Torpediniera, già
cacciatorpediniere, della classe Rosolino Pilo (dislocamento in carico normale
770 tonnellate, a pieno carico 806 tonnellate) della numerosa serie delle “tre
pipe”. Ex Pilade Bronzetti.
Durante la seconda
guerra mondiale, dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943, effettuò 174 missioni
di scorta e 27 di caccia antisommergibili.
Breve e parziale cronologia.
12 settembre 1913
Impostazione nel
cantiere Nicolò Odero di Sestri Ponente.
26 ottobre 1915
Varo nel cantiere
Nicolò Odero di Sestri Ponente.
1° gennaio 1916
Entrata in servizio,
come cacciatorpediniere Pilade Bronzetti.
La costruzione è costata 2.400.000 lire.
Inizialmente
dislocato a Brindisi, in seno alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (e poi
trasferito alla I Squadriglia Cacciatorpediniere) della 2a Squadra
Navale, il Bronzetti opera nel Basso
Adriatico.
21 gennaio 1916
Il Bronzetti scorta il cacciatorpediniere Giuseppe Cesare Abba, che trasporta in
Italia il re del Montenegro, il quale ha lasciato il proprio Paese invaso dalle
truppe austroungariche.
24 gennaio 1916
Il Bronzetti ed il cacciatorpediniere Animoso scortano fin nei pressi di San
Giovanni di Medua i piropescherecci armati francesi Petrel e Marie-Rose,
inviati a recuperare le ultime centinaia di soldati serbi ancora presenti in
tale porto, prossimo alla caduta in mano austroungrarica. Dopo che le due unità
francesi hanno imbarcato i soldati serbi e sono ripartite insieme a tre vecchie
golette ed una grossa chiatta (anch’esse cariche di militari serbi), Bronzetti ed Animoso tornano a scortarle nella navigazione di ritorno, e danno
anche la caccia ad un sommergibile che ha lanciato dei siluri contro le navi
francesi.
5 febbraio 1916
Il Bronzetti (capitano di corvetta Grixoni)
salpa da Brindisi all’una di notte insieme all’incrociatore leggero britannico Liverpool (capitano di vascello G. W.
Vivian), per una crociera di protezione del traffico navale costiero tra Valona
e Durazzo, connesso con le operazioni di salvataggio dell’esercito serbo. L’esercito
serbo, sconfitto e braccato da quello austroungarico, si è ritirato in Albania
e qui viene imbarcato su navi dell’Intesa – in massima parte italiane, nonché
francesi e britanniche – ed evacuato verso l’Italia. Tra il dicembre 1915 ed il
febbraio 1916 la Regia Marina, con 202 viaggi e 184 crociere di protezione,
trarrà in salvo 160.000 tra militari serbi e 23.000 prigionieri austroungarici
(nonché 10.000 cavalli e 22.000 tonnellate di materiali), subendo perdite
minime.
6 febbraio 1916
Mentre Bronzetti e Liverpool stanno navigando verso Brindisi per concludere la
missione, viene avvistato un aereo nemico a 45 miglia per 6° da Cattaro (e 18
miglia ad est di Capo Laghi). Il velivolo, prima che il Bronzetti (informato dal Liverpool
della presenza dell’aereo) possa aprie il fuoco coi cannoni contraerei, si
allontana subito verso nord, ed il comandante Vivian del Liverpool, ritenendo che l’aereo possa essere avvisaglia di una
forza austroungarica di dimensioni ben maggiori, decide di seguirlo; pochi
minuti dopo (sono da poco passate le 14) viene avvistato fumo in direzione di
Cattaro, ed il Bronzetti viene
inviato ad investigare. Il fumo proviene dal cacciatorpediniere austroungarico Wildfang, diretto verso sud: quest’ultimo
rappresenta la punta avanzata di una formazione composta dall’esploratore Helgoland e da sei torpediniere (TB 74, 78, 80, 83, 87
e 88), che ha preso il mare per
attaccare il naviglio dell’Intesa (piroscafi Assiria, Armenie, Barletta, Dauno, Epiro, Menfi, Miquelon e Verdun;
incrociatore ausiliario Città di Sassari;
incrociatore Agordat) in partenza da
Durazzo con 9600 tra soldati e profughi serbi. Gruppi di incrociatori e
cacciatorpediniere italiani, francesi e britannici incrociano a protezione
della rotta Durazzo-Valona: tra questi, appunto, Bronzetti e Liverpool.
Bronzetti e Liverpool si pongono
a tutta forza all’inseguimento del Wildfang
(subito fuggito verso Cattaro), col Bronzetti
in posizione avanzata per esplorazione (anche perché il Liverpool ha velocità massima insufficiente ad inseguire l’unità
avversaria); la distanza tra la nave italiana e quella austroungarica va
lentamente calando. Dopo un’ora di navigazione a 32 nodi (la massima velocità
raggiungibile) su rotta vera 5°, il comandante Grixoni riconosce la nave nemica
come del tipo Huszar; essa dirige a tutta forza verso sud, emettendo
copiosamente fumo, apparentemente diretta verso la baia di Traste. Alle 14.15,
ritenendo Grixoni di essere giunto a distanza di tiro (e trovandosi il Wildfang sotto rilevamento polare, che
permette di sparare con quattro cannoni), il Bronzetti apre il fuoco, eseguendo dapprima quattro tiri di
aggiustamento e poi fuoco a salve, che però risulta corto. Il Wildfang reagisce con tiro ben diretto,
ma lento e parziale; anche una batteria costiera nemica, situata vicino a
Traste, apre immediatamente il fuoco sul Bronzetti,
eseguendo tiro a salve ben centrato ma corto. La nave italiana prosegue
nell’inseguimento. Alle 14.55, dato che il Bronzetti
si sta avvicinando troppo alle batterie costiere nemiche (salve d’artiglieria
ormai cadono in mare tutt’attorno alla nave), e non appare possibile
raggiungere il Wildfang prima che
questi si ponga al riparo delle batterie costiere, il Liverpool gli ordina di rinunciare all’inseguimento e riunirsi ad
esso (in questo momento il Bronzetti
si trova a tre miglia dalla penisola di Lustica ed a sei da Punta d’Ostro). Il Wildfang raggiunge Cattaro, mentre Bronzetti e Liverpool riprendono la navigazione verso Brindisi, dove arrivano
entro sera.
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19 febbraio 1916
Il Bronzetti ed il gemello Simone Schiaffino inseguono
infruttuosamente un U-Boot nel Basso Adriatico, e lo stesso giorno bombardano
con le loro artiglierie località della costa albanese in mano nemica.
In questo periodo è
direttore del tiro del Bronzetti il
sottotenente di vascello Umberto Novaro, futura Medaglia d’Oro al Valor
Militare nella seconda guerra mondiale.
27 febbraio 1916
Il Bronzetti, uscito da Brindisi per un
pattugliamento, viene brevemente inviato in ricognizione nel porto di Durazzo,
appena occupato dalle truppe austroungariche in avanzata in Albania.
14 marzo 1916
Insieme ai gemelli Antonio Mosto, Francesco Nullo e Simone
Schiaffino ed all’esploratore Marsala,
il Bronzetti partecipa ad una
perlustrazione della costa albanese, alla vana ricerca di navi austroungariche
o nuclei di soldati distaccati lungo la costa. Non viene trovata alcuna nave a
San Giovanni di Medua, e solo pochi velieri albanesi a Durazzo; vengono
avvistati due U-Boote, cui viene data la caccia senza risultato.
18 marzo 1916
Il Bronzetti scorta l’incrociatore leggero
britannico Dartmouth, uscito in mare
per appoggiare una ricognizione lungo le coste dalmate da parte di sei
siluranti (tre italiane e tre francesi, suddivise in tre sezioni).
17 aprile 1916
Il Bronzetti e l’esploratore Marsala trasportano da Brindisi a Malta
il principe di Serbia.
Maggio 1916
Assegnato alla
Divisione Esploratori, sempre con base a Brindisi, ed adibito a ruoli di
ricognizione nel Basso Adriatico e di protezione dello sbarramento del Canale
d’Otranto, spingendosi saltuariamente anche in acque greche.
Successivamente sarà
trasferito alla Divisione Siluranti (ancora di base a Brindisi) ed impiegato in
missioni di scorta nell’Adriatico, nello Ionio e nel Basso Tirreno.
13 giugno 1916
Il Bronzetti (capitano di corvetta
Comolli), insieme ai cacciatorpediniere Audace,
Antonio Mosto e Rosolino Pilo, dà scorta ed appoggio ai MAS 5 e 7, inviati ad
attaccare il naviglio austroungarico a San Giovanni di Medua. I due MAS,
rimorchiati fino in prossimità di San Giovanni di Medua dalle torpediniere
costiere 35 PN e 37 PN, vanno all’attacco, ma non trovano navi ormeggiate in porto
(infatti non ce ne sono) e devono ritirarsi sotto il tiro d’artiglieria nemico
(batterie costiere ed il Wildfang),
senza comunque subire danni.
8 luglio 1916
Il Bronzetti ed il cacciatorpediniere Ardito effettuano un’esercitazione al
largo di Valona insieme all’incrociatore leggero britannico Sapphire.
Dicembre 1916
Il Bronzetti ha base a Brindisi, dove forma
una squadriglia insieme ai cacciatorpediniere Ardente, Ardito ed Animoso.
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Il Bronzetti nel 1917; sullo sfondo un incrociatore corazzato classe
San Giorgio (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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4-5 maggio 1917
Il Bronzetti, insieme ad altri sette
cacciatorpediniere (Rosolino Pilo, Simone Schiaffino, Ippolito Nievo, Antonio Mosto,
Giuseppe Missori, Francesco Nullo ed Insidioso) e due torpediniere (Airone
e Pegaso), esce in mare per fornire
appoggio e guida ad una formazione di aerei inviati a bombardare la base
austroungarica di Cattaro. Le unità sono suddivise in sei gruppi: Bronzetti costituisce il secondo,
insieme al gemello Rosolino Pilo. Gli
altri sei gruppi sono composti da Simone
Schiaffino ed Ippolito Nievo (1°
Gruppo), Antonio Mosto e Giuseppe Missori (3° Gruppo), Insidioso (4° Gruppo), Francesco Nullo (5° Gruppo), Airone (6° Gruppo) e Pegaso (7° Gruppo). Il 1°, 2° e 3° Gruppo, composti da due unità ciascuno, sono
posizionati più vicini alle coste nemiche. Sono in mare anche gli esploratori Aquila e Carlo Alberto Racchia,
per fornire appoggio a distanza alle siluranti.
Queste ultime
indicano agli aerei la rotta da seguire puntando i fari verso l’alto e verso le
loro scie, ed impiegando fuochi verdi o rossi per indicare ai velivoli se si
trovino a sud od a nord del segnalamento. Nonostante il forte scarroccio e la
fitta foschia rendano difficile l’avvistamento delle siluranti, dodici aerei
(su uno dei quali è imbarcato il poeta Gabriele D’Annunzio; comandante della
formazione è invece il maggiore Armani) riescono a raggiungere Cattaro ed a
sganciare le bombe sull’obiettivo, per poi rientrare alla base senza subire
perdite, dopo un volo di cinque ore e mezza.
Ottobre 1917
Il Bronzetti forma, insieme ai gemelli Ippolito Nievo, Rosolino Pilo e Simone
Schiaffino, la VI Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Brindisi.
19 ottobre 1917
Parte da Brindisi
alle 6.30 unitamente agli esploratori Guglielmo
Pepe (con a bordo il contrammiraglio Biscaretti) ed Alessandro Poerio ed ai cacciatorpediniere Insidioso e Simone Schiaffino,
a seguito dell’avvistamento, da parte della stazione di Brindisi, di quattro
navi nemiche con rotta nord. Una formazione navale austroungarica (esploratore Helgoland e cacciatorpediniere Orjen, Csepel, Balaton, Tatra, Triglaw e Lika) è salpata
il giorno precedente da Cattaro per attaccare i convogli italiani al largo di
Valona; non avendo trovato convogli da attaccare, l’Helgoland ed il Lika si
spingono sino al largo di Brindisi al preciso scopo di essere avvistati ed
inseguiti, per condurre le navi italiane nella morsa dei sommergibili U 32 (al largo di Valona) ed U 40 (davanti a Saseno), che attendono
in agguato. Le altre navi si mettono invece a cercare unità dell’Intesa al
largo di San Cataldo, di nuovo senza risultato.
La formazione di cui
fa parte il Bronzetti avvista i
sommergibili e ne comunica la presenza, permettendo così che vengano attaccati
da idrovolanti provenienti da Brindisi; le unità austroungariche si suddividono
in due gruppi, uno (Csepel e Triglaw) che dirige subito per il
rientro, e l’altro (Helgoland e le
altre unità) che fa rotta verso Punta Menders finché, attaccato da idrovolanti
dell’Intesa che danneggano leggermente l’Helgoland,
decide anch’esso di rientrare alla base. Il prolungato inseguimento, nel quale
anche degli aerei prendono parte agli attacchi sulle unità austroungariche (e a
duelli aerei con idrovolanti austroungarici frattanto sopraggiunti da Kumber:
un FBA4 viene anche danneggiato), non porta però a nulla; le unità italiane,
giunte sul parallelo delle foci del Drin senza essere riuscite a portarsi a
distanza balistica dalle navi nemiche, invertono la rotta e rientrano tutte
indenni alla base.
Gennaio 1918
Assegnato alla IV
Squadriglia Cacciatorpediniere.
10 marzo 1918
Il Bronzetti prende il mare per una
missione di appoggio ad un attacco di MAS, consistente in un’incursione
dei MAS 99 e 100, rimorchiati dai
cacciatorpediniere Ippolito Nievo ed Antonio Mosto, contro le unità
austroungariche presenti a Portorose. Il gruppo di appoggio, oltre al Bronzetti, comprende un altro
cacciatorpediniere italiano, il Giacinto
Carini, gli esploratori leggeri Carlo
Mirabello, Augusto Riboty (nave
di bandiera del contrammiraglio Guido Biscaretti, comandante superiore in
mare), Alessandro Poerio e Cesare Rossarol, ed una squadriglia di
cacciatorpediniere francesi, la squadriglia «Casque-Mangini»; queste unità
hanno il compito di posizionarsi a metà strada tra Brindisi e Punta d’Ostro,
per fornire supporto alle operazioni. Le avverse condizioni del tempo
costringono però i MAS a rientrare a Brindisi e rimandare l’attacco.
16 marzo 1918
Nuovo tentativo di
attacco contro Portorose; anch’esso dev’essere annullato per via del maltempo.
8 aprile 1918
Altro tentativo
d’incursione contro Portorose, annullato dopo che ricognitori appurano che a
Portorose non ci sono navi da attaccare. L’accorciamento della notte spinge poi
a rinunciare, almeno per il momento, ad ulteriori progetti di attacco contro tale
base.
23-24 aprile 1918
Bronzetti, Mirabello, Poerio, La Masa ed i cacciatorpediniere Cimeterre (francese), Torrens, Comet, Alarm, Redpole e Rifleman (tutti britannici) escono
in mare per porsi all’inseguimento dei cacciatorpediniere austroungarici Triglav, Csepel, Uzsok, Lika e Dukla, che hanno attaccato lo sbarramento del canale d’Otranto
e danneggiato gravemente i cacciatorpediniere britannici Hornet e Jackal, intervenuti per fermarli. Il Bronzetti è il primo a prendere il mare, salpando da Brindisi,
seguito da Mirabello (con a bordo il
contrammiraglio Biscaretti, comandante della IV Divisione) e Poerio, e poco più tardi anche dal La Masa. Da Valona esce anche
l’incrociatore leggero britannico Gloucester.
A causa della loro
posizione, sfavorevole ad un’intercettazione, le navi italo-franco-britanniche
non riescono a raggiungere quelle austroungariche prima che esse rientrino in
porto.
12 maggio 1918
Il Bronzetti ed il gemello Ippolito Nievo lasciano di nuovo
Brindisi, alle 18.10, rimorchiando i MAS
99 (capitano di corvetta Pagano) e 100 (tenente di vascello Azzi), che dovranno attaccare i
piroscafi austroungarici alla fonda nella rada di Durazzo. Gli esploratori Mirabello e Riboty forniscono copertura alla formazione. Alle 23, giunta la
formazione a dieci miglia da Durazzo, viene mollato il rimorchio, ed i due MAS
si dirigono verso il porto per attaccare.
13 maggio 1918
Dalle navi in attesa
al largo, tra le 3 e le 3.04 si notano l’accensione di proiettori, bagliori di
esplosioni, vampe d’artiglieria e razzi; alle 3.40 vengono avvistate poco
lontane una serie di linee di luce bianca, il segnale prestabilito per indicare
la riuscita della missione, per cui si dirige per rientrare a Brindisi.
Alle 2.30, infatti,
il MAS 99 ha silurato il piroscafo austroungarico Bregenz,
che s’inabissa in pochi minuti portando con sé 234 uomini.
L’affondamento della
nave causa una forte reazione nemica, ma tutte le unità italiane fanno ritorno
a Brindisi.
14 maggio 1918
Bronzetti e Nievo rimorchiano MAS 99 e MAS 100 per una nuova missione, stavolta contro Antivari; i cavi di
rimorchio vengono mollati alle 23.54, a circa 15 miglia dal porto. In mare vi
sono anche gli esploratori Guglielmo Pepe
e Cesare Rossarol, per supporto alla
fomazione.
15 maggio 1918
L’attacco dei MAS risulta
infruttuoso; i due MAS si ricongiungono alla formazione, che rientra a Brindisi
alle 9.
25 maggio 1918
Il Bronzetti, il cacciatorpediniere Giuseppe La Masa e gli esploratori Poerio e Mirabello (con a bordo il contrammiraglio Leopoldo Notarbartolo, comandante
della IV Divisione), lasciano Brindisi per dare la caccia a cinque unità
austroungariche avvistate e segnalate da cacciatorpediniere britannici, ma
senza risultato.
2 giugno 1918
Il Bronzetti ed il gemello Antonio Mosto bombardano Lagosta, in
cooperazione con quattro aerei decollati da Varano.
1° novembre 1918
Il Bronzetti risulta inquadrato nella IV
Squadriglia Cacciatorpediniere, con Giacinto
Carini, Angelo Bassini, Simone Schiaffino, Antonio Mosto, Ippolito Nievo,
Ardente ed Animoso. Tale Squadriglia ha base a Brindisi, ma il Bronzetti si trova a Genova.
Finita la prima
guerra mondiale, il Bronzetti viene
adibito a compiti di scorta, vigilanza sul traffico ed ispezione in varie parti
del Mediterraneo.
1919
Il Bronzetti opera in Albania e Montenegro,
poi viene dislocato in Alto Adriatico per compiti di sorveglianza. Poi inviato
in Medio Oriente, operando nelle acque di Grecia e Turchia fino a metà agosto
1919.
Agosto 1919
Assegnato per qualche
mese al Comando Superiore Navale Albania.
Maggio-Giugno 1920
Dislocato ad Antivari
quale stazionario.
Viene poi posto sotto
il controllo dell’Ispettorato Siluranti, ma rimane in Albania fino a novembre.
Novembre 1920
Il Bronzetti viene inviato in Alto
Adriatico con compiti di sorveglianza, per partecipare al blocco navale di
Fiume, dove il poeta Gabriele D’Annunzio ha occupato la città, alla testa di
2600 militari rivoltosi (i “legionari fiumani”), fondandovi la “Reggenza del
Carnaro” per annettere la città all’Italia.
6-7 dicembre 1920
Nella notte tra il 6
ed il 7, mentre il Bronzetti naviga
nelle acque del Quarnaro, l’equipaggio si ammutina e cattura gli ufficiali,
sorprendendoli mentre fanno colazione; dopo averli legati ed imbavagliati,
l’equipaggio porta la nave a Fiume, ponendola agli ordini di D’Annunzio. Quest’ultimo
accoglie solennemente i marinai del Bronzetti,
inginocchiandosi e complimentandosi personalmente con essi, e pronunciando sulla
gradinata del palazzo del Comando un discorso durante il quale li chiama
«giovani salvatori dell'onore della Marina italiana». Gli ufficiali, dopo vane
richieste di lasciare la nave libera di tornare alla base, vengono lasciati
liberi di lasciare Fiume individualmente (per altra versione, invece, sono
trattenuti a bordo). D’Annunzio affida il comando del Bronzetti al tenente di vascello Arrigo Biego.
24-29 dicembre 1920
“Natale di Sangue”:
le forze regolari italiane, 8000 uomini a terra (al comando del generale Enrico
Caviglia) appoggiati da un’aliquota della Regia Marina (in particolare la
corazzata Andrea Doria, che bombarda
il palazzo nel quale D’Annunzio ha installato il suo governo), attaccano le
forze di D’Annunzio e le costringono alla resa dopo cinque giorni di scontri,
nei quali rimangono uccisi 25 soldati dell’esercito regolare italiano, 22
legionari fiumani e 7 civili, mentre i feriti sono 207 (139 militari
dell’esercito regolare, 46 “legionari” e 22 civili). Due salve dell’Andrea Doria, contro le navi al servizio
di D’Annunzio, incendiano il cacciatorpediniere Espero e riducono al silenzio (ma senza danneggiarli) il Bronzetti e la torpediniera costiera 68 PN.
Inizio gennaio 1921
Conclusa l’impresa di
Fiume con la ritirata di D’Annunzio e dei suoi uomini, il Bronzetti rientra a Pola.
16 gennaio 1921
A Pola, quale
simbolica “punizione” per il suo ammutinamento, la nave viene radiata dai ruoli
del naviglio militare, e poi nuovamente iscritta con un nuovo nome, quello di Giuseppe Dezza.
Viene inviato presso
la Scuola Meccanici di Venezia.
Ottobre 1923-1925
Periodo di lavori di
modifica, effettuati nell’Arsenale di Taranto: i quattro cannoni da 76/40 mm e
i due da 76/30 mm dell’armamento principale vengono sostituiti con cinque
cannoni da 102/35 mm; vengono inoltre installati due cannoncini contraerei da
40/39 mm, ed il dislocamento a pieno carico viene portato a 900 tonnellate.
1925-1926
Dislocato a Napoli e
messo temporaneamente in disponibilità.
Aprile 1926
Assegnato alla
Divisione Siluranti, al comando del capitano di corvetta Emilio Brenta.
1926
Trasporta da Tripoli
a Napoli il generale Emilio De Bono, ex governatore della Libia.
1927
Il Dezza è nave ammiraglia dipartimentale a
Taranto.
1929
Il Dezza, con i similari Giuseppe Cesare Abba, Giuseppe Missori, Antonio Mosto e Fratelli Cairoli, forma la IX
Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme X Squadriglia Cacciatorpediniere (Giovanni Acerbi, Giuseppe Sirtori, Francesco
Stocco, Ippolito Nievo) ed
all'esploratore Aquila, compone
la 5a Flottiglia della Divisione Speciale, che comprende anche
l'esploratore Brindisi, nave comando.
In questo periodo è
comandante del Dezza il capitano di
fregata Emilio Brenta.
1° ottobre 1929
Declassato a
torpediniera ed assegnato alla Scuola Comando di Taranto.
In questo periodo
comanda la Dezza il tenente di
vascello Giorgio Ghè.
1931
La Dezza, insieme ai cacciatorpediniere Palestro, San Martino e Monzambano
ed agli esploratori Bari e Taranto, viene assegnata alla IV
Divisione della 2a Squadra Navale.
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L’unità fotografata
verosimilmente durante il periodo interbellico (da www.wrecksite.eu)
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16 gennaio 1939
Durante
un’esercitazione in mare, in cui la Dezza
deve fungere da bersaglio per un lancio di siluri da parte del sommergibile Mocenigo, il siluro lanciato da
quest’ultimo, anziché passare sotto la chiglia della torpediniera come
previsto, subisce un’avaria che lo fa venire in superficie e colpisce lo scafo
della Dezza, aprendo una falla in
sala macchine. Il siluro, penetrato nel locale dinamo, provoca danni non molto
gravi, ma rompe una tubatura del vapore: il vapore surriscaldato riempie il
locale, uccidendo un uomo ed ustionandone altri due, uno dei quali, gravissimo,
morirà successivamente.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. La Dezza
forma la V Squadriglia Torpediniere, di base a Messina, insieme alle similari Giuseppe Cesare Abba, Simone Schiaffino e Giuseppe La Farina ed al ben più recente cacciasommergibili
sperimentale Albatros.
Allo scoppio della
guerra la Dezza è impiegata per
rimorchio di bersagli a Messina, ma subito dopo l’entrata in guerra viene
trasferita a Cagliari.
25 settembre 1940
La Dezza assume a Trapani la scorta dei
trasporti truppe Esperia e Marco Polo, che rientrano scarichi da
Tripoli a Napoli, sostituendo in tale compito la XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Luca Tarigo, Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello). Alle 18.30 il convoglio giunge a Palermo,
poi prosegue per Napoli.
28 settembre 1940
Le navi arrivano a
Napoli alle 16.
9 gennaio 1941
La Dezza, insieme al MAS 502 ed ad un idrovolante CANT Z. 501, viene inviata a dare la
caccia al sommergibile britannico Pandora
(capitano di corvetta John Wallace LInton), che ha affondato i piroscafi Palma e Valdivagna in posizione 39°22’ N e 09°50’ E, una decina di miglia
ad est/nordest di Capo Ferrato (Sardegna).
Al termine della
caccia, la Dezza e le altre unità
ritengono di aver affondato il Pandora,
ma in realtà il sommergibile si è sottratto alla caccia senza aver subito
danni.
12-13 marzo 1941
La Dezza esce in mare quale parte della
forza di scorta a distanza (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione,
cacciatorpediniere Aviere, Corazziere e Carabiniere, tre MAS) di un convoglio composto dai trasporti truppe
Victoria, Conte Rosso e Marco Polo,
aventi la scorta diretta dei cacciatorpediniere Folgore, Geniere e Camicia Nera. Il convoglio, partito da
Napoli all’1.30 del 12 marzo, giunge a Tripoli alle 15.30 del 13.
16 marzo 1941
La Dezza viene inviata a rafforzare la
scorta (consistente solamente nel piccolo incrociatore ausiliario Lago Tana) di un convoglio formato dai
piroscafi Valsavoia e Maddalena G., in navigazione da Catania
a Gallipoli e Bari, dopo che il terzo piroscafo di tale convoglio – il Giovanni Boccaccio – è stato silurato e
danneggiato, al largo di Capo dell’Armi (in posizione 37°57’ N e 15°40’ E), dal
sommergibile britannico Parthian
(capitano di fregata Michael Gordon Rimington).
29 marzo 1941
La Dezza, insieme alla gemella Schiaffino, ai cacciatorpediniere Maestrale e Libeccio ed al minuscolo incrociatore ausiliario Lago Zuai, viene inviata a soccorrere il
cacciatorpediniere Alfredo Oriani,
rimasto immobilizzato al largo di Augusta per le conseguenze dei danni subiti
nella battaglia di Capo Matapan. L’Oriani,
preso a rimorchio, giungerà ad Augusta alle 5 del 30 marzo.
13 aprile 1941
Alle 23 la Dezza si unisce alla scorta
(torpediniere Sirio e Climene) dell’incrociatore leggero Alberto Di Giussano, in navigazione di
trasferimento da La Spezia a Brindisi. La Dezza
accompagna la formazione fino a Punta Stilo, poi rientra alla base.
23 aprile 1941
In serata la Dezza, insieme alla gemella Schiaffino, prende il mare per
effettuare rastrellamento antisommergibile nel Canale di Sicilia, nell’area
dove l’indomani avrà luogo la posa del secondo tratto («S 12» e «S 13») della
prima spezzata («S 1») dello sbarramento di mine «S».
24 aprile 1941
Alle 7.55, poco dopo
la conclusione della posa del campo minato, la Schiaffino, rimasta sul posto per segnalare la posizione del tratto
di sbarramento già posato nei giorni precedenti, urta una mina di tale tratto
ed affonda rapidamente sette miglia a nordest di Capo Bon, nel punto 37°08’ N e
11°10’ E. La Dezza, che si trova nei
pressi, riesce a recuperare soltanto tre naufraghi; altri 36 verranno
recuperati dal cacciatorpediniere Nicolò
Zeno, mentre i morti saranno 79.
Giugno 1941
A metà mese la Dezza torna ad avere base a Messina, da
dove viene impiegata in missioni di scorta e pattugliamento principalmente nel
Basso Tirreno e lungo le coste della Sicilia, nonché, più raramente, sulle
rotte per Tripoli e Bengasi.
19 agosto 1941
Alle 13.30 la Dezza, proveniente da Trapani, si
unisce, quale rinforzo, alla scorta (cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da
Recco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, sotto il comando del
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, imbarcato sul Vivaldi) di un convoglio veloce composto dai trasporti truppe Esperia, Marco Polo (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzonieri), Neptunia ed Oceania, in navigazione da Napoli a Tripoli.
Alle 14.50, quale
ulteriore rinforzo (dopo un infruttuoso attacco da parte del sommergibile Unbeaten, che lanciò tre siluri contro
l’Esperia, 15 miglia a nord di
Pantelleria), si uniscono alla scorta anche i cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco. Vi è
inoltre una scorta aerea, presente continuamente durante le ore diurne fino
alle 21 (sia nel Tirreno che nel Canale di Sicilia), consistente in bombardieri
S.M. 79 e caccia FIAT CR. 42 nonché, nel tardo pomeriggio del 19, idrovolanti
CANT Z. 506 in funzione antisommergibili.
Il convoglio procede
a zig zag, seguendo la rotta che passa a ponente di Malta, passando per il
Canale di Sicilia, Pantelleria e le Kerkennah.
Nel tardo pomeriggio
il convoglio, che si trovava a nord di Pantelleria, incappa in uno sbarramento
di sommergibili britannici, venendo attaccato pressoché contemporaneamente
dall’Urge (tenente di vascello Edward
Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten
(capitano di corvetta Edward Arthur Woodward). Quest’ultimo avvista il
convoglio alle 18.18 (inizialmente i soli fumaioli, a 8700 metri di distanza
per 325°; le navi intere alle 18.22, quando la distanza era scesa a 7315 metri)
in posizione 37°02’ N e 12°00’ E, circa 15 miglia a nord di Pantelleria, ed
alle 18.31 lancia tre siluri (un quarto non parte) da 5945 metri; le armi
passano tutte molto a proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT
Z. 501 della 196a Squadriglia avvista le scie e lancia due bombe
contro l’Unbeaten, che tuttavia è già
sceso in profondità dopo il lancio. L’Urge,
invece, avvista il convoglio (avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N
e 11°51’ E (una quindicina di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a
6400-7315 metri per 30°, e manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra
d’attacco viene interrotta da un’accidentale perdita di assetto, e dal
contemporaneo rapido avvicinamento di un cacciatorpediniere, avvisato da un
aereo che lo ha avvistato alle 18.15. Tra le 18.36 e le 19.25 Vivaldi e Gioberti bombardano l’Urge
con bombe di profondità, senza riuscire a danneggiarlo, ma costringendolo a
ritirarsi verso nordovest ed a rinunciare all’attacco. Prima di questi
attacchi, alle 17.20 (a nord di Pantelleria), il Marco Polo ha già evitato due siluri con la manovra, dopo la
diramazione del segnale «Scie di siluri a sinistra».
20 agosto 1941
All’una di notte Maestrale e Grecale lasciano il convoglio per tornare a Trapani, mentre alle
8.30 – quando il convoglio imbocca la rotta di sicurezza numero 3 (rotta vera
138°) – si aggregano alla scorta la torpediniera Partenope (con funzioni di pilotaggio) e due MAS inviati da
Tripoli; il convoglio è inoltre preceduto da un gruppo di dragamine, che già da
diverse ore stanno passando a setaccio quel tratto di mare. Le navi procedono a
17 nodi di velocità, zigzagando fin dall’alba (tranne la Partenope); pur essendo già sulla rotta di sicurezza, il caposcorta
ha preferito mantenere la formazione di navigazione in mare aperto e lo
zigzagamento, quale ulteriore precauzione contro i molti sommergibili che si
sapeva infestare le acque antistanti le coste della Libia. In prossimità del
punto «A» di atterraggio a Tripoli, l’Oriani
lancia sei bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio procede
su quattro colonne, due di mercantili e due di navi scorta: da sinistra, una
prima colonna formata da Vivaldi (a
proravia) e Gioberti (poppavia, al
traverso a sinistra dell’Esperia),
con un MAS sul lato esterno; più a dritta, la colonna formata da Marco Polo (a proravia) ed Esperia (a poppavia); a dritta di
queste, la Neptunia seguita dall’Oceania (al traverso a dritta dell’Esperia); poi un altro MAS (a proravia
sinistra della Neptunia) e, sul lato
esterno a dritta, una colonna formata da Da
Recco (a proravia), Oriani (al
centro) e Scirocco (a poppavia). La Partenope procede in testa al convoglio,
mentre la Dezza lo chiude in coda, a
poppavia di Esperia ed Oceania.
Fin dall’alba del 20
torna sul cielo del convoglio la scorta aerea, costituita da due caccia e da
due idrovolanti CANT Z. 501 per scorta antisommergibili.
Tra le 6.36 e le 7.25
il sommergibile britannico Unique
(tenente di vascello Anthony Richard Hezlet) avvista la Partenope ed i MAS diretti incontro al convoglio e tre dei
dragamine (che passano a circa un miglio di distanza del sommergibile, più
vicini alla costa): ciò gli permette di dedurre la posizione del canale
dragato, e di posizionarsi vicino al suo imbocco per attendere il previsto
arrivo del convoglio. Alle 9.56 il sommergibile avvista nel punto 33°03’ N e
13°03’ E, a otto miglia per 305°, quattro transatlantici in avvicinamento con
rotta 155°; alle 10.10 la distanza si è ridotta a 5945 metri, e Hezlet inizia a
distinguere alcune unità della scorta. Alle 10.19, dopo aver superato lo
schermo della scorta, l’Unique lancia
una salva di quattro siluri da appena 600 metri di distanza, contro l’Esperia, per poi scendere subito a 27
metri ed iniziare a ritirarsi verso nord.
Alle 10.20 l’Esperia viene colpito in rapida
successione da tre siluri, ed inizia rapidamente a sbandare sulla sinistra.
Il resto del
convoglio accosta immediatamente sulla dritta, come prescritto dalle norme, poi
il Marco Polo segnala alle altre navi
di seguirlo e dirige a tutta forza verso il vicino porto, preceduto dalla Partenope e seguito dagli altri trasporti
(arriveranno tutti indenni a Tripoli, alle 12.30).
Pochi minuti dopo il
siluramento, i velivoli della scorta aerea sganciano alcune bombe contro l’Unique, circa un chilometro al traverso
a sinistra dell’Esperia; a questo
punto il caposcorta Nomis di Pollone, acclarato che la nave è stata silurata da
un sommergibile (prima vi era incertezza, sulle altre unità, se le esplosioni
fossero dovute a siluri oppure a mine), ordina al Gioberti ed ai MAS di dare la caccia al sommergibile, al Da Recco di accompagnare i trasporti nel
primo tratto dell’allontanamento (poi lo richiamò perché si unisse alla caccia
antisommergibili) ed a Dezza, Oriani e Scirocco di provvedere al salvataggio dei naufraghi, cui inoltre
partecipa con il suo stesso Vivaldi.
In soli dieci minuti
l’Esperia affonda nel punto 33°03’ N
e 13°03’ E, a 11 miglia per 318° dal faro di Tripoli, tra il caos totale dovuto
al panico che ha invaso le truppe imbarcate.
Per un’ora e mezza Dezza, Oriani, Vivaldi e Scirocco seguitano infaticabilmente a
ripescare naufraghi dal mare, soldati e marinai, italiani e tedeschi; ai
naufraghi viene data fraterna assistenza. A mezzogiorno sopraggiungono tre
rimorchiatori ed alcuni motovelieri di Marina Tripoli; dato che le navi della
scorta hanno già recuperato la maggior parte dei superstiti, ed è pericoloso
che si trattenessero ancora in zona insidiata dai sommergibili con centinaia di
naufraghi a bordo, Nomis di Pollone ordina ad Oriani e Scirocco di
raggiungere Tripoli, e lascia sul posto i rimorchiatori e motovelieri di Marina
Tripoli per completare l’opera di salvataggio, sotto la protezione della Dezza.
Grazie all’operato
delle unità soccorritrici, ben 1139 dei 1182 uomini imbarcati sull’Esperia (oltre il 96 %) vengono tratti
in salvo, nonostante la rapidità e caoticità dell’affondamento. La Dezza ha recuperato 61 naufraghi.
22 agosto 1941
Il marinaio Gennaro
Pica, della Dezza, muore in Libia.
27 agosto 1941
La Dezza lascia Tripoli per Bengasi alle
19, scortando i piroscafi Brook
(tedesco) e Pertusola ed il motoveliero
Rita.
30 agosto 1941
Il convoglietto
giunge a Bengasi alle 11.
La Dezza assume poi la scorta, assieme alla
torpediniera Perseo, della
pirocisterna tedesca Ossag,
proveniente da Patrasso (con la scorta, nel primo tratto, della torpediniera San Martino) e diretta a Bengasi.
31 agosto 1941
Dezza,
Ossag e Perseo arrivano a Bengasi alle 13.
4 settembre 1941
La Dezza salpa da Bengasi per Tripoli alle
19.30, scortando il motoveliero Esperia
ed il piroscafo tedesco Brook, avente
a rimorchio il motopeschereccio Francesco.
7 settembre 1941
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 8.
10 settembre 1941
La Dezza lascia Tripoli alle 9.30,
scortando il piroscafo Liv diretto a
Palermo. I decrittatori britannici di “ULTRA” intercettano alcuni messaggi
riguardanti il convoglio, del quale apprendono composizione, data e porto di
partenza, ma non si verificano attacchi.
13 settembre 1941
Dezza
e Liv giungono a Palermo alle 10.30.
18 settembre 1941
La Dezza salpa da Palermo per Tripoli alle
18, scortando il piroscafo Marigola.
20 settembre 1941
Durante la notte le
due navi vengono attaccate da aerosiluranti e da sommergibili: il Marigola viene silurato, e dev’essere
portato ad incagliare sulle secche di Kuriat, dove andrà perduto.
25 settembre 1941
La Dezza e la torpediniera Generale Antonino Cascino vengono
inviate a cercare il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), che ha sbarcato
sulla costa siciliana, presso Capo Gallo, un agente francese che è stato subito
catturato dalla polizia segreta ed ha accettato di collaborare con essa. Dezza e Cascino riescono quasi a localizzare il sommergibile, ma questi
riesce a sfuggire alla trappola.
8-9 novembre 1941
La Dezza svolge vigilanza antisommergibili
a sud dello Stretto di Messina e della costa siciliana, a protezione del
transito del convoglio «Beta» (meglio noto come «Duisburg») diretto in Libia
(il convoglio sarà poi distrutto da un attacco della Forza K britannica nella
notte tra l’8 ed il 9 novembre).
12 dicembre 1941
La Dezza, uscita da Messina, si unisce per
alcune ore – a sud dello stretto di Messina, nella zona dove maggiore è il
pericolo di attacchi subacquei – alla scorta (cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto
Usodimare) delle motonavi Fabio Filzi
e Carlo Del Greco, in navigazione da
Messina a Taranto. Rientra poi alla base.
26 novembre 1941
La Dezza, la torpediniera Enrico Cosenz ed il cacciatorpediniere Alvise Da Mosto lasciano Taranto per scortare a Trapani la nave cisterna Iridio Mantovani. Nello stretto di
Messina una torpediniera lancia un allarme sommergibili, ed il Da Mosto
effettua un’infruttuosa ricerca; poi, al largo dell’estremità meridionale della
Sicilia, viene stato rilevato un campo minato di cui non era nota la presenza,
e l’S-Geraet del Da Mosto permette di localizzare le mine ed
evitarle.
La Dezza deve però lasciare la scorta per
avaria, mentre il resto del convoglio prosegue.
1942
In seguito a lavori
di modifica, l’armamento principale viene ridotto a due cannoni da 102/35 mm, e
quello silurante dimezzato, per ridurre i pesi e favorire la stabilità a
seguito dell’installazione di due scaricabombe per bombe di profondità e delle
ferroguide per il trasporto e la posa di 10 mine; gli obsoleti cannoncini da
40/39 mm vengono eliminati e sostituiti con 6 mitragliere singole Breda 1940 da
20/65 mm.
22 gennaio 1942
Alle 11.45, la Dezza salpa da Brindisi insieme alle
torpediniere Audace e Giuseppe Missori per scortare a Venezia
la corazzata Impero, in corso di
allestimento e propulsa dalle sue macchine. Il gruppo di scorta della Impero (sotto il comando del capitano di
vascello Adone Del Cima), oltre alle tre torpediniere, include il
cacciatorpediniere Emanuele Pessagno,
i sommergibili Otaria e Tito Speri (incaricati di eseguire
ascolto idrofonico lungo la rotta), ed i rimorchiatori Instancabile, Marettimo e
Lido, che dovranno fornire assistenza
all’Impero in caso di necessità. È
prevista anche scorta aerea con aerei da caccia ed idrovolanti in funzione
antisommergibili.
L’Impero, inizialmente assistita per la
manovra dai rimorchiatori Porto Torres,
Porto Pisano, Porto Conte e Pantelleria,
supera il Canale Pigonatti alle 12.24 e, superate le ostruzioni esterne, lascia
i rimorchi e procede con le proprie macchine, preceduta da Missori e Pessagno (che
hanno messo a mare l’attrezzatura per il dragaggio di mine) e seguita dalla Dezza. Alle 14.45, in procinto di
superare il Gargano, le navi assumono la formazione prevista per il
trasferimento: Audace e Pessagno a proravia dell’Impero, a 1200 metri per 60° a dritta e
sinistra, e Missori 500 metri a
poppavia. La Dezza, incaricata della
scorta solo per il tratto iniziale del viaggio, lascia la formazione.
1° febbraio 1942
Il sommergibile
britannico Urge (capitano di corvetta
Edward Philip Tomkinson) avvista alle 10.27 un convoglietto costiero composto
dal piroscafo tedesco Trapani e dalla
motocisterna italiana Rondine,
scortato dalla Dezza e dalla
torpediniera Aretusa, al largo di
Capo dell’Armi (Calabria, in posizione 37°56’ N e 15°42’ E). Alle 10.53 l’Urge lancia tre siluri da 6500 metri di
distanza, ma nessuno va a segno; l’Aretusa
contrattacca con 29 bombe di profondità, egualmente senza risultato.
16 febbraio 1942
La Dezza e due MAS escono da Messina per
dare scorta antisommergibili alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia, più i cacciatorpediniere Fuciliere, Alpino, Bersagliere e Carabiniere della XIII Squadriglia), che sta rientrando a Messina
dopo un’infruttuosa uscita in mare a contrasto dell’operazione britannica
«M.F.5». Nel cielo della formazione, sempre in funzione antisommergibili, vi
sono anche due idrovolanti CANT Z. 501 della Regia Aeronautica e tre
bombardieri Junkers Ju 88 e due caccia Messerschmitt Bf 109 della Luftwaffe.
Nonostante tali
misure, alle 13.45 il cacciatorpediniere Carabiniere
vene colpito da un siluro che gli asporta la prua: a lanciarlo è stato il
sommergibile britannico P 36 (tenente
di vascello Harry Noel Edmonds), che ha avvistato la formazione alle 13.01 ed
ha lanciato quattro siluri alle 13.15, in posizione 37°42’ N e 15°35’ E, da 915
metri di distanza (sebbene il bersaglio fosse il Gorizia, e non il Carabiniere).
La nave, gravemente
danneggiata, rimane a galla; la Dezza
prende inizialmente a rimorchio il Carabiniere,
poi passa il rimorchio al rimorchiatore Instancabile,
appositamente inviato da Messina. Intanto, alle 13.18 inizia il contrattacco
della scorta, con il lancio di 105 bombe di profondità: nessuna, tuttavia,
esplode abbastanza vicina al P 36 da
arrecargli danni.
Il Carabiniere raggiungerà Messina alle
8.30 del 17 febbraio.
9 luglio 1942
La Dezza parte da Napoli alle 11 scortando
il piroscafo Amsterdam, diretto a
Tripoli.
10 luglio 1942
Le due navi giungono
a Trapani alle 22. Qui si ferma la Dezza;
l’Amsterdam proseguirà con la scorta
della torpediniera Orione.
21 luglio 1942
La Dezza lascia Palermo alle 14.30,
scortando il piroscafo Paolina
diretto a Tripoli. La Dezza
accompagna il Paolina fino a Trapani,
poi quest’ultimo prosegue con la scorta della torpediniera Centauro.
30 luglio 1942
La Dezza (caposcorta) salpa da Trapani per
Tripoli alle 4.15, scortando, insieme al cacciasommergibili Eso (cui più tardi si unirà il gemello Selve, inviato da Tripoli), il piroscafo
Istria.
1° agosto 1942
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 10; la sera del 4 proseguirà per Bengasi.
3 settembre 1942
La Dezza, insieme alle torpediniere Ardito e Centauro ed al cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, viene inviata a dare assistenza alla
motonave Monti, danneggiata da
aerosiluranti durante la navigazione da Messina a Bengasi e rimorchiata dalla
torpediniera Giuseppe Sirtori verso
Fiumara Condoianni (Gerace) dove verrà fatta incagliare. Sarà possibile, dopo
aver tamponato la falla, rimorchiare il mercantile a Messina, dove giungerà
alle 16 del 10 agosto.
17 ottobre 1942
La Dezza salpa da Napoli alle 4.10, insieme
al cacciatorpediniere Maestrale, per
scortare a Tripoli la motonave cisterna Panuco.
18 ottobre 1942
Alle 5.30 la Dezza (tenente di vascello richiamato
Reginaldo Scarpa) e la torpediniera Giuseppe
Sirtori (tenente di vascello di complemento Emilio Gaetano) salpano da
Messina per scortare a Tripoli, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Riccardo Pontremoli) e Grecale
(capitano di fregata Luigi Gasparrini), la nave cisterna Panuco, qui giunta da Napoli.
Il convoglio
costeggia verso nord la costa della Calabria e poi raggiunge le acque della
Grecia, per poi puntare su Tripoli cercando di mantenersi sempre alla massima
distanza possibile da Malta.
Alle 10.20
Supermarina comunica al convoglio di stare pronto a fronteggiare un possibile
attacco aereo: le navi sono state avvistate da ricognitori nemici.
Alle 12.50 il
sommergibile britannico Una (tenente
di vascello Compton Patrick Norman), in posizione 38°26’ N e 16°41’ E (al largo
di Capo Spartivento), avvista su rilevamento 220° il fumo delle navi del
convoglio, e si avvicina per attaccare, identificando le unità del convoglio –
che hanno rotta 040° – alle 13.30. Alle 13.56, poco prima di poter lanciare i
siluri, l’Una viene localizzato e
costretto a rinunciare all’attacco e scendere in profondità; ad individuarlo ed
a dargli la caccia è il Grecale, che
procede in testa alla formazione (ma l’orario indicato dalle fonti italiane è
alquanto differente, le 15.15). Il Grecale
dà la caccia all’Una per un’ora, con
lancio di bombe di profondità, ma senza risultato. Alle 19 Dezza e Sirtori vengono
lasciate libere dal caposcorta, con l’ordine di effettuare un rastrello
antisommergibili prima di rientrare a Messina.
In serata la Panuco sarà silurata ed incendiata da un
aerosilurante, ma riuscirà a raggiungere Taranto con l’assistenza di Maestrale e Grecale.
20 ottobre 1942
Panuco e scorta giungono a Taranto alle due di notte.
5 novembre 1942
La Dezza (caposcorta) e la torpediniera Giuseppe Cesare Abba salpano da Trapani
per Tripoli alle 19, scortando il piroscafo Scillin.
8 novembre 1942
Le tre navi giungono
a Tripoli alle nove del mattino.
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La Dezza, in secondo piano, e la torpediniera Generale Carlo Montanari (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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7 gennaio 1943
La Dezza salpa da Trapani per Biserta alle
14, scortando cinque motozattere tedesche.
8 gennaio 1943
Dezza
e motozattere giungono a Biserta alle 8.30.
10 gennaio 1943
La Dezza (tenente di vascello Gino Mancusi)
salpa da Biserta insieme al piropeschereccio Cefalo, attrezzato per la caccia antisommergibile, ed ai
rimorchiatori Porto Cesareo e Vigoreux, per dare assistenza al
cacciatorpediniere Maestrale, che ha
perso la poppa su un campo minato al largo della costa tunisina. Le quattro
navi giungono sul posto verso mezzogiorno; la Dezza assume la scorta del Maestrale,
che è stato preso a rimorchio dalla torpediniera Calliope (tenente di vascello Giudici; a bordo l’ammiraglio di
divisione Luigi Biancheri, comandante di Marina Tunisia), precedentemente
giunta da Biserta. Ad essa si unirà alle 17 anche la torpediniera Cigno (capitano di corvetta Franti),
proveniente da Tunisi.
Il “convoglio”
procede dapprima con il Maestrale
rimorchiato dalla Calliope; i cavi di
rimorchio si spezzano più volte, e dopo l’arrivo del Vigoreux (che prende il rimorchio insieme alla Calliope) si decide di usare per il rimorchio la catena dell’ancora
del Maestrale, anziché i cavi. Verso
le 17.30 il Porto Cesareo sostituisce
il Vigoreux.
Dezza
e Cigno fungono da scorta, mentre il Cefalo dà protezione antisommergibili.
Dopo una faticosa navigazione, interrotta più volte da varie rotture dei cavi, il
Maestrale potrà essere rimorchiato in
salvo a Biserta, giungendovi tra le 7.30 e le 8 dell’11 gennaio.
12 gennaio 1943
La Dezza salpa da Biserta alle otto del
mattino, scortando i piroscafi Cefalo
ed Adernò, diretti a Palermo.
13 gennaio 1943
Le tre navi giungono
a Palermo alle sette del mattino.
Sempre in gennaio, la
Dezza riceve dal Capo di Stato
Maggiore della Marina un elogio per una missione di scorta.
4 febbraio 1943
La Dezza, la torpediniera Sagittario ed il cacciatorpediniere Riboty salpano da Taranto per scortare a
Palermo la nave cisterna Utilitas,
carica di 5000 tonnellate di nafta.
5 febbraio 1943
Alle 4.45 il
sommergibile britannico Turbulent
(capitano di fregata John Wallace Linton) avvista petroliera e scorta al largo
di Capo Cefalù, pertanto si avvicina per attaccare e s’immerge alle 6.14. Alle
6.49 il Turbulent lancia quattro siluri da 4115 metri di distanza, in posizione
38°10’ N e 13°43’ E.
Due siluri vanno a
segno, e l’Utilitas s’inabissa al
largo di Capo Zaffarano (all’estremità orientale del Golfo di Palermo, 15
miglia ad est del capoluogo siciliano). A contrattaccare è la Sagittario (che alle 7.29 lancia un
primo pacchetto di 10 bombe di profondità, poi altri due di 7 e 12 bombe fino
alle 7.39), cui poi si unisce anche la torpediniera di scorta Animoso; il Turbulent non subisce danni.
15 febbraio 1943
Muore nel
Mediterraneo Centrale il marinaio fuochista Giovanni Aluffi, della Dezza.
1° marzo 1943
Alle 12.20 la Dezza viene inviata alla ricerca del
sommergibile britannico Turbulent
(capitano di fregata John Wallace Linton), che ha affondato il piccolo
piroscafo San Vincenzo ad un miglio
per 330° dalla stazione di avvistamento di Paola. La ricerca si protrarrà fino
alle 10.40 del giorno seguente, ma senza risultato.
8 marzo 1943
La Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi)
salpa da Napoli alle 17.30 insieme alla torpediniera Libra (caposcorta, capitano di corvetta Gustavo Lovatelli) ed a
cinque cacciasommergibili tedeschi, scortando un convoglio composto dai
piroscafi Venezia, Lucera (diretti a Messina) e Todi (diretto a Palermo), dalla
pirocisterna Rosario (diretta a
Palermo) e dalla cisterna militare Devoli
(diretta a Trapani).
9 marzo 1943
A causa di mare e
vento tempestosi da scirocco, in serata il convoglio deve mettersi alla cappa
nel Golfo di Sant’Eufemia.
10 marzo 1943
Migliorato
sensibilmente il tempo, il convoglio riprende la navigazione, ma i motori della
Devoli vanno in avaria e la cisterna deve poggiare a Vibo Valentia, scortata
dalla Dezza, mentre il resto del
convoglio prosegue.
Alle 18.30 Dezza e Devoli ripartono da Vibo Valentia, e raggiungono Messina, dove la Devoli potrà riparare le avarie
(ripartirà per Palermo la sera del 12, giungendovi il 13 mattina).
29 marzo 1943
Alle 18 la Dezza (tenente di vascello Aldo Cecchi)
salpa da Napoli per assumere la scorta di un convoglio (denominato «SS»)
composto dalla nave cisterna Bivona,
carica di carburante, dai piroscafi italiani Aquila (con a bordo veicoli, bombe d’aereo e munizioni) e Giacomo C. (con carri armati e
munizioni) e dal tedesco Charles Le
Borgne (carico di munizioni e bombe d’aereo). A testimonianza della
decimazione della flotta mercantile italiana dell’anteguerra, tre su quattro
(tranne il Giacomo C.) sono navi ex
francesi catturate da pochi mesi. La scorta, oltre che dalla Dezza, è composta dal cacciatorpediniere
Lubiana (caposcorta, capitano di
fregata Luigi Caneschi) e dalla moderna torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini),
più i cacciasommergibili tedeschi UJ 2205
e UJ 2208 in retroguardia (altra
fonte parla dei cacciasommergibili tedeschi UJ
2202, UJ 2203 e UJ 2207).
Il convoglio è in
franchia alle 19, ed assume subito rotta diretta per Tunisi.
30 marzo 1943
Verso le dieci del
mattino il convoglio, rallentato dal Giacomo
C. che è in avaria, viene superato da un altro convoglio composto dai
piroscafi Nuoro, Crema e Benevento e
scortato dalle torpediniere Clio, Cigno e Cassiopea.
Alle 12.24 il
sommergibile britannico Tribune
(tenente di vascello Stewart Armstrong Porter) avvista a 7 miglia di distanza
il convoglio italiano, in navigazione verso sudest. Alle 13.31, ridotte le
distanze a 5950 metri, il Tribune
lancia tre siluri contro il Benevento
in posizione 39°37’ N e 13°15’E (una cinquantina di miglia a nord di Ustica).
Nessuna delle armi va a segno, ed alle 13.36 la Dezza passa al contrattacco, lanciando 15 bombe di profondità. Il Tribune, tuttavia, riesce ad eludere
indenne la caccia dopo quasi un’ora e mezza.
Il convoglio
prosegue; il Giacomo C. dev’essere però
mandato a Palermo, assistito dalla Dezza.
Le due navi lasciano il convoglio alle 17.50.
31 marzo 1943
Dezza
e Giacomo C. arrivano a Palermo alle
00.20.
6 maggio 1943
La Dezza, insieme alla similare Giuseppe Missori ed all’incrociatore
ausiliario Olbia, scorta da Durazzo a
Bari i piroscafi Milano e Quirinale, carichi di truppe
rimpatrianti.
Agosto 1943
In seguito
all’invasione Alleata della Sicilia, ed alla conseguente caduta di Messina in
mano angloamericana, la Dezza viene
trasferita a Brindisi, sua nuova base. Assegnata al III Gruppo Torpediniere del
Dipartimento Militare Marittimo «Ionio e Basso Adriatico», insieme alle
similari Giuseppe Sirtori, Giuseppe Missori, Francesco Stocco, Giuseppe
Cesare Abba ed Enrico Cosenz.
Successivamente viene
inviata a Fiume per un periodo di lavori (consistenti, per una fonte, in
modifiche all’armamento).
Cattura e affondamento
Quando fu annunciato
l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, la Dezza si trovava ai lavori presso i
Cantieri del Quarnaro, a Fiume. Ironia della sorte, il suo servizio sotto
bandiera italiana sarebbe terminato proprio nella città dove, in nome
dell’Italia, la nave era stata protagonista dell’evento forse più importante
della sua storia.
Nei cantieri della
città quarnerina si trovavano in quel momento diverse unità: ai lavori, oltre
alla Dezza, c’erano la piccola e vecchia
torpediniera T 3, il
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta
ed il rimorchiatore militare Pianosa;
in costruzione, in varie fasi di avanzamento, vi erano le moderne torpediniere Stella Polare (già varata ed in
allestimento, pronta alle prove in mare), Spica
(pronta al varo), Fionda e Balestra (entrambe sullo scalo ed ancora
ben lontane dal varo) e la motonave da carico Vittorio Locchi (sullo scalo), nonché quattro rimorchiatori.
Il Comando Marina di
Fiume era retto dal capitano di vascello richiamato Alfredo Crespi, ma la
difesa della città e del porto era affidata all’Esercito: comandante delle
difese di Fiume era il generale Michele Rolla, dipendente dal V Corpo d’Armata
del generale Antonio Squero, a sua volta facente parte della 2a
Armata del generale Mario Robotti.
Il generale Robotti,
sulla base della «Memoria OP 44 » (direttiva emanata il 2 settembre 1943 ai
Comandi superiori dal generale Mario Roatta, capo di Stato Maggiore del Regio Esercito,
in cui si prescriveva di reagire con le armi se le truppe tedesche, dopo
l’armistizio, avessero tentato di impossessarsi delle installazioni militari
italiane e di sopraffare le unità italiane), aveva dato disposizioni improntate
ad una decisa resistenza alle forze tedesche; ma assurdamente, nella notte tra
il 9 ed il 10 settembre – come se la confusione non fosse già sufficiente –, a
seguito di una riorganizzazione della 2a e 8a Armata
decisa prima che fosse nota l’imminente dichiarazione dell’armistizio, Robotti
venne sostituito dal generale Gastone Gambara. Quest’ultimo, contrariamente a
quanto ordinato dal suo predecessore, trattò immediatamente la resa delle sue
truppe (le trattative furono avviate il mattino del 10 settembre e concluse nel
pomeriggio), consegnando Fiume ai tedeschi senza opporre resistenza.
A seguito delle
trattative coi tedeschi, Gambara ordinò al comandante Crespi di evacuare tutte
le unità navali presenti a Fiume – imbarcandovi personale e materiale
dell’Intendenza – entro la mezzanotte del 10 settembre, dato che l’accordo
prevedeva che i primi reparti tedeschi giungessero in città l’11. In realtà,
dato che le truppe tedesche incontrarono resistenza sia da parte dei partigiani
jugoslavi (che sin dalla sera dell’8 avevano iniziato ad interferire con le
autorità italiane, dapprima occupando temporaneamente alcuni fortini ed
affermando di volersi sostituire alle autorità italiane, quindi assumendo il
controllo di Sussak e disarmando le truppe italiane in transito verso Fiume) che
da una parte delle truppe italiane, attenutesi ai precedenti ordini del
generale Robotti, i tedeschi giunsero a Fiume solo il 16 settembre 1943.
Stretto tra i
tedeschi da una parte ed i partigiani jugoslavi dall’altra, il comandante
Crespi (con l’assistenza del colonnello di porto Corsi, comandante del porto,
che sovrintese all’organizzazione delle partenze) fece partire ogni natante in
grado di navigare entro l’una di notte dell’11, imbarcando su ognuno quante più
persone possibile (il mare era l’unica via possibile per lasciare la città,
essendo del tutto interrotti i collegamenti con l’interno).
Entro mezzogiorno
dell’11 settembre, sempre su ordine di Crespi, il colonnello del Genio Navale
Antonio Parilli, comandante di Navalgenio, procedette a rendere inutilizzabili
tutte le navi non in grado di prendere il mare. Le unità che potevano essere
approntate in meno di tre mesi furono sabotate, le altre vennero semplicemente abbandonate.
La Dezza, impossibilitata a muovere
ma approntabile in meno di tre mesi, venne sabotata dall’equipaggio l’11
settembre.
Il personale delle
navi non in grado di prendere il mare lasciò anch’esso Fiume sulle navi in
partenza: otto navi mercantili cariche di personale e di materiale, 14
motopescherecci e numerosi natanti minori. Le sorti di queste navi si divisero:
la motonave Leopardi (avente a bordo
1500 tra ufficiali, soldati, marinai, civili e famiglie al seguito) finì
catturata da due motosiluranti tedesche e dirottata a Venezia; il piroscafo Iadera, avente a bordo il tesoro della
Banca d’Italia, sbarcò tale tesoro ad Ancona e poi raggiunse Volosca, dove
venne catturato dai tedeschi; l’incrociatore ausiliario Lazzaro Mocenigo raggiunse Taranto. I pescherecci approdarono in
vari porti della sponda occidentale dell’Adriatico, da Porto Corsini in giù.
Gran parte
dell’equipaggio della Dezza fu
catturato (secondo una fonte l’intero equipaggio si era imbarcato sulla Leopardi e fu quindi fatto prigioniero
in seguito alla cattura di questa nave), e gli uomini finirono nei campi di prigionia
tedeschi come «internati militari italiani»; non tutti tornarono.
Del marinaio
fuochista Basso Lanzone, di Termoli, si perse ogni traccia fin dal 9 settembre
1943; fu dichiarato disperso.
Il sergente silurista
Sabatino Martini, napoletano, morì in prigionia in Germania il 20 novembre
1944.
Il sottotenente di
vascello Giuseppe Arena, messinese, fu dichiarato disperso in prigionia in
Polonia il 9 gennaio 1945.
Il marinaio
cannoniere Mario Vezzelli, di Bastiglia, morì in prigionia in Germania il 16
febbraio 1945, per malattia.
Il marinaio fuochista
Luigi Stivala, di Salve, morì in Germania il 10 agosto 1945, a guerra finita,
prima di poter rientrare dalla prigionia.
Diversa sorte aveva
avuto il sottocapo meccanico Aurelio Vassallo, di Monte Argentario: arruolatosi
nella X Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana, fu ferito in Mar
Tirreno sul MAS 561 nel marzo 1944, e
morì nell’ospedale dell’Argentario il 13 di quel mese.
Il marinaio
cannoniere Eusebio Campanini, di Castellanza, morì in territorio metropolitano
il 3 dicembre 1945.
Finì in prigionia in
Germania anche il comandante della Dezza,
che si nascose addosso un lembo della bandiera della sua nave; nel campo di
Przemyśl, in Polonia, centinaia di sottotenenti di
cavalleria della Scuola di Pinerolo, catturati prima del giuramento di fine
corso, giurano clandestinamente fedeltà al re baciando il lembo della bandiera
della Dezza.
La Dezza, catturata dai tedeschi al loro arrivo
a Fiume (era stata sabotata, ma era ancora galleggiante), venne portata ai CRDA
di Trieste e qui riparata. Inizialmente le autorità tedesche intendevano
offrirla alla piccola Marina dello Stato Indipendente di Croazia, stato
fantoccio della Germania nazista dominato dagli ustascia di Ante Pavelic; ma
per vari motivi, non ultimo il ritardo nel completamento delle torpediniere
classe Ariete catturate in costruzione all’armistizio (per altra fonte, la nave
venne rifiutata dalla stessa Marina croata), si decise infine di porla in
servizio sotto bandiera tedesca. È interessante notare come la Marina tedesca
non sembrò neppure prendere in considerazione la possibilità di offrire la Dezza, nave già italiana, alla Marina
Nazionale Repubblicana, la minuscola Marina della Repubblica Sociale Italiana,
preferendo invece offrirla alla Marina croata. Quando ne fu informato dai
comandi tedeschi, nell’aprile 1944, il capo di Stato Maggiore della MNR,
ammiraglio Giuseppe Sparzani, scrisse al capitano di vascello Leone Rocca,
ufficiale di collegamento presso la Kriegsmarine, una lettera in cui lamentava
questa umiliante decisione, con la quale la Marina tedesca mostrava di
considerare gli italiani meno dei croati, riponendo in essi così poca fiducia
da non concedere loro nemmeno una piccola e vecchia torpediniera che peraltro
era già stata italiana (la più grande nave “da guerra” che i tedeschi
concessero alla RSI fu il cacciasommergibili ausiliario Equa).
Durante i lavori di
riparazione, l’armamento contraereo della Dezza
venne potenziato con l’aggiunta armi di produzione tedesca: vennero installate
due mitragliere pesanti da 37 mm e 9 da 20/65 mm M1940 (cinque in impianti
singoli ed una in impianto quadrinato). Per altra fonte, vennero installate 15
mitragliere da 20 mm. Il mattino del 29 marzo 1944 la TA 35, salpata da Fiume, venne danneggiata dall’esplosione di un
ventilatore azionato dalle turbine.
Il 9 giugno 1944 la
nave entrò in servizio nella Kriegsmarine con equipaggio tedesco ed il nome di TA 35, assegnata alla 2. Geleitflotille
(2a Flottiglia di Scorta), avente base a Fiume ed interamente
composta da vecchie torpediniere ex italiane: TA 20 (ex Audace), TA 21 (ex Insidioso), TA 22 (ex Missori) e TA 35. Al comando del tenente di vascello Keck (poi sostituito in
luglio dal parigrado Adolf Dirks), la TA
35 fu impiegata per servizi locali e missioni di scorta nelle acque della
Dalmazia.
La breve vita della TA 35 sotto bandiera tedesca
s’interruppe alle 4.58 del 17 agosto 1944, quando la torpediniera, in
navigazione nel Canale di Fasana (proveniente da Pola, era diretta a Rovigno),
urtò una mina (probabilmente appartenente ad uno sbarramento difensivo tedesco,
secondo quanto annotato dal diario del Reparto Operazioni dello Stato Maggiore
della Kriegsmarine; altre fonti parlano di un attacco di aerosiluranti
britannici, nel quale un siluro avrebbe colpito un deposito munizioni, ma si
tratta di un errore) ed affondò rapidamente, spezzata in due, nel punto 44°53’
N e 13°47’ E. Morirono nell’affondamento 71 uomini dell’equipaggio, tra cui il
comandante, tenente di vascello Adolf Dirks.
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Una foto variamente
attribuita alla TA 35 od alla gemella
TA 22 (ex Giuseppe Missori) (da www.navyworld.narod.ru)
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Alcune fonti –
probabilmente per un errore commesso da qualche storico e poi copiato e diffuso
da altri senza verificare, come talvolta accade – sostengono che la Dezza venne recuperata, rimorchiata a
Trieste per essere riparata nel cantiere San Marco, e qui affondata da
bombardamento aereo e demolita alla fine del conflitto. Evidentemente, si
tratta di una notizia di per sé inverosimile e di fatto completamente errata,
in primo luogo perché il relitto della TA
35, localizzato nel 1989 da subacquei italiani (tra di essi Danilo
Pellegrini), giace ancor oggi sul fondo del Canale di Fasana, nel punto in cui i
documenti della Kriegsmarine ne registrarono l’affondamento, tanto da essere
oggi meta di subacquei. Quando fu ritrovato, nel 1989, il relitto risultava
perfettamente conservato, tanto che le strumentazioni della plancia erano
ancora al loro posto e venne ritrovato persino un brogliaccio di macchina,
ancora leggibile dopo 45 anni trascorsi sott’acqua, con i nomi del personale
tedesco di turno al momento dell’affondamento. L’interno risultava facilmente
accessibile, a differenza di oggi; negli anni successivi, prima che le autorità
croate ponessero delle restrizioni alle immersioni “sportive”, molti degli
oggetti e delle apparecchiature presenti nel relitto vennero asportati da
subacquei.
Oggi il relitto della
TA 35, spezzato in due tronconi –
all’altezza della sala macchine – ma ben conservato, giace su fondali piatti e
fangosi a profondità comprese tra i 30 ed i 36 metri, in posizione
44°58'34" N e 13°40'44" E (o 44°58’34” N e 13°35’16” E). Presso
alcuni subacquei è noto anche come “Insidioso”,
probabilmente perché, all’epoca del suo ritrovamento, si ritenne che potesse
essere l’Insidioso, un’altra “tre
pipe” catturata dai tedeschi (TA 21)
e perduta in Alto Adriatico (ma nel porto di Fiume). La vera identità del
relitto fu comunque rapidamente accertata; tra l’altro è ancora visibile sullo
scafo, ricoperto di incrostazioni, il nome della Dezza.
Il troncone prodiero,
troncato subito dopo la plancia, è adagiato sul fianco sinistro, mentre quello
poppiero (lungo circa 35 metri), distante circa 80-100 metri, è in assetto di
navigazione. Il troncone poppiero, leggermente più lungo, è il meglio
conservato dei due, con gran parte dell’armamento ancora ben visibile.
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La Dezza in linea di fila con unità similari, probabilmente negli anni
Trenta (USMM via www.gravitazero.org)
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