Il varo del Foca (da www.xmasgrupsom.com)
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Sommergibile posamine
classe Foca (dislocamento 1333,04 tonnellate in superficie, 1659,44 in
immersione). Fu il capoclasse della prima classe di sommergibili posamine della
Regia Marina che finalmente riuscì ad unire ad eccellenti prestazioni (a
differenza delle precedenti classi X 2 e Bragadin) e costi non esorbitanti (a
differenza del precedente Pietro Micca).
Effettuò in guerra
tre sole missioni, percorrendo complessivamente 2063 miglia in superficie e 293
in immersione in 13 giorni di navigazione.
Breve e parziale cronologia.
Il sommergibile pronto al
varo (da “Sommergibili italiani fra le due guerre mondiali” di Alessandro
Turrini, Maristat/UDAP, 1990, via www.betasom.it)
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15 gennaio 1936
Impostazione nei
cantieri Franco Tosi di Taranto.
27 giugno 1937
Varo nei cantieri
Franco Tosi di Taranto. È madrina del battello la moglie di un capo operaio
dell’Arsenale di Taranto, decorato con stella al merito del lavoro.
Un’altra immagine del varo
(da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale
italiana” di Alessandro Turrini, via www.betasom.it)
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6 novembre 1937
Entrata in servizio.
Insieme ai gemelli Atropo e Zoea viene assegnato alla XLV
Squadriglia Sommergibili (Gruppo Sommergibili di Taranto), cui appartengono
anche gli altri sommergibili posamine della Regia Marina (Pietro Micca, Marcantonio
Bragadin, Filippo Corridoni, X 2 e X 3).
Tra i suoi primi
comandanti vi è il tenente di vascello Gino Birindelli, futura Medaglia d’oro
al Valor Militare.
In tempo di pace
svolgerà intensa attività d’addestramento ed esercitazioni di posa mine con
ordigni inattivi.
Estate 1939
La XLV Squadriglia
diventa, a seguito della costituzione del Comando Squadra Sommergibili, la
XLVIII Squadriglia Sommergibili.
Successivamente il Foca, insieme al Pietro Micca, viene assegnato alla XV Squadriglia Sommergibili (poi
XVI Squadriglia) del I Grupsom, di base a La Spezia.
Inizio 1940
Assume il comando del
Foca il capitano di fregata Vittorio
Meneghini.
Primavera 1940
Il capitano di fregata
Meneghini viene trasferito sul più grande sommergibile Pietro Micca, e viene rimpiazzato al comando del Foca dal capitano di corvetta Mario
Ciliberto. (Per altra fonte, Ciliberto avrebbe assunto il comando del Foca dal 16 febbraio 1939).
10 giugno 1940
Alla data
dell’entrata in guerra dell’Italia, il Foca
(capitano di corvetta Mario Ciliberto) forma insieme al Micca la XVI Squadriglia del I Gruppo Sommergibili, di base a La
Spezia.
13 giugno 1940
Secondo alcune fonti,
in questa data il Foca stava posando
mine, stando in superficie, al largo di Alessandria, quando venne attaccato a
cannonate dai cacciatorpediniere britannici Decoy
e Voyager (in missione di ricerca
antisommergibile insieme ad altri due cacciatorpediniere, lo Stuart ed il Vampire), che lo costrinsero all’immersione, dopo di che il Voyager (capitano di fregata Morrow) lo
sottopose a bombardamento con cariche di profondità, senza tuttavia riuscire a
danneggiarlo.
In realtà, la prima
missione del Foca risulterebbe essere
quella del 27 agosto 1940; il sommergibile oggetto dell’attacco di Decoy e Voyager dovrebbe essere in realtà stato il Pietro Micca, che fu
effettivamente inviato a posare 40 mine al largo di Alessandria la notte del 12
giugno e che rimase poi in agguato nei pressi, rilevando notevole attività
antisommergibile.
Il Foca rientra a Taranto nel 1940 (da “Sommergibili in guerra” di
Achille Rastelli ed Erminio Bagnasco, Albertelli Edizioni, 1994, via www.betasom.it)
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27 agosto 1940
Lascia Taranto al
comando del capitano di corvetta Ciliberto per una missione di trasporto di
rifornimenti (armi, carburante e provviste) alla base di Portolago, nell’isola
di Lero (Dodecaneso).
10 settembre 1940
Riparte da Lero alle
23.50 per tornare a Taranto, con un nuovo carico di materiali e munizioni
sistemati nella camera mine.
11 settembre 1940
Effettua
un’immersione rapida alle 5.45 e viaggia a 40 metri di profondità sino alle
18.55, quando riemerge e prosegue in superficie (con mare e vento forza 3 da
sudovest) verso il canale di Cerigo, ricambiando l’aria e ricaricando le
batterie.
12 settembre 1940
Attraversa il canale
di Cerigo alle cinque e s’immerge con la rapida alle 5.40, procedendo immerso a
40 metri sino alle 19, quando riemerge per ricaricare le batterie, cambiare
l’aria e proseguire con i motori diesel in superficie (mare e vento sono forza
4 da ovest).
13 settembre 1940
Alle 2.45 accosta per
cambiare rotta ed alle 6 s’immerge con la rapida a 30 metri, per poi proseguire
immerso sino alle 13, quando, giunto fuori dalle zone dov’è d’obbligo la
navigazione occulta, riemerge e prosegue in superficie (mare e vento sono forza
4 da nordovest), di nuovo cambiando aria e ricaricando le batterie.
14 settembre 1940
S’immerge alle 5.40
scendendo a 30 metri, quota alla quale prosegue sino alle 19, quando emerge e
si dirige a lento moto verso l’atterraggio di Santa Maria di Leuca.
15 settembre 1940
Arriva al punto A di
Santa Maria di Leuca alle 5.30, quando gli viene comunicato dal semaforo un
telegramma su incontri con navi italiane. Segue poi le rotte costiere ed alle
6.20 dirige per Taranto; dopo aver incontrato alle 9 i motopescherecci Perseo ed Orata, il Foca arriva
alle 12.55 nel punto «A» di San Vito, dove si fa riconoscere dalla nave pilota
prima di entrare in Mar Grande.
Alle 13.36 il
battello si ormeggia alla banchina sommergibili in Mar Piccolo.
Il Foca visto di poppa (g.c. Danilo Vannucci, da www.sommergibilefoca.it)
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La scomparsa
Al tramonto del 1°
ottobre 1940 il Foca lasciò Taranto
al comando del capitano di corvetta Mario Ciliberto, per una missione di posa
di mine al largo dell’importante porto e base navale di Haifa, in Palestina, costruita
nel 1933 ed utilizzata Royal Navy (la Palestina era sotto mandato britannico,
come gran parte del Medio Oriente, e le merci provenienti dai territori
mediorientali sotto controllo britannico confluivano tutte verso Haifa).
Sarebbe dovuta essere la sua terza missione di guerra.
Uno dei membri, il
secondo capo cannoniere Antonio Diana, arruolatosi in Marina undici anni prima,
aveva da poco salutato la giovane moglie Angela, che aveva sposato appena un
anno prima, dopo averle consegnato la sua ultima paga, tranne venti centesimi
per il giornale, e la fede nuziale, che intendeva donare a Sant’Antonio quale
ringraziamento al ritorno dalla missione. Era tranquillo, fiducioso sia nella
protezione di Sant’Antonio che nella potenza della flotta subacquea italiana,
la più grande al mondo.
Un altro militare di
carriera, il marinaio elettricista di prima classe Gualtiero Vannucci, era
imbarcato sul Foca dal 30 novembre
1938, e lo considerava il “suo” sommergibile.
L’indomani, superata
Crotone, il sommergibile doppiò Capo Colonne e fece rotta su Alessandria
d’Egitto, per portarsi nel punto prestabilito dal Comando Sommergibili
(Maricosom), ossia 33°30’ N e 30°00’ E, cento miglia a nord di Alessandria, da
dove sarebbe proseguito con rotta est verso la baia di Haifa.
In base all’ordine
d’operazione numero 102 – ricevuto da Roma il 28 settembre –, il Foca sarebbe dovuto giungere nel punto
assegnato (32°49’36” N e 34°49’51” E) il 13 od il 14 ottobre, avvicinandosi
alla zona assegnata verso l’alba, ed avrebbe dovuto posare 20 mine modello TV
200/800 (prodotte dalle Officine Franco Tosi, aventi ciascuna un peso di una
tonnellata, di cui 200 kg di tritolo fuso) a partire dal punto a 6 miglia per
267° dal faro di Capo Carmelo (Palestina) e procedendo poi lungo la direttrice
350°. Una prima fila di sei mine avrebbe dovuto essere posata con un intervallo
di 50 metri tra ciascun ordigno, poi il sommergibile avrebbe dovuto lasciare
uno spazio vuoto di 500 metri prima di posare la seconda e la terza spezzata,
rispettivamente di sei ed otto mine, anch’esse distanziate tra di loro di 500
metri e con le mine di ogni spezzata a 50 metri l’una dall’altra. Le mine
sarebbero state posizionate ad una profondità di quattro metri, su fondali
profondi un centinaio di metri.
Oltre alle 20 mine
destinate allo sbarramento di Haifa (e sistemate nelle camere mine), il Foca ne trasportava nei tubi orizzontali
altre 16 – così trovandosi con un pieno carico di ordigni – non armate, con le
quali avrebbe dovuto compiere delle prove (posa di sbarramenti “sperimentali” di
controllo, da svolgersi entro 48 ore dalla conclusione della missione in un
settore designato dal IV Gruppo Sommergibili in accordo con Marina Taranto e
per verificare il comportamento delle fiale degli urtanti quando sistemate su
ordigni collocati nei tubi orizzontali) durante la navigazione di ritorno, che
sarebbe avvenuta lungo le stesse rotte dell’andata. Era prevista anche, come
obiettivo secondario, la possibilità di attaccare navi nemiche che fossero
state individuate durante la navigazione.
Tra andata e ritorno,
il battello avrebbe dovuto percorrere oltre 2000 miglia (di notte in
superficie, di giorno in immersione; l’ultimo tratto interamente in immersione
e con i motori elettrici, per non essere avvistato da ricognitori britannici
che avrebbero vanificato la missione); durante tutto il viaggio avrebbe dovuto
mantenere un totale silenzio radio. La missione era stata programmata in modo
da coincidere con il plenilunio (che vi sarebbe stato nella notte tra il 15 ed
il 16 ottobre), così da rendere più facile, per il Foca, avvistare eventuali minacce durante la notte.
Contestualmente al Foca, in base allo stesso ordine
d’operazione, prese il mare anche il gemello Zoea, con il compito di posare un campo minato al largo di Jaffa
(oggi Tel Aviv).
Il sommergibile in un’immagine
dell’Almanacco Navale del 1942 (g.c. Giuseppe Garufi via www.xmasgrupsom.com)
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Il 14 ottobre il Comando in Capo della Squadra Sommergibili informò Marina Bengasi che il 17 ottobre il Foca sarebbe dovuto passare, provenendo da est e diretto a nordovest, una quindicina di miglia a nordest di Ras el Tin. L’arrivo a Taranto era previsto per il 23 ottobre, preceduto di un giorno dallo Zoea.
Ma il Foca non passò mai al largo di Ras el
Tin, né tantomeno giunse a Taranto nella data prevista od in seguito.
Il 22 novembre 1940
Maricosom segnalò al comando del IV Gruppo Sommergibili di Taranto che un altro
sommergibile, il Brin, riteneva di
aver avvistato il Foca fuori dalle
ostruzioni della base di Taranto, ma doveva purtroppo trattarsi di un errore.
Il 5 giugno 1941 la
Direzione Generale del Personale e dei Servizi Militari del Ministero della
Marina contattò la Croce Rossa Italiana asserendo che rappresentanti
diplomatici di due non precisati Stati neutrali avevano affermato verbalmente
che il Foca fosse stato catturato con
tutto l’equipaggio, e che da parte nemica si fosse taciuta la notizia. Nel
sollecitare la CRI a svolgere indagini in merito, il Ministero della Marina
allegò l’elenco dell’equipaggio del Foca.
Ma le “voci” dei “rappresentanti diplomatici” erano infondate.
Del Foca e dei 69 uomini del suo equipaggio
non si seppe più nulla. Come data di morte presunta dei membri dell’equipaggio
fu indicato il 23 ottobre 1940, data del mancato rientro alla base.
Il giorno dopo, la
moglie del comandante in seconda Mario Della Cananea, Angelina Liuzzi – i due
erano sposati solo da nove mesi –, diede alla luce il figlio della coppia,
Franco.
Su 26 sommergibili
italiani perduti in Mediterraneo senza superstiti, il Foca, insieme al più piccolo Smeraldo, rimane uno dei due soli
battelli per i quali nemmeno l’analisi postbellica degli archivi alleati abbia
portato all’individuazione di una causa plausibile per il loro affondamento.
Nessuna nave od aereo britannico reclamò l’affondamento o danneggiamento di un
sommergibile nemico in luogo e data compatibili con quelle della scomparsa del Foca.
Si può solo supporre
che il Foca sia rimasto vittima degli
stessi ordigni per posare i quali era nato: le mine. Appare verosimile che ciò
sia avvenuto tra il 12 ed il 15 ottobre 1940 (forse il 13 ottobre).
Se il sommergibile
sia saltato su uno sbarramento difensivo britannico (che però, secondo alcune
fonti britanniche, non sarebbe all’epoca stato presente nelle acque di Haifa),
oppure sia rimasto vittima della detonazione accidentale di una delle proprie
mine durante la posa (come potrebbero far sospettare analoghi incidenti,
sebbene privi di gravi conseguenze, occorsi ai gemelli Atropo e Zoea) non è
purtroppo dato sapere.
Dopo la perdita del Foca e gli incidenti occorsi ad Atropo e Zoea, constatata la scarsa efficienza ed elevata pericolosità dei
modelli di mina per sommergibile in uso, si decise di abbandonare il minamento
occulto subacqueo. Atropo e Zoea vennero impiegati come sommergibili
da trasporto per il resto del conflitto.
Scomparvero con l’unità:
Franco Abaini, comune
Luigi Argellati, comune
Augusto Battistoli, comune
Ferruccio Bianchi, capo di seconda classe
Giovanni Bottigni, comune
Felice Brunetti, comune
Mario Calamini, secondo capo
Federico Capovilla, comune
Pellegrino Cerreto, comune
Antonio Cheli, comune
Mario Ciliberto, capitano di corvetta
(comandante), 36 anni, da Crotone
Alfredo Consiglieri, comune
Oronzo Coppi, secondo capo
Walter Corazza, comune
Bruno Coridi, secondo capo
Alfredo Cozzolino, comune
Gian Mario Crippa, comune
Giuseppe D’Adelfio, comune
Mario della Cananea, tenente di vascello, 30 anni, da Teramo
Antonio Diana, secondo capo cannoniere, 27
anni, da Villasimius
Tommaso Digosciu, capo di prima classe
Riccardo Doglio, sottocapo
Livio Dogliotti, sottocapo
Angelo Dringoli, comune
Luigi Emanuelli, capitano del Genio Navale
Demetrio Favaro, secondo capo
Giuseppe Gennaro, comune
Aurelio Ghirardi, sottocapo
Silvio Girardi, sottocapo
Osvaldo Gori, comune
Carlo Landi, comune
Omero Landucci, capo di prima classe
Ugo La Spada, guardiamarina
Egisto Magni, comune
Paride Maioli, comune
Giuseppe Malandrino, sergente
Attilio Masi, sergente
Fiorenzo Natali, sergente
Domenico Olivieri, secondo capo
Mario Paderni, comune
Gaetano Pagano, comune
Lino Pareto, comune
Ernesto Pastorelli, sottotenente di vascello
Sebastiano Peluso, sergente
Galeazzo Perduca, secondo capo
Francesco Pianeta, comune
Gaetano Picazio, secondo capo
Salvatore Picone, comune
Pietro Pignati, comune
Amedeo Pini, capo di seconda classe
Giovanni Pirino, capo di seconda classe, 36
anni, da Sassari
Renato Pisani, sottotenente di vascello
Mario Preziosi, comune
Giuseppe Prisco, comune
Diego Romeo, comune
Sarno Rossi, comune
Antonio Rutigliano, comune
Carmine Salernitano, comune
Mario Sassoli, secondo capo
Ciro Schiavone, comune
Severino Scoccabarozzi, sottocapo
Elio Signoracci, comune
Giuseppe Spano, sottocapo
Adriano Trento, sottotenente del Genio Navale
Angelo Torrisi, comune
Angelo Traverso, comune
Gualtiero Vannucci, comune elettricista, 20
anni, da Arezzo
Vincenzo Vastola, sottocapo
Domingo Volpari, sottotenente del Genio Navale
Il comandante
Ciliberto lasciò la giovane moglie Maria, che aveva sposato proprio nel giugno
1940, pochi giorni prima di partire per la guerra. Gli fu conferita la Medaglia
d’argento al Valor Militare alla Memoria, con la seguente motivazione:
“Comandante di
sommergibili posamine effettuava la posa di tre sbarramenti in acque
particolarmente pericolose e sorvegliate dal nemico, dimostrava elevate doti di
tenacia e coraggio. Nell’adempimento del proprio dovere scompariva in mare, sacrificando,
con estrema dedizione, la propria esistenza alla Patria.”
Negli anni ’70
Crotone ha intitolato un istituto tecnico nautico alla memoria del comandante
Ciliberto, e nel 2001 anche una piazza della città (Piazza Mario Ciliberto).
Il capitano di corvetta Mario Ciliberto, affondato con il Foca (g.c. Giovanni Pinna) |
Nell’agosto 2016, il
subacqueo belga Jean-Pierre Misson ha annunciato di aver “ritrovato” il relitto
del Foca nelle acque di Ras el Hilal,
sulla costa libica, “identificandone” il relitto da un’immagine sonar da lui
ottenuta nel 2012. La notizia, molto inopportunamente, è stata ripresa e
diffusa da alcuni media locali, in particolare i giornali “Il crotonese” e “La
provincia crotonese” (Crotone essendo la città dell’ultimo comandante del Foca, Mario Ciliberto) e persino
sull’altrimenti eccellente sito www.sommergibilefoca.it
(dove chiunque è libero di guardare le foto delle scansioni sonar, fornite
dallo stesso Misson: risulta alquanto evidente – tranne, a quanto sembra, agli
autori del sito – quanto siano forzate e campate per aria le “correlazioni”
inventate da Misson per cercare corrispondenze tra le foto storiche del Foca e
le scansioni sonar del suo immaginario “relitto”. Mai come in questo caso,
purtroppo, vale il detto secondo cui “gli occhi vedono solo ciò che la mente
vuole vedere”).
Sull'attendibilità delle affermazioni di Jean-Pierre Misson ci si limita a riferire quanto segue, lasciando al lettore di decidere.
Nel corso degli ultimi anni, Misson ha sostenuto di aver trovato in due ristrettissimi specchi d’acqua (pochi chilometri quadrati), al largo di Tabarka (Tunisia) e Ras el Hilal (Libia), non meno di dieci sommergibili (il britannico Urge e gli italiani Argonauta, Foca, Dessiè, Asteria, Avorio, Porfido e Cobalto, nonché altri ancora ai quali, grazie a Dio, non è “riuscito” ad appioppare un nome), il cacciatorpediniere britannico Quentin, la nave cisterna italiana Picci Fassio, la motosilurante tedesca S 35 e probabilmente altri relitti, distanti tra loro poche centinaia di metri (il che sarebbe già, di per sé, pressoché inverosimile). Si vedano, in proposito, le accese discussioni sul forum AIDMEN nonché le rivendicazioni di Misson che in alcuni casi, per mezzo di giornalisti del tutto inesperti della materia, sono purtroppo arrivate fin sui giornali (è il caso, oltre che del Foca, anche del britannico Urge). Tutti i “ritrovamenti”, con metodologia del tutto inaccettabile per una qualsivoglia seria ricerca di un relitto, sono avvenuti mediante l’“interpretazione” di vaghissime ombre registrate dal sonar, senza una singola immersione sugli immaginari relitti in questione.
Nel corso degli ultimi anni, Misson ha sostenuto di aver trovato in due ristrettissimi specchi d’acqua (pochi chilometri quadrati), al largo di Tabarka (Tunisia) e Ras el Hilal (Libia), non meno di dieci sommergibili (il britannico Urge e gli italiani Argonauta, Foca, Dessiè, Asteria, Avorio, Porfido e Cobalto, nonché altri ancora ai quali, grazie a Dio, non è “riuscito” ad appioppare un nome), il cacciatorpediniere britannico Quentin, la nave cisterna italiana Picci Fassio, la motosilurante tedesca S 35 e probabilmente altri relitti, distanti tra loro poche centinaia di metri (il che sarebbe già, di per sé, pressoché inverosimile). Si vedano, in proposito, le accese discussioni sul forum AIDMEN nonché le rivendicazioni di Misson che in alcuni casi, per mezzo di giornalisti del tutto inesperti della materia, sono purtroppo arrivate fin sui giornali (è il caso, oltre che del Foca, anche del britannico Urge). Tutti i “ritrovamenti”, con metodologia del tutto inaccettabile per una qualsivoglia seria ricerca di un relitto, sono avvenuti mediante l’“interpretazione” di vaghissime ombre registrate dal sonar, senza una singola immersione sugli immaginari relitti in questione.
La maggior parte
delle sopraccitate unità, a differenza del Foca,
ebbero sopravvissuti tra i propri equipaggi, e sia tali sopravvissuti che le
unità responsabili degli affondamenti registrarono, all’epoca, le posizioni di
detti affondamenti. Da ciò risulta con certezza che tutti i sommergibili e le
navi di cui sopra affondarono in luoghi distanti decine, se non centinaia di
miglia da quelli in cui Misson sostiene di averli trovati; ma ciò non scoraggia
Misson dal sostenere che tutti coloro che registrarono tali posizioni abbiano
sbagliato grossolanamente nelle loro rilevazioni di parecchie decine di miglia
(del tutto impossibile, soprattutto quando si parla di quasi quindici unità
diverse), mentre egli non prende lontanamente in considerazione di poter aver
sbagliato nell’identificazione delle immagini sonar dei “relitti” in questione.
Dette immagini sonar,
in realtà, risultano a qualsiasi osservatore imparziale come niente più che
vaghi ed indistinguibili sgorbi, non identificabili in alcun modo e che con
ogni probabilità non mostrano alcun relitto, né altro oggetto fatto dall’uomo;
è Misson a “vedervi” i relitti, trasformando ogni ombra rilevata dal suo sonar
in un “sommergibile”. Esemplare, a questo proposito, la procedura di
“identificazione” del “relitto” dell’Urge,
annunciata persino sui giornali: a sostegno delle sue tesi, Misson ha
contattato un esperto di immagini sonar per identificare la vaga immagine sonar
da lui attribuita al relitto dell’Urge,
ma questi, visionata l’immagine, ha negato la possibilità di identificarla. Ciò
non ha frenato minimamente Misson, che ha riaffermato la propria autoreferenziale
identificazione dell’Urge, e si è poi
premurato di non chiedere altri pareri di esperti (che non avrebbero che potuto
essere negativi, non essendovi alcun relitto) per le “identificazioni”
successive. Ancora più grottesca l’attribuzione delle cause di affondamento di
queste unità: se trascurando il fatto che esse sono note con certezza per tutte
le navi e sommergibili indicati (meno il Foca
e forse l’Argonauta), Misson
attribuisce buona parte degli affondamenti dei “sommergibili” di Tabarka ad un
fantomatico campo minato presente in quelle acque. In realtà, è noto con
certezza che non esisteva nessun campo minato presso Tabarka tranne uno che
venne posato solo in epoca successiva a quasi tutti gli affondamenti citati, e
che dunque non può esserne la causa. Una volta di più, ciò non sembra turbare
minimamente Misson. Per le unità per il quale non ha potuto inventare un
impossibile affondamento su mine inesistenti, Misson ha sostenuto che esse
(sommergibili compresi, anzi, per primi) siano andate alla deriva per decine di
miglia prima di affondare, convenientemente, tutte nel fazzoletto di mare
ispezionato dal suo sonar, benché dai rapporti dell’epoca appaia chiaro come
dette unità siano affondate nei luoghi degli attacchi, senza andare alla deriva.
Si ritiene che tutto
ciò la dica lunga sulla validità delle "scoperte" di Jean-Pierre Misson. La notizia del ritrovamento del Foca
presso Ras el Hilal è purtroppo da considerarsi come completamente destituita
di fondamento.
Il sommergibile in navigazione (da www.warshipsww2.eu) |