Cacciatorpediniere
capoclasse della classe Sella (1279 tonnellate di dislocamento standard e 1480
a pieno carico, primi cacciatorpediniere italiani con cannoni da 120 mm ed in
postazioni sopraelevate nonché centrali di tiro meccaniche e tubi lanciasiluri
da 533 mm).
Durante la guerra
operò prevalentemente in Mar Egeo, scortando convogli e dando la caccia ai
sommergibili, per poi essere destinato all’addestramento in Adriatico.
Svolse 116 missioni di
scorta e 12 di altro tipo, tra cui alcune di ricerca del nemico, percorrendo in
tutto 44.000 miglia nautiche.
Breve e parziale cronologia.
12 ottobre 1922
Impostazione nei
cantieri Pattison di Napoli.
25 aprile 1925
Varo nei cantieri Pattison
di Napoli. La nave viene benedetta dal cardinale Alessio Ascalesi, arcivescovo
di Napoli; i discendenti di Quintino
Sella donano alla nave la bandiera, un sontuoso cofano portabandiera con
una scultura bronzea recante i simboli del Club Alpino Italiano (di cui Quintino Sella fu fondatore), oltre ad
una statuetta dello stesso Quintino Sella
ed una targa recante un estratto del suo testamento, che sarà poi collocata
nella murata di dritta della tuga poppiera.
25 marzo 1926
Entrata in servizio.
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Il Sella nel suo aspetto originario, con i due fumaioli di eguale
altezza (da Vittorio Emanuele Tognelli, “La difesa del traffico con l’Albania,
la Grecia e l’Egeo”, USMM, Roma 1964)
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Estate 1926
Effettua una lunga
crociera toccando porti della Grecia e del Dodecaneso e poi Famagosta,
Alessandria d’Egitto e Tobruk, per il rodaggio delle proprie macchine.
Viene poi posto alle
dipendenze dell’Accademia Navale di Livorno, divenendo nave capo gruppo del
gruppo di unità assegnate alle esercitazioni per gli allievi.
Fine febbraio 1927
Sostituito dal
cacciatorpediniere Generale Antonio
Cascino nel ruolo di unità addestrativa, viene assegnato alla VII
Squadriglia Cacciatorpediniere (successivamente ridenominata IV Squadriglia)
della Squadra Navale.
1928
Compie una breve
visita a Maiorca.
Dato che le unità
della classe Sella, molto innovative rispetto alle classi precedenti, hanno
problemi di stabilità, autonomia, tenuta del mare e solidità delle
sovrastrutture, il Sella viene dotato
di grosse alette antirollio, imbarca molta zavorra e subisce il rinforzo delle
sovrastrutture.
1929
Il Sella ed i gemelli Francesco Crispi, Giovanni
Nicotera e Bettino Ricasoli
formano la IV Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla III Squadriglia
(quattro unità classe “Sauro”) ed all’esploratore Pantera (conduttore), compongono la 2a Flottiglia della
I Divisione Siluranti, inquadrata nella 1a Squadra Navale di base a
La Spezia.
Sella,
Nicotera e Ricasoli compiono crociere nei porti spagnoli, sia sulla costa
mediterranea che su quella atlantica, raggiungendo anche Lisbona, poi tornano
in Italia con scalo a Tripoli.
A seguito di lavori
di modifica, l’armamento principale, originariamente composto da un complesso
binato da 120/45 mm Schneider-Canet-Armstrong 1918-19 e da un pezzo singolo
dello stesso tipo, viene portato a due complessi binati, uno
Schneider-Canet-Armstrong 1918-19 ed uno Odero-Terni-Orlando 1926.
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La nave a Venezia (g.c.
Antonio Cimmino)
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28 ottobre 1929
Il Sella partecipa, insieme al
rimorchiatore La Famiglia, alle
ricerche delle salme delle vittime dell’idrovolante britannico City of Rome delle Imperial Airways, il
quale, ammarato per un guasto meccanico durante il volo da Alessandria d’Egitto
a Genova con tre membri dell’equipaggio e quattro passeggeri, è affondato senza
superstiti, a causa della burrasca, durante un tentativo di rimorchio da parte
dello stesso La Famiglia, una decina
di miglia a sudovest dell’isola del Tino. Vengono recuperati i corpi del pilota
L. Spencer Birt, del radiotelegrafista S. J. Stone e del passeggero Charles
Ritchie, gli altri non verranno mai ritrovati.
1930-1931
Compie crociere
estive in Grecia e Dodecaneso con la I Squadra Navale.
1931
Il Sella, il gemello Francesco Crispi, i più recenti Nazario
Sauro e Cesare Battisti ed il più
grande Tigre formano la II Flottiglia
Cacciatorpediniere della 2a Divisione della I Squadra Navale.
Il Sella viene successivamente assegnato
alla riserva divisionale della II Squadra, venendo dislocato a Taranto.
Agosto 1932
Assegnato alla VI
Divisione Navale a Venezia, esercitando poi attività addestrativa,
principalmente in Alto Adriatico, per più di tre anni.
In seguito fa parte,
per poco tempo, delle forze dipartimentali della Spezia.
È in questo periodo
comandante del Sella il capitano di
fregata Umberto Novaro, futura Medaglia d’oro al Valor Militare. Presta
servizio sul Sella anche un’altra
futura MOVM, il sottotenente di vascello Gino Birindelli.
Inizio 1936
Dislocato in
Dodecaneso per servizi nell’arcipelago e collegamento con la Cirenaica.
Successivamente
subisce la sostituzione delle caldaie con altre di differente tipo.
1° settembre 1936
Assume il comando del Sella il capitano di corvetta Anselmo Lazzarini.
Fine 1937
Torna in Italia e
viene assegnato alla IV Squadriglia dipartimentale, avente base a Brindisi,
svolgendo scarsa attività locale.
1938
Le due mitragliere
singole da 13,2/76 mm contraeree vengono sostituite con due mitragliere binate
dello stesso calibro. Una delle caldaie originarie viene sostituita, a scopo
sperimentale, con una caldaia La Mont a circolazione forzata, di potenza di
poco più bassa ma in grado di aumentare l’autonomia; l’esperienza risulterà
positiva.
Maggio 1939
La IV Squadriglia
viene trasferita a La Spezia.
Altri lavori di
modifica, al fumaiolo poppiero, che viene accorciato di circa due metri e
munito di un’“unghia”.
Il Sella viene poi trasferito nel Dodecaneso
quale stazionario, insieme a Crispi, Nicotera e Ricasoli, ma nel gennaio 1940 questi ultimi due verranno venduti
alla Svezia, riducendo la IV Squadriglia a due unità.
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale il Sella forma, insieme al gemello Francesco
Crispi, la IV Squadriglia Cacciatorpediniere, con base a Rodi ed alle
dipendenze del Comando Navale Mar Egeo. Sono ormai tra i cacciatorpediniere più
obsoleti della Regia Marina, inadatti ad attività di squadra; al contempo, sono
le navi da guerra più potenti disponibili nel Dodecaneso. Inizialmente saranno
adibiti soprattutto a compiti difensivi.
6 giugno-10 luglio 1940
Il Sella, insieme al Crispi, alle torpediniere Libra,
Lince e Lira ed al posamine ausiliario Lero,
partecipa alle operazioni di minamento difensivo delle acque del Dodecaneso.
Insieme a Crispi e Lero il Sella posa 6 campi minati antinave con 25 mine tipo Elia ciascuno
nelle acque di Stampalia, ed insieme anche alle torpediniere vengono posati 12
campi minati antinave di 30 mine Elia ciascuno ed uno antisommergibile con 65
mine nelle acque di Lero, e 6 sbarramenti antinave (con 25 mine tipo Elia
ciascuno) e due antisommergibile (uno di 25 ed uno di 50 mine, sempre tipo
Elia) lungo le coste di Rodi.
19 novembre 1940
Sella
e Crispi bombardano nottetempo il
porto dell’isola di Samo, in mano alle truppe greche, su ordine dell’ammiraglio
Luigi Bianchieri, comandante militare marittimo del Dodecaneso: il
cannoneggiamento è effettuato in risposta ad un colpo di mano greco avvenuto il
18 novembre, quando un drappello ellenico ha attaccato il piccolo presidio
italiano dell’isolotto di Gaidaro, uccidendo un uomo e catturandone quattro.
Seguiranno a questo, nei giorni successivi, attacchi lanciati contro Samo
nell’intento di scoraggiare altre azioni offensive da parte greca, ed
effettivamente non si verificheranno più altre sortite greche contro le isole
in mano italiana.
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Il Sella in un bacino galleggiante a Portolago, nell’isola di Lero
(g.c. STORIA militare).
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Inizio 1941
Viene sottoposto ad
alcuni lavori (al pari del Crispi)
per poter operare come nave appoggio di mezzi d’assalto: vengono realizzate a
centro nave alcune selle che ospiteranno sei barchini esplosivi tipo MTM
(Motoscafo da Turismo Modificato) e delle piccole gru elettriche per sollevare
e mettere a mare gli MTM (tre per lato, in coperta a centro nave, così
impedendo, tuttavia, l’impiego dei tubi lanciasiluri). L’equipaggio, sottoposto
a specifico addestramento nelle semplici manovre di messa a mare dei barchini,
riesce a ridurre il tempo della loro esecuzione a soli 30-40 secondi.
Gennaio 1941
Sella
e Crispi prendono il mare per la
prima missione con barchini esplosivi contro la base britannica di Suda,
sull’isola di Creta, ma le navi nemiche, obiettivo dell’attacco, lasciano
frattanto il porto, così che Sella e Crispi, informati del fatto, devono
tornare alla base.
Febbraio 1941
Nuovo tentativo di
attacco contro Suda con i barchini esplosivi da parte di Sella e Crispi, ma la
ricognizione rivela che nella base cretese vi sono solo poche navi e di scarsa
importanza, così che la missione vene nuovamente annullata, ed i due
cacciatorpediniere tornano alla base.
25-28 febbraio 1941
Il 25 febbraio Sella, Crispi e le torpediniere Lupo
e Lince imbarcano a Rodi 240
militari, che devono riconquistare l’isola di Castelrosso, occupata poche ore
prima da 200 commandos britannici nell’operazione denominata «Abstention». Sella e Crispi, preceduti dalle due torpediniere e dai MAS 541 e 546, giungono a
Castelrosso il mattino del 27 febbraio. La flottiglia italiana, appoggiata
anche dalla Regia Aeronautica, è comandata personalmente dall’ammiraglio Luigi
Bianchieri, comandante delle forze navali del Dodecaneso; in tutto vengono
sbarcati 250 soldati ed 88 marinai al comando del tenente colonnello Fanizza.
Il cacciatorpediniere HMS Hereward,
informato dai commandos dello sbarco in corso, aspetta, prima d’intervenire,
l’arrivo del Decoy, distante in quel
momento circa 40 miglia dalla costa; le due unità si mettono poi alla ricerca
delle navi italiane, ma non riescono a trovarle. Dopo lo sbarco ed il
bombardamento il Sella si mette a
pattugliare le acque ad ovest dell’isola (Lupo,
Lince e Crispi a sud) all’infruttuosa ricerca delle navi britanniche aventi
a bordo le truppe evacuate da Castelrosso; niente accade all’infuori di una
scaramuccia notturna, con cannone e siluro, tra il Crispi ed il cacciatorpediniere britannico Jaguar, conclusasi senza danni per ambo le parti. Entro il 28
febbraio, Castelrosso viene riconquistata dalle forze italiane, che catturano
una quarantina di prigionieri.
24 marzo 1941
Il Sella (CC Arturo Redaelli) ed il Crispi, pronti già dal 23, vengono
dislocati a Stampalia in preparazione di un nuovo attacco contro Suda, essendo
finalmente mutato il tempo, rimasto favorevole per le prime due decadi di marzo.
Le due unità giungono nell’isola nel pomeriggio, ormeggiandosi a fianco del
posamine ausiliario Lero (Sella a dritta e Crispi a sinistra), sul quale sono sistemati i piloti dei barchini.
Lo stesso giorno un
bombardiere britannico colpisce il Lero:
le schegge arrecano lievi danni anche al Crispi
(7 morti e 10 feriti) ed al Sella.
Ciononostante, la missione prosegue: i marinai applicheranno sui barchini
esplosivi delle targhette con i nomi dei caduti.
25 marzo 1941
Dopo che, il 24, un
idrovolante ha portato a Stampalia i disegni delle ostruzioni e degli ormeggi
delle navi a Suda, ricavati dalle fotografie scattate dalla ricognizione aerea,
il mattino del 25 i ricognitori segnalano che a Suda sono presenti un
incrociatore pesante, due cacciatorpediniere e 12 mercantili (e che a Suda è
entrato un convoglio di 16 navi): Sella
e Crispi lasciano così l’isola alle
17 (o tra le 16.30 e le 17.30), per portarsi in un punto prestabilito (punto X)
6 miglia a nord della penisola di capo Akrotiri (circa dieci miglia a nordest della
baia di Suda). Raggiunta tale posizione alle 23.30 (23.55 per altra fonte), i
due cacciatorpediniere mettono a mare 6 MTM – operazione che richiede solo
pochi minuti – prima di avviarsi, alle 23.41, sulla rotta di rientro. I
barchini, penetrati nella baia di Suda, otterranno una notevole vittoria,
semiaffondando l’incrociatore pesante York
(mai più riparato) e sventrando la nave cisterna greca Pericles (che, rimasta a galla, affonderà in seguito durante il
rimorchio in Egitto per le riparazioni). I sei piloti degli MTM (TV Luigi
Faggioni, comandante, STV Angelo Cabrini, capo meccanico di II classe Alessio
De Vito, capo meccanico di III classe Tullio Tedeschi, secondo capo meccanico
Lino Beccati, sergente cannoniere Giulio Barberi), come d’altra parte previsto
anche dal piano, vengono catturati.
30 aprile-20 maggio 1941
Partecipa, con altre
unità, all’occupazione delle isole Cicladi.
22 maggio 1941
Su richiesta del
comando tedesco, il Sella parte dal
Pireo alle cinque del mattino insieme al Crispi,
all’anziana torpediniera Monzambano
ed alle più moderne Libra e Lince trasportando truppe tedesche
(alcuni battaglioni di Gebirgsjäger) dirette a Suda, a rinforzo dei reparti che
vi stanno già sostenendo duri combattimenti nell’ambito dell’operazione «Merkur»
per la conquista dell’isola (dopo che altri due convogli di caicchi diretti a
Creta, carichi di truppe tedesche e scortati dalle torpediniere Lupo e Sagittario, sono stati semidistrutto il primo e costretto al
rientro il secondo da attacchi britannici). La situazione a Candia, per le
forze tedesche, è critica, ed è stato richiesto che le cinque navi (che dopo la
partenza dal Pireo hanno diretto verso sud) sbarchino le truppe in aperta
spiaggia, a Maleme. Alle 8.15, però, l’avvistamento, da parte della
ricognizione aerea, di una superiore formazione navale britannica composta da
quattro incrociatori leggeri (Naiad, Perth, Carlisle e Calcutta) e
tre cacciatorpediniere (Nubian, Kandahar e Kingston), le stesse navi nelle quali si era imbattuto il convoglio
della Sagittario (che grazie alla
reazione della torpediniera si era posto in salvo al completo, ricevendo però
ordine di rientro), costringe tuttavia ad ordinare alle cinque navi di tornare
in porto. Durante la navigazione di rientro, alle 8.45, le unità vengono anche
accidentalmente attaccate da bombardieri in picchiata Junkers Ju. 87 “Stuka”
della Luftwaffe, che le scambiano per nemiche: il Sella viene di poco mancato da una bomba, che cade in mare qualche
metro a poppavia sulla dritta, e viene poi anche mitragliato dallo stesso aereo
che ha sganciato l’ordigno. I danni non sono gravi, ma cinque uomini rimangono
uccisi (tre uomini del Sella e due
soldati tedeschi) ed altri 32 feriti (15 italiani e 17 tedeschi).
Le vittime tra
l’equipaggio del Sella sono il
marinaio Mario Toffolo, il marinaio cannoniere Mario Giacinti ed il marinaio
fuochista Ercole De Buono; altri due uomini, il sottocapo elettricista Giuseppe
Fabris ed il marinaio Gregorio Bonaccorso, moriranno rispettivamente il 28 ed
il 30 maggio 1941.
19 settembre 1941
Sella,
Crispi e l’incrociatore ausiliario Barletta lasciano Suda per scortare al
Pireo le motonavi Città di Savona e Città di Marsala.
Alle 14.30 il
sommergibile britannico Torbay (CC
Anthony Cecil Capel Miers) avvista a 9,3 miglia per 020° dall’isola di San
Giorgio (Golfo di Atene) il convoglio italiano. Avvicinatosi a tutta forza,
alle 15.10 il Torbay (nel punto a 9,6
miglia per 003° dall’isola di San Giorgio) lancia quattro siluri da 3660 metri.
Alle 15.15, nel punto 37°45’ N e 23°50’ E, il Crispi avvista le scie di tre siluri, ed un aereo tedesco del 126.
KG le segnala a sua volta, dando la posizione come 37°37.5’ N e 23°55’ E.
Nessuno dei siluri va a segno, e la scorta contrattacca con 14 bombe di
profondità, senza che il Torbay sia
danneggiato. Il convoglio giunge poi al Pireo alle 17.50.
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Vista da poppavia (da “Una giornata
da non dimenticare”, supplemento alla Rivista Marittima n. 1 del gennaio 2004, via
Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)
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26 settembre 1941
Parte dal Pireo insieme
all’incrociatore ausiliario Brioni
(caposcorta al comando del CF Menini) ed alla torpediniera Libra, per scortare a Candia le motonavi Città di Bastia e Città di
Marsala, con truppe della Divisione «Siena», ed i piroscafi Trapani (tedesco) e Sant’Agata (italiano), carichi di rifornimenti italiani e tedeschi.
Il convoglio è diviso in due gruppi che procedono a cinque miglia di distanza
l’uno dall’altro: davanti le due le due motonavi scortate da Libra e Brioni, più indietro i due piroscafi scortati dal Sella.
Alle 5.53 del 27
settembre il sommergibile britannico Tetrarch
(capitano di corvetta G. H. Greenway) avvista il convoglio, ed alle 6.20 il
battello lancia due siluri da 1370 metri contro la Città di Bastia, immergendosi subito dopo in profondità per
sfuggire alla prevedibile reazione della scorta.
Alle 6.21 del 27
settembre le due motonavi, in navigazione a dieci nodi, stanno passando dalla
linea di fila alla linea di fronte, mentre le unità di scorta zigzagano ad
elevata velocità sui fianchi del convoglio (non è ancora arrivato, invece,
l’aereo assegnato per la scorta aerea), quando la Città di Bastia, senza che nessuno da bordo abbia avvistato scie di
siluri, viene colpita da un siluro a poppa sinistra, tra le stive 3 e 4. Un
altro siluro, quasi contemporaneamente, passa 60 metri a poppa del Brioni. La Città di Marsala prosegue per la sua rotta, mentre il Brioni, dopo aver eseguito le
segnalazioni previste per simili casi, subito si avvicina alla Città di Bastia per recuperarne i
naufraghi. Il Sella, avvicinatosi
dopo l’attacco, e la Libra,
frattanto, danno la caccia al Tetrarch
(che alle 7.14 conterà l’ultimo dei 17 scoppi di bombe di profondità, tutti
lontani, per poi tornare a quota periscopica alle 8.13 e vedere Sella e Libra impegnati in caccia antisommergibile 2740 metri a poppavia), con
tutti i mezzi disponibili, anche per evitare che questi possa attaccare il Brioni impegnato nei soccorsi.
Dopo solo un quarto
d’ora, alle 6.36, la Città di Bastia
affonda in posizione 36°21’ N e 24°33’ E, una dozzina di miglia a sud di Milo,
portando con sé 150 dei 582 uomini a bordo. Solo due scialuppe hanno potuto
essere calate; la maggior parte dei superstiti si aggrappa alle zattere di
salvataggio ed ai rottami che galleggiano. Il Brioni mette a mare quattro imbarcazioni per recuperare i
naufraghi; ai soccorsi, ostacolati dal mare agitato, parteciparono anche le due
stesse lance del Città di Bastia e,
dalle dieci del mattino, anche una del Sella.
Nel frattempo arriva sul posto anche la torpediniera Cassiopea.
Alle undici del
mattino le operazioni si salvataggio sono terminate con il salvataggio di 432.
Concluso il recupero
dei superstiti, al comandante del Brioni
non rimane che ordinare a Libra e Sella di scortare a Candia il Trapani ed il Sant’Agata ed alla Cassiopea
di fare lo stesso con la Città di Marsala,
mentre il Brioni stesso rientra al
Pireo.
Il giorno seguente,
alle 8.26, il Tetrarch attacca di
nuovo il convoglio nel canale di Kea, lanciando due siluri contro le navi di
coda, ma questa volta nessuna nave viene colpita.
28 settembre 1941
Sella
e Libra lasciano Iraklion di scorta
alla motonave Città di Marsala ed al
piroscafo tedesco Yalova, diretti al
Pireo.
Alle 23.14 il Tetrarch avvista, a 24 miglia per 170°
dall’isola di San Giorgio (posizione approssimata 37°10’ N e 24°00’ E), il
convoglio in navigazione su rotta 350° alla velocità di otto nodi. Alle 23.29
il sommergibile s’immerge, ed alle 23.37 lancia due siluri (più un terzo
difettoso) contro lo Yalova, da 2300
metri: il piroscafo viene colpito e, con 9 morti a bordo, dovrà essere portato
all’incaglio per evitarne l’affondamento. Dalle 23.37 alle 00.45 del 29 la
scorta reagisce con dieci bombe di profondità, nessuna delle quali danneggia il
Tetrarch.
3 ottobre 1941
Scorta dal Pireo a
Candia, insieme alla torpediniera Castelfidardo,
la nave cisterna Rondine.
6 ottobre 1941
Sella
e Castelfidardo scortano la Rondine da Iraklion a Suda.
7 ottobre 1941
Salpa da Suda alle
8.35 per scortare al Pireo, unitamente alla Castelfidardo,
i piroscafi Trapani e Salzburg, carichi di truppe e materiali
per la Wehrmacht. Alle 10.35, ad una distanza di nove miglia, il sommergibile
britannico Talisman (capitano di
corvetta M. Willmott) avvista il convoglio (sorvolato anche da due idrovolanti)
che poi identifica alle 11.10 nel punto 34°45’ N e 24°08’ E. Alle 11.58 ed alle
11.59, nel punto 35°43’ N e 24°00’ E (circa 15 miglia a nord di Suda), il Talisman lancia un siluro contro il Salzburg (da 2300 metri) e due contro il
Trapani (da 2750 metri), ma tutte le
armi mancano i loro bersagli (una sfiora il Trapani,
un’altra esplode alle 12.02 senza colpire nessuna nave), ed alle 12.09 il Sella dà inizio alla caccia con bombe di
profondità, che prosegue per 35 minuti senza causare danni al sommergibile,
immersosi a 64 metri dopo i lanci. Il convoglio riprende poi la navigazione,
arrivando al Pireo senza altri intoppi.
11 ottobre 1941
Sella,
Castelfidardo, Lupo ed un’altra torpediniera, la Calatafimi, scortano dal Pireo a Kavaliani (presso Salonicco) i
piroscafi Trapani, Elli, Caterina M. e Volodda,
con truppe e rifornimenti della Wehrmacht (Elli e Trapani proseguirono poi da soli per
Salonicco).
15 ottobre 1941
Il Sella salpa dal Pireo per scortare a
Salonicco, insieme alle torpediniere Alcione
e Sirio, un convoglio formato dai
piroscafi tedeschi Burgas ed Artemis Pitta e dalle cisterne Torcello (italiana) e Petrakis Nomikos (tedesca). Alle 8.50,
nel punto 37°40’ N e 23°51’ E (al largo dell’isola di Arsida), il sommergibile
britannico Thunderbolt (tenente di
vascello C. B. Crouch) avvista il convoglio, ed alle 9.53 l’unità lancia tre
siluri da 600 metri contro la Petrakis
Nomikos. L’attacco del Thunderbolt
è totalmente infruttuoso, e dalle 9.58 alle 10.31 la scorta reagisce lanciando
dieci bombe di profondità, che arrecano alcuni danni al sommergibile, specie al
suo sonar. Due unità della scorta rimangono poi in zona per tutto il giorno.
Su ordine del Comando
Gruppo Navale dell’Egeo Settentrionale (Marisudest), il Sella prende il mare e raggiunge un convoglio, in navigazione dal
Pireo a Candia, formato dalle motonavi Città
di Agrigento e Città di Marsala e
dai piroscafi Tagliamento e Salzburg, scortati dalla torpediniera Monzambano e dall’incrociatore
ausiliario Barletta. Il Sella va a rimpiazzare un’altra
torpediniera della scorta, la Lupo,
che si è fermata a dare assistenza alla terza torpediniera della scorta, l’Altair, che ha urtato una mina nel Golfo
di Atene, perdendo la prua. Il convoglio giungerà infine a destinazione, ma l’Altair affonderà, così come la
torpediniera Aldebaran, inviata a
cercarne alcuni naufraghi e saltata anch’essa su di una mina.
22 ottobre 1941
Il Sella, la torpediniera Monzambano e l’incrociatore ausiliario Barletta scortano da Candia al Pireo le
motonavi Città di Agrigento
e Città di Marsala ed il
piroscafo Triton Maris.
25 ottobre 1941
Salpa in mattinata
dal Pireo insieme alla torpediniera Sirio,
per scortare ad Iraklion i piroscafi Monrosa
e Sant’Agata, con truppe e materiali
della Divisione «Siena».
Alle 12.45 il
convoglio, mentre procede sulla rotta di sicurezza tra le isole di Gaidaro e
Phleva (con rilevamento 142°) e sta per incrociare un convoglio minore composto
dal piroscafo tedesco Fanny Brunner e
dalla torpediniera Libra, partiti da
Lero, viene avvistato dal sommergibile britannico Triumph (CC Wilfrid John Wentworth Woods). Il Triumph, dopo aver avvistato il convoglio alla propria sinistra,
manovra per attaccare il Monrosa, che
procede in testa al convoglio. Alle 13.16 il battello lancia da 3200 metri i
primi quattro siluri, contro il Monrosa.
Alle 13.18 il
velivolo tedesco che costituisce la scorta aerea scende in picchiata e lancia
tre bombe contro l’unità nemica, arrecandole lievi danni e costringendola ad
immergersi in profondità (dapprima 37 e poi 46 metri) ed a rinunciare ad attaccare
anche il Sant’Agata, ma pochi secondi
dopo il Monrosa, che ha avvistato
scie di siluri ma non ha manovrato abbastanza prontamente per evitarli, viene
colpito al centro ed a poppa da almeno un siluro, forse due, mentre altri tre
esplodono in costa, sul vicino isolotto di Arsida: scosso dallo scoppio delle
caldaie, il piroscafo affonda di poppa alle 13.30, nel punto 37°41’ N e 23°53’
E, tra Gaidaro e Phleva (circa tre miglia a nordovest dell’isola di Patroclo),
trascinando con sé 148 dei 265 uomini a bordo.
Intanto il Sella, vista apparire una bolla nel
punto in cui sono cadute le bombe dell’aereo, si porta sul posto alla massima
velocità, getta 19 bombe di profondità e lancia in mare un segnale; poi la Libra lo raggiunge, risalendo la scia di
un siluro con rilevamento 230°, poi accostando leggermente a dritta verso il
punto in cui due ricognitori continuano a scendere in brusche e reiterate
picchiate: poco prima di arrivare sul luogo, la Libra vede due grosse bolle d’aria a proravia e lancia su quel
punto sette cariche di profondità, poi inverte la rotta e lanciò altre due
bombe da 100 kg sull’ampia chiazza di nafta che è apparsa in superficie. La Sirio, che si trovava sul lato
settentrionale del convoglio, raggiunge la zona in cui si presume essere il
battello, lancia delle bombe di profondità ed usa anche la torpedine da
rimorchio. Alle 13.45 anche degli Stukas tedeschi scendono in picchiata e
sganciano bombe su un punto a dieci miglia per 270° da Gaidaro, indicando la
presenza del sommergibile al MAS 534,
frattanto sopraggiunto, che vi lancia sei bombe di profondità, vedendo poi
apparire (dopo 15 secondi) tre bolle d’aria di 20 metri di diametro e poi una
densa chiazza di nafta. Alle 15.45 anche il cacciasommergibili ausiliario AS 43 Fedelsono esegue lancio di cariche
di profondità un miglio ad ovest di Gaidaro, avvertendo due esplosioni dopo
l’ottavo lancio, seguite dall’emersione di rottami e nafta e poi persino del
sommergibile stesso – così dichiarerà il Fedelsono
– a 300 metri a poppa del Fedelsono,
che tenta di speronarlo ma non ci riesce perché il sommergibile, notevolmente
sbandato a sinistra, s’immerge di nuovo. Alle 17.34 il MAS 538 raggiunge la zona dell’attacco del MAS 534, notando chiazze di nafta ed alcune bolle d’aria, e
lanciando quasi nello stesso punto due bombe di profondità regolate per 75
metri, dopo le quali aumenta la quantità di nafta ed inizia ad apparire anche
petrolio; poi lancia un’altra bomba a dieci metri di distanza, che fa emergere
una bolla alta mezzo metro, molto scura. Subito dopo, il MAS 538 vede a circa cinquanta metri un ribollire in superficie e
poi una massa scura che pensa essere il sommergibile che tenta di emergere; il
MAS lancia altre due bombe e si appresta a lanciare i siluri, ma la “macchia
scura” scompare.
Da parte italiana si
riterrà che il sommergibile attaccante, danneggiato dal primo contrattacco ad
opera di Sella, Sirio e Libra, sia
riuscito ad allontanarsi di 2,6 miglia, lasciandosi dietro una scia di nafta,
per poi essere sicuramente affondato dai MAS
534 e 538.
In realtà, il Triumph, che durante l’attacco si è
ritirato lentamente verso ovest mentre le esplosioni lo scuotono violentemente,
è stato seriamente danneggiato dall’ordalia di bombe di profondità (delle cui
esplosioni verranno contate, a bordo del battello britannico, tra le 60 e le
70, ma con accuratezza decrescente), ma ne è alla fine uscito, e giungerà ad
Alessandria nove giorni più tardi, con alcuni feriti a bordo.
Lavori di modifica
dell’armamento: le due mitragliere singole Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm
vengono sostituite con quattro, più moderne, Scotti-Isotta Fraschini 1939 da
20/70 mm. Vengono inoltre aggiunti due ulteriori scaricabombe di profondità ai
due già esistenti.
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Il Sella fotografato al Pireo il 18 agosto 1942 (g.c. STORIA militare) |
20 ottobre 1942
Parte da Samo insieme
al Crispi, alle 14.24, per scortare a
Rodi il posamine ausiliario Lero.
Alle 14.30 (diverso fuso orario) uno dei cacciatorpediniere, mentre procede su
rotta 250°, viene avvistato ad otto miglia per 125°, in posizione 36°26' N e
27°54' E dal sommergibile britannico Thrasher
(tenente di vascello H. S. Mackenzie), che dieci minuti dopo avvista anche il
resto del convoglio (formato dal Lero
con uno dei cacciatorpediniere a proravia e l’altro sula dritta). Alle 15.30 il
convoglio accosta, giungendo così a 3200 metri dal sommergibile, che alle 15.35
può lanciare quattro siluri contro il Lero.
La nave viene colpita da due delle armi ed affonda in 17 minuti sei miglia a
sudovest di Simi, con quattro vittime; tutti i naufraghi vengono recuperati da
uno dei cacciatorpediniere, mentre l’altro reagisce con il lancio di 18 bombe
di profondità, nessuna delle quali esplode abbastanza vicina al Thrasher da danneggiarlo. Alle 16.30
anche tre MAS si uniscono alla caccia, ma alle 16.45 Sella e Crispi si
allontanano verso nordovest, così che anche il Thrasher si ritira verso ovest.
25 ottobre 1942
Alle 23.04 la nave
cisterna Arca ed il Sella, che la sta scortando da Instanbul
a Lero, vengono avvistati nel punto 38°48’ N e 25°46’ E (al largo di Chio), ad
otto miglia per 285°, dal sommergibile britannico Taku (TV Arthur John Wright Pitt), che alle 23.28 lancia quattro siluri
da 3660 metri contro l’Arca. Le armi
mancano il bersaglio, ed il Sella
risponde gettando undici cariche di profondità, a partire dalle 23.31, ma
nessuna di esse scoppia vicina al sommergibile.
26 ottobre 1942
Alle 7.40, nel punto
38°04’ N e 25°27’ E (o 38°48’ N e 25°46’ E), il Taku avvista di nuovo il Sella,
ed alle 7.50 avvista anche l’Arca,
più vicina alla costa. Alle 8.04 il battello lancia quattro siluri da 3660
metri, per poi immergersi a 21 metri; questa volta l’Arca viene colpita, ed inizia ad appruarsi. L’equipaggio
l’abbandona sulle scialuppe, mentre il Sella
si allontana verso sud, ed alle 8.14 il Taku
torna a quota periscopica e si prepara a lanciare un altro siluro per finire, se
necessario, il bersaglio, poi scende a 15 metri. L’Arca affonda poco dopo nove miglia a sud di Chio, ed il
sommergibile, dopo averlo constatato tornando a quota periscopica alle 8.39, si
allontana verso est alle 8.46 a seguito dell’arrivo di un aereo. Tutti i 25
membri dell’equipaggio dell’Arca
vengono tratti in salvo.
Altre due immagini del Sella al Pireo, nell’estate 1942 (foto
Aldo Fraccaroli, coll. Domenico Iacono, via www.associazione-venus.it)
7 novembre 1942
Il Sella, insieme al cacciatorpediniere
tedesco Hermes ed ad un
cacciasommergibili, scorta due navi cisterna a Siro, proseguendo poi come unica
scorta delle due petroliere fino a Lero.
7 marzo 1943
Posa un campo minato
antisbarco, con 25 ordigni, nelle acque di Rodi.
8 marzo 1943
Posa un secondo
sbarramento antisbarco di 25 mine al largo di Rodi.
10 marzo 1943
Posa un terzo
sbarramento antisbarco, di 20 mine, presso Rodi.
Successivamente il Sella viene inviato in Italia, adibito a
compiti addestrativi in Mare Adriatico.
22 aprile 1943
Sella,
Castelfidardo ed il
cacciatorpediniere Euro scortano dal
Pireo a Rodi le motonavi Città di
Savona e Donizetti ed
i piroscafi Re Alessandro ed Ardenna.
24 aprile 1943
Sella,
Euro e Castelfidardo scortano gli stessi quattro trasporti sulla rotta di
ritorno da Rodi al Pireo.
Giugno 1943
Inviato a Venezia per
lavori.
Armistizio e perdita
L’annuncio
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, sorprese il Sella a Venezia, al molo dei Giardini,
dove l’anziano cacciatorpediniere aveva da poco terminato alcuni lavori –
iniziati a metà giugno – ai vecchi e logorati motori, il cui funzionamento era
ormai divenuto mediocre dopo tanti anni di servizio e più di cento missioni di
guerra nelle acque dell’Egeo.
All’atto
dell’armistizio, il Sella si trovava
ormeggiato nella darsena grande dell’Arsenale di Venezia, dove avrebbe dovuto
effettuare i collaudi delle macchine al termine dei lunghi lavori di revisione
che le avevano riguardate. Dopo l’iniziale euforia per quella che si credeva
essere la “fine della guerra”, subentrò la giustificata preoccupazione per la
consistente presenza in zona delle forze tedesche, ora divenute nemiche.
Nei concitati momenti
dell’armistizio, l’ammiraglio comandante della base navale di Venezia,
Ferdinando di Savoia-Genova, venne rimpiazzato dall’ammiraglio Emilio Brenta
per poter raggiungere il proprio cugino e sovrano Vittorio Emanuele III in
Puglia, ove questi si apprestava a fuggire. Savoia-Genova pensava di
raggiungere la sua destinazione (Brindisi o Bari) proprio con il Sella, che risultava pronto a partire
entro breve, tanto che l’ammiraglio e duca di Genova vi aveva già fatto
imbarcare i propri bagagli.
Ma le forze tedesche
circondarono rapidamente Venezia, impedendo ogni accesso da terra, e l’11
settembre il Sella ricevette l’ordine
di raggiungere Taranto (già il mattino del 9 settembre l’ammiraglio Brenta
aveva ordinato a tutte le navi in grado di prendere il mare presenti a Venezia
di partire per raggiungere i porti rimasti in mano italiana o sotto controllo
alleato nell’Italia meridionale): Savoia-Genova dovette perciò partire prima
del cacciatorpediniere, volando in Puglia con un idrovolante CANT Z. 506.
Durante le prove, sul
cacciatorpediniere avevano avuto luogo numerosi incidenti, forse causati
volontariamente da membri dell’equipaggio stesso; equipaggio che poi, essendosi
dovuto ricomporre rapidamente ed in maniera imprevista a seguito dell’armistizio,
risultava incompleto, ridotto a poche decine di uomini.
Alcuni membri
dell’equipaggio, che si trovavano in licenza perché la nave era ferma a Venezia
per lavori, erano rientrati precipitosamente a bordo dopo l’armistizio: tra
questi anche il sergente specialista in direzione del tiro Alessandro Coppola,
che, trovandosi in licenza nel paese natale, dopo aver sentito alla radio il
proclama dell’armistizio aveva deciso subito di raggiungere la sua nave,
nonostante le preghiere di genitori e degli amici – che credevano che la guerra
fosse finita – di restare, ed anche di una zia incontrata per strada, in paese,
che lo aveva implorato di cambiare idea. Nonostante la difficile situazione
delle ferrovie, il sergente Coppola era riuscito a giungere a Venezia ed a
salire sul Sella in tempo per la
partenza.
Altri membri
dell’equipaggio, come l’elettricista Vincentino (“Tino”) Maddalon di Arsiè, che
era imbarcato sul Sella dal marzo
1941, non tornavano invece a casa da 30 o più mesi, avendo trascorso anche i
periodi di licenza in porti greci.
Nonostante il ritorno
di parte degli uomini in licenza, sul Sella,
il cui equipaggio risultava comunque incompleto in diversi ruoli, si erano comunque
dovuti imbarcare uomini provenienti da altre navi, e delle specialità più diverse,
per riuscire ad avere un equipaggio sufficiente a prendere il mare.
Nonostante il suo
precario stato (la caldaia numero 2 ancora non funzionava adeguatamente, non
garantendo velocità superiori ai 15 nodi, e si era guastata anche la dinamo,
che tuttavia si era riusciti a riparare prima di partire), il Sella, al comando del capitano di
corvetta Corrado Cini, salpò da Venezia alle 15.30 dell’11 settembre 1943 per
raggiungere Brindisi (o Taranto). A bordo, oltre all’equipaggio, c’erano anche almeno
duecento tra soldati intenzionati a sfuggire alla cattura, sbandati e profughi
civili, che scappavano da Venezia ormai prossima a cadere in mano alle forze
tedesche: quelli che era stato possibile lasciar salire senza sovraccaricare
eccessivamente la nave. Molti di questi “passeggeri” erano originari
dell’Italia meridionale, e speravano di riuscire a tornare alle loro case, od
almeno di avvicinarvisi, con quel viaggio.
Soldati e profughi
erano sistemati alla meglio, dove c’era spazio,
nei corridoi, sulla tuga, in coperta. L’equipaggio, comunque, era ai
posti di combattimento, le vedette all’erta; ci si aspettava anche un possibile
attacco da parte di Stukas tedeschi, coi quali la nave aveva già a avuto a che
fare due anni e mezzo prima, in Egeo.
Alle 16 il Sella imboccò la rotta di sicurezza,
accelerando, ma mezz’ora dopo la caldaia numero 2 andò in avaria e dovette
essere spenta, obbligando la nave a ridurre la velocità a soli 14 nodi, senza
zigzagare. Alle 16.45, ad una dozzina di miglia da Venezia, il cacciatorpediniere
avvistò in rapida successione una motonave carica di militari e civili e poi il
piccolo e vecchio piroscafo Pontinia
in uscita da Venezia, che procedeva lentissimo, alto sull’acqua, apparentemente
scarico, sulla sinistra del Sella ed
intento, perché troppo scartato a sinistra, ad accostare a dritta a 90° per
tornare sulla rotta di sicurezza.
Ad insaputa del Sella, questi era stato appena fermato e
catturato dalle motosiluranti tedesche S
54 e S 61, in navigazione da Taranto
a Venezia al comando del tenente di vascello Klaus Schmidt (imbarcato sull’S 54): le due piccole unità, che avevano
anch’esse avarie ai motori, avevano egualmente seminato morte e distruzione
lungo la loro rotta – dapprima gettando davanti a Taranto mine sui cui
sarebbero poi saltati il posamine britannico Abdiel, il rimorchiatore italiano Sperone ed il dragamine britannico MMS 70, poi catturando ed affondando il piccolo dragamine
ausiliario Vulcania, quindi silurando
ed affondando la cannoniera Aurora ed
infine catturando la motonave Leopardi
ed il Pontinia stesso – ed ora si
apprestavano a sferrare un nuovo colpo. S
54 ed S 61, mentre si stavano
avvicinando al Pontinia (che avevano
incontrato 25 miglia a sudest di Venezia), avevano avvistato e riconosciuto il Sella in avvicinamento. Il tenente di
vascello Schmidt, considerate le malandate condizioni dei motori delle sue
motosiluranti, aveva concluso che uno scontro “a viso aperto” con il
cacciatorpediniere sarebbe stato fatale (non potendo sapere che anche il Sella versava in analoghe condizioni):
solo attaccando a sorpresa e da poca distanza avrebbe potuto eliminare quella
minaccia. L’S 54 si era quindi
avvicinata al Pontinia, e Schmidt ne
aveva costretto l’equipaggio a farlo salire a bordo, insieme a due ufficiali.
Ormai sotto controllo tedesco, il piroscafo aveva manovrato per avvicinarsi al Sella, mantenendo l’S 54 nascosta dietro la murata opposta (quella sinistra), mentre il
cacciatorpediniere transitava a bassa velocità a soli 400 metri dal piroscafo. (Secondo
una versione, Schmidt avrebbe anche fermato due pescherecci e requisito le loro
reti da pesca per mimetizzare il ponte delle motosiluranti, ammainato la
bandiera di combattimento – issandola poi di nuovo al momento dell’attacco – ed
ordinato ai suoi uomini di sparare su chi avesse tentato di gridare o fare
segnali per avvertire il cacciatorpediniere). Sul Sella, dove l’attenzione di comandante ed equipaggio era
concentrata sull’avaria di macchina, non si sospettava di nulla, rassicurati
anzi dalla presenza di mercantili italiani. Alle 17 il cacciatorpediniere era a
venti miglia dall’imboccatura del Passo di Lido, e proseguendo sulla rotta di
sicurezza defilò a proravia del Pontinia
a 400 metri.
La distanza era ormai
abbastanza ridotta per lanciare, quindi il tenente di vascello Schmidt tornò
sulla propria motosilurante (portando con sé due ostaggi, tra cui il
sottotenente di vascello Francesco Toscano, per dissuadere chiunque dal tentare
di avvertire il Sella del pericolo),
mise i motori avanti tutta e passò all’attacco.
Alle 17.45,
improvvisamente, l’S 54 apparve da
dietro la murata del Pontinia, cogliendo
il Sella di sorpresa e lanciandogli
subito contro due siluri – gli ultimi rimasti – da appena un’ottantina di metri:
una vedetta del Sella gridò “Siluri
sulla dritta”, la nave italiana ebbe a malapena il tempo di aprire all’istante
il fuoco con tutte le mitragliere di sinistra, su ordine del comandante Cini e
sotto la direzione del comandante in seconda – tenente di vascello Gustavo
Gianese, genovese –, e di iniziare una manovra evasiva, che fallì per
l’incatastamento del timone, provocato dall’avaria alla caldaia, che impediva
alle macchine di rispondere alla manovra. Sulla plancia del Sella, il sottocapo meccanico navale
Bruno Ferdani, noto tra l’equipaggio come “il postino” perché incaricato della
distribuzione della posta, vide l’S 54
sbucare d’improvviso da dietro il Pontinia,
e sentì il comandante Cini ordinare subito “Avanti tutta!”. Nel disperato tentativo
di virare, si gettarono insieme sul timone il timoniere, il comandante Cini
(che aveva ordinato anche “Tutta la barra a dritta”) e l’ufficiale di rotta, il
giovane sottotenente di vascello triestino Giuseppe D’Henry, ma non servì a
niente. Il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Guido Cervone,
corse in sala caldaie per sollecitare a riparare l’avaria che impediva alla
nave di manovrare.
Era troppo tardi: trenta
secondi dopo il lancio, i due siluri colpirono entrambi il Sella, uno sotto la plancia ed uno in corrispondenza del locale
caldaia numero 1 (sotto il fumaiolo prodiero), facendo scoppiare quella
caldaia. La nave si spezzò in due: la prua affondò quasi subito impennandosi
verso il cielo, la poppa proseguì per altri cento o duecento metri a causa
dell’abbrivio, poi si abbatté sul lato sinistro ed affondò a sua volta, con le
eliche che ancora giravano. Tutto ciò era durato appena un minuto. La tragedia
si era consumata undici miglia ad est-sud-est del Passo di Lido.
Il sottotenente di
vascello Francesco Toscano, prigioniero su una delle motosiluranti e
sorvegliato a vista, aveva assistito impotente all’attacco, venendo di poco
mancato da una raffica di mitragliera del Sella
stesso. Quando il Sella fu colpito ed
iniziò ad affondare rapidamente, l’equipaggio della motosilurante esplose in
grida di felicità, ed alcuni uomini, nella loro euforia, spararono sulla nave
agonizzante con pistole e fucili; il comandante Schmidt riportò in fretta
l’ordine, ordinando ai suoi uomini di mettersi sull’attenti e di tributare
l’onore delle armi al Sella in
affondamento.
Per il sottocapo
Ferdani del Sella, l’“avanti tutta”
del comandante Cini fu seguito dall’esplosione dei siluri. Il ponte di comando
fu lanciato in aria ad una trentina di metri di distanza, mentre il fumaiolo
prodiero crollava. Catapultato in mare, Ferdani riemerse in un mare cosparso di
nafta, in mezzo alle grida di feriti e naufraghi, senza nemmeno aver avuto il
tempo per comprendere appieno quanto fosse accaduto.
Il guardiamarina
ventunenne Duilio Predonzani, direttore del tiro autonomo di poppa, che si
trovava a poppavia del secondo fumaiolo, vide una fiammata immensa innalzarsi
davanti a sé e si coprì la faccia con il braccio destro, che fu fratturato e
ferito in undici punti, poi fu travolto dalla colonna d’acqua sollevata
dall’esplosione, che stava ora ricadendo. Una scheggia gli amputò la punta del
naso, un’altra gli trapassò l’omero. Predonzani credette di annegare, non
riusciva a respirare né a vedere, l’acqua sbatteva il suo braccio ferito sul
ponte. Predonzani pensò a sua madre, poi l’acqua finì di rifluire in mare, e si
ritrovò in mezzo ad un insolito silenzio: tutto ciò che era stato intorno a lui
era andato distrutto, ovunque c’erano solo squarci e lamiere contorte. Il
troncone poppiero aveva già assunto un forte sbandamento sulla dritta, l’acqua
era già giunta al livello della coperta, non restava che entrare in acqua come
in una vasca, senza neanche bisogno di tuffarsi.
Il comandante in
seconda, Gustavo Gianese, rimasto gravemente ferito, si sforzò ancora per
aiutare gli altri a mettersi in salvo. Recuperato dal mare, sarebbe morto pochi
giorni dopo a Venezia. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d’argento al
Valor Militare. Ricevettero la Medaglia di bronzo al Valor Militare a vivente,
per la loro condotta nell’azione, anche il comandante Cini ed il direttore di
macchina Cervone (entrambi rimasti feriti), ed alla memoria il sottotenente di
vascello Giuseppe D’Henry, scomparso nell’affondamento, ed il tenente Fulvio
Mastracchio. I naufraghi annaspavano nel mare tra vaste chiazze di nafta –
quella che non era in fiamme ostacolava i movimenti e faceva annegare più in
fretta – e rottami galleggianti.
Il guardiamarina
Predonzani, che stava perdendo molto sangue e cercava di nuotare con un braccio
solo, raggiunse una zattera carica di marinai, che lo issarono a bordo e lo
posarono sul fondo, accanto ad un altro ferito grave. I marinai tentarono poi
di avvicinarsi al Pontinia, che si
era fermato, ma erano in preda allo shock e, remando tutti insieme – chi con i
remi e chi con le sole mani – facevano girare in tondo la zattera, finché non
fu lo stesso Predonzani ad ordinare di smettere.
Le due motosiluranti
recuperarono una cinquantina di sopravvissuti, poi, poco dopo, si allontanarono
rapidamente dal luogo dell’attacco, lasciando il Pontinia – sotto il controllo di un equipaggio di preda tedesco – e
la motonave Leopardi (pure catturata
dalle motosiluranti e lasciata sul posto, insieme al Pontinia, a recuperare i naufraghi) con il compito di completare il
salvataggio.
Tino Maddalon, mentre
era in acqua, vide i militari tedeschi ammainare la bandiera italiana sul Pontinia – lasciata lì per non destare
sospetti durante l’attacco – ed issare quella tedesca. Maddalon nuotò fin
sottobordo al piroscafo e si appese ad una corda gettata lungo la murata, mentre
le onde lo sbattevano contro lo scafo. Una volta a bordo del Pontinia, lui ed altri naufraghi furono
fatti scendere nella stiva.
La zattera del
guardiamarina Predonzani giunse sottobordo al Pontinia, ed i marinai si arrampicarono a bordo lungo le cime
calate lungo le murate; usando quelle cime, fu issato a bordo anche un ferito
alle gambe. Quando fu il turno di Predonzani, il comandante del drappello di
preda tedesco, mitra alla mano, ordinò al comandante del Pontinia di interrompere il recupero e dirigere su Venezia, ma il
maresciallo coneglianese Giovanni Braido fece in tempo a lanciare una cima
provvista di gassa terminale, che permise al Predonzani di aggrapparvisi ed
essere issato a bordo.
Alcuni altri
naufraghi furono soccorsi più tardi da pescherecci italiani.
Il Pontinia arrivò a Venezia, alla Riva
dell’Impero (che di lì a pochi anni avrebbe mutato nome in Riva dei Sette
Martiri per commemorare un eccidio lì commesso dai nazisti), dove furono
sbarcati i naufraghi, neri di nafta, molti feriti. Tra i superstiti vi fu anche
il direttore di macchina Cervone, recuperato dopo essere rimasto a lungo in
mare con una gamba fratturata. All’arrivo a Venezia, Tino Maddalon ed altri
uomini del Sella saltarono in mare
per scappare poco prima che la nave si ormeggiasse alla banchina, rischiando di
essere schiacciati. Maddalon riuscì poi, in due giorni, a tornare a piedi al
paese d’origine, senza più nulla.
Il bilancio finale fu
pesantissimo: erano morti 27 membri dell’equipaggio del Sella (4 ufficiali e 23 sottufficiali e marinai; 28 uomini per altra
fonte, ma dai volumi dell’USMM risultano invece 21 nominativi di uomini
deceduto in seguito all’affondamento del cacciatorpediniere) e non meno di 170
dei “passeggeri”, forse anche più di 200 o di 300, ma il numero esatto rimane
sconosciuto, dal momento che non erano stati contati al momento dell’imbarco
(il comandante Cini intendeva redigerne una lista completa durante la
navigazione). Per alcune stime i morti furono in tutto 270; secondo il
giornalista e subacqueo Lino Pellegrini (che sul Sella era stato imbarcato come corrispondente di guerra in Egeo
durante l’estate del 1940), vennero successivamente recuperate 240 salme.
I sopravvissuti, in
tutto, non furono che 93 (anche se l’ammiraglio Carlo Gottardi, in un saggio
del Bollettino d’Archivio dell’USMM del 1988, asserì che i superstiti sbarcati
alla banchina del Bacino di San Marco fossero più di 200, subito soccorsi dalla
popolazione del sestiere di Castello e portati, con mezzi di fortuna o
direttamente a braccia, a Sant’Anna, dove ricevettero le prime cure).
I feriti, tra cui
mutilati ed ustionati, furono divisi tra diversi ospedali sulla terraferma
attorno a Venezia; molti morirono per le ferite nei giorni seguenti. Il
comandante Cini (recuperato dal Pontinia),
gravemente ferito al ginocchio, dovette subire l’amputazione di una gamba, così
come un altro ufficiale, il guardiamarina Piazza, cui furono amputate entrambe.
Non fu invece tra i sopravvissuti il sergente Alessandro Coppola, che da
Castellammare di Stabia era accorso sino a Venezia, dopo l’armistizio, per
seguire le sorti della sua nave. Fino alla fine.
Alcuni naufraghi
riuscirono poi a sfuggire e furono nascosti dalla popolazione veneziana per
sottrarli alla cattura da parte delle forze tedesche; alcuni di loro andarono
poi ad unirsi alle formazioni partigiane della zona. Il comandante Cini, curato
a Venezia, venne poi internato in Germania perché giudicato “colpevole” di aver
aperto il fuoco su una nave tedesca. A lui la Brigata Nera «Cavallin» di
Treviso requisì persino l’automobile, definendolo per giunta erroneamente, in
un documento, “ex ammiraglio clandestinamente espatriato”.
Vittime tra l’equipaggio del Sella:
Cesare Ciabatti, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Cienzo, marinaio nocchiere, disperso
Alessandro Coppola, sergente S. D. T.,
disperso
Amedeo Criscuolo, marinaio, disperso
Giuseppe D’Henry, sottotenente di vascello,
deceduto
Domenico Dalino, capo meccanico di terza
classe, disperso
Simone Damonte, marinaio fuochista, disperso
Sebastiano De Martino, marinaio cannoniere, disperso
Giacomo Devecchi, sottocapo S. D. T., disperso
Gustavo Gianese, tenente di vascello, deceduto
in territorio metropolitano il 19.9.1943
Sebastiano Gullino, sottocapo
radiotelegrafista, deceduto
Fulvio Mastracchio, tenente di vascello,
disperso
Giuseppe Matarese, aspirante (Genio Navale),
disperso
Cesare Mora, sottocapo meccanico, disperso
Ottavio Pione, marinaio motorista, disperso
Gennaro Raia, marinaio, disperso
Lionello Re, marinaio, deceduto il 12.9.1943
in territorio metropolitano
Luigi Serra, marinaio nocchiere, disperso
Riziero Simeone, sottocapo cannoniere,
disperso
Paolo Troncossi, sottocapo segnalatore,
disperso
Natale Vannozzi, marinaio fuochista, disperso
La motivazione della
Medaglia di bronzo al Valor Militare conferita al capitano del Genio Navale
Guido Cervone:
“In combattimento
ravvicinato contro motosilurante tedesca sbucata improvvisamente dal ridosso di
un piroscafo, accortosi che contro la propria Nave erano stati lanciati due
siluri, occorreva coraggiosamente in caldaia per sollecitare la riparazione dl
una avaria che impediva la manovrabilità della nave. Rimasto ferito in seguito
alla scoppio di uno del siluri, manteneva sereno contegno esempio di alto senso
del dovere e di noncuranza del pericolo”.
Il riposo del Quintino Sella non sarebbe durato a
lungo. Risale al 1956 il primo tentativo di recupero del relitto, da parte
della società veneziana Navalcost, appartenente all’ingegner Arminio Müller: questi
si era aggiudicato l’asta tenuta dalla Direzione Generale delle Costruzioni
Navali e Meccaniche del Ministero della Marina nel dicembre 1949, al prezzo di
1.200.000 lire. Il relitto era già stato individuato, in maniera casuale,
quando nel giugno 1949 le reti di un peschereccio chioggiotto vi si erano
impigliate, ed il capo palombaro Nello del Grande vi si era immerso e ne aveva
confermato l’identità; Müller intendeva riportare a galla i due tronconi del Sella (imbragandoli in un’imbragatura collegata
a quattro grossi cilindri di spinta che, riempiti d’aria compressa, li avrebbero
riportati in superficie) e rimorchiarli in un cantiere appositamente
predisposto dalla Navalcost alla Giudecca (Sacca Fisola), dove sarebbero stati
alati e demoliti. Il fatto che la nave fosse spezzata in due avrebbe facilitato
il recupero, dato che ogni troncone avrebbe avuto un peso minore rispetto alla
nave intera.
Non essendo un uomo
di mare, l’ingegnere si associò con il marinaio ed aviatore veneziano Bruno
Rocca, che aveva già partecipato alle ricerche del relitto dell’incrociatore
corazzato Amalfi in Alto Adriatico
(1952) ed a recuperi di unità alleate affondate sulla costa normanna. I
preparativi dei lavori risvegliarono anche l’interesse della gente, che voleva
sapere quante fossero le persone perite nell’affondamento del
cacciatorpediniere (tanto che il Gazzettino del 10 gennaio 1956 titolò “Quanti
uomini del Sud dormono nel relitto del Sella?”).
Per prima cosa la
Navalcost compì immersioni esplorative per individuare la posizione più
adeguata, sul fondale di 23 metri, per sistemare i cilindri di spinta, e per
scavare nel fondale stesso, al di sotto dello scafo del Sella, dei fori in cui sarebbero stati fatti passare i cavi
d’acciaio in modo da imbragare il relitto. Tali lavori dovettero essere più
volte interrotti, ogni volta che i palombari trovavano resti di uniformi ed
ossa umane.
Müller richiese poi
alla Marina italiana (Marinarsen) quattro cilindri di spinta che potessero
sollevare 250 tonnellate ciascuno, ma i cilindri, in giacenza a Taranto, gli
furono consegnati solo nell’autunno del 1955, proprio mentre si finiva di
praticare i fori per il passaggio dei cavi d’acciaio. Nonostante l’inverno non
fosse lontano, il proprietario della Navalcost decise di procedere con i
lavori, proponendosi di affondare i cilindri sul relitto stesso nei giorni di
maltempo, e di usarli in quelli di tempo favorevole.
Con l’aiuto di due
rimorchiatori militari dell’Arsenale di Venezia, Müller e Rocca (che dirigevano
le operazioni da un trabaccolo, che ospitava anche i palombari) fecero
posizionare ed affondare i quattro cilindri sul fondale attorno al troncone
poppiero del Sella, nelle posizioni
prescelte. Si attese poi l’arrivo della primavera per riprendere i lavori.
Giunta la primavera
del 1956, la Navalcost riprese le operazioni di recupero del relitto, ma quando
i palombari iniziarono a pompare aria nei cilindri di spinta, per risollevarli
e con essi la nave, dai cilindri iniziò ad uscire aria. Fu necessario
interrompere i lavori, recuperare i cilindri e riportarli a Marinarsen dove
furono riparati; dalle perizie eseguite risultò che i mutamenti di pressione
causati dalle onde delle mareggiate invernali, durante la lunga permanenza sul
fondale, avevano provocato la deformazione di alcuni componenti dei cilindri,
facendo loro perdere la tenuta stagna. Müller aprì una vertenza con Marinarsen,
ritenendo che i cilindri fossero stati difettosi sin dall’inizio
(contrariamente a quanto dicevano i risultati delle perizie; il contenzioso, in
cui Müller chiedeva un risarcimento, sarebbe andato avanti anche dopo la
definitiva rinuncia al recupero), poi decise di ripiegare su palloni
pneumatici, da lui stesso progettati, al posto dei cilindri di spinta.
A titolo di
esperimento, si decise di recuperare con un pallone pneumatico la caldaia prodiera,
del peso di 50 tonnellate: questa, separata dal suo basamento, venne legata ad
uno di tali palloni e, il 19 ottobre 1956, riportata a galla. La caldaia venne
poi rimorchiata in porto e poi trasportata nel cantiere della Navalcost.
Dopo aver ordinato la
produzione dei teli gommati necessari a preparare abbastanza palloni da poter
risollevare l’intero troncone poppiero, ed in attesa della loro realizzazione,
Müller e Rocca decisero di usare l’unico pallone pneumatico disponibile per
recuperare la plancia, che giaceva nei pressi dello scafo ma da essa
interamente separata dalle esplosioni dei siluri che l’avevano strappata dalla
sua sede nel 1943. Anche durante questi lavori furono trovati indumenti ed ossa
umane sparse, che furono recuperate dai palombari e riposte in cassette
zincate. Dopo aver imbragato la plancia, si procedette a gonfiare il pallone,
che iniziò a sollevare la plancia, ma questo si era lacerato durante
l’agganciamento, ed iniziò a perdere aria. Plancia e pallone presero a
sprofondare di nuovo, sino a tornare sul fondale. La plancia, capovolta, si
adagiò vicino al troncone poppiero.
Müller, essendo ormai
i lavori divenuti poco convenienti, dovette ridurre il lavoro della propria
impresa a saltuarie immersioni per il recupero di piccoli oggetti, che alla
fine del 1956 cessarono del tutto a seguito di un tragico incidente: un
palombaro, caduto in mare dal trabaccolo, senza casco, durante la svestizione,
annegò. La Navalcost dovette cessare definitivamente i propri lavori sul Sella, dopo aver recuperato solo una
caldaia, il cofano portabandiera e qualche oggetto della mensa ufficiale, oltre
ad un imprecisato numero di resti umani.
La nave cadde poi nel
dimenticatoio per altri quindici anni.
Il relitto del Sella, ancora in buone condizioni, venne
di nuovo localizzato nel 1971. Furono il subacqueo Michele Da Campo, direttore
del Club Subacqueo San Marco, ed il geologo marinio del CNR Antonio Stefanon
(che aveva ricevuto dal subacqueo veneto Danilo Pellegrini un documento – da
questi reperito dal maggiore Renato Azzarini della Capitaneria di Porto di
Venezia – compilato nel 1953 da Marinarsen ed indicante la posizione dei
relitti affondati nella giurisdizione di Venezia), intenti in una mappatura
degli affioramenti rocciosi, ad individuare a 10,2 miglia per 141° dal
radiofaro del Lido di Venezia, il troncone prodiero; una settimana di ricerche
portò anche a ritrovare il resto della nave.
Questa volta furono i
subacquei Danilo Pellegrini e Roberto Rotelli (quest’ultimo, lavorando in
proprio, si era in precedenza fatto comunicare dall’ingegner Müller la
posizione del relitto e l’aveva poi cercato con il proprio peschereccio, ma
senza successo), messisi in società, ad ottenere la concessione per recuperare
il relitto dalla Capitaneria di Porto, valida dal 28 settembre al 30 novembre
1973 e rinnovabile. Il 24 settembre 1973 Pellegrini e Rotelli si erano
accordati con Müller (la cui Navalcost era intanto entrata in liquidazione) per
recuperare e vendere le parti di maggior pregio del relitto; l’ormai anziano
ingegnere veneziano avrebbe ricevuto una percentuale sui guadagni.
I due tronconi erano
ancora integri, e l’idea era di riportarli a galla, tanto che vennero ordinati
dei cilindri di spinta che sarebbero serviti a sollevare il relitto. Le
operazioni preliminari (condotte da Pellegrini e Rotelli con l’appoggio del
peschereccio G. Battiston e di alcune
piccole imbarcazioni veloci), con l’utilizzo di piccole cariche esplosive
mirate (di non più di 3 hg ciascuna), portarono alla rimozione di tutte le
parti asportabili facilmente identificabili come appartenenti al Sella (timoniera principale compresa la
ruota del timone con il nome della nave, timoniera ausiliaria, telegrafi e
ripetitori di macchina, chiesuola della bussola, sirena, fregi esistenti sulla
poppa; dagli interni della nave, ancora ben conservati, vasellame della mensa
ufficiali ed altro materiale, senza però mai trovare resti umani o piastrine
identificative), parte delle quali vennero poi donate da Pellegrini al Museo
Storico Navale di Venezia ed al Museo Tecnico Navale di La Spezia. Furono poi
asportate le tubature di rame e le valvole di bronzo più facilmente
recuperabili (quelle presenti in coperta od accessibili dagli squarci dei
siluri), e poi, usando cariche esplosive, le eliche furono separate dagli assi
(senza però essere recuperate), e gli ultimi otto metri di poppa vennero
separati dal resto dello scafo per facilitarne la rimozione. Furono aperti un
varco in sala macchine, vicino al condensatore di sinistra (recuperabile con
cilindri), ed uno che permise di accedere al deposito munizioni poppiero e di
recuperare da esso i proiettili da 120 mm, dopo averne rimosso le cariche di
lancio, che furono lasciate sul fondale accanto al relitto.
Terminati questi
primi lavori, essi vennero sospesi per l’inverno, in attesa del rinnovo della
concessione da parte della Capitaneria di Porto: ma questa, il 19 febbraio
1974, rispose che la concessione non poteva più essere data, perché, essendo la
Navalcost inadempiente dal 1960, il contratto da essa stipulato il 23 dicembre
1949 non era più valido (benché questo avrebbe dovuto impedire anche la prima
concessione, che invece era stata data). Nel settembre 1974 Pellegrini chiese
alla Direzione Navale delle Costruzioni Navali e Meccaniche del Ministero della
Difesa di stipulare un nuovo contratto di vendita del relitto, ma non ebbe
risposta.
In quel momento il
relitto era ancora in buono stato, ma era stato deciso l’intervento del Nucleo
Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi (SDAI) del Dipartimento Militare Marittimo
di Ancona allo scopo di bonificare il relitto dal munizionamento ancora
presente. Nel luglio 1974 mucchi di proiettili, bombe di profondità e le
testate dei siluri vennero fatti brillare sul fondale accanto alle murate del Sella, e le esplosioni, investendo il
relitto, fecero crollare il complesso poppiero da 120/45 (che si inclinò di
45°, ostruendo e rendendo pericoloso l’accesso ai locali poppieri) e l’estrema
poppa, bloccando anche le eliche, già separate dai relativi assi durante i
precedenti lavori. Le detonazioni fecero inoltre staccare le incrostazioni
calcaree che avevano contribuito a preservare la nave, ed ebbe inizio un
processo di corrosione galvanica che avrebbe portato ad un rapido peggioramento
dello stato di conservazione del Sella,
fino a ridurlo nelle condizioni attuali.
Per questo, e per
l’emergere di nuove commesse per la Lavori Marittimi Rotelli & Pellegrini (ora
impegnata nell’allestimento e manutenzione degli ormeggi allestiti per le
superpetroliere finite in disarmo nella laguna veneta dopo la riapertura del
canale di Suez) oltre che per il crollo del prezzo dei rottami ferrosi, il Sella non fu mai più recuperato.
Nel settembre 1988,
un piccolo corteo di navi, tra cui i dragamine Sandalo ed Ebano ed il
rimorchiatore Saturno, rese gli onori
ai caduti del Sella, con un picchetto
d’onore, il suono del silenzio fuori ordinanza ed il lancio in mare di due
corone di alloro, benedette da don Amedeo Buoso, cappellano del Collegio Navale
“Morosini”. Presenziarono alla cerimonia, oltre ad autorità civili (il prefetto
Antonio Trotta), militari (l’ammiraglio Giuseppe Laccheri, comandante di Marina
Venezia, ed il tenente colonnello dei “Lagunari” Leonardo Mongelli) e religiose
ed a giornalisti, anche 25 superstiti, ospitati su una motonave messa a
disposizione dall’ACTV, ed i subacquei autori del ritrovamento del relitto. Uno
di questi ultimi, anzi, si vide chiedere da uno degli anziani superstiti, con
tanto di mappa di un corridoio del Sella
rapidamente disegnata, se, durante l’immersione, sarebbe potuto passare dalla
sua cabina e guardare sotto la seconda cuccetta a destra per recuperare la sua
valigia di pelle, che conteneva l’unica foto da lui avuta della sua ragazza del
tempo.
Ancora non era
finita, tuttavia, l’odissea del relitto: nel 1995, infatti, si decise di far brillare
il deposito munizioni rimasto inesploso. Nello stesso anno venne anche
recuperato dal Gruppo Ricerche Subacquee Argo (che dal 1992 faceva immersioni e
filmati sul relitto in cooperazione con la Soprintendenza Archeologica del
Veneto) un portolano, in sorprendente stato di conservazione, donato poi al
Museo Storico Navale di Venezia. Tra i reperti ivi esposti, compresi quelli
recuperati nel 1972, vi sono il timone, la chiesuola della bussola (entrambi
recuperati da Pellegrini e Rotelli nel 1973 e donati da Danilo Pellegrini al
museo nell’ottobre 1989), la bandiera ed un pezzo di scafo con le lettere del
nome Quintino Sella (recuperato dal
nucleo SDAI nel 1974 durante i lavori di bonifica).
Il relitto del Sella si trova oggi a 24-25 metri di
profondità (la profondità minima è 17 metri, quella massima 25), spezzato in
due tronconi all’altezza della plancia, ad una decina di miglia dalle bocche di
Lido (10,5 miglia dal faro di Alberoni-San Pietro in Volta), in posizione 45°
17’,27 N e 012° 34’,58 E (o 45°17’15” N e 12°34’45” E; a dieci miglia dal passo
del Lido, sul parallelo di Pellestrina, ed ad altrettanta distanza dalla bocca
del porto di Malamocco). La sezione prodiera (lunga 27 metri), abbastanza
integra e riconoscibile, è inclinata di 45° a sinistra; si riconoscono l’ancora
(che giace sotto il relitto), un verricello salpancore, una bitta, il complesso
binato prodiero da 120/45 con le canne ruotate verso il basso. Il troncone
centrale-poppiero (lungo 70 metri), che giace ad un centinaio di metri dalla
prua e più verso il largo, è invece pesantemente danneggiato, per quanto si
possano ancora riconoscere due caldaie (una delle quali esplosa per effetto del
siluramento), il complesso binato da 120/45 poppiero, un impianto lanciasiluri
binato, una mitragliera Oerlikon da 20 mm (vicino alla murata sinistra) ed
anche (sotto la murata dritta) i cavi che lì furono passati per agganciarli ai
cilindri di spinta durante i tentativi di recupero. La plancia, semisepolta
nella sabbia, giace nei pressi della poppa. Nei resti della nave, gremiti di
pesci, sono impigliate numerose reti da pesca.
Nel 2009 un’ordinanza
ha vietato le immersioni sul relitto, adducendo a motivo la sua mancata bonifica
(nonostante i brillamenti eseguiti in passato).
Si ringrazia Danilo Pellegrini.