|
Il Michele Bianchi a La Spezia nel maggio
1940. In questo periodo, per temporanea indisponibilità dei nuovi cannoni da
100/47 mm, il sommergibile fu dotato di un vecchio pezzo da 102/35, poi
sostituito con il nuovo modello (g.c. STORIA militare) |
Sommergibile oceanico
della classe Marconi (1191 tonnellate di dislocamento in superficie e 1489 in
immersione).
Durante il conflitto
svolse 7 missioni di guerra, quattro in Atlantico e tre in Mediterraneo,
percorrendo 13.220 miglia in superficie e 1002 in immersione, trascorrendo 89
giorni in mare ed affondando 3 navi mercantili per complessive 24.222 tsl.
Per lungo tempo, a
causa dell’errata identificazione di due delle tre navi da esso affondate, al Bianchi è stato attribuito
l’affondamento di un tonnellaggio nettamente inferiore (14.705 tsl, quasi
10.000 tsl in meno del reale), riportato ancor oggi da numerose fonti anche
ufficiali, ma ricerche più approfondite hanno permesso di rettificare questo
errore.
Breve e parziale cronologia.
15 febbraio 1939
Impostazione nei
cantieri Odero-Terni-Orlando del Muggiano (La Spezia).
3 dicembre 1939
Varo nei cantieri
Odero-Terni-Orlando del Muggiano.
|
Il varo
del Bianchi (da “Gli squali dell’Adriatico”
di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it) |
3 aprile 1940
Durante le prove
d’immersione al largo di La Spezia, il Bianchi
(avente a bordo il contrammiraglio Massimiliano Vietina, della Commissione di
collaudo del Ministero della Marina) raggiunge senza inconvenienti la
profondità di 115 metri.
15 aprile 1940
Entrata in servizio. Suo primo comandante è il capitano di corvetta Vittore Carminati.
10 giugno 1940
Al momento
dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Bianchi si trova dislocato a La Spezia, impegnato nel periodo di
addestramento iniziale, che si protrarrà fino a metà agosto.
18 giugno 1940
Il comando del Bianchi passa dal capitano di corvetta Carminati al parigrado Adalberto Giovannini.
15 agosto 1940
Ultimato il periodo
di addestramento (svolto nelle acque di La Spezia, dov’è stato costruito),
salpa per la prima missione di guerra, un pattugliamento a levante di
Gibilterra.
17 agosto 1940
Raggiunge il settore
assegnato, nei pressi dello stretto di Gibilterra, ed inizia a pattugliarlo.
25 agosto 1940
Alle 6.03 il Bianchi (capitano di corvetta Adalberto
Giovannini, da Capodistria), stando in immersione, lancia un siluro contro un’unità
britannica da pattugliamento (una nave di piccole dimensioni, dalle
caratteristiche imprecisate) al largo di Gibilterra. Viene sentita
un’esplosione, e Giovannini ritiene di avere probabilmente affondato l’unità
nemica, ma in realtà il siluro non è andato a segno.
3 settembre 1940
Lascia il settore di
agguato per rientrare alla base.
Segue un periodo di
lavori in arsenale, in preparazione del suo trasferimento a Betasom, la base
sommergibilistica italiana in Atlantico.
27 ottobre 1940
Il Bianchi (capitano di corvetta Adalberto
Giovannini) parte da La Spezia diretto in Atlantico per la sua prima missione
in quell’oceano, al termine della quale dovrà raggiungere Bordeaux, sede di
Betasom. Prima di dirigere per Bordeaux, dovrà effettuare un agguato al largo
di Capo San Vincenzo, a sudovest di Lisbona, formando con altri tre
sommergibili (Morosini, Marcello e Brin, gruppo denominato «Morosini»), anch’essi in corso di
trasferimento in Atlantico (ciascuno dei quattro battelli deve attraversare lo
stretto di Gibilterra individualmente, nei giorni immediatamente successivi al
novilunio, che cade il 1° novembre), uno sbarramento a maglie molto larghe al
largo della penisola iberica, dove confluisce il traffico britannico tra
Freetown ed il Regno Unito. I sommergibili dovranno restare in agguato nelle
zone assegnate fino al raggiungimento dei limiti di autonomia, poi dovranno
raggiungere Bordeaux.
Durante i primi
giorni di navigazione verso lo stretto di Gibilterra, il Bianchi procede in immersione di giorno ed in superficie di notte,
per ricaricare le batterie.
3 novembre 1940
Arrivato all’1.05
della notte poche miglia ad est di Punta Almina (vicino a Ceuta, nel Marocco
spagnolo), il Bianchi s’immerge per
attraversare lo stretto di Gibilterra in immersione. Salvo imprevisti, dovrebbe
riemergere alle 19 di quella sera.
Durante
l’attraversamento, tuttavia, il Bianchi
viene individuato ed attaccato da unità britanniche: dalle 2.20 alle 4.27 viene
sottoposto a caccia con impiego di torpedine a rimorchio e lancio di cinque
bombe di profondità, che non causano danni.
Dopo le otto del
mattino, il sommergibile inizia a manifestare seri problemi nel mantenimento
dell’assetto e nel governo, causati dalle forti correnti sottomarine dello
stretto (violente correnti contrastanti provenienti da entrambe le direzioni,
problema incontrato da quasi tutti i sommergibili durante il passaggio dal
Mediterraneo all’Atlantico: per via dell’elevata evaporazione, le correnti
tendono ad entrare nel Mediterraneo, mentre altre ne fuoriescono verso
l’Atlantico): gli ecometri segnalano che la profondità sotto lo scafo sta
rapidamente diminuendo, il che significa che il sommergibile sta venendo
deviato verso la costa del Marocco; si susseguono bruschi “sbalzi” verso l’alto
e verso il basso, anche di una dozzina di metri, a volte di prua ed a volte di
poppa, facendo cadere gli uomini e rovesciando a terra gli oggetti. Alle 8.20 il
Bianchi incappa in un “vuoto d’acqua”
creato dal gioco delle correnti e “precipita” fino a 118 metri di profondità,
il limite di collaudo. Per frenare la caduta il sommergibile si libera della
zavorra; inizia allora a risalire “a pallone”, velocissimamente, per poi
fermarsi a 50 metri.
Addentrandosi sempre
più nello stretto, dato che il fondale risulta via via meno profondo, mentre
gli idrofoni stanno iniziando a rilevare rumori prodotti da unità sottili in
superficie, il comandante Giovannini decide di posarsi sul fondale col sommergibile
ed attendere che le navi nemiche se ne vadano. Il Bianchi si posa dunque sul fondo ed aspetta dalle 11.50 alle 13, ma
alla fine la corrente, che trascina lo scafo contro il fondale roccioso,
rischiando di danneggiarlo, lo costringe a rimettere in moto.
Alle 15.45 il
sommergibile perde nuovamente l’assetto a causa delle correnti e sprofonda fino
a 142 metri di profondità, molto oltre la quota di collaudo; si sentono
inquietanti scricchiolii, ma lo scafo sembra resistere. Giovannini ordina la
risalita (per una fonte il battello sarebbe a questo punto risalito “a pallone”
fino a pochi metri dalla superficie, prima di “ricadere” nuovamente), ma il Bianchi sprofonda di nuovo fino a 154
metri. A questo punto, considerata la serietà della situazione – la riserva
d’aria sta per esaurirsi, e così pure le batterie – e l’impossibilità di
restare immerso ancora a lungo, il comandante decide di emergere.
Alle 15.55 il Bianchi emerge a 6 miglia da Tangeri.
Cinque minuti dopo, un idrovolante britannico Saro London del 202nd
Squadron della Royal Air Force (facente parte del Coastal Command ed avente
base a Gibilterra) avvista il sommergibile e lancia l’allarme, pur senza
attaccare direttamente (secondo una fonte britannica il London avrebbe
attaccato e danneggiato il Bianchi,
ma ciò sembra un errore). Per il resto, non si vede in giro nessuno a parte
qualche barca da pesca, la situazione sembra calma: si prosegue dunque in
superficie l’attraversamento dello stretto.
Dopo aver navigato in
superficie per un’ora e mezza, quanto basta per ricambiare almeno in parte
l’aria e ricaricare parzialmente le batterie, il Bianchi s’immerge di nuovo, ad un paio di miglia da Capo Spartel.
Una volta di più, il governo in quota risulta molto difficile; alle 18.20
vengono fermati i motori ed iniziata la presa di fondo, con un’accostata verso
est, parallelamente alla costa.
Improvvisamente, il
fondo sale da 70 a 40 metri, ed il Bianchi
striscia violentemente con le appendici esterne sul fondale sabbioso, venendo
spinto in alto e “prendendo” rapidamente quota, come se stesse seguendo un
fondale che sale ripidamente. Giovannini tenta di fermarlo allagando la cassa
rapida di immersione, ma alle 18.24, trovandosi ormai ad appena dieci metri di
profondità, il Bianchi si ferma per
un violento urto di prora; poi viene spinto ancora più in alto, fino a far
emergere le camicie dei periscopi. Osservando al periscopio, Giovannini vede
che la prua del sommergibile affiora fuori dall’acqua, incastrata tra gli
scogli della costa: il Bianchi si è
incagliato a Punta de los Pichones, sulla costa marocchina.
Il comandante ordina
allora di emergere e procedere all’esaurimento ad alta pressione. Verso il
largo vengono avvistati tre cacciatorpediniere britannici, disposti
parallelamente alla costa con intervalli di 3-4 km l’uno dall’altro, in
navigazione a lento moto; stanno cercando il Bianchi, in cooperazione con due aerei, ma non l’hanno ancora
avvistato. Giovannini fa alzare la bandiera ed armare il cannone e le
mitragliere, poi si disincaglia manovrando con i motori elettrici; poco dopo,
uno degli aerei avvista il Bianchi e
lo segnala alle navi lanciando dei razzi verdi.
Il cacciatorpediniere
centrale dei tre che si vedono, distante circa 6 km dal Bianchi, accosta bruscamente a sinistra ed accelera, dirigendosi
verso il sommergibile, mentre dalla bocca dello stretto compare un quarto
cacciatorpediniere, che si avvicina ad elevata velocità.
Non essendo in
condizione di immergersi, né di lanciare siluri con i tubi prodieri, il
comandante Giovannini decide di non ingaggiare un combattimento che si
concluderebbe inevitabilmente con la distruzione del suo sommergibile, e di
rifugiarsi invece nel vicino porto neutrale di Tangeri, in Marocco, città
dichiarata nel 1923 "Zona internazionale" (dunque politicamente e militarmente
neutrale) sotto amministrazione multinazionale, e poi occupata provvisoriamente
nel giugno 1940 da truppe spagnole. Il comandante dà dunque ordine di non
aprire il fuoco se non per rispondere ad eventuale tiro nemico, e procede col Bianchi lungo la costa per entrare a
Tangeri. Per sicurezza, nell’eventualità che il tentativo non dovesse avere
successo, Giovannini ordina anche di distruggere i documenti dell’archivio
segreto, gli ordini d’operazione e le lettere segrete. (Per altra versione, il Bianchi avrebbe invece diretto verso
Tangeri in immersione, venendo inseguito, cannoneggiato e bombardato
ripetutamente con bombe di profondità dal Greyhound,
fino ad emergere in prossimità del porto per entrarvi).
Il cacciatorpediniere
britannico Greyhound (capitano di
fregata Walter Roger Marshall A’Deane), che è l’unità capogruppo, si avvicina
ad alta velocità cercando di guadagnare verso la prua del sommergibile (da
bordo del quale si riesce anche a leggere la sigla identificativa
dell’attaccante, H05), tuttavia non apre il fuoco e non punta nemmeno i suoi
cannoni verso il battello italiano: non vuole usare le armi, essendo ormai in
acque territoriali del territorio di Tangeri, dunque neutrali. Prima di
desistere, il Greyhound fa un
tentativo in extremis di speronare il Bianchi
per affondarlo, ma il tentativo fallisce ed il sommergibile prosegue verso il
porto, ormai vicinissimo. Quando il Bianchi
arriva infine alla bocca del porto e rallenta per entrarvi, il Greyhound, giunto ormai a soli 600 metri
dal sommergibile, accosta a sinistra e torna nei limiti delle acque
territoriali; sulla torretta del sommergibile, il comandante Giovannini porta
la mano alla visiera e poi leva il cappello e lo agita in segno di saluto al
comandante del Greyhound, visibile in
controplancia del suo caccia, che sportivamente risponde alzando le mani sopra
la testa e stringendole vigorosamente. La popolazione di Tangeri, accorsa al
porto per assistere al “testa a testa” tra Bianchi
e Greyhound, accoglie il primo come
se fosse il vincitore di una gara sportiva.
Il Bianchi entra a Tangeri alle 19 e viene
raggiunto da una motosilurante spagnola uscita dalla darsena interna, che gli
indica di ormeggiarsi alla boa di levante, ordine che viene eseguito. Una volta
ormeggiato, salgono a bordo numerosi componenti della comunità italiana di
Tangeri, che strigono le mani e invitano a cena gli uomini del Bianchi. Poche ore dopo, entra nel porto
anche un secondo sommergibile italiano, il Brin
(capitano di corvetta Luigi Longanesi Cattani), reduce anch’esso da
un’avventura simile a quella del Bianchi.
Il Greyhound e gli altri tre
cacciatorpediniere rimangono a vigilare fuori dal porto fino al calare del
buio.
Il governatore
spagnolo di Tangeri – la Spagna fascista di Francisco Franco è formalmente neutrale,
ma di fatto favorevole alle potenze dell’Asse – concede a Bianchi e Brin poco meno
di 60 giorni per effettuare le riparazioni, fino allo scadere del 31 dicembre, dopo
di che dovranno lasciare il porto neutrale o verranno internati. Quei due mesi sarebbero
un tempo più che sufficiente, anche se il problema è costituito dalla scarsità
dei mezzi disponibili in loco per compiere tali lavori, nonché dall’esiguità
dei fondi disponibili a Bianchi e Brin: in breve le casse dei due
sommergibili vengono svuotate, tanto da impedire anche di distribuire la paga
agli equipaggi. Un giorno, però, il panettiere Giovanni Macca, un italiano che
vive a Tangeri, si presenta sul Bianchi
ed offre 20.000 franchi: “Questi sono tutti i miei risparmi, ma sono felice di
poterli donare ai vostri equipaggi”. Successivamente, anche il Consolato
italiano interviene, fornendo 60.000 lire. Dall’Italia, grazie anche alla
compiacenza delle autorità spagnole, vengono inviati segretamente a Tangeri
tecnici e pezzi di ricambio per effettuare le riparazioni.
L’atmosfera a
Tangeri, città neutrale in un mondo in fiamme, è per certi versi surreale: per
strada e nei bar i marinai dei due sommergibili italiani incontrano sovente
marinai e soldati britannici della base di Gibilterra, arrivati a Tangeri per
passarvi una breve licenza al finesettimana. Nonostante lo stato di guerra
esistente tra i due Paesi, non sorgono incidenti tra italiani e britannici,
anzi talvolta si scherza e ci si offre da bere. Un comune amico presenta al
comandante Giovannini un anziano ufficiale della riserva della Royal Navy,
l’ammiraglio Gaunt, che vive a Tangeri in una villa sul mare (e che – si
mormora – sarebbe il comandante dei servizi segreti britannici a Tangeri):
questi si complimenta cavallerescamente con Giovannini: “Ho seguito dalla mia
finestra la vostra manovra per sfuggire al caccia britannico. Voglio esprimere
a lei e al Comandante Longanesi il mio compiacimento per la maniera brillante
con la quale vi siete sottratti alle prue avversarie”.
Il 4 dicembre i
marinai di Bianchi e Brin celebrano la festa di Santa
Barbara, patrona dei marinai, organizzando competizioni sportive cui assistono
molti cittadini di Tangeri. Nella stessa occasione vengono anche distribuite ad
alcuni uomini del Bianchi le
decorazioni frattanto conferite per un fatto d’armi precedentemente accaduto in
Mediterraneo: mancando materialmente le medaglie, le donne italiane di Tangeri
cuciono dei nastrini, che Giovannini appunta sul petto dei suoi uomini per
simboleggiare le medaglie.
Non per questo,
comunque, la guerra si è fermata: Tangeri è un covo di spie di tutti i Paesi, e
i servizi segreti britannici tengono d’occhio Bianchi e Brin, cercando
di interferire con le riparazioni o di attuare qualche sabotaggio; nelle
capitali dei Paesi coinvolti si svolge una “battaglia” diplomatica circa la
sorte dei due sommergibili fermi nel porto neutrale. A Roma Mussolini si fa
aggiornare giornalmente sulla situazione, prevedendo un forzamento del blocco;
a Londra, i britannici vorrebbero ottenere dalle autorità spagnole il sequestro
dei due battelli; la stampa angloamericana sostiene che il governo italiano
abbia provocato intenzionalmente l’incidente per spingere la Spagna ad entrare
in guerra dalla parte dell’Asse, accuse continuamente smentite da Madrid.
|
Il Bianchi alla fonda a Tangeri (da
Settimanale Epoca n. 625, del 25 novembre 1962) |
12-13 dicembre 1940
Terminate le
riparazioni (per quanto possibile, quanto meno, con i mezzi disponibili a
Tangeri), Bianchi e Brin sono pronti a partire: tuttavia,
dato che lo spionaggio britannico tiene i sommergibili sotto osservazione,
pronto a segnalarne a Gibilterra la partenza per organizzarne l’intercettazione
e la distruzione non appena usciti dal porto, i comandanti Giovannini e
Longanesi Cattani escogitano vari stratagemmi per ingannare le spie: fanno
credere che ci siano ancora molte riparazioni da svolgere, e scelgono per la
partenza la notte fra il 12 ed il 13 dicembre, cioè una notte in cui le
condizioni di luce e di mare – luna piena e mare calmissimo –, che
faciliterebbero l’individuazione dei sommergibili, sconsiglierebbero di lasciare
Tangeri. Una scelta apparentemente poco logica, proprio perché così i
britannici non penseranno che i sommergibili intendano davvero partire in una
notte del genere. Per rafforzare l’inganno, durante la giornata del 12 dicembre
i marinai dei sommergibili stendono la biancheria in coperta, e mandano i loro
vestiti migliori alle lavanderie di Tangeri; venuta la sera, i marinai vengono
mandati a terra in franchigia, mentre Giovannini e Longanesi Cattani, anch’essi
scesi a terra come al solito, prendono parte ad un cocktail e poi si recano al
cinema, sedendosi poco lontano da alcuni ufficiali britannici. Tutto ciò per
far credere che non ci sia alcuna intenzione di partire: in realtà, l’ordine
per tutti è di tornare a bordo entro l’una di notte.
Lo stratagemma funziona:
unica unità britannica di guardia fuori del porto è l’Agate, un modesto cacciasommergibili ausiliario che gli equipaggi
di Bianchi e Brin hanno soprannominato “mulo”. Terminato lo spettacolo,
Giovannini e Longanesi Cattani lasciano il cinema e tornano verso il porto
continunando la recita: passeggiano con calma, parlando del più e del meno e
fermandosi di tanto in tanto. Ma una volta a bordo, vengono fulmineamente
impartiti gli ordini per la partenza; gli uomini accorrono ai loro posti, e
intanto due subacquei scendono in mare e tranciano con grosse pinze i cavi
della linea telefonica Tangeri-Gibilterra, per evitare che qualche spia possa
dare l’allarme all’ultimo momento. Una volta recuperati i subacquei, i
sommergibili mettono in moto nella notte chiarissima, con visibilità tale da
permettere di distinguere chiaramente la costa della Spagna, dall’altra parte
dello stretto.
Sul Bianchi, il comandante Giovannini
aspetta che l’Agate, compiendo il suo
giro di vigilanza, si allontani il più possibile, poi ordina di muovere;
entrambi i battelli, con la biancheria ancora stesa in coperta, dirigono verso
l’imboccatura del porto. L’Agate
lancia dei segnali luminosi, ma ormai è troppo tardi per un intervento: alle
2.44 del 13 dicembre Bianchi e Brin doppiano a tutta forza la punta del
molo, indi escono in mare aperto e si dileguano, eludendo i cacciatorpediniere
britannici che lanciano infruttuosamente bombe di profondità in un’area
piuttosto vasta. “Venerdì 13” non ha portato fortuna ai britannici, mentre ne
ha portata parecchia agli italiani.
La vicenda della fuga
da Tangeri di Bianchi e Brin ispirerà un film del 1963, “Finché
dura la tempesta” (“Torpedo Bay” per il pubblico anglosassone), con Gabriele
Ferzetti, James Mason e Lilli Palmer.
Necessitando comunque
di ulteriori e più approfondite riparazioni, il Bianchi deve però rinunciare al previsto agguato al largo dello
stretto e dirige subito verso Bordeaux; il sommergibile Marcello lo ha sostituito nel settore assegnatogli.
|
Il Bianchi rientra a Bordeaux da una missione, nel 1940 (Fondazione Museo Storico del Trentino) |
18 dicembre 1940
Alle 5.40 il Bianchi assiste all’infruttuoso duello
d’artiglieria combattuto tra il Brin
ed il sommergibile britannico Tuna,
al largo della Gironda.
Entrato nella
Gironda, il Bianchi arriva a Bordeaux
a mezzogiorno (per altra fonte, nel pomeriggio).
Per la sue azioni durante
l’attraversamento dello stretto di Gibilterra e la successiva evasione da
Tangeri, il comandante Giovannini viene decorato con la Medaglia d’Argento al
Valor Militare.
5 febbraio 1941
Il Bianchi (capitano di corvetta Adalberto
Giovannini) salpa da Bordeaux per una missione nell’Atlantico settentrionale. È
il primo a partire di un gruppo – denominato proprio Gruppo «Bianchi» – di
quattro sommergibili (gli altri sono Otaria,
Marcello e Barbarigo, partiti i primi due il 6 febbraio ed il terzo il 10) i
quali, a seguito di accordi presi tra il comandante di Betasom, ammiraglio
Angelo Parona, ed il Comando dei sommergibili tedeschi, dovranno operare in
cooperazione con gli U-Boote tedeschi e la Luftwaffe (precisamente, i
quadrimotori Focke-Wulf FW 200 "Condor" dei quali si sta
sperimentando con notevole successo l’impiego nella duplice funzione di
ricognitori e bombardieri antinave) contro i convogli britannici in navigazione
nel Nordatlantico, a sud dell’Islanda. I sommergibili italiani devono
raggiungere zone d’agguato contigue, ad ovest dell’Irlanda, e rimanervi fino al
raggiungimento dei limiti di autonomia, per poi tornare a Bordeaux.
Questa operazione
segna la ripresa della cooperazione tra sommergibili italiani e tedeschi nel
Nordatlantico, interrotta a inizio dicembre 1940 in seguito agli scarsi
risultati ottenuti fino a quel momento dai battelli di Betasom: a fine gennaio
1941, a seguito di un aumento degli affondamenti da parte di sommergibili
italiani (in particolare da parte del Luigi Torelli, che ha affondato quattro
piroscafi un una sola missione), l’ammiraglio tedesco Dönitz si è ricreduto ed
ha deciso di riprendere la collaborazione con le unità italiane, dalle quali si
aspetta migliori risultati di quelli osservati in precedenza. A Bianchi, Otaria, Marcello e Barbarigo sono assegnati settori
d’operazioni a cavallo del parallelo 15° Est; il Bianchi, in particolare, dovrà appostarsi nelle aree individuate
dai paralleli 54° e 55° Nord e dai meridiani 18° e 20° Ovest, e dai paralleli
56° e 57° Nord e dai meridiani 15° e 23° Ovest.
Le condizioni
meteomarine, fin dall’attraversamento del Golfo di Guascogna, sono
particolarmente avverse, con continue e violente tempeste: il Bianchi incontra mare forza 8, che gli
asporta il primo portellone anteriore dell’intercapedine, provocando una
modesta entrata d’acqua ed allagando il periscopio d’attacco. Nondimeno, il
sommergibile prosegue nella missione in buone condizioni, ed il comandante
Giovannini si considera abbastanza soddisfatto della tenuta al mare del Bianchi, anche di poppa e con governo
difficoltoso.
6 febbraio 1941
Alle 2.50 il Bianchi avvista una vedetta
antisommergibili tedesca della base di Lorient, dalla quale si allontana.
7 febbraio 1941
Alle 12.53 avvista un
aereo e s’immerge per non essere avvistato.
14 febbraio 1941
Raggiunge la zona
assegnata per la missione.
All’1.45 il Bianchi avvista nel buio della notte un grosso
piroscafo da carico oscurato, con lunghissimi pozzi delle stive e tre alberi a
traliccio, di stazza valutata dal comandante Giovannini in circa 5000-6000 tsl.
La nave segue rotta 60°, verso nordest, ad una velocità stimata di 10 nodi; il Bianchi, restando in superficie, manovra
dal lato favorevole rispetto alla luce lunare, ed alle 3.26, da una posizione a
proravia del bersaglio, lancia un primo siluro da 450 mm, che però non va a
segno. Reiterata la manovra d’attacco, alle 4.36 il Bianchi lancia altri due siluri, da 533 mm, da una distanza di 700
metri. Questa volta entrambi i siluri vanno a segno; il piroscafo affonda in
soli 65 secondi, tentando di lanciare un segnale di soccorso che non riesce
però a completare.
Per lungo tempo, la
nave affondata dal Bianchi in questo
attacco è stata identificata come il piroscafo britannico Belcrest di 4517 tsl (capitano Norman Cecil Brockwell), unità
dispersa del convoglio SC. 21 (nel quale occupava la posizione n. 12 e col
quale aveva perso il contatto l’11 febbraio, rimanendo arretrata), salpata da
Halifax per Newport (Galles) con un carico di acciaio e merci varie e scomparsa
con tutto l’equipaggio di 37 uomini. La maggior parte delle fonti ufficiali,
comprese quelle italiane, attribuisce ancor oggi al Bianchi l’affondamento del Belcrest.
Ricerche più recenti,
tuttavia, analizzando meglio le tempistiche e le posizioni delle sparizioni di
navi mercantili Alleate e dei numerosi attacchi da parte di sommergibili
dell’Asse avvenuti in quei giorni nel Nordatlantico, nonché le caratteristiche
delle navi coinvolte e le descrizioni fornite dai sommergibili delle loro
vittime, hanno invece concluso che il Belcrest
sia stato affondato alle 22.57 del 14 febbraio, 300 miglia a ponente
dell’Irlanda (in posizione 54° 15' N, 18° 45' O), da due siluri – che colpirono
la nave a prua ed al centro, facendola spezzare in due ed affondare in 90
secondi – lanciati dal sommergibile tedesco U
101 (tenente di vascello Ernst Mengersen), al cui attacco era stato
precedentemente attribuito l’affondamento del piroscafo Holystone di 5462 tsl (capitano John Stewart Bain). Quest’ultimo,
un piroscafo disperso del convoglio OB. 284, era partito scarico da Hull
diretto ad Halifax, via Oban, e fu invece affondato alle 00.38 del 15 febbraio,
500 miglia a sud-sud-ovest dell’Islanda (posizione 55° 39' N, 25° 15' O, a
sud-sud-est di Rockall), da un siluro lanciato dal sommergibile tedesco U 123 (tenente di vascello Karl-Heinz
Moehle), che – dopo averlo lungamente inseguito lanciando infruttuosamente
altri cinque alle 22.15, 22.35, 22.44 e 23.38 del 14 febbraio ed alle 00.12 del
15 – lo colpì a poppa sinistra provocandone la violenta esplosione ed il
repentino affondamento, senza lasciare superstiti tra i 40 uomini
dell’equipaggio. (Anche questa nave è stata da alcuni indicata come la
possibile vittima del Bianchi).
In precedenza, a
questo attacco dell’U 123 era stato
accreditato l’affondamento dell’Alnmoor
(capitano Albert Edwards), un piroscafo britannico di 6573 tsl partito da
Halifax il 31 gennaio (per altra fonte proveniente da New York, via Sydney) e
diretto a Glasgow (per altra fonte anch’esso a Newport, nel Galles) con un
carico di merci varie, farina, acciaio, altri metalli e leghe di ferro e 14
aerei da caccia Curtiss. Dopo aver perso il contatto col convoglio SC. 21 di
cui faceva parte (come il Belcrest;
l’Alnmoor occupava nel convoglio la
posizione n. 62), restando indietro a causa del maltempo, l’Alnmoor era scomparso (in posizione
approssimata 55° N e 13° O) con l’intero equipaggio di 42 uomini, sorte toccata
a diversi piroscafi Alleati – tra cui Belcrest
e Holystone –, in quei giorni, nelle
tormentate acque dell’Atlantico settentrionale.
Alla luce delle
ricerche più recenti, emerge che fu proprio l’Alnmoor la vittima del Bianchi,
affondando con tutto il suo equipaggio nel punto 55° 16' N e 19° 07' O, a
sud-sud-ovest di Cape Clear (l’estrema propaggine meridionale dell’Irlanda).
In definitiva, gli
affondamenti dei tre piroscafi scomparsi tra il 14 ed il 15 febbraio 1941 erano
stati in precedenza così accreditati: Belcrest
dal Bianchi; Holystone dall’U 101; Alnmoor dall’U 123 (per un periodo, l’affondamento dell’Alnmoor venne attribuito anche all’U 101); mentre le ricerche più aggiornate hanno portato a questo
“riordino”: Alnmoor dal Bianchi; Belcrest dall’U 101; Holystone dall’U 123.
Subito dopo aver
affondato l’Alnmoor, alle 4.52, il Bianchi avvista un altro piroscafo da
carico con rotta nordovest, ma le condizioni iniziali sfavorevoli all’attacco e
l’elevata velocità del mercantile inducono il comandante Giovannini ad
abbandonare l’inseguimento.
16 febbraio 1941
Dietro richiesta del
Comando dei sommergibili tedeschi, che ha deciso di spostare i suoi battelli
più a nord, il Comando di Betasom ordina ai suoi quattro sommergibili in mare
di formare uno sbarramento ad ovest dell’Irlanda, per attaccare il naviglio
nemico nelle zone più a sud di quelle assegnate agli U-Boote tedeschi sulle
rotte con il Canale del Nord.
18 febbraio 1941
A seguito della
riduzione del traffico nemico nell’area assegnata ai sommergibili italiani
(fatto notare dal Comando tedesco all’ammiraglio Parona) ed a nuove direttive
del Comando sommergibili tedesco, il Comando di Betasom ordina a Bianchi, Marcello e Barbarigo di
spostarsi circa 80 miglia più a nord, formando un nuovo schieramento in un
settore che risulta più adatto al momento, andando a “coprire” una vasta area
delimitata dal Canale del Nord (parallelo 57° Nord) e l’estremità meridionale
dell’Islanda. Lo schieramento italiano va a completare quello analogo degli
U-Boote tedeschi lungo il meridiano 20° Ovest.
19 febbraio 1941
A seguito
dell’avvistamento (in posizione 59°40' N e 06°15' O, ottanta miglia a nordovest
di Capo Wrach), da parte di un FW. 200 "Condor" del I./KG. 40
(pilotato dal tenente Bernhard Jope, che due anni e mezzo più tardi sarà
l’affondatore della corazzata Roma),
del convoglio britannico OB. 287 (composto da 40 navi mercantili e 5 navi
scorta), in navigazione verso ovest a 7 nodi, l’ammiraglio Dönitz ordina di
formare uno sbarramento (il cui centro deve trovarsi davanti alla prora del
convoglio) lungo il meridiano 12° Ovest e fra i paralleli 60°50' N e 59°10' N,
con i sommergibili U 48, U 69, U 73, U 96 e U 107 (distanziati tra loro di 20-25
miglia). Un sesto U-Boot, l’U 103, è
ormai sulla rotta di rientro e non può partecipare allo sbarramento, che viene
invece integrato e prolungato, verso sud, da Marcello e Barbarigo,
mentre al Bianchi viene ordinato di
portarsi in posizione arretrata per prendere parte all’attacco, se possibile,
dopo l’avvistamento del convoglio da parte dei sommergibili in posizione
avanzata. Per permettere di schierare tutti i battelli, ai sommergibili viene
ordinato di attaccare soltanto dopo aver ricevuto l’ordine dal Comando a terra.
20 febbraio 1941
A seguito di ripetuti
avvistamenti da parte di aerei FW. 200, risulta evidente che la rotta del
convoglio OB. 287 dirige sull’ala meridionale dello schieramento tedesco, col
rischio che esso possa dunque aggirare lo sbarramento dal lato meridionale; il Barbarigo, che dovrebbe trovarsi in quel
punto per prolungare verso sud lo schieramento degli U-Boote, non riesce a
portarsi nella posizione assegnata a causa del tempo fortemente avverso. Il
posto nello sbarramento che dovrebbe essere occupato dal Barbarigo viene allora assegnato al Bianchi, ma neanche quest’ultimo riesce a portarvisi in tempo; di
conseguenza, il convoglio riesce a passare pressoché indenne, mancando un
sommergibile proprio nel punto decisivo. Una sola nave, già danneggiata dai "Condor",
viene affondata da un U-Boot.
Alle 15.03 i
sommergibili ricevono ordine di spostarsi verso ovest a seguito dei mutamenti
di rotta del convoglio, perché la posizione segnalata dagli aerei risulta
piuttosto imprecisa. Bianchi e Marcello devono posizionarsi sulle ali
del nuovo schieramento spostato verso ovest; il Bianchi, in particolare, riceve ordine di raggiungere la posizione
59°30' N e 14°20' O.
Per tutta la giornata,
la discordanza tra le posizioni segnalate dai velivoli della Luftwaffe e quelle
risultanti dalle rilevazioni radiogoniometriche del Servizio B della
Kriegsmarine determinano non poca confusione: sulle prime Dönitz regola i suoi
ordini sulle segnalazioni degli aerei, che reputa più attendibili, ma alle
19.45, rendendosi conto che invece esse sono sbagliate, ordina la formazione di
una nuova linea di sbarramento più a est, sulla base delle informazioni del
Servizio B. Il nuovo sbarramento, situato vicino al meridiano 17° Ovest, è
disposto perpendicolarmente alla direttrice di marcia del convoglio e formato
ancora da U 48, U 69, U 73, U 96 e U 107 e prolungato alle estremità dai sommergibili italiani, Bianchi e Barbarigo a nord e Marcello
a sud. Ma l’OB. 287 ormai è sfuggito.
21 febbraio 1941
Alle
2.23 Betasom, con un nuovo ordine, assegna il Bianchi al settore 46-99-52, il Barbarigo al 46-67-36 ed il Marcello al 27-74-43.
Alle
3 il B.d.U. sposta lo sbarramento ancora più ad ovest, disponendolo
perpendicolarmente alla direttrice di marcia del convoglio ed ordinando che
tutti i sommergibili inizino a rastrellare le zone su rotta vera 45°. Il Bianchi raggiunge la posizione
assegnata, ma alle 14 riceve un nuovo segnale di scoperta del convoglio,
pertanto non esegue il rastrellamento e si dirige invece direttamente verso il
convoglio, sulla base delle informazioni contenute nel segnale di scoperta.
Alle 19.45 il Bianchi avvista un altro sommergibile,
probabilmente italiano: forse si tratta del Marcello.
Alle
23 vengono dati ordini per la formazione di un nuovo sbarramento, composto da Bianchi, Barbarigo e quattro U-Boote tedeschi, con rastrellamento su rotta
vera 65°.
22 febbraio 1941
All’1.20 Betasom
ordina a Bianchi, Marcello e Barbarigo di effettuare il loro pattugliamento con rotta 45° e
velocità 8 nodi fino a nuovo ordine.
Alle 9.30 un altro
FW. 220 avvista in posizione 59°59' N e 01°24' O (40 miglia a sud di Lousy
Bank) il convoglio OB. 288, successore dell’OB. 287, in navigazione
dall’Inghilterra verso ovest con 46 mercantili e sei navi scorta
(cacciatorpediniere Georgetown –
caposcorta –, Antelope ed Achates, corvetta Heather, peschereccio armato Ayrshire,
piroscafo armato Manistee, quest’ultimo
requisito dalla Royal Navy come “ocean boarding vessel”, in sostanza un
incrociatore ausiliario).
Ricevuta la notizia,
Dönitz invia inizialmente contro il convoglio i sommergibili U 46 e U 552, e successivamente, quando (a mezzogiorno) il "Condor"
corregge la posizione del convoglio originariamente segnalata, ordina la creazione
di un nuovo gruppo di ricerca composto dai sommergibili che si trovano in
posizione idonea ad intervenire: i tedeschi U
69, U 73, U 69, U 96, U 97 e U 552 e gli italiani Bianchi
e Barbarigo.
Alle 11.16 il Bianchi avvista in posizione 57°55' N e
17°40' O il periscopio di un sommergibile immerso (per altra fonte,
probabilmente erronea, avrebbe avvistato un sommergibile emerso, senza però
riconoscerne la nazionalità), a soli 800 metri di distanza. Poco dopo anche il Bianchi s’immerge e si allontana.
Più tardi, dalle 16
fino alle 21.15, il Bianchi avverte
scoppi di bombe di profondità, una quarantina in tutto, a grande distanza,
nella direzione in cui in mattinata aveva avvistato il periscopio del
sommergibile immerso.
È possibile il
sommergibile avvistato fosse il Marcello,
scomparso in quei giorni con tutto l’equipaggio, e che gli scoppi uditi dal Bianchi ne fossero l’epitaffio. Proprio
a partire dalle 16 (le 15 per il fuso orario britannico), infatti, il
cacciatorpediniere britannico Montgomery
ha eseguito una caccia con bombe di profondità nel punto 59°00' N e 17°00' O, a
sudovest delle Isole Ebridi, non lontano dalla zona di agguato assegnata al Marcello, sebbene senza riscontrare
alcun segno tangibile di aver affondato il bersaglio (d’altro canto, nessuno
dei sommergibili tedeschi in zona ha riferito di aver subito un attacco
nell’ora e punto indicati dal Montgomery).
La posizione indicata dal Montgomery
dista però 68-69 miglia da quella del Bianchi,
il che rende piuttosto improbabile che quest’ultimo possa aver avvertito gli
scoppi delle bombe lanciate in quell’azione, a meno che una delle due unità non
abbia indicato una posizione sbagliata (o che gli scoppi avvertiti dal Bianchi siano stati determinati da
un’altra e differente azione antisommergibili). Il Marcello, in immersione, non avrebbe potuto percorrere in sei ore
una tale distanza.
Nel frattempo, il
primo sommergibile ad avvistare il convoglio è l’U 73 (il più a nord dello sbarramento), alle 16.16, il quale
continua poi a pedinare il convoglio ed a trasmettere aggiornamenti sulla sua
rotta e posizione. In serata, però, il mare tempestoso e la scarsa visibilità
fanno perdere il contatto tra l’U 73
ed il convoglio. Alle 21 Dönitz, ritenendo improbabile che un altro
sommergibile possa localizzare il convoglio durante la notte, ordina a U 73, U 69, U 96 e U 123 di spostarsi verso ovest e formare
entro le 10 dell’indomani mattina una nuova linea di sbarramento, prolungata
dal Bianchi (che riceve anch’esso
ordine di spostarsi più ad ovest) all’estremità settentrionale e dal Barbarigo a quella meridionale.
Raggiunte le posizioni assegnate, i sommergibili ricevono ordine di procedere
verso nordest a 7 nodi, allo scopo di incrociare la rotta del convoglio. Il
mare tempestoso ostacola la navigazione, ma la manovra risulta azzeccata, in
quanto i sommergibili riescono a disporsi al convoglio OB. 288 il quale,
navigando verso nordest, incoccia nella linea di sbarramento a sud
dell’Islanda, come previsto da Dönitz, subendo gravi perdite.
23 febbraio 1941
Alle 10 l’U 96 è il primo sommergibile ad
avvistare il convoglio, che naviga verso sudovest a 8 nodi; le accurate notizie
trasmesse continuamente da tale sommergibile per tutta la giornata permettono
alle altre unità dello sbarramento di regolare la loro rotta per intercettare
l’OB. 288 durante la notte. Poco dopo il tramonto, il Comando sommergibili
tedeschi dà libertà di attacco.
Alle 11.54 il Bianchi riceve il telegramma che
annuncia la scoperta del convoglio e, essendo in posizione prodiera, assume
rotta parallela; alle 16.45 inizia l’avvicinamento al convoglio e viene
ricevuto un altro telegramma di scoperta con una nuova posizione. Il
sommergibile assume rotta di avvicinamento a tutta forza, per stabilire il
contatto col convoglio.
Il Bianchi si trova in posizione favorevole
per intercettare il convoglio, ed alle 17.45 (poco dopo il crepuscolo), mentre
procede verso la posizione assegnata, avvista all’orizzonte un piroscafo di
stazza stimata in 7000 tsl, in posizione 59°29' N e 20°43' O. Si tratta del
britannico Manistee (capitano di
fregata Eric Haydn Smith), di 5360 tsl, requisito dalla Royal Navy come "ocean
boarding vessel" con sigla F 104 (armato con due cannoni da 152 mm e due cannoni
contraerei ed impiegato per la sorveglianza delle rotte oceaniche) e facente
parte dell’OB. 288; partito da Liverpool il 18 febbraio, ha successivamente
perso il contatto col convoglio. Contemporaneamente, il Manistee viene avvistato anche dal sommergibile tedesco U 107 (capitano di corvetta Günter
Hessler), in navigazione di rientro verso la base. Il Bianchi manovra in modo da tenersi fuori vista, in posizione
favorevole per attaccare, rilevando gli elementi del zigzagamento.
Cinque minuti dopo
aver avvistato il Manistee, alle
17.50, il Bianchi avvista a 1500
metri di distanza anche un U-Boot tipo IX (dislocamento stimato da Giovannini
in 750 tonnellate), il quale sta anch’esso evidentemente adocchiando la
medesima preda: è appunto l’U 107.
Quest’ultimo avvista invece il Bianchi
soltanto alle 20.55, di prora; il comandante tedesco vede che anche l’italiano
è interessato al medesimo bersaglio, ed avendo il carburante ormai agli
sgoccioli – il che significa che questo è l’ultimo inseguimento che potrà
intraprendere prima di dover rientrare alla base –, decide di superare il Bianchi con la manovra e silurare per
primo la nave britannica, deciso ad ottenere il successo per sé. L’U 107 manovra dunque gradualmente in
modo da portarsi tra il Manistee ed
il sommergibile italiano.
Entrambi i
sommergibili aspettano per cinque ore che il sole tramonti, tenendosi fuori
vista su rotta parallela a quella del Manistee,
dopo di che attaccano simultaneamente, manovrando di prora rispetto al
piroscafo, senza alcuno scambio di messaggi: tanto Giovannini quanto Hessler
hanno capito di avere il medesimo obiettivo, e ognuno vuole colpire per primo.
Tra i due sommergibili nasce una sorte di non dichiarata “gara” alle spese
della nave britannica: l’U 107 inizia
il suo avvicinamento mentre anche il Bianchi
sta virando per attaccare; Hessler scrive nel suo rapporto di una “battaglia
per portarsi sopravvento” tra i due sommergibili. Aldo Cocchia, all’epoca dei
fatti capo di Stato Maggiore della base di Betasom, scriverà nel dopoguerra nel
suo libro “Sommergibili all’attacco” (1955): «Allora fra i due sommergibili s’ingaggia una specie di regata a chi
arriva prima sul bersaglio: una regata che ha per traguardo il piroscafo e una
posta un po’ diversa dalle solite coppe delle competizioni sportive, una gara
nella quale poi ricamarono molto gli organi della propaganda tedesca, anche
perché Giovannini aveva brillantemente partecipato anni indietro alle regate
veliche di Kiel e aveva vinto il primo premio fra le imbarcazioni delle Marine
Militari».
Alle 21.22 il Bianchi rallenta per ridurre la
distanza, ed avvista per la seconda volta il sommergibile tedesco, «che
evidentemente manovra per attaccare lo stesso bersaglio»; alle 22.20, finito il
crepuscolo, il battello italiano inverte la rotta per avvicinarsi, e dieci
minuti dopo avvista il bersaglio a 3-4 km di distanza, preparandosi ad
attaccare di prora. Alle 22.34 viene avvistato ancora una volta l’U 107, che attacca anch’esso di prora
sullo stesso rilevamento del bersaglio.
Il Bianchi cerca di portarsi al lancio per
primo, ma sarà invece l’U 107, più
veloce e manovriero, a portarsi per primo in una posizione adatta ed a lanciare:
alle 22.38 l’U-Boot inverte rapidamente la rotta sulla dritta per attaccare di
poppa, subito imitato dal Bianchi che
inverte la rotta dal lato opposto (sulla sinistra) per non intralciare la sua
manovra ed attaccare a sua volta di poppa. Alle 22.42 il sommergibile tedesco
lancia un siluro, che viene visto andare a segno da entrambi i sommergibili,
sul lato sinistro dell’unità britannica, a centro nave (in corrispondenza della
sala macchine, secondo il comandante tedesco). Il comandante Giovannini scrive
nel suo rapporto che il Manistee
viene colpito alle 22.45 dal siluro lanciato dall’unità tedesca e comincia a
sbandare e procedere a lento moto col timone alla banda.
Accorgendosi poi che
il Bianchi sta manovrando di prora a
bassa velocità per lanciare a sua volta, l’U
107 vira di bordo per non trovarsi nel campo di tiro del battello italiano;
alle 22.56 il Bianchi accosta con
tutta la barra a dritta, avvicinandosi per un attacco di prora da distanza
minima, e lancia un siluro da 533 mm, da 600 metri di distanza. Da bordo del
sommergibile italiano viene sentito un forte scoppio e vista una colonna di
fumo a poppa del Manistee, che sembra
sbandare ancora di più e calare in mare le lance di salvataggio, nelle quali
prende posto l’equipaggio. Alle 23.05 il comandante Giovannini, ritenendo di
aver colpito il piroscafo a poppa e di avergli impartito il colpo di grazia, si
allontana, "per lasciare libero il sommergibile alleato" e per
mettersi in cerca di altre navi del convoglio.
In realtà, in base a
quanto osservato dall’U 107, il
siluro lanciato dal Bianchi non
colpisce il Manistee, che vira
stretto e prosegue sulla sua rotta con velocità inalterata, occultandosi con
una cortina nebbiogena. L’esplosione sentita a bordo del Bianchi è stata presumibilmente dovuta a prematura esplosione del
siluro. (Lo storico tedesco Jürgen Rohwer, autore di una monumentale opera sui
successi dei sommergibili durante la seconda guerra mondiale, scrive che:
"un secondo siluro a segno [dopo quello dell’U 107 delle 22.42], riferito dal sommergibile italiano Bianchi, è incerto". Lo storico
italiano Francesco Mattesini mette anzi in dubbio, nonostante quanto osservato
da entrambi i sommergibili, che anche il precedente siluro dell’U 107 abbia davvero colpito il Manistee, e tanto meno in sala macchine:
se ciò fosse accaduto, difficilmente il piroscafo avrebbe potuto proseguire con
velocità immutata, ed elevata, ed intraprendere le manovre evasive che gli
permisero di rimandare la sua fine per tutta la notte, eludendo diversi
attacchi dell’U-Boot. Tuttavia che il siluro dell’U 107 avesse colpito è confermato da un messaggio radio lanciato
dal Manistee stesso alle 22.45, in
cui riferiva che la stiva carbonaia principale era allagata, ma che per il
resto la situazione era sotto controllo. Il fatto che il Manistee non comunicò, nelle ore successive e fino alla sua ultima
comunicazione il mattino seguente – che avvenne dopo essere stato colpito dal
secondo siluro dell’U 107 –, di essere
stato colpito da altri siluri avvalora l’impressione che il siluro del Bianchi non lo abbia colpito). Mentre il
Bianchi si allontana, l’U 107 si lancia all’inseguimento del Manistee, che procede a zig zag e lo
tiene sotto tiro con i suoi cannoni. Lo zigzagamento e le manovre del piroscafo
vanificano ripetuti attacchi da parte dell’U
107: due siluri lanciati alle 22.58 vanno a vuoto, così come un altro
lanciato alle 23.42; l’inseguimento si protrae fino alle 7.58 del mattino
seguente (alle 4.05 il Manistee
comunica di trovarsi in posizione 58°55' N e
21°00' O, e di procedere a 7,5 nodi) quando un nuovo lancio di due
siluri da parte del sommergibile tedesco risulta infine in un siluro a segno, sulla
poppa; dopo aver comunicato di essere stato attaccato da un sommergibile nel
punto 58°55' N e 20°50' O (364 miglia a
sud di Reykjavik, in Islanda), il Manistee
affonda gradualmente di poppa. Non vi sono sopravvissuti tra i 141 uomini
dell’equipaggio.
Il Bianchi, nel mentre, naviga nella notte
tra frequenti piovaschi, all’inseguimento degli altri bastimenti del convoglio.
Durante la notte, come ordinato dal Comando dei Western Approaches, le unità
della scorta, arrivate al limite dell’autonomia, abbandonano i mercantili sul
meridiano 19° Ovest; a dispetto dell’ordine di dispersione impartito alle 21
del 23 febbraio, avente lo scopo di dare ai mercantili ormai indifesi maggiori
probabilità di scampare agli attacchi dei sommergibili, i piroscafi proseguono
invece in gruppo lungo la loro rotta, così facilitando l’attacco degli U-Boote:
i bersagli sono raggruppati (la dispersione avrebbe reso più difficile
rintracciarli uno per uno) e senza più nessuna scorta. Anche il tempo gioca a
favore dei sommergibili: notte buia senza luce lunare, il che rende quasi
impossibile per i mercantili avvistare i sommergibili, ma al contempo vento
leggero e moto ondoso moderato, tale da non disturbare la corsa dei siluri. Il
primo U-Boot attacca alle 23.27, seguito da altri due, affondando in breve
tempo quattro piroscafi; a questo punto il convoglio inizia a disperdersi ed i
sommergibili, tra cui il Bianchi,
iniziano a dare la caccia ai mercantili isolati.
24 febbraio 1941
Il Bianchi avvista un piroscafo di stazza
stimata in oltre 7000 tsl, che il comandante Giovannini identifica come una
nave "tipo Adrastus" (7905 tsl) della Blue Funnel Line, avente «prora
da incrociatore, poppa normale, isola centrale bassissima con plancia non
grande e bene staccata, puntali e picchi di carico supplementari sul cassero e
castello». Dopo un breve inseguimento, ostacolato dal mare grosso e dalla
pioggia che riduce la visibilità, alle 4.37 il Bianchi lancia due siluri da 450 mm dai tubi di poppa; entrambi
(secondo l’apprezzamento di Giovannini) vanno a segno ed immobilizzano il
piroscafo, provocandone un vistoso appruamento. Dopo aver lasciato
all’equipaggio il tempo di abbandonare la nave sulle scialuppe ed allontanarsi,
alle 5.29 il Bianchi lancia un terzo
siluro da 450 mm, da uno dei tubi di prua; anche questo colpisce il bersaglio,
facendo sollevare un’alta colonna d’acqua all’altezza della prima stiva di
prua. Poco dopo il piroscafo cola a picco nel punto 59°55' N e 21°03' O (398
miglia a sud di Reykjavik).
Come nel caso Belcrest/Alnmoor, anche la nave affondata dal Bianchi in questa occasione è stata per lungo tempo oggetto di un
errore d’identificazione. In prima battuta, da parte italiana la vittima del Bianchi è stata per qualche tempo
identificata come il piroscafo britannico Waynegate
di 4260 tsl (capitano Sydney Gray Larard), salpato da Greenock il 19 febbraio e
diretto a Freetown con 6200 tonnellate di carbone, facente parte del convoglio
OB. 288 fino alla sua dispersione. Il Waynegate
fu colpito da un siluro alle 4.19 del 21 febbraio, sul lato di dritta tra le
paratie 1 e 2, iniziando rapidamente ad appruarsi; abbandonato dall’equipaggio
di 41 uomini, che si misero in salvo su due scialuppe (furono tutti recuperati,
alcune ore più tardi, dal cacciatorpediniere Léopard della Francia Libera), venne poi finito con un secondo
siluro alle 4.38, nella stiva numero 2 (sempre sul lato di dritta), affondando
di prua in cinque minuti nel punto 58°50' N e 21°47' O, a sud dell’Islanda.
L’affondatore del Waynegate è stato
però identificato nel sommergibile tedesco U
73 (tenente di vascello Helmuth Rosenbaum), che prima di colpirlo aveva già
lanciato un primo siluro, rivelatosi difettoso, alle 3.51.
Scartato il Waynegate, molte fonti anche ufficiali (compreso
l’Ufficio Storico della Marina Militare, sulla base delle notizie fornite
dall’Ammiragliato britannico e confermate dallo storico tedesco Jürgen Rohwer) hanno
lungamente identificato la vittima del Bianchi
nel piroscafo britannico Linaria
(capitano Henry Theodore Speed), di 3385 tsl, unità dispersa del convoglio OB.
288. Salpato da Loch Ewe per Halifax il 20 febbraio, con un carico di 2501
tonnellate di carbone, il Linaria
scomparve nella notte del 23-24 febbraio con tutto l’equipaggio di 35 uomini,
dopo la dispersione dell’OB. 288. Nel corso dell’attacco, avvenuto in
condizioni meteo estremamente avverse, il comandante Giovannini non si era reso
conto di aver affondato una nave di oltre 10.000 tsl, ed aveva identificato il
suo bersaglio come un piroscafo "tipo Adrastus" (di 7905 tsl), la cui
sagoma era molto simile a quella del Linaria,
il che portò ad attribuire al Bianchi
l’affondamento di quest’ultimo.
In realtà, ricerche
più recenti hanno attribuito l’affondamento del Linaria al sommergibile tedesco U
96 (tenente di vascello Heinrich Lehmann-Willenbrock), che all’1.16 del 24
febbraio colpì il piroscafo con un siluro, provocandone l’affondamento di poppa
nel punto 59°45' N e 20°48' O, circa 265 miglia a sud di Reykjavik.
Viceversa, la vittima
del Bianchi era il ben più grande
piroscafo neozelandese Huntingdon, di
10.946 tsl (capitano John Percy Styrin), salpato da Swansea il 13 febbraio 1941
con un carico di merci varie per l’Australia. Aggregatosi al convoglio OB. 288
sul Clyde per affrontare con esso la traversata oceanica, alle 2.35 del 24
febbraio (orario britannico, che si discosta di due ore da quello del Bianchi per via del fuso orario) l’Huntingdon venne colpito da un siluro
sul lato sinistro, che aprì un’ampia falla in corrispondenza della stiva
prodiera n. 1. Mentre il bastimento si appruava, l’equipaggio salì in coperta
e, su ordine del comandante Styrin, calò le scialuppe ed abbandonò la nave,
dopo di che, alle 3.12, il terzo siluro lanciato dal Bianchi colpì ancora l’Huntingdon
facendolo spezzare in due ed affondare in dieci minuti, in posizione 58°25' N e
20°23' O (secondo fonti britanniche), a nordovest della Scozia. A differenza
degli equipaggi del Linaria, del Manistee e di parecchi altri piroscafi
del convoglio, che non sopravvissero alle terribili condizioni meteo di quella
notte (temperature bassissime e neve), tutti i 66 uomini che componevano
l’equipaggio dell’Huntingdon si
salvarono grazie al generoso intervento del piroscafo greco Papalemos, il quale si fermò a
recuperare i naufraghi della nave silurata a dispetto del rischio di essere
silurato a sua volta.
Mentre l’affondamento
del Linaria era stato accreditato al Bianchi, per lungo tempo quello dell’Huntingdon è stato attribuito all’U 96; ma un più attento esame degli
orari di attacchi e affondamenti ha invece portato ad invertire queste
attribuzioni, accreditando al Bianchi
l’affondamento dell’Huntingdon e all’U 96 quello del Linaria. Questa nuova valutazione è stata convalidata da diversi
storici, tra cui Jürgen Rohwer e Francesco Mattesini.
Nel corso della
notte, in tutto, il convoglio OB. 288 perde ben dieci navi affondate dai sommergibili
(tra queste, l’Huntingdon era la più
grande), che colano a picco anche altri due mercantili isolati capitati per
caso nella zona.
Alle 10.15 Betasom
ordina a Bianchi, Marcello e Barbarigo di comunicare la propria posizione.
25 febbraio 1941
A mezzogiorno Betasom
ripete l’ordine per le unità dipendenti di comunicare la propria posizione.
Alle 14.11 il
sommergibile tedesco U 47 (al comando
del capitano di corvetta Günther Prien, uno dei più famosi assi della
Kriegsmarine) avvista a nordovest dell’Irlanda, nel punto 46°15' N e 11°45' O,
un convoglio di 20-25 mercantili in navigazione verso ovest a 7 nodi: è il
convoglio OB. 290, salpato da Liverpool il 23 febbraio e scortato dai
cacciatorpediniere Vanquisher, Winchelsea e Whitehall, dagli sloops Weston
ed Enchantress e dalle corvette Pimpernel e Campanula.
L’U 47 mantiene il contatto con il
convoglio, riuscendo anche a silurare quattro navi (tre vengono affondate, una
danneggiata), e l’ammiraglio Dönitz, al fine di formare entro il mattino
dell’indomani una linea di sbarramento disposta sul 17° meridiano (davanti alla
rotta del convoglio), invia in quella direzione l’U 73, l’U 97, l’U 99. Anche Barbarigo e Marcello (ma
quest’ultimo, con ogni probabilità, è già stato affondato) ricevono ordine di
spostarsi più a sud, per posizionarsi sulle ali dello schieramento dei
sommergibili tedeschi (Barbarigo a
nord, Marcello a sud), mentre al Bianchi viene ordinato di portarsi in
una posizione più avanzata.
Alle 20.20 Betasom
ordina a Bianchi, Marcello e Barbarigo di spostarsi
rispettivamente nelle posizioni 2799 44, 6199 13 e 5399 11. Con lo stesso
messaggio, Betasom segnala un convoglio di 25 navi che alle 14 era in posizione
2715 nel sottoquadrante 25, in direzione 270°, con velocità di 7 nodi. Nessuno
dei tre sommergibili riesce però a raggiungere tempestivamente le posizioni
assegnate, trovandosi tutti troppo arretrati rispetto a tali posizioni.
26 febbraio 1941
Alle 2.20 Betasom
comunica a Bianchi, Marcello e Barbarigo che alle 23.50 del giorno precedente il convoglio era in
posizione 61 90 nel sottoquadrante 56, con rotta 230° e velocità 8 nodi,
ordinando ai sommergibili di convergere su di esso.
L’U 47 mantiene il contatto col convoglio
fino al tramonto del 26 febbraio, inviando continuamente aggiornamenti sulla
sua posizione, ma perde poi il contatto a causa dell’intervento di un’unità di
scorta, che lo obbliga ad immergersi; nelle stesse ore, però, anche l’U 97 ha preso contatto col convoglio,
che viene anche attaccato da sei FW. 200 "Condor" con l’affondamento
di sei navi ed il danneggiamento di altre quattro.
A mezzanotte l’OB.
290, oltrepassato il meridiano 19° Ovest, si disperde; ai sommergibili che si
trovano nei pressi viene ordinato di procedere lungo la direttrice di marcia
del nemico e di attaccare i bastimenti danneggiati e dispersi. Bianchi e Barbarigo ricevono l’ordine di attaccare due piroscafi danneggiati,
che si trovano in posizione 56-99/66 con rotta 270° e velocità 4 nodi.
27 febbraio 1941
Nelle prime ore della
notte il Bianchi, che ha modificato
la rotta tornando verso nord e dirigendo verso le posizioni indicate da Betasom,
avvista in successione tre navi mercantili. All’1.45, in posizione 53°54' N e
14°30' O, il sommergibile attacca la prima, che il comandante Giovannini
identifica erroneamente come il piroscafo britannico Empire Ability di 7603 tsl: in realtà, tale bastimento non fa parte
del convoglio OB. 290, dunque deve trattarsi di un’altra nave. Ad ogni modo,
l’ampio moto ondoso devia il siluro da 450 mm lanciato dal Bianchi all’1.45, così come un secondo siluro dello stesso calibro
lanciato alle 3.45 o 3.50 (per altra versione, il Bianchi avrebbe rivendicato un probabile siluro a segno su questa
nave, ma senza apparentemente aver causato danni gravi). Il mercantile
sconosciuto riesce così a fuggire indenne.
Alle 4.47, invece, un
siluro da 533 mm del Bianchi colpisce
la seconda nave: si tratta del piroscafo britannico Baltistan (capitano John Hobson Hedley), di 6803 tsl, partito da
Ellesmere per Città del Capo con 8 passeggeri e 6200 tonnellate di materiale
militare, in un viaggio per conto del governo britannico. Colpito dal siluro
sul lato di dritta, il piroscafo affonda nel punto 53°50' N e 14°35' O (fonti
italiane; per le fonti britanniche 51°52' N e 19°55' O, circa 400 miglia a
ponente dell’isola Valentia, 300 miglia ad ovest di Bantry Bay, Irlanda, e 852
miglia a sud di Reykjavik), con la morte di 47 membri dell’equipaggio e 4
passeggeri, mentre i superstiti 14 membri dell’equipaggio (tra cui il
comandante Hadley) e 4 passeggeri verranno successivamente tratti in salvo dal
cacciatorpediniere britannico Brighton
e sbarcati a Plymouth.
Il Bianchi assiste all’affondamento del Baltistan, dopo di che alle 5.40 (o
5.49) avvista una terza nave; la contromanovra offensiva intrapresa da questo piroscafo
induce però il comandante Giovannini a sospettare che possa trattarsi di una
nave civetta (unità antisommergibili potentemente armata, camuffata da nave
mercantile), così che Giovannini decide di non attaccarla.
(Secondo una fonte,
durante la navigazione di rientro a Bordeaux il Bianchi si sarebbe “disimpegnato dalla caccia di un incrociatore
ausiliario”: non è chiaro se ciò faccia riferimento a questa presunta nave
civetta oppure ad un’altra unità incontrata successivamente).
|
Il Bianchi arriva a Bordeaux il 4 marzo
1941, con al periscopio le bandierine triangolari indicanti i successi
riportati durante la missione (da www.u-boote.fr) |
|
Il
comandante Giovannini saluta l’ammiraglio Parona (a destra) ed il capitano di
vascello Aldo Cocchia (capo di Stato Maggiore di Betasom, a sinistra) al
rientro dalla missione (g.c. STORIA militare) |
|
L’accoglienza
del Bianchi al suo rientro dalla
missione, il 4 marzo 1941 (dal saggio di Francesco Mattesini – Forum AIDMEN) |
4 marzo 1941
Il Bianchi rientra a Bordeaux dopo aver
affondato tre navi per complessive 24.222 tsl, un risultato non dissimile da
quelli conseguiti dagli U-Boote tedeschi nello stesso periodo: si tratta, fino
a quel momento, del maggior tonnellaggio affondato da un sommergibile di
Betasom (superando di quasi 7000 tsl il tonnellaggio affondato dal Torelli nella sua missione di gennaio),
come giustamente rilevato dall’ammiraglio Parona, il quale il 24 marzo scrive
in merito alla missione del Bianchi:
«Missione condotta con tenacia ed abilità
che ha conseguito il miglior risultato sino ad ora riportato dai sommergibili italiani
operanti in Atlantico (29.068 tonn.) [Parona sovrastimò un poco il
tonnellaggio affondato dal Bianchi,
accreditandogli infatti anche l’affondamento del Manistee, e stimando dunque che il Bianchi avesse affondato 4 navi per complessive 26.800 tsl (Alnmoor, Huntingdon, Manistee e Baltistan, anche se ovviamente all’epoca
non se ne conoscevano i nomi) e ne avesse probabilmente danneggiata una quinta
di 7800 tsl (quella erroneamente identificata come Empire Ability)]. Circa le osservazioni e proposte fatte dal Comando di bordo si osserva:
-si condivide l'opinione espressa circa l'opportunità di abbreviare per quanto
possibile la durata delle trasmissioni R.T. e si provvederà in questo senso in
occasione della adozione delle macchine cifranti [le famose "Enigma"
tedesche];
-non si condivide l'opinione espressa che l'imersione debba essere considerata
soltanto come una manovra difensiva: un migliore allenamento dei T.O. (che sul BIANCHI
hanno avuto scarse occasioni di allenamento) permetterà al Comandante di
convincersi che con mare fino a forza 5-6 è possibile mantenere, sia pure con
qualche difficoltà, il battello in quota per la manovra di attacco in
immersione;
-dal complesso delle informazioni in possesso di questo Comando Superiore non
risulta in modo sicuro che sia seguito il sistema di pattugliamento delle rotte
di transito dei convogli che sono regolarmente scortati; però sono stati
frequentemente avvistati cc.tt. e navi di pattuglia in tutta la zona di
operazione;
-quale cifra totale degli affondamenti deve essere considerata quella di 29.068
perché non è stato intercettato alcun segnale di soccorso corrispondente
all'ora dell'azione del BIANCHI contro il piroscafo che il Comandante ha
creduto di individuare per l'EMPIRE ABILITY;
-non si condividono i dubbi circa la completa esplosione delle cariche dei
siluri: i siluri che hanno colpito sono sempre regolarmente esplosi e provocato
l'affondamento delle unità colpite;
-si condivide l'opinione espressa circa l'opportunità dell'adozione di un
apparecchio per la punteria ed il lancio notturno, uguale a quello usato dalle
unità tedesche (U.Z.O.) che dà al Comandante la possibilità di effettuare il
lancio e mantenere costantemente in punteria sul bersaglio il siluro col
variare, anche nella fase finale dell'attacco, l'angolazione dell'arma per
annullare le oscillazioni prodotte dal cattivo governo con mare agitato».
Dai vertici della
Regia Marina non tardano ad arrivare i meritati complimenti: il 5 marzo
l’ammiraglio Arturo Riccardi (capo di Stato Maggiore della Marina) comunica a
Betasom «SUPERMARINA – 27647 – Esprimete
Comandante Giovannini mio vivo plauso per prova di perizia e valore che hanno
avuto felice coronamento nei ripetuti successi riportati durante ultima
missione (alt) Estendete mio elogio ad Ufficiali et equipaggio del sommergibile
BIANCHI (alt) 111505», e lo stesso giorno l’ammiraglio Mario Falangola
(comandante della flotta subacquea italiana) comunica «MARICOSOM – 75716 – Per Comandante Giovannini (alt) A voi allo Stato
Maggiore et all’equipaggio del BIANCHI mio compiacimento et mie felicitazioni
vivissime per brillante esito missione (alt) 175005». Il comandante
Giovannini viene decorato dalle autorità italiane con la Medaglia d’Argento al
Valor Militare e dall’ammiraglio Dönitz con la Croce di Ferro di seconda
classe.
Nella sua relazione a
Supermarina l’ammiraglio Parona, di solito avaro di complimenti nei confronti
dei comandanti da lui dipendenti, scrive tra l’altro: «Dai rapporti di missione dei due Sommergibili [Bianchi e Barbarigo] si rileva come gli ordini siano stati
chiaramente intesi e ne sia stata compresa la ragione da parte delle unità
operanti. In casi analoghi si ripeterà una manovra del genere, i concetti della
quale sono stati illustrati ai comandanti dipendenti verbalmente e mediante
aggiunta all’ordine generale di operazione di questo Comando»; Supermarina
risponde a Betasom e Maricosom (il Comando della Squadra Sommergibili) «(…) Sono stati particolarmente apprezzati, non
solo l’abilità e la sagacia, con le quali il Comandante Giovannini ha saputo
trarre profitto di ogni elemento per raggiungere ed agganciare l’avversario, ma
anche lo spirito offensivo e lo slancio dimostrati nelle singole azioni
tattiche, che hanno consentito il conseguimento di risultati veramente cospicui
per sé stessi e nella relatività con quelli raggiunti nella stessa azione dai
sommergibili germanici impegnati. I frequenti casi di radiogoniometria delle
nostre unità subacquee in Atlantico, che risultano dalle intercettazioni
nemiche, anche se talvolta fortemente errati, convalidano le osservazioni fatte
dal sommergibile Bianchi circa l'opportunità di abbreviare per quanto possibile
la durata delle trasmissioni r.t. semplificando la procedura. Si prendono in
considerazione le proposte di ricompense al valor militare, avanzate da codesto
Comando».
Per Giovannini questa
è anche l’ultima missione operativa al comando di sommergibili: subito dopo,
infatti, viene deciso di affidargli l’incarico di dirigere Marigammasom, la
scuola istituita a Gotenhafen (nel Mar Baltico) per addestrare i
sommergibilisti italiani alle condizioni operative dell’Atlantico. (Secondo una
fonte, ciò sarebbe stato motivato dall’età di Giovannini, 36 anni, ritenuta
troppo avanzata per il comando di un sommergibile: si era infatti deciso,
seguendo l’esempio della Kriegsmarine, di affidare il comando dei sommergibili
ad ufficiali più giovani; tuttavia sembra improbabile che ciò sia stato il
motivo della sostituzione di Giovannini, se si considera che il suo sostituto,
Franco Tosoni Pittoni, era di appena un anno più giovane).
|
L’ammiraglio
Parona accoglie il comandante Giovannini al termine della missione (dal saggio
di Francesco Mattesini – Forum AIDMEN) |
Il
comandante Giovannini illustra il grafico della missione del febbraio 1941 all’ammiraglio
Parona ed al comandante Cocchia (dal saggio di Francesco Mattesini – Forum
AIDMEN)
15 marzo (o aprile) 1941
Assume il comando del
Bianchi un altro promettente
ufficiale, il capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni, triestino, di 35
anni, che in Mediterraneo ha affondato l’incrociatore britannico Calypso al comando del sommergibile Bagnolini.
30 aprile 1941
Terminato l’abituale
periodo di lavori tra una missione e l’altra, il Bianchi (capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni) salpa da
Bordeaux per una nuova missione ad ovest delle Isole Britanniche.
Fa parte di un gruppo
di quattro battelli che devono operare congiuntamente al largo dell’Irlanda,
denominato «Morosini»: gli altri sono Otaria, Barbarigo e Morosini. I quattro
sommergibili, in base agli ordini del B.d.U., devono assumere posizioni
comprese tra i paralleli 61° e 58° Nord ed il meridiano 25° O. L’Atlantico
settentrionale è stato diviso in settori: le navi di superficie tedesche devono
operare ad ovest del 34° meridiano, i sommergibili italiani più ad est e gli
U-Boote tedeschi ancora più ad est, nella zona più vicina all’Europa (ai
sommergibili italiani è stato assegnato un settore più distante per via delle
loro maggiori dimensioni ed autonomia rispetto a quelli tedeschi).
2 maggio 1941
Raggiunge il settore
assegnato a ponente dell’Irlanda.
9 maggio 1941
Betasom comunica ai
sommergibili in mare che un convoglio in navigazione verso ovest è stato
avvistato nel punto 54° 30' N e 28° 30' O. Il Morosini, unico sommergibile che si trova nelle vicinanze, attacca
la nave cisterna britannica Vancouver
(5729 tsl) che però riesce a sfuggirli, perché più veloce. Bianchi e Barbarigo
cercano la Vancouver, ma senza
successo.
12 maggio 1941
Avvista in posizione
56° 40' N e 24° 40' O un piccolo convoglio formato da due sole navi mercantili,
scortate da diverse unità sottili; l’elevata velocità del convoglio, stimata dal
comandante Tosoni Pittoni in 14 nodi, impedisce però al Bianchi di mantenere il contatto. Il sommergibile può soltanto
lanciare il segnale di scoperta.
15 maggio 1941
Alle 9.15 il Bianchi avvista del fumo all’orizzonte,
nella direzione dalla quale, in base alle informazioni ricevute, è previsto
l’arrivo di un convoglio britannico. Il sommergibile si dirige in quella
direzione, e nel giro di alcuni minuti avvista in rapida successione altri
fumi, fino ad un totale di una ventina; alle 9.21, pertanto, viene trasmesso il
segnale di scoperta di convoglio imprecisato (pur non avendo ancora potuto
rilevare rotta e velocità del convoglio, Tosoni Pittoni ritiene importante
comunicare il prima possibile l’avvistamento del convoglio). Il convoglio
avvistato è l’OB. 321 (capoconvoglio, viceammiraglio A. Hornell), partito da
Liverpool l’11 maggio diretto in America e formato da 24 navi mercantili e 12
navi scorta.
Il Bianchi si avvicina per individuare la
formazione, ma prima di poter capire quale sia la rotta seguita dal nemico,
un’unità di scorta laterale di prodiera si avvicina minacciosamente al
sommergibile. Non risulta possibile l’allargamento in superficie, dato che
appaiono rapidamente visibili la coffa e l’estremità del fumaiolo della nave
britannica, pertanto alle 10 il Bianchi
si deve immergere, senza essere stato avvistato. Una volta immerso, il
sommergibile assume una rotta tale da permettergli di avvicinarsi al convoglio
il più possibile; vengono alternate brevi osservazioni al periscopio e veloci
discese in profondità per non essere avvistati da eventuali aerei. Tosoni
Pittoni prepara un segnale di scoperta più dettagliato, ed alle 10.30, 11 e
11.50 si porta a quota periscopica per verificare se sia possibile emergere in
modo da trasmettere il segnale. Ogni osservazione mostra che il convoglio sta
“avvolgendo” il Bianchi con
successive accostate sulla sua dritta, prima per 240°, poi per 270°, indi per
300°. Portatosi, in immersione, fino ad una distanza di appena 10-12 metri,
così poco da poter distinguere le plance dei mercantili, Tosoni Pittoni riesce
infine a determinare che il convoglio debba essere composto da una trentina di
piroscafi su due o forse anche tre colonne, con numerosa scorta prodiera,
laterale e poppiera.
Per via delle
accostate a dritta eseguite dal convoglio, il defilamento della lunga fila di
trasporti avviene con grande lentezza; dato che alla radio è stata captata, su
onda lunga, soltanto la ripetizione del segnale di scoperta lanciato al mattino
dal Bianchi, il che induce Tosoni
Pittoni a ritenere che il convoglio non sia ancora stato avvistato da altri,
questi ritiene di primaria importanza trasmettere il prima possibile altre e
più precise informazioni sul convoglio, in modo da permettere anche ad altri
sommergibili di portarsi in zona per attaccare. Alle 12.10, pertanto, il Bianchi scende a 60 metri di profondità
e si disimpegna dalla coda del convoglio con un’accostat asulla sinistra,
allontanandosi a mezza forza verso nord. In questo lasso di tempo gli idrofoni
non rilevano alcuna sorgente di rumore, neanche su indicazione del rilevamento
periscopico.
Alle 13 il convoglio
è sufficientemente passato; dopo aver aspettato ancora qualche minuto per far
allontanare una nave di scorta poppiera, alle 13.05 il Bianchi emerge e lancia il segnale di scoperta, contenente la media
delle rotte osservate, dopo di che si riporta in contatto col convoglio sul lato
di dritta, in modo da tenersi fuori vista rispetto alla scorta poppiera.
Alle 14.25 un giro in
fuori della scorta laterale induce il comandante Tosoni Pittoni ad ordinare
nuovamente di immergersi, senza essere avvistati. Alle 15.25 il convoglio,
tornato su rotta 270°, continua ad accostare sulla sua sinistra per 240° e
forse per una rotta ancora più a sud, allontanandosi dal Bianchi; la testa del convoglio è quasi giunta al 19° meridiano, e
Tosoni Pittoni stima che la puntata per rotta 300° sia stata una finta prima
del piegamento a sud, come hanno già fatto in precedenza altri due convoglio.
Di conseguenza, decide di emergere per osservare meglio, ed alle 15.35 viene in
superficie. Mentre sta per lanciare un nuovo segnale di scoperta, durante
l’esaurimento dei doppi fondi centrali, viene avvistato sulla sinistra, a poca
distanza, un aereo mimetizzato che esce dalla scia del sole. Alle 15.45 viene
ordinata l’immersione rapida, sebbene non in sicurezza da un eventuale attacco
aereo, a causa della presenza delle navi di scorta del convoglio.
Alle 16.20, 35 minuti
dopo l’immersione, viene avvertita la prima esplosione di bombe di profondità,
che fa vibrare lo scafo. A bordo del Bianchi
vengono fermate tutte le sorgenti di rumore; l’ascolto idrofonico dà risultato
negativo, ma ormai Tosoni Pittoni ha capito che gli idrofoni non sono
affidabili, dato che per tutto il mattino non hanno rilevato nemmeno le
sorgenti del convoglio, nonostante la ridotta distanza. Alle 16.47 iniziano
salve di bombe ad intervalli, sempre più vicine, al punto da far sentire nello
scafo un rumore che il comandante Tosoni Pittoni attribuisce al gorgoglio dei
gas delle esplosioni; alle 17.57 uno scoppio isolato fa ritenere a Tosoni
Pittoni che la nave nemica si sia allontanata, dopo aver lanciato in tutto 29
bombe di profondità, pertanto viene rimesso in moto l’apparato Calzoni per
salire a quota periscopica: ma le scariche di bombe riprendono, così alle 18.36
il Bianchi abbandona la risalita e
torna in profondità. Il malfunzionamento degli idrofoni crea non pochi
problemi, rendendo impossibile capire quante navi nemiche siano impegnate nella
caccia, a quale distanza siano e quali velocità abbiano; durante gli intervalli
più lunghi tra una scarica e l’altra il Bianchi
cerca di portarsi a quota periscopica per osservare la situazione al
periscopio, ma ogni volta deve rinunciare per il riprendere del martellamento.
Le scariche di bombe continuano, dapprima più deboli e poi più forti, causando
di nuovo vibrazioni e gorgoglio nello scafo, per poi divenire nuovamente più
deboli e cessare del tutto alle 23.10. L’equipaggio del Bianchi ha contato gli scoppi di ben 80 bombe di profondità.
Alle 23.30 vengono
rimessi in moto gli utenti e la pompa Calzoni, ed inizia la risalita. Una volta
a quota sufficiente, il sommergibile effettua l’ascolto sull’onda lunga di
mezzanotte, poi emerge ed assume rotta verso il nuovo punto assegnatogli da
Betasom, 50° 05' N e 21° 25' O, l’estremità sinistra di uno sbarramento di
cinque sommergibili diretto per parallelo.
Il convoglio
incontrato e segnalato dal Bianchi
verrà attaccato da altri sommergibili dell’Asse.
19 maggio 1941
Intercetta un segnale
di scoperta lanciato dall’Otaria, ma
non può intervenire perché troppo distante.
20 o 22 maggio 1941
Giunto al limite
dell’autonomia, intraprende la navigazione di ritorno.
28 o 30 maggio 1941
Arriva a Bordeaux.
Segue un nuovo
periodo di lavori.
|
Il Bianchi ormeggiato al Molo San Vincenzo di Napoli nel 1940: sulla sinistra il sommergibile Marcello, sullo sfondo l’incrociatore pesante Zara (Coll. Aldo Fraccaroli via g.c. Dante Flore e www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
La sera del 4 luglio
1941 il Bianchi, al comando del
capitano di corvetta Franco Tosoni Pittoni, lasciò Bordeaux per una nuova
missione atlantica, ad ovest dello stretto di Gibilterra, con obiettivo il
traffico navale Alleato tra Gibilterra e le Canarie. Nella stessa area dovevano
operare in gruppo nove sommergibili italiani: oltre al Bianchi, si trattava di Leonardo
Da Vinci, Maggiore Baracca, Alessandro Malaspina, Comandante Cappellini, Alpino Bagnolini, Luigi Torelli, Morosini
e Barbarigo.
Lo Sperrbrecher III della Marina tedesca
(un’unità ausiliaria ottenuta dalla conversione di una nave mercantile,
rinforzata in modo da resistere alle esplosioni senza affondare, la cui
funzione era di precedere altre unità in zone minate, per far esplodere le mine
e liberare così il passaggio) scortò il Bianchi
fino alla boa n. 1 della Gironda, poi il sommergibile proseguì da solo verso il
mare aperto.
Dopo la partenza,
però, il Bianchi non diede più
notizia di sé: il 9 luglio Betasom gli ordinò di formare con altri cinque sommergibili
una catena per agire contro un convoglio britannico salpato da Gibilterra, ma
il Bianchi non confermò di aver
ricevuto il messaggio. Trascorso qualche giorno senza comunicazioni, Betasom
cercò nuovamente di mettersi in contatto radio col Bianchi, ma le ripetute chiamate via radio indirizzate al
sommergibile tra il 12 ed il 18 luglio non ricevettero mai risposta.
Il Bianchi fu dichiarato disperso nell’Atlantico
in posizione non definibile ed in data imprecisata tra il 5 luglio ed il 10
settembre 1941, con tutto il suo equipaggio di 61 uomini (8 ufficiali, 51 tra
sottufficiali, sottocapi e marinai, e 2 operai militarizzati). La Marina
considera ufficialmente gli uomini del Bianchi
come dispersi nella data del 10 settembre 1941.
Solo nove mesi dopo
la sua scomparsa, il 20 aprile 1942, il Bollettino numero 688 del Comando
Supremo ne annunciò la perdita con poche asciutte parole, formula di rito già
sentita per tanti altri battelli: «Il nostro sommergibile Bianchi non è tornato alla base».
Causa più probabile
della sua perdita è attualmente ritenuta un attacco effettuato nel Golfo di
Biscaglia dal sommergibile britannico Tigris
(capitano di fregata Howard Francis Bone) il 5 luglio 1941, il giorno dopo la
partenza del Bianchi da Bordeaux.
Alle 9.41 di quel giorno il tenente di vascello Norman Jack Coe, ufficiale di
guardia a bordo del Tigris, avvistò
quella che ritenne essere una nave di superficie scortata da due pescherecci
armati, e chiamò in camera di manovra il comandante Bone. Questi guardò a sua
volta al periscopio e da una distanza di circa 8000 metri, tre minuti dopo
l’avvistamento da parte di Coe, si rese conto che in realtà il bersaglio non
era una nave, bensì un sommergibile italiano che navigava in superficie; non
c’era nessun peschereccio, quelli che Coe aveva creduto gli alberi di due
pescherecci erano in realtà le due antenne radio del sommergibile. Bone
identificò il sommergibile come appartenente alla classe Squalo (in realtà,
nessun battello di questa classe operò in Atlantico), avente rotta 295° e
velocità 12 nodi. Il Tigris accostò
in direzione dell’unità italiana per avvicinarsi ad alta velocità; a causa della
calma piatta del mare, il riflesso del sole sulla superficie disturbava la
visione di Bone (era stato questo riflesso, con ogni probabilità, a trarre in
inganno Coe), che calcolò molto approssimativamente la rotta del sommergibile
nemico, misurando la distanza tra le due antenne radio.
Alle 9.58 il Tigris lanciò contro l’altro
sommergibile sei siluri, da una distanza stimata di 2750 metri, ad intervalli
di 6 secondi l’uno dall’altro; quattro dei siluri erano del tipo Mk VIII, gli
altri due del più vecchio modello Mk IV, tutti e sei aventi una velocità di 40
nodi. Dopo due minuti e 49 secondi dal lancio l’equipaggio del Tigris avvertì un’esplosione, seguita da
un’altra un secondo più tardi; diversi minuti dopo vennero avvertite altre
quattro detonazioni, una dopo 6 minuti e 10 secondi dal lancio, un’altra dieci
secondi più tardi, un’altra ancora dopo 9 minuti e 16 secondi dal lancio e
l’ultima quattro secondi dopo. Bone ritenne che le prime due esplosioni fossero
dovute ad altrettanti siluri andati a segno, mentre il suono delle ultime
quattro non fu avvertito molto distintamente a causa di rumori provenienti dal
bersaglio, che stava probabilmente spezzandosi ed affondando.
Il comandante Bone
avrebbe voluto emergere per ispezionare l’area in cerca di eventuali
sopravvissuti, ma vedendo avvicinarsi un bombardiere tedesco Junkers Ju 88,
decise invece di scendere più in profondità, alle 10.14, e lasciare la zona.
La posizione
dell’attacco del Tigris, che avvenne
circa 150 miglia ad ovest-sud-ovest dell’estuario della Gironda, nel punto
approssimato 45°03' N e 04°01' O (a ponente di Bordeaux e 158 miglia a sudovest
di La Rochelle), è compatibile con la rotta che il Bianchi, proveniente dalla Gironda, avrebbe dovuto seguire per
attraversare il Golfo di Biscaglia e raggiungere il suo settore d’agguato; ed
anche l’orario dell’attacco sembra plausibile, essendo il sommergibile partito
il giorno prima, e spiegherebbe perché il Bianchi
non diede più sue notizie dopo la partenza. D’altro canto, manca una prova
certa, dato che il Tigris sentì delle
detonazioni ma non osservò visivamente il siluramento e l’affondamento della
sua vittima (e sono tutt’altro che rari episodi di “rumori di esplosioni”
attribuite a siluri andati a segno, che in realtà non avevano colpito nulla).
L’U-Boat Assessment
Committee, organo britannico incaricato di esaminare le informazioni su ogni
attacco contro sommergibili dell’Asse da parte di unità aeree o navali delle
forze del Commonwealth per valutarne l’esito, concluse che il sommergibile
attaccato dal Tigris fosse stato
colpito da un solo siluro, e che fosse stato "probabilmente
affondato"; le ultime quattro esplosioni sentite dal Tigris (dopo 6 e 9 minuti) erano probabilmente dovute a siluri che
colpivano il fondale a fine corsa. Se il primo siluro lanciato era andato a
segno, la reale distanza del sommergibile italiano dal Tigris doveva essere di circa 3500 metri, oltre 700 in più di
quanto stimato da Bone al momento del lancio. Anche la rotta del bersaglio
stimata da Bone era probabilmente errata. La notizia dell’azione del Tigris venne comunicata
dall’Ammiragliato britannico alle autorità italiane nel 1958, diciassette anni
dopo la scomparsa del sommergibile, dietro richiesta di notizie da parte
italiana.
Lo storico Francesco
Mattesini ha espresso dei dubbi sulla possibilità che il Bianchi sia stato affondato dal Tigris
per via della presenza di uno Junkers Ju 88 cui aveva accennato Bone nel suo
rapporto; secondo Mattesini, appare strano che lo Ju 88 non si sia accorto
dell’esplosione dei siluri e dell’affondamento di un sommergibile, se ciò fosse
avvenuto (nel qual caso l’aereo lo avrebbe certamente riferito alla base).
Mattesini ha anche rilevato che la Sezione Storica dell’Ammiragliato
britannico, in una risposta (lettera H.S.L.129/58) all’Ufficio Storico della
Marina Militare italiana, datata 31 dicembre 1958, affermò che "At 1001/5
July, H.M. S/M Tigris reported firing
two torpedoes at a submarine of the Squalo class which was outward bound in
45°03’, 4°01’W. Result of this attack is non known, but the Tigris heard the explosion of her
torpedoes" ("Alle 10.01 del 5 luglio, il sommergibile HMS Tigris riferì di aver lanciato due
siluri ad un sommergibile della classe Squalo, avente rotta verso il mare
aperto, nel punto 45°03’, 4°01’W. Il risultato di questo attacco non è noto, ma
il Tigris sentì l’esplosione dei suoi
siluri"), il che sembra intendere che lo stesso Ammiragliato nutrisse dei
dubbi sul fatto che i siluri del Tigris
avessero davvero colpito il bersaglio.
Il ricercatore Platon
Alexiades, pur avendo nutrito a sua volta alcune riserve a riguardo, ha
concluso sulla base della documentazione disponibile (italiana, britannica,
tedesca) che la probabilità che il Bianchi
sia stato affondato dal Tigris sia
molto elevata, data la coincidenza tra il luogo ed orario indicati dal
sommergibile britannico e la posizione in cui il Bianchi si sarebbe dovuto trovare a quell’ora in base alla sua rotta presunta (se avesse
tenuto una velocità di circa 11-11,5 nodi o poco meno, il che appare
verosimile, si sarebbe trovato esattamente nel punto indicato dal Tigris, al momento dell’attacco di
quest’ultimo) nonché il fatto che – in base ai rapporti di missione degli
U-Boote tedeschi e sommergibili italiani in mare in quel periodo – nessun altro
sommergibile dell’Asse si trovava nella zona al momento dell’attacco. Mattesini
ritiene che la rotta seguita dal sommergibile avvistato dal Tigris, 295°, fosse incongruente con
quella che avrebbe dovuto tenere un sommergibile proveniente da Bordeaux e diretto
al largo dello stretto di Gibilterra, ma Alexiades (il quale ha calcolato che,
se il Bianchi avesse assunto una
rotta diretta dopo aver lasciato la Gironda, avrebbe avuto rotta circa 257°,
che era anche la rotta che avrebbe dovuto seguire se avesse imboccato la Rotta
di Sicurezza n. 5, la più logica per un sommergibile inviato nelle acque di
Gibilterra) ha rilevato che tale rotta era stata stimata da Bone al periscopio
in modo molto approssimativo (in base alla distanza tra le due antenne radio
del bersaglio), dunque la vera rotta tenuta dal sommergibile attaccato era
probabilmente differente, come d’altro canto era la distanza (stimata da Bone
in 2750 metri ma in realtà prossima, dati i tempi di corsa dei siluri prima
delle esplosioni, ai 3500 metri). Per quanto riguarda lo Ju 88, menzionato dal Tigris nel suo rapporto, che non avrebbe
visto l’esplosione e l’affondamento del sommergibile, Alexiades ha ipotizzato
che l’arrivo dell’aereo possa essere stato niente più che una scusa addotta da
Bone, nel rapporto, per giustificare il suo allontanamento senza cercare
superstiti dopo l’attacco (deciso probabilmente per eccesso di cautela, non
volendo mettere a rischio il suo battello emergendo in una zona pericolosa).
Esiste, naturalmente, la possibilità che il Bianchi
possa aver evitato i siluri del Tigris
per poi andare perduto successivamente per altre cause, ma ciò sembra poco
verosimile, dato che gli scoppi sentiti dal battello britannico erano coerenti
con almeno un siluro andato a segno, e che dal Bianchi non si ebbe più alcuna comunicazione da dopo la partenza.
Alcune fonti
britanniche attribuiscono erroneamente l’affondamento del Bianchi al sommergibile britannico Severn (capitano di corvetta Andrew Neil Gillespie Campbell). Alle
00.48 del 7 agosto 1941, questo battello, che si trovava in quel momento in
posizione 34°48' N e 13°04' O (a ponente di Gibilterra) dopo essere stato
distaccato per dare la caccia ad eventuali U-Boote al largo del banco Seine
(costa africana) nel corso di una missione di scorta al convoglio HG. 69,
avvistò in condizioni di tempo avverso un sommergibile emerso, che identificò
come un’unità italiana delle classi Squalo, Corridoni o Santarosa, a circa 3650
metri di distanza. Contro di esso il Severn
lanciò infruttuosamente, alle 00.56, una prima salva di quattro siluri da
distanze comprese tra i 2750 ed i 3650 metri, seguita all’1.01 da un quinto
siluro da uguale distanza, di nuovo senza risultato, ed infine da un ultimo
siluro (dal tubo numero 4) all’1.02, sempre da distanza compresa tra i 2750 ed
i 3650 metri. Questo ultimo siluro, secondo il rapporto del Severn, andò a segno all’1.05, e venne
avvertita a bordo un’esplosione molto forte; all’1.06 il Severn s’immerse per ricaricare i tubi lanciasiluri e si allontanò
dalla zona. Da parte britannica si sostenne di aver affondato il sommergibile
(anche se inizialmente le autorità britanniche dubitarono che l’attacco del Severn avesse avuto successo), che venne
in seguito identificato da diverse fonti britanniche, anche autorevoli (come "History
of British and Allied Submarine Operations" di Arthur Hezlet, che
accredita l’affondamento del Bianchi
al Severn anziché al Tigris), come il Michele Bianchi.
In realtà, il
sommergibile attaccato dal Severn non
poteva alcun modo essere il Michele Bianchi,
che alla data del 7 agosto era già stato dichiarato disperso da tre settimane,
e non poteva essere ancora intatto, non avendo più risposto ad alcuna
comunicazione da più di un mese. Ricerche più recenti hanno infatti mostrato
che il sommergibile attaccato dal Severn
era il tedesco U 93, il quale,
nonostante le impressioni dell’equipaggio britannico, non venne colpito; i
marinai tedeschi sentirono gli scoppi di due siluri (probabilmente per fine
corsa) e niente di più.
L’equipaggio del Bianchi, scomparso al completo:
Giovanni Accardo, marinaio
Adolfo Babbini (o Barbini), sottocapo
motorista
Marino Balacco, marinaio
Amedeo Baldizzone, sottotenente di vascello
Enrico Barbato, marinaio elettricista
Salvatore Barbera, marinaio
Angelo Bellamacina, sottocapo
radiotelegrafista
Francesco Belloni, capo meccanico di seconda
classe
Beltramo Beltrami, capo radiotelegrafista di
terza classe
Antonio Bertuccio, guardiamarina
Mario Bini, sottocapo elettricista
Antonino Blanco (o Bianco), secondo capo
nocchiere
Ireneo Bodinò, sottocapo radiotelegrafista
Leo Borsellini, sottocapo radiotelegrafista
Gino Caiella, sottocapo elettricista
Gildo Caldara, marinaio silurista
Carlo Canibus, capo segnalatore di seconda
classe
Luigi Cara, secondo capo cannoniere
Giuseppe Castellaneta, capo elettricista di
seconda classe
Alvaro Cesaretti, sergente motorista
Gildo Colatriani, marinaio silurista
Antonio Colledan, sottocapo segnalatore
Mario Cremona, sottocapo cannoniere
Carlo Curato, capitano del Genio Navale
Antonino Emanuele, sottocapo furiere
Liderico Feraboli, operaio militarizzato
(sergente)
Giovanni Francisco, secondo capo elettricista
Giovanni Gervaso, tenente del Genio Navale
Lino Ghironi, sottocapo motorista
Nicola (o Nicolò) Giammaresi, marinaio
Angelo Gubittà, sottocapo silurista
Anton Giulio La Sala, sottocapo motorista
Guerrino Laube, sottotenente di vascello
Nicola Leardi, sottocapo radiotelegrafista
Quinto Luciani, marinaio cannoniere
Francesco Mazza, marinaio cannoniere
Mario Mazzoni, marinaio silurista
Filippo Mistretta, capo meccanico di terza classe
Mario Mullner, operaio militarizzato
Paride Nannetti, marinaio silurista
Mario Nardi, marinaio elettricista
Aladino Neri, marinaio silurista
Ugo Pancetti, marinaio cannoniere
Piero Panciatici, tenente del Genio Navale
Girolamo Papania (o Patania), marinaio
motorista
Mario Parini, marinaio
Vasco Petroni, marinaio silurista
Mario Picone, sottocapo silurista
Donato Proietto, marinaio
Egidio Rasetti, sottocapo nocchiere
Giuseppe Raviotta, sottocapo motorista
Eugenio Secchi, marinaio silurista
Salvatore Sozio, secondo capo motorista
Salvatore Sturniolo, marinaio
Antonio Taccone, marinaio cannoniere
Sante Tagliazucchi, capo silurista di terza
classe
Carlo Togni, sottocapo elettricista
Giovanni Torretta, marinaio fuochista
Franco Tosoni Pittoni, capitano di corvetta
(comandante)
Giovanni Valeri, sottotenente di vascello
Mario Varotto, sottocapo motorista
|
L’equipaggio
del Bianchi a La Spezia, durante l’addestramento,
pochi giorni prima della dichiarazione di guerra. Al centro il comandante
Giovannini, sbarcato prima dell’ultima missione (g.c. Associazione
Betasom/www.betasom.it) |
L’affondamento del Bianchi nel giornale di bordo del Tigris (da Uboat.net):
“0941 hours - The
officer of the watch, Lt. N.J. Coe, RNR, sighted what he thought was a surface
vessel escorted by two trawlers. Cdr. Bone was called to the control room.
Three minutes later the target was identified as an Italian submarine. The
masts thought to be of two trawlers were actually the two radio antennas of the
submarine. Tigris turned to close the
target at high speed.
0958 hours - Six
torpedoes were fired from 3000 yards. After nearly three minutes two hits were
heard.
1014 hours - Cdr.
Bone wanted to surface to investigate the area for survivors but a Ju-88
aircraft was seen to approach. Cdr. Bone took Tigris deep.”