La Giacomo Medici nel 1921-1923 (dalla rivista Interconair “Aviazione e Marina” n. 26 del settembre 1965, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Durante la seconda guerra mondiale scortò lungamente convogli sulle rotte per l’Albania e la Grecia (Basso Adriatico e Mar Ionio), mentre a fine 1942 fu trasferita sulle rotte per l’Africa Settentrionale.
Impostazione nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
6 settembre 1918
Varo nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
13 settembre 1918
Entrata in servizio, a meno di due mesi dalla fine della prima guerra mondiale.
Il Medici ormeggiato, insieme ad altre unità, al Molo Stocco di Fiume nel 1919 (Imperial War Museum) |
Il Medici è tra le navi che partecipano alla «Parata della Vittoria», tenuta a Venezia per celebrare la vittoria nella prima guerra mondiale, che vedrà il suo culmine nel trasferimento da Pola a Venezia dell’ormai ex flotta austroungarica (o più precisamente, della parte di tale flotta assegnata all’Italia), divenuta preda di guerra.
La Serenissima è pavesata a festa per l’occasione, e straripante di gente che si affolla sulle rive per assistere allo spettacolo dell’arrivo della flotta avversaria sconfitta; sulle antenne di Piazza San Marco e della Basilica sventolano la bandiera italiana e quella di San Marco, «raffiguranti due pagine di storia diversamente grande ed immortale». Tra le navi che partecipano alla cerimonia vi sono i cacciatorpediniere Audace (carico di autorità: il re d’Italia, Vittorio Emanuele III; il principe di Udine, nonché capitano di vascello, Ferdinando di Savoia; il viceammiraglio Mario Casanuova, comandante in capo della Piazza Marittima di Venezia; il capitano di vascello Giuseppe Sirianni, comandante del Reggimento Marina che nel 1917-1918 ha combattuto alle foci del Piave a difesa di Venezia, e che di lì a poco sarà ribattezzato Reggimento "San Marco" in riconoscimento della sua opera), Nicola Fabrizi (con a bordo il generale Pietro Badoglio nonché tecnici, fotografi e cineoperatori dell’Ufficio Speciale del Capo di Stato Maggiore della Marina, che dovranno riprendere gli eventi) e Giacomo Medici (che segue l’Audace con a bordo gli addetti navali delle altre potenze dell’Intesa ed altri rappresentanti delle potenze alleate, come il colonnello Clarence P. Franklin, comandante della sezione ambulanze dell’Esercito statunitense in Italia, in rappresentanza degli Stati Uniti), nonché parecchi altri; le torpediniere Climene (carica di giornalisti) e Procione (con a bordo ufficiali del Comando Supremo); i piroscafi San Giorgio (con a bordo le rappresentanze di Camera e Senato), Roma (con le rappresentanze del Comune e della Provincia di Venezia, tra cui il sindaco Filippo Grimani ed il viceprefetto Tiretta) e San Marco (con a bordo i capi servizio dell’Esercito e della Marina), e quattro MAS, uno dei quali ha a bordo il contrammiraglio Ricci, comandante in seconda del Dipartimento di Venezia, con l’incarico di dirigere il “corteo” navale che si va formando. Partecipano inoltre anche 10 idrovolanti.
Le navi del corteo escono dal porto degli Alberoni e si recano incontro alla flotta ex austroungarica, in arrivo da Pola e composta tra l’altro dalle corazzate Tegetthoff e Erzherzog Franz Ferdinand, dall’esploratore Admiral Spaun, dai cacciatorpediniere Tatra e Csepel, dalle torpediniere TB 80, 81, 82 e 86 e da quattro sommergibili (questi ultimi sono in coda alla formazione).
Le unità ex austroungariche sono scortate da Pola a Venezia dall’esploratore Nibbio (avente a bordo il viceammiraglio Umberto Cagni) e dai cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori, Francesco Stocco e Vincenzo Giordano Orsini. Le navi austroungariche navigano a bassa velocità; giunte nel punto d’incontro con il corteo uscito da Venezia, issano bandiera bianca e rossa per segnalare di aver fermato le macchine ed essere in attesa. Il corteo proveniente da Venezia, guidato dall’Audace, defila sul lato sinistro della formazione ex austroungarica, i cui equipaggi, schierati in coperta, rendono gli onori militari; Vittorio Emanuele III passa in rassegna la squadra, e sulla Tegetthoff viene alzato il gran pavese. Poi, l’Audace si pone in testa al convoglio per tornare in porto; le navi austroungariche si dispongono in linea di fila, mentre Sirtori, Stocco ed Orsini si schierano all’estremità della diga settentrionale della laguna per assistere alla sfilata. Una volta che le navi già avversarie li hanno superati per entrare in porto, Sirtori, Stocco ed Orsini lasciano Venezia per tornare a Pola.
Le navi dell’ex k.u.k. Kriegsmarine entrano a Venezia accolti da una moltitudine di gondole e barche di ogni tipo, dal fischio delle sirene delle navi ormeggiate, e dallo scampanio di tutti i campanili della città, specialmente quello di San Marco; tra le navi da guerra che presenziano, anch’esse straripanti di folla, ci sono le corazzate Re Umberto e Dante Alighieri e gli incrociatori Goito e Montebello.
Nel contesto delle turbolenze che scuotono il bacino del Mar Nero nel primo dopoguerra, il Medici viene dislocato ad Istanbul insieme al resto della Squadra da Battaglia (ammiraglio Emilio Solari), formato dalle corazzate Giulio Cesare, Duilio ed Andrea Doria, dagli esploratori Nibbio e Sparviero, dal cacciatorpediniere Giuseppe La Farina e dal panfilo armato Capitano Verri, oltre alla Divisione Navale del Levante.
Le unità italiane operano in Mar Nero a tutela degli interessi e dei cittadini italiani residenti nella zona, minacciati dalle violenze delle fazioni contrapposte nella guerra civile russa. Mentre gli ex alleati dell’Italia nella Grande Guerra, Francia e Regno Unito, intervengono attivamente nel conflitto russo in appoggio alle formazioni anticomuniste (“bianche”), cercando di ritagliarsi aree d’influenza nel Caucaso, nell’Ucraina e nella Russia meridionale, il governo italiano preferisce non farsi coinvolgere nella guerra civile, limitando gli scopi del proprio intervento alla tutela dei propri connazionali ed al soccorso degli ex prigionieri. Le decisioni di questa rinuncia, che si rivelerà lungimirante, sono molteplici: il rapido deterioramento dei rapporti con Francia, Regno Unito e Stati Uniti, ormai sempre più manifestamente intenzionati a tenere per sé i frutti della vittoria “scaricando” l’ormai superfluo alleato italiano (volontà già dimostrata dall’invio di ingenti contigenti franco-britannici nel Caucaso e nell’Ucraina, senza aver interpellato l’Italia, le cui truppe verranno richieste – e saggiamente negate – soltanto al successivo precipitare della situazione); i rapporti inviati da ufficiali italiani mandati in avanscoperta, che riferiscono che la situazione militare della coalizione antibolscevica è pessima e che un intervento italiano servirebbe servirebbe soltanto a coinvolgere anche l’Italia nella prossima ed inevitabile sconfitta delle forze anticomuniste, oltre che a danneggiare l’immagine dell’Italia in Russia; ed infine la situazione politica interna dell’Italia, dove stante il crescente consenso raccolto tra le classi lavoratrici dal Partito Socialista, politicamente vicino ai rivoluzionari russi, un intervento armato italiano contro i comunisti russi risulterebbe impopolare.
Novembre 1919
Duilio, Doria e Cesare lasciano il Mar Nero, e le forze navali italiani stanziate ad Istanbul passano al comando del contrammiraglio Fortunato De Grossi: continua a farne parte il Medici, insieme alla vecchia corazzata Sardegna, all’incrociatore corazzato Pisa, agli esploratori Nino Bixio, Nibbio e Sparviero, al cacciatorpediniere Giuseppe La Farina, al panfilo armato Capitano Verri, alla cisterna militare Cocito, al rimorchiatore militare Luni ed a due vedette.
Durante la guerra civile russa il Medici (capitano di corvetta Roberto Vescia) viene inviato insieme al piroscafo Palacki ad Odessa, minacciata dall’avanzata dell’Armata Rossa, per evacuare i cittadini italiani ivi residenti ed anche i profughi qui affluiti dall’interno della Russia e dell’Ucraina (sono oltre 30.000) per tentare di fuggire via mare.
In un primo momento l’ammiraglio De Grossi, in risposta alle richieste d’invio di navi per l’evacuazione della città da parte del locale console Maffei, ha inviato ad Odessa il Pisa, qui giunto il 1° gennaio 1920; il grosso incrociatore corazzato, tuttavia, è risultato avere un pescaggio troppo elevato per poter entrare in porto, ragion per cui al suo posto è stato inviato il 23 gennaio il Medici, che pur essendo più piccolo ha comunque spazio sufficiente per imbarcare i pochi italiani che ancora si trovano in città.
Il 31 gennaio il comandante Vescia viene invitato dal generale russo Nikolai Shilling (comandante dell’armata russa “bianca” nella Russia meridionale) a prendere parte ad una riunione organizzata per preparare la difesa di Odessa; l’ufficiale italiano risponde di avere precisi ordini del governo regio, che precludono ogni azione armata contro i bolscevichi (salvo che in risposta ad un’aggressione) mentre vi è piena disponibilità ad evacuare profughi di qualsiasi nazionalità, sia con il Medici che con il Palacki, trattenuto ad Odessa a questo scopo.
Tra il 3 e il 5 febbraio, con i bolscevichi ormai alle porte, vengono imbarcati sul Medici e sul Palacki i beni di proprietà degli italiani, oltre agli italiani stessi; il 6 le navi britanniche iniziano a sparare sulle milizie comuniste per rallentarne l’avanzata, ed il giorno seguente i bolscevichi irrompono in città e le navi, caricati quanti più profughi possibile, lasciano Odessa alla volta di Istanbul.
Navi di diverse nazionalità concorrono all’evacuazione dei propri cittadini e dei profughi russi ed ucraini: oltre a quelle italiane, anche francesi (incrociatori Jules Michelet e Waldeck-Rousseau), britanniche (corazzate Ajax ed Emperor of India, incrociatori Ceres e Cardiff, trasporti truppe Rio Negro e Rio Pardo, cannoniera Votan, diversi cacciatorpediniere), greche e statunitensi (cacciatorpediniere Talbot). Medici e Palacki hanno l’ordine di soccorrere, oltre ai cittadini italiani, “chiunque ne abbisogni senza distinzione partiti politici”. L’evacuazione avviene nel caos, sotto i colpi dell’artiglieria bolscevica, come descritto da un testimone a bordo del Palacki: “Giungeva distintamente il rumore della fucileria e nuvole di fumo indicavano lo scoppio di qualche incendio. Quando venne ammainata la scaletta di bordo, fu un solo urlo che partì dalla folla rimasta. Un giovane robusto era riuscito ad aggrapparsi alle funi e s’era fatto issare in coperta. La tolda del Palacski sembrava una testa sola; per ogni dove erano piazzati dei profughi: nelle barche di salvataggio, attaccati ai paranchi, sulle scalette di accesso alle cabine, tra i mucchi di cordame e di catene. Un altro sibilo ed un proiettile di artiglieria cadde in mare a pochi metri dalla prua del piroscafo. Lontano, sulle calate del porto, la fucileria si era fatta più intensa; mi parve persino di udire il crepitio di una mitragliatrice. Intanto una lotta furibonda si svolgeva nei pressi della torpediniera italiana [il Medici] che stava per salpare. Dal ponte di comando assistevo a quelle scene terrificanti, senza poter portare il minimo aiuto. Il Palacski riuscì a scostarsi dalla banchina con un’abile manovra, mentre qualcuno, sospinto dalla folla o dalla disperazione, precipitava in mare dibattendosi tra il ghiaccio e le onde”.
Medici e Palacki fanno rotta per Istanbul, dov’è stato allestito un ospedale italiano nel quale sono ricoverati i cittadini italiani evacuati ed anche numerosi profughi russi (all’assistenza della maggior parte di questi ultimi provvede la Croce Rossa statunitense, mentre i militari dell’armata russa “bianca” sono riorganizzati dalle autorità francesi).
Il Medici in partenza da Tolone in una foto probabilmente risalente agli anni Venti (da www.kreiser.unoforum.pro) |
Nella tarda serata del 30 agosto il Medici lascia Taranto insieme ai similari Generale Antonino Cascino, Generale Carlo Montanari, Giacinto Carini e Giuseppe La Farina, all’esploratore Premuda, agli incrociatori corazzati San Giorgio e San Marco, alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, alle torpediniere 50 OS e 53 AS, ai MAS 401, 404, 406 e 408 ed ai sommergibili Agostino Barbarigo ed Andrea Provana, per prendere parte all’occupazione di Corfù: è infatti in pieno svolgimento la crisi di Corfù, causata dall’assassinio – avvenuto ad opera di ignoti il 27 agosto, sulla strada tra Giannina e Santi Quaranta – del generale Enrico Tellini e di altri membri di una delegazione italiana (maggiore Luigi Corti, tenente Mario Bonacini, autista Remigio Farnetti, interprete albanese Thanas Gheziri) che avrebbe dovuto definire i confini tra Grecia ed Albania per conto della Società delle Nazioni, così risolvendo la disputa confinaria in atto tra i due Paesi balcanici. I giornali italiani ed il governo albanese hanno attribuito le responsabilità dell’eccidio alla Grecia, considerate le pessime relazioni esistenti tra la delegazione italiana e le autorità greche, che tramite un delegato avevano apertamente accusato il generale Tellini di parzialità in favore dell’Albania; il governo greco e l’ambasciatore romeno a Giannina hanno invece imputato la strage a banditi albanesi, ma nessun oggetto è stato rubato dalle vittime o dall’automobile su cui viaggiavano (secondo lo storico greco Aristotle Kallis, vi sarebbero indizi sufficienti da far ritenere che la strage sia stata compiuta da provocatori albanesi che avrebbero attraversato il confine allo scopo di far incolpare la Grecia). L’opinione pubblica italiana è schierata contro la Grecia, tanto che scoppiano manifestazioni antigreche; i giornali ellenici condannano l’eccidio di Giannina e si esprimono amichevolmente nei confronti dell’Italia, auspicando che il governo greco soddisfi quello italiano senza travalicare i confini dettati dall’orgoglio nazionale greco.
A capo del governo italiano è Benito Mussolini, in carica da pochi mesi e desideroso di “mostrare i muscoli” in campo internazionale: l’occasione è per lui perfetta sia per dare una dimostrazione di forza che aumenti il suo prestigio presso i nazionalisti italiani (presentandosi come il vendicatore della “vittoria mutilata”) e che rafforzi la posizione dell’Italia come potenza militare in campo internazionale, in grado di ottenere ciò che vuole con la forza, sia, se possibile, per impadronirsi stabilmente di Corfù, il cui possesso faciliterebbe il controllo da parte italiana del Basso Adriatico e del Mar Ionio (e che Mussolini vede come “più italiana che greca” per via della plurisecolare dominazione veneziana). Mussolini, pertanto, accusa la Grecia di responsabilità dell’eccidio ed il 29 agosto impone un durissimo ultimatum al governo greco: questi ha ventiquattr’ore per porgere scuse solenni all’Italia (tramite la sua legazione di Atene) ed avviare un’inchiesta, con la collaborazione dell’addetto militare italiano in Grecia (colonnello Perone), che porti entro cinque giorni all’arresto e condanna a morte dei responsabili della strage; inoltre tutti i componenti del governo ellenico dovranno presenziare ai funerali delle vittime, che si dovranno tenere in forma solenne nella cattedrale cattolica di Atene, dovranno essere tributati gli onori militari agli uccisi, la flotta greca dovrà tributare gli onori alla bandiera di una squadra navale italiana che sarà appositamente inviata al Pireo, e la Grecia dovrà pagare all’Italia cinquanta milioni di lire a titolo di risarcimento entro cinque giorni. In caso contrario, l’Italia invaderà ed occuperà per ritorsione Corfù.
Il corpo di spedizione destinato a conquistare l’isola è composto dal 48° Reggimento Fanteria "Ferrara", da una batteria di 8 cannoni da 75 mm, da una brigata di fanteria di 5000 uomini, da reparti del reggimento di fanteria di Marina "San Marco" e dalle compagnie da sbarco delle navi, il tutto al comando dell’ammiraglio Emilio Solari. Le truppe saranno sbarcate sulla costa settentrionale e su quella meridionale dell’isola.
Il 30 agosto il governo greco risponde all’ultimatum, accettando soltanto in parte le richieste italiane, che vengono fortemente ridimensionate: il comandante militare del Pireo esprimerà il cordoglio del governo greco per l’accaduto al locale ministro italiano, sarà tenuto un servizio religioso di commemorazione delle vittime alla presenza di membri del governo greco, un distaccamento della Guardia di Palazzo greca renderà gli onori alla bandiera italiana presso la sede della legazione d’Italia, e reparti militare greci renderanno onori ai feretri delle vittime quando questi saranno trasbordati su una nave da guerra italiana per essere riportati in patria. Viene inoltre offerta disponbilità a pagare un giusto indennizzo ai familiari delle vittime, mentre viene opposto un rifiuto alla conduzione di un’inchiesta in presenza dell’addetto miltiare italiano, dal quale però verrebbe accettata qualsiasi informazione che potesse agevolare l’individuazione degli assassini. Le altre richieste vengono respinte in quanto lederebbero l’onore e la sovranità della Grecia.
Mussolini ed il governo italiano dichiarano insoddisfacente ed inaccettabile la controproposta greca, con l’appoggio della stampa, che insiste affinché la Grecia ceda pienamente alle richieste italiane. Non avendo il governo greco ottemperato alle condizioni, l’operazione contro Corfù prende il via.
La flotta italiana si presenta davanti a Corfù il 31 agosto; dopo aver mandato per mezzo del capitano di vascello Antonio Foschini, capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Solari, un ultimatum al governatore greco di Corfù (imponendo l’ammaino della bandiera greca da sostituire con quella italiana, la cessazione di tutte le comunicazioni, la resa e disarmo di truppe e gendarmeria ed il controllo di tutte le attività da parte dell’Italia), alle 16 del 31 agosto le unità italiane iniziano il tiro, protraendolo sino alle 16.15, sulle due fortezze di Corfù (Vecchia e Nuova) che tuttavia non sono in mano a truppe greche, bensì occupate da profughi provenienti dall’Anatolia, sedici dei quali rimangono uccisi, ed altri 32 feriti. Anche la locale scuola di polizia viene cannoneggiata.
Dopo un quarto d’ora di bombardamento, le autorità greche dell’isola si arrendono, e viene dato inizio allo sbarco del corpo di spedizione italiano (composto da alcune migliaia di uomini); il prefetto Petros Evripaios ed altri ufficiali e funzionari ellenici vengono arrestati ed imprigionati a bordo delle navi italiane. Nel giro di pochi giorni le truppe italiane occupano Corfù e la maggior parte delle navi fa ritorno a Taranto, lasciando a Corfù un incrociatore corazzato, i cinque cacciatorpediniere (Medici compreso) e qualche sommergibile e MAS sotto il comando del contrammiraglio Aurelio Belleni, mentre il 2 settembre 1923 l’ammiraglio Diego Simonetti diviene governatore di Corfù.
Il bombardamento dell’isola, e specialmente le vittime civili da esso causate, provocheranno rimostranze in campo internazionale da parte del presidente del Save the Children Fund (in quanto tra le vittime vi sono anche diversi bambini), del Near East Relief e della Società delle Nazioni, che definiranno il bombardamento di Corfù come un atto disumano, inutile ed ingiustificabile, “un assassinio ufficiale da parte di una nazione civilizzata”.
In Grecia, il governo decreta la legge marziale e ritira la flotta nel golfo di Volo, onde evitare contatti con la flotta italiana. Nella cattedrale di Atene viene tenuta una messa solenne in ricordo delle vittime del bombardamento di Corfù, e le campane di tutte le chiese suonano a lutto; sempre in segno di lutto, vengono chiusi tutti i luoghi di divertimento, mentre nelle piazze scoppiano proteste antiitaliane, tanto che un distaccamento di trenta militari greci dev’essere inviato a proteggere la sede della Legazione d’Italia ad Atene. I giornali greci condannano l’attacco italiano a Corfù, ed il quotidiano “Eleftheros Typos” si esprime pesantemente nei confronti degli italiani, tanto che a seguito delle proteste del Ministro d’Italia il governo ellenico ne sospende per un giorno la pubblicazione e destituisce il censore che ha permesso la pubblicazione dell’articolo incriminato.
Anche in Italia scoppiano nuove dimostrazioni antigreche, mentre il governo italiano chiude il Canale d’Otranto alle navi greche, chiude i porti alle navi greche (mentre i porti greci rimangono aperti alle navi italiane), ordina alle compagnie di navigazione italiane di evitare la Grecia e persino sequestra tutte le navi greche che si trovano in porti italiani (una viene addirittura fermata e catturata nel Canale d’Otranto da un sommergibile italiano); il 2 settembre, tuttavia, le navi greche verranno rilasciate per decisione del Ministero della Marina. Vengono espulsi dall’Italia i giornalisti greci, viene richiamato in patria l’addetto militare inviato ad indagare sull’eccidio di Giannina, ed i riservisti ricevono l’ordine di tenersi pronti ad un’eventuale mobilitazione; Vittorio Emanuele III lascia la sua residenza estiva per fare ritorno a Roma.
Anche altri Paesi nella regione prendono le parti dell’uno o dell’altro contendente e si preparano ad un eventuale conflitto: l’Albania rinforza il suo confine con la Grecia e proibisce a chiunque di attraversarlo, mentre la Jugoslavia dichiara che appoggerà la Grecia ed in Turchia la fazione più nazionalista suggerisce a Mustafà Kemal di cogliere l’occasione per riconquistare la Tracia occidentale ai danni della Grecia. La Cecoslovacchia esprime solidarietà alla Grecia e condanna l’iniziativa italiana.
Tra le poche voci contrarie, in Italia, all’occupazione di Corfù vi sono i diplomatici di professione, che ritengono che la spregiudicatezza di Mussolini possa mettere a repentaglio le trattative in corso per la cessione all’Italia, da parte del Regno Unito, dell’Oltregiuba e dell’oasi di Giarabub. Il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Salvatore Contarini, l’ambasciatore italiano in Francia Romano Avezzana ed il delegato italiano presso la Lega delle Nazioni Antonio Salandra (già primo ministro italiano nel 1915) cercano di persuadere Mussolini ad abbandonare le richieste più estreme ed accetti un compromesso.
George Curzon, segretario agli Affari Esteri del Regno Unito, definisce le richieste di Mussolini come eccessive e “molto peggiori dell’ultimatum [imposto alla Serbia dall’Impero Austroungarico] dopo Sarajevo”, e scrive al primo ministro britannico Stanley Baldwin che l’azione di Mussolini è stata “violenta ed ingiustificabile” e che se il Regno Unito non appoggerà l’appello della Grecia presso la Società delle Nazioni, tanto varrebbe per tale istituzione chiudere baracca. Howard William Kennard, temporaneamente a capo dell’ambasciata britannica a Roma, scrive in un dispaccio a Curzon che Mussolini potrebbe essere pazzo, “un miscuglio di megalomania ed estremo patriottismo”, e che potrebbe volutamente esasperare la situazione fino a scatenare una guerra tra Italia e Grecia. In generale, il Foreign Office si mostra orientato a proteggere la Grecia dall’Italia servendosi come tramite della Società delle Nazioni; Curzon propone di affidare la risoluzione della disputa alla Società delle Nazioni, ma Mussolini per tutta risposta minaccia di lasciarla. Inoltre, da parte britannica si ritiene probabile che la Francia porrebbe il veto su qualsiasi tentativo di imporre sanzioni contro l’Italia; per di più, gli Stati Uniti non sono un Paese membro della Società delle Nazioni e non sarebbero vincolati a rispettare eventuali sanzioni contro l’Italia, vanificandole ulteriormente, mentre l’Ammiragliato britannico asserisce che per imporre un blocco navale contro l’Italia dovrebbe prima esserci una dichiarazione di guerra. Il Regno Unito rafforza la Mediterranean Fleet in vista di un possibile scontro con l’Italia, mossa che provoca delle spaccature all’interno del “fronte” italiano: il ministro della Marina Paolo Thaon di Revel, insieme ai vertici della Marina, afferma che è necessario mantenere rapporti di amicizia con il Regno Unito, la cui flotta è troppo superiore a quella italiana per poterla affrontare con successo in un eventuale conflitto. In generale, tutti i ministri militari cercano di dissuadere Mussolini dal tirare troppo la corda, minacciando le dimissioni e paventando un conflitto che vedrebbe l’Italia contrapposta a Grecia, Jugoslavia, Regno Unito e probabilmente anche la Francia (che mentre è stata finora favorevole all’Italia, non lo sarebbe più se al partito antiitaliano dovesse unirsi anche la Jugoslavia, sua protetta).
Il 1° settembre la Grecia si appella alla Società delle Nazioni, ma il rappresentante dell’Italia, Antonio Salandra, spiega al Consiglio della Società delle Nazioni di non essere autorizzato a discutere la questione; Mussolini si rifiuta di collaborare con la Società delle Nazioni ed asserisce invece che la risoluzione della crisi dovrebbe essere affidata alla Conferenza degli Ambasciatori (organo istituito nel 1920 e formato dai rappresentanti di Italia, Francia, Regno Unito e Giappone, con l’incarico di far rispettare i trattati di pace e mediare le contese territoriali tra i Paesi europei), ripetendo che l’Italia lascerebbe la Società delle Nazioni piuttosto che accettarne l’interferenza. Francia e Regno Unito sono divisi: quest’ultimo sarebbe favorevole all’intervento della Società delle Nazioni, mentre la Francia è contraria, temendo che ciò possa costituire un precedente per una successiva interferenza della Società delle Nazioni nell’occupazione francese della Ruhr. Il risultato è che, come vuole Mussolini, la risoluzione della crisi viene affidata alla Conferenza degli Ambasciatori, che l’8 settembre 1923 annuncia le condizioni che le due parti dovranno adempiere per la risoluzione della disputa. Come previsto da Mussolini, la decisione della Conferenza degli Ambasciatori è in massima parte favorevole alle richieste italiane: la flotta greca dovrà salutare con 21 salve la flotta italiana, che allo scopo si recherà al Pireo insieme a navi da guerra francesi e britanniche (che saranno comprese nel saluto); il governo greco presenzierà ad una cerimonia funebre; i greci dovranno rendere gli onori militari alle vittime dell’eccidio di Giannina quando queste verranno imbarcate a Prevesa per il ritorno in Italia; la Grecia dovrà depositare in una banca svizzera 50 milioni di lire a titolo di garanzia; la massima autorità militare greca dovrà porgere le sue scuse ai rappresentanti italiano, francese e britannico ad Atene; la Grecia dovrà condurre un’inchiesta sull’eccidio di Giannina, da condurre sotto la supervisione di un’apposita commissione internazionale (presieduta dal tenente colonnello Shibuya, addetto militare presso l’ambasciata giapponese) e da completare entro il 27 settembre; la Grecia dovrà garantire la sicurezza della commissione d’inchiesta ed assumersene le spese. L’unica richiesta rivolta al governo albanese è di facilitare l’operato della commissione nel proprio territorio. La decisione è accolta favorevolmente dalla stampa italiana e dallo stesso Mussolini, la cui immagine esce rafforzata da questo episodio, mentre viceversa la Società delle Nazioni ha dato in questa occasione i primi segni della cronica debolezza che caratterizzerà tutta la sua travagliata esistenza: non è stata capace di proteggere una potenza minore da una più grande, la sua autorità è stata sminuita da uno dei suoi membri fondatori, nonché membro permanente del suo consiglio. Il regime fascista ha concluso con un successo la sua prima disputa internazionale; la prova di forza da parte dell’Italia dissuaderà inoltre la Grecia dall’insistere ulteriormente per la cessione delle isole del Dodecaneso e, secondo alcuni autori, avrebbe anche indotto la Jugoslavia a riconoscere la sovranità italiana su Fiume con il trattato di Roma, firmato nel 1924.
La Grecia accetta lo stesso 8 settembre le condizioni della Conferenza degli Ambasciatori, mentre l’Italia fa lo stesso due giorni dopo, e non prima di aver precisato che ritirerà le proprie truppe da Corfù soltanto una volta che la Grecia avrà interamente adempiuto alle propri obbligazioni.
L’11 settembre il delegato greco presso la Società delle Nazioni, Nikolaos Politis, informa il consiglio della Conferenza degli Ambasciatori che la Grecia ha depositato i 50 milioni di lire, e quattro giorni dopo la Conferenza informa Mussolini che l’Italia dovrà evacuare Corfù entro il 27 settembre. Il 26 settembre, prima ancora della conclusione dell’inchiesta sull’eccidio, la Conferenza degli Ambasciatori decreta il versamento di un’indennità di 50 milioni di lire (la somma depositata dalla Grecia in una banca svizzera a titolo di garanzia) in favore dell’Italia, perché “le autorità greche sono state colpevoli di una certa negligenza prima e dopo il delitto”. Questa decisione è subita come una sconfitta da parte della Grecia, che ha in questo modo dovuto cedere a pressoché tutte le richieste iniziali di Mussolini. Per aggiungere la beffa al danno, l’Italia chiede anche che la Grecia rimborsi i costi di occupazione di Corfù: un milione di lire al giorno. A questo proposito, la Conferenza degli Ambasciatori stabilisce che l’Italia dovrà rivolgersi ad una Corte di Giustizia Internazionale.
Il 27 settembre, come stabilito, le truppe italiane vengono ritirate da Corfù; la bandiera italiana viene ammainata, salutata dalla flotta italiana e da un cacciatorpediniere greco, e rimpiazzata da quella greca, che viene salutata dalla nave ammiraglia italiana. Le navi italiane rimangono tuttavia a Corfù, avendo ricevuto l’ordine di non lasciare l’isola fino a quando l’Italia non avrà ricevuto i 50 milioni di lire: la somma depositata nella banca svizzera è stata infatti posta a disposizione del Tribunale dell’Aia, e la banca non intende trasferire il denaro a Roma senza l’autorizzazione della Banca Nazionale Greca. La sera dello stesso giorno, tuttavia, quest’ultima dà la sua autorizzazione. Il 30 settembre, dopo che la flotta greca ha tributato gli onori a quella italiana nel porto del Falero, le navi italiane rientrano a Taranto, lasciando sul posto un solo cacciatorpediniere.
Dicembre 1925
Il Giacomo Medici, insieme ai gemelli Giuseppe La Masa, Nicola Fabrizi e Giuseppe La Farina, forma la I Squadriglia Cacciatorpediniere, che insieme alla II Squadriglia (Generale Antonio Cantore, Generale Antonino Cascino, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari, Generale Achille Papa) ed all’esploratore Carlo Mirabello, forma la 1a Flottiglia Cacciatorpediniere della Divisione Siluranti (che comprende anche la 2a e 3a Flottiglia Cacciatorpediniere nonché l’esploratore Quarto, nave ammiraglia).
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera, come tutti i vecchi “tre pipe”, ormai nettamente surclassati per dimensioni ed armamento dalle nuove classi di cacciatorpediniere.
La Medici nel 1930 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
1931-1932
La Medici, unitamente al cacciatorpediniere Alessandro Poerio, viene impiegata per la sperimentazione dei periteri, i primi ecogoniometri prodotti in Italia. Queste esperienze verranno però interrotte, per poi essere riprese soltanto nel 1939.
La Medici, unitamente al cacciatorpediniere Alessandro Poerio, viene impiegata per la sperimentazione dei periteri, i primi ecogoniometri prodotti in Italia. Queste esperienze verranno però interrotte, per poi essere riprese soltanto nel 1939.
1932-1937
Assegnata alla Scuola Comando. L’albero prodiero viene accorciato per consentirle di passare sotto il ponte girevole di Taranto senza doverlo aprire.
Assegnata alla Scuola Comando. L’albero prodiero viene accorciato per consentirle di passare sotto il ponte girevole di Taranto senza doverlo aprire.
La Medici, con l’albero prodiero accorciato, passa sotto il ponte girevole di Taranto diretta in Mar Piccolo nel periodo 1932-1937 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Medici fa parte della VII Squadriglia Torpediniere (avente base a Brindisi, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Basso Adriatico), insieme alle gemelle Angelo Bassini, Nicola Fabrizi ed Enrico Cosenz.
20 agosto 1940
A seguito della creazione del Comando Superiore Traffico Albania (Maritrafalba, al comando del capitano di vascello Romolo Polacchini), attivato il 5 settembre, la Medici viene dislocata a Brindisi e posta alle dipendenze di tale Comando, insieme alle similari Nicola Fabrizi ed Angelo Bassini, alle quasi altrettanto vecchie torpediniere Castelfidardo, Solferino, Palestro e Monzambano, alle più moderne Polluce, Partenope e Pleiadi, ai vetusti cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, agli incrociatori ausiliari RAMB III, Capitano A. Cecchi e Barletta ed alla XIII Squadriglia MAS con i MAS 534, 535, 538 e 539
Dislocata a Brindisi, viene destinata a compiti di scorta ai convogli tra Italia ed Albania, nonché ricerca e caccia antisommergibili sulle stesse rotte.
5 settembre 1940
Prima missione per Maritrafalba: la Medici scorta da Bari a Durazzo, unitamente all’incrociatore ausiliario Barletta ed alla torpediniera Palestro, i trasporti truppe Rossini ed Italia, aventi a bordo 1090 uomini della 49a Divisione Fanteria "Parma" nonché 97 tonnellate di materiali.
6 settembre 1940
Medici e Palestro scortano Italia e Rossini che rientrano vuoti da Durazzo a Bari.
La Medici scorta da Brindisi a Valona il piroscafo Hermada, avente un carico di 140 bovini e 2240 tonnellate di materiali (artiglieria, casermaggio, vestiario ed automezzi).
22 settembre 1940
La Medici viene inviata ad assumere la scorta dei piroscafi Oreste, Premuda e Carlotta, in navigazione da Durazzo a Bari, rimasti senza scorta dopo che alle 18.30 la torpediniera che le stava scortando, la Palestro (tenente di vascello Luigi Risso), è stata silurata ed affondata in posizione 41°19’ N e 18°34’ E (una quarantina di miglia ad ovest di Durazzo) dal sommergibile britannico Osiris (capitano di corvetta John Robert Garstin Harvey).
26 settembre 1940
La Medici, la torpediniera Polluce e l’incrociatore ausiliario RAMB III scortano da Bari a Durazzo Rossini ed Italia, con 1950 uomini e 128 tonnellate di materiali.
28 settembre 1940
La Medici parte da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi Giorgio Bottiglieri, Carmen e Tarquinia e la piccola nave cisterna Abruzzi, tutti adibiti a traffico civile e carichi di merci civili.
Alle 18.39 il Carmen viene scosso dall’esplosione di un’arma subacquea ed affonda nel punto 41°17' N e 19°11' E, a cinque miglia da Durazzo.
La Medici, insieme ad unità inviate sul posto da Durazzo, trae in salvo l’intero equipaggio del Carmen, di cui alcuni superstiti affermeranno che la nave è stata silurata, mentre in realtà ha probabilmente urtato una mina.
1° ottobre 1940
La Medici scorta da Durazzo a Bari la motonave Assiria ed i piroscafi Premuda ed Oreste, scarichi.
4 ottobre 1940
La Medici, insieme alla più moderna torpediniera Pallade ed all’incrociatore ausiliario Capitano Antonio Cecchi, scorta da Bari a Durazzo le motonavi Verdi e Puccini ed il piroscafo Quirinale, con a bordo 2400 militari e 140 tonnellate di rifornimenti.
5 ottobre 1940
Medici e Pallade scortano Verdi, Puccini e Quirinale di ritorno scarichi da Durazzo a Bari.
Maritrafalba viene sciolto.
21 ottobre 1940
Maritrafalba viene ricostituito, di nuovo con la Medici alle sue dipendenze (insieme ai cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, alle torpediniere classe Spica Polluce, Partenope e Pleiadi, alle ben più vecchie torpediniere Palestro, Solferino, Castelfidardo, Monzambano, Angelo Bassini e Nicola Fabrizi, agli incrociatori ausiliari RAMB III, Capitano A. Cecchi e Barletta ed alla XIII Squadriglia MAS con i MAS 534, 535, 538 e 539).
Lo stesso 21 ottobre, alle 4.15, la Medici salpa da Brindisi per scortare a Durazzo le motonavi postali Piero Foscari e Filippo Grimani. Giunta a Durazzo, la torpediniera ne riparte in giornata per rientrare a Brindisi con Foscari e Grimani, arrivandovi alle 17.15.
22 ottobre 1940
La Medici salpa nuovamente da Brindisi alle 4.15 scortando a Durazzo Foscari e Grimani in servizio postale, poi le scorta nella navigazione di ritorno a Brindisi, dove giungono alle 17.20.
La Medici (sulla destra) insieme ad altre “tre pipe”: si riconoscono Angelo Bassini ed Enrico Cosenz (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
A fine ottobre la Medici, insieme alle similari Angelo Bassini e Nicola Fabrizi, alle ben più moderne torpediniere della XII Squadriglia (Altair, Antares, Andromeda, Aretusa), agli anziani cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, ai vecchi incrociatori leggeri Bari e Taranto ed alle navi cisterna e da sbarco Tirso, Sesia e Garigliano, viene assegnata alla neonata Forza Navale Speciale, al comando dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur (con bandiera sul Bari), creata per la prevista operazione di sbarco a Corfù, all’inizio dell’invasione della Grecia. La Forza Navale Speciale ha l’incarico di scortare i convogli con le truppe da sbarco (due dovranno partire da Taranto ed un terzo da Brindisi, più un gruppo di motovelieri anch’esso da Brindisi) e di appoggiare le operazioni di sbarco.
Il piano, allo studio da mesi, prevede che il convoglio da sbarco, formato da Tirso, Sesia, Garigliano e da un’altra motocisterna, l’Adige, nonché da piroscafi e da bragozzi trasformati in mezzi da sbarco, sbarchi all’alba del giorno previsto, in quattro punti dell’isola, la 47a Divisione Fanteria "Bari" ed un battaglione del Reggimento "San Marco" della Marina. La scorta del convoglio è costituita appunto dalla Forza Navale Speciale, con Bari, Taranto, Mirabello, Riboty, le tre vecchie Medici, Bassini e Fabrizi, le quattro unità della XII Squadriglia Torpediniere, una squadriglia di MAS ed il posamine Azio, mentre la IV e VII Divisione Navale, con 7 incrociatori leggeri e 7 cacciatorpediniere, dovranno fornire protezione a distanza (la IV Divisione, dislocata a Valona e posta alle dipendenze dell’ammiraglio Tur, dovrà vigilare e fornire supporto quando necessario nelle acque a nord di Corfù, mentre la VII Divisione, da Brindisi, dovrà incrociare a sudovest di Corfù a protezione contro eventuali sortite da parte di forze navali leggere di superficie). Due squadriglie di torpediniere classe Spica dovranno posare campi minati nei canali delle Isole Ionie, mentre diversi sommergibili saranno inviati in agguato nel Mediterraneo centro-orientale; infine, sono previste ricognizioni aeree sulla Grecia occidentale fino a Corinto, oltre che su Malta ed Alessandria.
Gli ordini d’operazione vengono diramati il 22 (Supermarina, ordine generale di operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più particolareggiato), ed in quest’ultimo giorno viene disposta la sospensione di tutte le partenze dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne che per le navi dipendenti da Maritrafalba; negli ultimi giorni di ottobre, confluiscono a Brindisi la XII Squadriglia Torpediniere (da Augusta), la IX Squadriglia MAS (da Crotone) e gli incrociatori Bari e Taranto (da Taranto), mentre Tirso e Sesia vengono trasferite da Brindisi a Valona. Vengono emanati anche gli ordini per l’impiego della 1a e 2a Squadra Navale (al comando rispettivamente degli ammiragli Inigo Campioni ed Angelo Iachino) per la protezione indiretta dell’operazione (il 29 sarà ordinato all’incrociatore pesante Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra, ed alla I e VII Divisione Navale di tenersi pronti a muovere in due ore). In sostanza, la quasi totalità delle forze navali italiane saranno mobilitate per l’appoggio allo sbarco, la scorta diretta ai mezzi coinvolti e la copertura a distanza, oltre che per la protezione delle linee di comunicazione tra l’Italia e Corfù una volta che l’isola sarà stata occupata; il grosso della 1a e 2a Squadra Navale sarà tenuto pronto a muovere entro tre ore in caso di intervento della flotta britannica.
Lo sbarco è inizialmente pianificato per il 28 ottobre, in contemporanea con l’inizio delle operazioni terrestri contro la Grecia (dovrebbe essere un’azione a sorpresa, da lanciare subito dopo la dichiarazione di guerra), ma il maltempo (mare in tempesta) costringe a rimandare l’operazione dapprima al 30 e poi al 31 ottobre (anche perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione della Grecia dovrebbe avvenire in tempi rapidi, considerano di scarsa utilità un’invasione di Corfù dal mare). Essendo venuto così meno il fattore sorpresa a causa dell’inizio delle ostilità via terra, il piano viene modificato, spostando l’orario degli sbarchi in modo che questi non avvengano più all’alba, ma alla luce del giorno.
Il 31, alle sei di sera, Supermarina dirama l’ordine esecutivo per lo sbarco, da effettuarsi il 2 novembre, ma il 1° novembre questo viene rinviato ancora una volta perché le condizioni meteomarine sono troppo avverse per l’impiego dei motopescherecci che dovrebbero trasportare e sbarcare le truppe sull’isola; nel frattempo la situazione messa in luce dai primi giorni di combattimento in Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento del previsto e si rivelano molto più difficili a causa del maltempo, delle interruzioni nella rete stradale e dell’accanita resistenza greca, induce Mussolini ad annullare l’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione "Bari" in Albania come rinforzo alle truppe che combattono in Epiro. Informata per telefono, Supermarina annulla l’ordine esecutivo; lo sbarco a Corfù non si farà. I mercantili con le truppe ed i materiali destinati alla conquista dell’isola, anziché partire per Corfù, salperanno alla volta di Valona.
28 ottobre 1940
La Medici lascia Brindisi alle 6.35 unitamente al piccolo incrociatore ausiliario Lago Tana, scortando a Valona un convoglio formato dai piroscafi Argentina e Tagliamento e dalla motonave Città di Trapani. Il convoglio arriva a Valona alle 15 dello stesso 28 ottobre, dopo aver eluso, al largo di Brindisi, un attacco (non accertato) da parte del sommergibile greco Papanikolis.
2 novembre 1940
La Medici salpa da Brindisi alle 00.50, insieme alla torpediniera Generale Antonio Cantore, per scortare a Valona un grosso convoglio composto dai trasporti truppe Italia, Città di Savona, Città di Bastia, Città di Agrigento e Città di Trapani, dal piroscafo da carico Capo Vado, dalla motonave Marin Sanudo e dalle cisterne/navi da sbarco Tirso e Sesia, aventi a bordo in tutto 4670 militari della 47a Divisione Fanteria "Bari", 240 quadrupedi, 100 automezzi, 48 motocicli, quattro autocarri, tre carri armati, sedici carri armati leggeri, undici “carrette”, quattro forni, nove autocannoni, due autobarche, 326,5 tonnellate di munizioni, 431 tonnellate di carburante e 325 tonnellate di materiali.
Queste truppe e questi materiali erano in origine destinati al previsto sbarco a Corfù.
Le navi giungono a Valona alle nove del mattino.
4 novembre 1940
Alle 3.49 la Medici salpa da Brindisi per scortare a Durazzo il piroscafo Antonio Locatelli, avente a bordo 80 militari, 142 autoveicoli, 17,3 tonnellate di carburante e quattro tonnellate di altri rifornimenti. Le due navi raggiungono Durazzo alle 17.
6 novembre 1940
La Medici parte da Valona alle tre di notte insieme alla torpediniera Curtatone, di scorta ai trasporti truppe (vuoti) Donizetti, Piemonte, Italia e Quirinale; il convoglio arriva a Bari alle 19.30.
8 novembre 1940
Medici, Curtatone, Capitano Cecchi e la torpediniera Generale Antonio Cantore salpano da Bari alle 23.30 scortando i piroscafi Argentina, Italia e Firenze e la motonave Città di Marsala, che trasportano 3219 militari e 287 tonnellate di materiali.
Il convoglio giunge a Durazzo alle 16.
10 novembre 1940
Alle 16 Medici e Cantore salpano da Durazzo per scortare a Bari Argentina, Italia, Firenze e Città di Marsala, di ritorno scarichi.
11 novembre 1940
Il convoglio giunge a Bari alle 8.10.
13 novembre 1940
Alle 19 la Medici e la torpediniera Generale Marcello Prestinari salpano da Durazzo per scortare a Bari le motonavi scariche Verdi, Puccini e Barbarigo.
14 novembre 1940
Il convoglio raggiunge Bari alle 13.30.
15 novembre 1940
La Medici e la torpediniera Francesco Stocco partono da Bari alle 00.20 scortando a Valona, dove giungono alle 19, i piroscafi Poseidone e Nautilus, adibiti a traffico civile.
17 novembre 1940
Medici e Curtatone partono da Valona alle 7, di scorta alla motonave Maria ed ai piroscafi Sardegna e Tagliamento, tutti scarichi. Il convoglio giunge a Bari alle 18.30, dopo di che Medici e Sardegna proseguirono fino a Brindisi (nel testo di “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” si parla di Bari, ma dev’essere un errore visto che Bari figura già come destinazione del convoglio).
Parte da Bari all’una di notte scortando, insieme alla più moderna torpediniera Andromeda ed all’incrociatore ausiliario Capitano A. Cecchi, i piroscafi Argentina e Sardegna, che trasportando 3084 uomini della 37a Divisione Fanteria "Modena" e 162 tonnellate di materiali al seguito della truppa. Il convoglio arriva a Valona alle 13.
23 novembre 1940
Alle 4.50 la Medici parte da Valona per scortare a Bari Sardegna, Argentina e Piemonte, di ritorno scarichi. Il convoglio giunge a destinazione a mezzanotte.
28 novembre 1940
Salpa da Brindisi alle 6.35 per scortare a Valona, insieme al piccolo incrociatore ausiliario Lago Tana, i piroscafi Argentina e Tagliamento e la motonave Città di Trapani, con a bordo 1809 militari, 7 automezzi, 488 quadrupedi e 592 tonnellate di materiali.
Il convoglio arriva a Valona alle 15.
1940-1942
Lavori di modifica dell’armamento: due dei pezzi Schneider-Armstrong 1917 da 102/45 mm vengono sbarcati, così come i due cannoni Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm, che vengono sostituiti con sei mitragliere singole Breda Mod. 1940 da 20/65 mm. Vengono altresì eliminate le due mitragliatrici singole da 6,5/80 mm e due tubi lanciasiluri da 450 mm, mentre vengono installati due scaricabombe per bombe di profondità.
24 gennaio 1941
Alle 20 la Medici salpa da Bari per scortare a Durazzo la motonave Marin Sanudo ed i piroscafi Zeno e Monstella, aventi a bordo 183 militari, 1286 quadrupedi, 192 automezzi e 78 tonnellate di rifornimenti.
25 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 10.30.
26 gennaio 1941
Alle 3.45 la Medici lascia Durazzo scortando la motonave Puccini, il piroscafo Italia e la cisterna militare Prometeo, di ritorno scariche a Bari, dove arrivaro alle 23.
27 gennaio 1941
La Medici e l’incrociatore ausiliario Barletta partono da Bari alle 19 per scortare a Durazzo le motonavi Città di Savona, Rossini, Puccini e Città di Alessandria, aventi a bordo 3161 uomini e 1726 tonnellate di materiali.
28 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 9.10, poi la Medici rientra a Bari scortando i piroscafi scarichi Luana, Rosandra e Scarpanto.
30 gennaio 1941
La Medici parte da Bari a mezzanotte scortando insieme all’incrociatore ausiliario Barletta un convoglio formato dai piroscafi Città di Tripoli, Titania e Caterina e dalla motonave Donizetti. Il carico del convoglio assomma a 688 quadrupedi e 128 tonnellate di foraggio e materiali, oltre a 1506 militari.
31 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 14.
La Medici riparte già 18.30, scortando la Donizetti ed il piroscafo Casaregis, di ritorno scarichi in Italia.
1° febbraio 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 8.
2 febbraio 1941
Alle 22 la Medici salpa da Bari insieme all’incrociatore ausiliario Città di Genova, per scortare a Durazzo la motonave Verdi ed i piroscafi Milano, Italia e Quirinale, aventi a bordo 3947 militari e 289 tonnellate di rifornimenti.
3 febbraio 1941
Il convoglio giunge la destinazione alle dieci del mattino.
4 febbraio 1941
Alle 8.30 la Medici lascia Durazzo scortando Italia, Quirinale ed il piroscafo Zena, tutti scarichi. Il convoglio giunge a Bari alle 23.35.
5 febbraio 1941
Medici e Barletta partono da Bari alle 23 per scortare a Durazzo le motonavi Città di Bastia, Puccini, Città di Alessandria e Narenta, con 2261 militari, 330,5 tonnellate di provviste e 218 di altri materiali.
Il convoglio giunge a Durazzo alle 13.
9 febbraio 1941
La Medici lascia scarica Durazzo scortando il piroscafo Iseo e le motonavi Verdi e Tergestea, diretti a Brindisi; una volta raggiunta la destinazione, Medici ed Iseo proseguono fino a Bari.
11 febbraio 1941
La Medici lascia Bari alle due di notte scortando i piroscafi Sant’Agata, Tagliamento e Laura C. e la motonave Barbarigo; il carico complessivo dei quattro trasporti ascende a 526 quadrupedi, 242 veicoli e 73 tonnellate di materiali, oltre a 139 uomini. Il convoglio raggiunge Durazzo alle 15.45.
12 febbraio 1941
La Medici lascia Durazzo alle 3.30 per scortare a Bari il piroscafo Città di Tripoli e le motonavi Rossini e Città di Savona, di ritorno scariche in Italia; il convoglio giunge a Bari alle 18.30.
16 febbraio 1941
Alle 6.30 la Medici lascia Brindisi per scortare a Valona i piroscafi Diana, con a bordo 56 militari e 397 quadrupedi, ed Iseo, che ha imbarcato a Bari un carico di materiali vari. Il convoglio raggiunge Valona alle 16.
Alle 13.30 la Medici e l’incrociatore ausiliario Brindisi lasciano Valona scortando la motonave Città di Agrigento ed ai piroscafi Argentina e Monstella (le prime due navi con a bordo feriti, la terza scarica) di ritorno a Brindisi. Qui il convoglio giunge alle 22.35.
20 febbraio 1941
Salpa da Bari alle 18.40, insieme all’incrociatore ausiliario Brioni, per scortare a Durazzo le motonavi Città di Bastia e Puccini ed i piroscafi Città di Tripoli e Goffredo Mameli, aventi a bordo 1965 uomini, 4181 tonnellate di viveri e 108 di altri rifornimenti.
21 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 10.10.
24 febbraio 1941
Alle 9 la Medici lascia Durazzo scortando i piroscafi scarichi Zena, Sagitta e Rosandra, coi quali giunge a Bari alle 23.30.
26 febbraio 1941
Parte da Bari alle 18 scortando i piroscafi Caterina, Sant’Agata, Tagliamento e Contarini, diretti a Durazzo con a bordo in tutto 145 militari, 1131 quadrupedi, 6,5 tonnellate di foraggio e 1907 tonnellate di altri rifornimenti.
27 febbraio 1941
Il convoglio arriva a destinazione alle 10.45.
1° marzo 1941
Alle 17.50 la Medici riparte da Durazzo scortando il Tagliamento e le motonavi Birmania e Tergestea, di ritorno scariche in Italia.
2 marzo 1941
Il convoglio arriva a Bari alle 7.30.
3 marzo 1941
Medici e Brioni partono da Bari a mezzanotte scortando il piroscafo Italia e le motonavi Riv, Città di Alessandria e Città di Savona, con a bordo 2478 militari, 136 autoveicoli e 310 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio raggiunge Durazzo alle 14.
Alle 00.30 la Medici lascia Durazzo per scortare a Bari i piroscafi Aventino e Milano, scarichi, e la motonave Rossini, avente a bordo 235 feriti lievi. Il convoglio giunge a Bari alle 20.50.
6 marzo 1941
Alle 00.30 la Medici ed il Capitano Cecchi salpano da Bari per scortare a Durazzo, dove giungono alle 11.40, i piroscafi Aventino e Milano e le motonavi Rossini e Narenta, aventi a bordo 3171 uomini, 137 quadrupedi, 239 tonnellate di provviste e 248 di altri rifornimenti.
8 marzo 1941
La Medici parte da Durazzo alle 6.20 scortando Milano, Rossini e Barbarigo, di ritorno scariche, raggiungendo Bari alle 17.15.
19 marzo 1941
Alle 3.25 la Medici e l’incrociatore ausiliario Francesco Morosini salpano da Brindisi per scortare a Valona le motonavi Città di Agrigento e Città di Marsala, aventi a bordo 1337 militari e 19 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio giunge a destinazione alle 13.
Alle 19.30 la Medici riparte da Valona scortando Città di Agrigento e Città di Marsala di ritorno vuote.
20 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Brindisi alle 4.20.
Alle 6.10 la Medici lascia Brindisi insieme alla più moderna torpediniera Altair, scortando i piroscafi Piemonte, Argentina e Diana, con a bordo 3869 uomini e 612 tonnellate tra materiali al seguito della truppa ed altri rifornimenti. Il convoglio raggiunge Valona alle 12.15.
Alle 20 la Medici riparte da Valona scortando Piemonte ed Argentina di ritorno scarichi.
21 marzo 1941
Medici, Piemonte ed Argentina arrivano a Brindisi alle tre di notte.
Alle 5.10 la Medici parte da Brindisi scortando i piroscafi Nuraghe, Miseno e Contarini e la motonave Carlotta, aventi a bordo 426 tonnellate di gasolio, 500 di foraggio, 830 di carburante e 1788 di altri materiali. Il convoglio giunge a Durazzo alle 16.45.
23 marzo 1941
La Medici lascia Durazzo alle 17 per scortare a Bari i piroscafi scarichi Pontinia, Esterina e Carmela.
24 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 15.30.
25 marzo 1941
Alle 20 Medici e Brioni salpano da Bari scortando Italia, Rossini e Quirinale, con a bordo 3107 militari e 630 tonnellate di materiali.
26 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle otto.
Alle 21.45 la Medici riparte da Durazzo scortando Italia, Quirinale e Barbarigo, di ritorno scarichi.
27 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Bari alle 9.
La Medici e l’incrociatore ausiliario Brindisi ripartono poi da Bari per Durazzo alle 19, scortando le motonavi Donizetti, Città di Trapani e Città di Savona ed il piroscafo Città di Tripoli, aventi a bordo 2717 uomini e 380 tonnellate di rifornimenti.
28 marzo 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 9.
Alle 20 la Medici riparte da Durazzo scortando il Città di Tripoli, che trasporta 195 feriti leggeri, ed i piroscafi scarichi Zena, Istria e Triton Maris.
29 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 11.45.
30 marzo 1941
Alle 21.30 Medici e Brindisi salpano da Bari per scortare a Durazzo il piroscafo Monstella e la motonave Riv, aventi a bordo 99 militari, 687 quadrupedi, 122 autoveicoli e 922 tonnellate di rifornimenti.
31 marzo 1941
Il convoglio arriva a Durazzo alle 15.15.
2 aprile 1941
Alle 3.30 la Medici lascia Durazzo per scortare a Bari i piroscafi Aventino (adibito a servizio postale) e Campidoglio (scarico). Le tre navi giungono a Bari alle 18.
3 aprile 1941
La Medici lascia Bari all’1.30 di scorta ai piroscafi Diana, Luana e Tagliamento, diretti a Durazzo con 73 uomini, 432 quadrupedi, 94 veicoli e 964 tonnellate di rifornimenti. Il convoglio arriva in porto alle 14.45.
4 aprile 1941
La Medici lascia Durazzo all’una di notte scortando la Donizetti ed i piroscafi Perla e Bolsena, tutti scarichi, coi quali arriva a Bari alle 16.40.
6 aprile 1941
Medici e Barletta salpano da Bari a mezzanotte per scortare a Durazzo Città di Agrigento e Città di Trapani, cariche di 1265 militari, tre autoveicoli e 15 tonnellate di rifornimenti. Qui il convoglio giunge alle 16.30.
7 aprile 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 7.
8 aprile 1941
Alle due di notte la Medici parte da Brindisi per scortare a Valona i piroscafi Aprilia ed Ascianghi, con a bordo 514,5 tonnellate di fieno ed avena e 78 di carne congelata; le navi giungono a destinazione alle 14.30.
9 aprile 1941
Alle 8.15 la Medici lascia Valona per scortare a Brindisi i piroscafi scarichi Leonardo Palomba, Pontinia, Dormio e Tripolino; qui le navi giungono alle 19.30.
19 aprile 1941
A Brindisi la Medici rileva l’incrociatore ausiliario Brioni nella scorta ad un convoglio partito da Bari alle 22.30 e formato dalla motonave Tergestea e dai piroscafi Vesta, Sagitta ed Iseo, aventi a bordo in tutto 101 veicoli, 2422 tonnellate di munizioni, 1480 tonnellate di viveri e 5546 tonnellate di altri rifornimenti, oltre a nove uomini.
20 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Durazzo alle 15.20.
22 aprile 1941
Alle 00.30 la Medici lascia Durazzo per scortare a Bari i piroscafi scarichi Carmela, Anna Martini e Loreto, raggiungendo Bari alle 19.
26 aprile 1941
Medici e Brindisi salpano da Bari alle 21 scortando la Donizetti, il piroscafo Aventino e la motonave Narenta, che trasportano 1136 soldati e 1365 tonnellate di rifornimenti.
Il convoglio arriva a Durazzo alle 9.
29 aprile 1941
Alle 5 la Medici ed il cacciatorpediniere Carlo Mirabello lasciano Durazzo scortando Donizetti, Aventino e Narenta (scariche) ed il piroscafo postale Campidoglio. Quest’ultimo si separa successivamente per raggiungere Brindisi, mentre il resto del convoglio prosegue fino a Bari, dove giunge alle 19.15.
30 aprile 1941
La Medici salpa da Bari alle 18 per scortare a Durazzo i piroscafi Zena e Silvano.
1° maggio 1941
Il convoglietto raggiunge Durazzo alle 12.20.
Medici e Brindisi partono da Bari alle 21 scortando Donizetti, Città di Tripoli ed il piroscafo Laura C., aventi a bordo 733 militari e 2100 tonnellate di rifornimenti.
Il convoglio arriva a Durazzo alle 11.30.
La Medici ed il Brindisi ripartono subito da Durazzo scortando un convoglio partito alle 11 e composto dal piroscafo Milano e dalla motonave Città di Marsala, di ritorno a Bari con 2000 soldati e materiali vari. Il convoglio raggiunge Bari a mezzanotte.
4 maggio 1941
Medici e Brindisi lasciano Bari scortando i piroscafi Aventino, Milano, Italia e Quirinale, diretti a Durazzo con 3520 soldati ed un carico di materiali.
Il convoglio giunge a Durazzo alle 10.30.
6 maggio 1941
Medici e Brindisi ripartono da Durazzo scortando gli stessi mercantili dell’andata, ora di ritorno con 6528 militari rimpatrianti e materiali vari. Il convoglio giunge a Bari alle 15.30.
La Medici parte da Bari scortando la motonave Narenta, carica di materiali; le due navi fanno scalo a Brindisi, dove si unisce ad esse il piroscafo postale Campidoglio, e poi proseguono per Durazzo.
8 maggio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 11.30.
9 maggio 1941
La Medici lascia Durazzo alle 5.30 scortando il Campidoglio (ancora in servizio postale), col quale arriva a Brindisi alle 13.
11 maggio 1941
La Medici salpa da Brindisi alle tre di notte insieme all'incrociatore ausiliario Zara, di scorta al piroscafo Francesco Crispi carico di truppe e rifornimenti. Le tre navi raggiungono Valona alle 9.
13 maggio 1941
Medici e Zara lasciano Valona alle 14.45 scortando sempre il Crispi, con a bordo 700 prigionieri; il convoglietto raggiunge Brindisi alle 20.30.
All’1.30 la Medici lascia Brindisi alla volta di Valona, scortando la motonave Città di Agrigento ed il piroscafo Poseidone, carichi di truppe e rifornimenti.
Il convoglietto raggiunge Valona alle 9.15.
18 maggio 1941
Medici e Zara lasciano Valona alle 3.30 per scortare a Bari Aventino, Puccini, Milano ed Italia, aventi a bordo 3900 soldati ed un carico di automezzi e materiali. Il convoglio raggiunge Bari alle 18.
Medici e Brioni scortano da Durazzo a Bari le motonavi Città di Marsala e Città di Bastia.
Lascia Valona insieme all’incrociatore ausiliario Zara, per scortare in Italia i piroscafi Città di Tripoli, Francesco Crispi e Galilea. Lo Zara si ferma poi a Brindisi, mentre le altre navi proseguono fino a Bari sotto la scorta della Medici.
10 giugno 1941
La Medici scorta da Bari a Durazzo i piroscafi Caterina ed Istria e la motonave Marin Sanudo, carichi di truppe e materiali.
15 giugno 1941
Medici e Brindisi scortano da Bari a Durazzo Città di Marsala ed Italia, con truppe e rifornimenti.
Medici e Brindisi scortano Città di Marsala ed Italia, con truppe e materiali, da Durazzo a Bari.
Medici e Zara scortano da Valona a Brindisi il piroscafo Argentina e la motonave Viminale, carichi di materiale militare.
Medici e Brioni scortano Città di Tripoli e Città di Alessandria, cariche di truppe e materiali, da Bari a Missolungi, con scalo intermedio a Brindisi.
La Medici e l’incrociatore ausiliario Olbia scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Crispi e Galilea con personale e materiale militare.
30 giugno 1941
Medici e Zara scortano da Bari a Durazzo Rossini, Aventino, Italia e Quirinale, aventi a bordo truppe, personale e materiali delle forze armate.
Medici e Zara scortano Rossini, Aventino, Italia e Quirinale da Durazzo a Bari con 4290 militari ed un carico di materiali; lo stesso giorno la Medici scorta poi i piroscafi tedeschi Castellon, Procida e Trapani, carichi di personale e materiale della Wehrmacht, da Patrasso a Taranto.
La Medici scorta da Brindisi a Valona la motonave Viminale ed il piroscafo Argentina, con a bordo personale del Regio Esercito e della Regia Marina diretto in varie destinazioni.
8 luglio 1941
La Medici scorta Argentina e Viminale da Valona a Brindisi.
9 luglio 1941
Scorta da Brindisi a Durazzo il piroscafo Rosandra, carico di personale e materiale militare.
10 luglio 1941
Medici e Zara scortano da Durazzo a Bari Città di Marsala, Milano, Aventino e Rosandra con 3580 militari e 1400 operai militarizzati che rimpatriano.
La Medici scorta da Brindisi a Valona Argentina e Viminale, carichi di personale del Regio Esercito e della Regia Marina.
12 luglio 1941
Medici e Barletta scortano da Valona a Brindisi Puccini, Argentina e Viminale con 2610 militari rimpatrianti.
Medici e Barletta scortano da Bari a Durazzo Aventino e Rosandra, con a bordo personale militare diretto in destinazioni varie.
Medici e Barletta scortarono da Durazzo a Bari, con scalo intermedio a Brindisi, Aventino e Rosandra, carichi di truppe rimpatrianti.
Il marinaio silurista Andrea Basso della Medici, 22 anni, da Torino, muore in territorio metropolitano.
19 luglio 1941
Medici, Stocco e l’incrociatore ausiliario Zara scortano da Durazzo a Cattaro i piroscafi Italia, Aventino e Milano e la motonave Città di Marsala, carichi di truppe e materiali.
Medici e Barletta scortano da Durazzo a Cattaro Rossini, Puccini e Quirinale con truppe e rifornimenti.
Medici e Barletta scortano Puccini, Città di Marsala, Italia e Quirinale da Cattaro a Durazzo.
Medici e Barletta scortano Città di Marsala, Aventino e Milano da Durazzo a Cattaro.
Medici e Brindisi scortano da Durazzo a Brindisi il Rosandra, con a bordo 1420 militari rimpatrianti.
La Medici scorta da Brindisi a Patrasso la motonave Calitea, diretta a Rodi con 600 militari e 230 tonnellate di rifornimenti per le guarnigioni delle isole dell’Egeo.
30 luglio 1941
La Medici e l’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Italia ed Aventino (quest’ultimo diretto a Rodi), con a bordo personale del Regio Esercito diretto a varie destinazioni.
4 agosto 1941
La Medici scorta da Patrasso a Brindisi la motonave Calitea.
9 agosto 1941
Medici e Brindisi scortano da Durazzo a Bari la motonave Città di Marsala ed il piroscafo Quirinale con 1500 militari rimpatrianti.
Medici e Brindisi scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Milano e Maria, con a bordo truppe, veicoli, rimorchi ed altri materiali delle forze armate.
Medici e Brindisi scortano da Durazzo a Bari i piroscafi Milano e Rosandra con a bordo 1500 militari rimpatrianti ed un carico di automezzi ed altri materiali.
La Medici scorta il piroscafo Lido da Bari a Porto Edda.
23 agosto 1941
Medici e Brindisi scortano da Durazzo a Bari il Quirinale e le motonavi Città di Alessandria e Città di Bastia con 2400 militari rimpatrianti.
La Medici rileva la torpediniera Climene nella scorta all’incrociatore ausiliario RAMB III, in navigazione da Bengasi (da dov’è partito alle 16 del 20) a Brindisi a marcia indietro.
Silurato dal sommergibile britannico Triumph mentre si trovava alla fonda a Bengasi, il RAMB III è privo della prua: compie pertanto tutto il tragitto, 597 miglia nautiche, a marcia indietro, assistito dal rimorchiatore Salvatore Primo. Lo strano convoglio giungerà a Brindisi alle 9.45 del 25 agosto.
26 agosto 1941
Medici e Deffenu scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Argentina, Aventino e Quirinale, con truppe rimpatrianti, automezzi e materiali vari.
La Medici scorta il piroscafo Alfredo Oriani, carico di truppe, da Calamata a Patrasso.
Nel pomeriggio dello stesso 30 agosto la Medici viene inviata in soccorso dei naufraghi della motonave Cilicia, affondata dal sommergibile britannico Rorqual due giorni prima a sudovest del Peloponneso (a 40 miglia da Capo Gallo, nella Morea). La Medici recupera da tre zattere 20 naufraghi, che porta a Kalamata; il resto dell’equipaggio raggiungerà Capo Methoni con una scialuppa, ad eccezione di cinque uomini, affondati con la nave.
(da un saggio di Francesco Mattesini su www.academia.edu) |
Medici e Barletta scortano da Patrasso a Brindisi i piroscafi Quirinale e Galilea e la motonave Viminale, con truppe rimpatrianti.
Medici e Brindisi scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Italia, Rosandra ed Aventino, con truppe e rifornimenti.
Medici e Brindisi scortano le stesse tre navi da Durazzo a Bari, con 2470 militari rimpatrianti.
La Medici scorta il piroscafo Gala da Taranto a Prevesa.
29 settembre 1941
Medici e Brindisi scortano da Durazzo a Bari Italia e Rosandra, con 2600 militari rimpatrianti.
La Medici e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo Italia, Milano e Rosandra, con personale militare diretto a varie destinazioni.
7 ottobre 1941
Medici ed Arborea scortano gli stessi tre piroscafi che rientrano da Durazzo a Bari trasportando la 7a Divisione Fanteria "Lupi di Toscana".
La Medici scorta da Brindisi a Valona la motonave Città di Trapani, carica di munizioni ed altri materiali.
16 ottobre 1941
La Medici scorta la Donizetti (carica di truppe rimpatrianti) e la nave cisterna Devoli da Valona a Brindisi.
19 ottobre 1941
Medici e Zara scortano da Bari a Durazzo Aventino, Italia, Milano e Rosandra, con truppe e personale della Regia Marina e della Regia Aeronautica.
Medici e Zara scortano le stesse quattro navi di ritorno da Durazzo a Bari con 4400 militari rimpatrianti oltre ad automezzi, rimorchi ed altri materiali.
Medici e Zara scortano da Bari a Durazzo Aventino, Italia e Rosandra, con a bordo truppe e rifornimenti.
Medici e Zara scortarono Aventino, Italia, Milano e Rosandra con 3400 militari rimpatrianti da Durazzo a Bari.
Medici e Zara scortano Aventino, Galilea, Italia e Rosandra con truppe e rifornimenti da Bari a Durazzo.
Medici e Zara scortarono da Durazzo a Bari i piroscafi Italia, Milano, Piemonte e Rosandra, con 5400 militari rimpatrianti.
Particolare della Medici nel 1942, con colorazione mimetica (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
La Medici, la gemella Angelo Bassini, il cacciatorpediniere Euro e l’incrociatore ausiliario Brioni salpano da Bari per scortare a Durazzo i piroscafi Aventino, Italia, Titania ed Ogaden. Bassini ed Aventino entrano in collisione e devono rientrare a Bari; il resto del convoglio, invece, giunge regolarmente a destinazione.
9 aprile 1942
Medici e Brioni scortano da Durazzo a Bari l'Italia, carico di truppe rimpatrianti.
La Medici scorta da Bari a Valona la nave cisterna Dora C.
26 aprile 1942
La Medici e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo il piroscafo Monstella, carico di personale militare e materiali.
7 maggio 1942
La Medici, la torpediniera Francesco Stocco e l’incrociatore ausiliario Lorenzo Marcello scortano da Bari a Zante la motonave Donizetti ed il piroscafo Quirinale, carichi di truppe e rifornimenti; nell’isola greca i due mercantili imbarcano truppe rimpatrianti che poi riportano a Bari, sempre sotto la scorta di Medici, Stocco e Marcello.
10 maggio 1942
Medici ed Arborea scortano i piroscafi Probitas, Diocleziano ed Ezilda Croce da Brindisi a Patrasso.
Medici ed Arborea scortano Rosario, Balkan ed Alba Julia da Patrasso a Brindisi.
La Medici scorta la Dora C. da Bari a Valona.
20 maggio 1942
Medici e Brioni scortano da Bari a Durazzo Italia ed Aventino, carichi di truppe e rifornimenti.
Medici ed Arborea scortano da Durazzo a Bari Italia e Rosandra, con truppe rimpatrianti.
La Medici, la torpediniera Generale Antonino Cascino e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano i piroscafi Italia, Rosandra e Chisone con truppe e rifornimenti da Bari a Durazzo.
8 giugno 1942
Medici, Cascino e Brioni scortano il Rosandra e l’Aventino carichi di truppe e materiali da Bari a Durazzo.
Medici e Brioni scortano l’Aventino con truppe e rifornimenti da Bari a Durazzo; poi la Medici lascia Durazzo insieme all’incrociatore ausiliario Lorenzo Marcello, scortando a Bari il piroscafo Milano, carico di truppe rimpatrianti.
Scorta la motonave Calino (diretta a Rodi) da Bari a Patrasso.
20 luglio 1942
Medici e Brioni scortano da Durazzo a Bari il Quirinale, carico di truppe rimpatrianti.
La Medici, l’incrociatore ausiliario Zara ed il cacciatorpediniere Sebenico scortano Donizetti e Quirinale da Bari a Durazzo.
18 agosto 1942
La Medici scorta i piroscafi Brundisium, Goggiam e Dielpi, carichi di materiali, da Brindisi a Patrasso.
3 settembre 1942
La Medici ed il cacciatorpediniere tedesco Hermes (caposcorta) partono da Tobruk alle 19.30 per scortare a Suda la nave cisterna Giorgio.
5 settembre 1942
Alle 21.40 il sommergibile britannico Traveller (tenente di vascello Michael Beauchamp St. John) avvista in posizione 33°17’ N e 21°59’ E (una cinquantina di miglia a nordovest di Derna) un mercantile di 3000 tonnellate, apparentemente in zavorra, scortato da due cacciatorpediniere, ai quarti di prua. Si tratta probabilmente di Giorgio, Medici ed Hermes. Il sommergibile manovra per attaccare, ed alle 21.47 lancia due siluri da 1830 metri, per poi scendere in profondità. Le armi non vanno a segno, e l’attacco non viene neanche notato.
6 settembre 1942
Il convoglietto raggiunge Suda alle cinque del mattino; da qui la Giorgio proseguirà per il Pireo.
12 settembre 1942
La Medici scorta i piroscafi Dubac e Tagliamento da Brindisi a Patrasso.
16 settembre 1942
La Medici scorta la nave cisterna Giorgio ed il piroscafo Goffredo Mameli da Prevesa a Brindisi, con scalo intermedio a Taranto.
28 settembre 1942
Scorta il piroscafo Dandolo da Gallipoli a Patrasso.
7 ottobre 1942
La Medici (tenente di vascello di complemento Antonio Furlan) e la più moderna torpediniera Castore (tenente di vascello Gaspare Tezel, caposcorta) salpano da Susa alle 00.07 per scortare a Tobruk il piroscafo Dandolo.
La scorta aerea rimane nel cielo del convoglio fino al tramonto. Poco dopo le 21.30 vengono avvistati i primi bengala, molto vicini, ed alle 23.47 lo scafo del Dandolo è scosso da due esplosioni: il suo comandante, credendo che la nave sia stata colpita, dà ordine all’equipaggio di tenersi pronto ad abbandonare la nave. L’equipaggio interpreta tuttavia questa disposizione come l’ordine di abbandonare la nave: ammaina quindi le scialuppe ed inizia a salirvi, costringendo il comandante a fermare le macchine per evitare che le imbarcazioni si rovescino. Il Dandolo rimane così fermo, un bersaglio perfetto per gli aerosiluranti in avvicinamento.
8 ottobre 1942
Prima che la Castore sia riuscita a rimandare sul Dandolo gli uomini che se ne sono allontanati sulle lance, alle 00.45 il piroscafo viene colpito a poppa da un siluro lanciato da aerei della RAF al largo di Ras el Tin.
La Medici tenta di rimorchiare il piroscafo danneggiato, ed alle 5.40 viene raggiunta dal cacciatorpediniere Saetta e dalla torpediniera Antares, dirottati sul posto per fornire assistenza. Ogni sforzo è vano: alle 6.36 il Dandolo affonda a 60 miglia per 21° da Ras el Tin, alla Medici ed alle altre siluranti non rimane che recuperarne l’equipaggio (non ci sono vittime) e dirigere su Tobruk, dove giungeranno nel pomeriggio.
La Medici (a sinistra) e la similare Generale Antonino Cascino nel 1942-1943 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
14 ottobre 1942
Alle 6.40 (o 7) la Medici (tenente di vascello Antonio Furlan) salpa da Tripoli per scortare a Bengasi il piroscafo tedesco Trapani. Le due navi seguono la costa libica, con una scorta aerea formata da due caccia Macchi che girano sul loro cielo; il mattino stesso il convoglietto viene avvistato al largo della costa della Tripolitania da un Supermarine Spitfire da ricognizione fotografica, decollato da Luqa (Malta) e pilotato dal maggiore Adrian Warburton, comandante del 69th Squadron della Royal Air Force. Warburton segnala la posizione delle due navi a Malta, e da Luqa decollano per attaccarle tre cacciabombardieri Bristol Beaufighter del 227th Squadron RAF, armati con bombe da 300 libbre (136 kg) e guidati dal maggiore Peter L. Underwood. Questi, già maggiore a soli 22 anni, è considerato un pilota esperto e capace ed è stato insignito della Distinguished Flying Cross appena pochi giorni prima.
Quando i tre Beaufighter raggiungono la loro preda, alle 12.40 (12.37 secondo le fonti italiane; 12.30 per altra fonte), trovano tuttavia ad attenderli una scorta aerea di sei caccia italiani Macchi Mc 200: questi ingaggiano gli attaccanti ed a quattro miglia dal convoglio ne abbattono uno (“Y for Yorker” pilotato dal tenente John Magarey Bryce, navigatore sergente maggiore S. W. Cole; colpito ai motori e caduto in mare). Un secondo Beaufighter (il “Q for Queen”), quello del maggiore Underwood, viene centrato dal tiro contraereo della Medici e si schianta contro l’albero del Trapani per poi precipitare in mare uccidendo il suo equipaggio, composto da Underwood e dal sergente mitragliere Ivor L. Miller (per altra fonte, entrambi gli aerei sarebbero stati abbattuti dal tiro della Medici). L’unico Beaufighter superstite (aereo “H for Hotel”, tenente Tom Freer) effettua due attacchi contro il Trapani, nel primo dei quali le bombe non si sganciano, mentre nel secondo si sganciano ma mancano il bersaglio (cadendo troppo lunghe, al di là del piroscafo); viene anch’esso colpito, subendo seri danni, anche se riesce a rientrare a Malta. Nell’atterraggio a Luqa, a causa dei danni causati dal tiro contraereo all’impianto idraulico, rimane gravemente danneggiato, con il ferimento del navigatore.
Ciò secondo un saggio di Francesco Mattesini; secondo il libro “Ladies of Lascaris” di Paul McDonald, i tre Beaufighter attaccarono il Trapani volando a bassa quota, in un attacco coordinato, venendo accolti da violento e preciso fuoco contraereo. L’aereo di Underwood e Miller fu il primo ad essere abbattuto: dopo aver mitragliato il Trapani con i suoi cannoncini, non riuscì a sganciare le bombe ed esplose a mezz’aria subito dopo aver superato il piroscafo, precipitando in mare in una palla di fuoco. La morte del caposquadriglia scoraggiò forse gli altri due Beaufighter, dei quali quello del tenente Bryce mitragliò a sua volta il Trapani con i cannoncini e sganciò le sue bombe che tuttavia caddero troppo lunghe, al di là del bersaglio, per poi allontanarsi verso nordovest lasciando dietro di sé una scia di fumo; mentre quello del tenente Freer mitragliò anch’esso il piroscafo con i cannoncini ma lo superò senza sganciare le bombe, indi effettuò un secondo passaggio in cui sganciò le bombe, che tuttavia caddero troppo corte, al di qua del bersaglio. Poi si allontanò a tutta velocità verso dritta. Warburton seguì l’aereo di Bryce mentre questo, lasciandosi dietro una scia di fumo sempre più fitta, perdeva progressivamente quota ed era infine costretto ad ammarare; i due membri dell’equipaggio riuscirono a gonfiare il battellino di salvataggio ed a salirvi prima che l’aereo s’inabissasse.
Il comandante Furlan della Medici descriverà così l’accaduto nel suo rapporto: «Il primo bombardiere [quello di Underwood] tenta l’attraversamento del piroscafo da sinistra a destra, ma troppo basso, e probabilmente colpito da qualche proietto di mitragliera urta contro l’antenna radio dell’albero di poppa e precipita in mare sulla dritta esplodendo. Il secondo apparecchio [quello di Bryce] tenta la stessa manovra sul lato opposto, ma accortosi di essere troppo basso tenta di largarsi dal lato di provenienza, lancia due bombe che non esplodono sul lato dritto, mitragliando contemporaneamente. Inquadrato dai tiri delle mitragliere del Trapani e della Medici – cosa abbastanza facile data la vicinanza, 300 metri – colpito ai motori perde quota nell’allontanarsi e si vede precipitare in mare. Il terzo apparecchio [quello di Freer] desiste dall’attacco, ma scorto dalla caccia aerea di protezione viene inseguito e abbattuto [in realtà, riuscì ad allontanarsi seppure danneggiato]… Dirigo verso la posizione dov’è precipitato in mare il secondo apparecchio, posizione segnalatami con picchiata dal secondo caccia di scorta. Scorgo un battello pneumatico e ricupero l’equipaggio composto da un ufficiale e da un sergente».
In realtà l’aereo che ha guidato la Medici fino al battellino con a bordo i due avieri non è uno dei caccia della scorta, bensì lo Spitfire da ricognizione del maggiore Warburton: rimasto nei pressi per scattare fotografie dell’attacco, questi ha assistito al disastroso attacco, venendo attaccato a sua volta dai caccia italiani; avvistato il gommone con a bordo Bryce e Cole, ha deciso di tentare di guidare sul posto la Medici, in modo che questa soccorra i due avieri. Vola dunque con il suo aereo fin sul cielo della Medici e compie tre giri in cerchio attorno alla torpediniera, senza attaccarla ed agitando le ali in modo da attirarne l’attenzione; poi si allontana verso nordovest, verso il gommone, sperando che la nave italiana lo segua, per poi compiere altri tre giri sulla verticale del battellino, a quota un po’ più alta (in modo da restare in vista della torpediniera). La Medici, tuttavia, prosegue imperterrita per la sua rotta insieme al Trapani; Warburton torna allora indietro e compie altri tre giri attorno alla torpediniera, zigzagando e cambiando quota per richiamarne l’attenzione, dopo di che punta nuovamente sul gommone. Stavolta la Medici decide di seguirlo; guidata dallo Spitfire di Warburton (che compie un ultimo passaggio a bassa quota sul battellino, agitando le ali e venendo salutato dai suoi occupanti) la torpediniera raggiunge il gommone e trae in salvo Bryce e Cole, facendoli prigionieri. Warburton, trattenutosi sul posto per sincerarsi che la nave italiana recuperi i due avieri, viene attaccato da sei caccia Macchi decollati da Homs; grazie alla superiore velocità del suo Spitfire da ricognizione, tuttavia, riesce a seminare i suoi inseguitori e rientrare a Malta indenne (per il sangue freddo mostrato in quest’azione, Warburton avrebbe ricevuto poche settimane dopo una Distinguished Flying Cross). (Secondo il citato “Ladies of Lascari” di Paul McDonald, durante il primo tentativo di Warburton di attirare l’attenzione della Medici questa avrebbe continuato a sparare contro lo Spitfire, costringendo Warburton a manovrare e cambiare continuamente quota per evitare di essere colpito; inoltre, McDonald scrive che i caccia che attaccarono Warburton dopo il salvataggio di Bryce e Cole sarebbero stati chiamati sul posto dal comandante della Medici. Entrambe queste notizie sembrano essere errate, dal momento che stando al suo rapporto il comandante Furlan scambiò lo Spitfire di Warburton per uno dei caccia italiani della scorta).
Alle 23.30 (o verso mezzanotte) una serie di bengala si accende nelle vicinanze del convoglio, ch si trova in quel momento 45 miglia a nord di Misurata.
15 ottobre 1942
Alle 00.36 il Trapani viene attaccato da alcuni bombardieri, di nuovo senza subire alcun danno.
Alle 16 Medici e Trapani entrano a Bengasi (per altra versione, ci sarebbero arrivati alle 16 del 16 ottobre).
18 ottobre 1942
Alle 17 la Medici (caposcorta) lascia Bengasi per scortare il Trapani a Tobruk, insieme ai motodragamine tedeschi R 12 e R 13.
20 ottobre 1942
Il convoglietto giunge a Tobruk a mezzogiorno.
21 ottobre 1942
La Medici salpa da Tobruk alle 16 per scortare a Bengasi, insieme alla cannoniera-cacciasommergibili Oriole, i piroscafi Ostia (tedesco) e Tripolino (italiano). La Medici è caposcorta del piccolo convoglio.
23 ottobre 1942
Il convoglio giunge a Bengasi a mezzogiorno.
La Medici ne riparte subito assumendo la scorta del piroscafo Salona, partito da Bengasi alle sei del mattino e diretto a Tripoli.
26 ottobre 1942
Medici e Salona giungono a Tripoli alle 16.40.
30 ottobre 1942
La Medici salpa da Tripoli alle quattro del mattino, scortando il piroscafo Sportivo, diretto a Bengasi.
1° novembre 1942
Medici e Sportivo giungono a Bengasi alle 14.30.
10 novembre 1942
La Medici lascia Tripoli alle 18.15 di scorta al piroscafo Volta, diretto a Bengasi.
13 novembre 1942
Medici e Volta giungono a Bengasi alle 9.
Alle 17 la Medici riparte da Bengasi scortando il
piroscafo Emilio Morandi, diretto a
Tripoli.
16 novembre 1942
Medici e Morandi arrivano a Tripoli alle 00.30.
25 novembre 1942
Alle 21 la Medici e la moderna torpediniera di scorta Animoso (caposcorta) partono da Tripoli per scortare a Trapani l’incrociatore ausiliario Brindisi. Durante il tragitto il convoglietto sosta brevemente a Sfax e Susa.
26 novembre 1942
All’1.12 il sommergibile britannico P 44 (poi United, tenente di vascello Thomas Erasmus Barlow) avvista il Brindisi e le due torpediniere a 6 miglia di distanza, su rilevamento 105°, in posizione 33°24’ N e 12°33’ E (una cinquantina di miglia a nordovest di Tripoli); all’1.25 identifica le tre navi come un mercantile di medie dimensioni e due torpediniere, e ne stima la rotta in 315° e la distanza in 2,5 miglia, iniziando a manovrare per avvicinarsi alla massima velocità.
All’1.50 il P 44 lancia due siluri da 4600 metri di distanza, ma le armi non vanno a segno (una viene sentita esplodere contro il fondale dopo un minuto e mezzo); alle 2.11 il sommergibile emerge e si pone all’inseguimento del convoglio italiano (che non si è accorto dell’attacco), ma la velocità di quest’ultimo è troppo superiore, ed alle 2.55 il P 44 perde il contatto con le navi italiane.
Alle 2.30, intanto, scoppia un incendio accidentale nel locale caldaie n. 1 del Brindisi; il focolaio può tuttavia essere rapidamente estinto.
27 novembre 1942
Medici, Brindisi ed Animoso arrivano a Trapani alle 14.30.
13 dicembre 1942
Il marinaio cannoniere Antonio Butto della Medici, 25 anni, da Pozzuoli, viene dichiarato disperso nel Mediterraneo centrale.
La fine
Il 16 aprile 1943 la Medici si trovava ormeggiata nel porto
di Catania, quando alle 13.30 la città venne attaccata da quindici bombardieri
Consolidated B-24D “Liberator” della 9th U. S. Air Force (sette del
98th Bomber Group “Force For Freedom” ed otto del 376th
Bomber Group “Liberandos”), che sganciarono 38,8 tonnellate di bombe. L’incursione
si protrasse per due ore e mezza, fino alle quattro del pomeriggio; obiettivi
dei bombardieri, oltre allo scalo ferroviario, erano proprio il porto con le
navi ivi ormeggiate, anche se l’abituale imprecisione dell’USAAF (e, per la
verità, di tutti i bombardieri in quel conflitto) fece sì che gran parte delle
bombe cadesse sul centro abitato, provocando vaste distruzioni e gravi perdite
tra la popolazione civile. Particolarmente colpite furono le zone della
Rotonda, della via Idria e della via Etnea (una delle principali strade della
città), ma nessun quartiere rimase indenne; tra i tanti edifici distrutti o
danneggiati vi furono anche l’Arcivescovado, accanto al Duomo, il Palazzo
Carcaci e l’Oratorio salesiano “San Filippo Neri”, dove vi furono quattro
vittime. Il seicentesco Palazzo Massa di San Demetrio, gioiello dello stile
barocco, fu sventrato da due bombe che lo distrussero quasi completamente,
seppellendo sotto le macerie dell’androne una settantina di persone che qui
avevano cercato rifugio. Le bombe interruppero anche le linee telefoniche e
danneggiarono gli stessi impianti per gli allarmi aerei.
In tutto le vittime tra la popolazione civile furono 146, i feriti 291; dopo questo attacco gli abitanti iniziarono a sfollare in massa dalla città, cercando rifugio nelle campagne circostanti. Fin dal 1940 Catania era stata sottoposta ad attacchi aerei da parte della RAF, ma si era sempre trattato di incursioni di modesta entità, con pochi aerei che avevano causato danni modesti e poche vittime: l’incursione del 16 aprile 1943, invece, rappresentò di gran lunga il più pesante bombardamento subito da Catania dall’inizio della guerra (l’avrebbe superato, l’11 maggio, un’incursione ancor peggiore, che avrebbe provocato 216 vittime), un vero trauma per la popolazione della città.
Quella del 16 aprile fu in assoluto della seconda incursione dell’USAAF su Catania, preceduta da un “assaggio” il giorno precedente, quando le vittime erano state dodici (l’obiettivo, sempre il porto). In tutto, i bombardamenti su Catania – 87, contando anche le incursioni minori – avrebbero provocato 718 morti e 1007 feriti tra la popolazione civile, e danneggiato 28 chiese e la maggior parte dei palazzi storici, oltre ad innumerevoli abitazioni.
Tra tanta
devastazione causata da bombe cadute lontano dagli obiettivi, qualcuno degli
ordigni raggiunse tuttavia anche il bersaglio prestabilito: a farne le spese fu
proprio la Medici, che alle 14.30 di
quell’infausto giorno fu colpita da bombe in prossimità della plancia,
iniziando subito ad affondare di prua. La nave prese poi a sbandare sulla
dritta fino a rovesciarsi completamente, ed affondò nelle acque del porto; non
ci furono vittime tra l’equipaggio.
Terminò così la lunga e laboriosa vita di questa infaticabile “tre pipe”.
Unica altra imbarcazione affondata in questa incursione fu il minuscolo motoveliero Sacro Cuore di Gesù.
Radiata formalmente
dai quadri del naviglio militare il 18 ottobre 1946, la carcassa della Medici venne riportata a galla nel 1952,
soltanto per essere demolita (per altra fonte il relitto sarebbe stato
recuperato nel 1950 e demolito nel 1952).
La Giacomo Medici su Trentoincina
Mensile dell’ANMI del giugno-luglio 2019, con articolo sulla Regia Marina in Mar Nero
1943 il martirio di un’isola
Malta's Greater Siege & Adrian Warburton DSO* DFC** DFC
Reported Missing: Lost Airmen of the Second World War
The Armed Rovers: Beauforts and Beaufighters Over the Mediterranean
Alle 6.40 (o 7) la Medici (tenente di vascello Antonio Furlan) salpa da Tripoli per scortare a Bengasi il piroscafo tedesco Trapani. Le due navi seguono la costa libica, con una scorta aerea formata da due caccia Macchi che girano sul loro cielo; il mattino stesso il convoglietto viene avvistato al largo della costa della Tripolitania da un Supermarine Spitfire da ricognizione fotografica, decollato da Luqa (Malta) e pilotato dal maggiore Adrian Warburton, comandante del 69th Squadron della Royal Air Force. Warburton segnala la posizione delle due navi a Malta, e da Luqa decollano per attaccarle tre cacciabombardieri Bristol Beaufighter del 227th Squadron RAF, armati con bombe da 300 libbre (136 kg) e guidati dal maggiore Peter L. Underwood. Questi, già maggiore a soli 22 anni, è considerato un pilota esperto e capace ed è stato insignito della Distinguished Flying Cross appena pochi giorni prima.
Quando i tre Beaufighter raggiungono la loro preda, alle 12.40 (12.37 secondo le fonti italiane; 12.30 per altra fonte), trovano tuttavia ad attenderli una scorta aerea di sei caccia italiani Macchi Mc 200: questi ingaggiano gli attaccanti ed a quattro miglia dal convoglio ne abbattono uno (“Y for Yorker” pilotato dal tenente John Magarey Bryce, navigatore sergente maggiore S. W. Cole; colpito ai motori e caduto in mare). Un secondo Beaufighter (il “Q for Queen”), quello del maggiore Underwood, viene centrato dal tiro contraereo della Medici e si schianta contro l’albero del Trapani per poi precipitare in mare uccidendo il suo equipaggio, composto da Underwood e dal sergente mitragliere Ivor L. Miller (per altra fonte, entrambi gli aerei sarebbero stati abbattuti dal tiro della Medici). L’unico Beaufighter superstite (aereo “H for Hotel”, tenente Tom Freer) effettua due attacchi contro il Trapani, nel primo dei quali le bombe non si sganciano, mentre nel secondo si sganciano ma mancano il bersaglio (cadendo troppo lunghe, al di là del piroscafo); viene anch’esso colpito, subendo seri danni, anche se riesce a rientrare a Malta. Nell’atterraggio a Luqa, a causa dei danni causati dal tiro contraereo all’impianto idraulico, rimane gravemente danneggiato, con il ferimento del navigatore.
Ciò secondo un saggio di Francesco Mattesini; secondo il libro “Ladies of Lascaris” di Paul McDonald, i tre Beaufighter attaccarono il Trapani volando a bassa quota, in un attacco coordinato, venendo accolti da violento e preciso fuoco contraereo. L’aereo di Underwood e Miller fu il primo ad essere abbattuto: dopo aver mitragliato il Trapani con i suoi cannoncini, non riuscì a sganciare le bombe ed esplose a mezz’aria subito dopo aver superato il piroscafo, precipitando in mare in una palla di fuoco. La morte del caposquadriglia scoraggiò forse gli altri due Beaufighter, dei quali quello del tenente Bryce mitragliò a sua volta il Trapani con i cannoncini e sganciò le sue bombe che tuttavia caddero troppo lunghe, al di là del bersaglio, per poi allontanarsi verso nordovest lasciando dietro di sé una scia di fumo; mentre quello del tenente Freer mitragliò anch’esso il piroscafo con i cannoncini ma lo superò senza sganciare le bombe, indi effettuò un secondo passaggio in cui sganciò le bombe, che tuttavia caddero troppo corte, al di qua del bersaglio. Poi si allontanò a tutta velocità verso dritta. Warburton seguì l’aereo di Bryce mentre questo, lasciandosi dietro una scia di fumo sempre più fitta, perdeva progressivamente quota ed era infine costretto ad ammarare; i due membri dell’equipaggio riuscirono a gonfiare il battellino di salvataggio ed a salirvi prima che l’aereo s’inabissasse.
Il comandante Furlan della Medici descriverà così l’accaduto nel suo rapporto: «Il primo bombardiere [quello di Underwood] tenta l’attraversamento del piroscafo da sinistra a destra, ma troppo basso, e probabilmente colpito da qualche proietto di mitragliera urta contro l’antenna radio dell’albero di poppa e precipita in mare sulla dritta esplodendo. Il secondo apparecchio [quello di Bryce] tenta la stessa manovra sul lato opposto, ma accortosi di essere troppo basso tenta di largarsi dal lato di provenienza, lancia due bombe che non esplodono sul lato dritto, mitragliando contemporaneamente. Inquadrato dai tiri delle mitragliere del Trapani e della Medici – cosa abbastanza facile data la vicinanza, 300 metri – colpito ai motori perde quota nell’allontanarsi e si vede precipitare in mare. Il terzo apparecchio [quello di Freer] desiste dall’attacco, ma scorto dalla caccia aerea di protezione viene inseguito e abbattuto [in realtà, riuscì ad allontanarsi seppure danneggiato]… Dirigo verso la posizione dov’è precipitato in mare il secondo apparecchio, posizione segnalatami con picchiata dal secondo caccia di scorta. Scorgo un battello pneumatico e ricupero l’equipaggio composto da un ufficiale e da un sergente».
In realtà l’aereo che ha guidato la Medici fino al battellino con a bordo i due avieri non è uno dei caccia della scorta, bensì lo Spitfire da ricognizione del maggiore Warburton: rimasto nei pressi per scattare fotografie dell’attacco, questi ha assistito al disastroso attacco, venendo attaccato a sua volta dai caccia italiani; avvistato il gommone con a bordo Bryce e Cole, ha deciso di tentare di guidare sul posto la Medici, in modo che questa soccorra i due avieri. Vola dunque con il suo aereo fin sul cielo della Medici e compie tre giri in cerchio attorno alla torpediniera, senza attaccarla ed agitando le ali in modo da attirarne l’attenzione; poi si allontana verso nordovest, verso il gommone, sperando che la nave italiana lo segua, per poi compiere altri tre giri sulla verticale del battellino, a quota un po’ più alta (in modo da restare in vista della torpediniera). La Medici, tuttavia, prosegue imperterrita per la sua rotta insieme al Trapani; Warburton torna allora indietro e compie altri tre giri attorno alla torpediniera, zigzagando e cambiando quota per richiamarne l’attenzione, dopo di che punta nuovamente sul gommone. Stavolta la Medici decide di seguirlo; guidata dallo Spitfire di Warburton (che compie un ultimo passaggio a bassa quota sul battellino, agitando le ali e venendo salutato dai suoi occupanti) la torpediniera raggiunge il gommone e trae in salvo Bryce e Cole, facendoli prigionieri. Warburton, trattenutosi sul posto per sincerarsi che la nave italiana recuperi i due avieri, viene attaccato da sei caccia Macchi decollati da Homs; grazie alla superiore velocità del suo Spitfire da ricognizione, tuttavia, riesce a seminare i suoi inseguitori e rientrare a Malta indenne (per il sangue freddo mostrato in quest’azione, Warburton avrebbe ricevuto poche settimane dopo una Distinguished Flying Cross). (Secondo il citato “Ladies of Lascari” di Paul McDonald, durante il primo tentativo di Warburton di attirare l’attenzione della Medici questa avrebbe continuato a sparare contro lo Spitfire, costringendo Warburton a manovrare e cambiare continuamente quota per evitare di essere colpito; inoltre, McDonald scrive che i caccia che attaccarono Warburton dopo il salvataggio di Bryce e Cole sarebbero stati chiamati sul posto dal comandante della Medici. Entrambe queste notizie sembrano essere errate, dal momento che stando al suo rapporto il comandante Furlan scambiò lo Spitfire di Warburton per uno dei caccia italiani della scorta).
Alle 23.30 (o verso mezzanotte) una serie di bengala si accende nelle vicinanze del convoglio, ch si trova in quel momento 45 miglia a nord di Misurata.
15 ottobre 1942
Alle 00.36 il Trapani viene attaccato da alcuni bombardieri, di nuovo senza subire alcun danno.
Alle 16 Medici e Trapani entrano a Bengasi (per altra versione, ci sarebbero arrivati alle 16 del 16 ottobre).
18 ottobre 1942
Alle 17 la Medici (caposcorta) lascia Bengasi per scortare il Trapani a Tobruk, insieme ai motodragamine tedeschi R 12 e R 13.
20 ottobre 1942
Il convoglietto giunge a Tobruk a mezzogiorno.
21 ottobre 1942
La Medici salpa da Tobruk alle 16 per scortare a Bengasi, insieme alla cannoniera-cacciasommergibili Oriole, i piroscafi Ostia (tedesco) e Tripolino (italiano). La Medici è caposcorta del piccolo convoglio.
23 ottobre 1942
Il convoglio giunge a Bengasi a mezzogiorno.
La Medici ne riparte subito assumendo la scorta del piroscafo Salona, partito da Bengasi alle sei del mattino e diretto a Tripoli.
26 ottobre 1942
Medici e Salona giungono a Tripoli alle 16.40.
La Medici salpa da Tripoli alle quattro del mattino, scortando il piroscafo Sportivo, diretto a Bengasi.
1° novembre 1942
Medici e Sportivo giungono a Bengasi alle 14.30.
La Medici lascia Tripoli alle 18.15 di scorta al piroscafo Volta, diretto a Bengasi.
13 novembre 1942
Medici e Volta giungono a Bengasi alle 9.
16 novembre 1942
Medici e Morandi arrivano a Tripoli alle 00.30.
Alle 21 la Medici e la moderna torpediniera di scorta Animoso (caposcorta) partono da Tripoli per scortare a Trapani l’incrociatore ausiliario Brindisi. Durante il tragitto il convoglietto sosta brevemente a Sfax e Susa.
26 novembre 1942
All’1.12 il sommergibile britannico P 44 (poi United, tenente di vascello Thomas Erasmus Barlow) avvista il Brindisi e le due torpediniere a 6 miglia di distanza, su rilevamento 105°, in posizione 33°24’ N e 12°33’ E (una cinquantina di miglia a nordovest di Tripoli); all’1.25 identifica le tre navi come un mercantile di medie dimensioni e due torpediniere, e ne stima la rotta in 315° e la distanza in 2,5 miglia, iniziando a manovrare per avvicinarsi alla massima velocità.
All’1.50 il P 44 lancia due siluri da 4600 metri di distanza, ma le armi non vanno a segno (una viene sentita esplodere contro il fondale dopo un minuto e mezzo); alle 2.11 il sommergibile emerge e si pone all’inseguimento del convoglio italiano (che non si è accorto dell’attacco), ma la velocità di quest’ultimo è troppo superiore, ed alle 2.55 il P 44 perde il contatto con le navi italiane.
Alle 2.30, intanto, scoppia un incendio accidentale nel locale caldaie n. 1 del Brindisi; il focolaio può tuttavia essere rapidamente estinto.
27 novembre 1942
Medici, Brindisi ed Animoso arrivano a Trapani alle 14.30.
Il marinaio cannoniere Antonio Butto della Medici, 25 anni, da Pozzuoli, viene dichiarato disperso nel Mediterraneo centrale.
(Coll. Paolo Serravalle, da www.naviecapitani.it) |
In tutto le vittime tra la popolazione civile furono 146, i feriti 291; dopo questo attacco gli abitanti iniziarono a sfollare in massa dalla città, cercando rifugio nelle campagne circostanti. Fin dal 1940 Catania era stata sottoposta ad attacchi aerei da parte della RAF, ma si era sempre trattato di incursioni di modesta entità, con pochi aerei che avevano causato danni modesti e poche vittime: l’incursione del 16 aprile 1943, invece, rappresentò di gran lunga il più pesante bombardamento subito da Catania dall’inizio della guerra (l’avrebbe superato, l’11 maggio, un’incursione ancor peggiore, che avrebbe provocato 216 vittime), un vero trauma per la popolazione della città.
Quella del 16 aprile fu in assoluto della seconda incursione dell’USAAF su Catania, preceduta da un “assaggio” il giorno precedente, quando le vittime erano state dodici (l’obiettivo, sempre il porto). In tutto, i bombardamenti su Catania – 87, contando anche le incursioni minori – avrebbero provocato 718 morti e 1007 feriti tra la popolazione civile, e danneggiato 28 chiese e la maggior parte dei palazzi storici, oltre ad innumerevoli abitazioni.
Terminò così la lunga e laboriosa vita di questa infaticabile “tre pipe”.
Unica altra imbarcazione affondata in questa incursione fu il minuscolo motoveliero Sacro Cuore di Gesù.
Mensile dell’ANMI del giugno-luglio 2019, con articolo sulla Regia Marina in Mar Nero
1943 il martirio di un’isola
Malta's Greater Siege & Adrian Warburton DSO* DFC** DFC
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