprie armi
antiaeree.
19 ottobre 1942
Verso le sette del
mattino, dato che una brezza frattanto levatasi ha in gran parte disperso i
vapori di benzina, il comandante della Panuco e
20 volontari, a dispetto del pericolo che rimane comunque elevato, ritornano a
bordo della petroliera danneggiata e riescono a rimettere in moto. La Panuco dirige su Taranto ad una
velocità di 8 nodi, il massimo che può raggiungere in quelle condizioni.
Il guardiamarina
Giuseppe Lora del Grecale avrebbe
così ricordato, nelle sue memorie, il siluramento della Panuco: “Durante una di
queste spedizioni avevamo salvato quasi tutti gli uomini di una petroliera
carica di benzina che, sebbene silurata, non era esplosa. L’equipaggio, nel
timore di saltare in aria, si era rapidamente allontanato da bordo, parte
gettandosi in mare, parte con le scialuppe di salvataggio. Il motivo per cui
ricordavo perfettamente quell’avvenimento era il coraggio di quei marittimi.
Dopo il siluramento la petroliera, benché colpita e con perdite di benzina,
miracolosamente non era saltata in aria e continuava a galleggiare. Sicché,
trascorse cinque o sei ore, durante le quali avevamo anche dovuto respingere un
attacco di sommergibili nemici, gli uomini del mercantile avevano voluto
tornare sulla loro nave, l’avevano rimessa in condizione di navigare e, da noi
scortati, erano riusciti a riportarla in porto”.
20 ottobre 1942
Scortata da Grecale e Maestrale ed anche, durante le ore diurne, da una continua e
nutrita scorta aerea, la Panuco raggiunge
Taranto con i propri mezzi alle due di notte.
4 novembre 1942
Grecale, Maestrale
(caposcorta), Oriani, Gioberti, il cacciatorpediniere Velite e le torpediniere Animoso e Clio salpano da Napoli alle 17 per scortare a Tripoli il
piroscafo Veloce e le
motonavi Giulia e Chisone. Grecale e Gioberti, oltre
a far parte della scorta, sono anche in missione di trasporto di 52 tonnellate
di munizioni.
5 novembre 1942
Alle dieci del
mattino un sommergibile attacca il convoglio, ma l’attacco è sventato dalla
scorta. Alle 19.40 inizia una serie di pesanti attacchi aerei, che si
protrarranno fino all’una di notte del 6.
7 novembre 1942
L’Animoso lascia la scorta del
convoglio alle otto del mattino; le altre navi arrivano a Tripoli alle 18.15.
Si tratta di uno
degli ultimi convogli a raggiungere la Libia senza subire perdite.
11 novembre 1942
Grecale, Maestrale (caposcorta), Oriani e Gioberti, insieme alla torpediniera Clio, salpano da Napoli alle 16, per scortare a Biserta la
motonave Caterina Costa e
l’incrociatore ausiliario Città di
Napoli.
12 novembre 1942
Il convoglio giunge a
Biserta alle 16.
14 novembre 1942
Grecale, Maestrale (caposquadriglia), Oriani e Gioberti salpano da Palermo per Biserta alle 7, per una
missione di trasporto. Hanno a bordo un reparto organico di 480 uomini del 10°
Reggimento Bersaglieri e 165 tonnellate di benzina in latte.
Alle 14.24 i
cacciatorpediniere vengono avvistati dal sommergibile britannico P 45 (tenente di vascello Hugh
Bentley Turner), a cinque miglia di distanza, in posizione 37°27’ N e 10°12’ E;
il P 45 riduce le distanze
fino a 3 miglia e mezzo, poi rinuncia ad attaccare.
Alle 16 il Gioberti trae in salvo l’equipaggio
di un idrovolante CANT Z abbattuto da quattro caccia britannici; poco dopo le
navi arrivano a Biserta (per altra fonte l’arrivo a Biserta avviene alle 15).
Già alle 17.30 i
cacciatorpediniere, messe a terra truppe e benzina, lasciano Biserta diretti a
Napoli.
15 novembre 1942
Le quattro unità
arrivano a Napoli alle 8.10.
26 novembre 1942
Grecale, Maestrale (caposcorta), Ascari e Camicia Nera partono da Napoli per Biserta alle 15.10,
scortando le moderne motonavi Monginevro e Sestriere.
27 novembre 1942
Alle 11.28 il
sommergibile britannico Una (tenente
di vascello John Dennis Martin) avvista tre cacciatorpediniere della scorta
intenti a girare in cerchio circa tre miglia verso nord, ed alle 11.32 avvista
anche uno dei mercantili, di stazza stimata in 3000-4000 tsl, avente rotta
240°. Martin ritiene di trovarsi nel punto di riunione di un convoglio; il
sommergibile, che si trova 7315 metri a proravia del mercantile, inizia una
manovra d’attacco, che conclude alle 12.26 con il lancio di quattro siluri da
1100 metri (in posizione 37°34’ N e 10°47’ E, a nord del Golfo di Tunisi), per
poi scendere in profondità subito dopo. Nessuna delle armi va a segno; alle
12.36 l’Una torna a quota periscopica e vede che il mercantile si sta
allontanando verso sudovest con uno dei cacciatorpediniere, mentre gli altri
due si stanno allontanando verso nord.
Il convoglio
raggiunge Biserta alle 13.45.
30 novembre 1942
Grecale, Maestrale, Ascari ed il
cacciatorpediniere Mitragliere imbarcano
a Trapani 56 mine tipo P 200 (senza antenna) ciascuno per effettuare la posa
del campo minato «S 96» (composto in totale da 224 mine), una spezzata dello
sbarramento «S 9» da posare nel Canale di Sicilia.
Alle 23.45 Grecale, Maestrale (capo formazione, capitano di vascello Nicola
Bedeschi), Ascari e Mitragliere lasciano Trapani per
eseguire la posa, in base agli ordini di Marina Messina.
1° dicembre 1942
Alle 6.43 viene
avvistata la costa della Tunisia, e poco dopo si scorge anche l’Isola dei Cani,
che viene usata come punto di riferimento per controllare la posizione, in modo
da dirigere con esattezza sul punto designato per la posa. Le quattro unità,
scortate da caccia della Luftwaffe, si dispongono in linea di fronte ed alle
8.46 iniziano a posare le mine, operazione che viene completata alle 9.15. Le
mine vengono posate su quattro file parallele, lunghe complessivamente 11.150
metri (6,5 miglia) e distanziate 100 metri l’una dall’altra; il Grecale posa la seconda fila da dritta,
mentre la fila esterna di dritta è posata dal Maestrale, la terza da dritta dall’Ascari e quella esterna di sinistra dal Mitragliere. Tra ogni mina di una stessa fila c’è un intervallo di
200 metri (il ritmo di lancio è di una mina ogni 33 secondi), e le mine delle
diverse file sono sfalsate tra loro di 50 metri. Lo sbarramento viene eseguito
con rotta di posa 30°.
A mezzogiorno viene
avvistato in lontananza un aereo di nazionalità sconosciuta, e poco dopo Supermarina
comunica al Maestrale che i
cacciatorpediniere sono stati avvistati da aerei nemici.
Alle 19.35 Grecale, Ascari e Maestrale,
che formano la X Squadriglia Cacciatorpediniere (al comando del capitano di
vascello Nicola Bedeschi del Maestrale),
di ritorno dalla posa del campo minato, vengono mandati a rinforzare la scorta
del convoglio «B», formato dai piroscafi Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa,
in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle 14.30 del 30 novembre) a
Biserta e Tunisi con la scorta delle torpediniere Sirio (caposcorta), Groppo, Uragano (quest’ultima aggregata alle
7.10 del 1° dicembre come rinforzo, in seguito alla segnalazione della presenza
a Bona di forze di superficie nemiche), Pallade ed Orione.
(Secondo "La guerra di mine", però, dopo la posa i cacciatorpediniere
sarebbero rientrati a Trapani, dopo di che “il Maestrale ebbe
ordine di proseguire per Cagliari, per scortare un convoglio”). Il
convoglio, che procede a soli sette nodi, è stato avvistato da ricognitori
britannici alle 14.40 (segnale di scoperta intercettato da Supermarina, che,
come fa abitualmente con tutti i segnali di questo tipo, dopo averlo decrittato
lo ritrasmette all’aria, per allertare il convoglio) e da allora viene tenuto
sotto sorveglianza; la X Squadriglia Cacciatorpediniere è stata inviata a
rinforzarlo per garantire maggiore protezione nell’ultimo tratto del viaggio (“contro l’eventuale proveniente da Bona dove
stamani erano presenti qualche CT”, come scritto nell’ordine compilato alle
15.08).
Alle 17.30 è uscita
da Bona, in Algeria, la Forza Q britannica (incrociatori leggeri Aurora, Sirius ed Argonaut,
cacciatorpediniere Quiberon e Quentin), a caccia di convogli italiani.
Supermarina ha contezza dei movimenti nemici già il 30 novembre, quanto
intercetta un segnale di un ricognitore nemico che, alle 23 di quel giorno, ha
comunicato di aver avvistato due convogli a sudovest di Napoli: si tratta del
«B» e del «C», diretto invece a Tripoli.
Al contempo (sera del
30) Supermarina ha appreso che forze leggere di superficie nemiche si trovano a
Bona, e – dato che, viaggiando a 30 nodi, la Forza Q potrebbe raggiungere in
sei ore i convogli «B» e «H» (altro convoglio diretto in Tunisia) – ha chiesto
una ricognizione su tale porto al tramonto del 1° dicembre. Tuttavia, l’aereo
tedesco inviato a compiere la ricognizione e l’aereo italiano che lo accompagna
non fanno ritorno. Alle 23.30 del 1° dicembre Supermarina viene informata da
Superaereo che un altro aereo tedesco ha avvistato cinque navi da guerra
britanniche di medio tonnellaggio al largo delle coste algerine, con rotta 90°;
dieci minuti dopo Supermarina lancia il segnale di scoperta.
La notizia che la
Forza Q è uscita da Bona, tuttavia, induce Supermarina a disporre che il
convoglio «B», ritenuto il più rischio d’intercettazione (questo è stato anche
il motivo per il rinforzo della scorta) insieme all’«H», venga infine dirottato
su Palermo.
Il convoglio «H»,
trovandosi ormai in posizione troppo avanzata per poter tornare indietro, viene
fatto proseguire (si è inizialmente considerato se inviare la X Squadriglia – i
cui tre cacciatorpediniere sono gli unici disponibili al momento – a rinforzare
quest’ultimo convoglio anziché il «B», ma alla fine si è deciso di assegnarla
al convoglio «B» perché l’«H» è il più protetto dei due, oltre che il più
veloce nonché in posizione più avanzata, così che si ritiene che entro
mezzanotte sarà parzialmente protetto dai bassifondali del banco Keith e dai
campi minati difensivi presenti nella zona); verrà distrutto nella notte
seguente dalla Forza Q, con gravissime perdite, nello scontro divenuto noto
come del banco di Skerki. Alle 20.15, infatti, la Sirio (capitano di corvetta Romualdo Bertone) avvista dei
bengala a proravia sinistra, e poi molti altri bengala nella direzione in cui
si trova il convoglio «H». Alle 22.30 Bertone, che è anche caposcorta del
convoglio «B», ordina alle navi di accostare verso est per non avvicinarsi
troppo al convoglio «H», che appare sotto attacco; successivamente fa accostare
per 150°.
2 dicembre 1942
All’una di notte il
comandante Bedeschi del Maestrale,
di grado superiore a Bertone, interviene ed ordina di fare rotta su
Palermo, essendo ormai evidente che il convoglio «H» è sotto attacco da parte
di una formazione navale.
Alle 7.06 il
convoglio «B» riceve ordine di dirigere per Trapani, dove giunge alle 10.50.
Le navi ripartiranno
poi in due gruppi (il Lisboa alle
12.20 del 5, preceduto dagli altri quattro mercantili alle 19 del 2) e
giungeranno tutte a destinazione (Campania a
Biserta alle 15.45 del 3, Arlesiana ed Achille Lauro a Tunisi alle 18.45
del 3, Lisboa a Susa alle 16 del 6), ad eccezione del Menes, affondato su mine alle 14.15 del
3 dicembre, al largo dell’Isola dei Cani.
5 dicembre 1942
Grecale, Maestrale, Ascari e Corazziere posano un’altra spezzata dello sbarramento «S 9»,
la «S 97», anch’essa composta da 224 mine.
Primo a partire, alle
2.46, è il caposquadriglia Maestrale,
seguito da Grecale, Ascari e Corazziere. Una volta usciti tutti, i quattro cacciatorpediniere si
dirigono verso la zona di posa.
Alle 7.52
sopraggiungono due aerei da caccia della Regia Aeronautica, che sorvolano la
formazione e ne assumono la scorta. Alle 8.45 la squadriglia si dispone in
linea di fronte, ed alle 9.06 inizia la posa delle mine, che prosegue fino alle
9.38. La posa, eseguita sulla base dell’ordine di operazione redatto da Marina
Trapani, avviene con modalità identica alla «S 96», unica differenza la rotta
di posa, che ora è 22°.
Alle 8.52, poco prima
di iniziare la posa, viene avvistato a grande distanza, su rilevamento vero
40°, un aereo di nazionalità incerta, che Supermarina comunicherà poi essere
nemico.
Alle 13.40 i quattro
cacciatorpediniere imboccano le rotte di sicurezza per l’accesso a Trapani,
dove giungono poco più tardi.
8 dicembre 1942
Il Grecale ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Antonio Da Noli, Nicolò Zeno, Ascari, Mitragliere e Corazziere iniziano
a caricare le mine per la posa della spezzata «S 94».
9 dicembre 1942
Alle 9.40 Supermarina
ordina di sospendere l’imbarco delle mine, rimettere sulle bettoline quelle già
imbarcate e prepararsi subito ad un’urgente missione di trasporto truppe a
Tunisi e Biserta.
10 dicembre 1942
Grecale, Ascari, Mitragliere Da Noli e Pigafetta (caposquadriglia)
salpano da Trapani per Biserta alle 3.20, trasportando personale della Marina
ed altre truppe.
Arrivati a Biserta
alle 10.30, i cinque cacciatorpediniere sbarcano il personale trasportato e
ripartono alle 17, trasportando ora 900 smobilitati della Marina francese.
11 dicembre 1942
I cacciatorpediniere
arrivano a Trapani alle due di notte; poco dopo, ricominciano ad imbarcare le
mine. Grecale, Ascari, Mitragliere e Corazziere
caricano ciascuno 52 mine tipo P 200 od Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno ne caricano 85 tipo EMF
ciascuno.
Pochi minuti prima
della partenza, in tarda serata, il Pigafetta subisce
un’avaria di macchina che gli impedisce di partire; viene così deciso di
rinunciare ad una fila di mine (il piano originario ne prevedeva cinque, tre
composte da 86 EMF e due di 104 Elia o P 200). Il capitano di vascello Del
Minio, che comanda la XV Squadriglia Cacciatorpediniere e deve dirigere la
posa, trasborda dal Pigafetta sul Da Noli.
12 dicembre 1942
Grecale, Da Noli, Zeno, Mitragliere, Ascari
e Corazziere partono da Trapani
all’una di notte. Procedono a 20 nodi di velocità finché alle 7.10 avvistano
l’Isola dei Cani; a questo punto riducono la velocità a 18 nodi e dirigono per
la rotta normale a quella di posa, passando nel varco rimasto tra le spezzate
«S 93» e «S 96». Alle 7.55 sopraggiunge un ricognitore che fornisce alle unità
scorta antisommergibili (insieme, per poco tempo, a tre aerei da caccia) fino
alle 10.45. Viene assunta formazione con Zeno, Da Noli e Corazziere in linea di fronte,
seguiti da Mitragliere e Grecale anch’essi in linea di
fronte, seguiti a loro volta dall’Ascari;
viene ridotta ancora la velocità, fino a 14 nodi, ed alle 9.29 inizia la posa,
su rotta 57°. Prima nave a posare le mine è lo Zeno, poi Da Noli, Mitragliere ed Ascari, mantenendo gli intervalli
necessari per lo sfalsamento delle mine tra le file, infine Grecale e Corazziere dopo che Ascari
e Mitragliere hanno finito di posare
le loro. In tutto, otto mine esplodono prematuramente.
Zeno e Da Noli posano rispettivamente la
prima e seconda fila di mine (da sinistra), entrambe lunghe 16 miglia e
composte da 86 ordigni tipo EMF, regolati per una profondità di 15 metri e
distanziati tra loro di 350 metri. Corazziere e Mitragliere posano la terza
fila, Grecale ed Ascari la quarta, formate ambedue
da 104 mine tipo Elia o P 200 e lunghe 13 miglia.
La posa viene
ultimata alle 10.39. Durante l’operazione, una schiarita ha agevolato il
riconoscimento dei punti cospicui della costa; terminata la posa, tuttavia, il
tempo diventa fosco, la visibilità cala drasticamente e si verificano frequenti
piovaschi.
Le navi rientrano a
Trapani alle 16.40.
16 dicembre 1942
Supermarina ordina a
Marina Messina di far caricare sulle bettoline, la sera del 19 dicembre, le
mine destinate alla spezzata «S 98» dello sbarramento «S 9», che dovrà essere
posata da Grecale, Corazziere (con mine tipo Elia), Da Noli, Pigafetta, Zeno (con
mine tipo EMC e EMF). Marina Messina, tuttavia, risponde che Da Noli, Zeno, Ascari e Corazziere, appena tornati da una
missione di trasporto truppe in Tunisia, hanno solo 200 tonnellate di nafta,
insufficienti ad eseguire la missione; a riprova della crescente gravità della
carenza di nafta, Supermarina si trova a dover ordinare a Marina Messina, alle
14.25, che lo Zeno ceda
al Da Noli tutta la nafta
in eccedenza rispetto a quella necessaria a trasferirsi da Trapani a Palermo,
dopo di che il Da Noli si
rechi a Palermo, riempia di nafta tutti i serbatoi prelevandola dalle unità ai
lavori, e poi torni a Trapani per distribuire la nafta agli altri cacciatorpediniere.
Tale è la scarsezza di nafta nella base di Trapani.
Alle 18.30
Supermarina ordina anche a Marina Messina che Grecale e Corazziere,
oltre alle mine tipo Elia, carichino anche le P 200 fino a completo carico; il
17 dicembre, con messaggio delle 19.30, preciserà che dato il maggior numero di
mine, le linee di Grecale e Corazziere dovranno essere
allungate verso nordest.
Successivamente, le
necessità del rifornimento della Tunisia, che impegnano i cacciatorpediniere in
continue missioni di trasporto truppe, ed i periodi di maltempo costringono a
rimandare la posa della «S 98» per oltre un mese.
21 dicembre 1942
Grecale, Bombardiere, Corazziere e Legionario (caposquadriglia) salpano da Trapani per Biserta
all’una di notte, in missione di trasporto truppe. Successivamente si uniscono alla
formazione anche Da Noli e Pigafetta, partiti un’ora più tardi; in
tutto, i sei cacciatorpediniere trasportano 1750 uomini.
Secondo una fonte,
alle 3.38 uno dei cacciatorpediniere della formazione sarebbe stato infruttuosamente
attaccato dal sommergibile britannico United
(tenente di vascello John Charles Young Roxburgh), 25 miglia a nord di
Marettimo, ma in realtà il bersaglio di questo sommergibile fu probabilmente la
torpediniera Cigno.
Grecale, Bombardiere, Corazziere e Legionario arrivano a Biserta alle 8.45, Da Noli e Pigafetta un
quarto d’ora dopo. Le sei unità imbarcano mille smobilitati della Marina
francese da rimpatriare, poi ripartono: Grecale e Legionario
lasciano Biserta alle 10.40, preceduti di dieci minuti da Pigafetta (caposquadriglia), Da Noli, Bombardiere e Corazziere.
Grecale e Legionario (capo
sezione) raggiungono Trapani alle 21, mentre gli altri cacciatorpediniere
dirigono per Palermo.
22 dicembre 1942
Grecale, Bombardiere e Legionario (caposquadriglia) partono da
Trapani per Biserta alle 22, in missione di trasporto truppe.
23 dicembre 1942
I tre
cacciatorpediniere giungono a Biserta alle sette del mattino, sbarcano le
truppe e poi ripartono alle nove, trasportando 500 smobilitati della Marina
francese. Grecale e Legionario raggiungono Palermo alle
23.30, mentre il Bombardiere prosegue per Napoli.
24 dicembre 1942
Grecale, Bersagliere, Mitragliere (caposquadriglia) e Corazziere salpano da Palermo per Tunisi
alle 21, in missione di trasporto di 1200 soldati.
25 dicembre 1942
I quattro
cacciatorpediniere arrivano a Tunisi alle 8.30 e ripartono due ore più tardi,
dopo aver sbarcato le truppe ed aver imbarcato 1200 tra smobilitati della
Marina francese e prigionieri.
26 dicembre 1942
Rallentato da
un’avaria, il Grecale raggiunge
Palermo alle 00.15, alcune ore dopo gli altri cacciatorpediniere.
2-3 gennaio 1943
Nella notte tra il 2
ed il 3 gennaio, mentre il Grecale si
trova ormeggiato a Palermo, il porto del capoluogo siciliano viene attaccato da
cinque "chariots" britannici, mezzi d’assalto copiati dai siluri a
lenta corsa italiani, nell’ambito dell’operazione «Principal» (talvolta
menzionata erroneamente come «Principle»), che rappresenta il primo impiego
operativo di questo mezzo. E proprio il Grecale,
per poco, non ne rimane vittima.
Gli
"chariots" sono stati portati fin davanti al porto da due
sommergibili britannici, il Trooper (tenente
di vascello John Somerton Wraith) ed il Thunderbolt (tenente di vascello Cecil Bernard Crouch),
partiti da Malta il 29 dicembre 1942 insieme ad un terzo sommergibile, il P 311, avente anch’esso a bordo due
"chariots" ma destinato invece ad attaccare La Maddalena (non ci
arriverà mai: giunto al largo di Tavolara, urterà una mina ed affonderà con
tutto l’equipaggio). Gli "chariots", trasportati in contenitori
stagni fissati sulla coperta, sono identificati dai numeri XV, XVI, XIX, XXII e
XXIII; il Trooper ha
trasportato gli chariots XVI, XIX e XXIII, il Thunderbolt il XV ed il XXII. L’operazione, inizialmente
pianificata per la notte tra il 1° ed il 2 gennaio, è stata poi rimandata alla
notte successiva in seguito alla segnalazione, da parte della ricognizione
aerea, della presenza di diverse siluranti italiane tra Marettimo ed il banco
di Skerki: in conseguenza di questa notizia, Trooper e Thunderbolt sono
stati trattenuti parecchie ore a sud di Pantelleria, in attesa di sapere
dal P 311 (che li precedeva
lungo la rotta, essendo partito per primo, il 28 novembre) se il Canale di
Sicilia fosse “sgombro” dalla vigilanza antisommergibili italiana.
I due sommergibili
hanno poi seguito la costa settentrionale della Sicilia e sono giunti nelle
acque antistanti Palermo la sera del 2 gennaio; il Thunderbolt per primo, e poi anche il Trooper, si sono portati in affioramento
(con la torretta al di sopra della superficie ed i cilindri-contenitori a pelo
d’acqua, in modo da agevolare l’estrazione dei “chariots”) a tre o quattro
miglia dal porto, da una posizione sottocosta vicino a Capo Gallo. In
particolare il Thunderbolt,
giunto nella posizione stabilita alle 21.38 del 2 gennaio, ha messo a mare i
suoi "chariots" tra le 22.02 e le 22.16, seguito poco dopo dal Trooper. L’operazione stessa di messa a
mare dei mezzi si rivela tutt’altro che agevole, anche a causa del mare
piuttosto mosso (addirittura forza 5, secondo il libro "The Real
X-Men" di Robert Lyman): l’equipaggio del chariot XII fatica parecchio a
trascinare in acqua il suo mezzo e, quando finalmente ci riesce, evita di
stretta misura di restare impigliato nel cavo antireti del sommergibile, che ha
iniziato ad immergersi; i due uomini del chariot XV vengono spazzati in mare
mentre stanno montando sul loro "chariot", e devono tenersi a galla
aggrappandosi al loro mezzo, riuscendo successivamente a raddrizzarlo e mettere
in moto verso Palermo.
Dopo aver rilasciato
gli "chariots", Trooper e Thunderbolt lasciano subito la zona
per rientrare a Malta; poco più tardi – alle 2.50 – giunge invece sul posto il
sommergibile P 46 (poi Unruffled,
al comando del tenente di vascello John Samuel Stevens), partito il 30 dicembre
da Malta con lo specifico incarico di recuperare gli incursori al termine
dell’operazione. Questo avvicendamento è dovuto alle minori dimensioni
del P 46, un sommergibile classe
U, ritenute più adatte ad un compito di “esfiltrazione”; Trooper e Thunderbolt, appartenenti alla più grande classe T, sono infatti
ritenuti troppo voluminosi e vulnerabili.
La notte è
particolarmente buia (anche grazie alle nubi basse: di quando in quando si
verifica uno scroscio di pioggia), il mare piuttosto mosso (tanto da far
rollare i sommergibili anche ad una decina di metri di profondità), con vento
forza 5.
Per tre dei cinque
"chariots", la missione si conclude prima ancora di poter cominciare.
Il numero XXIII, pilotato dal sottotenente di vascello H. L. H. Stevens e dal
sottocapo Carter ed avente come obiettivo principale la motonave tedesca Ankara e come obiettivo secondario tre
altre motonavi, perde quasi cinque ore a causa di difficoltà nell’individuare
l’imboccatura del porto; poi il respiratore di Carter si guasta (altra fonte
parla di avaria al "chariot" stesso) e vengono riscontrare anche
infiltrazioni d’acqua nella muta del pilota, il che induce Stevens a lasciare
Carter su una boa e tentare di proseguire da solo verso l’imboccatura del porto.
Non riuscendo a trovarlo lo stesso, Stevens finisce col rinunciare all’attacco,
riprendendo a bordo Carter e tornando indietro senza neanche essere entrato nel
porto. Anche peggio va al chariot XV (sergente J. M. Milne, marinaio W.
Simpson), incaricato di collocare le sue cariche esplosive sulle chiuse del
bacino di carenaggio per distruggerle: prima di poter entrare nel porto, il
mezzo affonda a causa dell’improvvisa esplosione della batteria; uno dei due
operatori, Simpson, rimane incastrato nei rottami del mezzo ed affonda con esso
(il suo corpo non verrà mai ritrovato), l’altro – Milne – riesce faticosamente
a liberarsi quando già è sprofondato a quasi trenta metri ed a raggiungere la
riva a nuoto, prendendo terra ad Isola delle Femmine, ma qui viene catturato.
Lo chariot XIX (tenente di vascello H. F. Cook, marinaio Worthy), incaricato di
minare e affondare la motonave Calino
(obiettivo secondario sono tre cacciatorpediniere), riesce invece a penetrare
nel porto, ma durante il superamento delle ostruzioni la muta del pilota Cook
rimane lacerata, e questi inizia a risentire di forti dolori e vomito (secondo
altre fonti, invece, Cook stava male già poco dopo aver lasciato il Trooper, probabilmente per effetto del
mal di mare). Worthy si dirige allora verso terra con il "chariot",
fa scendere Cook e tenta di proseguire da solo; resosi però conto di non
riuscire a controllare il mezzo da solo, lo autoaffonda in acque profonde e poi
torna dove aveva lasciato Cook, ma non lo trova più: l’ufficiale è annegato,
anche il suo corpo non sarà mai ritrovato. Raggiunta la terra, Worthy viene
fatto prigioniero.
Gli altri due
chariots riescono invece a collocare le loro cariche esplosive. Lo chariot XVI
(sottotenente di vascello Rodney G. Dove e sottocapo James M. Freel), in
particolare, colloca la sua carica esplosiva principale sullo scafo della
motonave Viminale, dopo di che i
due operatori, esausti per lo sforzo sostenuto nel superamento delle reti
all’ingresso del porto, rinunciano a collocare le mine adesive sulle altre navi
(per altra fonte, non l’avrebbero fatto perché avevano perso le mine al momento
di lasciare il Trooper, quando
erano stati travolti da una violenta onda) e raggiungono direttamente la riva,
dove sono fatti prigionieri proprio mentre esplode la carica da loro piazzata
sulla Viminale.
La più efficace è
però l’azione dello chariot XXII, pilotato dal tenente di vascello Richard
Thomas Goodwin Greenland, con il sottocapo segnalatore Alex Mitchell Ferrier
come secondo: loro obiettivo primario è l’incrociatore leggero Ulpo Traiano, in costruzione nei
cantieri di Palermo (è stato varato poco più di un mese prima e si trova in
fase di allestimento), loro obiettivo secondario sono quattro
cacciatorpediniere. Dopo aver lasciato il Thunderbolt ed aver percorso le quattro miglia che li separano
dall’imboccatura del porto in condizioni di mare piuttosto mosso, i due
operatori si riposano brevemente sulla costa, indi superano le due reti di
sbarramento e poi vanno all’attacco: per prima cosa i due incursori superano le
reti parasiluri tese attorno allo scafo dell’Ulpo Traiano e piazzano la loro carica principale (da 270 kg
di esplosivo) sulla carena dell’incompleto incrociatore, operazione che
richiede una decina di minuti, poi applicano le loro quattro mine adesive di
minori dimensioni (“mignatte”) sugli scafi del piroscafo Gimma, della torpediniera di scorta Ciclone ed appunto del Grecale. Secondo quanto raccontato da
Ferrier molto tempo dopo, Grecale e
Ciclone erano ormeggiate di poppa
alla banchina; il "chariot" suo e di Greenland si portò tra le due
navi e piazzò le prime tre mine sui loro scafi, e fu durante questo lavoro che
si i due rischiarono di essere scoperti: nell’invertire la rotta, infatti, il
"chariot" urtò con la poppa un cavo d’ancoraggio, e la sua elica
fuoriuscì per pochi istanti dall’acqua, producendo un leggero sommovimento in
superficie. Un marinaio su una delle navi italiane se ne accorse e si sporse
dalla murata per dare un’occhiata, ma intanto Greenland era riuscito
tempestivamente a riportare il mezzo sotto lo scafo, così il marinaio italiano
non li vide e tornò, apparentemente, alla sua occupazione. Dopo aver
minato Grecale e Ciclone, i due incursori cercarono altre
siluranti da attaccare, essendo state queste designate come obiettivo secondario;
non riuscendo però a trovarne altre, decisero di collocare l’ultima carica
rimasta sullo scafo di un mercantile, cioè il Gimma. (Secondo una fonte, nel collocare le mine adesive su queste
unità Greenland e Ferrier avrebbero perso troppo tempo, il che avrebbe impedito
loro di giungere all’appuntamento con il P 46). Completata quest’operazione, Greenland e Ferrier riescono
anche ad uscire dal porto con il loro "chariot" (non senza
inconvenienti: durante il tragitto verso l’uscita il "chariot" va
infatti a sbattere a tutta velocità contro una rete di protezione, e poi anche
contro lo scafo di un mercantile) per raggiungere il P 46 in attesa al largo, e farsi riprendere a bordo; ma sono
esausti, hanno respirato ossigeno puro per troppo tempo e dopo un po’ si
rendono conto che stanno semplicemente girando in tondo davanti al porto perché
la loro bussola si è rotta, mentre le batterie del loro mezzo si vanno
esaurendo. A questo punto, pertanto, autoaffondano il loro "chariot"
e poi raggiungono a nuoto la riva, dopo di che si tolgono le mute e cercano di
lasciare la città per sottrarsi alla cattura. I due incursori riescono in
effetti ad uscire indisturbati dal cantiere navale e ad allontanarsi dalla zona
portuale prima che le cariche esplodano; lasciata la città, si dirigono verso
le campagne con l’intenzione di attraversare la Sicilia verso sudest,
impadronirsi di un’imbarcazione e raggiungere Malta, ma poco fuori Palermo
s’imbattono in un carabiniere. In un primo momento Greenland e Ferrier tentano
d’ingannarlo sostenendo di essere tedeschi, con apparente successo; dopo
essersi allontanato, però, il militare ritorna insieme ad altri tre
carabinieri. Di nuovo i due britannici sostengono di essere membri della
Wehrmacht, mostrando ai carabinieri dei documenti tedeschi (ovviamente falsi);
ma lo stratagemma non funziona, i due sono condotti presso la locale stazione
dei Carabinieri, interrogati in varie lingue ed infine smascherati con l’arrivo
di un tenente della Luftwaffe, convocato dai carabinieri. Ricondotti a Palermo
e consegnati alla Regia Marina (Junio Valerio Borghese, comandante dei loro
“colleghi” italiani della X Flottiglia MAS, chiederà e otterrà di incontrarli),
Greenland e Ferrier vengono interrogati e poi mandati in un campo di prigionia.
Dei dieci operatori,
pertanto, soltanto due riescono a sfuggire alla cattura: si tratta di Carter e
Stevens, i due operatori del "chariot" che è tornato indietro, i
quali vengono recuperati in mare aperto alle 4.35, sei ore dopo aver lasciato
il Trooper, dal P 46, in attesa a tre miglia e mezzo
dall’imboccatura del porto di Palermo. Degli altri otto, due (Cook e Simpson)
hanno perso la vita, ed i restanti sei sono stati fatti prigionieri. Uno degli
"chariots" verrà poi recuperato intatto da parte italiana.
Le cariche a contatto
magnetico applicate allo scafo del Grecale, così
come quelle piazzate su Gimma e Ciclone, non si attivano (forse
perché piazzate troppo frettolosamente dagli operatori britannici, mentre per
altra fonte Greenland e Ferrier si sarebbero dimenticati di armarle,
probabilmente perché intontiti dal troppo ossigeno puro respirato; secondo
Greenland, lui ed i suoi compagni non avevano mai visto prima, nemmeno durante
le esercitazioni, un “detonatore a matita” del tipo di quelli delle mine
adesive loro fornite per l’attacco, né ricevuto istruzioni in merito, e da
parte italiana, dopo averle esaminate, verranno espressi dubbi sull’efficacia
di spolette di questo tipo per delle mine subacquee) e vengono scoperte e
rimosse da subacquei italiani il mattino stesso del 3 gennaio, senza alcun
danno per le tre navi.
Le mine applicate
sugli scafi di Ulpo Traiano e Viminale, invece, esplodono dopo alcune
ore. Per prima scoppia, alle 5.45, la carica collocata sullo scafo della Viminale, che subisce gravi danni, anche
se rimane a galla; due ore dopo, alle 7.58, esplode anche la carica sistemata
sullo scafo dell’Ulpo Traiano, con
effetti più gravi: l’incrociatore, ancora incompleto, si spezza in due e
affonda rapidamente. Lo scoppio di questa carica danneggia gravemente anche
l’adiacente banchina del cantiere navale, che crolla parzialmente per un tratto
di circa trenta metri, e provoca cinque vittime (quattro operai italiani ed un
soldato tedesco) e 21 feriti.
Greenland e Ferrier,
prigionieri in Italia fino all’8 settembre 1943 e poi in Germania fino alla
fine della guerra, saranno decorati rispettivamente con il Distinguished
Service Order e con la Conspicuous Gallantry Medal per l’azione di Palermo.
L’attacco a Palermo è
così ricordato nelle memorie del guardiamarina Giuseppe Lora del Grecale: “…una formazione di incursori subacquei inglesi era riuscita a penetrare
nel porto di Palermo. Alle quattro del mattino si era sentita una prima
esplosione, una seconda alle sei; alle otto un incrociatore leggero, ancora in
allestimento, era stato dilaniato da una tremenda carica, assieme con tanti
operai che lavoravano all’interno ed all’esterno dello scafo. Noi sul
cacciatorpediniere, ovviamente svegli e all’erta, dopo la seconda esplosione
avevamo ispezionato attentamente la nostra chiglia trovando una mignatta
esplosiva. Ricordavo quanto sembrava bruciasse sotto i piedi la coperta in
ferro della nave in quei lunghi minuti durante i quali i nostri marinai con
ogni precauzione staccavano quell’ordigno dallo scafo”.
Il comandante del Grecale, capitano di fregata Luigi
Gasparrini, sarà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il
suo ruolo nella rimozione delle cariche esplosive (motivazione: «Mentre si verificavano esplosioni dovute a
mezzi insidiosi avversari, si recava su navi in pericolo ed impartiva
tempestive ed efficaci disposizioni per fronteggiare la situazione e
scongiurare ulteriori danni, dimostrava pronta iniziativa, noncuranza del
pericolo ed elevato senso del dovere»), così come il comandante in seconda,
capitano di corvetta Giuseppe Caito da Trapani, il tenente di vascello Adriano
Giacchetti, da Napoli, e l’aspirante sottotenente G. N. Fernando Cascelli, da Roma (per tutti e tre la motivazione è «Mentre si verificavano esplosioni dovute a
mezzi insidiosi avversari, si portava Audacemente con battello presso unità
militari e mercantili, sullo scafo delle quali risultavano applicati degli
ordigni esplosivi, e si prodigava con coraggio e perizia per effettuarne la
tempestiva rimozione. Con tale Ardito gesto assicurava l’incolumità delle navi,
dimostrando alto senso del dovere e noncuranza del pericolo»). Il medico di
bordo, sottotenente medico Pietro Scozzari, sarà decorato con la Croce di
Guerra al Valor Militare.
Il capitano di corvetta Giuseppe Caito (1906-1943), comandante in seconda del Grecale (da www.pinum.blogspot.com) |
Collisione
All’1.05 del 12
gennaio 1943 il Grecale (capitano di
fregata Luigi Gasparrini) partì da Palermo insieme al cacciatorpediniere Nicolò Zeno (capitano di fregata Angelo
Lo Schiavo) per una missione di trasporto di truppe tedesche a Biserta (per
altra fonte, probabilmente erronea, a Tunisi); a bordo del Grecale, in particolare, avevano preso imbarco 334 militari
tedeschi con il relativo materiale. Avrebbe dovuto far parte della formazione
anche un terzo cacciatorpediniere, l’Antonio
Pigafetta (capitano di vascello Rodolfo Del Minio), con ruolo di capo
formazione; ma durante le manovre di partenza questa unità fu colta da
un’avaria, e dopo aver inizialmente ordinato agli altri due cacciatorpediniere
(all’1.30) di aspettarlo fuori dal porto, dovette infine ordinar loro di
proseguire da soli, non risultando possibile riparare il guasto in tempi brevi.
Il comando della
sezione Grecale-Zeno passò così al comandante Gasparrini del Grecale (essendo questi il più anziano tra i comandanti dei due
residui cacciatorpediniere), che all’1.47 ordinò allo Zeno di assumere la formazione in linea di fila (Grecale in testa, seguito dallo Zeno) e successivamente, giunto a 22
miglia da Palermo, iniziò la navigazione lungo le rotte di sicurezza,
zigzagando da Capo Gallo a Capo San Vito. Giunti all’altezza di Capo San Vito,
i due cacciatorpediniere smisero di zigzagare e proseguirono su rotta 188°,
sempre in linea di fila, fino alle 3.58, quando accostarono su rilevamento 62°
di Capo San Vito su rotta 242° (passando cioè da una rotta sud ad una rotta
sudovest, seguendo la rotta di sicurezza). La velocità prevista dall’ordine
d’operazione era di 20 nodi, ma Gasparrini decise di portarla a 22 per
compensare almeno in parte le due ore di ritardo accumulate sull’orario
previsto per la partenza, dovendo completare lo sbarco delle truppe entro le
undici del mattino. Secondo il programma prestabilito, infatti, i
cacciatorpediniere sarebbero dovuti salpare da Palermo alle 22 dell’11 gennaio:
le operazioni d’imbarco delle truppe e dei materiali, tuttavia, si erano protratte
più a lungo del previsto.
La notte era molto
scura, con vento di prora e ripetute incappellate che investivano la plancia; Gasparrini
stimò che la visibilità fosse di un migliaio di metri. Fino a Capo San Vito le
navi incontrarono mare forza 3, dopo forza 5 da libeccio, ossia da proravia
dritta. I proiettori della difesa costiera accesi sulla vicina isola di Levanzo
e sulla costa disturbavano non poco la vista. Gasparrini sapeva dall’ordine
d’operazione che verso le quattro di mattina (secondo il rapporto scritto
subito dopo la missione; in una relazione scritta nel 1947, invece, Gasparrini
avrebbe affermato che l’incontro fosse previsto per mezzanotte, mentre dalla
relazione della C.I.S. istituita nel dopoguerra risulta che l’incontro fosse
previsto per le tre di notte) avrebbe dovuto incontrare una sezione di due
torpediniere dirette a Palermo lungo la stessa rotta, ragion per cui, in
aggiunta al servizio di vedetta (tre vedette in coperta a prua e quattro in
controplancia), provvedeva egli stesso a setacciare l’orizzonte con il binocolo
migliore.
Le due torpediniere
con cui era previsto l’incontro erano l’Ardente
(tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) e l’Ardito (capo sezione, capitano di corvetta Silvio Cavo), che
stavano tornando a Palermo dopo una missione di scorta ad un convoglio formato
dalle motonavi Manzoni, Alfredo Oriani e Mario Roselli da Napoli a Biserta; partite dal porto tunisino alle 18.15
dell’11 gennaio, seguivano la stessa rotta della sezione Grecale-Zeno, ma in
direzione opposta. Anch’esse procedevano in linea di fila, alla velocità di 15
nodi; contrariamente al solito, non navigava in testa l’unità capo sezione
(cioè l’Ardito), bensì l’Ardente, dal momento che la prima si
trovava priva dell’ufficiale di rotta, ammalatosi e sostituito da un giovane ed
inesperto guardiamarina (era stato il comandante dell’Ardente a proporre questa soluzione al capo sezione, che aveva dato
la sua approvazione). Anche il comandante dell’Ardito, come quello del Grecale,
era stato preavvisato del previsto incontro con i cacciatorpediniere, che
sarebbe dovuto avvenire lungo le rotte di sicurezza del traffico costiero della
zona di Trapani.
Alle 4.04, subito
dopo lo spegnimento dei riflettori di Levanzo e della costa, Gasparrini avvistò
una torpediniera dritta di prora, con beta zero, a soli 600 metri di distanza:
era l’Ardente. Subito il comandante
del Grecale ordinò di mettere tutta
la barra a dritta; dopo pochi attimi, siccome il cacciatorpediniere sembrava
accostare troppo lentamente, ordinò anche di mettere la motrice di dritta
sull’indietro tutta. Gasparrini pensava in tal modo, a dispetto dello spazio
ridottissimo, di riuscire ad evitare la collisione; ma a quel punto l’Ardente accostò verso sinistra, quasi
che volesse entrare in collisione con
il Grecale.
Quel che era successo
era che l’ufficiale di guardia sulla plancia dell’Ardente (guardiamarina Flavio Caprile), a causa della bassa
visibilità, aveva avvistato il Grecale
all’ultimo momento e scambiato il baffo di schiuma da esso prodotto per la scia
di una motosilurante nemica; per evitarla aveva ordinato di virare con tutta la
barra a sinistra, ma dato che anche il Grecale
aveva appena accostato dallo stesso lato, questa manovra sancì invece
l’inevitabilità della collisione.
Mancando ormai il
tempo per evitare la collisione, il comandante Gasparrini poté soltanto
ordinare di mettere le macchine indietro tutta, per cercare di ridurre la
violenza dell’impatto; dopo pochi secondi il Grecale speronò l’Ardente
sul lato di dritta, poco a poppavia della plancia. Le due navi si trovavano in
quel momento a 4,2 miglia per 63° da Capo San Vito e tre miglia a nord di Punta
Barone (costa nordorientale della Sicilia), nonché al largo di Favignana. Non
era passato neanche un minuto dall’avvistamento dell’Ardente da parte del Grecale,
tanto che non c’era stato nemmeno il tempo per completare le manovre ordinate:
il Grecale aveva accostato
solo di una trentina di gradi a dritta, l’Ardente di
altrettanto a sinistra, così da avere, alla collisione, un angolo di 120° tra
le due navi.
L’impatto provocò
l’immediato scoppio di una caldaia dell’Ardente,
che prese immediatamente a bruciare; intanto il Grecale, sotto l’effetto delle macchine che avevano iniziato ad
andare a marcia indietro come ordinato, iniziò ad allontanarsi dalla torpediniera
danneggiata. Gasparrini ordinò a questo punto di fermare le macchine, onde
accertare quali fossero le condizioni del Grecale.
Il violentissimo
impatto, avvenuto ad alta velocità, aveva dilaniato la prua del Grecale: nel suo rapporto, Gasparrini avrebbe
precisato che «la prora è sparita fino
all’ordinata 20-23 circa e nella parte inferiore vi è ancora quasi tutto il
ponte di coperta del locale marinai. Però questa parte della nave è anch’essa
mal ridotta fino all’ordinata 46 circa. Il ponte di coperta all’altezza
dell’ordinata 40 è 50 cm. sott’acqua». La coperta dei carruggetti cucine
era completamente sommersa; anche la centrale di tiro aveva subito danni.
Molti dei soldati
tedeschi trasportati, sistemati in gran parte nei locali prodieri, erano rimasti
uccisi o feriti nella collisione; quelli rimasti illesi, dopo alcuni attimi di
panico in cui non pochi si gettarono in mare, tornarono all’ordine ed affluirono
in gran parte verso poppa, mentre altri salirono sul castello arrampicandosi
sulle scalette o sulla coperta rotta. Gasparrini ordinò che anche questi ultimi
venissero trasferiti a poppa, ma la differenza di lingua rendeva molto
difficile farsi capire; due ufficiali del Grecale
si portarono a prua, oltre le lamiere dilaniate, per avviare i soldati tedeschi
verso poppa.
Mentre
quest’operazione era in corso, circa mezz’ora dopo la collisione, la maciullata
prua del Grecale cedette del tutto e
si staccò dal resto della nave, affondando in pochi attimi: la nave si ritrovò
così mutilata dell’intera prua fino all’altezza del complesso prodiero da
120/50 mm, che rimase in bilico sull’abisso, con due marinai intrappolati con
le gambe schiacciate tra lo scudo e la lamiera. Molti soldati tedeschi caddero
in mare insieme alla prua; in loro soccorso, Gasparrini fece gettare in mare
diverse zattere e zatterini Carley. Alcuni dei soldati poterono essere
ripescati da poppa con cime e biscagline; si tentò di mettere a mare il
battello per recuperarne altri, ma l’operazione risultò impossibile a causa
dello stato del mare.
I feriti, intanto,
furono portati nell’ospedale di combattimento di poppa, allestito in quadrato
ufficiali: i primi feriti vi furono portati alle 4.10. Il medico di bordo,
sottotenente medico di complemento Pietro Scozzari, coadiuvato dal sergente
silurista Luigi Corti, dal marinaio cannoniere Remo Gherardi e dal marinaio
Accinelli (offertisi volontari come aiutanti, non trovandosi a bordo, in quella
missione, l’infermiere), numerose suture, iniezioni, e l’immobilizzazione di
alcuni arti fratturati, tra mille difficoltà causate dal forte rollio e dalla
mancanza di luce (si operò alla luce di una lampadina tascabile).
Siccome l’appruamento
del Grecale andava rapidamente
aumentando, Gasparrini fece mettere nuovamente in moto le macchine, a marcia indietro,
per avvicinarsi il più possibile alla costa. In seguito alla collisione, il
locale della centrale elettrica si era parzialmente allagato, mandando a massa
i due diesel dinamo, le due turbodinamo ed il quadro: di conseguenza, il Grecale rimase senza luce ed in generale
senza elettricità, il che complicò non poco la manovra, dovendosi ricorrere al
timone a mano e non potendo usare neanche i telegrafi di macchina (per la
comunicazione con la sala macchine si fece ricorso ai portavoce). Anche i
telefoni e la radio smisero di funzionare; dopo un po’, tuttavia, fu almeno
possibile riattivare i primi, mentre per le comunicazioni radio il capo posto
radiotelegrafista – capo radiotelegrafista di seconda classe Angelo Montalbetti
– poté mettere in efficienza un radiosegnalatore alimentato a batterie. Anche
le luci di riserva dei locali macchine e caldaie poterono essere ripristinate.
Il radiosegnalatore
poté essere rimesso in funzione alle 4.23, ed il Grecale riferì quanto successo a Marina Trapani, chiedendo urgentemente
soccorso. Alle 4.49 venne contattato quindi lo Zeno, cui Gasparrini ordinò di recuperare i naufraghi, informandolo
che il Grecale galleggiava ancora. Lo
Zeno (che fin dalle 4.04 tentava
inutilmente di contattare il Grecale
con la radio ad ultracorte, senza avere risposta: alle 4.24 aveva intercettato
una comunicazione in chiaro con cui il Grecale
informava Marina Trapani di aver speronato una torpediniera e chiedeva mezzi di
soccorso), tuttavia, non sembrò ricevere il messaggio; non accusò ricevuta, ed
alle 5.30 si avvicinò al Grecale e
chiese con la lampada per segnalazioni Donath se questi necessitasse di aiuto.
Gasparrini rispose negativamente, e ribadì l’ordine di soccorrere i naufraghi.
Alle 5.15 aveva intanto comunicato a Marina Trapani: "Ci siamo scontrati con torpediniera (alt) Torpediniera incendiata io
perdo prora inviate rimorchiatori dirigo Palermo 051512".
Nel frattempo,
l’equipaggio del Grecale provvedeva
ad ispezionare le paratie. La paratia del locale dinamo risultò avere una fenditura
nella parte superiore ed un’altra, più piccola, nella parte inferiore, oltre ad
essere ingobbata; si procedette al prosciugamento del locale dinamo con la
pompetta a mano e con catene di gamelle, mentre veniva puntellata la paratia
stagna del locale caldaia n. 1. Al contempo, vennero prosciugate tutte le
sentine e svuotate tutte le casse acqua e nafta prodiere per alleggerire la
nave a prua. Anche se sembrava a questo punto che la nave dovesse salvarsi, ci
si preparò egualmente al peggio: vennero disinnescate le bombe di profondità,
in modo che non esplodessero in caso di affondamento, e furono realizzate sei
zattere di fortuna (della capacità complessiva di circa cento uomini) per i
soldati tedeschi, che vennero divisi in altrettanti gruppi, ognuno dei quali
assegnato ad una zattera.
Mentre la nave si
avvicinava alla costa, il complesso prodiero da 120/50 cedette e cadde in mare,
portando con sé i due sventurati marinai rimasti incastrati con le gambe tra lo
scudo e le lamiere.
Il distacco e la
caduta del complesso prodiero da 120, paradossalmente, migliorò la situazione
generale del Grecale: alleggerita di
questo peso, la nave ridusse il suo appruamento. Fu appurato che il locale
dell’ecogoniometro era completamente asciutto, e che la paratia prodiera del
locale dinamo aveva retto (l’acqua che vi si trovava vi era entrata dal
portello, quando la nave era appruata); rassicurato da queste notizie, il
comandante Gasparrini decise di tentare di raggiungere Palermo con i propri
mezzi, navigando a marcia indietro. Trapani era più vicina di Palermo, ma
Gasparrini scartò questa destinazione, contro il parere dei propri ufficiali,
sia perché quella base – a differenza di Palermo – non possedeva un bacino di
carenaggio in grado di ospitare un cacciatorpediniere, sia per l’impressione
che lo stato del mare dopo Capo San Vito fosse peggiorato. Il Grecale comunicò a Marina Trapani la sua
decisione, ed iniziò a risalire la costa in direzione di Capo San Vito; giunto
nei pressi del capo alle 5.34, ne informò Marina Trapani. Il sole, intanto,
stava sorgendo, ed il Grecale puntò
direttamente su Capo Gallo. Sottocoperta, intanto, l’equipaggio era riuscito a
puntellare la paratia prodiera della caldaia n. 1, mentre tutte le pompe erano
in funzione. Con la luce del giorno la manovra divenne più semplice, e
Gasparrini poté dirigere su Capo Gallo a velocità piuttosto elevata, alleviando
così anche la pressione delle onde sulla paratia prodiera. Alle 7.12 il Grecale contattò Marina Trapani
chiedendo di comunicare al Pigafetta
di mettersi in ascolto sul radiosegnalatore; una volta stabilito il
collegamento, il Grecale chiese con
urgenza l’invio di mezzi per lo sbarco del personale, volendosi alleggerire
delle truppe tedesche ancora presenti a bordo.
All’altezza di Capo
Raisi il cacciatorpediniere venne raggiunto da tre motovedette; tuttavia il
comandante Gasparrini, in considerazione della buona galleggiabilità del Grecale e del mare agitato che avrebbe
complicato non poco lo sbarco (se preso al traverso, faceva sbandare la nave paurosamente,
anche a causa dell’eliminazione dei pesi a prua che ne aveva di molto ridotto
la stabilità), decise di portarsi a ridosso di Capo Gallo prima di iniziare lo
sbarco del personale tedesco. Nel mentre, ordinò ad una delle motovedette di
raggiungere il luogo della collisione, per partecipare alle ricerche dei
naufraghi.
Giunto davanti al
porto di Palermo alle 10.40, in attesa dell’arrivo dei rimorchiatori, il Grecale trasbordò sulle motovedette gran
parte delle truppe tedesche; una volta giunti i rimorchiatori, entrò in porto
alle 12.35 e si ormeggiò alla banchina del cantiere alle 13.15.
La perizia
marinaresca mostrata nella difficile navigazione di ritorno a Palermo con la
nave mutilata, a lento moto ed a marcia indietro nel mare agitato, sarebbe valsa
al comandante Gasparrini la Medaglia d’Argento al Valor di Marina.
Peggior sorte ebbe la
nave investita, la sfortunata Ardente.
Divorata dall’incendio scatenato dallo scoppio della caldaia, la torpediniera
affondò alle 5.45, a tre miglia per 008° da Punta Barone ed al largo di Monte
Cofano (un paio di miglia a sudovest del punto in cui si è verificata la
collisione). La maggior parte del suo equipaggio, compresi il comandante
Ancillotti e tutti gli ufficiali tranne uno, trovò la morte nel mare freddo ed
agitato, nonostante la presenza di Ardito
e Zeno che si prodigarono nel trarre
in salvo quanti più uomini possibile.
Nel suo rapporto
sulla collisione, il comandante Gasparrini scrisse: «La disgrazia occOrsa è dovuta alla poca visibilità della notte, temporaneamente
diminuita ancora dall’accensione dei proiettori della difesa sulla costa e
sull’isola di Levanzo. Siccome si navigava in zona di solito infestata da
sommergibili, siccome si sapeva inoltre di dover incontrare con rotta pur essa
obbligata ed opposta alla nostra le due torpediniere, la vigilanza era intensa,
ma malgrado questo la torpediniera è stata vista soltanto da me e gli altri si
sono accorti di essa solo dopo i miei ordini al timoniere ed ai telegrafi. Ciò
perché io avevo il binocolo migliore e perché ero molto sul “chi vive”».
Sul comportamento
dell’equipaggio del Grecale,
Gasparrini scrisse che il contegno di tutti era stato ammirevole, elogiando in
particolare il comandante in seconda, capitano di corvetta Giuseppe Caito («ha provveduto all’organizzazione del
servizio di salvataggio ed ha diretto tutti gli altri servizi»); il
direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Pittari, ed i suoi
sottordini, tenente del Genio Navale Giuseppe Suffi ed aspirante Fernando
Cascelli («malgrado le immense difficoltà
hanno tenuto in efficienza l’apparato motore, messo in funzione il timone a
mano, puntellate le paratie, eliminate infiltrazioni d’acqua»); l’ufficiale
medico Pietro Scozzari («si è prodigato
nel dare i primi soccorsi ai feriti in particolari difficili condizioni di
ambiente»); il direttore del tiro, tenente di vascello Adriano Giacchetti
(«più di tutti si è occupato del
salvataggio dei militari tedeschi»); l’ufficiale di rotta, sottotenente di
vascello Ferruccio Gregori («è stato
sempre al mio fianco prodigandomi il suo aiuto»); il guardiamarina Giuseppe
Lora («dal timone a mano ha governato la
nave secondo le mie indicazioni»); il capo elettricista di seconda classe
Umberto Palpati, il capo cannoniere di terza classe Giuseppe Previati, il capo
radiotelegrafista di seconda classe Angelo Montalbetti ed il nostromo,
nocchiere di seconda classe Giuseppe Iannuzzi («si sono prodigati a riparare le avarie inerenti al loro materiale nelle
difficilissime condizioni del momento ed a collaborare efficacemente con gli
ufficiali nelle operazioni di salvataggio e di sicurezza della nave»); il
marinaio segnalatore Salvatore Errani («per
tutto il periodo ha funzionato da staffetta fra la plancia ed i locali»);
il sergente silurista Luigi Corti, il cannoniere Remo Gherardi ed il marinaio
Accinelli («hanno spontaneamente
assistito il dottore nella cura dei feriti, data l’assenza da bordo
dell’infermiere»). Menzionò inoltre per nome i componenti del personale di
macchina che, rimanendo al loro posto senza un attimo di requie, avevano
contribuito al salvataggio della nave: nel locale caldaia n. 1, il secondo capo
meccanico Ulisse Salvadori ed i fuochisti Pasquale Brunetto e Guido Borelli;
nel locale caldaia n. 3, il secondo capo meccanico Guerrino Valent ed i
fuochisti Ivo Pedriali, Angelo Schiano, Remo Gherardi ed Alberto Campagnolo;
nel locale motrice prodiera, il secondo capo meccanico Antonio Nicita, il capo
meccanico di seconda classe Giuseppe Venturi, l’allievo meccanico Renzo Bellei
ed i fuochisti Pierino Garioni, Raffaele Palmese e Mario Romualdi; nel locale
motrice poppiera, i secondi capi meccanici Nervio Copponi ed Adelino Mazzoni ed
i fuochisti Giovanni Cremonti, Carlo Stradella, Antenore Bencetti e Mario
Ghironi; nel locale diesel dinamo, il capo elettricista di seconda classe
Umberto Palpati, il fuochista Mauro Sercia e gli elettricisti Guido Carboni ed
Antonio Dal Moro; nel locale timone a mano, il sottocapo meccanico Osvaldo
Santambrogio ed i fuochisti Achille Fabbris, Cesare Gribaudo, Francesco De Rito, Domenico Palmiotto e Giuseppe
Ganassali. Anche nella relazione scritta nel dopoguerra per la Commissione
d’Inchiesta Speciale, Gasparrini ribadì che il Grecale era stato salvato grazie all’abnegazione dell’equipaggio, e
specialmente del personale di macchina, «che
non ha mai lasciato il suo posto, come se niente fosse avvenuto».
Morirono nella
tragedia cinque membri dell’equipaggio del Grecale;
un messaggio di Marina Palermo a Maristat, risalente alle 19 del 12 gennaio,
parla di otto marinai dispersi, oltre ad un sottufficiale ferito, discrepanza
spiegata dal rapporto del comandante Gasparrini, nel quale è scritto che
inizialmente nove uomini del Grecale
risultarono mancanti all’appello, ma che quattro di essi, caduti in mare, erano
stati tratti in salvo dall’Ardito.
Sul numero dei
militari tedeschi rimasti uccisi nella collisione sembrano esservi informazioni
discordanti. Un messaggio inviato da Marina Messina a Supermarina in data 12
gennaio 1943 affermava infatti che “I
dispersi del Grecale sono circa 110, in prevalenza tedeschi”; nel suo
rapporto sull’accaduto, invece, il comandante Gasparrini scrisse che “Al rientro in porto, all’appello fatto dai
tedeschi, mancavano solo 90 militari, dei quali poi una parte è stata salvata
dalle altre navi. Tale fatto può chiamarsi miracoloso ed è dovuto alla
disciplina massima di detti soldati, e dell’equipaggio ed al fatto che
ufficiali ed equipaggio della nave si sono prodigati nel cercare di salvare più
gente possibile penetrando perfino in mezzo alle lamiere contorte e cadenti”
(Gasparrini scrisse anche che circa 300 tedeschi erano sistemati nei locali
andati distrutti nella collisione, mentre il resto era alloggiato nei locali
poppieri; ciò sembra invero piuttosto strano, considerato che in totale i
militari tedeschi imbarcati erano 334). Infine, nella sua relazione sul
disastro trasmessa a Supermarina il 13 febbraio 1943, l’ammiraglio Lorenzo
Gasparri, al termine delle indagini sull’accaduto, scrisse che le vittime tra i
soldati tedeschi ammontavano ad una settantina, rimarcando a sua volta che le
perdite avrebbero potuto essere molto peggiori, dal momento che la maggioranza
delle truppe imbarcate erano state sistemate proprio nei locali di prua.
Qualche soldato
tedesco finì persino sulle zattere dell’Ardente,
frammischiato ai naufraghi di quella nave, per poi essere soccorso dall’Ardito o dallo Zeno.
Dell’equipaggio dell’Ardente, morirono 118 uomini su 162
imbarcati.
In termini di perdite
umane, la collisione tra Grecale ed Ardente costituì pertanto il più grave
incidente verificatosi sulle rotte dei convogli tra Italia ed Africa
Settentrionale nel corso di tutta la guerra.
I cinque marinai dispersi del Grecale:
Brizio Ippolito Campanelli, sottocapo
cannoniere, 22 anni, da Calimera, disperso
Michele Caridà, marinaio, 19 anni, da Pizzo,
deceduto
Tommaso Cellottini, marinaio cannoniere, 20
anni, da Monfalcone, disperso
Leandro Righetto, marinaio cannoniere, 21
anni, da Montebelluna, disperso
Pietro Romano, marinaio nocchiere, 20 anni, da
Cetara, disperso
Vi è inoltre un
ferito tra l’equipaggio del Grecale,
il secondo capo S.D.T. Valerio Bongi da La Spezia, ricoverato all’ospedale
dell’Esercito di Palermo ma guarito dalle ferite riportate.
Questo tragico
episodio è così ricordato dal guardiamarina Giuseppe Lora del Grecale: “Era una notte di mezzo gennaio del 1943, al largo di punta Barone
filavamo veloci in piena oscurità, a bordo sottocastello qualche centinaio di
soldati tedeschi, destinazione Biserta (Tunisia). Navigavamo completamente
oscurati, attenti ma sicuri, perché ci avevano garantito che quella notte
eravamo la sola nave che percorreva quella rotta. Ad un tratto apparve una
sagoma nera, pochi istanti, un comando concitato ed entrammo in collisione con
un nostro avvisoscorta che navigava in senso contrario. Il nostro comandante
tentò inutilmente di evitare una tragedia con una rapida virata ma non ci fu il
tempo. Fu un disastro, l’avvisoscorta con tutto l’equipaggio affondò in pochi
minuti e noi, nel tremendo urto, perdemmo la prora tranciata all’altezza del
cannone binato. Sentivo ancora le urla agghiaccianti dei marinai puntatori
rimasti imprigionati dalle lamiere contorte ed il tonfo della prora staccatasi
dal resto della nave e precipitata nel profondo del mare con i cannoni ed il
carico umano di soldati e marinai. La paratia di divisione all’altezza della
prima caldaia era rimasta miracolosamente intatta: i fuochisti ridiscesero nei
locali sotto la superficie del mare, turarono le falle, riattivarono le caldaie
e misero in condizione il cacciatorpediniere di riprendere la navigazione anche
senza prora. Rimanemmo tuttavia fermi in zona per qualche ora: tentammo di
recuperare i naufraghi lanciando zattere di salvataggio e cercando segni di
vita in quel mare di pece. Poi, perdute le speranze, ripartimmo navigando di
poppa all’indietro a dodici nodi;
governando la nave con il timone a mano a forza di braccia, mentre i comandi
venivano trasmessi a voce dalla plancia a poppa. In quelle condizioni percorremmo
oltre sessanta miglia per raggiungere il porto di Palermo”.
Il secondo capo Luigi Rapalli, imbarcato sul
sommergibile Nichelio ed il cui fratello Incles risultò disperso
nell’affondamento dell’Ardente,
avrebbe fortuitamente assistito al rientro in porto del Grecale (prima di sapere cosa fosse accaduto all’Ardente ed al fratello), momenti così
descritti nelle sue memorie: "Nell’avvicinarci
al posto d’ormeggio, noto attraccati alla banchina della Stazione Marittima il
C.T. Grecale privo della prua e, in fondo al molo San Vincenzo, una
torpediniera tipo Ardente. (…) Nel
constatare, però, che non si trattava dell’Ardente, ma di una torpediniera
della stessa squadriglia, provo un’amara delusione. Fermatomi alla passerella,
chiedo a due marinai, che stanno armeggiando ad una bitta, se sanno dove si
trovi l’Ardente. A tale richiesta, si scambiano un’occhiata e poi il più
anziano mi dice, indicandomi il Grecale: “Vedi, sergente, quello là ne sa
qualcosa”. Lì per lì non riesco ad afferrare il vero senso della frase, ma un
dubbio atroce si insinua nella mia mente. Quando si dilegua, la tragedia mi
appare in tutta la sua nuda realtà. Il marò, poveretto, non sa di mio fratello
e mi racconta dell’Ardente: collisione con il Grecale, scoppio della
caldaia ed affondamento dell’unità, a poche miglia da Punta Barone (Sicilia),
nelle prime ore del mattino del 12 gennaio, cinque giorni prima che fossimo
colpiti [da una bomba] noi del Nichelio. Ritorno a bordo,
strascicando i piedi. Come inebetito, guardo il Grecale e scuoto lentamente il capo. Mi sembra di sprofondare
nel vuoto, con il mondo che mi cade tutto addosso. Qualcuno, accortosi del mio
turbamento, mi tocca sulle spalle chiedendomene il motivo. Ed è così che
compagni e superiori vengono a conoscere perché il Grecale è privo della prua. Sul momento non sanno cosa
dirmi, poi mi dimostrano in modo discreto la loro sincera solidarietà, con
parole di incoraggiamento e di speranza".
(Ufficio Storico della Marina Militare, via Alessandra Nobili e Stefano Ruia)
Una prima indagine sull’accaduto fu condotta
nel gennaio-febbraio 1943 dall’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del
Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra. Giunto a Palermo, l’ammiraglio ascoltò i
comandanti del Grecale e dello Zeno ed i superstiti dell’Ardente nel corso delle sue indagini. Nel
suo rapporto a Supermarina, datato 13 febbraio 1943, Gasparri certificò che per
quanto concerneva il Grecale, i
risultati delle sue indagini mostravano che i fatti si erano svolti come
descritti dal comandante Gasparrini nel suo rapporto. Gasparri riassunse così
la dinamica della collisione: «La notte
era assai scura per nuvole basse e piovaschi. Il mare era agitato da ponente.
Siccome al momento della collisione il Grecale seguiva rotta 242, il mare
investiva la plancia e peggiorava le condizioni di visibilità. Il C.T. Zeno
conferma infine che l’accensione di un proiettore, presumibilmente nell’isola
di Levanzo, ha disturbato ulteriormente la visibilità sino a qualche secondo
prima dello incidente. Per l’insieme di queste sfavorevoli circostanze,
l’avvistamento della torpediniera Ardente è avvenuto ad una distanza molto
breve, che il Comandante del Grecale valuta in 600 metri circa, con tutto che
l’incontro fosse preavvisato e il comandante in persona fosse in vedetta. È
stato infatti il Comandante ad avvistare la torpediniera, esattamente dritta di
prora e apparentemente con rotta opposta alla propria. In seguito a queste sue
percezioni, il Comandante del Grecale ha manovrato in modo che sembra
perfettamente corretto. Egli ha ordinato immediatamente di mettere tutto il
timone a dritta e subito dopo ha dato indietro massima alla motrice di dritta,
allo scopo di accelerare l’accostata. Quando ha visto la torpediniera accostare
dallo stesso lato del Grecale, e cioè sulla sua sinistra, il Comandante ha
avuto la giusta impressione di non poter più evitare la collisione e ha
ordinato alle due motrici di andare indietro alla massima forza per diminuire
le conseguenze. Le condizioni di distanza e di moto, infatti, erano purtroppo
tali che nulla poteva più impedire l’urto. Tra l’avvistamento e la collisione
il Comandante ed i presenti in plancia giudicano che sian passati 30 secondi al
massimo e cioè un tempo assolutamente insufficiente a consentire che le
ordinate variazioni di andatura avessero piena esecuzione ed effetto, e solo
sufficiente a far accostare l’unità di una trentina di gradi. Secondo il Comandante
del Grecale la torpediniera doveva aver accostato di altrettanto a sinistra e
quindi le due navi si sarebbero urtate con rotte inclinate di circa 120°. La
prora del Grecale urtava l’Ardente sul lato dritto fra la plancia e il
fumaiolo. (…) Dato quanto sopra, il
sottoscritto ritiene poter concludere: a) Può essere ritenuto certo quel che il
Comandante del Grecale afferma e cioè che la torpediniera ha accostato sulla
sua sinistra anziché sulla sua dritta. b) La torpediniera con mare pressoché in
poppa doveva avere il governo difficile. Non è quindi improbabile che all’atto
dell’avvistamento del Grecale fosse fuori rotta di una diecina di gradi e quasi
certamente a sinistra. Il Sig. Caprile deve aver quindi scorto il Grecale sulla
dritta, il che spiegherebbe come egli abbia dato l’ordine di accostare a
sinistra. Verrebbe anche spiegato come, nonostante il più tardivo avvistamento,
e quindi il minor tempo di accostata, l’Ardente fosse all’atto dell’urto
inclinato rispetto alla sua rotta di circa 30° e cioè all’incirca di quanto era
inclinato rispetto alla rotta opposta il Grecale. Le conseguenze dell’urto
permettono di affermare che esso deve essersi verificato con impatto non
superiore ai 120°. c) Non si ha motivo di ritenere che la vigilanza abbia fatto
difetto sul Grecale. Da quanto si può giudicare per la conoscenza che si ha
della nave e del suo Comando, si può al contrario presumere che il servizio di
vedetta fosse ben svolto e che solo le condizioni avverse alla visibilità che
si sono verificate abbiano impedito un più sollecito avvistamento. Meno intensa
appare invece la vigilanza sulla torpediniera (…) Costituisce tuttavia una notevole attenuante, e forse la completa
giustificazione del tardivo avvistamento il fatto che il Grecale e lo Zeno si
proiettavano per l’Ardente sul nero della costa relativamente vicina ed alta. d)
Date le rispettive percezioni, non vi è stato errore di manovra da parte del Grecale,
e neppure da parte dell’Ardente. L’Ufficiale in comando di guardia sulla
torpediniera, avendo presumibilmente scorto il Grecale poco a dritta della
prora, come si è detto, deve aver giudicato di poterlo meglio scansare con una
accostata a sinistra. e) Per quanto sopra si giudica che la colpa principale
del sinistro non possa essere imputata che alle avverse condizioni
meteorologiche ed al fatto che, avendo le luci oscurate, le due Unità seguivano
rotte perfettamente opposte in obbedienza agli ordini ricevuti. Il
provvedimento successivamente preso di far seguire nella zona delle isole Egadi
al traffico di andata rotte diverse da quelle del traffico di ritorno, pur
essendo maggiormente oneroso agli effetti del dragaggio delle rotte di
sicurezza e dei maggiori percorsi che impone, appare idoneo ad impedire il
ripetersi di così gravi inconvenienti. 5° – I provvedimenti presi dal Comando
del Grecale dopo il sinistro appaiono buoni e all’altezza della situazione.
Saggia e coraggiosa è stata la scelta di tornare a Palermo con tutto che tale
porto fosse a distanza maggiore di Trapani. Nella navigazione di rientro, fatta
a marcia indietro e con timone a mano, il Comandante ha dimostrato, a parere
del sottoscritto, accortezza e abilità non comuni. L’Unità ha così potuto
raggiungere con i suoi soli mezzi, pur essendo priva di tutta la prora ed
avendo l’impianto elettrico inutilizzabile, un porto nel quale ha potuto
eseguire abbastanza celermente lavori di raddobbo che le hanno consentito di
raggiungere una base idonea al ripristino della prora e delle sistemazioni
danneggiate o perdute. Si propone che di ciò venga reso merito al Comandante
del Grecale, Capitano di Pregata Luigi Gasparrini. Questo Ufficiale Superiore
ha dimostrato in tutto il suo Comando doti notevolissime di abilità
marinaresca, di slancio e di particolare generosità d'animo. Eccellente appare
altresì il comportamento dell'equipaggio del Grecale sia nell'opera umana di
tentare di salvare il maggior numero possibile dei militari germanici che
l'Unità trasportava e che erano sistemati sottocastello, sia nell'opera tecnica
di emergenza che ha consentito all'Unità il ritorno con i propri mezzi. Si
propone che il Comando del Grecale sia autorizzato ad avanzare proposte di
ricompensa e di elogi ai molti meritevoli. Nel rapporto 163/5 è fatta una prima
segnalazione di questi meritevoli, completata poi dal foglio 264/S del 7
corrente mese, diretto alle stesse Autorità cui è indirizzato il rapporto. (…)
6° - Nel sinistro hanno perso la vita sul
Grecale 5 militari del suo equipaggio e circa 70 militari di truppa germanici.
Ove si pensi che nei locali prodieri del C.T. erano ammassati ben 334 soldati
germanici, la cifra dei perduti appare particolarmente esigua. Di ciò va reso
merito, oltre che al generoso slancio dello Stato Maggiore e dell'equipaggio
del Grecale nell'opera di ricupero dei militari germanici rimasti sui resti
della prora che si sono staccati solo in un secondo tempo, anche alla superba
disciplina dei militari stessi. Come il Comandante del Grecale segnala
"non si è sentito un grido, gli ordini venivano eseguiti con disciplina e
celermente in relazione alle difficoltà del momento". Nell'esprimere al
Comando germanico a Palermo le proprie condoglianze, il sottoscritto ha anche
reso atto di ciò».
A guerra finita, nel marzo
1947, fu istituita una Commissione d’Inchiesta Speciale (C.I.S.) incaricata di
giudicare sulla perdita dell’Ardente;
la componevano l’ammiraglio di divisione Mario Azzi e il contrammiraglio Amleto
Baldo (già comandante di cacciatorpediniere durante la guerra) e la presiedeva
l’ammiraglio di squadra Emilio Brenta. I lavori della commissione durarono due
anni, concludendosi nel giugno 1949; oltre a consultare la relazione
dell’ammiraglio Gasparri ed il rapporto di navigazione del Grecale, la commissone esaminò il rapporto di navigazione dell’Ardito (che Gasparri non aveva avuto
modo di leggere), interrogò nuovamente l’unico ufficiale superstite dell’Ardente (il direttore di macchina,
capitano del Genio Navale Salvatore Ferraro), chiese al comandante Gasparrini
un rapporto supplementare sulle circostanze principali relative al disastro (essendo
andato perduto un primo documento da questi redatto a tale proposito nel
gennaio 1943) e chiese al comandante Lo Schiavo dello Zeno di redigere una relazione sulla collisione (essendo andato
perduto il rapporto di navigazione di questa unità). La conclusione fu che il
disastro fosse stato provocato dalle avverse condizioni meteorologiche, che
avevano fortemente ridotto la visibilità: notte molto scura con nubi basse,
mare agitato da ponente-libeccio e piovaschi.
Nella sua relazione,
la C.I.S. descrisse così la dinamica della collisione: «Poco prima della collisione le due Sezioni Siluranti procedevano sulla
stessa rotta di sicurezza con rotte opposte (Pv.242° la Sezione "GRECALE"
- "ZEN0"; Pv.62° la Sezione "ARDENTE" - "ARDITO");
la prima a 22 nodi, la seconda a 15 nodi di velocità. e)- Al momento della
collisione fra le due unità, avvenuta se condo il "GRECALE" poco dopo
le ore 0404 del 12 gennaio 1943 e sceondo l'"ARDITO" alle ore 0403,
le condizioni del mare e di visibilità erano le seguenti: "Mare agitato da
ponente". "Notte assai scura per nuvole basse e piovaschi". (Vedi relazione
riassuntiva dell'Amm. GASPARRI). Poichè il "GRECALE" seguiva
Pv.=242°, l'unità navigava con mare al mascone di dritta e data la sua velocità
(V.=22 nodi) spruzzi d'acqua certamente investivano la plancia dell'unità,
peggiorando le condizioni di visibilità. Per contro l'"ARDENTE", ce
navigava con Pv.=62°, aveva di fronte il promontorio di S. Vito, in modo che il
"GRECALE" rispetto all'"ARDENTE" si proiettava sul nero della
vicina ed alta costa, risultando così peggiorate notevolmente le condizioni di
visibilità dell'"ARDENTE". L'accensione di un proiettore,
presumibilmente nell'isola di Levanzo, disturbò ulteriormente la visibilità
sino a qualche secondo prima dell'incidente. Secondo il Comandante del "GRECALE"
la visibilità poteva calcolarsi sui 1000 metri circa. Non è noto l'analogo
apprezzamento fatto dal Comandante dell'"ARDENTE" o dall'Ufficiale di
guardia in plancia di detta unità (G.M. CAPRILE Flavio) essndo essi scomparsi
in mare con l'affondamento della Torpediniera; si può comunque ritenere che la
visibilità non fosse da essi stimata maggiore di quella apprezzata dal
Comandante del "GRECALE", tenendo presente anche che quest’ultima
unità si proiettava sul nero della costa. f)- La vigilanza sulla plancia del
"GRECALE" era molto intensa lo stesso Comandante dell'unità era in
vedetta e fu il primo ad avvistare l'"ARDENTE" (…) g)- Secondo le dichiarazioni fatte dal
Comandante del "GRECALE il Comandante di detta Unità avrebbe avvistato
l’"ARDENTE" "ad una distanza apprezzata di 600 metri" ed
"esattamente dritto di prora con Beta=0°". Secondo le dichiarazioni
del S.C.Cann. LANUCARA Alvaro [unico superstite del personale di plancia
dell’Ardente], il G.M. CAPRILE, pochi secondi prima della collisione avrebbe gridato
al timoniere: "attenti, attenti una motosilurante-vira tutto a
sinistra". (…) il S.C. LANUCARA (…) invitato a precisare il tempo intercorso
tra l’avvistamento e l’urto, lo stabilisce con poca certezza in una decina di
secondi. h) La prora del "GRECALE" urtò l'"ARDENTE" sul
lato dritto fra la plancia e il fumaiolo. L'urto determinò sulla Torpediniera
lo scoppio di una caldaia ed un violento incendio di nafta che causarono il suo
rapido affondamento. Per contro il "GRECALE" nell'urto perdette la
prora sino all'ordinata 20 - 23 circa e successivanonte tutta la prora sino al
complesso prodiero compreso. Detta unità, malgrado la grave avaria subita e le
avverse condizioni del mare, rientrò a Palermo alle ore 1235 dello stesso
giorno, con i propri mezzi, navigando a marcia indietro con le proprie macchine.
i)- La collisione fra le due unità, secondo quanto fu affermato dall’Amm.
GASPARRI, che in porto potette esaminare anche lo scafo del "GRECALE",
si sarebbe determinata con un impatto non superiore a 120°, avendo accostato le
due unità, dallo stesso lato della rotta di circa 30°. l)- quando il "GRECALE"
entrò in collisione con l'"ARDENTE", il "GRECALE" stava
accostanddo a dritta con tutta la barra ed aveva le due motrici "indietro
alla massima forza"; l’"ARDENTE" invece stava accostando con
tutta la barra a sinistra. m)- Dalla relazione del direttore di macchina della
Torp. "ARDENTE" (…) risulta
che l'unità non eseguì alcuna manovra di macchina. n)- Non risulta che le due unità,
entrate in collisione, abbiano accesi i prescritti fanali di via all'istante
del primo avvistamento».
La
relazione della Commissione d’Inchiesta Speciale istituita sulla collisione tra
Grecale ed Ardente (Ufficio Storico della Marina Militare, via Giancarlo
Napoleone)
La
risposta risposta inviata nel dopoguerra dal comandante Gasparrini in seguito
alla richiesta della C.I.S. di maggiori informazioni sulla collosione con l’Ardente (USMM, via Giancarlo Napoleone):
La C.I.S. ritenne
attendibile la dichiarazione del comandante Gasparrini sull’avvistamento dell’Ardente avvenuto dritto di prora, con
beta pari a zero ed a distanza di soli 600 metri; e giudicò pertanto corretta
la manovra da questi eseguita per evitare la collisione. I membri della C.I.S.
ritennero che l’Ardente avesse
avvistato il Grecale più tardi
rispetto a quest’ultimo a causa principalmente delle pessime condizioni di
visibilità e specialmente perché la sagoma del Grecale si confondeva con il profilo dell’alta costa di Capo San
Vito, poco distante; e che il guardiamarina Caprile avesse ordinato di
accostare con tutta la barra a sinistra perché «avendo scorto all’ultimo momento il Grecale un po’ a dritta, o perché
esso effettivamente fosse in tale posizione od ingannato dalle lambardate
dell’unità, ha ritenuto di poterlo meglio scansare accostando sulla sinistra».
Ritenendo corretto l’apprezzamento compiuto dal comandante Gasparrini, con una
velocità relativa tra le due navi di circa 37 nodi, la C.I.S. stimò che la
collisione sarebbe avvenuta circa mezzo minuto dopo l’avvistamento dell’Ardente da parte del Grecale.
Venne valutata anche
la possibilità di evitare la collisione qualora il Grecale, al momento dell’avvistamento, avesse acceso i fanali di
via; la conclusione fu che «in condizioni
normali di mare e di visibilità, ammesso esatto l’apprezzamento fatto dal
Comandante del Grecale, con intensa vigilanza in plancia, con una pronta ed
esatta manovra di timone la collisione avrebbe potuto essere evitata; ché sulla
manovra delle macchine ben poco si può contare con 30 secondi di tempo disponibile.
Ma in condizioni avverse di mare, in una notte assai scura per nuvole basse e
piovaschi, con visibilità ancora ridotta a causa delle modeste dimensioni delle
unità entrate in collisione e che si presentavano con Beta = 0°, a causa del
loro completo oscuramento e della loro mimetizzazione e pel fatto che una
silurante si proiettava rispetto all'altra sul nero della vicina ed alta costa,
con evidenti spruzzi che investivano la plancia del Grecale, e infine con
l'abbagliamento prodotto dall'improvvisa accensione del proiettore dell'Isola
di Levanzo nonchè le lambardate cui erano sottoposte le unità a causa del mare;
insomma per tutto il complesso delle circostanze nelle quali è avvenuto il
sinistro, è da ritenere che, se la collisione fosse stata evitata, ciò avrebbe
dovuto attribuirsi a puro fortuito caso». In definitiva, la C.I.S. concordò
con le conclusioni cui era giunto cinque anni prima l’ammiraglio Gasparri:
cause principali del disastro erano state la scarsa visibilità ed il fatto che
le navi avessero dovuto navigare a luci oscurate su rotte perfettamente
opposte. Parimenti, la C.I.S. concordò con la relazione di Gasparri
nell’approvare completamente l’operato post-collisione del comandante
Gasparrini.
Nelle conclusioni
alla sua relazione sull’accaduto, la Commissione d’Inchiesta Speciale stabilì
che «nessun addebito possa essere mosso
al Capitano di Fregata (ora Cap. di Vascello) Luigi Gasparrini, Comandante del
c.t. Grecale, per la collisione avuta con la torp. Ardente che ha provocato
l’affondamento di questa, solo non può astenersi dall’osservare che il predetto
Ufficiale Superiore sia passibile di rilievo per non aver acceso immediatamente
i fanali di via della sua nave al primo avvistamento della torp. Ardente,
accensione che se con grandissima probabilità non avrebbe evitato il sinistro,
pure doveva essere eseguita perché regolamentare. A ciò fa riscontro, tuttavia,
il comportamento altamente encomiabile avuto dal Comandante del Grecale in
conseguenza del sinistro, onde, nel complesso, la sua condotta si giudica
meritevole e pienamente degna dell’alto riconoscimento già datole».
Considerazioni
e conclusioni della Commissione d’Inchiesta Speciale (Ufficio Storico della
Marina Militare, via Giancarlo Napoleone):
Concausa del
disastro, insieme alle citate condizioni meteorologiche, era stato il fatto che
le navi procedessero sulla stessa rotta di sicurezza in direzioni opposte e con
i fanali di via spenti; secondo quanto scritto dal comandante Gasparrini in una
relazione redatta nel 1947 per la Commissione d’Inchiesta Speciale, già in
precedenza si erano verificati altri incidenti sulla rotta di sicurezza
costiera, troppo stretta (un miglio) per essere percorsa in sicurezza da navi
che procedevano su rotte opposte a luci oscurate. Altri erano stati evitati di
misura; sia l’ammiraglio Gasparri che diversi comandanti di squadriglie di
cacciatorpediniere avevano già fatto presente il problema a Supermarina.
Dopo questo disastro
vennero pertanto modificate le rotte prestabilite per la zona delle Egadi,
istituendo due rotte diverse per le unità in navigazione dall’Italia alla
Tunisia e per quelle che procedevano invece in senso contrario.
Una “coda” a questa
triste vicenda si ebbe nel 1977, con la pubblicazione del libro "Navi e
marina italiani della seconda guerra mondiale", nel quale, menzionando la
collisione tra Ardente e Grecale, si parlava di errore di manovra
da parte di quest’ultimo come causa del disastro. Questa affermazione scatenò –
nel dicembre 1977 – la reazione dell’ex comandante del Grecale, il capitano di fregata
Gasparrini (frattanto congedato con il grado di ammiraglio di squadra), il
quale, sentendosi accusato di un errore che non aveva commesso, lo segnalò per
lettera all’autore del libro, Erminio Bagnasco. Purtroppo, tuttavia, Gasparrini
non si limitò a chiarire – come era stato giustamente appurato dalla CIS del
1949 – di non essere responsabile della collisione, ma inspiegabilmente ne
attribuì la responsabilità al defunto guardiamarina Caprile dell’Ardente, asserendo che questi avesse
scambiato il Grecale per
una silurante nemica ed avesse manovrato per speronarla, finendo però investito
al centro dalla prua del cacciatorpediniere; a supporto della sua spiegazione,
Gasparrini citò la testimonianza del sottocapo di brogliaccio (Alvaro
Lanucara), unico superstite tra i presenti sulla plancia della torpediniera. In
realtà, Lanucara aveva semplicemente riferito che il guardiamarina Caprile
aveva gridato di aver visto una motosilurante ed ordinato di virare tutto a
sinistra pochissimo prima della collisione, senza parlare di tentativi di
speronamento di siluranti avversarie.
Correggendo l’errore
originario, Bagnasco ne introdusse così uno nuovo nella seconda edizione (1981)
della sua opera, parlando di errore da parte dell’Ardente, che avrebbe scambiato il Grecale per una silurante nemica a causa della pessima
visibilità, e poi ancora, nella terza edizione (2005), affermando che, causa la
pessima visibilità, l’ufficiale di guardia dell’Ardente avesse scambiato ‘baffo’ di schiuma sulla prua
del Grecale per la scia di
una silurante nemica, ordinandone d’iniziativa lo speronamento.
Niente, in realtà,
risulta supportare la notizia del tentativo di speronamento, non essendo
possibile sapere quali fossero le intenzioni del guardiamarina Caprile quando
aveva ordinato di virare tutto a sinistra (probabilmente, secondo l’ammiraglio
Gasparri e la CIS, Caprile aveva avvistato il Grecale poco a dritta della prua ed aveva pensato di poterlo
meglio evitare virando a sinistra).
La lettera scritta nel 1977 dall’ammiraglio Gasparrini all’editore Albertelli (USMM, via Alessandra Nobili e Stefano Ruia) |
La pagina incriminata e le correzioni apportate dall’autore (USMM, via Alessandra Nobili e Stefano Ruia) |
13 gennaio 1943
In mattinata il Granatiere viene immesso in bacino di
carenaggio a Palermo (a questo scopo il cacciatorpediniere Antonio Da Noli, che si trova in bacino per manutenzione, sospende
i lavori ed esce dal bacino per lasciarlo libero) per essere sottoposto a delle
prime riparazioni temporanee nel corso delle quali si dovrà provvedere, tra
l’altro, a rimettere in funzione almeno una turbodinamo ed i circuiti
principali del timone, oltre all’impianto d’illuminazione ed agli apparati
radio.
6 febbraio 1943
In una telefonata a
supermarina l’ammiraglio Gasparri propone di far trasferire Grecale, Geniere (che abbisogna di lavori di riparazione) e Corazziere (che necessita di riparazioni
per una grossa falla provocata da una collisione con una motozattera tedesca il
giorno precedente) a Napoli con la scorta di Gioberti e Camicia Nera.
9 febbraio 1943
Completato un primo
ciclo di riparazioni provvisorie a Palermo, atte a metterlo in grado di
affrontare la navigazione di trasferimento verso un cantiere meglio attrezzato,
il Grecale lascia la Sicilia per
trasferirsi a Genova, dove verranno effettuati i lavori di ricostruzione della
prua.
Febbraio-Agosto 1943
In riparazione a
Genova; i lavori verranno completati il 31 agosto (per altra fonte, prima di
trasferirsi a Genova la nave avrebbe subito degli altri lavori anche a Napoli). Al mutilato Grecale viene applicata la prua (compreso il complesso prodiero da 120) del cacciatorpediniere Carrista (classe Soldati, seconda serie), in costruzione nei cantieri OTO di Livorno; a causa del ritardo così accumulato nella sua costruzione (qualche mese prima ha anche dovuto "cedere" la poppa al gemello Velite, che aveva perso la sua per un siluro di sommergibile), il Carrista non sarà completato prima dell'armistizio e non entrerà così mai in servizio.
Durante
le riparazioni il Grecale viene anche
sottoposto a nuove modifiche dell’armamento: vengono eliminate sei mitragliere
singole da 20/65 mm, l’impianto lanciasiluri trinato poppiero da 533 mm e l’obice
illuminante centrale da 120/15, mentre vengono installate due mitragliere
singole Breda 1939 da 37/54 mm (una sulla tuga centrale, al posto dell’obice
illuminante, e l’altra al posto dell’impianto lanciasiluri) e sei mitragliere
binate Breda 1935 da 20/65 mm (per altra fonte due mitragliere singole da
20/65, installate a poppa). Viene altresì installato un radar EC3/ter “Gufo”
(la nave era stata predisposta per imbarcarlo già nei lavori di inizio 1942;
secondo altra fonte, invece, il Grecale
sarebbe stato predisposto per ricevere il radar “Gufo” nell’estate del 1943, ma
non lo avrebbe mai effettivamente ricevuto a causa del sopravvenire
dell’armistizio).
Agosto 1943
Il Grecale rientra in servizio, al comando
adesso del capitano di fregata Benedetto Ponza di San Martino, che vi rimarrà
fino al dicembre 1944.
7-8 agosto 1943
Il Grecale (capitano di fregata Benedetto
Ponza di San Martino) si trova a Genova, ormai al termine dei lavori (ha già
compiuto le prove di macchina ed ha reimbarcato tutte le munizioni, in vista
del prossimo trasferimento a La Spezia), quando la città viene sottoposta ad un
pesante bombardamento aereo britannico.
L’incursione,
effettuata dal Bomber Command della Royal Air Force, rientra in un ciclo di
bombardamenti lanciati da tale reparto sulle tre grandi città del triangolo
industriale: Milano, Torino ed appunto Genova. La finalità di questi attacchi è
di «ammorbidire» il governo Badoglio, instaurato dopo la destituzione e
l’arresto di Mussolini il 25 luglio, e convincerlo a chiedere una pace separata
con gli Alleati. La sera del 7 agosto, quasi 200 bombardieri quadrimotori Avro
Lancaster decollano dalle basi dell’Inghilterra per il primo attacco simultaneo
su tutte e tre le grandi città del triangolo industriale; missione dettata da «urgenti ordini politici», come
confermato dai rapporti dello stesso Bomber Command.
I Lancaster, in
numero di 197, sono divisi in tre formazioni di 50 bombardieri, ciascuna
destinata ad una delle tre città, più due gruppi di 47 aerei “apripista”
(Pathfinder, che devono individuare il punto di mira prima col radar H2S e poi
visivamente, illuminandoli con il lancio di bengala ed ordigni illuminanti
colorati "TI", Target Identification Bombs, comunemente noti
come “alberi di Natale”), uno dei quali riservato a Milano, mentre l’altro dovrà
guidare sull’obiettivo prima il gruppo assegnato a Torino e poi quello di
Genova. Dopo aver sorvolato il Canale della Manica, la Francia e le Alpi, i
bombardieri si dividono e raggiungono i rispettivi obiettivi: Milano viene
colpita da 23 "Pathfinder" dell’8° Gruppo e 50 bombardieri del 5°
Gruppo; Torino, da 24 "Pathfinder" e 50 bombardieri del 1° Gruppo;
Genova, da 23 "Pathfinder" e 50 bombardieri, dei quali 22 del 1°
Gruppo e 28 del 5° Gruppo.
A riconferma delle
motivazioni psicologiche dell’operazione, prima di sganciare le bombe i
Lancaster lanciano sulle tre città centinaia di migliaia di volantini
propagandistici, recanti il semplice messaggio: «Il governo di Roma dice: la guerra continua. Ecco perché il nostro
bombardamento continua».
La tattica seguita è
quella dell’«area bombing» (ossia il bombardamento indiscriminato di vaste aree
urbane, volto a terrorizzare la popolazione inducendo gli abitanti a sfollare,
e privando così le fabbriche della manodopera); le incursioni risultano molto
concentrate nello spazio (circa l’80 % dei bombardieri sgancia le bombe entro
tre miglia dal punto di mira designato) e nel tempo (anche per via della
pochezza delle difese contraeree, che non riescono a contrastare adeguatamente
i bombardieri britannici), anche se – come al solito – le dimensioni degli
incendi scatenati nelle città italiane, meno “infiammabili” di quelle tedesche
(a causa della loro struttura, caratterizzata da viali più ampi, e del minore
uso del legno come materiale da costruzione), risultano molto più contenute a
quanto i piloti della RAF sono abituati a vedere nei bombardamenti in Germania.
Ad ogni modo, l’esame delle fotografie scattate dai ricognitori dopo i
bombardamenti indurrà i comandi britannici a considerare i bombardamenti come
riusciti su tutte e tre le città; le perdite britanniche ammontano a due soli
Lancaster, uno abbattuto dalle difese contraeree di Milano e l’altro
precipitato in Francia durante il volo di rientro.
A Genova il punto di
mira designato è piazza De Ferrari, in pieno centro. Sul capoluogo ligure giungono
72 Lancaster, su 73 originariamente decollati, i quali sganciano 169 tonnellate
di bombe, tra dirompenti (94 tonnellate, comprese 25 superbombe “block-buster”
da 1814 kg – di cui una tonnellata e mezza sono di esplosivo – ciascuna delle
quali è in grado da sola di demolire un intero isolato – da qui il nome
“block-buster”, che significa appunto “spiana-isolati” – e di abbattere palazzi
anche solo con lo spostamento d’aria) ed incendiarie (75 tonnellate). Secondo
le successive analisi britanniche, 63 dei 72 bombardieri sono riusciti a
sganciare le proprie bombe entro tre miglia dal punto di mira, in modo da
massimizzare la distruzione nell’area designata come obiettivo. Come nelle
altre due città, i danni causati dal bombardamento sono molto gravi,
soprattutto nel centro storico e nella zona attorno alla Stazione Principe; le
vittime civili sono poco meno di un centinaio (sarebbero state molte di più se
gran parte della popolazione non fosse già sfollata e se il bombardamento non
fosse avvenuto in una calda notte estiva di sabato, in cui molti dei genovesi
che non sono sfollati si sono recati da parenti e amici nelle campagne per
passarvi il finesettimana). Tra le vittime illustri di questa incursione vi è
lo storico Teatro Carlo Felice, principale teatro di Genova, colpito da bombe
incendiarie che scatenano un incendio che distrugge le scenografie, i palchi
sopraelevati e le finiture di legno; anche la millenaria chiesa romanica di
Santo Stefano (che perde metà della facciata e gran parte del tetto), la
basilica barocca di San Siro (che subisce la distruzione di due cappelle della
navata di sinistra e dell'altare di nostra Signora della Provvidenza) e la
seicentesca chiesa della Consolazione subiscono pesanti danni, al pari di
diverse centinaia di edifici, con 13.000 genovesi che rimangono senza un tetto.
Nell’area portuale,
subiscono gravi danni le caserme della Guardia di Finanza e della Capitaneria
di Porto, i magazzini, i moli e le darsene, mentre il naviglio mercantile
rimane completamente indenne; soltando alcune chiatte sono colpite da bombe
incendiarie e prendono fuoco unitamente al rimorchiatore Adua, il cui equipaggio è tuttavia in
grado di estinguere gli incendi in tempi piuttosto brevi. Peggio va al
cacciatorpediniere Freccia,
ormeggiato al Molo Parodi: gravemente danneggiato da due bombe cadute in mare a
ridottissima distanza, inizia ad imbarcare acqua e nonostante gli sforzi
dell’equipaggio affonda in soli venti minuti, abbattendosi sul fianco sinistro.
Il Grecale, al momento dell’attacco, si
trova ormeggiato ad una banchina vicino ad un capannone; gran parte
dell’equipaggio non si trova a bordo, perché il comandante ha concesso la
licenza a coloro che hanno famiglia nella zona, mentre altri sono scesi a terra
per la serata. Di tutti gli ufficiali è presente a bordo il solo guardiamarina
Giulio Biscaccianti, fresco di nomina (è uscito dall’Accademia di Livorno il
precedente 15 aprile ed è imbarcato sul Grecale
il 30 luglio, dopo un periodo di tirocinio sulla corazzata Duilio ed un imbarco di pochi giorni sulla torpediniera di scorta Ardito), in qualità di ufficiale di
guardia: all’inizio del bombardamento questi manda la maggior parte dell’equipaggio
nel vicino rifugio antiaereo, rimanendo a bordo con un sottufficiale ed un
gruppetto di sette od otto marinai. Durante l’incursione, alcuni spezzoni
incendiari cadono anche sul Grecale,
e le fiamme da questi appiccate giungono ben presto a minacciare le riservette
di munizioni delle mitragliere: per scongiurare danni gravi od addirittura la
perdita della nave, Biscaccianti preleva alcune coperte dal vicino capannone e,
alla guida dei suoi uomini, riesce a soffocare le fiamme prima che il Grecale possa subire danni di rilievo.
L’episodio sarà così
ricordato, anni dopo, dallo stesso Biscaccianti: “Il primo sabato di agosto sulla nave era presente solo una parte dell'equipaggio
perchè il Comandante aveva mandato in permesso di fine settimana il personale
che aveva la famiglia nella zona. Io, essendo di guardia, ero l'unico ufficiale
presente a bordo. Nella notte, ad ora inoltrata, Genova fu sottoposta ad un
massiccio bombardamento aereo, mirato a colpire soprattutto il porto ed i
cantieri navali, che furono illuminati a giorno da un nutrito lancio di
bengala. Formai una pattuglia di 7/8 marinai al comando di un Sottufficiale di
bordo, anziano d'imbarco e pratico della nave, e mandai il resto dell'equipaggio
nel vicino rifugio antiaereo. Poi, avendo notato in cielo, alla luce dei
bengala, qualcosa di bianco, nel dubbio che vi fosse stato anche un lancio di
paracadutisti incursori, feci appostare la pattuglia di guardia, armata di
moschetti, all'imbocco del capannone con una mitragliatrice su treppiede.
Durante l'allarme mi accorsi che alcuni
spezzoni incendiari al fosforo erano caduti in coperta e sul castello di poppa
ed anche sulle riservette di munizioni delle mitragliere; le fiamme avevano
cominciato a lambire le lamiere, in particolare quelle delle riservette. Se
queste fossero esplose sarebbe stata messa a repentaglio la sopravvivenza della
nave. Allora presi una coperta dai giacigli dentro il capannone, ordinai ai
marinai di prenderne altre e di seguirmi sul Grecale per buttarle
sugli spezzoni incendiari e spegnerli; e a qualcuno che si mostrava riluttante
e gridava "Qui saltiamo tutti!", feci forza
dicendo "C'è da salvare il Grecale!" e riuscimmo
nell'intento. Passò la domenica ed il lunedì rientrò tutto l'equipaggio. lo non
avevo fatto alcun rapporto perchè – per inesperienza – mi sembrava che il
comportamento mio e della pattuglia di guardia fosse stato normale in tempo di
guerra. Ma il Sottufficiale che era con me accennò qualcosa al Comandante che
radunò tutti gli Ufficiali in quadrato e, dopo aver raccontato l'episodio, mi
indicò dicendo: "Questo ragazzino, che è imbarcato da tre giorni ed
ha ancora il latte sulle labbra, ha fatto un gesto da vecchio combattente e ha
salvato la nave, pur sapendo che rischiava di grosso. Meriterebbe una menzione
d'onore". Gli risposi che avevo semplicemente fatto il mio dovere e avevo
dato un esempio; aggiunsi che erano i componenti della pattuglia a meritare un
encomio ed una ricompensa sotto forma di qualche giorno di permesso. Proposta
che il Comandante accolse all' istante”.
13 agosto 1943
Ormai ultimati i
lavori, il Grecale si trasferisce da
Genova a La Spezia, dove si unisce alle Forze Navali da Battaglia ivi
dislocate.
8 settembre 1943
L’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati trova il Grecale a La Spezia, dove forma la X Squadriglia Cacciatorpediniere
insieme al più moderno Velite.
All’inizio del settembre 1943, tuttavia, la X Squadriglia è di fatto
inesistente, ed entrambe le sue unità sono temporaneamente aggregate ad altre
squadriglie di cacciatorpediniere: il Grecale
alla XIV Squadriglia (composta da Legionario,
Artigliere ed Alfredo Oriani), il Velite
alla XI (composta da Mitragliere, Fuciliere
e Carabiniere).
Come il resto della
flotta da battaglia stanziata a La Spezia, il Grecale, nei giorni precedenti, ha caricato carburante e munizioni
per quella che si prevede essere l’ultima battaglia: gira notizia
dell’avvistamento di una flotta angloamericana di ben 450 navi, diretta verso
le coste della Campania; gli Alleati stanno per sbarcare a Salerno, e la
squadra da battaglia, dopo mesi di immobilità nelle basi liguri, si prepara a
salpare per contrastare la flotta d’invasione in un ultimo scontro che si concluderà
nel suo totale annientamento.
Il mattino ed il
pomeriggio dell’8 settembre sono trascorsi tranquilli, ma intorno alle 18 l’ammiraglio
Carlo Bergamini, comandante in capo delle da battaglia, convoca gli ammiragli
ed i comandanti a questi subordinati a rapporto sulla sua nave ammiraglia, la
corazzata Roma.
Il giorno precedente,
Bergamini ha partecipato a Roma, presso il quartier generale della Marina,
ad una riunione indetta dal Ministro della Marina nonché capo di Stato Maggiore
della forza armata, ammiraglio Raffaele De Courten. Durante tale riunione, cui
hanno partecipato in tutto dieci ammiragli che detengono le posizioni chiave
all’interno della Marina, De Courten ha disposto che naviglio ed installazioni
a terra vengano posti in stato di difesa, la sorveglianza venga rafforzata
ovunque, ci si prepari a reagire ad eventuali atti di ostilità da parte tedesca
(tenendosi pronti ad impedire l’occupazione di installazioni militari e la
cattura di navi da parte tedesca, ad interrompere i collegamenti delle forze
tedesche, ad eliminare reparti e navi tedesche che dovessero compiere atti
ostili) ed a far partire le navi in condizioni di efficienza per Sardegna,
Corsica, Elba, Sebenico e Cattaro, nonché ad autoaffondare le navi non in grado
di muovere; in caso di attacco tedesco, i prigionieri Alleati dovranno essere
liberati, ed in caso di attacco tedesco si dovranno considerare come nemici i
velivoli tedeschi che dovessero sorvolare le navi italiane, mentre non si dovrà
aprire il fuoco contro quelli Alleati. Tutte questi provvedimenti dovranno
essere presi in seguito a ricezione di un ordine convenzionale inviato da
Supermarina, oppure dai Comandi in Capo nel caso di un attacco da parte
tedesca. De Courten non ha rivelato ai presenti che sono in corso le trattative
per un armistizio tra l’Italia e gli Alleati, ma ai più non è sfuggito il
significato di quelle istruzioni.
Un altro ordine dato
nel corso della riunione è stato quello di rifornire al completo le navi in
grado di partire con provviste, acqua e nafta; quest’ordine, eseguito nel
pomeriggio dell’8 settembre, desta non pochi dubbi, dato che i marinai non
capiscono come mai, se la flotta dovrà partire a breve per l’ultima battaglia
nel Basso Tirreno, si imbarchino rifornimenti che paiono destinati ad una lunga
navigazione.
Agli ammiragli e
comandanti riuniti sulla Roma,
Bergamini annuncia di non poter riferire tutto quello che De Courten gli ha
detto, ma che sono imminenti gravissime decisioni da parte del governo, e che
solo la Marina, tra le forze armate italiane, si può ritenere ancora integra ed
ordinata.
Qualsiasi cosa
dovesse accadere, fa presente Bergamini, nessuna nave dovrà cadere in mano
straniera, né britannica né tedesca; piuttosto, verrebbe trasmesso il messaggio
in codice «Raccomando massimo riserbo»
ricevuto il quale le navi si dovranno autoaffondare. Qualora il comando
centrale fosse impossibilitato a trasmettere tale messaggio, i comandanti dovranno
agire di propria iniziativa, in relazione alla situazione che si dovesse
presentare, ricordando la direttiva di non consegnare nessuna nave in mani
straniere. Nel caso di un autoaffondamento, questo dovrà avvenire per quanto
possibile in acque profonde, ma a distanza dalla costa tale da permettere agli
equipaggi di mettersi in salvo (per ordine del re, gli uomini non devono
sacrificarsi); se ciò non fosse possibile, le navi si dovranno autodistruggere.
In caso di ricezione
del telegramma convenzionale «Attuare
misure ordine pubblico Promemoria n. 1 Comando Supremo», si dovrà procedere
alla cattura del personale tedesco presente a bordo per i collegamenti ed
attuare l’allarme speciale, cioè preparare le navi a respingere qualsiasi colpo
di mano proveniente dall’esterno.
Bergamini spiega che
la flotta potrebbe salpare da un momento all’altro, e che gli obiettivi potranno
essere tre, radicalmente differenti: andare incontro alla flotta britannica che
deve appoggiare lo sbarco, presumibilmente nel Golfo di Salerno, ed ingaggiarla
in battaglia; raggiungere La Maddalena per sottrarsi ad eventuali azioni ostili
da parte tedesca; oppure autoaffondarsi. Risulta evidente, tra gli ufficiali
presenti, che qualcosa di grave è nell’aria; paventando una resa ed una
consegna delle loro navi agli Alleati, molti propongono l’autoaffondamento
immediato, ma vengono riportati all’ordine da Bergamini.
Non molto tempo dopo
la conclusione della riunione, alle otto di sera, la radio dà l’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.
Alle 22 l’ammiraglio
Bergamini, dopo una telefonata da parte dell’ammiraglio De Courten, convoca di
nuovo gli ammiragli e comandanti dipendenti e dice loro che il personale tedesco
presente sulle navi è stato sbarcato, conferma le disposizioni date quattro ore
prima e dice di non sapere se alla squadra da battaglia verrà ordinato di
restare in porto oppure di trasferirsi in Sardegna od in altra località; gli
ordini a questo proposito, dice, verranno probabilmente impartiti dopo un
colloquio tra l’ammiraglio De Courten ed il maresciallo Badoglio, che deve
svolgersi proprio in quei momenti. Nuovi ordini verranno emanati l’indomani
mattina.
Terminata la
riunione, ammiragli e comandanti ritornano sulle rispettive unità.
Sul Grecale, come sulle altre navi,
l’annuncio dell’armistizio provoca sentimenti contrastanti tra l’equipaggio, ed
una notevole confusione; secondo il ricordo del guardiamarina Giulio
Biscaccianti, addirittura, un gruppo di veterani avrebbe cercato di occupare il
deposito munizioni per farlo saltare e distruggere la nave piuttosto che
portarla in un porto britannico, venendone però dissuaso: “L'8 settembre 1943, l'annuncio che la flotta americana al comando
dell'ammiraglio Hewitt stava dirigendo su Salerno con un convoglio per
compiervi uno sbarco e che in Sicilia era stato firmato l'armistizio che
prevedeva la consegna agli Alleati della flotta italiana, trovò la nave con le
caldaie già accese e pronta a muovere con tutte le altre unità. Quando la radio
diffuse il comunicato dell'armistizio il Comandante si trovava con tutti gli
ufficiali nel quadrato: arrivò trafelato un sottufficiale annunziando che a
prua, sotto castello, la notizia dell'armistizio e della probabile consegna
della flotta aveva originato una grande confusione e molti contrasti di
opinione soprattutto da parte di anziani combattenti; perciò si minacciava di
occupare la Santabarbara e di far saltare il Grecale per non
consegnarlo agli inglesi. Il Comandante si rivolse a me dicendo:
"Vai sotto castello a metter calma!" Io eseguii l'ordine; feci
fare silenzio, chiamai il sottufficiale ed i marinai della pattuglia dei fatti
di Genova, li elogiai per il coraggio dimostrato, concludendo che, dopo aver
difeso il Grecale in tante occasioni, non era il caso di compiere
gesti inconsulti. Gli animi si calmarono, tutti presero a riflettere, nessuno
sollevò obiezioni. Mi feci dare le chiavi della Santabarbara e le portai al
Comandante”.
9 settembre 1943
Alle due di notte (le
prime navi iniziano a muovere all’1.45, ma ci vorranno due ore prima che tutta
la flotta – ultima nave ad uscire è la Vittorio
Veneto – sia uscita dal porto) la squadra da battaglia salpa da La Spezia: ne
fanno parte il Grecale con il resto
della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Artigliere, Alfredo Oriani, Legionario: quest’ultimo è il
caposquadriglia, al comando del capitano di vascello Amleto Baldo); le tre
moderne corazzate dell’ammiraglio Bergamini, Roma (nave ammiraglia di Bergamini), Italia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Enrico
Accorretti, comandante della IX Divisione) e Vittorio Veneto; gli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli, Attilio
Regolo (che al contempo ricopre anche il ruolo di conduttore di
flottiglia del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, formato dalle Squadriglie
X, XI e XIV e comandato dal capitano di vascello Franco Garofalo: quest’ultimo,
però, si è imbarcato sull’Italia invece che sul Regolo) ed Eugenio di
Savoia della VII Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di
divisione Romeo Oliva, con bandiera sull’Eugenio
di Savoia); i cacciatorpediniere Mitragliere (caposquadriglia,
capitano di vascello Giuseppe Marini), Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia.
Un’ora prima, alle 00.52, ha preso il mare il Gruppo Torpediniere del capitano
di fregata Riccardo Imperiali, composto dalle torpediniere Pegaso (caposquadriglia), Impetuoso, Orsa ed Orione, aventi compiti di esplorazione avanzata per la squadra da
battaglia durante la navigazione.
Una volta in mare, la
flotta assunse rotta 218° e velocità 24 nodi. Il mare è calmo, la notte è
rischiarata dalla luna.
Più o meno nello
stesso momento salpano da Genova anche la torpediniera Libra ed i tre incrociatori leggeri
dell’VIII Divisione (Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi, Giuseppe
Garibaldi ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta), al comando dell’ammiraglio di divisione Luigi
Biancheri.
La destinazione per
tutte le navi è la base di La Maddalena, in Sardegna, dove la flotta dovrà
inizialmente trasferirsi (come De Courten ha spiegato a Bergamini la sera
prima, ordine poi ufficializzato da un fonogramma di Supermarina delle 23.45)
per poi ricevere ulteriori istruzioni sul da farsi: nella base sarda,
l’ammiraglio Bruno Brivonesi dovrà consegnare all’ammiraglio Bergamini i
documenti relativi all’armistizio (i cui dettagli non sono noti a Bergamini) e
gli ordini conseguenti (nelle intenzioni di De Courten, la squadra dovrebbe
sostare a La Maddalena nel pomeriggio del 9 e ripartire nella notte, in modo da
incontrarsi all’alba del 10 con la Forza H britannica e la scorta aerea
angloamericana al largo di Bona). Inizialmente, era previsto anche che il re ed
il governo si sarebbero dovuti trasferire da Roma a La Maddalena (così ha detto
a De Courten, il 6 settembre, il capo di Stato Maggiore generale, generale
Vittorio Ambrosio), ma poi gli eventi prenderanno una piega diversa.
I gruppi partiti da
Genova e La Spezia si riuniscono alle 6.15 (o 6.30) a nord di Capo Corso, per
poi proseguire in un unico gruppo, procedendo a 22 nodi e tenendosi ad una
quarantina di miglia dalla costa della Corsica; la Libra si aggrega temporaneamente alla XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere, mentre la VII e la VIII Divisione si scambiano Regolo e Duca d’Aosta per ottenere una maggiore omogeneità delle due
formazioni.
Alle 8.40 le navi di
Bergamini avvistano le torpediniere del comandante Imperiali, che si mantengono
in avanguardia lontana come scorta avanzata. Già alle 4.13 l’ammiraglio
Bergamini ha comunicato a tutte le unità «Attenzione
agli aerosiluranti all’alba», ed alle 7.07 ribadisce «Massima attenzione attacchi aerei». In testa alla formazione
procede la Libra, seguita dalle due
divisioni di incrociatori che navigano su due colonne parallele, con Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Regolo a
dritta ed Eugenio, Duca d’Aosta e Montecuccoli a sinistra; le tre corazzate procedono in linea di
fila a poppavia degli incrociatori. La XIV Squadriglia Cacciatorpediniere è in
posizione di scorta laterale sulla dritta della formazione, in linea di fila (il
Grecale è l’ultimo cacciatorpediniere
della fila, preceduto nell’ordine da Artigliere,
Oriani e Legionario), mentre la XII Squadriglia ha analoga posizione sul
lato opposto.
Alle nove del mattino
le navi, arrivate nel punto di atterraggio previsto per fare rotta verso il
Golfo dell’Asinara, accostano a sinistra, riducono la velocità a 20 nodi ed
assumono rotta 180° (verso sud), procedendo a zig zag.
I movimenti della
squadra italiana non sono passati inosservati; le navi italiane vengono
avvistate e seguite da alcuni ricognitori britannici (il primo, alle 9.45, è un
Martin Marauder, che dopo l’avvistamento prende a girare intorno alla flotta) ed
alle 9.41 sono localizzate anche da un ricognitore della Luftwaffe, uno Junkers
Ju 88, che allerta immediatamente il proprio comando.
Alle 10.29 viene
avvistato un altro aereo, anch’esso tedesco, con conseguente allarme aereo; la
velocità della squadra viene portata a 27 nodi, ed anche le torpediniere si
ricongiungono con il resto della squadra, dispiegandosi in formazione di
battaglia. Temendo un prossimo attacco aereo, che avverrebbe senza la minima
copertura aerea nazionale, le navi iniziano a zigzagare. Alle 10.46 viene
avvistato un terzo aereo, identificato come Alleato, e viene dato ancora
l’allarme aereo; alle 10.56 viene avvistato un ulteriore ricognitore,
riconosciuto come britannico. Alle 11, dato che alcune navi hanno aperto il
fuoco col proprio armamento contraereo, l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte
le unità di non aprire il fuoco contro aerei riconosciuti come britannici o
statunitensi.
In tutto, tra le 9.45
e le 10.56, sono quattro gli allarmi aerei causati dall’avvistamento di
ricognitori che si tengono fuori tiro; l’ultimo allarme aereo cessa alle 11,
quando viene accertato che gli aerei avvistati sono britannici.
A mezzogiorno, ormai
in prossimità delle coste della Sardegna, l’ammiraglio Bergamini ordina
alla Libra di unirsi alle
torpediniere del Gruppo Pegaso,
ed a quest’ultimo di passare in scorta ravvicinata; alle 12.04 ordina di
assumere il dispositivo di marcia GE11, ossia una formazione in linea di fila
con il Gruppo torpediniere in testa, seguito nell’ordine dalla VII, VIII e IX
Divisione, con i cacciatorpediniere in scorta ravvicinata sui lati. Viene
cessato lo zigzagamento. Alle 12.05 la squadra italiana, giunta nei pressi delle
Bocche di Bonifacio, aggira un’ampia zona di mare minata (al largo di Golfo di
Porto, in Corsica) per poi raggiungere La Maddalena. Alle 12.10, avvistata
l’Asinara, la formazione accosta di 45° a sinistra per imboccare la rotta di
sicurezza verso l’ingresso occidentale dell’estuario della Maddalena; le due
squadriglie di cacciatorpediniere vengono disposte di poppa alle navi maggiori,
con la XIV Squadriglia in coda alla formazione (a poppavia della XII
Squadriglia), mentre la direzione della navigazione passa all’Eugenio di Savoia. Le torpediniere sono
tornate in testa alla formazione, e sono prossime a giungere a destinazione, quando
vengono avvistati da bordo numerosi incendi sulla vicina costa della Sardegna.
Poco dopo (secondo una fonte, alle 13.30, ma le 12.30 sembrano orario più
verosimile) il semaforo di Capo Testa inizia ad eseguire una sequenza di
segnali luminosi, comunicando in codice morse che il presidio della Maddalena
sta per essere sopraffatto dalle forze tedesche, che hanno attaccato gli ex
alleati, e dissuadendo le navi italiane dall’entrare a La Maddalena ("Fermate! I tedeschi hanno occupato la base!").
Ciò che è successo è
che il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della 90a Divisione
tedesca di stanza in Sardegna, ha concordato con il comandante militare
dell’isola, generale Antonio Basso, la pacifica evacuazione delle sue truppe
(32.000 uomini) verso la Corsica, attraverso il porto di La Maddalena, ed il
capitano di fregata Helmut Hunäus, sottoposto di Lungerhausen ed ufficiale di
collegamento tedesco presso Marisardegna, ha a sua volta preso accordi con
l’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante militare marittimo della Sardegna,
affinché il passaggio delle truppe tedesche attraverso La Maddalena avvenga
senza atti di ostilità (ed in questo senso, d’altro canto, andavano gli ordini
impartiti dal generale Basso all’ammiraglio Brivonesi); ma alle 11.25 di quel 9
settembre Hunäus ha tradito l’accordo preso, attuando un colpo di mano con le
sue truppe ed assumendo così il controllo di diverse posizioni chiave
all’interno del perimetro della base. Le truppe tedesche hanno circondato anche
il Comando Marina di La Maddalena; l’ammiraglio Brivonesi, prima di essere
catturato, ha però fatto in tempo ad avvertire Supermarina di quanto sta
accadendo, ed alle 13.16 Supermarina ne informa a sua volta Bergamini,
ordinandogli di fare rotta per Bona, in Algeria (messaggio ricevuto sulla Roma alle 14.24).
Alle 13.21 viene
avvistato un altro aereo, riconosciuto per tedesco, e viene dato l’allarme
aereo; le navi accostano a sinistra per 120°.
Alle 13.29, per
attraversare in sicurezza una zona di campi minati, viene assunta una
formazione in linea di fila con in testa il Gruppo torpediniere seguito,
nell’ordine, dalla VII, VIII e IX Divisione e dalla XII e XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere. La velocità viene ridotta a 20 nodi, e la squadra accosta a
sinista, assumendo rotta 110°.
Secondo il volume
dell’USMM relativo agli eventi seguiti all’armistizio, alle 13.16 Supermarina,
saputo verso le 13 dell’occupazione di La Maddalena, ordina alla squadra di
Bergamini di dirigere per Bona; tale messaggio viene ricevuto sulla Roma alle 14.24, ed alle 14.45 la
formazione inverte la rotta ad un tempo di 180° sulla sinistra (accostata
eseguita alla velocità di 24 nodi), puntando in direzione dell’Asinara, finendo
con l’invertire l’ordine di marcia precedentemente assunto: ora la XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere è finita in testa, seguita nell’ordine dalla XII
Squadriglia, dalla Libra, dalla
IX Divisione, dall’VIII Divisione e dalla VII Divisione, con le navi ammiraglie
o caposquadriglia che precedevano in coda alle rispettive Divisioni e
Squadriglie. In coda alla formazione è il Gruppo Torpediniere.
Alle 13.30 viene
assunta rotta 65°, per dirigere verso le Bocche di Bonifacio; alle 14.41
l’ammiraglio Bergamini ordina per ultracorte a tutte le unità dipendenti "Accostate ad un tempo di 180° a sinistra",
in modo da ridurre il raggio di evoluzione delle navi ed evitare così di finire
sui campi minati. Alle 14.46 il Comando Forze Navali da Battaglia ordina di
ridurre la velocità a 18 nodi ed assumere rotta 285°, la rotta di sicurezza che
dovrà condurre le navi fuori dal Golfo dell’Asinara, dove poi accosteranno
verso sud per raggiungere Bona.
Un ricognitore
tedesco, tuttavia, osserva la squadra italiana durante la manovra d’inversione
della rotta; apprezzati i dati relativi alla nuova rotta e velocità, alle 14.47
li riferisce al Comando della II. Luftflotte, retto dal feldmaresciallo Von
Richtofen. Quest’ultimo, avuta così la certezza che la flotta italiana sia ora
diretta in un porto Alleato, ordina al Kampfgeschwader 100 (100° Stormo da
Bombardamento) di inviare i bombardieri ad attaccarla: dall’aeroporto di Istres
(nei pressi di Marsiglia), pertanto, decollano in tre ondate 28 bombardieri
bimotori Dornier Do 217K, undici dei quali appartenenti al 2° Gruppo del
Kampfgeschwader 100 (sono stati trasferiti da Cognac e li comanda il capitano
Franz Hollweck) e 17 al 3° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (maggiore Bernhard
Jope). (Per altra fonte, l’avvistamento da parte del ricognitore tedesco
sarebbe avvenuto alle 13.23, ed i bombardieri sarebbero decollati alle 14).
Intanto, la flotta di
Bergamini si sta dirigendo a nord dell’Asinara; all’ammiraglio giungono le
drammatiche notizie degli scontri in corso in tutti i porti italiani, che si
concludono invariabilmente con la loro caduta in mano tedesca. Di tornare in
Italia, ormai, non c’è più la possibilità: non rimane altro da fare che
dirigere su Bona, come ordinato.
Proprio in questi
confusi e critici momenti, alle 15.15 (quando la flotta si trova 14 miglia a
sudovest di Capo Testa), si verifica un nuovo allarme aereo, con l’avvistamento
verso ponente di un gruppo di aerei che si avvicinano: dopo un minuto questi
vengono identificati dalle navi come “Junkers” tedeschi, e la Roma alza a riva il segnale "Posto di combattimento pronti ad aprire il
fuoco".
Gli aerei avvistati
sono gli undici Dornier Do 217 K2 del III. Gruppe del Kampfgeschwader 100, decollati
da Istres ed armati con innovative bombe plananti radioguidate FX 1400, meglio
note come “Fritz X”, precorritrici dei moderni missili antinave radiocomandati.
Un’arma rivoluzionaria, che vede qui uno dei suoi primi impieghi in
combattimento: a differenza delle normali bombe “a caduta”, questi ordigni possono
essere sganciati da un’angolazione di oltre 80 gradi rispetto all’obiettivo
(quelle normali non possono essere invece sganciate da un’angolazione superiore
ai 60 gradi), e poi guidati a distanza da un operatore che si trova sull’aereo
che li ha sganciati, mediante impulsi radio; la loro velocità di caduta è di
300 metri al secondo, molto superiore rispetto alle bombe “tradizionali”.
Alle 15.37 i primi
cinque Do 217K (guidati dal maggiore Bernhard Jope), volando a 5000-6000 metri
di quota, hanno già oltrepassato il punto di angolo massimo previsto per lo
sgancio di bombe a caduta (60 gradi, come sopra detto: a bordo si ignora
l’esistenza delle “Fritz X”) senza aver sganciato alcunché: sulle navi italiane,
pertanto, si pensa che ormai i bombardieri siano in allontanamento, dato che
non possono più sganciare bombe con un angolo tanto elevato. Non avendo gli
aerei manifestato “definite azioni ostili”, non è possibile aprire
preventivamente il fuoco contraereo, nell’incertezza sulle intenzioni degli ex
alleati.
Pochi attimi dopo,
però, gli aerei iniziano a sganciare le loro bombe, mirando soprattutto a
colpire le corazzate. La codetta luminosa della prima bomba viene inizialmente
scambiata per un segnale di riconoscimento, ma subito dopo si comprende che è
invece una bomba; viene allora ordinata l’apertura del fuoco. Alle 15.36 la
prima FX-1400, mancato il bersaglio, cade in mare vicino alla poppa dell’Italia, sollevando un’immensa colonna
d’acqua e mettendone momentaneamente fuori uso il timone.
Subito la formazione
si dirada, manovrando in modo da ostacolare la punteria dei bombardieri, e viene
aperto il fuoco con tutte le armi a disposizione, alla massima elevazione; ma il
pur violento fuoco contraereo delle navi italiane risulta inutile, dato che gli
aerei sganciano le loro bombe tenendosi fuori tiro, a quota troppo elevata per
le armi contraeree delle navi italiane.
Alle 15.42 (o 15.50) la Roma, nave ammiraglia di Bergamini, viene
colpita da una prima bomba: l’ordigno la raggiunge a poppavia dritta,
trapassandone lo scafo ed esplodendo sotto di esso, aprendo una falla che causa
l’allagamento delle motrici poppiere. Ciò riduce la velocità e manovrabilità
della corazzata, che dieci minuti dopo viene centrata da una seconda bomba,
questa volta a proravia sinistra: nell’esplosione sono coinvolti i depositi
munizioni delle torri prodiere da 381 mm, che erompono in una catastrofica
deflagrazione, proiettando in aria la torre numero 2 da 381 ed investendo il
torrione prodiero con un’enorme fiammata che uccide l’ammiraglio Bergamini e
tutto il suo stato maggiore. Nel giro di meno di venti minuti, la Roma si capovolge, si spezza in due
ed affonda, portando con sé 1393 dei 2021 uomini dell’equipaggio.
Il guardiamarina
Giulio Biscaccianti del Grecale
avrebbe così ricordato questi momenti: “Alle
02.00 del 9 settembre il Grecale partì dalla Spezia con tutte le navi
delle FF.NN,BB. per quella tragica navigazione che è ben nota a tutti per
l'affondamento della Roma ad opera di bombardieri tedeschi.
Anche il Grecale fu attaccato: io ero di vedetta sull'ala di plancia
di dritta e seguivo il volo degli aerei. Vidi un aereo che attaccava il Grecale di
poppa: notai una nuvoletta bianca che indicava lo sgancio di una bomba ed un
punto nero che scendeva veloce. Gridai al Comandante: "L' aereo ha
sganciato su di noi. Vedo un puntino nero" Seguì un colloquio
concitato: "E' fermo in aria?" "Sì. Lo vedo fermo"
"E' in rotta di collisione con noi e ci colpirà! Che
fare?" "Avanti tutta e barra a dritta con rotta verso il
largo!" "Ma ci sono i campi minati!" "A sinistra ci sono
gli scogli!". Mentre il Grecale accosta di 90° sulla dritta
aumentando al massimo la velocità, io continuo a seguire il puntino
nero: "Comandante, scade di prua!". Pochi istanti dopo la bomba
esplode in mare a circa 100 metri dal punto di accostata e sulla rotta che
il Grecale seguiva prima della manovra. Una enorme colonna d'acqua si
leva investendo la nave e facendola ballare. C'era andata bene! Io non mi
scomposi. Un segnalatore che era accanto a me sull'ala di plancia, sapendo che
ero "uno sbarbatello" al primo imbarco di guerra, mi chiese
"Paura signor Biscaccianti?". Ed io tranquillo "No! Fa
parte del gioco!"”.
In seguito alla morte
dell’ammiraglio Bergamini, il comando della squadra passa all’ammiraglio Oliva,
comandante della VII Divisione, essendo questi il più anziano tra i tre
ammiragli di divisione (Oliva, Biancheri, Accorretti): questi comunica di aver
assunto il comando alle 16.12. Già tre minuti prima, alle 16.09, Oliva ha preso
l’iniziativa di distaccare il Regolo,
la XII Squadriglia Cacciatorpediniere e le torpediniere del gruppo "Pegaso"
per il salvataggio dei naufraghi della Roma
(tutte queste unità, ad eccezione dell’Orione
e del Velite, rimasti con la squadra,
non si riuniranno più al resto della formazione: dopo aver recuperato i
naufraghi, infatti, raggiungeranno le Baleari, dove saranno internate dalle
autorità spagnole).
Alle 16.20 Oliva
contatta Supermarina dando notizia dell’affondamento della Roma e dell’assunzione del comando da parte sua, e chiedendo
istruzioni: messaggio che tuttavia potrà essere trasmesso soltanto alle 17, a
causa del sovraccarico dei canali radio. Nel mentre, alle 16.49, l’ammiraglio
Biancheri, il più riluttante a portare le navi in un porto Alleato, contatta
Oliva proponendogli di rientrare a La Spezia; Oliva respinge tuttavia la
proposta, invitando il collega ad attenersi agli ordini del re.
Nel mentre, la
Luftwaffe torna ripetutamente all’attacco, non paga del successo già
conseguito: un nuovo attacco aereo ha luogo alle 16.29, quando anche l’Italia viene colpita a prua da una FX
1400, ma nel suo caso la bomba, trapassato lo scafo, esplode in mare
limitandosi ad aprire una falla; la corazzata imbarca ottocento tonnellate
d’acqua, ma è in grado di proseguire alla velocità di 24 nodi.
Ulteriori attacchi
tedeschi hanno luogo alle 18, alle 18.34 ed alle 19.10, tutti accolti dalla
vivace reazione contraerea delle navi e tutti senza successo, grazie anche alle
continue evoluzioni eseguite dalle navi della squadra per confondere la mira
dei bombardieri.
Durante uno di questi
attacchi gli aerei tedeschi abbattono un ricognitore britannico che seguiva la
formazione italiana: il suo equipaggio è tratto in salvo dal Legionario.
Alle 18.40
l’ammiraglio Oliva riceve conferma dell’ordine di raggiungere Bona; per
disorientare eventuali ricognitori tedeschi, tuttavia, il nuovo comandante
della squadra navale decide di continuare la navigazione verso ovest fino alle
21, quando ormai è calata l’oscurità, accostando verso sud (verso Bona)
soltanto a quel punto. Alle 20.15 (con messaggio trasmesso alle 20.30) Oliva
comunica questa decisione a Supermarina, fornendo altresì maggiori dettagli
sull’affondamento della Roma, sul
danneggiamento dell’Italia e sulla
decisione di distaccare parte delle unità per il salvataggio dei naufraghi (e
sull’impossibilità di contattarle); chiede infine di poter inviare i
cacciatorpediniere rimasti a Bona e di raggiungere Algeri con le navi maggiori.
Dal canto suo Supermarina, alle 20.25, ha diramato un messaggio circolare
cifrato volto ad informare tutte le unità della situazione generale: «Supermarina 47570 – Situazione ore 19 alt
Forza Navale da battaglia ore 17 in lat. 41°17’ long. 08°22’ rotta ponente
dirette Bona semialt corazzata Roma colpita da bombe velivoli inglesi
[informazione, quest’ultima, errata] est
affondata ore 16.30 semialt corazzata Italia colpita non gravemente alt 5a
Divisione partita da Taranto per Malta ore 17 alt Piroscafi Vulcania et Saturnia
con torp. Audace su cui est Altezza Reale in partenza da Venezia alt Risultano
parzialmente occupate da tedeschi Genova Livorno Civitavecchia Comando Marina
La Maddalena Trieste alt Mancano notizie La Spezia alt Conflitto a Bari alt
Truppe germaniche stanno avvicinandosi a Roma alt Unità germaniche attaccano
sistematicamente nostre unità alt Amm. Martinengo deceduto in azione tra due
vedette antisom et motosiluranti tedesche presso Gorgona alt Chiesto notizie
ammiraglio Bergamini alt Milano [parola convenzionale inserita nel
messaggio per confermare che provenisse realmente da Supermarina] alt 192609».
Alle 21.07 la squadra
navale accosta a 23 nodi per rotta 168° verso Bona: ormai la compongono
esclusivamente la VII, VIII ed IX Divisione (queste ultime due, private
rispettivamente di Regolo e Roma), la XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere ed il Velite.
Il Grecale in navigazione verso Malta, fotografato da un’altra unità delle FF.NN.BB. il 9 settembre 1943 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
10 settembre 1943
Durante la notte
l’ammiraglio Oliva fa trasmettere alle unità dipendenti un proclama
dell’ammiraglio De Courten delle 11.50 del giorno precedente («Marinai d'Italia – Durante quaranta mesi di
durissima guerra avete tenuto testa alla più potente Marina del mondo compiendo
eroismi che rimarranno scritti a lettere d'oro nella nostra storia e
affrontando sacrifici di sangue che vi hanno meritato l'ammirazione della
Patria e il rispetto del nemico. Avreste meritato di poter compiere il vostro
dovere fino all'ultimo combattendo ad armi pari le forze navali nemiche. Il
destino ha voluto diversamente: le gravi condizioni materiali nelle quali versa
la Patria ci costringono a deporre le armi. E' possibile che altri duri doveri
vi saranno riservati, imponendovi sacrifici morali rispetto ai quali quello
stesso del sangue appare secondario: occorre che voi dimostriate in questi
momenti che la saldezza del vostro animo è pari al vostro eroismo e che nulla
vi sembra impossibile quando i futuri destini della Patria sono in giuoco. Sono
certo che in ogni circostanza saprete essere all'altezza delle vostre
tradizioni nell'assolvimento dei vostri doveri. Potete dunque guardare
fieramente negli occhi gli avversari di quaranta mesi di lotta, perché il
vostro passato di guerra ve ne dà pieno diritto. de Courten») e l’ordine
del re di eseguire lealmente le clausole dell’armistizio, che non comportano la
cessione delle navi né l’abbassamento della bandiera.
Alle sette del
mattino viene avvistato un ricognitore britannico, e tutte le navi issano il
pennello nero, stabilito come segnale di riconoscimento insieme ai dischi neri
che si è già provveduto a dipingere in coperta. Alle 7.50 giungono sul cielo
della formazione tre aerei da caccia britannici, ed alle 8.38 viene avvistata
di prua una formazione britannica composta da due corazzate (Valiant e Warspite), cinque cacciatorpediniere ed una motovedetta; una delle
corazzate si mette in contatto con l’Eugenio
di Savoia, e dopo uno scambio di messaggi alle 9.10 la squadra italiana si
ferma per permettere alla motovedetta di trasbordare sull’Eugenio il capitano di vascello Thomas Bronwrigg, capo di Stato
Maggiore aggiungo dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham (comandante della
Mediterranean Fleet), insieme ad un altro ufficiale (il tenente di vascello
Seth-Smith) e tre segnalatori. Alle 9.20 le navi italiane rimettono in moto,
seguendo a 20 nodi quelle britanniche verso Malta. Alle dieci vengono avvistate
a nord Libra ed Orione, che avevano precedentemente perso il contatto con la
formazione: a corto di carburante, vengono mandate a Bona per fare
rifornimento.
11 settembre 1943
In mattinata la
squadra italiana raggiunge Malta, dove trova le corazzate Duilio e Doria, gli
incrociatori Cadorna e Pompeo Magno ed il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, qui trasferitesi da
Taranto. Le navi italiane giungno a nordovest di Gozo all’alba, ma imboccano il
canale dragato che porta alla Valletta soltanto alle nove di mattina; procedono
in linea di fila, precedute dal cacciatorpediniere greco Vasilissa Olga e guidate dalla corvetta britannica Bergamot e dal peschereccio armato Beryl.
Eugenio, Littorio ed Italia entrano a La Valletta alle 9.50,
mentre gli altri incrociatori danno fondo a St. Paul’s Bay; nel pomeriggio le
due corazzate si trasferiscono a Marsa Scirocco. Anche il Grecale dà fondo nella rada di Marsa Scirocco, insieme ad Artigliere e Velite.
Poco dopo l’arrivo in
porto, un capitano di vascello britannico si reca sull’Eugenio di Savoia e legge all’ammiraglio Oliva un messaggio del
comandante in capo delle forze Alleate nel Mediterraneo, generale Dwight
Eisenhower, che esprime apprezzamento per la lealtà con cui la flotta italiana
ha adempiuto alle clausole dell’armistizio, e rincrescimento per l’attacco
tedesco che ha cagionato la perdita della Roma.
Il Grecale dirige verso il punto di fonda in rada a Marsa Scirocco, alle nove del mattino dell’11 settembre 1943 (g.c. STORIA militare) |
12 settembre 1943
Nel tardo
pomeriggio/sera il Grecale si
rifornisce di carburante a La Valletta, dopo di che fa ritorno a Marsa Scirocco.
14 settembre 1943
Alle 8.30 il Grecale lascia Malta insieme ai
cacciatorpediniere Da Recco, Artigliere e Velite, alle corazzate Vittorio
Veneto ed Italia ed agli
incrociatori leggeri Luigi Cadorna, Raimondo Montecuccoli, Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, per
trasferirsi ad Alessandria d’Egitto. Il trasferimento di queste unità da Malta
ad Alessandria è stato deciso dai britannici, in accordo con i comandanti
italiani, il 12 settembre, al fine di decongestionare il porto di Malta, ormai
sovraffollato da unità italiane di ogni tipo e dimensione qui affluite nei
giorni successivi all’armistizio, in gran parte concentrate in ancoraggi
esposti e privi di adeguate difese antiaeree ed antisommergibili (pur avendo i
britannici rinforzato le prime con il trasferimento di alcuni cannoni mobili
Bofors da 40 mm, ed inviato alcune unità leggere a compiere pattugliamenti
antisom nelle acque a nordovest di Malta).
Le navi italiane sono
scortate dalle corazzate britanniche Howe
(nave di bandiera dell’ammiraglio Arthur William La Touche Bisset, comandante
la 3a Divisione del 1st
Battle Squadron) e King George V,
da sei cacciatorpediniere della 8th Destroyer Flotilla (i britannici Fury, Faulknor, Echo ed Intrepid ed il greco Vasilissa Olga) e da numerosi aerei.
Tre foto
della squadra italiana in navigazione verso Alessandria, scattate il 14
settembre 1943 da bordo della King George
V: il Grecale è la seconda unità
da sinistra, preceduto dalle corazzate Italia
e Vittorio Veneto (prima da destra) e
seguito dal cacciatorpediniere Velite
(Imperial War Museum)
16 settembre 1943
Il Grecale e le altre navi giungono ad
Alessandria in mattinata e danno fondo nella rada esterna (Mex Anchorage), dove
rimarranno per un mese. L’ammiraglio Oliva, comandante della formazione, viene
subito convocato a bordo della Howe dall’ammiraglio John Cunningham (comandante
in capo della Levant Station e cugino del comandante della Mediterranean
Fleet), che alla presenza di altri ammiragli gli comunica le disposizioni per
il disarmo delle navi italiane giunte ad Alessandria, decise dai governi
Alleati. Sono disposizioni molto più severe di quelle in vigore per le navi
rimaste a Malta: esse comprendono, tra l’altro, lo sbarco di tutte le munizioni
ad eccezione di quelle delle mitragliere contraeree (durante la permanenza ad
Alessandria, anzi, le navi italiane entreranno in porto, a turno e per il tempo
strettamente necessario, soltanto per compiere questa operazione), la rimozione
di otturatori e strumenti di punteria, l’imbarco su ogni nave di una nutrita
guardia armata britannica, ed il divieto assoluto di comunicazione tra una nave
e l’altra. Dopo aver protestato verbalmente, l’indomani l’ammiraglio Oliva
invierà a (John) Cunningham anche una protesta scritta; inutilmente.
Le navi italiane
passano ad Alessandria esattamente un mese, pesante soprattutto sul piano
morale: sia per la totale inattività e le citate restrizioni imposte dai
britannici, che per il divieto assoluto di scendere a terra e per il clima
caldo ed umido, unito al mare quasi sempre agitato che impedisce anche, salvo
che in poche sporadiche occasioni, di permettere ai marinai di fare un bagno
attorno alle navi. Anche i rifornimenti, specialmente quelli di acqua, sono
difficoltosi. Particolarmente fastidiosa è la stretta sorveglianza cui sono
sottoposte le navi all’ancora, con motovedette in pattugliamento «che col loro contegno rude e inflessibile di
fronte ad ogni più piccola irregolarità (ritardo fortuito di qualche
imbarcazione nel tornare a bordo, occasionale ritardo nell’alzare tutte le
imbarcazioni al tramonto, qualche luce visibile dall’esterno durante la notte,
ecc.) davano agli equipaggi la sensazione di essere ingiustamente trattati da
prigionieri».
Per cercare di
risollevare il morale degli equipaggi e tenere gli uomini occupati, vengono
organizzate regate, scuole professionali, lezioni di italiano e di inglese,
gare interne di posto di lavaggio e di pulizia, gare di nuoto (quando le
condizioni del mare lo consentono), proiezioni cinematografiche, concerti da
parte di improvvisate orchestrine, spettacoli di varietà e financo
rappresentazioni di commedie scritte da qualche ufficiale o sottufficiale. Per
mantenere il contatto diretto tra i comandanti e la truppa, l’ammiraglio Oliva
compie frequenti visite sui cacciatorpediniere e sugli incrociatori della VII
Divisione, mentre Accorretti fa lo stesso sulle navi della IX Divisione,
occasioni sfruttate anche per parlare con gli equipaggi. Nel complesso, queste
misure sembrano avere efficacia, riducendo al minimo le mancanze disciplinari
gravi; su ottomila uomini che compongono gli equipaggi delle navi internate ad
Alessandria, si verificano soltanto quattro infrazioni di entità tale da
costituire reato (un caso di insubordinazione e tre di tentata diserzione, in
cui altrettanti marinai si gettano in mare e raggiungono terra a nuoto, venendo
però subito arrestati dalla polizia egiziana).
5 ottobre 1943
L’ammiraglio Oliva
riceve un telegramma dell’ammiraglio De Courten risalente al 1° ottobre, con
qui questi comunica che a breve gli incrociatori ed i cacciatorpediniere
potranno rientrare a Taranto, mentre le corazzate della IX Divisione dovranno
restare ad Alessandria. Dopo aver informato i sottoposti di questa notizia,
Oliva incontra l’ammiraglio Allan Poland, comandante della base di Alessandria,
per concordare le modalità di rimpatrio di incrociatori e cacciatorpediniere;
nei giorni successivi si procede al reimbarco delle munizioni ed alla rimessa a
posto degli otturatori e degli strumenti di punteria.
16 ottobre 1943
Dopo un mese di
internamento nella base egiziana, il Grecale,
gli altri cacciatorpediniere e gli incrociatori della VII Divisione lasciano
finalmente Alessandria per fare ritorno in Italia.
Secondo Marco Valle,
figlio dell’ufficiale del Grecale
Vincenzo Valle, quando il Grecale, di
ritorno dall’Egitto, entrò a Taranto, “mentre
una banda raffazzonata suonava l’inno del Piave, i marinai scorsero sulla
banchina il re e e suo figlio. Dalla tolda una tempesta di fischi e insulti
salutarono i reali”.
Novembre 1943
Il Grecale ed il Da Recco scortano da Taranto ad Alessandria (dove giungono il 22
novembre) la nave cisterna Dafila e
la nave motonave (ex incrociatore ausiliario) Lazzaro Mocenigo, quest’ultima diretta ad Haifa per fungere da nave
appoggio per i sommergibili italiani colà dislocati. La Mocenigo ha a rimorchio un bersaglio galleggiante da usare per
esercitazioni in Palestina, ma tra Malta e Bengasi il cavo di rimorchio si
spezza ed il bersaglio rimane alla deriva, diventando un pericolo per la
navigazione.
1944
Durante la
cobelligeranza con gli Alleati, il Grecale
scorta convogli nel Basso Adriatico.
11 marzo 1944
Il marinaio
cannoniere Alfonso Molinari del Grecale,
di 20 anni, da Salerno, muore in territorio metropolitano.
Primavera 1944
Adattato per il
trasporto di motoscafi siluranti, in vista della sua partecipazione a missioni
speciali nell’ambito della cobelligeranza. I lavori di adattamento consistono
nel temporaneo sbarco dei tubi lanciasiluri, per fare spazio a delle “selle” su
cui potranno essere sistemati due MTSM (“Motoscafi da Turismo Siluranti
Modificati”) o quattro siluri a lenta corsa, nonché nell’installazione di due
gru, azionate elettricamente, per la messa in mare ed il recupero di tali mezzi
d’assalto. Per compensare il conseguente aumento del dislocamento (circa 6
tonnellate), viene ridimensionato l’armamento contraereo, ridotto ad otto
mitragliere da 20/65 mm (due binate sul castello di prua, due binate sulla
sovrastruttura centrale e due singole sulle alette di plancia; per altra fonte,
sarebbero rimaste anche due mitragliere da 37 mm, di cui una sulla
sovrastruttura centrale e l’altra al posto dell’impianto lanciasiluri
poppiero); una deficienza non particolarmente grave, perché la nave dovrà
operare principalmente di notte e le capacità operative notturne della
Luftwaffe sono relativamente limitate. Durante questi lavori il Grecale riceve anche un nuovo radar,
tipo 291 (di fabbricazione britannica), che viene installato sulla sommità
dell’albero di trinchetto.
25 aprile 1944
Alle 14.15 il Grecale (capitano di fregata Benedetto Ponza
di San Martino) parte da Taranto con a bordo tre motoscafi siluranti tipo MTSM
incaricati di scandagliare e compiere rilievi topografici sulle spiagge di tre
piccole baie della costa del Montenegro, tra Antivari e Dulcigno (una di esse è
la baia di Kunje), onde verificare le possibilità di approdo per dei mezzi da
sbarco, in preparazione di futuri sbarchi Alleati. Il Grecale dovrà trasportare i MTSM fino in prossimità delle spiagge
da esplorare, metterli in mare ed aspettare che abbiano svolto il loro compito
per poi riprenderli a bordo.
I tre MTSM sono il 220 (il cui equipaggio è composto dal
sottotenente di vascello Mameli Rattazzi e dal secondo capo Pietro Castelli),
il 250 (tenente di vascello Corrado
Dequal, sergente Goffredo Cerolini) ed il 256
(tenente di vascello Luigi Cugia, capo di terza classe Luigi Zoppis). Oltre ai
rispettivi equipaggi, hanno preso imbarco sul Grecale anche il tenente di vascello Gino Birindelli, capo
spedizione degli MTSM, gli ufficiali statunitensi Evans e Johnson e due marinai
statunitensi: i cinque dovranno imbarcare sul MTSM 250 per dirigere la
ricognizione. Gli Alleati hanno assegnato a quest’operazione il nome in codice
“Virginian”.
Alle 23.30 il Grecale raggiunge il punto indicato
verbalmente al comandante Ponza di San Martino per la messa in mare dei MTSM:
due miglia per 250° da Punta Menders (costa montenegrina). Il cielo coperto e
la notte estremamente buia, se da una parte riducono la probabilità di essere
avvistati, dall’altra rendono difficile stabilire con certezza la posizione;
ritenendo di trovarsi nel punto stabilito, il Grecale ferma le macchine e mette a mare i tre MTSM alle 23.45,
operazione agevolata dal mare calmo. Si riscontra una notevole fosforescenza,
tale da rendere visibile le scie degli MTSM da grande distanza (il comandante
Ponza di San Martino teme che ciò possa portare al loro avvistamento da terra);
sulla costa sono visibili luci di fari di autoveicoli con considerevole
frequenza, segnale di un traffico piuttosto intenso lungo una strada costiera.
26 aprile 1944
Alle 2.44 i MTSM sono
di ritorno dal Grecale, che li issa a
bordo ed alle 3.20 inizia la navigazione di rientro verso Brindisi. Gli
equipaggi dei tre motoscafi spiegano tuttavia di non aver potuto completare la
missione, perché si sono trovati su un tratto di costa più a nord di quello che
avrebbero dovuto esplorare: il Grecale
li ha probabilmente messi a mare in un punto più a nord rispetto a quello
prestabilito.
Alle 7.40 il Grecale dà fondo nell’avamporto di
Brindisi. Le condizioni di vento e di mare sono frattanto peggiorate, ma il
comandante Ponza di San Martino decide di tentare nuovamente l’operazione il
prima possibile, prima che finisca il periodo di luna favorevole: alle 16.20
dello stesso 26 aprile, pertanto, il Grecale
lascia Brindisi e si dirige verso il punto prestabilito per la messa a mare
degli MTSM. Lo stato del mare, tuttavia, continua a peggiorare, ed alle 18,
essendovi vento forza 5 e mare forza 3 da nordovest – troppo per i piccoli e
fragili scafi degli MTSM –, il cacciatorpediniere inverte la rotta per fare
ritorno a Brindisi.
29 aprile 1944
A dispetto della fase
lunare ormai sfavorevole e del mare ancora leggermente mosso, il comandante
Ponza di San Martino riceve ordine verbale di ripetere un’altra volta il
tentativo del 25-26 aprile: di conseguenza, il Grecale lascia nuovamente Brindisi con a bordo i tre MTSM,
giungendo per le 20 a 15 miglia dal punto designato per la messa in mare dei
motoscafi. Alle 20 Ponza di San Martino è sul posto ed è in grado di
riconoscere perfettamente la costa, quindi dirige verso Punta Menders riducendo
la velocità, in modo da trovarsi sottocosta a notte fatta. Giunto sul punto
designato, il Grecale inizia a
mettere in mare i MTSM alle 21.11, e già nove minuti dopo i tre motoscafi
scostano da bordo. Stavolta, a differenza della notte del 26 aprile, la
fosforescenza è molto modesta; onde non essere avvistato da terra, in
considerazione della sfavorevole posizione della luna (che tramonterà all’1.15
del 30), il Grecale pendola a
velocità moderata perpendicolarmente alla costa, facendo in modo di trovarsi
ogni ora nel punto concordato con gli equipaggi dei MTSM per il recupero.
30 aprile 1944
Alle 00.50, ricevuto
un segnale per micro-onde, il Grecale
si dirige verso il punto convenuto; intanto vento e mare, da nord, sono
sensibilmente peggiorati, ed è scoppiato un violento piovasco che riduce la
visibilità, minacciando di impedire al Grecale
di rintracciare i MTSM per poterli recuperare. All’1.25 il cacciatorpediniere
effettua un segnale convenzionale con la lampada Donath azzurrata, ricevendo in
risposta il controsegnale stabilito; all’1.42 i primi due MTSM, il 220 ed il 250, arrivano sottobordo, e la nave manovra subito per issarli a
bordo. Il mare ed il vento, facendo scarrocciare sensibilmente il Grecale, intralciano il reimbarco dei
mezzi. Alle 2.37 arriva sottobordo anche l’MTSM
256 (tenente di vascello Cugia), che viene a sua volta issato a bordo. A
questo punto, il Grecale inizia la
navigazione di ritorno verso Brindisi, dove giunge alle 6.50; questa volta la
missione degli MTSM è stata portata a termine, come viene confermato dai loro
equipaggi.
Maggio 1944
Partecipa a delle
operazioni di recupero personale sulla costa adriatica, in cooperazione con un
MTSM.
20 maggio 1944
Il Grecale si trasferisce da Bari a
Termoli, dove giunge in serata.
21 maggio 1944
Nelle prime ore del
mattino il Grecale solleva col
proprio albero di carico un MTSM appena tornato da una missione alla foce del fiume
Tenna e lo posa sulla coperta della motosilurante MS 74, impiegata come “nave madre” per l’MTSM. Poi, si reca a
Manfredonia.
21 giugno 1944
Alle 17.30 il Grecale (capitano di fregata Benedetto
Ponza di San Martino) salpa da Bastia (Corsica) insieme alla motosilurante MS 74 (tenente di vascello Pietro
Carminati) trasportando incursori e mezzi d’assalto destinati all’operazione
«QWZ», il forzamento della rada di La Spezia da parte di un gruppo misto di
incursori italiani e britannici.
Obiettivo principale
della missione sono gli incrociatori pesanti Gorizia e Bolzano, che
giacciono abbandonati ed inutilizzati nella rada di La Spezia, poco più che
relitti galleggianti, ulteriormente danneggiati dai continui bombardamenti
angloamericani su La Spezia.
La Kriegsmarine non
ha mai fatto alcun tentativo di rimettere in efficienza i due incrociatori
(caduti nelle sue mani in seguito all’armistizio), sia per la mancanza di
materiali, sia perché conscia del fatto che le due navi non avrebbero concrete
possibilità d’impiego di fronte al dominio angloamericano del mare e del cielo
(per altra fonte, ci sarebbe stato un tentativo di riparazione, ma sarebbe
stato abbandonato a seguito degli ulteriori danni inflitti dalle incursioni
aeree Alleate e da sabotaggi da parte di partigiani delle S.A.P. in
collaborazione con operai antifascisti; per altra fonte, di converso, i
tedeschi avrebbero iniziato a smantellare il Bolzano). Loro sorte sarà l’autoaffondamento, al momento
dell’offensiva finale Alleata verso il Nord Italia, agli imbocchi del porto di
La Spezia, per bloccarne l’accesso: rimorchiati fino alla diga foranea, saranno
messi di traverso e qui affondati per bloccare l’accesso ad eventuali mezzi da
sbarco Alleati.
La valenza della
missione (avente lo scopo di affondare i due incrociatori là dove si trovano,
prima che i tedeschi possano usarli per ostruire gli accessi del porto),
pertanto, è soprattutto simbolica: il Ministro della Marina del cosiddetto
Regno del Sud, ammiraglio Raffaele De Courten, ripone grande importanza in
qualche vittoriosa iniziativa di Mariassalto (il reparto della Regia Marina
incaricato delle operazioni con mezzi d’assalto, creato dopo l’armistizio in
sostituzione della X Flottiglia MAS, passata al servizio della Repubblica
Sociale Italiana). Inizia infatti a profilarsi la possibilità di dure condizioni
di pace verso la Marina italiana a guerra finita – consegna di alcune navi ai
vincitori, disarmo forzato di altre, limitazioni sulle nuove costruzioni – e De
Courten ritiene che, se la Marina riuscisse a guadagnare delle benemerenze
presso gli Alleati nel corso della cobelligeranza, le condizioni del trattato
di pace potrebbero essere meno dure.
Per il forzamento
della base è previsto l’impiego di due Motoscafi da Turismo Siluranti
Modificati (equipaggi effettivi e di riserva: tenente di vascello Luigi Durand
de la Penne, capo meccanico di seconda classe Luigi Zoppis; tenente vascello
Luigi Cugia di Sant’Orsola e sottocapo motorista Luigi Gattorno; guardiamarina
Girolamo Manisco e sottocapo palombaro Evelino Marcolini), tre «uomini gamma»
(sommozzatori d’assalto: sono il guardiamarina Francesco Berlingieri,
l’aspirante Andrea De Angelis ed il sottocapo nocchiere Corrado Gianni, che
verranno trasportati dai MTSM) e due “chariots” Mk I britannici, i numeri LVIII
e LX, con i relativi quattro operatori della Royal Navy. La partecipazione di
questi ultimi, essenzialmente copie britanniche dei Siluri a Lenta Corsa
italiani, è stata determinata dalla mancanza, nell’arsenale di Mariassalto, di
mezzi d’assalto subacquei come gli SLC: tutti i mezzi di questo tipo, infatti,
si trovavano al Nord all’epoca dell’armistizio, e nell’Italia meridionale non
vi sono le risorse e capacità progettuali e cantieristiche necessarie per
costruirne di nuovi. Per convincere i Comandi britannici a fornire due
“chariots” ed i relativi operatori, da parte italiana si è sottolineato che
questa sarà una buona occasione per addestrare e far fare esperienza ai loro
operatori di “chariots”; in questo modo, però, la parte subacquea – e
principale – della missione finirà con l’essere svolta dai britannici, anziché
dagli italiani: saranno loro, infatti, ad attaccare Gorizia e Bolzano,
circondati dalle reti parasiluri.
Dei tre «gamma» italiani, invece, De Angelis e Gianni dovranno affondare con
cariche esplosive un grosso mercantile ancorato in rada, mentre Berlingieri
dovrà fare lo stesso con un sommergibile ormeggiato al Muggiano. L’operazione è
stata pianificata ed è diretta dal capitano di fregata Ernesto Forza,
comandante di Mariassalto; hanno avuto un ruolo centrale nella sua
preparazione, grazie alla loro esperienza, Luigi Durand de la Penne e Girolamo
Manisco, già protagonisti di simili incursioni con la X MAS durante il
conflitto contro gli Alleati (Durand de La Penne ha partecipato alla
celeberrima impresa di Alessandria, danneggiando gravemente la corazzata Valiant; Manisco è stato catturato
durante un’incursione contro Gibilterra), rilasciati dalla prigionia dopo aver
aderito alla Marina cobelligerante.
L’impresa presenta
non poche difficoltà: in particolare, il lungo tratto che i «gamma» dovranno
percorrere a nuoto e la brevità della notte (essendo il novilunio di giugno il
più corto dell’anno). Fin da subito, infine, è chiaro che sarà quasi
impossibile recuperare gli incursori: con ogni probabilità, questi dovranno
raggiungere la riva e cavarsela da soli. A De Angelis, Gianni e Berlingieri
viene proposto di tentare il recupero presso Punta Bianca, ma i tre decidono
volontariamente di rinunciarvi, preferendo tentare di unirsi ai partigiani del
posto, dei quali sono state loro comunicate la posizione e la parola d’ordine.
Gli operatori britannici, invece, dovranno raggiungere la costa occidentale del
Golfo di La Spezia e nascondersi sulle montagne, da dove poi dovranno
raggiungere la zona dello Scoglio Ferale, dove un MTSM sarà inviato a recuperarli
la notte successiva.
MTSM e «gamma» sono
imbarcati sul Grecale (secondo
una fonte, probabilmente erronea, la nave avrebbe avuto a bordo quattro MTSM e
quattro «gamma»), gli “chariots” sulla MS
74.
Alle 20.30, al largo
della Gorgona (all’ingresso del Golfo di La Spezia), il Grecale mette in mare gli MTSM (con
a bordo i «gamma»), che proseguono verso La Spezia insieme alla MS 74; le tre piccole unità oltrepassano
senza difficoltà gli ingressi della rada e procedono a velocità variabile,
regolata – secondo una precisa tabella di marcia, con ampi margini al fine di
“coprire” eventuali imprevisti – in modo da arrivare in prossimità del porto a
notte fatta, così da agire col favore dell’oscurità. Alle 23.40 (o 22.40),
giunta tre miglia a sud della diga foranea del Golfo di La Spezia, la MS 74 mette in mare gli “chariots”; i
MTSM si avvicinano invece fino a 400 metri dalla diga foranea, dove mettono a
loro volta in mare gli uomini «gamma».
Il Grecale, intanto, pendola al largo della
Gorgona in attesa del rientro della MS 74
e dei MTSM, coi quali si riunisce per poi rientrare alla base.
I «gamma» italiani
nuotano insieme fino alla diga, dopo di che si separano, dirigendosi verso i
rispettivi obiettivi (secondo una fonte, avrebbero anche tagliato tre reti
antisommergibili e rimosso delle ostruzioni per permettere l’ingresso nel porto
degli “chariots”). Il guardiamarina Berlingieri, orientandosi con le stelle,
punta verso il molo cui sono ormeggiati i sommergibili; all’1.40 supera le
ostruzioni retali del Muggiano ed alle 2.20 giunge sottobordo al sommergibile
assegnatogli come obiettivo, che secondo alcune fonti sarebbe stato il Volframio, che giaceva nel porto in
condizioni non molto diverse da quelle del Bolzano (autoaffondatosi all’armistizio, era stato recuperato
dai tedeschi, ma mai riparato). Operando in apnea, in seguito ad un guasto che
ha reso inutilizzabile il suo respiratore, Berlingieri piazza le sue cariche
sullo scafo del sommergibile (una la colloca più in alto del previsto, non
riuscendo a scendere più in profondità), dopo di che, alle 2.40, si allontana,
supera nuovamente le ostruzioni e la diga e giunge a terra alle 4.15.
Sull’esito di questa missione esistono varie versioni; secondo alcune fonti
essa non avrebbe portato ad alcun risultato, mentre per altre le cariche
esplosive sarebbero esplose, affondando o danneggiando gravemente il Volframio.
Gianni e De Angelis
non riescono invece a trovare il mercantile loro assegnato come obiettivo (è
infatti partito, senza che la ricognizione Alleata lo notasse) e, liberatisi di
mute ed esplosivi, raggiungono a nuoto la terraferma e poi il paese di Arcola
(dove s’incontrano con Berlingieri) da dove poi verranno assistiti dai
partigiani che li condurranno sulle montagne e poi attraverso le linee Alleate.
Quanto agli
“chariots” britannici, uno di essi (pilotato dal sergente Conrad Leonard Berey
e dal marinaio Ken Lawrence) non riesce a trovare l’imboccatura del porto e
dev’essere autoaffondato quando giunge l’alba, avendo esaurito la carica delle
batterie (per altra versione, si sarebbe guastato e/o avrebbe imbarcato acqua,
costringendo l’equipaggio ad abbandonarlo); l’altro (sottotenente di vascello
Malcolm Richard Causer e marinaio scelto Harry Smith), invece, riesce a
portarsi sotto la chiglia del Bolzano senza
essere visto, alle 4.10. Dopo aver collocato sulla carena la loro carica
esplosiva (quattro mine magnetiche, regolate per esplodere dopo due ore, e la
testata da 200 kg del loro siluro), Causer e Smith si allontanano alle 4.30 col
loro mezzo. La carica (300 kg di esplosivo) esplode nei tempi previsti, ed
il Bolzano, malridotto già prima
dell’attacco, si capovolge ed affonda nelle acque della rada.
Terminato il suo
compito, anche il secondo “chariot” viene autoaffondato, essendo giunta l’alba;
nessuno dei quattro operatori britannici riuscirà pertanto a giungere nel punto
stabilito per il loro recupero da parte della motosilurante, cosicché dovranno anch’essi
raggiungere la riva a nuoto.
Tutti e quattro
verranno soccorsi ed ospitati da un gruppo partigiano dello spezzino (secondo
una fonte, la IV Zona S.A.P. del tenente Francesco Mazzolini, appartenente alle
formazioni “Giustizia e Libertà”); soltanto Berey riuscirà a raggiungere le
linee Alleate nell’agosto 1944, attraversando l’Arno con l’aiuto dei partigiani,
mentre gli altri tre verranno catturati dai tedeschi nel tentativo.
Causer e Smith
saranno catturati dai tedeschi dopo sei settimane, mentre tentavano di
attraversare l’Arno; questi ultimi sospettano che i due britannici abbiano
qualcosa a che fare con l’affondamento del Bolzano, ma Causer e Smith negheranno sempre, sostenendo di essere
due naufraghi di un sommergibile britannico affondato nel Mar Ligure. Smith
sarà lungamente imprigionato in isolamento e sottoposto a forti pressioni per
farlo confessare di essere coinvolto nell’affondamento del Bolzano, ma continuerà a ribadire la
versione dell’affondamento di un sommergibile.
Per l’affondamento
del Bolzano, Causer sarà
insignito del Distinguished Service Order, Smith della Conspicuous Gallantry
Medal (“For great gallantry as the crew
of a Human Torpedo which on the night of the 21st June, 1944, penetrated the
heavily defended harbour of Spezia and sank the Italian cruiser Bolzano”);
Berey riceverà la Distinguished Service Medal. Gli operatori italiani
riceveranno complessivamente tre Medaglie d’Argento e cinque di Bronzo al Valor
Militare ed una Croce di Guerra al Valor Militare. La Medaglia d’Argento andrà
ai tre incursori, il guardiamarina Berlingieri ("Volontario nei Mezzi d'Assalto della R. Marina, prescelto per l'esecuzione
di una ardita azione di forzamento di una base navale nazionale occupata dal
nemico. Conscio dell'impossibilità di far ritorno e di dover contare solo sulle
proprie forze e sul proprio coraggio, portava a termine con scrupolosa
esattezza il compito ricevuto, attaccando il bersaglio previsto e penetrava
inerme nel territorio occupato sfuggendo alla sorveglianza nemica. Dopo aver
raccolto con capacità ed intelligenza importanti informazioni militari,
riusciva ad attraversare la linea di combattimento ed a raggiungere il
territorio liberato. Esempio di decisione, coraggio e dedizione oltre il
proprio dovere alla Patria che continua le gloriose tradizioni dei Mezzi
d'Assalto della R. Marina"), l’aspirante De Angelis ("Volontario nei Mezzi d'Assalto della R.
Marina prescelto per l'esecuzione di una ardita azione di forzamento di una
base navale nazionale occupata dal nemico. Conscio dell'impossibilità di far
ritorno e di dover contare solo sulle proprie forze e sul proprio coraggio, superava
le ostruzioni e per alcune ore ricercava il bersaglio che non poteva attaccare
perché partito in precedenza. Non fiaccato dalla fatica e dalla delusione patita
penetrava inerme nel territorio occupato sfuggendo alla sorveglianza nemica, e
dopo aver raccolto con capacità ed intelligenza importanti informazioni
militari riusciva ad attraversare la linea di combattimento ed a raggiungere il
territorio liberato. Esempio di decisione, coraggio e dedizione oltre il
dovere, alla Patria che continua le gloriose tradizioni dei mezzi d'assalto
della R. Marina") ed il sottonocchiere Gianni ("Volontario nei Mezzi d'Assalto della R.
Marina prescelto per l'esecuzione di una ardita azione di forzamento di una
base navale nazionale occupata dal nemico. Conscio dell'impossibilità di fare
ritorno e di dover contare solo sulle proprie forze e sul proprio coraggio,
superava le ostruzioni e per alcune ore cercava infaticabilmente il bersaglio
che non poteva attaccare perché partito in precedenza. Non fiaccato dalla
fatica e dalla delusione patita penetrava inerme nel territorio occupato
sfuggendo alla sorveglianza nemica, e dopo aver raccolto con capacità ed
intelligenza importanti informazioni militari riusciva ad attraversare la linea
di combattimento e a raggiungere il territorio liberato. Esempio di decisione,
coraggio e dedizione oltre il dovere, alla Patria, che continuava le gloriose
tradizioni dei Mezzi d'Assalto della R. Marina"), mentre riceveranno
la Medaglia di Bronzo il guardiamarina Manisco ("Volontariato nei mezzi d'assalto della R. Marina già distintosi in
altre ardite imprese. Con un mezzo d'assalto di superficie trasportava fino a
poche centinaia di metri dalle ostruzioni della nostra principale base navale
occupata dai tedeschi gli uomini destinati al forzamento della base stessa.
Dando ancora una volta esempio di abilità, decisione e coraggio contribuiva
notevolmente al successo dell'operazione. La notte successiva ripeteva il
periglioso avvicinamento per tentare di ricuperare altri assalitori alleati che
avevano agito con i nostri"), il sottocapo Gattorno ("Volontario nei Mezzi d'Assalto della R.
Marina già distintosi in altre ardite imprese. Con un mezzo d'assalto di
superficie trasportava fino a poche centinaia di metri dalle ostruzioni della
nostra principale base navale occupata dai tedeschi gli uomini destinati al
forzamento della base stessa. Dando ancora una volta esempio di abilita,
decisione e coraggio contribuiva notevolmente al successo dell'operazione. La
notte successiva ripeteva il periglioso avvicinamento per tentare di ricuperare
altri assalitori alleati che avevano agito con i nostri"), il tenente
di vascello Cugia di Sant’Orsola ("Volontario
nei Mezzi d'Assalto della R. Marina già distintosi in altre ardite imprese. Con
un Mezzo d'Assalto di superficie trasportava fino a poche centinaia di metri
dalle ostruzioni della nostra principale base navale occupata dai tedeschi gli
uomini destinati al forzamento della base stessa. Dando ancora una volta
esempio di abilità, decisione e coraggio contribuiva notevolmente al successo
dell'operazione. La notte successiva ripeteva il periglioso avvicinamento per
tentare di ricuperare altri assalitori alleati che avevano agito con i nostri")
ed il capo meccanico Zoppis ("Volontario
nei mezzi d'assalto della R. Marina, già distintosi in altre ardite imprese.
Con un mezzo d'assalto di superficie trasportava lino a poche centinaia di
metri dalle ostruzioni della nostra principale base navale occupata dai
tedeschi gli uomini destinati al forzamento della base stessa. Dando ancora una
volta esempio di abilità, decisione e coraggio, contribuiva notevolmente al
successo dell'operazione").
Secondo lo storico
Giorgio Giorgerini (autore del libro "Attacco dal mare" sulla storia
dei mezzi d’assalto della Marina italiana), la missione «QWZ» sarebbe stata
concordata preventivamente, mediante canali di contatto segreti, tra il
comandante Ernesto Forza di Mariassalto (che in passato aveva comandato la X
MAS prima di Borghese) ed il comandante Junio Valerio Borghese della X Flottiglia
MAS (alleata dei tedeschi). Secondo Giorgerini, Forza, spiegando l’importanza
(presunta) della riuscita della missione per il futuro della Marina nel
dopoguerra, avrebbe convinto Borghese – conscio che i risultati concreti
dell’attacco non sarebbero stati di rilievo, avendo per obiettivo delle navi
già inutilizzabili – ad allentare la sorveglianza, per permettere agli
incursori di attaccare indisturbati. A ciò si dovrebbe il fatto che i mezzi di Mariassalto
e gli “chariots” britannici non trovarono ostacoli o segni di attenta
sorveglianza quando penetrarono nella rada spezzina. Addirittura, la sera del
21 giugno 1944 Borghese avrebbe ordinato che una squadriglia di quattro MTSMA
(Motoscafi da Turismo Siluranti Modificati e Allargati), al comando del tenente
di vascello Sergio Nesi, si recasse ad effettuare un pendolamento poco al largo
della costa per verificare che le ostruzioni della bocca di levante della rada
fossero aperte (lo erano da mesi) e, qualora non lo fossero state, di aprirle.
Informato da Nesi che le ostruzioni erano aperte, Borghese avrebbe poi ordinato
alla squadriglia di rientrare entro l’una di notte (gli incursori italiani e
britannici iniziarono ad entrare nella rada alle 00.30). Non solo: Borghese
avrebbe ordinato a Nesi che, qualora i MTSMA avessero avvertito rumori di
motori o notato altre stranezze nella zona del pendolamento, non sarebbero
dovuti intervenire; tanto che quando, alle 23.30, uno dei piloti degli MTSMA
disse a Nesi di sentire rumori di motori simili a quelli dei MAS, quest’ultimo
gli ordinò di limitarsi a registrarlo sul rapporto di missione.
Il già citato
Guglielmo Belli, imbarcato sul Grecale
come ufficiale, avrebbe ricordato molti anni dopo: “E fu proprio il ct. Grecale, con una motosilurante, adattati per la bisogna,
a portare i mezzi (i famosi “barchini”, nonché dei «maiali» inglesi, modellati
sui nostri) e gli uomini (ten. di vascello de la Penne, s.t.v. Cugia di S.
Orsola, guardiamarina Berlingieri, aspirante G. M. De Angeliss, sottonocchiero
Gianni) quasi sotto l'isoletta del Tino, davanti al porto di La Spezia. Vedemmo
gli uomini scomparire verso l'arsenale e riprendemmo il mare. De la Penne e
compagni affondarono il Bolzano ed un sommergibile, poi guadagnarono la città e
successivamente passarono le linee e ricomparvero al Sud [in realtà, come
visto, De la Penne non fu tra gli incursori che penetrarono nel porto, pur
partecipando alla missione]”.
1944
In totale, durante il
1944 il Grecale effettua 7 missioni
“speciali” (infiltrazione/esfiltrazione di informatori in territorio occupato,
contatto e rifornimento di formazioni partigiane, azioni di fuoco contro truppe
nemiche, recupero di militari sbandati nei Balcani) nell’Adriatico e nello
Ionio, così risultando il cacciatorpediniere italiano più attivo in missioni di
questo genere.
5-6 febbraio 1945
Il Grecale trasporta da Taranto ad Ortona
244 uomini del Reggimento "San Marco" diretti nelle Marche per
riunirsi al resto del Reggimento (in corso di trasferimento sulla Linea Gotica),
sbarcandoli ad Ortona il 6 febbraio.
Aprile 1945
Intorno a metà mese,
il Grecale salpa da Taranto per
trasportare a Livorno due “chariots” britannici destinati all’Operazione
“Toast”, il forzamento del porto di Genova al fine di affondare l’incompleta
portaerei Aquila prima che i tedeschi
possano usarla per ostruire l’imboccatura del porto. Questa volta, pur essendo
i mezzi forniti dalla Royal Navy, gli equipaggi dei “chariots” saranno
italiani: sottotenente di vascello Nicola Conte e sottocapo palombaro Evelino
Marcolini, sottotenente di vascello Girolamo Manisco e sottocapo palombaro Dino
Varini. I quattro operatori sono trasportati il 15 aprile a Marina di Pisa da
un aereo della RAF, e qui s’imbarcano sul Grecale,
con cui arrivano a Livorno il 16 aprile.
Insieme al Grecale si è trasferita da Taranto a
Livorno anche la motosilurante MS 74;
sarà quest’ultima, la sera del 19 aprile, a trasportare i “chariots” fin
davanti a Genova per condurre l’attacco. Uno dei chariots, pilotato dalla
coppia Manisco-Varini, sarà costretto a tornare indietro per problemi tecnici;
l’altro, pilotato da Conte e Marcolini, riuscirà invece a far detonare la sua
carica sotto lo scafo dell’Aquila,
che subirà danni ma senza affondare.
11 agosto 1945
Il marinaio nocchiere
Cesare Fradegrada del Grecale, di 19
anni, da Roma, muore in territorio metropolitano.
11 settembre 1945
Il sergente
segnalatore Tullio Cisbani del Grecale,
da Fermo, 21 anni, muore a bordo della nave nel Mediterraneo.
28 ottobre 1945
Il marinaio nocchiere
Erasmo Ciaramaglia del Grecale, 25
anni, da Gaeta, muore in Italia per malattia.
7 novembre 1945
Il marinaio
cannoniere Marino Stella del Grecale,
di 23 anni, da Trieste, muore in territorio metropolitano.
Dettaglio della sovrastruttura prodiera del Grecale in una fotografia del 1946 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
1947
Nel trattato di pace
tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10 febbraio, il Grecale viene incluso nell’"Elenco delle navi che l’Italia potrà
conservare" (Allegato XII): è così uno dei soli cinque
cacciatorpediniere (gli altri sono Granatiere,
Carabiniere, Nicoloso Da Recco ed Augusto
Riboty, quest’ultimo assegnato
all’Unione Sovietica ma rifiutato perché troppo vecchio ed usurato) lasciati
all’Italia dal trattato di pace. Altri sei (Fuciliere,
Mitragliere, Velite, Legionario, Camicia Nera, Alfredo Oriani) devono essere invece ceduti a Francia ed Unione
Sovietica; queste undici unità sono tutto ciò che rimane dei 71
cacciatorpediniere che la Regia Marina ha avuto in servizio durante il
conflitto.
Il Grecale viene assegnato alla I
Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme a Granatiere e Carabiniere,
gli unici altri cacciatorpediniere moderni rimasti all’Italia.
1947-1949
Sottoposto a lavori
di rimodernamento nell’Arsenale di La Spezia (è la prima nave italiana ad
essere rimodernata nel dopoguerra in questo arsenale, nonché la prima unità
della neonata Marina Militare a ricevere dei lavori di ammodernamento): viene
potenziato l’apparato motore e vengono eliminati l’obice da 120/15 mm e le sei
mitragliere binate da 20/65, mentre vengono installate una mitragliera pesante
singola Breda 1939 da 37/54 mm (per altra fonte, sei mitragliere da 37/54 mm,
due delle quali sul castello di prua, altre due su plancette a poppavia del
fumaiolo, una al posto dell’impianto lanciasiluri appena sbarcato e l’ultima
sulla sovrastruttura centrale), due singole Breda 1939/1940 da 20/65 mm e due
radar di scoperta SPS-5 e SPS-6 (per altra fonte, radar tipo LWS, mentre il
radar di scoperta aeronavale AN/SPS-6 sarebbe stato installato dopo il 1953) (per
altra fonte, anche i pezzi da 120/50 dell’armamento principale sarebbero stati
sostituiti con altri di modello più moderno, ma sembra probabile un errore).
Vengono modificate anche le sovrastrutture (che divengono più “spigolose”), con
la realizzazione di una plancia “di tipo inglese” (più ampia), la sostituzione
della stazione di direzione del tiro con un’altra di tipo più moderno e
l’installazione di un albero a traliccio (sul quale viene installata l’antenna
radar), soprannominato “Supercontemaggiore”, in luogo del precedente albero
(inadatto a sostenere l’antenna di un radar tipo LWS).
Tre
immagini del Grecale nel 1949 (foto
Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it):
Il Grecale (seconda unità della fila) entra in Mar Piccolo a Taranto preceduto dal Granatiere e seguito dall’Orsa, nell’estate del 1949 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
1950
Con l’ingresso
dell’Italia nella NATO, il Grecale
riceve la sigla distintiva NATO D 552
(altre fonti datano invece l’assegnazione di questa sigla al 1953 o 1954).
Il Grecale nel 1949-1950, con il nuovo radar LWS (da “Cacciatorpediniere in guerra” di Carlo De Risio, supplemento alla “Rivista Marittima” dell’ottobre 2009, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Agosto 1950
Il Grecale e le corvette Ape, Flora
e Cormorano sono inviati in visita a
Malta per apprendere le tattiche antisommergibili britanniche; partecipano ad
una serie di esercitazioni insieme a fregate e sommergibili britannici e
neozelandesi, le prime esercitazioni navali congiunte anglo-italiane dalla
seconda guerra mondiale.
Il Grecale in una foto del 14 agosto 1950 (Foto Aldo Fraccaroli via Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
Il Grecale a Venezia nel 1951 (Coll. Erminio Bagnasco, via Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
Un’altra immagine della nave nel 1951 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
Il Grecale a Taranto nel 1950-1951 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Giugno 1951-Febbraio 1953
Nuovi lavori di
conversione in fregata veloce antisommergibili, eseguiti presso l’Arsenale di
Taranto. Viene interamente sostituito l’armamento contraereo, e fortemente
potenziato quello antisommergibili: in particolare, vengono eliminate tre
mitragliere singole da 37/54 mm ed il residuo impianto lanciasiluri trinato da
533 mm, mentre vengono installati sei cannoncini singoli (per altra fonte, tre
binati: uno sulla sovrastruttura centrale e due sul castello di prua) Bofors Mk
3 da 40/60 mm (o Bofors Mk 1 da 40/56; con direzione del tiro guidata dal
radar, e muniti perciò di apposite antenne paraboliche), un lanciatore antisom
“Hedgehog” Mk 10 ASWRL con 24 cariche esplosive da 178 mm (per altra fonte,
l’installazione dell’Hedgehog sarebbe stata prevista, ma mai effettuata per
ragioni economiche), due lanciabombe pirici Menon mod. 1942 (affiancati a
poppavia delle sovrastrutture), due scaricabombe di profondità (a poppa, con
quattro bombe di profondità ciascuno) ed un sonar (con antenne retrattili
situate sotto la chiglia, all’altezza della sovrastruttura prodiera). La
riserva di bombe di profondità assomma complessivamente ad un centinaio di
cariche, in maggioranza bombe tedesche “WBD” da 125 kg residuato della seconda
guerra mondiale, delle quali vi è ancora notevole abbondanza.
I pezzi da 120 mm
sono ridotti a tre, con la sostituzione del complesso binato prodiero Ansaldo
mod. 1937 con un impianto singolo dello stesso calibro mod. Ansaldo 1940,
mentre il complesso binato poppiero viene lasciato invariato (così che, vera
rarità specialmente negli anni Cinquanta, il Grecale si ritrova con cannoni del calibro principale di modelli
diversi). Vengono altresì modificate le sovrastrutture ed installate moderne
apparecchiature elettroniche di produzione statunitense, nuovi apparati per le
comunicazioni (in particolare, apparati radio di ultima generazione) e la
direzione del tiro. Vengono, infine, potenziati i generatori di elettricità.
Al termine dei
lavori, il dislocamento del Grecale è
salito a 2500 tonnellate, la velocità
massima si aggira sui 30 nodi e l’autonomia a velocità di crociera sulle 2600
miglia; l’equipaggio è composto da tredici ufficiali e 174 tra sottufficiali e
marinai.
(Secondo altra fonte,
questi lavori sarebbero iniziati nel giugno 1950 e terminati nell’aprile 1954).
Il Grecale a Taranto nel 1951 (Edizioni De Pace, via Coll. Luigi Accorsi) |
Due
immagini del Grecale a La Spezia nel
1952 (?), scattate dalla corazzata Andrea
Doria (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)
Il Grecale a La Spezia durante i lavori di trasformazione, nel 1952-1953; in secondo piano il pontone F 3, ex cacciatorpediniere Augusto Riboty (Coll. Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
26 ottobre 1954
Partito da Venezia il
giorno precedente, insieme all’incrociatore leggero Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi ed ai cacciatorpediniere Artigliere e Granatiere, il Grecale
(capitano di fregata Danilo Silvestri) è tra le navi della Marina Militare che
entrano per prime nel porto di Trieste, il giorno della riunificazione del
capoluogo giuliano con l’Italia, dopo una breve ma movimentata navigazione nel
mare grosso con la bora. Il Grecale è
anzi, in assoluto, la prima nave italiana ad entrare nel porto di Trieste, alle
11.30 del mattino, andandosi ad ormeggiare al Molo Audace (lo stesso cui
trentasei anni prima, alla fine della prima guerra mondiale, si era ormeggiato
il cacciatorpediniere Audace, prima
nave italiana ad entrare a Trieste). La folla festante sale a bordo della nave,
mentre in Piazza Unità viene issata la bandiera tricolore. Poco dopo, anche il Granatiere va ad ormeggiarsi allo stesso
molo.
Dalla fine della
seconda guerra mondiale, dopo il breve e sanguinoso periodo dell’occupazione
jugoslava (maggio-giugno 1945), Trieste è stata sotto il controllo delle truppe
angloamericane: il trattato di pace di Parigi del 1947 vi ha infatti istituito
il “Territorio Libero di Trieste”, un territorio di 738 km2 compreso
tra Duino e Cittanova d’Istria, formalmente indipendente ma di fatto diviso in
due zone sotto il controllo l’una degli angloamericani (Zona “A”, comprendente Trieste
stessa ed i Comuni di Muggia, Sgonico, Duino-Aurisina, Monrupino e San Dorligo
della Valle) e l’altra degli jugoslavi (Zona “B”, comprendente undici Comuni
dell’Istria nordoccidentale tra cui Umago, Pirano, Isola e Capodistria). Trieste
è stata relegata in questo limbo per sette anni, fino alla firma, il 5 ottobre
1954, del cosiddetto “Memorandum di Londra” tra Italia, Jugoslavia, Regno Unito
e Stati Uniti: questo accordo stabilisce la restituzione di Trieste e del resto
della Zona “A” all’Italia, in cambio tuttavia della definitiva annessione della
Zona “B” (ormai abbandonata dalla maggior parte dei suoi abitanti italiani)
alla Jugoslavia (il memorandum, sul piano formale, si limita in realtà a
stabilire il passaggio della Zona “A” dall’amministrazione militare alleata a
quella civile italiana, e della Zona “B” dall’amministrazione militare
jugoslava a quella civile sempre jugoslava: nel documento non si parla di
annessione, che sarà formalizzata soltanto con il trattato di Osimo del 1975,
pur essendo avvenuta di fatto, da entrambe le parti, già nel 1954). Il giorno
stabilito per il passaggio di consegne della Zona “A” dagli angloamericani agli
italiani è appunto il 26 ottobre; il presidio angloamericano (10.000 uomini,
per metà britannici e per metà statunitensi) si dovrà ritirare tra il 25 ed il
27.
Da terra, provenienti
da Duino dopo una marcia sotto la pioggia battente lungo la statale 14, entrano
in città alle 5.20 le prime truppe dell’82° Reggimento Fanteria “Torino”, seguite
verso le sette da quelle dell’8° Reggimento Bersaglieri (132ª Brigata corazzata
“Ariete”), insieme ad una colonna di carabinieri; nel cielo sfrecciano gli F-84
dell’Aerobrigata di Treviso. Ad attenderli una fiumana interminabile di gente,
che si snoda pressoché ininterrottamente da Trieste fino a Duino, ov’era
situata la “frontiera” tra l’Italia ed il Territorio Libero di Trieste.
Il generale Edmondo De
Renzi (nominato dal Governo italiano governatore provvisorio di Trieste),
giunto in città a mezzogiorno alla testa di trecento bersaglieri, si reca nel
palazzo della Prefettura (non prima di essere stato coperto di fiori dalla folla),
si affaccia dalla balconata e pronuncia un messaggio di saluto alla città, con
accanto il sindaco Gianni Bartoli, che per la prima volta può indossare la
fascia tricolore. Si tiene una parata militare; nel pomeriggio, il sindaco
Bartoli pronuncia in Piazza Unità un discorso con cui rievoca i difficili anni
passati e celebra il ritorno dell’Italia e la “nuova redenzione” di Trieste,
arrivando poi ad auspicare un’Europa
unita ed un Adriatico rappacificato.
Grecale (in primo piano) e Granatiere a Trieste il 26 ottobre 1954 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Grecale (in secondo piano) e Granatiere attraccano a Trieste (Coll. Liliana Francese, via Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
(da www.navymodeling.com) |
(da www.weeklymagazine.it) |
L’arrivo
del Grecale a Trieste, in una foto
scattata probabilmente dal Granatiere
(Wikimedia Commons) |
(da www.marina.difesa.it) |
(da www.millecartoline.com) |
Il triestino Gabrio
de Szombathely, presidente dello Yacht Club Adriatico, ricorderà così l’arrivo
del Grecale a Trieste nel suo libro “A Trieste sotto sette bandiere”: “Verso le 11.45 ci fu offerto in cambio lo
spettacolo dell’arrivo del cacciatorpediniere Grecale, bello, lungo, grigio,
che attraccò alla banchina proprio davanti alla piazza ed altrettanto fece un
secondo cacciatorpediniere italiano alla banchina di sottovento del molo Audace,
zeppo fino all’orlo di persone ed ombrelli e non so come in quella calca le due
navi riuscirono a distinguere sul molo le bitte cui assicurare i loro cavi
d’ormeggio. Ma lo spettacolo più bello fu il bandierone italiano
sventolante sul Grecale: e per me fu quella la settima bandiera [a
sventolare su Trieste dal 1918 in poi: le prime sei erano state, nell’ordine,
dell’Impero Austroungarico, del Regno d’Italia, della Germania nazista, della
Jugoslavia, del Regno Unito e degli Stati Uniti]; non era la bandiera del 1918 con lo stemma sabaudo e lo stemma reale,
ma quella della Repubblica italiana, con l’emblema della Marina Militare e gli
stemmi delle quattro Repubbliche Marinare”. De Szombathely paragonerà nel
suo libro l’arrivo del Grecale a
quello di Lohengrin che, nell’omonima opera wagneriana, arriva dal mare con il
suo cigno per proteggere l’amata.
L’accoglienza riservata
alle navi ed alle truppe italiane dalla popolazione, dopo gli anni di
occupazione angloamericana, è entusiastica. Piazza Unità, nonostante la
giornata piovosa e ventosa, è gremita all’inverosimile; bandiere italiane sono
appese a tutte le finestre, e nei negozi della città i nastri tricolori e tutti
i tessuti di colore bianco, verde o rosso sono esauriti. La folla è tanto fitta
da intralciare i mezzi militari nei loro movimenti, ed i soldati italiani a
piedi e sui veicoli vengono quasi assaliti da triestini che vogliono strappare
qualche pezzo di divisa da conservare come ricordo. Nei ricordi di alcuni
triestini: “C'era una marea di gente in
Piazza e lungo le Rive, mai vista così tanta in centro città, tanto che non si
riusciva a muoversi, (…) c'era chi
piangeva e chi rideva per la gioia, gente che letteralmente assaliva i
bersaglieri appiedati o sui camion, chiedendo o strappando loro dal copricapo
una piuma o una stelletta; gente che si abbracciava, gente che gridava,
gesticolava sventolando il tricolore; gente che faceva la fila accalcandosi per
visitare le navi, soprattutto la splendida Amerigo Vespucci pavesata a festa
per l’occasione. Insomma, fu un vero e proprio delirio di un’intera città
imbandierata come mai, che durò dei giorni; la sera si ritornava a casa
stanchi, intontiti e felici”; “I miei
raccontavano a mia nonna della folla, immensa, in delirio: “Iera tutta Trieste!”
ripetevano. Raccontavano degli abbracci dati ai nostri soldati, dei triestini
che si arrampicavano sui mezzi militari, di Trieste che gridava “Italia!
Italia! Italia!”. Poi cominciarono a rientrare anche gli altri, e ci fu un
andirivieni di parenti e amici, vicini, festosi ed euforici”; “Peggior aiuto di così il tempo non poteva
dare ai soldati italiani. Pioggia e bora, bora e pioggia tutto insieme, forse
nell'intento di trattenere i Triestini nelle loro case. Quasi temevo che ci
fosse poca gente in città, ma ben presto fui tranquillizzato: le case si
svuotavano, le automobili sFrecciavano verso il centro e famiglie intere, uomini,
donne, ragazzi, bimbi e vecchi scendevano la collina (il Colle di San Vito)
riparandosi alla meglio con i più svariati mezzi di fortuna nelle zone battute,
ed aprendo ogni tanto qualche ombrello nei punti di bonaccia. La marina era
nera di gente, potemmo avvicinarci a Piazza Unità d'Italia alla distanza di 300
metri al massimo. Più in là era impossibile penetrare, tanto la calca era
fitta. Finimmo col separarci; mia moglie Alda con i ragazzi, girando per vie
interne riuscì a raggiungere il Palazzo dei Lloyd Triestino e ad entrarvi. lo,
avvolto nel mio impermeabile da caccia, mi arrampicai sulle sartie di un
peschereccio di alto mare per vedere almeno da lontano l'arrivo delle navi. Sui
tetti delle case vicine, alle finestre, agli abbaini ed in qualunque luogo si
potesse scorgere il mare c'era gente che guardava ed agitava bandiere, nastri,
drappi e fazzoletti bianchi rossi e verdi. Una folla immensa sotto la bora e la
pioggia violenta. Quanti ombrelli sfilavano davanti a me portati in mare da
qualche refolo capriccioso che sconvolgeva le zone di calma. Era un urlo
continuo: "Giungono! Arrivano! Ecco le navi! Ecco i Bersaglieri!" E
via, un correre da una parte all'altra per vedere i nuovi arrivati .... che
spesso non erano affatto arrivati! Finalmente apparvero davvero le navi. Fra
gli spruzzi delle onde apparve un caccia, poi l'incrociatore e poi ancora gli
altri due caccia. La gente sembrava impazzita; era tutto un gridare, un
agitarsi forsennato. Undici anni di attesa, undici anni di ansia sfociavano in
un immenso grido, in uno slancio incredibile ed inimmaginabile per chi non lo
abbia vissuto, verso le navi della Patria che giungevano in porto. Intanto da
terra giungevano i Bersaglieri. Oltre un'ora avevano impiegato con gli
autocarri per fare sì e no un chilometro o poco più. Non c'erano più cordoni,
non c'era più limite a trattenere l'entusiasmo. Gli autocarri erano zeppi di
Triestini. Erano entrati dappertutto; ed i poveri soldati pigiati dentro, mezzo
soffocati dal grande abbraccio di tutto un popolo! Come riuscissero a guidare
gli autisti è una cosa che non potrò mai spiegare. Sul cofano, sui parafanghi,
sull'imperiale, ovunque ci fosse il più piccolo appiglio c'era arrampicato un
giovane o una ragazza. Ogni tanto appariva qualche cappello da Bersagliere ed
una mano toglieva le penne per donarle ai molti, ai troppi richiedenti. Quanti
Bersaglieri ho visto senza la minima traccia di penne sul cappello. Qualcuno ci
rimise il cappello, altri la giubba. Di bottoni sulle giubbe ne rimasero
pochini perché ogni cittadino pretendeva un ricordo dal primo soldato che
riusciva ad avvicinare. E gli autisti continuavano a guidare, un metro alla
volta. Insomma, malgrado le difficoltà di guida, non avvenne nessun incidente e
tutto filò liscio liscio, così come lo poteva permettere l'entusiasmo dei
cittadini che sovvertì l'ordine di ogni ben studiata cerimonia. Anche l'assalto
alle navi ebbe luogo a tempo debito, non appena accostarono, ed i marinai non
poterono far altro che aiutare i molti giovani d'ambo i sessi che s'erano
lanciati all'arrembaggio. In pochi momenti a bordo si vedevano più borghesi che
marinai e nulla riusciva a trattenere gli assaltatori, neppure le onde, il
vento e la pioggia che sulla riva facevano il diavolo a quattro”. Quando il
Grecale attracca al molo, la folla
rompe il cordone formato dai carabinieri e si accalca sottobordo alla nave; non
appena il cacciatorpediniere tocca la banchina svariati triestini, uomini e
donne, si arrampicano a bordo, baciano e abbracciano ufficiali e marinai. Altri,
adulti e bambini, si fanno fotografare in posa davanti al Grecale appena attraccato.
Tre
immagini dell’arrivo del Grecale a
Trieste il 26 ottobre 1954; sulla sinistra, in secondo piano, un trasporto
truppe statunitense classe General Squier, impegnato nell’evacuazione delle
truppe d’occupazione statunitensi, mentre sulla destra, in lontananza, si riconosce il Duca degli Abruzzi (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
Il programma della
giornata prevede che le truppe del Governo Militare Alleato debbano compiere
una parata d’addio prima del loro definitivo ritiro, ma la parata viene cancellata
a causa del maltempo. Sempre secondo i piani prestabiliti, la cerimonia del
passaggio di consegne tra il governatore britannico di Trieste, generale John Winterton,
ed il generale De Renzi si sarebbe dovuta svolgere all’Hotel Excelsior; ma
Winterton non si reca all’appuntamento, perché la sua scorta non si è presentata
e le autorità italiane non possono garantire la sua incolumità (i triestini
nutrono forti rancori nei suoi confronti per la sanguinosa repressione dei moti
filoitaliani del precedente novembre, da lui ordinata, che aveva causato sei
vittime e decine di feriti). Adducendo come scusa il maltempo, che lo avrebbe
costretto a salpare prima del previsto, Winterton se ne parte in nave (la
fregata Whirlwind, salutata nella
partenza dai fischi dei triestini) ed affida con una missiva il passaggio di
consegne al suo vice, generale americano John Dabney (gli statunitensi, più
favorevoli alla riunificazione di Trieste all’Italia, sono piuttosto benvoluti
dalla popolazione, a differenza dei britannici). Ad ogni modo, le modalità del
passaggio di consegne sono già state decise l’8 ottobre, in una riunione tenuta
nel castello di Duino, tra i generali De Renzi, Dabney e Winterton.
Nei giorni
successivi, il generale De Renzi trasmette i poteri civili al prefetto Giovanni
Palamara, commissario generale del governo per Trieste, che sovrintenderà alla
transizione dall’ormai tramontato Governo Militare Alleato all’ordinamento
italiano.
Una
sequenza di immagini dell’arrivo del Grecale
a Trieste e dell’accoglienza riservata dai triestini al suo equipaggio, da un
cinegiornale Luce (Istituto Luce):
4 novembre 1954
Nel 36° anniversario
della Vittoria ed a pochi giorni dalla riunificazione con l’Italia, Trieste viene
visitata dal presidente della repubblica Luigi Einaudi, accolto da una folla
immensa, che provvede personalmente a decorare con la Medaglia d’Oro al Valor
Militare il gonfalone del Comune di Trieste, cerimonia seguita da una nuova,
grandiosa parata militare.
Il Grecale (capitano di fregata Danilo
Silvestri) è tra le otto navi della Marina Militare che presenziano alla
cerimonia: le altre sono il Duca degli
Abruzzi (capitano di vascello Raffaele Barbera; nave di bandiera
dell’ammiraglio Candido Bigliardi, comandante la II Divisione Navale),
l’incrociatore leggero Raimondo
Montecuccoli (capitano di vascello Alberto Villa), la nave scuola Amerigo Vespucci (capitano di vascello
Alcide Bardi), i cacciatorpediniere Granatiere
(capitano di vascello Renato Frascolla) ed Artigliere
(capitano di fregata Marcello Sanfelice di Monteforte) e le torpediniere Libra (capitano di fregata Renato
Cordinoletti) e Cassiopea (capitano
di corvetta Giovanni Veronese). Le navi sono ormeggiate di punta ai moli del
bacino di San Giusto, nell’ordine Duca
degli Abruzzi (molo bersaglieri)-Montecuccoli-Vespucci, Granatiere-Grecale-Artigliere-Libra-Cassiopea; tutte
hanno alzato il gran pavese. Vespucci
e Montecuccoli sono giunti a Trieste
il 3 novembre, dopo aver concluso gli allievi dell’Accademia di Livorno al
termine della crociera estiva (il Montecuccoli
proviene da Alessandria d’Egitto, dove ha trasportato i reduci di El Alamein là
diretti per una commemorazione della battaglia).
26 febbraio 1955
Il sottocapo Romeo
Pacitti del Grecale, durante un
viaggio in treno da Taranto all’Aquila (dove si sta recando in licenza), viene
coinvolto nel deragliamento del suo treno (il direttissimo 450 Lecce-Milano)
causato dallo smottamento di una collina nei pressi di Ortona; insieme al
marinaio Michele Casolino, del distaccamento Marina di Roma, Pacitti si getta
nel mare agitato, sotto una bufera di vento e di pioggia, per raggiungere la
locomotiva, che dopo il deragliamento è scivolata dalla scarpata ed è finita in
mare (mentre il resto del treno è rimasto sui binari), e trae in salvo il
macchinista Osvaldo De Fanis ed il fuochista Leonardo Brenta. Con i cordoni
della divisa e le cinghie, Pacitti e Casolino fermano l’emorragia alla gamba di
De Fanis, che ha avuto un piede quasi completamente asportato (sarà uno dei
passeggeri, un medico, ad amputarlo del tutto).
Il Grecale in due immagini scattate dal
celebre fotografo navale francese Marius Bar: sopra, il 22 gennaio 1955 (g.c.
Anton Shitarev, via www.naviearmatori.net)
e sotto, il 2 febbraio 1955 (da www.fleetphoto.ru)
1955
Trasformato in
fregata veloce antisommergibili. (Secondo una fonte, l’armamento in quest’anno
consisteva in tre cannoni da 120/50, due da 40/56, due lanciabombe antisom e
due scaricabombe antisom).
Il Grecale in uscita dal Mar Piccolo di Taranto nel 1956 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Il Grecale (a sinistra) nel 1957, durante i lavori di trasformazione in fregata antisom; alla sua destra il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty, radiato ormai da anni, ed in primo piano il Granatiere (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
10 aprile 1957 (o 1958)
Riclassificato
fregata veloce, con decreto del presidente della Repubblica.
Il Grecale nel 1957 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
(da www.navyworld.narod.ru) |
(da www.sullacrestadellonda.it) |
1° agosto 1958
Il distintivo ottico
cambia da D 552 (che designa i
cacciatorpediniere) a F 556 (che contraddistingue
le fregate); quest’ultimo ereditato dalla torpediniera Aretusa, radiata in tale data (per altra fonte, invece, il
cambiamento del distintivo ottico del Grecale
sarebbe avvenuto solo nel 1961).
Il Grecale fa parte della II Divisione
Navale, con base a Taranto.
Il Grecale nel 1959 (da “Le nostre navi”, opuscolo dell’Ufficio Documentazione Marina Militare, via Francesco Mistretta) |
1959-1960
Sottoposto a lavori
di trasformazione in nave sede comando, effettuati presso l’Arsenale di Taranto
tra l’inizio del 1959 e l’ottobre 1960. Dovendo sostituire l’incrociatore Giuseppe Garibaldi, nave ammiraglia
della flotta, temporaneamente fuori servizio perché in corso di trasformazione
in incrociatore lanciamissili (mentre il Duca
degli Abruzzi, precedente nave ammiraglia, è stato posto in disarmo e verrà
radiato nel 1961), il Grecale viene
adattato ad imbarcare il Comando della Squadra Navale (CINCNAV): la scelta di
trasformare questo ormai superato cacciatorpediniere, invece di un’unità più
moderna, è stata dettata dall’esigenza di non privare la flotta di una nave
bellicamente efficiente.
Nel corso dei lavori
di conversione, vengono rimosse tutte le apparecchiature ed attrezzature non
necessarie, viene realizzata un’ampia tuga a proravia della plancia e viene
installato un più moderno radar AN/SPS-12 (per altra fonte, il radar AN/SPS-6
di produzione statunitense sarebbe stato eliminato e sostituito con un nuovo
radar di fabbricazione italiana); il castello di prua viene allungato di
tredici metri verso poppa, fin quasi a poppa estrema (“inglobando” la tuga
poppiera), per realizzarvi nuovi alloggi ed uffici per l’ammiraglio ed il
Comando di Squadra, oltre che per migliorare la tenuta del mare dell’unità. Viene
allestita a bordo una Centrale Operativa di Combattimento.
Le sovrastrutture
vengono ampliate anche verso prua, fin quasi al tagliamare (mentre vengono
eliminate quelle a poppavia del fumaiolo) e viene realizzata una nuova plancia
chiusa per il Comando Squadra a proravia della timoniera (rivelatasi superflua,
verrà smantellata nel 1963); la stazione di direzione del tiro viene spostata
dalla sua collocazione sopra la plancia, e viene munita di tetto e vetri. Viene
eliminato anche tutto l’armamento, con la sola eccezione di un impianto binato Bofors
Mk 3 da 40/60 mm a centro nave, mentre vengono imbarcati due vecchi cannoncini
da 65 mm per le salve cerimoniali di saluto.
Sullo sfondo è visibile la motonave Massalia della Hellenic Mediterranean Lines (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net) |
Sempre a Ponte dei Mille a Genova, il 6 marzo 1960 (foto Giorgio Ghiglione, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Il Grecale (a destra) ormeggiato a Gaeta insieme alla fregata (ex torpediniera) Orsa ed a tre corvette classe De Cristofaro, negli anni Sessanta (da “Notiziario della Marina”, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Il Grecale a Taranto il 22 aprile 1960 (foto Paolo Bonassin, via Flickr) |
Il Grecale a Venezia nel giugno 1960, dopo la conversione in nave comando squadra (g.c. Giorgio Arra, via www.naviearmatori.net) |
Il Grecale e la corvetta Alabarda ormeggiati alla Stazione
Torpediniere di Taranto nei primi anni Sessanta (USMM, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Il Grecale entra in Mar Piccolo a Taranto dopo la trasformazione in nave sede comando, nella prima metà degli anni Sessanta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Ottobre 1960
Completati i lavori,
il Grecale torna in servizio,
classificato come nave comando. Alzerà nel 1961 la bandiera dell’ammiraglio Ernesto
Giuriati, comandante della Squadra Navale; fungerà di fatto da nave ammiraglia
della flotta italiana fino al giugno 1964.
Il Grecale a Trieste il 12 luglio 1960 (foto Paolo Bonassin, via Flickr) |
Il Grecale aumenta la velocità e passa davanti alla Squadra per entrare per ormeggiarsi per primo, nel 1960 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
A Taranto il 3 novembre 1960 (foto Paolo Bonassin, via Flickr) |
Il Grecale come nave sede comando, nella prima metà degli anni Sessanta (dalla rivista Interconair “Aviazione e Marina” n. 20, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Il Grecale nel 1960-1961 (da “La flotta italiana”, Vito Bianco Editore, 1961, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net). L’ultimo rimodernamento è stato da poco completato, con l’eliminazione di tutte le apparecchiature non necessarie, la realizzazione di una grande tuga a prua e l’installazione di un radar AN/SPS-12. |
14 luglio 1961
Il Grecale partecipa alla rivista navale
tenuta nel Golfo di Gaeta, alla presenza del presidente della repubblica
Giovanni Gronchi e del ministro della difesa Giulio Andreotti, in occasione del
centenario della nascita della Marina italiana. Oltre al Grecale, partecipano alla rivista navale gli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi, i cacciatorpediniere
Aviere, San Giorgio, San Marco, Indomito ed Impetuoso, le fregate Orsa,
Altair, Canopo, Castore, Cigno e Centauro, le corvette Alcione,
Airone, Albatros, Gabbiano, Crisalide, Bombarda, Pomona, Pellicano, Folaga, Fenice, Farfalla, Baionetta e Cormorano, la
nave scuola Americo Vespucci, i
sommergibili Evangelista Torricelli e Leonardo Da Vinci, la
nave appoggio incursori Pieto Cavezzale, la nave trasporto Stromboli, i dragamine Sgombro, Salmone, Storione, Timo, Gaggia, Giaggioli, Olmo, Ontano ed Alloro.
La scelta della rada
di Gaeta non è casuale: in quelle acque la futura Marina italiana aveva
combattuto, un secolo prima, la sua prima battaglia, quando le navi sarde, ex
toscane ed ex borboniche (passate pressoché in blocco alla Marina sarda nel
settembre 1860) avevano assediato i resti dell’esercito borbonico asserragliati
nella fortezza di Gaeta.
Il presidente Gronchi
passa in rassegna le 41 navi ormeggiate a bordo del dragamine Salmone, ricevendo poi una medaglia
commemorativa dal ministro Andreotti.
Il Grecale a La Valletta il 18 aprile 1961
(foto Anthony & Joseph Pavia, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
Il Grecale in una foto datata 13 luglio 1962 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
Il Grecale a Malta nel 1963 (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
La nave in una foto del 12 maggio 1963 (Coll. Paolo Bonassin, via Flickr) |
Il Grecale come nave sede comandoin rientro probabilmente a Taranto a inizio degli anni Sessanta, con la plancia coperta (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Il Grecale in rientro a Taranto negli
ultimi anni di servizio: notare, rispetto alla foto precedente, l’eliminazione
della plancia coperta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)
30 maggio 1964
Ultimo
ammainabandiera, in serata, insieme all’incrociatore leggero Raimondo Montecuccoli, radiato in questa
data.
31 maggio (o 1° giugno) 1964
Posto in disarmo a
Taranto.
1° luglio 1965
Radiato dai quadri
del naviglio militare (altra fonte data la radiazione al 10 aprile 1965).
Dopo l’asportazione
di tutti i materiali ancora riutilizzabili, il Grecale rimane abbandonato per diversi anni nell’Arsenale di
Taranto, dopo di che verrà venduto per demolizione, presumibilmente negli anni
Settanta (da alcune foto risultava ancora esistente a Taranto nell’aprile 1973).
Due
immagini del Grecale in disarmo a
Taranto nell’aprile 1973 (g.c. Giorgio Arra via www.naviearmatori.net). Nella seconda
immagine sono riconoscibili anche il dragamine Verbena, il sommergibile Vortice,
la rifornitrice Vesuvio, la
torpediniera Sagittario
(probabilmente), il cacciatorpediniere San
Marco ed una corvetta classe Gabbiano.