La Generale Antonino Cascino (g.c. Giacomo Toccafondi) |
Torpediniera, già
cacciatorpediniere, della classe Generali (dislocamento standard 730
tonnellate, in carico normale 832, a pieno carico 870 o 890), appartenente alla
numerosa serie delle "tre pipe".
Durante il periodo
interbellico svolse intensa attività di squadra e partecipò a numerose crociere,
mentre durante la seconda guerra mondiale fu la terza torpediniera per numero
di missioni svolte, ben 228, principalmente di scorta convogli sia nei mari
italiani che in Africa Settentrionale (158), ma anche di altro tipo (nove di
caccia antisommergibili, una di posa di mine, 68 varie), percorrendo 69.000
miglia nautiche (più di qualsiasi unità similare).
Più precisamente, nel
1940 fu adibita a compiti di scorta al traffico di cabotaggio in Nordafrica,
mentre nei primi mesi del 1941 operò nel Basso Tirreno per poi tornare fino a
fine anno nelle acque della Libia. Nella primavera-estate del 1942 operò,
sempre in compiti di scorta, nelle acque della Sicilia, del Mar Ionio e del
Basso e Medio Adriatico, scortando convogli che trasportavano rifornimenti per
le truppe italiane operanti nei Balcani. A fine 1942 fu di nuovo brevemente
impiegata in Libia, mentre nel 1943 operò nel Basso Tirreno con alcune
saltuarie missioni sulla “rotta della morte” verso la Tunisia.
Il suo motto era
“Ovunque e sempre ardisci”.
Breve e parziale cronologia.
13 marzo 1920
Impostazione nei
cantieri Odero di Sestri Ponente.
18 marzo 1922
Varo nei cantieri
Odero di Sestri Ponente.
8 maggio 1922
Entrata in servizio. Svolge
l’addestramento preliminare in seno al Dipartimento della Spezia.
Novembre 1922
Assegnato alla I
Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della Forza Navale del
Mediterraneo.
Il Cascino ormeggiato nel porto militare di Gaeta insieme ad altre unità della I Squadriglia Cacciatorpediniere, nel dicembre 1922 (g.c. Carlo Di Nitto, via La Voce del Marinaio) |
30 gennaio 1923
Il Cascino, insieme al cacciatorpediniere Giovanni Acerbi ed alle corazzate Duilio e Conte di Cavour (facenti parte della I Divisione Navale
dell’ammiraglio Emilio Solari, con bandiera sulla Cavour), visita Favignana, dove la formazione si reca per mandare
un gruppo di uomini della Duilio a posare una corona d’alloro sulla tomba del
sottocapo fuochista Bartolomeo Mineo, sacrificatosi il 17 febbraio 1921 per
fermare un incendio che rischiava di causare l’esplosione dei depositi di nafta
della Duilio e la perdita della nave
(è stato decorato, alla memoria, con la Medaglia d’Argento al Valor Militare).
La sera dello stesso
giorno la banda musicale della Cavour
tiene un concerto in piazza municipio a Favignana, dopo di che le autorità del
luogo offrono un vermouth d’onore.
La cerimonia di
deposizione della corona si svolge il mattino del 31 gennaio, dopo di che i
notabili del posto (il commissario, il comandante del presidio, il pretore ed
il segretario del fascio) si recano in visita a bordo delle navi. In serata si
tiene una nuova festa musicale, cui presenziano l’ammiraglio Solari ed altri
ufficiali.
30-31 agosto 1923
Nella tarda serata del 30
agosto il Cascino lascia
Taranto insieme ai similari Generale
Carlo Montanari, Giacinto Carini, Giuseppe La Farina e Giacomo Medici, all’esploratore Premuda, agli incrociatori
corazzati San Giorgio e San Marco, alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, alle torpediniere 50 OS e 53 AS, ai MAS 401, 404, 406 e 408 ed
ai sommergibili Agostino Barbarigo ed Andrea Provana, per prendere parte
all’occupazione di Corfù: è infatti in pieno svolgimento la crisi di Corfù,
causata dall’assassinio – avvenuto ad opera di ignoti il 27 agosto, sulla
strada tra Giannina e Santi Quaranta – del generale Enrico Tellini e di altri
membri di una delegazione italiana (maggiore Luigi Corti, tenente Mario
Bonacini, autista Remigio Farnetti, interprete albanese Thanas Gheziri) che
avrebbe dovuto definire i confini tra Grecia ed Albania per conto della Società
delle Nazioni, così risolvendo la disputa confinaria in atto tra i due Paesi
balcanici. I giornali italiani ed il governo albanese hanno attribuito le
responsabilità dell’eccidio alla Grecia, considerate le pessime relazioni
esistenti tra la delegazione italiana e le autorità greche, che tramite un
delegato avevano apertamente accusato il generale Tellini di parzialità in
favore dell’Albania; il governo greco e l’ambasciatore romeno a Giannina hanno
invece imputato la strage a banditi albanesi, ma nessun oggetto è stato rubato
dalle vittime o dall’automobile su cui viaggiavano (secondo lo storico greco
Aristotle Kallis, vi sarebbero indizi sufficienti da far ritenere che la strage
sia stata compiuta da provocatori albanesi che avrebbero attraversato il
confine allo scopo di far incolpare la Grecia). L’opinione pubblica italiana è
schierata contro la Grecia, tanto che scoppiano manifestazioni antigreche; i
giornali ellenici condannano l’eccidio di Giannina e si esprimono
amichevolmente nei confronti dell’Italia, auspicando che il governo greco
soddisfi quello italiano senza travalicare i confini dettati dall’orgoglio
nazionale greco.
A capo del governo italiano è Benito Mussolini, in carica da pochi mesi e
desideroso di “mostrare i muscoli” in campo internazionale: l’occasione è per
lui perfetta sia per dare una dimostrazione di forza che aumenti il suo
prestigio presso i nazionalisti italiani (presentandosi come il vendicatore
della “vittoria mutilata”) e che rafforzi la posizione dell’Italia come potenza
militare in campo internazionale, in grado di ottenere ciò che vuole con la
forza, sia, se possibile, per impadronirsi stabilmente di Corfù, il cui
possesso faciliterebbe il controllo da parte italiana del Basso Adriatico e del
Mar Ionio (e che Mussolini vede come “più italiana che greca” per via della
plurisecolare dominazione veneziana). Mussolini, pertanto, accusa la Grecia di
responsabilità dell’eccidio ed il 29 agosto impone un durissimo ultimatum al
governo greco: questi ha ventiquattr’ore per porgere scuse solenni all’Italia
(tramite la sua legazione di Atene) ed avviare un’inchiesta, con la
collaborazione dell’addetto militare italiano in Grecia (colonnello Perone),
che porti entro cinque giorni all’arresto e condanna a morte dei responsabili
della strage; inoltre tutti i componenti del governo ellenico dovranno
presenziare ai funerali delle vittime, che si dovranno tenere in forma solenne
nella cattedrale cattolica di Atene, dovranno essere tributati gli onori
militari agli uccisi, la flotta greca dovrà tributare gli onori alla bandiera
di una squadra navale italiana che sarà appositamente inviata al Pireo, e la
Grecia dovrà pagare all’Italia cinquanta milioni di lire a titolo di
risarcimento entro cinque giorni. In caso contrario, l’Italia invaderà ed
occuperà per ritorsione Corfù.
Il corpo di spedizione destinato a conquistare l’isola è composto dal 48°
Reggimento Fanteria "Ferrara", da una batteria di 8 cannoni da 75 mm,
da una brigata di fanteria di 5000 uomini, da reparti del reggimento di
fanteria di Marina "San Marco" e dalle compagnie da sbarco delle
navi, il tutto al comando dell’ammiraglio Emilio Solari. Le truppe saranno
sbarcate sulla costa settentrionale e su quella meridionale dell’isola.
Il 30 agosto il governo greco risponde all’ultimatum, accettando soltanto in
parte le richieste italiane, che vengono fortemente ridimensionate: il
comandante militare del Pireo esprimerà il cordoglio del governo greco per
l’accaduto al locale ministro italiano, sarà tenuto un servizio religioso di
commemorazione delle vittime alla presenza di membri del governo greco, un
distaccamento della Guardia di Palazzo greca renderà gli onori alla bandiera
italiana presso la sede della legazione d’Italia, e reparti militare greci
renderanno onori ai feretri delle vittime quando questi saranno trasbordati su
una nave da guerra italiana per essere riportati in patria. Viene inoltre
offerta disponbilità a pagare un giusto indennizzo ai familiari delle vittime,
mentre viene opposto un rifiuto alla conduzione di un’inchiesta in presenza
dell’addetto miltiare italiano, dal quale però verrebbe accettata qualsiasi
informazione che potesse agevolare l’individuazione degli assassini. Le altre
richieste vengono respinte in quanto lederebbero l’onore e la sovranità della
Grecia.
Mussolini ed il governo italiano dichiarano insoddisfacente ed inaccettabile la
controproposta greca, con l’appoggio della stampa, che insiste affinché la
Grecia ceda pienamente alle richieste italiane. Non avendo il governo greco
ottemperato alle condizioni, l’operazione contro Corfù prende il via.
La flotta italiana si presenta davanti a Corfù il 31 agosto: alle due del
pomeriggio l’isola viene sorvolata da aerei italiani, e poco dopo entra in
porto il Premuda, seguito poco più tardi dal resto della squadra. La Cavour manda a terra, con la propria
motolancia, il capitano di vascello Antonio Foschini, capo di Stato Maggiore
dell’ammiraglio Solari, con un ultimatum al governatore greco di Corfù: in esso
si impone l’ammaino della bandiera greca da sostituire con quella italiana, la
cessazione di tutte le comunicazioni, la resa e disarmo di truppe e gendarmeria
ed il controllo di tutte le attività da parte dell’Italia. Il governatore
telefona ad Atene per avere istruzioni, e gli viene risposto “Niente resa, in nessun caso”; comunica
tale risposta al comandante Foschini, che gli consegna allora un documento in
cui si impone, irrealisticamente, di evacuare entro trenta minuti i civili
stranieri, radunandoli in una località aperta e lontana da installazioni
militari.
Alle 16 del 31 agosto
le unità italiane iniziano il tiro con i pezzi di piccolo calibro, protraendolo
sino alle 16.15, sulle caserme e sulle due fortezze di Corfù (Vecchia e Nuova) che
tuttavia non sono in mano a truppe greche, bensì occupate da profughi
provenienti dall’Anatolia, sedici dei quali rimangono uccisi, ed altri 32
feriti, in gran parte a causa di un colpo da 152 mm (forse sparato dal Premuda) che va al di là del forte e
colpisce un edificio non visibile dal mare, nel quale sono radunati dei
profughi. Anche la locale scuola di polizia viene cannoneggiata.
Dopo, a seconda delle
fonti, sette minuti od un quarto d’ora di fuoco, il bombardamento viene
interrotto quando un infermiere issa sul forte un lenzuolo bianco sull’asta di
una bandiera. Viene dato inizio allo sbarco del corpo di spedizione italiano (trasportato
dai piroscafi Duca d’Aosta e Città di Messina e composto da alcune
migliaia di uomini); il prefetto Petros Evripaios ed altri ufficiali e
funzionari ellenici vengono arrestati ed imprigionati a bordo delle navi
italiane. Nel giro di pochi giorni le truppe italiane occupano Corfù e la
maggior parte delle navi fa ritorno a Taranto, lasciando a Corfù un
incrociatore corazzato, i cinque cacciatorpediniere (Cascino compreso) e qualche sommergibile e MAS sotto il comando del
contrammiraglio Aurelio Belleni, mentre il 2 settembre 1923 l’ammiraglio Diego
Simonetti diviene governatore di Corfù.
Il bombardamento dell’isola, e specialmente le vittime civili da esso causate,
provocheranno rimostranze in campo internazionale da parte del presidente del
Save the Children Fund (in quanto tra le vittime vi sono anche diversi
bambini), del Near East Relief e della Società delle Nazioni, che definiranno
il bombardamento di Corfù come un atto disumano, inutile ed ingiustificabile, “un assassinio ufficiale da parte di una
nazione civilizzata”.
In Grecia, il governo decreta la legge marziale e ritira la flotta nel golfo di
Volo, onde evitare contatti con la flotta italiana. Nella cattedrale di Atene
viene tenuta una messa solenne in ricordo delle vittime del bombardamento di
Corfù, e le campane di tutte le chiese suonano a lutto; sempre in segno di
lutto, vengono chiusi tutti i luoghi di divertimento, mentre nelle piazze
scoppiano proteste antiitaliane, tanto che un distaccamento di trenta militari
greci dev’essere inviato a proteggere la sede della Legazione d’Italia ad
Atene. I giornali greci condannano l’attacco italiano a Corfù, ed il quotidiano
“Eleftheros Typos” si esprime pesantemente nei confronti degli italiani, tanto
che a seguito delle proteste del Ministro d’Italia il governo ellenico ne sospende
per un giorno la pubblicazione e destituisce il censore che ha permesso la
pubblicazione dell’articolo incriminato.
Anche in Italia scoppiano nuove dimostrazioni antigreche, mentre il governo
italiano chiude il Canale d’Otranto alle navi greche, chiude i porti alle navi
greche (mentre i porti greci rimangono aperti alle navi italiane), ordina alle
compagnie di navigazione italiane di evitare la Grecia e persino sequestra
tutte le navi greche che si trovano in porti italiani (una viene addirittura fermata
e catturata nel Canale d’Otranto da un sommergibile italiano); il 2 settembre,
tuttavia, le navi greche verranno rilasciate per decisione del Ministero della
Marina. Vengono espulsi dall’Italia i giornalisti greci, viene richiamato in
patria l’addetto militare inviato ad indagare sull’eccidio di Giannina, ed i
riservisti ricevono l’ordine di tenersi pronti ad un’eventuale mobilitazione;
Vittorio Emanuele III lascia la sua residenza estiva per fare ritorno a Roma.
Anche altri Paesi nella regione prendono le parti dell’uno o dell’altro
contendente e si preparano ad un eventuale conflitto: l’Albania rinforza il suo
confine con la Grecia e proibisce a chiunque di attraversarlo, mentre la
Jugoslavia dichiara che appoggerà la Grecia ed in Turchia la fazione più
nazionalista suggerisce a Mustafà Kemal di cogliere l’occasione per
riconquistare la Tracia occidentale ai danni della Grecia. La Cecoslovacchia
esprime solidarietà alla Grecia e condanna l’iniziativa italiana.
Tra le poche voci contrarie, in Italia, all’occupazione di Corfù vi sono i
diplomatici di professione, che ritengono che la spregiudicatezza di Mussolini
possa mettere a repentaglio le trattative in corso per la cessione all’Italia,
da parte del Regno Unito, dell’Oltregiuba e dell’oasi di Giarabub. Il
segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Salvatore Contarini,
l’ambasciatore italiano in Francia Romano Avezzana ed il delegato italiano
presso la Lega delle Nazioni Antonio Salandra (già primo ministro italiano nel
1915) cercano di persuadere Mussolini ad abbandonare le richieste più estreme
ed accetti un compromesso.
George Curzon, segretario agli Affari Esteri del Regno Unito, definisce le
richieste di Mussolini come eccessive e “molto
peggiori dell’ultimatum [imposto alla Serbia dall’Impero
Austroungarico] dopo Sarajevo”,
e scrive al primo ministro britannico Stanley Baldwin che l’azione di Mussolini
è stata “violenta ed ingiustificabile”
e che se il Regno Unito non appoggerà l’appello della Grecia presso la Società
delle Nazioni, tanto varrebbe per tale istituzione chiudere baracca. Howard
William Kennard, temporaneamente a capo dell’ambasciata britannica a Roma,
scrive in un dispaccio a Curzon che Mussolini potrebbe essere pazzo, “un miscuglio di megalomania ed estremo
patriottismo”, e che potrebbe volutamente esasperare la situazione fino a
scatenare una guerra tra Italia e Grecia. In generale, il Foreign Office si
mostra orientato a proteggere la Grecia dall’Italia servendosi come tramite
della Società delle Nazioni; Curzon propone di affidare la risoluzione della
disputa alla Società delle Nazioni, ma Mussolini per tutta risposta minaccia di
lasciarla. Inoltre, da parte britannica si ritiene probabile che la Francia
porrebbe il veto su qualsiasi tentativo di imporre sanzioni contro l’Italia;
per di più, gli Stati Uniti non sono un Paese membro della Società delle
Nazioni e non sarebbero vincolati a rispettare eventuali sanzioni contro
l’Italia, vanificandole ulteriormente, mentre l’Ammiragliato britannico
asserisce che per imporre un blocco navale contro l’Italia dovrebbe prima
esserci una dichiarazione di guerra. Il Regno Unito rafforza la Mediterranean
Fleet in vista di un possibile scontro con l’Italia, mossa che provoca delle
spaccature all’interno del “fronte” italiano: il ministro della Marina Paolo
Thaon di Revel, insieme ai vertici della Marina, afferma che è necessario
mantenere rapporti di amicizia con il Regno Unito, la cui flotta è troppo
superiore a quella italiana per poterla affrontare con successo in un eventuale
conflitto. In generale, tutti i ministri militari cercano di dissuadere
Mussolini dal tirare troppo la corda, minacciando le dimissioni e paventando un
conflitto che vedrebbe l’Italia contrapposta a Grecia, Jugoslavia, Regno Unito
e probabilmente anche la Francia (che mentre è stata finora favorevole
all’Italia, non lo sarebbe più se al partito antiitaliano dovesse unirsi anche
la Jugoslavia, sua protetta).
Il 1° settembre la Grecia si appella alla Società delle Nazioni, ma il
rappresentante dell’Italia, Antonio Salandra, spiega al Consiglio della Società
delle Nazioni di non essere autorizzato a discutere la questione; Mussolini si
rifiuta di collaborare con la Società delle Nazioni ed asserisce invece che la
risoluzione della crisi dovrebbe essere affidata alla Conferenza degli
Ambasciatori (organo istituito nel 1920 e formato dai rappresentanti di Italia,
Francia, Regno Unito e Giappone, con l’incarico di far rispettare i trattati di
pace e mediare le contese territoriali tra i Paesi europei), ripetendo che l’Italia
lascerebbe la Società delle Nazioni piuttosto che accettarne l’interferenza.
Francia e Regno Unito sono divisi: quest’ultimo sarebbe favorevole
all’intervento della Società delle Nazioni, mentre la Francia è contraria,
temendo che ciò possa costituire un precedente per una successiva interferenza
della Società delle Nazioni nell’occupazione francese della Ruhr. Il risultato
è che, come vuole Mussolini, la risoluzione della crisi viene affidata alla
Conferenza degli Ambasciatori, che l’8 settembre 1923 annuncia le condizioni
che le due parti dovranno adempiere per la risoluzione della disputa. Come
previsto da Mussolini, la decisione della Conferenza degli Ambasciatori è in
massima parte favorevole alle richieste italiane: la flotta greca dovrà
salutare con 21 salve la flotta italiana, che allo scopo si recherà al Pireo
insieme a navi da guerra francesi e britanniche (che saranno comprese nel
saluto); il governo greco presenzierà ad una cerimonia funebre; i greci
dovranno rendere gli onori militari alle vittime dell’eccidio di Giannina
quando queste verranno imbarcate a Prevesa per il ritorno in Italia; la Grecia
dovrà depositare in una banca svizzera 50 milioni di lire a titolo di garanzia;
la massima autorità militare greca dovrà porgere le sue scuse ai rappresentanti
italiano, francese e britannico ad Atene; la Grecia dovrà condurre un’inchiesta
sull’eccidio di Giannina, da condurre sotto la supervisione di un’apposita
commissione internazionale (presieduta dal tenente colonnello Shibuya, addetto
militare presso l’ambasciata giapponese) e da completare entro il 27 settembre;
la Grecia dovrà garantire la sicurezza della commissione d’inchiesta ed
assumersene le spese. L’unica richiesta rivolta al governo albanese è di
facilitare l’operato della commissione nel proprio territorio. La decisione è
accolta favorevolmente dalla stampa italiana e dallo stesso Mussolini, la cui
immagine esce rafforzata da questo episodio, mentre viceversa la Società delle
Nazioni ha dato in questa occasione i primi segni della cronica debolezza che
caratterizzerà tutta la sua travagliata esistenza: non è stata capace di
proteggere una potenza minore da una più grande, la sua autorità è stata
sminuita da uno dei suoi membri fondatori, nonché membro permanente del suo
consiglio. Il regime fascista ha concluso con un successo la sua prima disputa
internazionale; la prova di forza da parte dell’Italia dissuaderà inoltre la
Grecia dall’insistere ulteriormente per la cessione delle isole del Dodecaneso
e, secondo alcuni autori, avrebbe anche indotto la Jugoslavia a riconoscere la
sovranità italiana su Fiume con il trattato di Roma, firmato nel 1924.
La Grecia accetta lo stesso 8 settembre le condizioni della Conferenza degli
Ambasciatori, mentre l’Italia fa lo stesso due giorni dopo, e non prima di aver
precisato che ritirerà le proprie truppe da Corfù soltanto una volta che la
Grecia avrà interamente adempiuto alle propri obbligazioni.
L’11 settembre il delegato greco presso la Società delle Nazioni, Nikolaos
Politis, informa il consiglio della Conferenza degli Ambasciatori che la Grecia
ha depositato i 50 milioni di lire, e quattro giorni dopo la Conferenza informa
Mussolini che l’Italia dovrà evacuare Corfù entro il 27 settembre.
19 settembre 1923
Il Cascino, insieme ai gemelli Generale Antonio Cantore, Generale Antonio Chinotto, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa ed alle
corazzate Cesare e Cavour (nave ammiraglia), compone la
divisione navale che presenzia, nella baia di Falero, alla resa degli onori (63
salve di cannone con la bandiera italiana al picco) alla bandiera italiana da
parte di una divisione navale greca – corazzata Kilkis, incrociatore corazzato Georgios Averof e quattro cacciatorpediniere – che rappresenta
(insieme ad un indennizzo economico) l’atto formale di “riparazione”, da parte
della Grecia, per l’eccidio di Giannina. Presenziano come testimoni anche gli
incrociatori Comus (britannico)
e Mulhouse (francese). Per
le salve d’onore la divisione italiana si dispone con le due corazzate al
centro, distanziate tra loro di alcune centinaia di metri, ed i
cacciatorpediniere sui lati, tre a dritta della Cavour e tre a sinistra della Cesare,
equidistanti fra loro.
Il 26 settembre,
prima ancora della conclusione dell’inchiesta sull’eccidio, la Conferenza degli
Ambasciatori decreta il versamento di un’indennità di 50 milioni di lire (la
somma depositata dalla Grecia in una banca svizzera a titolo di garanzia) in
favore dell’Italia, perché “le autorità
greche sono state colpevoli di una certa negligenza prima e dopo il delitto”.
Questa decisione è subita come una sconfitta da parte della Grecia, che ha in
questo modo dovuto cedere a pressoché tutte le richieste iniziali di Mussolini.
Per aggiungere la beffa al danno, l’Italia chiede anche che la Grecia rimborsi
i costi di occupazione di Corfù: un milione di lire al giorno. A questo
proposito, la Conferenza degli Ambasciatori stabilisce che l’Italia dovrà
rivolgersi ad una Corte di Giustizia Internazionale.
Il 27 settembre, come stabilito, le truppe italiane vengono ritirate da Corfù;
la bandiera italiana viene ammainata, salutata dalla flotta italiana e da un
cacciatorpediniere greco, e rimpiazzata da quella greca, che viene salutata
dalla nave ammiraglia italiana. Le navi italiane rimangono tuttavia a Corfù,
avendo ricevuto l’ordine di non lasciare l’isola fino a quando l’Italia non
avrà ricevuto i 50 milioni di lire: la somma depositata nella banca svizzera è
stata infatti posta a disposizione del Tribunale dell’Aia, e la banca non
intende trasferire il denaro a Roma senza l’autorizzazione della Banca
Nazionale Greca. La sera dello stesso giorno, tuttavia, quest’ultima dà la sua
autorizzazione. Il 30 settembre, dopo che la flotta greca ha tributato gli
onori a quella italiana nel porto del Falero, le navi italiane rientrano a
Taranto, lasciando sul posto un solo cacciatorpediniere.
Il Cascino al Falero il 19 settembre 1923, in occasione della cerimonia di resa degli onori da parte della flotta greca (da “L’illustrazione italiana” del 30 settembre 1923) |
Anni Venti
Opera principalmente
in Mar Tirreno con l’Armata Navale.
1924
Brevemente inviato a
Tobruk.
1925
Compie una crociera
nel Dodecaneso e ad Alessandria d’Egitto.
Il Cascino nei primi anni Venti (da www.navyworld.narod.ru) |
20 settembre 1925
Il Cascino riceve a Palermo la bandiera di
combattimento, benedetta durante una cerimonia solenne dal cardinale Alessandro
Lualdi, arcivescovo di Palermo, che pronuncia poi un discorso patriottico
all’equipaggio schierato in coperta, esaltando le glorie della Marina italiana
e facendo voto “perché essa faccia sempre
rifulgere sui mari il nome d’Italia”.
Dicembre 1925
Il Cascino, insieme ai gemelli Generale Antonio Cantore, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa, forma la II
Squadriglia Cacciatorpediniere della 1a Flottiglia della Divisione
Siluranti, formata inoltre dall’esploratore Carlo
Mirabello (capo flottiglia) e dalla I Squadriglia Cacciatorpediniere (Giuseppe La Masa, Giuseppe La Farina, Nicola
Fabrizi, Giacomo Medici). La
Divisione Siluranti comprende anche l’esploratore Quarto (nave ammiraglia), la 2a Flottiglia
Cacciatorpediniere (esploratore Aquila;
cacciatorpediniere Confienza, San Martino, Solferino ed Enrico Cosenz
della III Squadriglia; cacciatorpediniere Castelfidardo,
Curtatone, Calatafimini, Monzambano
e Giacinto Carini della IV
Squadriglia) e la 3a Flottiglia Cacciatorpediniere (esploratore Falco; cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori, Giuseppe Missori, Giovanni
Acerbi e Vincenzo Giordano Orsini
della V Squadriglia; cacciatorpediniere Fratelli
Cairoli, Antonio Mosto, Simone Schiaffino, Rosolino Pilo e Giuseppe Dezza della VI Squadriglia).
Successivamente viene
dislocato a Taranto come nave dipartimentale, alzando a più riprese l’insegna
di tale Comando in Capo e compiendo alcune missioni a Saseno e Durazzo.
Il Cascino a La Spezia nel 1925 (Edizioni Ugo Pucci – La Spezia, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
Marzo 1927
Assegnato alla II
Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della 1a Squadra
Navale.
Febbraio 1927
Diviene capogruppo
delle unità impiegate per le esercitazioni degli allievi dell’Accademia Navale
di Livorno.
Maggio-Luglio 1927
Dislocato a Tripoli
come stazionario, avvicendando il gemello Generale
Carlo Montanari.
5 ottobre 1927
Durante la
navigazione da La Spezia a Gaeta, una carica di lancio da 76 mm del Cascino deflagra per autocombustione e
scatena un incendio nel deposito munizioni poppiero; l’equipaggio, tuttavia,
riesce ad allagare il deposito e domare le fiamme prima che questo esploda, con
conseguenze catastrofiche per la nave.
Primavera 1928
Assegnato alla VI Squadriglia
Cacciatorpediniere della Divisione Speciale, inquadrata nella 2a
Squadra Navale.
Successivamente svolge
per qualche mese servizio dipartimentale a La Spezia, effettuando una crociera
con a bordo gli ufficiali della Scuola di Guerra, oltre a partecipare ad alcune
cerimonie.
Estate 1929
Compie una crociera
in Cirenaica, ad Alessandria d’Egitto e nel Dodecaneso, unitamente alla
Divisione Speciale.
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera,
come tutti i vecchi "tre pipe".
Assegnata alla II
Squadriglia Torpediniere della Divisione Speciale (al comando dell’ammiraglio
Salvatore Denti Amari di Piraino e composta, oltre che dalla Cascino, dagli esploratori Quarto e Falco e dalle torpediniere Giuseppe
La Farina, Giacinto Carini, Angelo Bassini, Nicola Fabrizi, Enrico Cosenz, Generale Antonio Chinotto e Generale
Achille Papa).
La Cascino, a sinistra, alla fonda in Mar Grande a Taranto insieme alle “tre pipe” Giuseppe Cesare Abba e Vincenzo Giordano Orsini negli anni Trenta. Sullo sfondo il cacciatorpediniere Nazario Sauro (da www.marina.difesa.it) |
1932
La Divisione
Speciale, di cui fa parte la Cascino,
viene rinominata VI Divisione e dislocata a Venezia.
Fino al 1937 la Cascino sarà attiva principalmente in
Alto Adriatico.
Estate 1932
Compie una crociera
in Grecia.
1932-1933
Svolge alcune
missioni in Cirenaica.
1935
Assegnata per un
breve periodo alla Scuola Comando di Taranto.
Poi, nella seconda
metà degli anni Trenta, sarà parte delle forze dipartimentali di La Spezia,
svolgendo modesta attività nell’Alto Tirreno e nei mari della Sardegna. In tale
periodo presterà servizio sulla Cascino
anche il secondo capo cannoniere Pietro Carboni, futura Medaglia d’Oro al Valor
Militare.
30 agosto 1935
Assume il comando
della Cascino il tenente di vascello
Giorgio Verità Poeta.
Il tenente di vascello Giorgio Verità Poeta (Verona, 1903-1939), comandante della Cascino nel 1935 (da www.liberalbelluno.com) |
1936
Lavori di modifica:
imbarca attrezzature per il dragaggio in corsa.
8 agosto-8 settembre 1937
Durante la guerra
civile spagnola, la Cascino
partecipa, con lo svolgimento di nove missioni nell’arco di un mese, al blocco
del Canale di Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione
Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale
decisione a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i
quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per
rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000
“mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei. Il 3 agosto Francisco Franco ha
chiesto urgentemente a Mussolini di usare la sua flotta per fermare un grosso
“convoglio” sovietico appena partito da Odessa e diretto nei porti
repubblicani; sulle prime era previsto il solo impiego di sommergibili, ma
Franco è riuscito a convincere Mussolini ad impiegare anche le navi di
superficie. Nel suo telegramma Franco afferma: «Tutte le informazioni degli ultimi giorni concordano nell’annunciare un
aiuto possente della Russia ai rossi, consistente in carri armati, dei quali 10
pesanti, 500 medi e 2 000 leggeri (sic), 3 000 mitragliatrici motorizzate, 300
aerei e alcune decine di mitragliatrici leggere, il tutto accompagnato da
personale e organi del comando rosso. L’informazione sembra esagerata,
poiché le cifre devono superare la possibilità di aiuto di una sola
nazione. Ma se l’informazione trovasse conferma, bisognerebbe agire
d’urgenza e arrestare i trasporti al loro passaggio nello stretto a sud
dell’Italia e sbarrare la rotta verso la Spagna. Per far ciò, bisogna, o che la
Spagna sia provvista del numero necessario di navi o che la flotta italiana
intervenga ella stessa. Un certo numero di cacciatorpediniere operanti davanti
ai porti e alle coste dell’Italia potrebbe sbarrare la rotta del Mediterraneo
ai rinforzi rossi: la cattura potrebbe essere effettuata da navi battenti
apertamente bandiera italiana, aventi a bordo un ufficiale e qualche soldato
spagnolo, che isserebbero la bandiera nazionalista spagnola al momento stesso
della cattura. Invierò d’urgenza un rappresentante a Roma per negoziare
questo importante affare. Nell’intervallo, e per impedire l’invio delle navi
che saranno già in rotta per la Spagna, prego il governo italiano di
sorvegliare e segnalare la posizione e la rotta delle navi russe e spagnole che
lasciano Odessa. Queste navi devono essere sorvegliate e perquisite da
cacciatorpediniere italiani che segnaleranno la loro posizione alla nostra
flotta. Vogliate trasmettere in tutta urgenza al Duce e a Ciano
l’informazione di cui sopra e la nostra richiesta, unita all’assicurazione
dell’indefettibile amicizia e della riconoscenza del generalissimo alla nazione
italiana».
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, inviati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare gli incrociatori Diaz e Cadorna,
otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere che si posizionano nel
Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica francese. Cacciatorpediniere
e torpediniere operano in cooperazione con quattro sommergibili ed un sistema
di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti dell’83° Gruppo
Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle dipendenze
dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare marittimo
della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre siluranti e dalla
IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di
Giussano, Luigi Cadorna, Bartolomeo Colleoni). Sono complessivamente ben 40 le navi
mobilitate per il blocco: i quattro incrociatori della IV Divisione,
l’esploratore Aquila, dieci
cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Fulmine, Lampo, Espero, Ostro, Zeffiro e Borea),
24 torpediniere (Cigno, Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La Masa, Generale Carlo Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli
incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di
operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle
in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei
Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono
segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di
Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche
questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali)
troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della
Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che
riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato
lungo le coste della Spagna.
In base all’ordine
generale d’operazioni numero 1, gli incrociatori, l’Eritrea e parte dei cacciatorpediniere devono compiere
esplorazione pendolare sul meridiano 16° E, cooperando con gli aerei da
ricognizione che conducono esplorazione sistematica per parallelo; altri
cacciatorpediniere formano uno sbarramento esplorativo tra Lampedusa e le
propaggini meridionali del banco di Kerkennah (nei pressi di Sfax), mentre le
torpediniere conducono esplorazione a rastrello tra Pantelleria e Malta, lungo
l’asse del Canale di Sicilia. Adriatico/Lago e Barletta/Rio compiono
esplorazione a triangolo presso Capo Bon; Aquila, Fabrizi, Missori, Montanari, Monfalcone, Nievo, Papa e La Masa compiono
vigilanza sistematica nello stretto di Messina. Il blocco si protrae dal 7
agosto al 12 settembre con intensità variabile; nel periodo di maggiore
attività sono contemporaneamente in mare nel Canale di Sicilia 12 navi di
superficie, 5 sommergibili e 6 aerei. Gli ordini per le navi di superficie sono
di avvicinare e riconoscere tutti i mercantili avvistati, specialmente quelli
privi di bandiera (e che non la issano subito dopo averne ricevuto
l’intimazione dalle unità italiane), quelli che di notte procedono a luci
spente, quelli con bandiera sovietica o spagnola repubblicana, quelli che hanno
in coperta carichi di natura palesemente militare, e quelli che sono stati
specificamente indicati per nome dal Comando Centrale. Se un mercantile viene
riconosciuto come al servizio della Spagna repubblicana, la nave italiana che
l’ha avvistato deve seguirlo e segnalarlo al sommergibile più vicino, che dovrà
poi procedere ad affondarlo. Se quest’ultimo fosse impossibilitato a farlo,
spetterebbe alla nave di superficie il compito di seguire il mercantile fino a
notte, tenendosi in contatto visivo, per poi silurarlo una volta calata
l’oscurità. I piroscafi identificati come “contrabbandieri” di notte devono
invece essere subito affondati. Se venisse incontrato un mercantile
repubblicano a grande distanza dalle acque territoriali della Tunisia, la nave che
lo avvista deve chiamare sul posto uno tra Rio e Lago oppure
una nave da guerra spagnola nazionalista (parecchie di queste sono
appositamente dislocate nel Mediterraneo centrale) che provvederanno a
catturarlo. Ordini tassativi sono emanati per evitare interferenze o incidenti
con bastimenti neutrali (il che talvolta obbliga a seguire un mercantile
“sospetto” per tutto il giorno al fine di identificarlo, dato che talvolta
quelli diretti nei porti repubblicani usano bandiere false), e questo, insieme
all’intensità del traffico navale nel Canale di Sicilia, rende piuttosto
complessa e delicata la missione delle navi che partecipano al blocco.
Nei primi giorni del
blocco sono particolarmente attivi i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Dopo i primi successi, però, ci si rende conto che il sistema di vigilanza nel
Canale di Sicilia non funziona come dovrebbe: diversi piroscafi al servizio dei
repubblicani lo aggirano avvicinandosi di giorno ai settori in cui incrociano
le navi italiane, aspettando il buio per entrare nelle acque territoriali della
Tunisia e poi attraversare la zona di maggior pericolo seguendo la costa, o
sostando nei porti francesi in attesa dell’alba. Di conseguenza, il Comando
della Regia Marina dispone delle crociere di cacciatorpediniere nella fascia
costiera compresa tra 10 e 30 miglia dalla costa tunisina tra Capo Tenes e La
Galite, per completare il dispositivo esistente.
Siccome queste
crociere si svolgono in aree dov’è possibile che i cacciatorpediniere italiani
incontrino navi da guerra repubblicane, una sezione di incrociatori (a
turno, Attendolo-Eugenio di Savoia, Trento-Trieste, Attendolo-Bande Nere) viene tenuta
costantemente a Cagliari pronta ad intervenire in appoggio ai
cacciatorpediniere, in caso di scontro con superiori formazioni navali
repubblicane. Se i cacciatorpediniere dovessero invece incontrare piroscafi
riconosciuti come repubblicani (o al loro servizio) al di fuori delle acque
territoriali francesi, dovranno tenersi in contatto visivo fino al calar del
sole, dopo di che dovranno avvicinarsi col buio ed affondarlo con il siluro. In
caso di riconoscimento notturno, se l’identificazione risulterà inequivocabile,
dovranno affondarlo subito.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo: sebbene le navi
effettivamente affondate o catturate siano numericamente poche, l’elevato
rischio comportato dalla traversata a causa del blocco italiano porta in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Entro settembre, l’invio di mercantili con rifornimenti
per i repubblicani dall’Unione Sovietica attraverso il Bosforo è praticamente
cessato, tanto che i comandi italiani si possono ormai permettere di ridurre di
molto il numero di navi in mare per la vigilanza, essendo quest’ultima sempre
meno necessaria e non volendo provare troppo le navi in una zona dove c’è
spesso maltempo con mare grosso. Ad ogni modo, le navi assegnate al blocco
vengono mantenute nelle basi siciliane, pronte a riprendere il mare qualora
dovesse manifestarsi una ripresa nel traffico verso la Spagna.
Oltre alla grave
crisi nei rifornimenti di materiale militare, che si verifica proprio nel
momento cruciale della conquista nazionalista dei Paesi Baschi (principale
centro di produzione di armi tra le regioni in mano repubblicana), il blocco ha
un impatto notevole anche sul morale dei repubblicani, tanto nella popolazione
civile (il cui morale va deteriorandosi per la difficoltà di procurarsi beni di
prima necessità) quanto nei vertici politico-militari, che si rendono conto di
come, mentre i nazionalisti ricevono dall’Italia supporto incondizionato,
persino sfacciato, con largo dispiego di mezzi, Francia e Regno Unito non
sembrano disposte a fare molto più che parlare in aiuto alla causa repubblicana
(in alcuni centri repubblicani si svolgono anche aperte manifestazioni contro
queste due nazioni, da cui i repubblicani si sentono abbandonati).
Il blocco italiano
impartisce dunque un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatena anche gravi
tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa
spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo,
come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale –
nei confronti della Marina italiana, ripetute anche da Winston Churchill. Il
governo britannico, invece, evita di accusare apertamente l’Italia, dato che il
primo ministro Neville Chamberlain intende condurre una politica di
“riavvicinamento” verso l’Italia per allontanarla dalla Germania; anche questo
fa infuriare i repubblicani, che hanno fornito ai britannici prove del
coinvolgimento italiano (prove che i britannici peraltro possiedono già, dato
che l’Operational Intelligence Center dell’Ammiragliato intercetta e decifra
svariate comunicazioni italiane relative alle missioni “spagnole”), solo per
vedere questi ultimi fingere di attribuire gli attacchi ai soli nazionalisti
spagnoli.
Nel settembre 1937
Francia e Regno Unito organizzeranno la Conferenza di Nyon per contrastare la
“pirateria sottomarina”: gli occhi di tutti sono puntati sull’Italia, anche se
questa non viene accusata direttamente (tranne che dall’Unione Sovietica,
ragion per cui l’Italia, sebbene invitata, rifiuta di partecipare alla
conferenza). Se ufficialmente i britannici non parlano apertamente di
coinvolgimento italiano, attraverso i canali diplomatici questi fanno pervenire
al ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, l’irritazione per alcuni
incidenti che hanno coinvolto proprio navi britanniche (il cacciatorpediniere
HMS Havock è stato
attaccato, ancorché senza risultato, dal sommergibile italiano Iride), ragion per cui il 12 settembre
si decide di sospendere il blocco per non incrinare le relazioni con il Regno
Unito. Nel periodo 7 agosto-12 settembre, le navi italiane hanno avvicinato e
identificato ben 1070 bastimenti mercantili, di svariate nazionalità. Da questo
momento, sarà incombenza unicamente della Marina franchista impedire che altri
rifornimenti raggiungano i porti repubblicani.
La Cascino in entrata nel Mar Piccolo a
Taranto (fondo Ferro Candilera, da www.fotografia.iccd.beniculturali.it)
1939
Lavori di ammodernamento e potenziamento dell’armamento contraereo: i due pezzi
singoli Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm vengono sbarcati, mentre vengono
installate due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due o quattro
mitragliatrici singole da 8/80 mm.
Lavori di ammodernamento e potenziamento dell’armamento contraereo: i due pezzi
singoli Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm vengono sbarcati, mentre vengono
installate due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due o quattro
mitragliatrici singole da 8/80 mm.
10 giugno 1940
L’Italia entra in
guerra. La Cascino appartiene
in questo momento alla II Squadriglia Torpediniere, di base a La Maddalena
(alle dipendenze del Comando Militare Marittimo "Sardegna"), insieme
alle gemelle Generale Antonio Chinotto, Generale Carlo Montanari e Generale Achille Papa.
6 giugno-10 luglio 1940
Cascino, Chinotto, Montanari e Papa posano quattro sbarramenti di 60 mine ciascuno a nordest
della Maddalena ed altri due (anch’essi di 60 ordigni) nelle bocche di
Bonifacio.
30 luglio 1940
La Cascino, insieme alla gemella Generale Achille Papa ed alle più moderne
torpediniere Vega e Perseo (le due “tre pipe” e le due “Spica” formano due
distinte sezioni torpediniere), salpa da Trapani alle 00.30 scortando verso
Tripoli i piroscafi Bosforo e Caffaro. Le navi, che procedono a 10
nodi e dovranno seguire le rotte costiere della Tunisia, formano il convoglio
numero 3 dell’Operazione "Trasporto Veloce Lento", consistente
nell’invio in Libia di tre convogli (il numero 1, "lento", è
costituito dalle navi da carico Maria
Eugenia, Gloria Stella, Bainsizza, Mauly, Col di Lana, Città di Bari e Francesco
Barbaro, scortati dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere e dalla XIV
Squadriglia Torpediniere; il numero 2, "veloce", è formato dai
trasporti truppe Città di Napoli, Città di Palermo e Marco Polo scortati dalla II
Squadriglia Torpediniere e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere) carichi di
truppe e materiali dell’Esercito e dell’Aeronautica, con la protezione a
distanza, nella zona più pericolosa della traversata – per il caso che forze di
superficie britanniche escano da Alessandria d’Egitto –, degli incrociatori
pesanti Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare, ammiraglio Riccardo Paladini), Zara, Fiume, Gorizia (I
Divisione) e Trento, degli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano (IV
Divisione), Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VII
Divisione) e dei cacciatorpediniere delle Squadriglie IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XIV (Antonio
Pigafetta, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno).
1° agosto 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli a mezzogiorno.
3 agosto 1940
La Cascino e le più moderne torpediniere Castore (caposcorta) e Centauro salpano da Tripoli per Bengasi
alle 17, scortando i piroscafi Sardegna
e Bosforo.
5 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 13.
11 agosto 1940
La Cascino parte da Tobruk alle 9 per
scortare a Bengasi i piroscafi Argentea,
Silvano e Mira.
13 agosto 1940
Il convoglietto
giunge a Bengasi alle otto.
18 agosto 1940
Alle 22 la Cascino salpa da Bengasi per scortare a
Derna e ad Ain-el-Gazala la nave ausiliaria Monte
Gargano.
20 agosto 1940
Alle 8.06 il
sommergibile britannico Rorqual
(capitano di corvetta Ronald Hugh Dewhurst) avvista a cinque miglia di distanza
in posizione 32°58’ N e 22°02’ E, a nordovest di Ras el Hilal, una “grossa nave
passeggeri” che ritiene essere probabilmente un trasporto truppe: è in realtà
la Monte Gargano; il Rorqual inizia una manovra d’attacco, ed
alle 8.09 avvista anche un “cacciatorpediniere” – la Cascino – a circa un miglio a 60° a proravia sinistra della Monte Gargano, che segue la costa a ridotta distanza. Alle 8.14, quando
la distanza è calata a soli 640 metri, la Cascino
accosta verso il Rorqual, che è così
costretto a scendere in profondità; Dewhurst tenta di lanciare i siluri
basandosi sui dati forniti dall’idrofono, ma il rumore prodotto dalla Cascino, che passa sulla verticale del
sommergibile, lo impedisce. Il Rorqual
accosta allora a sinistra e si porta a quota periscopica; alle 8.25 lancia due
siluri da 3200 metri, dopo di che scende in profondità di nuovo. Le armi non
vanno a segno.
Cascino e Monte Gargano
arrivano a Derna alle 15, proseguendo poi fino ad Ain-el-Gazala.
29 agosto 1940
La Cascino parte da Tobruk alle 00.15 per
scortare a Bengasi i piroscafi Mauro
Croce, Ezilda Croce e Prospero. Il convoglio giunge a destinazione sei ore più tardi.
7 settembre 1940
Alle 17 la Cascino lascia Bengasi per scortare a
Tobruk il piroscafo Priaruggia, il rimorchiatore
Vulcan ed i motovelieri Luciana e Virgo Laurentana.
8 settembre 1940
Il convoglietto
raggiunge Tobruk alle 13.30.
9 settembre 1940
La Cascino salpa da Tobruk alle 20 per
scortare a Bengasi ed Ain-el-Gazala i piroscafi Verace, Luigi Rizzo e Doris Ursino.
Alle 23 il Verace raggiunge Ain-el-Gazala, mentre
il resto del convoglio prosegue per Bengasi.
10 settembre 1940
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 13.30.
16 settembre 1940
Mentre la Cascino si trova ormeggiata a
Bengasi, il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne
Cunningham, decide di lanciare un attacco aereo contro quel porto, a seguito
dell’avvistamento (il mattino del 15 settembre, da parte di un ricognitore
Short Sunderland del 230th Squadron) di un convoglio italiano
(piroscafi Maria Eugenia e Gloria Stella, torpediniera Fratelli Cairoli) in navigazione nel Golfo della Sirte e diretto
appunto a Bengasi.
Alle 21.30 del 16
settembre quindici bombardieri Fairey Swordfish iniziano a decollare dal ponte
di volo della portaerei Illustrious,
salpata da Alessandria assieme alla corazzata Valiant, agli incrociatori leggeri Orion, Kent, Liverpool e Gloucester ed a 9
cacciatorpediniere (Hereward, Hyperion, Hasty, Hero, Nubian, Mohawk, Waterhen, Jervis e Decoy). La formazione, suddivisa in tre gruppi (Forza A, incaricata
dell’attacco, con Illustrious ed Orion e 4 cacciatorpediniere, Forza
B di scorta alla Forza A e composta dalla Valiant con 3 cacciatorpediniere, Forza C di sostegno con le
altre unità 20-25 miglia più a sud del resto della formazione), è giunta
alle 21 cento miglia a nordest di Bengasi, come previsto.
Nove degli Swordfish,
appartenenti all’815th Squadron della Fleet Air Arm, hanno
l’incarico di attaccare le navi in porto con bombe dirompenti da 227 e 114 kg
ed incendiarie da 45 kg, mentre gli altri sei, dell’819th Squadron,
devono posare ciascuno una mina magnetica Mk I da 680 kg all’imboccatura del
porto.
Alle 21.15, in
seguito ad un bombardamento aereo che ha colpito l’aeroporto di Benina, non
lontano da Bengasi, viene dato l’allarme, ma non segue poi il preallarme della
Difesa Contraerea Territoriale, che, non avendo potuto far partire i
motopescherecci assegnati al servizio di vigilanza foranea, non è in grado di
avvistare gli Swordfish che arrivano da nordest, dal mare.
17 settembre 1940
Alle 00.57, senza che
nessuno li abbia precedentemente avvistati, gli aerei britannici (che sono
giunti sul cielo di Bengasi già dalle 00.30, ed hanno sorvolato il porto per
meglio individuare i loro bersagli) passano all’attacco, in due ondate.
Le bombe vanno a
segno con tremenda precisione: nel primo passaggio, effettuato alle 00.57 da
nordovest verso sudest, viene affondato il piroscafo Gloria Stella, la torpediniera Cigno viene danneggiata gravemente
ed il rimorchiatore Salvatore Primo ed
il pontone a biga Giuliana sono
colpiti, sebbene senza riportare danni gravi; nel secondo passaggio, compiuto
tre minuti dopo il primo, vengono affondati il cacciatorpediniere Borea ed il piroscafo Maria Eugenia.
Nella confusione del
bombardamento, nessuno a terra sembra fare troppo caso alle sagome scure dei
sei Swordfish dell’819th Squadron che gettano le loro sei mine
magnetiche a circa 75 metri dall’imboccatura del porto: solo il 18 settembre,
ormai troppo tardi per evitare danni, si saprà che qualcuno aveva visto un
aereo abbassarsi a posare delle mine nell’avamporto.
I devastanti
risultati del bombardamento hanno dimostrato la vulnerabilità di Bengasi, come
in precedenza di Tobruk, agli attacchi aerei; inoltre, Maria Eugenia e Gloria Stella sono ancora in fiamme
e circondati da un vero e proprio mare di nafta, che continua a costituire una
minaccia per le altre navi: pertanto si decide subito di decongestionarne il
fin troppo affollato porto trasferendo a Tripoli, ritenuta più sicura (in
ragione della sua maggiore distanza dalle basi aeree britanniche), parte delle
navi rimaste indenni.
Nella mattinata del
17 settembre, di conseguenza, la Cascino
salpa da Bengasi per scortare a Tripoli la motonava Francesco Barbaro: sono le prime navi a lasciare il porto cirenaico
dopo il bombardamento. Tuttavia alle 11.38, non appena sono uscite
dall’imboccatura del porto, la Barbaro
viene investita dall’esplosione di una delle mine magnetiche posate durante
l’attacco dagli Swordfish dell’819th Squadron. I gravi danni
alla parte prodiera dello scafo costringono a rimorchiare la motonave
nuovamente in porto, con l’assistenza di alcuni rimorchiatori, ed a portarla a
poggiare con la prua su bassifondali nel bacino di ponente.
Sulle mine posate
dagli Swordfish, poche ore dopo il danneggiamento della Barbaro, affonderà anche il
cacciatorpediniere Aquilone (anch’esso
partito da Bengasi per trasferirsi a Tripoli, insieme al gemello Turbine), nonostante un attento
dragaggio delle mine fatto eseguire dopo quanto accaduto alla Barbaro.
25 ottobre 1940
Alle 15.30 la Cascino parte da Bengasi per scortare a
Tripoli la motonave Marco Foscarini.
27 ottobre 1940
Cascino e Foscarini arrivano a
Tripoli a mezzogiorno.
4 novembre 1940
Alle 18.20 la Cascino lascia Tripoli di scorta alla
pirocisterna Lina Campanella ed al
piroscafo Pozzuoli, diretti a Napoli
via Palermo.
7 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 8.30.
14 novembre 1940
Lasciata Palermo, il
convoglio giunge a Napoli alle 15.40.
13 dicembre 1940
La Cascino e la torpediniera Enrico Cosenz salpano da Napoli
alle due di notte, scortando un convoglio composto dai trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco
Polo, diretti a Tripoli.
A Palermo le due
torpediniere vengono sostituite nella scorta dalla XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Luca Tarigo, Lanzerotto Malocello).
26 dicembre 1940
La Cascino e l’incrociatore ausiliario Città di Napoli salpano da Napoli alle
17 di scorta ai piroscafi Giovinezza,
Arsia e Capo Mele, diretti a Tripoli.
27 dicembre 1940
Alle 9, davanti a
Trapani, la Cascino lascia la scorta
del convoglio, che prosegue con la scorta del solo Città di Napoli (poi rinforzata dalla torpediniera Aretusa, inviata da Tripoli) e
l’aggiunta del piroscafi Dielpi,
uscito da Trapani.
31 dicembre 1940
Alle 19 la Cascino parte da Napoli per scortare a
Tripoli la motonave Riv.
2 gennaio 1941
Cascino e Riv arrivano a
Tripoli alle 16.
3 gennaio 1941
Cascino e Riv lasciano Tripoli
alle 18, dirette a Palermo.
4 gennaio 1941
Cascino e Riv raggiungono
Palermo alle 9.30.
13 febbraio 1941
Alle 00.15 la Cascino parte da Napoli scortando la
motonave Rialto ed i piroscafi Istria e Beatrice Costa, diretti a Tripoli con automezzi dei primi scaglioni
dell’Afrika Korps.
15 febbraio 1941
Alle 9, a Palermo, la
Cascino lascia il convoglio e viene
sostituita nella scorta dalla torpediniera Alcione.
Rientrata a Napoli,
alle 11.30 ne riparte insieme alla torpediniera Rosolino Pilo, nel ruolo di caposcorta di un convoglio diretto a
Tripoli e composto dal piroscafo Caffaro
e dalle motonavi Andrea Gritti e Sebastiano Venier.
17 febbraio 1941
Alle cinque il
convoglio viene infruttuosamente attaccato da un sommergibile al largo
dell’isola di Kuriat, che lancia dei siluri contro l’Andrea Gritti.
Le navi arrivano a
Tripoli tra le 20 e le 24.
27 o 28 marzo 1941
La Cascino, uscita da Napoli, va a
rinforzare la scorta del piroscafo tedesco Leverkusen,
partito da Tripoli a mezzogiorno del 26 insieme alla torpediniera Antonio Mosto e diretto nel porto
partenopeo, dove giunge a mezzogiorno del 28.
7 aprile 1941
La Cascino e le più moderne torpediniere Castore e Calliope (caposcorta) salpano da Tripoli alle 6.30 per scortare a
Napoli il piroscafo Amsterdam e la
motonave Giulia.
8 aprile 1941
Alle 00.05 il
sommergibile britannico Upright
(tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista in posizione 34°30’ N e
12°51’ E (un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli) un convoglio
composto da tre navi mercantili e due navi scorta, con rotta 350° e su
rilevamento 143°; alle 00.21 il sommergibile attacca col lancio di due siluri
contro i due mercantili di testa, che si “sovrappongono” nella visione del
periscopio presentando un unico bersaglio, e poi altri due contro il mercantile
di coda, il più grande. Nessuna delle armi va a segno.
L’identificazione di
questo convoglio è incerta; secondo una fonte (Historisches Marinearchiv)
sarebbe stato quello composto da Cascino,
Castore, Calliope, Giulia ed Amsterdam, mentre secondo un’altra
(Uboat.net) sarebbe stato un altro, formato dai trasporti truppe Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco Polo scortati dai
cacciatorpediniere Euro, Luca Tarigo, Lampo e Baleno.
9 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.30.
La Cascino (a sinistra) ad Ancona insieme alle gemelle Generale Antonio Chinotto e Generale Achille Papa (g.c. STORIA militare) |
8 giugno 1941
La Cascino viene inviata nel Golfo di
Policastro per dare la caccia al sommergibile britannico Clyde, che alle 18.30 ha affondato il piroscafo Sturla al largo di Sapri (quindici
miglia ad ovest di Scalea ed a cinque miglia da Maratea). Non riesce a
trovarlo.
25-27 giugno 1941
Insieme alla
cacciatorpediniere Antoniotto
Usodimare, la Cascino viene
incaricata delle operazioni preliminari alla posa della spezzata "S
2" del campo minato "S" (uno sbarramento di mine offensivo
posizionato tra Capo Bon e le isole Egadi, e composto da varie spezzate), vale
a dire il segnalamento delle estremità della linea di posa mediante boette, la
verifica della posizione delle boette che contrassegnano l’estremità della
vicina spezzata "S 1" (posata in precedenza), lo scandagliamento del
fondale, il dragaggio preventivo ed il rastrellamento antisom, il tutto sotto
la direzione del contrammiraglio Luigi Notarbartolo, comandante del Settore
Militare Marittimo di Trapani.
La Cascino, in particolare, effettua
dragaggio preventivo della zona designata per la posa con i suoi paramine.
28 giugno 1941
Ha luogo la posa
della spezzata "S 2" da parte degli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e dei cacciatorpediniere Emanuele Pessagno ed Antonio Pigafetta. La Cascino attende l’arrivo delle navi
adibite alla posa nei pressi della boa che segna l’estremità occidentale del
previsto sbarramento, ed all’inizio della posa, alle 6.54, si allontana per non
essere d’intralcio.
29/30 giugno 1941
La Cascino va a sostituire la gemella Papa nella scorta al piroscafo Ogaden, partito da Tripoli alle 5.30 del
28 e che arriverà a Palermo alle 9.30 del 30.
4 agosto 1941
Il marinaio
cannoniere Cosimo Sofio della Cascino,
21 anni, da Bagnara Calabra, muore in territorio metropolitano.
30 settembre-1° ottobre 1941
La Cascino e la torpediniera Giuseppe Dezza vengono inviate al
largo di Trapani a cercare il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), che il 24
settembre ha sbarcato sulla costa siciliana, presso Capo Gallo, vicino a
Palermo, un agente francese, Alfred Rossi (ebreo francese, nato a Beirut ma
residente in Tunisia allo scoppio della guerra, dopo l’adesione delle autorità
coloniali francesi in Tunisia al regime di Vichy si è unito ad una rete di
resistenza clandestina, per poi fuggire a Malta nell’estate 1941). Questi,
provvisto di 100.000 lire e di una radio trasmittente, ha nascosto radio e
denaro e si è recato a Palermo, ma è stato subito notato e posto sotto sorveglianza
dal SIM (Servizio Informazioni Militare, il servizio segreto del Regio
Esercito): dopo essere stato seguito per sei giorni, è stato catturato mentre
tornava al suo nascondiglio nella notte tra il 30 settembre ed il 1° ottobre
(data in cui il sommergibile sarebbe dovuto tornare a prenderlo), e per avere
salva la vita, ha accettato di collaborare con i servizi italiani. Cascino e Dezza, insieme ai MAS 531
e 543, vengono inviate alla ricerca
dell’Urge e riescono quasi a localizzarlo,
ma questi riesce a sfuggire alla trappola. Cascino
e Dezza verranno poi rilevate nella
caccia dalle torpediniere Cigno e Climene, uscite da Trapani a tale scopo.
Rossi, operando per
conto del SIM, si metterà in contatto con la sua radio con i servizi segreti
britannici e trasmetterà loro, nei mesi a venire, informazioni false prodotte
dal controspionaggio italiano per intralciare l’attività dell’MI6. I britannici
si accorgeranno dell’inganno soltanto nel febbraio 1942, quando l’Urge sarà
oggetto di un’altra trappola, anche stavolta fallita, nel tentativo di portare
del denaro a Rossi: stavolta la “coincidenza” della presenza di unità italiane
all’appuntamento non potrà più essere ignorata dall’MI6.
10 ottobre 1941
Nelle prime ore della
notte la Cascino esce da Trapani scortando
il piroscafo Nirvo, che si deve
aggregare al convoglio «Giulia», proveniente da Napoli e diretto a Tripoli,
formato dalla motonave Giulia, dalla
nave cisterna Proserpina (carica di
5713 tonnellate di carburante) e dai piroscafi Bainsizza, Zena e Casaregis, scortati dai
cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta,
capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere,
Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Subito dopo la
partenza, il Nirvo è costretto ad
invertire la rotta e tornare in porto (alle 2.30), a causa di un’avaria di
macchina, mentre la Cascino prosegue
egualmente e va a rinforzare la scorta del convoglio. Successivamente anche il Bainsizza subisce un’avaria e lascia il
convoglio, entrando a Trapani alle 16.
Il resto del
convoglio imbocca la rotta del canale di Sicilia alla velocità di 9 nodi.
Proprio in questi
giorni, tuttavia, l’organizzazione britannica "ULTRA" ha dato inizio
alla sua attività di intercettazione e decrittazione sistematica dei messaggi
relativi ai convogli italiani diretti in Nordafrica. Dopo il successo isolato
dell’affondamento della motonave Barbarigo nel luglio 1941, l’attacco al
convoglio «Giulia» rappresenterà il primo di una lunga serie di successi
ottenuti dai britannici grazie ai decrittatori di "ULTRA".
L’8 ottobre, infatti,
questa organizzazione ha annunciato ai comandi britannici, sulla scorta di
messaggi decrittati, che «Il
convoglio Casaregis, comprendente il Casaregis (6485 tsl),
lo Zena (5219), il Giulia (5921),
il Bainsizza (7933) ed il Proserpina (?) parte da Napoli
alle 21.30 del giorno 8, transitando ad occidente (di Malta) diretto a Tripoli
alla velocità di 9 nodi. Orario di arrivo ore 18.00 del giorno 11. Scorta 4
cacciatorpediniere. Il Nirvo (5164) ed il ct Cascino si
uniranno al convoglio al largo di Trapani». Il giorno seguente
"ULTRA" ha segnalato l’avvenuta partenza del convoglio, confermando
le informazioni del giorno precedente ed aggiungendone altre sull’entità della
scorta e sul previsto orario di arrivo a Tripoli: «Casaregis, Zena, Giulia, Bainsizza, Proserpina, Nirvo,
scortati da 5 Ct, sono salpati da Napoli alle 21.30 del giorno 8, velocità 9
nodi, per giungere a Tripoli alle 18.00 del giorno 11». Il 10 ottobre, sulla
base delle informazioni di "ULTRA", vengono fatti decollare da Malta
dei ricognitori, che trovano il convoglio alle 12.45 circa 35 miglia a sud di
Pantelleria.
Per tutta la giornata
del 10 ottobre, le navi del convoglio «Giulia» vengono sorvolate da aerei da
caccia ed antisommergibile dell’Aeronautica della Sicilia (che per la scorta
aerea del convoglio mobilita in tutto venti caccia e dodici bombardieri, questi
ultimi dei Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero"), che tengono lontani
gli aerei britannici di base a Malta, nonostante la notevole vicinanza
dell’isola e la scarsa velocità del convoglio (ma non riescono ad impedire il
suo avvistamento da parte dei ricognitori).
Al tramonto, tuttavia,
la scorta aerea deve come sempre lasciare il convoglio; le navi assumono allora
la formazione per la navigazione notturna, con i mercantili in doppia linea di
fila ed i cacciatorpediniere (eccetto l’Alpino,
che si posiziona in coda al convoglio) tutt’intorno.
Il cielo è sereno con
ottima visibilità, il mare calmo.
Alle 22.45, dopo un
paio d’ore di navigazione indisturbata, i primi aerei britannici fanno la loro
comparsa nelle vicinanze del convoglio «Giulia», e presto si scatenano gli
attacchi aerei, che proseguono fino all’alba. Mercantili e scorta reagiscono
con la manovra e con cortine nebbiogene, sparando qualche raffica di
mitragliera quando c’è speranza di colpire qualcosa. Per un’ora è possibile
contenere gli attacchi, ed i trasporti evitano alcuni siluri, ma alle 23.45,
durante un attacco da parte di sette aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm (sono decollati da Malta in dieci, al comando del capitano
di corvetta Hunt: tre sono dovuti rientrare per problemi meccanici), si ha la
prima vittima: lo Zena, colpito
da un siluro all’altezza della sala macchine.
L’Alpino riceve ordine di fornire
assistenza alla nave colpita.
11 ottobre 1941
Dato che gli aerei
britannici si accaniscono sull’immobilizzato Zena, alle 00.15 anche il caposcorta Granatiere inverte la rotta per recarsi in soccorso del
piroscafo, che galleggia ancora.
Il resto del
convoglio prosegue invece sotto la guida del Bersagliere, cui alle 00.20 il caposcorta ha delegato la direzione
del convoglio fino al suo ritorno.
All’1.05 il Granatiere, informato dall’Alpino circa la situazione
dello Zena, torna verso il
convoglio, accelerando a 18 nodi per raggiungerlo più in fretta. L’Alpino tenta di prendere lo Zena a rimorchio, ma alle tre di
notte il piroscafo s’inabissa in posizione 34°52’ N e 12°22’ E (una quarantina
di miglia a sud di Lampedusa).
Nel frattempo, il
tempo è cambiato: il cielo è andato coprendosi di nuvolaglia, e si è anche
alzato un po’ di vento e di mare da libeccio.
Il Granatiere torna ad assumere la sua
posizione in formazione, ed il suo ruolo di caposcorta, alle 2.20. Di quando in
quando i piroscafi, che proseguono su rotta 164°, sparano qualche raffica di
mitragliera contro sagome di aerei veri o presunti, apparsi nella notte.
Alle 4.15 Supermarina
comunica al caposcorta che è probabile un ulteriore attacco di aerosiluranti,
ed alle 5.45, puntualmente, vengono avvistati degli aerei (sono ancora
Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. di Malta): viene subito
lanciato l’allarme, mentre i primi bengala si accendono nel cielo. Tutte le
navi del convoglio iniziano il tiro contraereo, e manovrano per diradarsi e
ridurre quindi la probabilità che i siluri vadano a segno.
Varie esplosioni
subacquee, di bombe o siluri, si susseguono alle 5.51, alle 5.56 ed alle 5.58;
alle 6.10 il Granatiere vede
uno Swordfish che vola molto basso sul mare, sulla sua dritta. Il biplano
dirige per lanciare nella direzione del cacciatorpediniere; il caposcorta
Capponi può vedere il momento del lancio del siluro, e lo spruzzo d’acqua
sollevato dall’impatto dell’arma con la superficie del mare. Il Granatiere accelera e mette tutta
la barra a sinistra, per evitare il siluro; dopo parecchi secondi, l’arma
colpisce invece il Casaregis, che si
trova a prora a dritta del cacciatorpediniere.
Alle 6.30, Capponi
ordina al Bersagliere di
recuperare l’equipaggio del piroscafo silurato; trovandosi già nei pressi,
anche il Granatiere rimane
per fornire assistenza.
Alle 6.45, le prime
luci dell’alba mostrano il Casaregis traversato
al mare, fortemente sbandato a sinistra, con la prua sommersa fino alle cubie;
il piroscafo scarroccia verso nordovest, circondato da innumerevoli zatterini
ed imbarcazioni cariche di naufraghi.
Granatiere e Bersagliere,
per recuperare prima possibile tutti i superstiti, si mettono entrambi a trarre
in salvo i naufraghi. Alle 6.47, intanto, l’Alpino riferisce
di aver abbattuto un aereo, che precipita nelle sue vicinanze.
Le sempre più
precarie condizioni del Casaregis,
sul quale scoppia anche un incendio, impediscono il rimorchio, anche se la nave
ci metterà parecchie ore ad affondare, tanto che a mezzogiorno il Bersagliere, su ordine del caposcorta,
dovrà finirlo a cannonate, affondandolo in posizione 34°02’ N e 12°42’ E (per
altra fonte 34°10’ N e 12°38’ E), circa ottanta miglia a nord-nord-ovest di
Tripoli.
Alle 16.30 le unità
superstiti del convoglio arrivano a Tripoli.
14 ottobre 1941
La Cascino salpa da Tripoli e viene inviata
incontro ad un convoglio in arrivo dall’Italia, composto dai piroscafi Nirvo e Bainsizza e dal rimorchiatore tedesco Max Berendt, scortati dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao
Esposito) e Sebenico. All’1.45 della
notte il Bainsizza è stato colpito da
aerosiluranti, rimanendo immobilizzato con l’assistenza del Max Berendt e la scorta del Sebenico (affonderà l’indomani); la Cascino raggiunge il gruppo costituito
dall’indenne Nirvo e dal Da Recco, che hanno proseguito dopo
l’attacco, rinforzandone la scorta nel tratto finale della navigazione fino
all’arrivo a Tripoli, dove le tre navi giungono alle 12.30.
19 ottobre 1941
La Cascino, insieme ai rimorchiatori Marsigli e Max Barendt, salpa da Tripoli su ordine del locale Comando Marina,
per andare in soccorso del piroscafo Caterina,
colpito da un aerosilurante alle 23.45 del giorno precedente in posizione
34°04’ N e 12°55’ E.
Alle 17.30, dopo vani
tentativi di rimorchio, il Caterina
cola a picco a 62 miglia per 350° da Tripoli; la Cascino trae in salvo i 185 superstiti, su 199 uomini che erano
imbarcati sul piroscafo.
Secondo altra
versione, invece, i naufraghi del Caterina
sarebbero stati recuperati dal cacciatorpediniere Alfredo Oriani, mentre la Cascino,
insieme alla torpediniera Calliope,
al cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco
ed ai rimorchiatori Ciclope
(italiano) e Max Berendt (tedesco,
inizialmente inviato in aiuto del Caterina),
tutti usciti da Tripoli, sarebbe stata inviata in soccorso del piroscafo Beppe, appartenente allo stesso
convoglio del Caterina e silurato
anch’esso, ma da un sommergibile (l’HMS Ursula).
A differenza del Caterina, il Beppe, dopo tre giorni di difficile
navigazione a rimorchio, riuscirà a raggiungere Tripoli alle otto del mattino
del 21 ottobre.
26 ottobre 1941
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi
alle 16, scortando il piroscafo italiano Pertusola
ed il piroscafo tedesco Brook.
29 ottobre 1941
Il convoglietto
giunge a Bengasi alle 14.
(da www.photoship.co.uk) |
10 novembre 1941
La Cascino e la più moderna torpediniera Calliope (caposcorta) partono da Bengasi
a mezzogiorno per scortare a Tripoli i piroscafi Ascianghi, Imperia e Pertusola (quest’ultimo a rimorchio
dell’Imperia).
11 novembre 1941
Alle 16.15 il
sommergibile britannico Ursula
(tenente di vascello Arthur Richard Hezlet), in agguato venti miglia a sudest
di Misurata, avvista fumo verso sud, ed alle 17.30 avvista il convoglio di cui
fa parte la Cascino. Hezlet stima la
composizione del convoglio come “due navi mercantili (una di 2000 tonnellate,
una di 1000 tonnellate che stava rimorchiando un veliero)” con la scorta di due
torpediniere, una delle quali viene identificata come appartenente alla classe
Spica (la Calliope), mentre la Cascino viene addirittura identificata
per nome dal comandante britannico. Alle 17.52, in posizione 32°07’ N e 15°26’
E, l’Ursula lancia tre siluri contro
il mercantile più grande (il Pertusola),
ma questi avvista le scie ed evita i siluri con la manovra, dopo di che alle
17.55 sia la Cascino che la Calliope accostano verso il
sommergibile. L’Ursula scende in
profondità e si prepara a subire la caccia, che puntualmente ha luogo dalle 18
alle 18.10 con il lancio di 14 bombe di profondità da parte della Calliope; tutte esplodono piuttosto
vicine al sommergibile, che tuttavia non subisce danni (da parte italiana,
avendo avvertito tre esplosioni subacquee e visto della nafta in superficie, si
ritiene erroneamente di averlo affondato).
12 novembre 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 14.50, dopo di che la Cascino
viene inviata all’assistenza del piroscafo Priaruggia
al largo di Misurata, dopo che questa nave è stata danneggiata da un attacco di
bombardieri britannici durante la navigazione in convoglio da Tripoli a
Bengasi. Da Tripoli viene inviato sul posto anche il rimorchiatore Ciclope, che tuttavia non riesce a
prendere il Priaruggia a rimorchio ed
è costretto a tornare in porto; la Cascino
rimane ad assistere il piroscafo, che rimane all’ancora al largo di Misurata.
Successivamente il Ciclope, tornato sul posto, riesce a
prendere il Priaruggia a rimorchio e
dirige verso Tripoli, con la scorta della Cascino.
13 novembre 1941
Cascino, Ciclope e Priaruggia arrivano a Tripoli.
23 novembre 1941
La Cascino viene inviata da Tripoli a
Buerat per assumere la scorta di un convoglio proveniente da Bengasi e diretto
a Tripoli, composto dal Brook e dalla
piccola motonave frigorifera Amba Aradam,
scortati dalla cannoniera-cacciasommergibili Selve.
Dopo l’arrivo della Cascino, il convoglietto lascia Buerat
alla volta di Tripoli alle 7.45.
24 novembre 1941
Le navi giungono a
Tripoli alle 9.15.
27 novembre 1941
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi
alle 21, scortando il Brook, la
motonave frigorifera Emilio e la
piccola motocisterna Labor.
30 novembre 1941
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 11.30.
1° dicembre 1941
Alle 18 la Cascino parte da Bengasi per scortare a
Tripoli il piroscafo tedesco Spezia.
4 dicembre 1941
Cascino e Spezia giungono a
Tripoli alle 9.
17 dicembre 1941
La Cascino, insieme al rimorchiatore Ciclope ed alla nave soccorso Laurana, viene inviata in soccorso della
nave cisterna Lina, colpita da
aerosiluranti in posizione 33°58’ N e 12°03’ E; la petroliera affonderà però
ugualmente.
18 dicembre 1941
La Cascino salpa da Tripoli per Bengasi
alle 21, scortando il rimorchiatore Ercole.
21 dicembre 1941
Cascino ed Ercole giungono a
Bengasi a mezzogiorno; sei ore più tardi la Cascino
ne riparte di scorta alla motonave tedesca Ankara,
diretta a Tripoli con a bordo 1400 prigionieri britannici.
23 dicembre 1941
Cascino ed Ankara arrivano a
Tripoli alle 13.45.
5 gennaio 1942
Alle 14.30 la Cascino salpa da Tripoli per scortare a
Palermo, via Trapani, il piroscafo frigorifero Perla (capitano di lungo corso Renato Labriola), di ritorno scarico
in Italia.
I comandi britannici
vengono a sapere della partenza delle due navi il giorno stesso, grazie alle
decrittazioni di “ULTRA” («Il Perla scortato
dalla torpediniera Cascino deve lasciare Tripoli alle ore 17.00 del
giorno 5 diretto a Palermo, velocità 7 nodi, dove dovrà arrivare alle 08.00 del
giorno 8»).
6 gennaio 1942
In serata Cascino e Perla, ormai non lontane da Pantelleria, vengono avvistate da un
ricognitore britannico, che illumina il Perla con un lancio di bengala; qualche ora dopo, durante la
notte, le due navi vengono attaccate da bombardieri, ma non subiscono
danni (gli aerei si limitano a sganciare poche bombe mentre sorvolano i due
bastimenti).
7 gennaio 1942
Alle 4.20 piroscafo e
torpediniera vengono nuovamente attaccati, stavolta da due o quattro
aerosiluranti Fairey Albacore (appartenenti all’828th Squadron
della Fleet Air Arm, di base a Malta), quando sono a 35 miglia per 215° da
Pantelleria. La reazione della Cascino costringe
gli aerei a lanciare i loro siluri dalla notevole distanza di 2000 metri; anche
così, però, una delle armi colpisce il Perla,
decretandone la fine. Dopo ore di sforzi per mantenerlo a galla, l’equipaggio deve
abbandonarlo; il comandante del piroscafo, resosi conto che un fuochista manca
all’appello, ritorna a bordo con tre volontari e trova e porta in salvo il
disperso, rimasto ferito.
La Cascino recupera tutti i 78 uomini
dell’equipaggio del Perla; non vi
sono vittime. Dopo un’agonia protrattasi per quasi dieci ore, alle 14.15 il
piroscafo si abbatte sul fianco sinistro ed affonda venti miglia a sud di
Pantelleria.
Alla Cascino non rimane che dirigere per
Trapani, dove giunge alle 15.15, sbarcandovi i naufraghi.
La Cascino nel 1942 (foto Signoriniello, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
11 maggio 1942
La Cascino, insieme all’incrociatore
ausiliario Lorenzo Marcello ed alla
torpediniera Francesco Stocco, scorta da Bari a Durazzo i
piroscafi Italia e Rosandra carichi di truppe e
rifornimenti.
16 maggio 1942
La Cascino, insieme a Stocco e Marcello, scorta
Italia e Rosandra carichi di truppe rimpatrianti da Durazzo a Bari.
Maggio 1942
La Cascino, insieme alle gemelle Cantore, Montanari e Prestinari, forma
il III Gruppo Torpediniere, alle dipendenze del Comando Marina di Bengasi.
28 maggio 1942
La Cascino scorta la nave cisterna Dora C. da Bari a Valona.
30 maggio 1942
La Cascino, la torpediniera Giacomo Medici e l’incrociatore
ausiliario Brioni scortano da Bari a
Durazzo i piroscafi Italia, Chisone e Rosandra, carichi di truppe e materiali.
8 giugno 1942
Cascino, Medici e Brioni scortano il Rosandra ed un altro piroscafo, l’Aventino, da Bari a Durazzo con un truppe e materiali.
27 luglio 1942
Cascino e Brioni scortano il
piroscafo Quirinale, carico di truppe
e materiali, da Bari a Durazzo.
17 agosto 1942
Alle 13.58 il
sommergibile britannico P 43 (tenente
di vascello Arthur Connuch Halliday) avvista ad ovest dell’isola di Santa Maura
(Leucade), verso nord, le alberature della motonave Chisone, scortata dalla Cascino.
Halliday identifica i suoi bersagli come “un mercantile parzialmente carico
diretto verso sud… scortato da una torpediniera italiana vecchio tipo”; un
aereo, o forse due (uno è stato visto dal P
43 già alle 13.50, verso sud), è intento a pattugliare la zona. Il
sommergibile manovra per attaccare, ed alle 14.24, in posizione 38°42’ N e
20°31’ E, lancia quattro siluri contro la Chisone
da una distanza di 1830 metri; uno dei siluri, al momento del lancio, produce
uno schizzo d’acqua, che Halliday ritiene sia stato notato dalle navi italiane.
Subito dopo il lancio, il P 43 scende
in profondità.
La Chisone avvista le scie di tre dei
siluri, e riesce ad evitarli con una rapida accostata, vedendoli poi passare a
poca distanza a proravia; la Cascino
passa al contrattacco, lanciando nove bombe di profondità tra le 14.32 e le
14.46, ed anche un velivolo della scorta aerea interviene e sgancia un paio di
bombe. Il sommergibile subisce soltanto danni lievi.
18 agosto 1942
La Cascino scorta da Patrasso a Navarino la
piccola nave frigorifera Genepesca I.
26 agosto 1942
La Cascino (tenente di vascello Gustavo
Galliano, 42 anni, da Torino) parte da Suda alle 23, scortando, insieme al cacciatorpediniere
tedesco ZG 3 Hermes (caposcorta)
ed alla torpediniera italiana Sirio,
un convoglio formato dai piroscafi Istria
e Dielpi e dalle motozattere MZ 744 e MZ 758.
Poco dopo la
partenza, il convoglio si divide in due gruppi, che proseguono separatamente: la
Cascino dirige per Bengasi scortando il Dielpi, mentre le altre navi fanno rotta
verso Tobruk. (Secondo altra fonte, Cascino
e Dielpi nelle prime ore di
navigazione navigarono insieme non ad Istria,
Sirio ed Hermes, bensì alle motonavi Tergestea
e Manfredo Camperio, ai
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco
e Giovanni Da Verrazzano ed alle
torpediniere Polluce e Climene, dirette anch’esse in
Cirenaica).
Il convoglietto Cascino-Dielpi fruisce di una scorta aerea di tre bombardieri, cioè un
trimotore CANT Z. 1007 bis della 230a Squadriglia, 95° Gruppo,
35° Stormo da Bombardamento Terrestre della Regia Aeronautica, e due bimotori
Junkers Ju 88 della Luftwaffe.
(Per altra fonte, Cascino e Dielpi partirono da Suda contemporaneamente, ma non insieme, a
quattro altri convogli – motonavi Tergestea e Manfredo Camperio,
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, torpediniere Polluce e Climene; motonave Unione e
cacciatorpediniere Folgore; nave
cisterna Giorgio,
piroscafo Anna Maria Gualdi,
torpediniere Sirio, Orsa e Partenope; piroscafo Istria,
cacciatorpediniere Hermes,
torpediniera Pegaso –; Cascino e Dielpi navigarono per un breve tratto insieme al
convoglio Tergestea-Camperio, da cui poi si separarono).
Già da giorni, però,
le navi del convoglio sono “tenute d’occhio” da “ULTRA”. Già il 21 agosto un
primo dispaccio di “ULTRA” ha menzionato, tra le altre cose, che «La petroliera Poza Rica ed il Dora, scortati
da Aviere, Camicia Nera, Ciclone e Climene, hanno lasciato Messina alle 23.45
del 19. Il convoglio deve passare lungo le coste greche e unirsi al Dielpi che
uscirà da Patrasso alle 5.30 del 22. Alle 21.00 del 23 il convoglio si
dividerà: Dielpi e Dora procederanno per Tobruk dove essi arriveranno alle
17.00 del 24 (…)». Dopo il danneggiamento della Poza Rica ad opera di aerosiluranti
britannici (la petroliera non è affondata, ma la si è dovuta portare ad
incagliare a Corfù), però, i programmi sono cambiati, così il 22 agosto, sulla
scorta di nuove intercettazioni, “ULTRA” riferisce invece ai comandi britannici
che «…Il Dielpi che doveva congiungersi
al convoglio Poza Rica è stato inviato a Suda insieme all’Istria, entrambi
provenienti dal Pireo. Dielpi e Kreta probabilmente procederanno da Suda per
Tobruk». Il 23 agosto quest’ultima affermazione è stata reiterata («Il Dielpi ed il Kreta lasceranno la baia di
Suda per Tobruk»), mentre il 25 agosto sono stati aggiunti maggiori
particolari: «Il Dielpi dovrà salpare da
Suda alle 12.00 del 26 e arrivare a Bengasi alle 16.00 del 28, velocità 7 nodi».
La penultima comunicazione di “ULTRA”, quella del 26, non aggiunge nulla di
nuovo rispetto a quanto già si sa («Il Dielpi
deve giungere a Bengasi il 28 agosto da Suda»). Nelle prime ore del 27
agosto, infine, i decrittatori di “ULTRA” decifrano una comunicazione della
Luftwaffe del mattino del 24 agosto (MKA 2628) relativa all’assegnazione della
scorta aerea al Dielpi, nella quale
è menzionata, tra l’altro, la rotta che questo dovrà seguire, con gli orari ed
i punti previsti per l’incontro con gli aerei tedeschi. L’importante
informazione viene trasmessa al Cairo con un dispaccio d’emergenza.
27 agosto 1942
In mattinata il convoglio
Cascino-Dielpi viene avvistato da un Supermarine Spitfire del 69th Squadron
della RAF, il BR663 pilotato dal sottotenente Coldbeck (altra fonte parla di un
ricognitore britannico decollato dall’Egitto), un centinaio di miglia a nord di
Derna. Un ricognitore Martin Baltimore, l’AG375 pilotato dal sergente Shulman, viene
inviato a pedinare il convoglietto, mentre si prepara un attacco di
aerosiluranti.
Quest’ultimo ha luogo
al largo di Tolmetta (Cirenaica) verso le 18.30, mentre il sole tramonta: ad
attaccare il Dielpi sono
nove (per altra fonte sette) aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron
della Royal Air Force (altra fonte parla del 217th Squadron),
guidati dal tenente Ken R. Grant (altra fonte parla del maggiore Patrick Gibbs)
e scortati da nove o dieci caccia Bristol Beaufighter del 227th Squadron,
al comando del tenente colonnello Donald Ross Shore, quattro (o cinque) dei
quali dotati di bombe da 250 libbre (113 kg).
Sulla base di
informazioni (evidentemente le citate decrittazioni di “ULTRA”) che riferivano
che il Dielpi era in
navigazione da Suda a Bengasi con la scorta di un’unica torpediniera, gli aerei
britannici sono decollati dalla base maltese di Luqa verso le quattro del
pomeriggio, per poi dirigersi verso il loro obiettivo volando bassi sul mare,
osservando un rigido silenzio radio. I Beaufighters, per tenere il passo dei
più lenti Beauforts, compiono dei leggeri zig zag.
Quando vengono
avvistate le navi italiane, ad una sessantina di miglia dalla costa libica, il
tenente Grant spara un razzo Very giallo, segnale che gli aerosiluranti sono
pronti per l’attacco. A questo punto, i Beaufighters sfrecciano in avanti, ed i
quattro che sono armati con bombe le sganciano contro il Dielpi, mentre tutti ne spazzano il
ponte con le mitragliatrici. Altri Beaufighters, intanto, mitragliano la Cascino, forandone lo scafo in alcuni
punti e provocando alcuni allagamenti di limitata entità.
Due delle bombe
sganciate centrano il Dielpi; il
Beaufighter del tenente colonnello Shore, in particolare, rivendica una bomba a
segno sulla poppa. I fusti di benzina trasportati dal piroscafo prendono fuoco,
dando inizio ad un incendio che va rapidamente estendendosi. Il quinto
Beaufighter della formazione, il T5150 ‘K’ pilotato dal sottotenente canadese
Dallas W. Schmidt (arrivato a Malta da pochi giorni insieme al suo navigatore,
il sergente scozzese Andrew B. Campbell), è l’ultimo ad attaccare, essendo
l’ultimo nel gruppo dei Beaufighters privi di bombe; mentre risale dal livello
del mare per prepararsi alla picchiata, Schmidt avvista davanti a sé un
bombardiere italiano CANT Z. 1007, parte della scorta aerea del convoglio (è
appunto il CANT Z. 1007 bis del 35° Stormo, pilotato dal sottotenente Giuseppe
Vulcani). Schmidt vira subito a sinistra e si porta alle spalle dell’aereo
italiano, che apre il fuoco contro di esso con le due mitragliatrici ventrali
da 12,7 mm. Il tiro del CANT Z. colpisce sia il motore di sinistra del
Beaufighter di Schmidt che le mitragliatrici della sua ala destra, mettendo
queste ultime fuori uso; l’aereo britannico reagisce con i quattro cannoncini e
con le mitragliere rimaste in efficienza, distruggendo la coda del trimotore
italiano con la prima raffica – o almeno così riterrà – ed incendiando il suo
motore destro con la seconda, mentre dopo pochi secondi anche il motore
sinistro del bombardiere subisce la stessa sorte. Il CANT Z. 1007 inizia a
precipitare, sempre seguito dal Beaufighter, finché improvvisamente i due
motori incendiati esplodono ed il velivolo precipita in mare, o così crede
Schmidt, che osserva l’ultima fase dell’apparente agonia dell’aereo italiano
“di sbieco”, attraverso uno dei finestrini laterali, perché quelli anteriori sono
stati completamente “oscurati” dall’olio gettato su di essi dall’esplosione dei
motori dell’aereo italiano. È probabilmente per questo che il pilota canadese
ha preso un granchio: per quanto malridotto, il CANT Z. 1007 del sottotenente
Vulcani (matricola MM 23406, aereo numero 5 della 230a Squadriglia)
non precipita in mare, ma riesce a raggiungere Derna dove effettua un
atterraggio d’emergenza, senza feriti tra il suo equipaggio (il sottotenente
Vulcani, il copilota sergente maggiore Luigi Di Lallo, ed altri tre
uomini).
Schmidt rientrerà a
sua volta alla base con il suo aereo danneggiato: il motore di sinistra, per
quanto sforacchiato, funziona ancora, perdendo però parecchio olio e carburante
(finiranno entrambi nell’istante stesso dell’atterraggio a Luqa; dopo
l’atterraggio Schmidt scoprirà che i colpi di mitragliatrice del CANT Z. hanno
spazzato via le valvole di selezione del carburante, ma per sua fortuna aveva
già impostato l’alimentazione dai serbatoi principali prima dell’attacco).
Meno fortuna ha un
altro dei Beaufighters, il X8035 ‘J’ del 227th Squadron, che
viene abbattuto dalle mitragliere dell’aereo di Vulcani, con la morte dei due
componenti del suo equipaggio (sergenti Kenneth Seddon ed Eric O’Hara). Come ha
fatto Schmidt, anche da parte italiana si pecca di ottimismo nel valutare le
perdite inflitte all’avversario: i mitraglieri del CANT Z. 1007 ritengono di
aver abbattuto due Beaufighters, anziché uno (forse l’altro Beaufighter
“abbattuto” è proprio quello di Schmidt: nel qual caso si avrebbe un caso di
reciproco, erroneo, rivendicato abbattimento). Per parte sua, il maggiore W. C.
Wigmore, pilota del Beaufighter T4666 ‘Y’ del 227th Squadron,
rivendica erroneamente il probabile abbattimento di uno Ju 88.
Mentre infuria la
battaglia tra i Beaufighters ed i velivoli della scorta aerea, alle 18.38 (o
18.30; le 18.45 secondo fonti britanniche), anche gli aerosiluranti sono andati
all’attacco: due dei siluri centrano il Dielpi, che esplode e si spezza in due, affondando in fiamme in
meno di due minuti, nel punto 33°38’ N e 21°03’ E (o 33°38’ N e 21°23’ E), a
nord di Tolmetta/Tolemaide e circa 80-90 miglia a nord di Derna.
I piloti britannici
riferiranno nei loro rapporti di aver lasciato il bersaglio “in fiamme ed in affondamento, con il ponte
semisommerso e la chiglia spezzata”. Dopo l’attacco, i Beauforts in fase di
allontanamento vengono attaccati dagli Ju 88, che sono però respinti dal pronto
intervento dei Beaufighters, senza riuscire ad abbattere nessuno degli
aerosiluranti.
Parecchi uomini del Dielpi si
sono gettati in mare già prima dell’esplosione finale; la Cascino, per prestare soccorso ai
naufraghi, non esita ad attraversare la zona di mare coperta di carburante in
fiamme. Grazie al pronto intervento della torpediniera, è possibile trarre in
salvo 60 dei 67 uomini che si trovavano a bordo del Dielpi. Le vittime sono sette; molti dei superstiti rimangono
feriti od ustionati.
Il comandante
Galliano della Cascino sarà decorato
con la Croce di Guerra al Valor Militare per questo salvataggio («Comandante di torpediniera, di scorta a
convoglio, attaccato da aerei nemici, che colpivano l’unità con azione di
mitragliamento, provocando l’allagamento di alcuni locali, manovrava
prontamente e dirigeva con tempestività e perizia l’impiego delle armi,
riuscendo ad abbattere e a colpire alcuni apparecchi attaccanti. Si prodigava
successivamente con abnegazione, nell’opera di salvataggio dei naufraghi di un
piroscafo silurato, resa difficile a causa dell’incendio del combustibile
riversatosi in mare, riuscendo a ridurre al minimo la perdita di vite umane»).
Analoga decorazione, per lo slancio mostrato nel salvataggio dei naufraghi, sarà
conferita al comandante in seconda della Cascino, sottotenente di vascello Franco Masala, ed al
guardiamarina Vittorio Janeke, nonché ai cinque uomini che hanno armato il
battello che provvede al salvataggio dei superstiti del Dielpi: il secondo nocchiere Edoardo
Ronda ed i marinai Carmelo Leonardi, Mario Befani, Giovanni Monti e Luigi Tota
(«Imbarcato su torpediniera di scorta a
convoglio, attaccato da aerei nemici che mitragliavano l’unità, assolveva il
suo compito con sereno coraggio e attaccamento al dovere. Durante le successive
operazioni di salvataggio del personale di un piroscafo silurato, imbarcava su
un battello e, incurante degli scoppi e dell’incendio del combustibile,
riversatosi in mare, provvedeva al recupero di numerosi naufraghi feriti e
ustionati, dimostrando perizia marinaresca ed elevato spirito di altruismo»).
28 agosto 1942
La Cascino salpa da Bengasi alle 20 per
scortare a Tripoli il piroscafo Scillin.
30 agosto 1942
Cascino e Scillin arrivano a Tripoli
alle 17.30.
6 settembre 1942
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi
alle 14, scortando il piroscafo tedesco Santa
Fe.
8 settembre 1942
Cascino e Santa Fe arrivano a
Bengasi alle 11.30.
Alle 19 la Cascino riparte insieme alla più moderna
torpediniera Castore (caposcorta)
scortando il piroscafo italiano Siculo
ed il tedesco Kreta, diretti a
Tobruk.
10 settembre 1942
Il convoglio giunge a
Tobruk alle 18.40.
La Cascino nel 1942-1943; sulla sinistra la Giacomo Medici (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
13 settembre 1942
La Cascino trae in salvo da nove lance
(altre due, separatesi dal gruppo dopo un tentativo di tornare a bordo per
salvare la nave, hanno raggiunto la costa autonomamente) i naufraghi della nave
ospedale Arno, affondata due giorni
prima da aerosiluranti britannici in posizione 33°14’ N e 23°23’ E, a circa 80
miglia da Tobruk ed a 40 da Ras el Tin. Essendo in viaggio di andata verso la
Libia, l’Arno non aveva
fortunatamente a bordo pazienti, ma soltanto l’equipaggio ed il personale
sanitario (più un gruppetti di sanitari tedeschi diretti in Africa); dopo aver
ordinatamente abbandonato la nave, che affondava molto lentamente (quasi dieci
ore sono trascorse tra il siluramento e l’inabissamento, permettendo ad un
gruppo di volontari di tornare a bordo per prelevare coperti, indumenti e
provviste), i naufraghi hanno trascorso sulle lance due giorni ed una notte. La
Cascino li porta a Tobruk.
14 settembre 1942
La Cascino si trova a Tobruk quando la
città libica viene attaccata a sorpresa, via mare e via terra, da commandos
britannici che tentano, con un colpo di mano, di occupare temporaneamente
Tobruk per distruggerne le installazioni militari: è l’operazione «Daffodil»,
parte della più ampia operazione «Agreement».
Il piano britannico
prevede che Tobruk sia attaccata contemporaneamente da commandos sbarcati dal
mare e da una colonna di camionette provenienti dal deserto, quindi occupata
per 24 ore, durante le quali distruggere le infrastrutture portuali, i mezzi
navali presenti in rada (tranne dieci motozattere delle migliori, da
catturare), i depositi di carburante dell’Afrika Korps, le officine per la
riparazione dei carri armati ed ogni altro deposito. Le dieci motozattere
trovate in miglior efficienza nel porto, inoltre, devono essere catturate ed
inviate ad Alessandria con a bordo prigionieri italiani, eventuali prigionieri
britannici liberati, feriti e materiale di bottino.
La forza navale
d’attacco britannica è suddivisa in due gruppi: la Forza A, con i
cacciatorpediniere Sikh e Zulu, che dovranno sbarcare 380 uomini (Royal
Marines, nonché un distaccamento di artiglieria contraerea e di difesa
costiera, ed una sottosezione della 295ª compagnia campale del Genio) a nord
del porto, poi entrare nel porto per distruggere le navi italiane lì presenti e
quindi reimbarcare i commandos e prendere nuovamente il largo; e la Forza C
(capitano di vascello Denis Jermain), con le motosiluranti MTB 260, 261, 262, 265, 266, 267, 268, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 314, 315 e 316 (appartenenti alla 10th e
15th Motor Torpedo Boat Flotilla ed aventi a bordo dieci soldati
ciascuna) e le motolance ML 349, 352 e 353 (che rimorchiano diversi piccoli mezzi da sbarco di fortuna),
che dovranno sbarcare in tutto 200 uomini (una compagnia del reggimento Argyll and
Sutherland Highlanders, il 1° plotone mitraglieri del reggimento Royal
Northumberland Fusiliers, due moto sezioni della 295ª compagnia campale del Genio,
un distaccamento di artiglieria contraerea, un distaccamento segnalatori
d’armata e un distaccamento di sanità; sulle motolancie è imbarcato un reparto
di guastatori e specialisti della Royal Navy, con le cariche e i mezzi di
demolizione, al comando del capitano di corvetta Nicholls) a sud del porto per
agire in coordinazione con la colonna di camionette giunta via terra (e, dopo
lo sbarco, entrare nella rada e silurare e affondare tutte le navi presenti).
Quest’ultima,
denominata Forza B, è composta da 18 camionette e da 83 uomini del Long Range
Desert Group; proveniente dall’oasi di Cufra, distante ben 1500 chilometri, dovrà
infiltrarsi nel perimetro difensivo di Tobruk alle 20.45 camuffando i suoi
uomini in parte da soldati tedeschi (a questo scopo, sono stati aggregati alla
Forza B sei uomini dello Special Interrogation Group, ebrei tedeschi fuggiti in
Palestina ed arruolatisi nell’esercito britannico: vestiti con divise
dell’Afrika Korps, guideranno quattro autocarri britannici camuffati con
insegne tedesche e carichi dei loro commilitoni, che si fingeranno prigionieri;
altri soldati britannici, anch’essi travestiti da soldati tedeschi, fingeranno
di sorvegliare i prigionieri) ed in parte da prigionieri di guerra, quindi
attaccare le forze italo-tedesche e creare una testa di sbarco per la Forza C,
conquistando per prima cosa una batteria situata a Marsa Sciausc, sul lato
orientale della baia, antistante il punto designato per lo sbarco della Forza C.
Una volta occupata Marsa Sciausc, tre motosiluranti della Forza C sbarcheranno
alle 00.30 un primo gruppo di 150 assaltatori, che rinforzeranno l’esigua Forza
B. Lo sbarco sarà appoggiato da un’altra formazione navale, la Forza D, con
l’incrociatore antiaereo Coventry
(capitano di vascello Ronald John Robert Dendy) ed i cacciatorpediniere Belvoir, Beaufort, Aldenham, Exmoor, Dulverton, Hursley, Hurtworth e Croome.
Per sbarcare gli
uomini sono state realizzate in Egitto alcune decine di rudimentali barconi a
fondo piatto: Sikh e Zulu hanno a bordo sei barconi a motore
ciascuno (con motore Ford), sistemati in coperta, e ne rimorchiano nove senza
motore ciascuno (che al momento dello sbarco dovranno essere presi a rimorchio
da quelli a motore), per un totale di trenta.
Le difese costiere di
Tobruk consistono in tredici batterie antinave munite di 47 cannoni di medio
calibro, perlopiù da 120/40 mm Mod. 1889 e 1891 oltre ad alcuni più moderni
pezzi da 152/45; quelle antiaeree contano 78 pezzi contraerei (48 italiani e 30
tedeschi; questi ultimi appartengono al Flakgruppe Tobruk del colonnello
Hartmann, formato da pezzi e personale dei Flak-Regiment 114 e 914, e
comprendono una “Großbatterie” situata sul promontorio di Tobruk e composta da
ben dodici pezzi da 88 mm, al comando del tenente Vieweg) in 17 batterie. Vi
sono poi tre batterie di mitragliere da 20 mm.
Il presidio della
piazzaforte è molto scarno: un battaglione di fanti di Marina del Reggimento «San
Marco», un centinaio di uomini del XVIII Battaglione Carabinieri Reali, alcuni
reparti del V Battaglione Libico, una compagnia di formazione della Marina,
nonché il personale addetto ai servizi della base navale e quello delle
batterie. Dovrebbero esservi anche due battaglioni tedeschi di 700 uomini, in
via di addestramento, ma sono a Tobruk soltanto di giorno, mentre di notte sono
acquartierati ad una trentina di chilometri di distanza.
In porto sono
presenti tre torpediniere del III Gruppo (oltre alla Cascino, la Castore e la Montanari) e 17 motozattere tra italiane
e tedesche.
Il gruppo navale britannico
lascia Alessandria d’Egitto tra il 12 ed il 13 settembre. La sera del 13
settembre gli uomini della Forza B attaccano le posizioni loro assegnate tra
Tobruk e Marsa Sciausc (una località sulla sponda meridionale della baia di
Tobruk), sopraffacendo i capisaldi italiani e segnalando il “via libera” alle
unità della Forza C.
I comandi italiani,
però, insospettiti dalla maggiore intensità, rispetto al solito, delle
incursioni aeree su Tobruk (iniziate alle 20.30 del 13, circa due ore prima del
solito, e proseguite sino alle 3.15 con l’impiego di bombardieri B-24 Liberator
– che sganciano oltre 70 tonnellate di bombe –, Handley Page Halifax e Vickers
Wellington per un totale di 91 velivoli, che eseguono azioni di bombardamento e
mitragliamento) hanno intensificato la sorveglianza lungo la costa.
Le prime fasi
dell’attacco britannico sul lato di terra sembrano procedere secondo i piani:
grazie al loro travestimento, riescono a trarre in inganno le sentinelle,
uccidendole e superando così i posti di blocco. Una volta all’interno del
perimetro della piazzaforte, occupano un edificio che adibiscono a quartier
generale. Non volendosi gravare con dei prigionieri, la condotta degli uomini
della Forza B in questa fase è a dir poco criminale: a sud di El Adem, infatti,
i britannici s’imbattono in un autocarro della Regia Aeronautica con a bordo il
sottotenente Amleto Fortuna, il sergente Antonio Petruccini, quattro avieri
(Antonio Pollastrini, Germano Serafini, Enzo Bisi e Giuseppe Esposito) ed un
operaio civile, Alberto Pompili. Dopo averli circondati e disarmati con
l’inganno – gli italiani, dalle loro divise, li credono tedeschi –, gli uomini
della Forza B li interrogano brevemente, poi li abbattono con una raffica di
mitra. Soltanto due avieri, Esposito e Serafini, creduti morti, si salveranno e
potranno raccontare l’accaduto.
Alle 22 la Forza B dà
inizio all’attacco a Marsa Sciausc, isolando tale settore con la recisione di
tutte le linee di comunicazione e poi assaltando le batterie che vi si trovano.
La prima ad essere attaccata è la batteria 825: i serventi di una postazione
vengono tutti uccisi, ma quelli della postazione successiva, sebbene colti di
sorpresa, riescono a difendersi con lancio di bombe a mano, e soprattutto ad inviare
una staffetta a dare l’allarme. Alle 23.40 un ufficiale italiano sfuggito alla
cattura da una delle batterie d’artiglieria attaccate telefona al comando;
insieme all’intercettazione, da parte italiana, del messaggio di uno dei
cacciatorpediniere, ciò mette in allarme la piazzaforte.
La Cascino, la gemella Montanari, la più moderna torpediniera Castore e 17 motozattere, su ordine del comandante di Marina
Tobruk, capitano di vascello Temistocle D’Aloya, d’accordo con il comandante
interinale del settore (colonnello Battaglia del Regio Esercito, che ha
temporaneamente sostituito il generale di divisione Ottorino Giannantoni,
comandante titolare, ricoverato alcuni giorni prima all’ospedale di Bardia) e
con il comandante di Marina Libia (ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi,
avente anch’egli sede a Tobruk), vengono schierate lungo le ostruzioni retali,
e saranno queste unità, con il loro fuoco, a respingere i tentativi della Forza
C di entrare nella rada di Tobruk.
Già in precedenza il
comandante D’Aloya ha avuto il primo sentore che qualcosa bolla in pentola
quando ha ricevuto una segnalazione relativa all’avvistamento di un
sommergibile britannico – poi messo in fuga dai mezzi antisommergibili locali –
al largo del porto, molto vicino alla riva, in posizione insolitamente lontana
rispetto alle rotte più frequentate: doveva esserci un motivo per mandare lì un
sommergibile.
Ed infatti c’era: il
sommergibile, il Taku (capitano di
corvetta Jack Gethin Hopkins), avrebbe dovuto sbarcare sulla costa un gruppetto
di quattro uomini incaricati di piazzare delle luci di segnalazione che
avrebbero dovuto indicare il punto in cui sbarcare gli uomini della Forza A. Il
tentativo, tuttavia, è stato abbandonato a causa delle avverse condizioni meteomarine.
Quando diviene chiaro
che Tobruk è sotto attacco, il comandante D’Aloya, l’ammiraglio Lombardi ed il
colonnello Battaglia stabiliscono una sorta di quartier generale combinato
presso la sede del Comando Marina (non è invece presente il generale Otto Deindl,
comandante delle truppe tedesche di stanza a Tobruk – Rückwärtigen Armeegebietes 556, cioè “556a area di
retrovia” –, che in quel momento si trova a circa trenta chilometri dalla città
e che sarà informato dell’attacco soltanto l’indomani mattina). A mezzanotte
questo quartier generale viene raggiunto dalla notizia che unità autocarrate
del Long Range Desert Group hanno penetrato le difese esterne dal lato di
terra, congiungendosi con commandos sbarcati a Marsa Sciausc e catturando una
batteria da 101 mm. Successivamente, i commandos e gli uomini del LRDG
attaccano un’altra batteria, da 152 mm, situata più a sud, a Mersa Biad; ma il
personale della batteria respinge l’assalto, e dà l’allarme generale a tutta la
piazzaforte. A mezzanotte una batteria italiana dà l’allarme antisbarco,
lanciando due razzi rossi; in breve si diffonde la notizia dell’attacco, e le
batterie ricevono ordine di prepararsi alla battaglia ed all’occorrenza di
sparare con i cannoni anche ad alzo zero.
L’unico reparto di
pronto intervento a disposizione è una compagnia di 120 uomini del Reggimento «San
Marco», al comando del tenente di vascello Giacomo Colotto; Lombardi, Battaglia
e D’Aloya la mandano al contrattacco a Marsa Sciausc, mentre altri reparti del «San
Marco», dislocati lungo la costa, vengono via via ingaggiati dalle truppe
britanniche. La compagnia del tenente Colotto si reca sul luogo degli scontri a
bordo di autocarri Fiat 626; strada facendo s’imbatte in due camionette del
Long Range Desert Group, che la attaccano. Nel conseguente scontro a fuoco, gli
uomini del «San Marco» distruggono una delle due camionette, mentre l’altra si
allontana e qualcuno a bordo di essa inveisce “italiani figli di puttana, vi uccideremo tutti”.
Dopo un duro
combattimento i presidi dei capisaldi italiani, gli uomini del Reggimento «San
Marco» ed una compagnia appositamente costituita con marinai della Regia Marina
passano al contrattacco e riescono a respingere la Forza B, costringendone i
pochi superstiti alla fuga.
Quanto alla Forza C,
all’1.45 del 14 sei sue motosiluranti (al comando del capitano di vascello
Denis Jermain, imbarcato sulla MTB 309)
giungono a due miglia per 270° da Punta Tobruk, ed alle due di notte una delle
unità della 15th MTB Flotilla comunica al capitano di vasello
Jermain di aver ricevuto il segnale convenzionale "Nigger", che significa che Mersa Sciausc è stata presa e che
le motosiluranti possono procedere con lo sbarco. Le motosiluranti si dirigono
pertanto verso la costa meridionale della rada di Tobruk, ma non riescono ad
avvistare le luci rosse di segnalazione che dovrebbero essere in posizione: la
lampada Aldis da usare per effettuarle, infatti, è fuori uso, così che il
tenente Tommy B. Langton, comandante i segnalatori del SAS, è stato costretto a
ripiegare su una torcia, con la quale effettua i tre segnali “Ts” rossi
prestabiliti ogni tre minuti, ma tale fonte luminosa è troppo debole e non
viene notata dalle motosiluranti. Il comandante Jermain decide pertanto di
entrare direttamente nel porto con le sue motosiluranti per sbarcarvi le truppe
e vedere se vi sono navi da attaccare; ma non appena le MTB 262, 266 e 309 si avvicinano al porto, vengono
prese sotto un violento tiro incrociato da parte di artiglieria leggera ed armi
di piccolo calibro dall’ingresso della rada e da entrambi i lati, e di
artiglieria di piccolo e grosso calibro dal lato nord del porto. Oltre alle
artiglierie di terra, un ruolo centrale nel respingere questo primo tentativo
di sbarco è svolto dalle motozattere MZ
733 (sottotenente di vascello Calderara) e 759 (tenente di vascello Fulvi), dislocate a difesa delle
ostruzioni all’ingresso della rada, che sparano sugli attaccanti con tutte le
armi di cui dispongono. Anche le torpediniere ormeggiate in porto sparano nel
buio; alcuni piccoli mezzi da sbarco vengono distrutti. (Secondo una fonte, un
gruppo di motosiluranti apparve vicino all’imboccatura della rada e venne
accolto a cannonate dalle MZ 728, 733
e 750; ciò richiamò l’attenzione
delle vedette di Cascino e Castore, che aprirono il fuoco a loro
volta).
Jermain ne trae
l’impressione che la Forza B non sia riuscita a prendere Marsa Sciausc, o che
sia stata respinta; delle sue sei motosiluranti, soltanto le MTB 261 (tenente di vascello C. C.
Anderson) e 314 (tenente di vascello
Harwin Woodthorpe Sheldrick), operando indipendentemente, riescono ad entrare
in un’insenatura e sbarcarvi una sezione di fucilieri del Reggimento Royal
Northumberland, e la MTB 314 (che non
riesce più a governare, forse perché colpita dalla MZ 733) s’incaglia e dev’essere abbandonata sul posto, venendo
successivamente catturata dal motodragamine tedesco R 10 insieme ad un centinaio di soldati britannici che si erano
nascosti a bordo.
Nel mentre giunge sul
posto anche un secondo gruppo di motosiluranti, al comando del capitano di
fregata Robert Alexander Allen (comandante della 10th Flotilla), che
non riesce a trovare un varco negli sbarramenti per entrare nella rada: tre
delle motosiluranti lanciano pertanto i loro siluri contro lo sbarramento,
tentando di distruggerne un tratto da dove poi penetrare, ma ogni volta che si
avvicinano vengono illuminate dai fasci dei proiettori e costrette alla
ritirata.
La Cascino viene coinvolta nel
combattimento verso le 3.30 del 14, quando altre sei motosiluranti britanniche
della Forza C arrivano sottocosta a bassa velocità per tentare di sbarcare i
commandos a Marsa Sciausc senza essere individuate, ma vengono avvistate e
fatte oggetto del vivace tiro dapprima della motozattera MZ 756 (sottotenente di vascello Longo),
che le avvista per prima, e subito dopo anche della Cascino, della Castore, della Montanari e
delle batterie costiere (la batteria "Dandolo", munita di due pezzi
da 120 mm, e le mitragliere quadrinate tedesche da 20 mm della 3a e
4a batteria del 914°
Reggimento del Gruppo Contraereo Tobruk). Le navi italiane sparano
rabbiosamente, con cannoni e mitragliere. Tre delle motosiluranti lanciano i
propri siluri contro i bersagli che riescono ad intravedere nella baia, ma non
ne mettono nessuno a segno; tutte e sei sono poi costrette a ritirarsi ed
alcune colpite, una delle quali si allontana con incendio a bordo, lasciando
dietro di sé una lunga scia di fumo. Le unità britanniche si sparpagliano e si
allontanano verso est; alle 5.45 tre motosiluranti, riunitesi sotto il comando
di Jermain, tentano un’ultima volta di avvicinarsi a Marsa Sciausc, ma sono di
nuovo messe in fuga dall’intenso tiro di sbarramento delle unità italiane,
effettuato con armi sia leggere che pesanti.
Intanto, alle due di
notte la Forza B, ritenendo di avere ormai la spiaggia sotto controllo,
comunica per radio alla Forza A di dare inizio allo sbarco; alle tre di notte Sikh e Zulu iniziano a trasbordare i trecento Royal Marines della prima
ondata sui mezzi da sbarco, ma l’operazione procede a rilento. A terra,
intanto, infuriano i combattimenti ed alle 3.30 il tenente colonnello John
Edward Haselden, comandante della Forza B, rimane ucciso da un colpo alla
testa.
La Forza A riesce a
sbarcare solo un quarto dei suoi uomini, ma nel punto sbagliato della costa (a
causa della mancanza delle luci di segnalazione che il Taku avrebbe dovuto posizionare), così che i commandos si ritrovano
in pieno deserto, alcuni chilometri più ad ovest di dove dovrebbero essere; gli
altri non possono essere sbarcati causa il mare mosso e l’inadeguatezza dei
mezzi da sbarco.
I pochi uomini
sbarcati dai due cacciatorpediniere s’imbattono nell’avamposto di Forte
Perrone, che dà l’allarme: il comando italiano a Tobruk viene così a sapere
anche di questo secondo attacco sul lato nord della piazzaforte. Non essendovi
truppe pronte ad intervenire su questo lato, dato che la compagnia del «San
Marco» è già stata inviata a fronteggiare l’attacco sul lato sud della
piazzaforte, viene formata una compagnia improvvisata con cuochi, cambusieri e
personale amministrativo del Comando, nonché alcuni carabinieri e trenta
soldati tedeschi che si sono presentati spontaneamente per partecipare al
contrattacco. Durante la marcia di avvicinamento a Forte Perrone, questo gruppo
viene rinforzato da altri 50 carabinieri, raggiungendo così una forza
complessiva di 160 uomini: alle 4.30 questo eterogeneo reparto incontra i Royal
Marines della Forza A in avvicinamento sul lato nord e li impegna in
combattimento, per poi aprire il fuoco, insieme al personale delle batterie,
sui mezzi da sbarco in avvicinamento alle spiagge di Marsa El Auda e Marsa El
Krisma. Alcuni dei barconi vengono affondati, gli altri sono dispersi e messi
in fuga. Gran parte degli uomini della Forza A sono costretti alla resa mentre
si trovano ancora bloccati in acqua; Sikh
e Zulu, che dopo aver messo in mare i
barconi si sono allontanati, tornano ad avvicinarsi alla costa per recuperare i
superstiti ed appoggiare quanti sono a terra con le loro artiglierie, ma il
personale del semaforo chiede alla vicina postazione contraerea della MILMART
di puntare i suoi proiettori verso il mare: la richiesta viene esaudita, ed in
breve vengono illuminati i due cacciatorpediniere, attorniati da numerosi
barconi, ad un miglio e mezzo dalla costa.
Alle 5.05 il Sikh (capitano di vascello St John
Aldrich Micklethwait), mentre sta imbarcando delle truppe dai mezzi da sbarco,
viene illuminato da un proiettore, e subito dopo le batterie aprono il fuoco;
un proiettile colpisce il cacciatorpediniere nel locale agghiaccio timoni,
danneggiando gli organi di governo, mentre un altro fa esplodere una riservetta
a prua, uccidendo o ferendo tutti i Royal Marines che la nave ha appena preso a
bordo e che si trovano sul ponte, intrappolandone altri sottocoperta.
Le squadre
d’emergenza fronteggiano gli incendi, ma la nave inizia a girare in cerchio a
soli dieci nodi di velocità, in graduale diminuzione; un terzo proiettile mette
fuori uso la centrale di direzione del tiro, e poco dopo il Sikh rimane del tutto immobilizzato. Lo Zulu lo prende a rimorchio per tentare
di portarlo fuori dal raggio di tiro delle batterie costiere, ma prima di
riuscirci altri due colpi vanno a segno, uccidendo il personale di uno dei
complessi da 120 mm e scatenando un’altra esplosione ed un nuovo incendio a
bordo. Poi si spezza il cavo di rimorchio; mentre se ne prepara un altro,
un’altra cannonata distrugge la plancia. Mentre sorge l’alba, il nuovo cavo di
rimorchio viene spezzato dall’ennesima cannonata, ed a questo punto viene persa
ogni speranza di poter portare il Sikh
in salvo: lo Zulu lo avvolge in una
cortina fumogena per tentare poi di recuperarne l’equipaggio, ma il tentativo
viene ritenuto troppo pericoloso, e lo Zulu
riceve ordine di andarsene. Ormai solo, il Sikh
viene martoriato da ulteriori salve delle batterie costiere, per poi essere
autoaffondato dall’equipaggio con cariche esplosive, in posizione 32°05’ N e
24°00’ E. Le batterie continuano a martellarlo fino a quando non scompare sotto
la superficie; 115 uomini perdono la vita, tutti i superstiti verranno presi
prigionieri.
Anche lo Zulu (capitano di fregata Richard Taylor
White) è stato colpito dalla batterie costiere, con danni ed incendi a bordo,
ma è ugualmente in grado di procedere a 30 nodi. Tutti gli uomini sbarcati
dalla Forza A sono uccisi o catturati.
Entro l’alba,
“Agreement” si è ormai risolta in un sanguinoso fallimento; alle sette di
mattina l’ammiraglio Lombardi può annunciare a Delease (Delegazione Africa
Settentrionale, l’organismo di collegamento tra il comando dell’Armata
Corazzata Italo-Tedesca ed il Comando Supemo a Roma) che la situazione è sotto
controllo. Alle 7.40 gli ultimi commandos della Forza B, ormai circondati dagli
uomini del “San Marco”, si arrendono. Quelli che indossavano divise tedesche se
ne liberano ed indossano quelle dei compagni caduti, per evitare la fucilazione
come spie. Soltanto dieci uomini della Forza B riescono a fuggire, affrontando
a piedi l’attraversamento del deserto per tentare di raggiungere le proprie
linee: solo quattro di essi ci riusciranno, dopo due mesi di peripezie, mentre
gli altri moriranno di sete nel deserto o saranno attaccati da bande di nomadi ed
uccisi o catturati e consegnati agli italo-tedeschi.
I mezzi navali britannici
in ritirata, avvistati poco dopo le cinque da un Macchi 200 da ricognizione
decollato alle prime luci dell’alba, sono martellati dall’aviazione
italo-tedesca, subendo ulteriori perdite. La MTB 266 viene leggermente danneggiata da schegge di bombe, ma
riesce a proseguire e trae in salvo i superstiti della MTB 312, affondata da caccia italiani Macchi Mc 200; la MTB 310 viene immobilizzata da aerei
italiani e finita da aerei tedeschi (diciannove Ju 87s of III./StG 3, al
comando del capitano Kurt Walter), il suo equipaggio raggiunge la costa con un
battello d’assalto (moriranno tutti di sete tranne il comandante in seconda e
due marinai, che saranno catturati una settimana dopo da truppe tedesche). Le
motolancie ML 352 e ML 353 vengono affondate dai Macchi del
13° Gruppo da Caccia (maggiore Lorenzo Viale) del 2° Stormo da Caccia Terrestre
(al comando del tenente colonnello Vincenzo Dequal, di base a Bengasi ed autore
anche dell’affondamento della MTB 312), mentre la MTB 308, danneggiata da caccia italiani che verso le 7.30 mettono
fuori uso uno dei suoi motori, diviene il bersaglio di una serie di attacchi da
parte di Ju 87 dello StG3 e di Ju 88 del LG1: nell’ultimo di questi attacchi,
uno Ju 88 viene colpito dal tiro contraereo della motosilurante e precipita su
di essa, distruggendola con la perdita dell’intero equipaggio.
Alle 11.40, a nord di
Marsa Matruh, il Coventry viene
colpito da quattro bombe durante un attacco da parte di sedidi Ju 88 del I./LG.
1 (X. Fliegerkorps) decollati da Iraklion (Creta) al comando del capitano
Joachim Helbig: tre degli ordini colpiscono la sala macchine, immobilizzando la
nave ed uccidendo 64 uomini. Abbandonato dall’equipaggio, che viene soccorso
dal Beaufort (che si porta sottobordo
all’incrociatore per imbarcarne l’equipaggio) e dal Dulverton (che recupera gli uomini dal mare), l’incrociatore immobilizzato
viene finito alle 15.15 dallo Zulu.
Alle quattro del pomeriggio, però, è proprio lo Zulu ad essere colpito da una bomba in sala macchine (a seconda
delle fonti, sganciata dai bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 del II./StG3, al
comando del capitano Kurt Walter, o dai caccia italiani dell’82a
Squadriglia), rimanendo a sua volta immobilizzato, con la morte di 39 uomini:
il Croome si porta sottobordo e ne
trasborda l’equipaggio (189 tra ufficiali e marinai e sessanta Royal Marines),
dopo di che l’Hursley lo prende a
rimorchio. La nave continua però ad imbarcare acqua, ed alle sette di sera,
quando non manca che un centinaio di miglia per raggiungere Alessandria, si
abbatte sul fianco di dritta ed affonda in posizione 32°00’ N e 28°56’ E.
Questi successi sono
pagati con il danneggiamento di un Macchi Mc 200 italiano (su ventuno che hanno
partecipato agli attacchi) e l’abbattimento di cinque bombardieri tedeschi (due
Ju 87 e tre Ju 88, su un totale di 191 impiegati: 73 bombardieri Junkers Ju 87,
105 bombardieri Ju 88 e tredici caccia Messerschmitt Bf 109).
Ad attacco concluso,
cinque motozattere (quattro tedesche ed una italiana), le torpediniere Castore e Montanari, un rimorchiatore e tre motodragamine tedeschi della
6a Flottiglia vengono inviati a recuperare i naufraghi delle
unità britanniche: in tutto le unità italiane e tedesche recuperano dal mare
476 uomini, tra cui parte dell’equipaggio del Sikh (per altra fonte, motozattere e torpediniere sarebbero
avrebbero ricevuto ordine di contrattaccare; siccome però la flottiglia
britannica si era già dileguata, una volta in mare si dedicarono al salvataggio
dei superstiti). Le motozattere catturano anche un paio di mezzi da sbarco
britannici che si stavano ritirando a lento moto verso Alessandria.
Alla fine l’operazione
«Daffodil» si conclude con un completo fallimento per le forze britanniche, le
cui perdite ammontano a 779 morti (300 Royal Marines, 166 soldati dell’esercito
britannico e 313 uomini della Royal Navy) e 576 prigionieri (compresi 34
ufficiali), nonché alla perdita di un incrociatore (il Coventry), due cacciatorpediniere (Sikh e Zulu), quattro motosiluranti (MTB
308, 310, 312 e 314) e due motolance (ML
352 e 353), oltre ai vari improvvisati barconi della Forza A, tutti
distrutti o catturati. Le perdite dell’Asse assommano invece a cinque aerei
tedeschi, 70 morti (69 italiani e 1 tedesco) e 79 feriti (72 italiani e 7
tedeschi).
Terminata la
battaglia, la Cascino parte lascia
Tobruk alle 16.30 diretta a Bengasi, scortando il piroscafo tedesco Ostia.
16 settembre 1942
Cascino ed Ostia arrivano a
Bengasi alle otto.
4 ottobre 1942
La Cascino parte da Tripoli per Napoli alle
21, scortando il piroscafo Algerino.
7 ottobre 1942
Il convoglietto
giunge a Susa alle 8 e vi sosta per due giorni.
9 ottobre 1942
Il convoglietto
lascia Susa alle tre di notte. Alle 19, al largo di Lampedusa, la Cascino lascia la scorta dell’Algerino, che raggiungerà indenne Napoli
due giorni dopo.
17 gennaio 1943
La Cascino (tenente di vascello Gustavo
Galliano) e le moderne torpediniere di scorta Ardito (caposcorta, capitano di corvetta Silvio Cavo) ed Animoso (tenente di vascello Camillo
Cuzzi) partono da Palermo alle 18 per scortare a Biserta, insieme a due
dragamine tedeschi, la motonave italiana Col
di Lana ed i piroscafi tedeschi Gerd
ed Henri Estier.
Successivamente si
aggregano al convoglio anche tre motozattere tedesche, uscite da Trapani.
18 gennaio 1943
Alle 13.15 il
convoglio di cui fa parte la Cascino
viene superato da un altro, più veloce, formato dalla motonave tedesca Ankara, dal cacciatorpediniere Saetta e dalla torpediniera di scorta Uragano, proveniente anch’esso da
Palermo e diretto parimenti a Biserta.
Circa un’ora dopo
questo sorpasso, quando ancora i due convogli sono relativamente vicini, l’Ankara urta due mine posate dal
sommergibile britannico Rorqual, ed
inizia subito ad appopparsi. Vani i tentativi di rimorchio da parte del Saetta; dopo un’agonia di oltre un’ora,
alle 15.30 la motonave tedesca s’inabissa 45 miglia ad est dell’Isola dei Cani.
Prima che affondi, l’Uragano si
affianca e prende a bordo 175 tra militari di passaggio e membri
dell’equipaggio non indispensabili, mentre rimane a bordo il personale di
coperta per un’ultimo tentativo di salvare la nave.
La Cascino, su ordine dell’Ardito, si porta immediatamente sul
luogo dell’affondamento e partecipa al salvataggio dei naufraghi, distruggendo
strada facendo tre mine alla deriva segnalate dal Saetta.
Alle 15 le tre
motozattere lasciano il convoglio, che giunge a Biserta alle 17.30.
20 gennaio 1943
Alle 12.40 la Cascino lascia Biserta scortando i
sommergibili ex francesi Espadon e Requin, per i quali è prevista la riattivazione
in Italia.
22 gennaio 1943
Cascino e sommergibili giungono a Napoli alle 5.40.
28 gennaio 1943
Secondo una fonte
memorialistica, la Cascino avrebbe
fatto parte della scorta del convoglio «Firenze», salpato da Messina per Tunisi
alle due di notte del 28 e formato dai piroscafi Parma, Sabbia, Vercelli e Lanusei (cui a Palermo si aggiunse anche il tedesco Stella) scortati dalle torpediniere Ardito, Animoso, Calliope (solo
fino a Palermo), Libra e Prestinari e dalle corvette Persefone e Procellaria (queste ultime aggregatesi a Palermo): tale convoglio
giunse a Biserta e Tunisi tra il 29 ed il 30, dopo aver subito la perdita del Vercelli (il 29, per attacco aereo) e
del Parma (il 30, per mina magnetica,
mentre si apprestava ad entrare a Tunisi). Tuttavia, la storia ufficiale
dell’USMM non menziona la Cascino tra
le unità di scorta di questo convoglio.
18 febbraio 1943
La Cascino (tenente di vascello di
complemento Gustavo Galliano) lascia Trapani alle 12.30 insieme alla moderna
torpediniera di scorta Groppo (caposcorta)
ed alla corvetta Gabbiano, per
scortare a Tunisi i piroscafi tedeschi Baalbek e Charles Le Borgne.
La Cascino lascia la scorta già alle
13.45, all’altezza di Marsala, venendo rimandata a Trapani per ordine
superiore.
25 febbraio 1943
Alle 15 la Cascino salpa da Napoli insieme
alle torpediniere Sirio (caposcorta), Sagittario, Castore, Ciclone e Pegaso ed ai cacciasommergibili tedeschi UJ 2209, UJ 2210 e UJ 2220,
per scortare a Biserta i piroscafi Forlì e Teramo.
Sei ore dopo la
partenza, il convoglio viene avvistato da ricognitori avversari.
26 febbraio 1943
Individuato da
ricognitori avversari, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti alle 3.30,
38 miglia a sudovest da Punta Licosa.
Alle 14.30 esso
subisce un nuovo attacco, stavolta da parte di 18 bombardieri, 38 miglia a nord
di Capo Zaffarano. Nessuna nave è colpita tranne l’UJ 2209, lievemente danneggiato da schegge.
Nelle acque
antistanti Palermo, si uniscono al convoglio anche le navi cisterna Bivona e Labor ed il piroscafo Volta,
nonché le torpediniere Groppo ed Orione, la corvetta Gabbiano ed il dragamine
tedesco R 15; si forma così un
unico convoglio, scortato da Groppo (caposcorta), Ciclone, Orione, Pegaso, Cascino, Gabbiano e R 15. Sirio e Sagittario, al pari dei tre cacciasommergibili tedeschi, rientrano
invece a Napoli, mentre la Castore è
costretta ad entrare a Palermo e restarvi a causa di un’avaria.
Al largo di Trapani
la Gabbiano lascia la
scorta.
27 febbraio 1943
Alle 10.40 un aereo
da caccia italiano, di scorta al convoglio, precipita per avaria; l’Orione ne salva il pilota.
28 febbraio 1943
Il convoglio giunge a
Biserta all’1.45.
1° marzo 1943
La Cascino parte da Biserta alle 2.30 per
scortare a Palermo la piccola motonave cisterna Labor.
2 marzo 1943
A Trapani la Cascino viene sostituita dalla
torpediniera Clio per la scorta nel
tratto finale della navigazione.
6 marzo 1943
La Cascino (tenente di vascello Gustavo
Galliano) lascia Napoli alle 2.30 del 6 marzo insieme alle torpediniere Ardito (capitano di corvetta Silvio Cavo), Cigno (capitano di corvetta Carlo
Maccaferri), Groppo (capitano di
corvetta Beniamino Farina, caposcorta) ed Orione
(capitano di corvetta Luigi Colavolpe), per scortare a Biserta e Tunisi un
convoglio composto dalla motonave Ines
Corrado e dai piroscafi Henry
Estier e Balzac (questi
ultimi diretti a Tunisi con arrivo previsto per le 15.30 del 7, mentre nel
tratto finale la Ines Corrado dovrebbe
separarsi dal convoglio per raggiungere Biserta alle 16 dello stesso giorno). A
partire dalle 7.02, e fino alle 19.52, il convoglio fruisce di una scorta aerea
antisommergibili, con l’impiego complessivamente di undici Junkers 88 e quattro
Messerschmitt Bf 110 del II Fliegerkorps.
“ULTRA”, il servizio
di decrittazione britannico dei messaggi in codice dell’Asse, ha intercettato
le informazioni relative a questo convoglio, preavvisando che l’arrivo dei tre
mercantili (più un quarto, il Nuoro,
poi non partito), partiti da Napoli, è previsto a Tunisi per il pomeriggio del
7: vengono pertanto organizzati attacchi aerei e subacquei.
Alle 7.45 del 6
marzo, l’Ardito vede un
bombardiere tedesco Junkers Ju 88 gettare una bomba di profondità (per altra
fonte, due) in posizione 40°03’ N e 13°57’ E, a 34 miglia per 264° (cioè ad
ovest) da Punta Licosa (Calabria), 3 km a proravia della torpediniera ed a 3 km
dal lato di dritta del convoglio. Il pilota tedesco vede affiorare in
superficie una grossa chiazza di nafta; al contempo l’Estier, subito dopo aver osservato il lancio delle bombe da parte
dell’aereo di prora, avvista la scia di un siluro, che evita con la manovra. Il
convoglio vira a sinistra per evitare eventuali attacchi da parte di
sommergibili che si trovino in quella direzione, e l’Ardito viene distaccata per attaccare il sommergibile, con
l’assistenza dello Ju 88; ottenuto un contatto alle 1300 metri, la torpediniera
lo bombarda con due pacchetti di cariche di profondità fino a perdere il
contatto alle 9.35. Probabilmente l’Ardito ha
affondato il sommergibile britannico Turbulent (capitano
di corvetta John Wallace Linton), che era stato inviato a sorvegliare le acque
al largo della Bocca Piccola in seguito alle intercettazioni di “ULTRA”.
Alle 12.30 gli aerei
tedeschi della scorta aerea avvistano quello che viene identificato come un
Bristol Beaufighter, probabilmente un ricognitore inviato a verificare la
partenza del convoglio da Napoli.
7 marzo 1943
Il mattino del 7
marzo, alle 9.15, otto bombardieri britannici (scortati da 14 caccia) attaccano
il convoglio 22 miglia ad est dello scoglio Keith (34 miglia ad ovest-sudovest
di Marettimo). La scorta reagisce con un intenso fuoco contraereo ed anche i
caccia della scorta aerea (in inferiorità numerica rispetto agli aerei
attaccanti) contrattaccano, ma la Ines
Corrado viene colpita da diverse bombe: carica di 5000 tonnellate di
rifornimenti tra cui benzina, carri armati, autoveicoli ed artiglierie, la
motonave diviene subito preda di un violento incendio, che l’equipaggio non
riesce a contrastare a causa del danneggiamento delle tubolature antincendio.
Cascino, Ardito ed Orione sono distaccate per recuperare
l’equipaggio e le truppe imbarcate sulla motonave: i circa duecento uomini
presenti sull’Ines Corrado vengono
così ordinatamente trasbordati sulle tre torpediniere, mentre Groppo e Cigno proseguono con i due residui piroscafi, Estier e Balzac.
Ultimi ad abbandonare
l’Ines Corrado, alle 10.30, sono i
comandanti civile e militare, capitano di lungo corso Vasco Pertosi e tenente
di vascello Ivo Vancini. Tutti i feriti vengono riuniti sulla Cascino, che alle 11.25 dirige per
Trapani, porto più vicino, affinché possano ricevere assistenza medica il più
presto possibile.
L’Ines Corrado colerà a picco alle tre di
notte dell’8, in posizione 37°47’ N e 11°23’ E. Nessuno dei tre mercantili del
convoglio giungerà a destinazione: poche ore dopo, il Balzac sarà affondato da un altro attacco aereo, mentre l’Estier salterà su un campo minato, al
pari della torpediniera di scorta Ciclone
(capitano di corvetta Luigi Di Paola), uscita da Biserta per andare incontro al
convoglio.
In questa data
risulterebbe essere morto nel Mediterraneo centrale il sottocapo cannoniere
Tirso Benedetti di 23 anni, da Bedizzole, della Cascino. Probabilmente perse la vita negli attacchi aerei sul
convoglio, anche se la Cascino non
risulterebbe essere stata colpita.
12 marzo 1943
Intorno alle tre del
pomeriggio la Cascino (tenente
di vascello di complemento Gustavo Galliano), proveniente da Messina, va a
rinforzare la scorta del convoglio «D», formato dai piroscafi tedeschi Esterel e Caraibe e dalla cisterna militare italiana Sterope, diretto a Tunisi con la scorta delle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio
Cuzzaniti, caposcorta capitano di vascello Corrado Tagliamonte), Pegaso (capitano di corvetta Mario
De Petris), Cigno (capitano di
corvetta Carlo Maccaferri) ed Orione (capitano
di corvetta Luigi Colavolpe) e delle corvette Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini) e Persefone (capitano di corvetta
Oreste Tazzari; quest’ultima, insieme alla gemella Antilope ed a cinque cacciasommergibili tedeschi, ha il
compito di effettuare ricerca e caccia antisom preventiva).
Alle 16.10, al largo
di Capo Cefalù, si unisce alla scorta anche la torpediniera Libra (capitano di corvetta Gustavo
Lovatelli), proveniente da Palermo, e più tardi i cacciasommergibili VAS 231 e VAS 232.
Già dal 10 marzo,
tuttavia, i comandi britannici – attraverso le decrittazioni di “ULTRA” – sanno
che la Sterope e la motonave Nicolò Tommaseo dovevano arrivare a
Messina alle 20 del 9, provenienti da Brindisi, per poi unirsi ad Esterel e Caraibe e Manzoni, provenienti
da Napoli e diretti a Messina o Trapani, e fare rotta insieme verso Tunisi e
Biserta, dove dovranno giungere nel pomeriggio dell’11. Il 12 marzo “ULTRA” ha
poi appreso del rinvio di 48 ore di tale programma, con l’arrivo a Messina
di Sterope e Tommaseo alle 14 dell’11 anziché la
sera del 9; i comandi britannici hanno correttamente dedotto che la prevista
riunione in mare avverrà nella giornata del 12, e pertanto inviano numerosi
aerei a cercare il convoglio.
Questi ultimi lo
trovano alle 20.40: tra quell’ora e le 21.20 il convoglio viene continuamente
sorvolato da aerosiluranti, bersagliati più volte dall’intenso tiro contraereo di
tutte le navi (per altra fonte, il convoglio sarebbe stato localizzato per la
prima volta alle otto di sera da un velivolo munito di proiettore «Leigh
Light», che avrebbe illuminato le navi e comunicato l’avvistamento, scatenando
alle nove di sera l’attacco degli aerosiluranti). Uno di essi, un Bristol
Beaufort del 39th Squadron pilotato dal tenente Arnold M.
Feast, viene abbattuto alle 21.15; la Persefone recupera
tre superstiti, compreso Feast, mentre un quarto membro dell’equipaggio perde
la vita.
Alle 21.25 (o 21.35),
dodici miglia ad ovest di Capo Gallo ed a dodici miglia per 71° da Capo San
Vito siculo, la Sterope viene
colpita a prora sinistra da un siluro, sganciato da un altro Beaufort del 39th Squadron
R.A.F. (pilotato dal capitano Stanley Muller-Rowland). Per ordine del
caposcorta, Cascino e Pegaso sono distaccate per assistere la
petroliera danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue.
Altri quattro
Beaufort attaccano le navi italiane, senza ottenere ulteriori centri; due di
essi sono colpiti, uno dei quali (sergente William A. Blackmore) viene
abbattuto senza superstiti e l’altro (sergente J. T. Garland) viene gravemente
danneggiato ma riesce a tornare a Luqa (Malta).
13 marzo 1943
Cascino, Sterope (a rimorchio)
e Pegaso raggiungono
Palermo alle 4.30. Terminato il loro compito, le due torpediniere proseguono
per Trapani, dove è stato dirottato il resto del convoglio a seguito
dell’avvistamento – alle 20.18 del 12, da parte di un ricognitore della
Luftwaffe – di quattro cacciatorpediniere britannici al largo di Bona,
con rotta nordest ed elevata velocità. I mercantili sono ora ridotti al
solo Caraibe, perché anche l’Esterel è stato silurato e
danneggiato ed è dovuto riparare a Trapani, mentre la scorta, essendo state alcune
unità distaccate per caccia antisom ed assistenza alle navi colpite, è ridotta
alle sole Sirio, Cigno e Libra.
Alle 22.45 Caraibe e scorta, ora costituita
da Sirio (caposcorta), Cigno, Libra, Orione, Cascino e Pegaso nonché dalle VAS
231 e 232 (le
quali precedono il convoglio per effettuare dragaggio nei fondali di profondità
inferiore ai 300 metri), ripartono da Trapani per unirsi, 70 miglia a sudovest
della città e dieci miglia ad est del banco di Skerki, ad un altro convoglio
formato dalle motonavi Manzoni e Mario Roselli, provenienti da Olbia
e dirette a Biserta.
14 marzo 1943
All’1.34 aerei
avversari iniziano a sorvolare il convoglio, e tra le 2.42 e le 2.44 questi
lanciano tre siluri: la Pegaso abbatte
un aereo, ma alle 2.44 il Caraibe viene
colpito da un siluro, il terzo lanciato. Subito incendiato, il piroscafo –
carico di munizioni – viene scosso da una serie di esplosioni ed affonda alle
4.35; le unità della scorta subiscono insistenti attacchi di bombardieri ed
aerosiluranti fino alle quattro del mattino, ma non subiscono danni. Cascino e Pegaso recuperano 63 sopravvissuti del Caraibe (su un centinaio di uomini presenti a bordo) e
dirigono per Trapani.
Le altre torpediniere
raggiungono il convoglio formato da Manzoni e Roselli, che giunge a Biserta alle 17
(per altra versione, anche la Pegaso si
sarebbe riunita alla scorta delle due motonavi nell’ultimo tratto di
navigazione).
20 marzo 1943
La Cascino esce da Palermo e va a
rinforzare la scorta (costituita dal solo cacciatorpediniere Lubiana) del piroscafo Foggia, partito da Napoli e diretto a
Susa.
Alle 19 il
convoglietto giunge a Trapani, dove sosta fino all’indomani.
21 marzo 1943
Cascino e Foggia ripartono da
Trapani alle 7 insieme alle corvette Antilope
e Cicogna ed ai cacciasommergibili VAS 231 e VAS 232, mentre il Lubiana
non fa più parte della scorta.
Alle 18.45 il
convoglio giunge a Pantelleria, dove sosta fino al mattino seguente a causa
dell’avverso stato del mare.
22 marzo 1943
Alle cinque del
mattino il convoglio lascia Pantelleria, raggiungendo Susa alle 16.
22 marzo 1943
La Cascino e la nuovissima corvetta Antilope (caposcorta) salpano da Susa
alle 18.30 per scortare a Trapani i piroscafi Skotfoss (tedesco) ed Orsolina
Bottiglieri (italiano).
Alle 22.40 il
convoglio viene localizzato da ricognitori nemici, e da questo momento in poi è
incessantemente pedinato da aerei.
23 marzo 1943
Alle tre di notte un
aereo isolato attacca il convoglio, ma senza successo. Le navi giungono a
Trapani alle 21.30.
11 maggio 1943
La Cascino, la moderna torpediniera di
scorta Ardimentoso ed il
cacciatorpediniere Sebenico scortano
ad Augusta la nave cisterna Carnaro,
carica di gasolio e benzina avio destinata ai reparti della Regia Aeronautica e
della Luftwaffe di stanza nelle basi aeree di Catania e Comiso.
Lo stesso giorno, la Carnaro viene avvistata nel porto da
bombardieri statunitensi diretti a Catania, quando questi sorvolano Augusta:
due giorni dopo, di conseguenza, il porto della città siciliana sarà oggetto di
un’incursione da parte di 53 Consolidated B-24 Liberator, che vi sganceranno
120 tonnellate di bombe con l’obiettivo di affondare la Carnaro. La petroliera, tuttavia, ha frattanto lasciato Augusta, e
l’incursione si tradurrà in una strage di civili, con 72 vittime.
25 maggio 1943
La Cascino viene danneggiata a Messina
durante un bombardamento da parte di 129 o 134 bombardieri statunitensi (89 o 90
B-17 “Flying Fortress” e 40 o 44 B-24 “Liberator”) della 9th e
12th USAAF, aventi come obiettivo il porto e le navi ivi
ormeggiate (soprattutto l’imbarco dei traghetti, nell’ambito delle operazioni
preliminari allo sbarco in Sicilia, che avrà luogo due mesi più tardi), oltre
alla stazione ferroviaria. Le 253 tonnellate di bombe sganciate dagli aerei tra
le 11.32 e le 14.55 centrano sia i loro obiettivi che la città di Messina,
causando parecchie vittime tra la popolazione civile.
Nella stessa
incursione vengono affondate anche la torpediniera di scorta Groppo, il dragamine RD 55, il piroscafo Polluce ed il traghetto Reggio,
e danneggiato il traghetto Scilla. La
caccia e la contraerea colpiscono quattro “Fortezze Volanti”, una delle quali
precipita in mare, mentre le altre tre riusciranno a rientrare alle loro basi
in Tunisia (una di esse però sarà costretta ad un atterraggio d’emergenza).
Armistizio
Alla data della
proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943,
la Cascino faceva parte del I Gruppo
Torpediniere di stanza a La Spezia, alle dipendenze del Dipartimento Militare
Marittimo Alto Tirreno, insieme alle “tre pipe” Antonio Mosto, Giacinto Carini e Generale Carlo Montanari. La Cascino,
tuttavia, non era in grado di prendere il mare, essendo ai lavori.
Cadute la Tunisia e
la Sicilia, martellato dai bombardamenti tutto il Sud Italia, La Spezia era
diventata la base principale della Regia Marina: qui aveva base la Squadra da
Battaglia dell’ammiraglio Carlo Bergamini, formata dalle tre corazzate della IX
Divisione (Roma, Italia e Vittorio Veneto), dagli incrociatori leggeri della VII Divisione (Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli) e dai
cacciatorpediniere delle Squadriglie XII (Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite)
e XIV (Legionario, Artigliere, Grecale ed Alfredo
Oriani).
Nel grande Arsenale,
inoltre, si trovavano ai lavori per riparazioni o manutenzione innumerevoli
unità di ogni tipo: tra di esse il vecchio incrociatore leggero Taranto, tre
cacciatorpediniere, cinque torpediniere (tra cui la Cascino), due corvette e due posamine, nonché numeroso naviglio
minore ed ausiliario.
In ottemperanza agli
ordini armistiziali, la Squadra da Battaglia dell’ammiraglio Bergamini lasciò
La Spezia intorno alle tre di notte del 9 settembre, diretta inizialmente verso
La Maddalena.
Il comandante in capo
del Dipartimento di La Spezia, ammiraglio Giotto Maraghini, provvide a dare
esecuzione alle disposizioni impartite da Supermarina circa il resto del
naviglio e le installazioni a terra: le navi minori in grado di muovere vennero
fatte partire per porti saldamente sotto controllo italiano od Alleato, quelle
impossibilitate a partire si autoaffondarono; lo stessero fecero le navi
mercantili (partenza od inutilizzazione, ma in alcuni casi gli armamenti
tedeschi delle mitragliere imbarcate impedirono di attuare tali provvedimenti).
Gli impianti, i bacini e le attrezzature dell’Arsenale furono resi
inutilizzabili, ma soltanto per 15 giorni, nell’ottimistica quanto irrealistica
speranza che gli Alleati avrebbero cacciato le forze tedesche dall’Italia nel
giro di qualche settimana.
Nel retroterra di La
Spezia si trovavano quattro divisioni tedesche, presenti in teoria per
partecipare al contrasto di un eventuale sbarco Alleato nella zona di La
Spezia; esse si mossero per occupare la piazzaforte prima ancora che venisse
annunciato l’armistizio. A difendere la piazza di La Spezia ed il territorio
circostante c’era il XVI Corpo d’Armata del generale Carlo Rossi, che contava
soltanto due divisioni italiane (la 105a Divisione Fanteria
"Rovigo" e la 6a Divisione Alpina "Alpi
Graie"). L’ammiraglio Maraghini tornò da Roma la sera dell’8 settembre,
dopo aver partecipato alla riunione dei vertici della Marina nella quale cui i
principali ammiragli comandanti di Dipartimento, oltre ai comandanti delle
forze da battaglia, di quelle di protezione del traffico e dei sommergibili,
avevano ricevuto istruzioni sul da farsi in caso di cessazione di ostilità
contro gli Alleati e reazione tedesca, pur senza essere esplicitamente
informati dell’armistizio. Dato che i comandi delle due Divisioni e del Corpo
d’Armata si trovavano tutti nel perimetro della piazza, la sera stessa dell’8
Maraghini poté conferire col generale Rossi circa le modalità della difesa di
La Spezia da un attacco tedesco. Rossi, a differenza di Maraghini, non aveva
ricevuto ordini precisi su come regolarsi; come se non bastasse, l’armistizio
coglieva la piazza di La Spezia nel pieno di un ribaltamento giurisdizionale:
in seguito a decisioni prese in agosto, la Piazza marittima di La Spezia doveva
essere abolita e sostituita da un Comando Militare Marittimo subordinato al
locale Comando di Grandi Unità dell’Esercito; la responsabilità della difesa
della ex piazza sarebbe stata trasferita dalla Marina all’Esercito. Il
passaggio di consegne sarebbe divenuto effettivo alle 00.00 del 10 settembre;
il generale Rossi, non credendo che la situazione potesse precipitare a tal
punto da richiedere provvedimenti eccezionali, non ritenne necessario
anticipare di un giorno l’assunzione del comando, come prescriveva invece
l’"Istruzione per la difesa delle coste" vigente ancora per il solo
giorno 9 settembre.
Nel loro colloquio,
pertanto, Rossi e Maraghini si limitarono a concordare la dislocazione di
alcuni reparti di marinai in determinati punti e di inviare un reggimento
atteso da Torino per il 9 settembre (per completare la Divisione
"Rovigo") a presidiare alcuni capisaldi (ma il reggimento, per gli
eventi dell’armistizio, non arrivò mai a La Spezia).
Gli alpini della
Divisione "Alpi Graie" resistettero per due giorni agli attacchi
dell’ex alleato, ma le truppe tedesche, incuneandosi tra i reparti delle due
Divisioni del XVI Corpo d’Armata, occuparono La Spezia entro il 10 settembre,
senza particolari difficoltà. Le due Divisioni italiane furono sciolte e
l’ammiraglio Maraghini lasciò La Spezia il 10 settembre, dopo aver dato esecuzione
agli ordini di Supermarina.
Non essendo in grado
di muovere, la Cascino si
autoaffondò nel porto di La Spezia il 9 settembre 1943, come da ordini ricevuti,
per non cadere intatta in mano tedesca.
Quello che ebbe luogo
a La Spezia il 9 settembre 1943 fu il più grande autoaffondamento in massa di
navi militari italiane mai verificatosi, allo scopo di evitare che cadessero
intatte in mano tedesca: si autoaffondarono nel porto il vecchio
incrociatore Taranto, i cacciatorpediniere Nicolò Zeno, FR 21 e FR 22, le torpediniere Generale Antonino Cascino, Generale Carlo Montanari, Ghibli, Procione e Lira,
i sommergibili Antonio Bajamonti, Ambra, Sirena, Sparide, Volframio e Murena, le corvette Euterpe, Persefone e FR 51,
il posamine Buccari, il
trasporto munizioni Vallelunga,
le cisterne militari Scrivia e Pagano, le motozattere MZ 736 e MZ 748, i rimorchiatori militari Mesco, Capri, Capodistria, Robusto e Porto
Sdobba, il MAS 525, la
motosilurante MS 36.
Furono invece
catturati gli incrociatori pesanti Bolzano e Gorizia, entrambi inservibili per i
gravi danni mai riparati (e difatti non entrarono mai in servizio sotto
bandiera tedesca), il posamine Crotone,
il trasporto munizioni Panigaglia,
la nave bersaglio San Marco, la
nave idrografica Ammiraglio Magnaghi,
la nave salvataggio sommergibili Anteo,
la cannoniera Rimini, le
cisterne militari Bormida, Dalmazia, Leno, Sprugola, Volturno, Stura e Timavo,
il piccolo trasporto Monte Cengio,
il dragamine RD 49, il MAS 556, le Bette N. 5 e N. 16,
i rimorchiatori Atlante, Brava, Carbonara, Linaro, Santo Stefano, Senigallia, Taormina, Torre Annunziata, N 9, N 10, N 37, N 53 e N 55. Gran parte di tali unità furono sabotate dagli equipaggi;
il Gorizia aveva anche
iniziato ad autoaffondarsi, ma tale provvedimento era stato poi sospeso.
Proprio in data 9
settembre 1943 si persero le tracce di un marinaio della Cascino, il nocchiere ventenne Vinicio Milos, da Pirano: sarebbe
stato in seguito dichiarato «disperso in
territorio metropolitano» in questa data. Niente altro è dato sapere sulla
sua sorte: come tanti altri militari di tutte le armi, svanì nei confusi giorni
dell’armistizio, vittima forse delle rappresaglie tedesche, forse di chissà
quale altra circostanza bellica.
Un altro membro
dell’equipaggio della Cascino, il
sottocapo nocchiere termolese Enrico De Fanis, fu catturato dai tedeschi e
deportato in Germania: qui morì in prigionia, all’età di 24 anni, il 14 ottobre
1944. Fu sepolto a Duisburg, da dove in seguito la salma sarebbe stata traslata
nella natia Termoli.
Il relitto della Cascino languì per quattro anni sui
fondali del porto di La Spezia, ben oltre la fine delle ostilità. Il 27
febbraio 1947 la nave venne formalmente radiata dai quadri del naviglio
militare; nel corso dello stesso anno il relitto fu recuperato ed avviato alla
demolizione.