Il Corazziere in transito nel canale navigabile di Taranto (da “Cacciatorpediniere classe Soldati” di Erminio Bagnasco, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate). Durante il
conflitto svolse complessivamente 135 missioni di guerra (tra cui 24 di scorta
convogli), percorrendo in tutto 45.782 miglia nautiche (per altra fonte,
53.000).
Breve e parziale cronologia.
7 ottobre 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
22 maggio 1938
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno.
4 marzo 1939
Entrata in servizio.
11 maggio 1939
Partecipa alla
rivista navale "I", tenuta in onore del reggente Paolo di Jugoslavia.
Giugno 1939
Il Corazziere e gli undici gemelli
ricevono, a Livorno, le rispettive bandiere di combattimento, offerte dalle
Associazioni d’Arma delle diverse Armi di cui i vari cacciatorpediniere portano
il nome.
1939
Il Corazziere forma la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Lanciere, Ascari e Carabiniere. Tale Squadriglia viene assegnata alla scorta
dell’incrociatore pesante Pola, nave
ammiraglia della 1a Squadra Navale (per altra fonte la XII
Squadriglia sarebbe stata assegnata alla scorta della III Divisione Navale –
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano –, ma in realtà questo risulterebbe essere il ruolo
assegnato alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere).
Durante il breve
periodo prebellico, il Corazziere
svolge principalmente attività addestrativa.
Luglio 1939
Compie una crociera
da Gaeta a Malaga e Barcellona.
23 maggio 1940
In mattinata il Corazziere ed il gemello Lanciere salpano da La Spezia per
scortare a Taranto la nuovissima corazzata Littorio,
appena completata. Corazziere e Lanciere scortano la Littorio fino a Messina, poi vengono
sostituiti dai cacciatorpediniere Freccia
e Saetta per il tratto finale del
viaggio.
8 giugno 1940
Il Corazziere (capitano di fregata
Carlo Avegno), il Lanciere (capitano
di vascello Carmine D’Arienzo), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano (capitano di vascello Mario Azzi, nave di
bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo) e Luigi Cadorna (capitano di vascello
Romolo Polacchini) e le torpediniere Polluce (tenente
di vascello Ener Bettica) e Calipso (tenente
di vascello Giuseppe Zambardi), dopo aver imbarcato (in rada gli incrociatori,
a Punta Cugno le altre unità) in tutto 428 mine tipo Wickers Elia (146
sul Da Barbiano, 118 sul Cadorna, 54 su ciascun
cacciatorpediniere e 28 su ogni torpediniera), lasciano Augusta per effettuare
nella notte successiva la posa dello sbarramento offensivo «L K»
(Lampedusa-Kerkennah) nel Canale di Sicilia (tale sbarramento è inteso
soprattutto ad evitare azioni offensive, nelle acque della Tripolitania, da
parte di navi francesi provenienti dalla Tunisia), composto da quattro segmenti
paralleli orientati per 233° («A» di 146 mine, «B» di 118 mine, «C» di 108 mine
e «D» di 56 mine) ma all’ultimo momento si decide di rimandare la missione di
ventiquattr’ore, dunque le navi vengono fatte tornare in porto.
9 giugno 1940
Corazziere, Lanciere, Da Barbiano, Cadorna, Polluce e Calipso partono di nuovo da Augusta
alle 16. Alle 16.45 i due incrociatori, preceduti di 3000 metri da Corazziere e Lanciere, superano le ostruzioni a 26 nodi, poi seguono le rotte
costiere di sicurezza, scortati da due idrovolanti antisommergibile CANT Z
decollati da Augusta. Alle 17.50 si uniscono al gruppo anche le due
torpediniere. Alle 19.30 le navi lasciano le rotte di sicurezza, ed i
cacciatorpediniere si accodano agli incrociatori mentre cessa la scorta aerea
antisommergibile. Alle 20.30 le navi accostano per 222° facendo rotta su
Lampedusa.
10 giugno 1940
Alle 00.03 viene data
libertà di manovra per la posa delle mine, compiuta con rotta 223° e velocità
16 nodi. Corazziere e Lanciere posano le 108 mine del tratto
assegnato, il «D» (lunghezza 10.700 metri, iniziando nel punto 35°03’ N e
11°57’40” E e terminando nel punto 34°59’ N e 11°51’40” E, il tratto più
meridionale dello sbarramento «L K»), tra l’1.49 e le 2.12.
Nel frattempo, le
torpediniere posano il tratto «A» (56 mine) tra l’1.25 e l’1.37, il Da Barbiano posa il tratto «B» (146
mine) tra l’1.03 e l’1.39, ed il Cadorna posa
il tratto «C» (118 mine) tra l’1.25 e l’1.49. La profondità a cui sono posate
le mine è di quattro metri, la distanza tra ogni ordigno di cento metri.
Alle 4.20 le navi del
gruppo si avvistano a vicenda ed iniziano la riunione, conclusa la quale, alle
4.42, comincia la navigazione di rientro verso Augusta, a 25 nodi, con le
siluranti in scorta ravvicinata. Alle 10.15 viene avvistato un idrovolante
quadrimotore francese, proveniente da Malta e diretto verso ovest. Alle 12.25
la formazione (con le torpediniere a proravia degli incrociatori ed i
cacciatorpediniere a poppavia di questi ultimi) imbocca le rotte costiere di
sicurezza della Sicilia, nuovamente sotto la scorta di due idrovolanti CANT Z
antisommergibile inviati da Augusta. Alle 15.45 le navi superano le ostruzioni
ed entrano nel porto di Augusta.
Proprio su una mina
della spezzata «D» dello sbarramento «L K», quella posata da Corazziere e Lanciere, affonderà senza superstiti, tra il 13 ed il 16 dicembre
1940, il sommergibile della Francia Libera Narval
(capitano di vascello François Drogou). Il ritrovamento, nel novembre 1957, del
suo relitto, a 9 miglia per 68° dalla boa numero 3 delle secche di Kerkennah
(cioè proprio nella posizione in cui sono state posate le mine della spezzata
«D»; coordinate 35°03’ N e 11°53’ E), con la prua distrutta da un’esplosione,
confermerà tali circostanze.
10 giugno 1940
Poche ore dopo
l’ultimazione della posa dello sbarramento «L K», l’Italia entra nella seconda
guerra mondiale.
Il Corazziere (capitano di fregata Carlo
Avegno), insieme ai gemelli Ascari, Lanciere (caposquadriglia, capitano di
vascello Carmine D’Arienzo) e Carabiniere,
forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Lo stesso 10 giugno,
alle 19.10, il Corazziere ed il resto
della XII Squadriglia (Ascari, Carabiniere, Lanciere) salpano da Napoli insieme alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta) per
fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra
Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
In mattinata, la VII
Divisione e la XII Squadriglia si uniscono ad un altro gruppo partito da
Messina e composto dagli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III
Divisione Navale) e dai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera).
Le navi procedono poi
nel Canale di Sicilia fino a nord di Favignana, a protezione sia della X
Squadriglia che di un gruppo di unità che rientrano alla base dopo aver posato
un campo minato.
Tutte le navi
rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle 00.20 il Corazziere, insieme al resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
caposquadriglia, Ascari e Carabiniere), alla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera),
all’incrociatore pesante Pola ed
alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano),
salpa da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a
sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al
pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia,
infruttuosa, di naviglio italiano).
(Per altra fonte le
navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico,
segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest;
segnalazione che si rivela poi errata, con conseguente ordine di rientrare alle
basi).
Al contempo salpano
da Taranto, per fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia)
e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Orpheus (capitano
di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di
Malta, avvista il Pola, la III
Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto
da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo
lontano, il sommergibile non attacca.
22-24 giugno 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere
IX e X ed alle Divisioni incrociatori I (Zara, Fiume, Gorizia), II (Giovanni delle
Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) e III (Trento e Bolzano) nonché all’incrociatore
pesante Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a
Squadra Navale, più la I Divisione), per fornire copertura alla VII Divisione
ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione
contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale.
Le forze della 2a
Squadra, partite da Messina (Pola e
III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21
ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto
dello stesso giorno a nord di Palermo.
L’operazione non
porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
7 luglio 1940
Il Corazziere, insieme al resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
caposquadriglia, Ascari e Carabiniere), salpa da Augusta
unitamente all’incrociatore pesante Pola
(nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra),
alla I Divisione Incrociatori (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia) ed alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè
Carducci), mentre da Messina e Palermo prendono il mare le Divisioni
Incrociatori III (Trento, Bolzano) e VII (Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta, Muzio Attendolo,
Raimondo Monteucccoli) e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che – insieme alle unità
salpate da Augusta – compongono la 2a Squadra Navale.
Loro compito è
scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a
Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e
5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da
carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro (salpata
da Catania alle 12 del 7) e Vettor
Pisani e le navi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere
della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle
vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori.
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere è assegnata alla scorta del Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra.
La 1a Squadra
Navale (V Divisione con le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con
sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere
con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione. Comandante
superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera
sulla Cesare.
Le unità della 1a e
della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da
Augusta (Pola, I e II Divisione),
Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII
Divisione).
La 2a
Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la
XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque
incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
Per ordine
dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del
9 sulla dritta di Pola e I
Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con
la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo
stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina,
alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due fallimentari
attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra
(eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord
all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del
mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»;
l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato
l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla
III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in
precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere
segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa
provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così
inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento,
che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non
dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia
mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi
“nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di
interrompere l’attacco e chiarire l’equivoco.
Alle 6.40 la III
Divisione si ricongiunge con Pola e
I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle
artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà
però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite,
si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una
dall’altra: la XII Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione, va a
formare la seconda colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione,
la terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III
Divisione si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la
quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta,
il Bolzano si viene a
trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini,
finisce in coda.
Tra le 13.15 e le
13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di
cui la XII Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in
corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da
Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici,
decollati dalla Eagle alle
11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno
trovato, provengono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da
poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere
sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30
metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli
incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un
violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di
essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al
gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad
est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori
leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei
incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare,
nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di
serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per
avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i
cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra
i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm) facendo
sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche. Tuttavia queste
ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni degli incrociatori
pesanti italiani, dei quali solo il Trento spara
tre salve contro di esse.
Nella seconda fase,
la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e
tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio
Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori
leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester),
che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco
efficace.
Alle 15.59, però,
la Cesare, la nave ammiraglia,
viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità.
A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in
mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle
basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di
cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean
Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XII Squadriglia va
all’attacco alle 16.07, partendo da una posizione un poco più arretrata
rispetto alla XI Squadriglia e passando a poppavia del Pola. I quattro cacciatorpediniere dirigono immediatamente in modo
da ridurre le distanze con la testa della flotta britannica e stringere il beta
del nemico, ma si ritrovano immersi nelle cortine nebbiogene emesse dalle unità
della XI Squadriglia, che li precedono; l’atmosfera nebbiosa e fumosa che li
circonda complica notevolmente l’attacco dei caccia della XII Squadriglia, che
riescono a vedere i bersagli soltanto a tratti, in modo saltuario (tale
atmosfera fosca, insieme alle forti rollate, rende anche molto difficile la
rilevazione dei dati cinematici).
Alle 16.12 il
caposquadriglia D’Arienzo, sul Lanciere,
stima che il grosso della flotta britannica (probabilmente le navi da lui viste
sono gli incrociatori della 7th Cruiser Division) stia accostando
verso i cacciatorpediniere da una distanza di circa 19.000 metri (con Rb.
300°), pertanto accosta verso sinistra in modo da riaprire il beta e mantenerlo
favorevole, manovrando per farsi scadere sul beta mentre le distanze calano
fino a 15.000 metri; un aereo solitario, un idrovolante Short Sunderland,
attacca le unità della XII Squadriglia, che sono al contempo fatte oggetto del
tiro di due gruppi di incrociatori nemici.
Alle 16.22, giunto a
14.000 metri dalle corazzate nemiche e con un beta 30° da esse, il
caposquadriglia Lanciere – che sta
per ordinare di lanciare – stima che le navi nemiche abbiano invertito la
rotta, pertanto decide di rinunciare momentaneamente al lancio ed ordina di
accostare a sinistra. Alcuni secondi prima, tuttavia, il Corazziere ha già lanciato tre siluri contro quello che stima
essere il gruppo delle corazzate britanniche, che stanno in quel momento
irrompendo nella zona della “mischia” tra i cacciatorpediniere; al contempo
anche l’Ascari ha lanciato un siluro
contro un incrociatore, tutti senza risultato (due di essi, probabilmente, sono
i siluri che mancano a poppa il cacciatorpediniere britannico Nubian). Subito dopo, la XII Squadriglia
inverte la rotta sulla sinistra, assumendo rotta sudovest; su tale rotta i
cacciatorpediniere si trovano per circa mezz’ora ad essere violentemente
cannoneggiati da pezzi di medio calibro (120 e 152 mm) delle corazzate e degli
incrociatori nemici, rispondendo a loro volta vivacemente con i pezzi da 120 mm
(in tutto le unità della XII Squadriglia sparano 347 colpi di tale calibro,
entrando ed uscendo dalla cortina fumogena per una dozzina di volte mentre
navigano, sostanzialmente, di conserva con la flotta britannica). Alle 16.45 il
Lanciere lancia a sua volta tre
siluri, in ritirata, contro due incrociatori, senza colpire. Si tratta in
assoluto dell’ultimo lancio di siluri nella battaglia di Punta Stilo; dopo di
esso, le squadre italiana e britannica si perderanno definitivamente di vista.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e
14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da
11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi
secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i
bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica.
Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed
Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra
navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le
stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti,
apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti
l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni
degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco
riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma
alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in
intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean
Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un
bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia
(XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco
amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire
equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di
emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle
esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
Il grosso della
flotta italiana dirige su Augusta, eccetto la III Divisione e la
danneggiata Cesare, che fanno
rotta per Messina, dove giungono alle 21 del 9 luglio. (Apparentemente la XII
Squadriglia non risulterebbe tra le squadriglie inviate ad Augusta, pertanto è
probabile che abbia accompagnato la III Divisione a Messina).
30 luglio-1° agosto 1940
Il Corazziere prende il mare, insieme al
resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, Ascari, Lanciere, quest’ultimo caposquadriglia),
alla IX Squadriglia (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè
Carducci) ed alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia),
nonché alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia),
alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia, Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi, Muzio Attendolo
e Raimondo Montecuccoli con i
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino
della XIII Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante
superiore in mare) e Trento, per
fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito
dell’operazione «Trasporto Veloce Lento».
Tali convogli sono
tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità)
è formato dalle navi da carico Maria
Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di Lana e dall’incrociatore
ausiliario Città di Bari (qui
usato come trasporto) scortati dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da
Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti
truppe Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati fino alla
Sicilia dalle torpediniere Circe, Calipso, Calliope e Clio e poi
dalle torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel;
il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro,
scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione
dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte
numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e
dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della
notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da
Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere
dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati
l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del
28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due
convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la
Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Corazziere. Quest’ultimo, insieme al
resto della XII Squadriglia, viene inviato a rinforzare la scorta del convoglio
n. 2 nel primo tratto della navigazione tra Sicilia e Libia.
La I e VII Divisione,
insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere che ad essi si è unita, si portano in posizione idonea a
proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a
Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non
vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e
rientra alle basi.
Tutti i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
4 agosto 1940
Corazziere ed Ascari, insieme
alle torpediniere Curtatone e Castelfidardo (che lasciano la
scorta nel pomeriggio), salpano da La Spezia in mattinata per scortare a
Messina l’incrociatore pesante Bolzano,
che ha completato le riparazioni dei danni subiti a Punta Stilo. Durante il
giorno le navi sono protette anche da aerei antisommergibili.
5 agosto 1940
Corazziere, Ascari e Bolzano giungono a Messina in tarda
mattinata.
Il Corazziere nel 1940 (Coll. Aldo Fraccaroli via Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
31 agosto 1940
Alle 6 del mattino la
XII Squadriglia (Corazziere, Ascari, Lanciere e Carabiniere)
salpa da Taranto scortando l’incrociatore pesante Pola per partecipare, insieme al grosso della flotta da battaglia,
al contrasto all’operazione britannica «Hats» (consistente in varie
sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la
Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant,
della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo). Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
(Secondo un’altra
versione, invece, la XII Squadriglia sarebbe salpata da Messina lo stesso
giorno insieme alla III Divisione ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere,
unendosi con esse al grosso della flotta in un secondo momento).
Complessivamente,
all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate
delle Divisioni V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto), 12 incrociatori delle
Divisioni I (Zara, Fiume, Gorizia), III (Trento, Trieste, Bolzano), VII (Eugenio di
Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo) e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi)
più l’incrociatore pesante Pola (nave
ammiraglia della 2a Squadra, ammiraglio Angelo Iachino) e 39
cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta e Strale della
VII Squadriglia; Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno dell’VIII
Squadriglia; Maestrale, Grecale, Libeccioe Scirocco della
X Squadriglia; Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera della
XI Squadriglia; Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia; Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia; Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno della XV Squadriglia; Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare della XVI
Squadriglia). La III Divisione si riunisce al grosso della squadra
italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
I e III Divisione
Divisione formano la 2a Squadra (che precede il grosso delle
forze italiane).
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII
e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite sotto il
comando dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, dirigono per lo Ionio
orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo
tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità
troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il
centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il
grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di
intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di
rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione
più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche.
L’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra,
ha chiesto alle 16.20 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate da ricognitori alle 15.35 a 120 miglia di
distanza dalla 2a Squadra. Campioni gli ha dato l’autorizzazione
alle 16.31, ma revoca l’autorizzazione alle 16.50 (comunque la 2a Squadra
non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie), ed alle
17.27 ordina alla 2a Squadra di invertire la rotta ed assumere
rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di portarsi per le
sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20 nodi, in un punto 36 miglia ad
ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le forze nemiche lungo la rotta
155°, a nord della congiungente Malta-Zante; dunque deve cambiare la propria
rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo
più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante.
1° settembre 1940
Durante il mattino il
vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta
burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal
Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma
con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia
le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la
mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi;
tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture)
dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno
tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si
concretizzerà alcuna nuova occasione.
7 settembre 1940
Corazziere, Ascari e Carabiniere, che formano la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere, lasciano Taranto alle 16, insieme al
cacciatorpediniere Vittorio Alfieri della
IX Squadriglia, al Geniere della XI
Squadriglia, all’incrociatore pesante Pola
ed alla I (incrociatori pesanti Zara e Gorizia) e III Divisione Navale
(incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano), cioè alla 2a Squadra Navale, nonché alla
1a Squadra con la IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta), VIII (Folgore, Fulmine, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco)
e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
La flotta italiana,
che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50
miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la
Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in realtà tale
formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in
Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare:
dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze
francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico,
gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della
congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per
le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III
Divisione rispettivamente).
9 settembre 1940
Le navi rientrano
alle rispettive basi, si riforniscono di carburante e rimangono pronte a
muovere, ma non ci sono novità sul nemico.
5 ottobre 1940
Il Corazziere ed il resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere – caposquadriglia – e Carabiniere) partono da Taranto in
serata scortando le due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano
Venier, dirette a Lero e cariche di rifornimenti destinati alle isole del
Dodecaneso. L’invio di questo convoglio è denominato Operazione «C.V.».
6 ottobre 1940
In mattinata prendono
il mare due gruppi di incrociatori pesanti incaricati di fornire protezione al
convoglio: da Messina parte la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano)
con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera), mentre da Taranto salpano la I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia),
l’incrociatore pesante Pola (nave
ammiraglia della 2a Squadra Navale) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci).
L’operazione viene
però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea
dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11-12 novembre 1940
Il Corazziere si trova ormeggiato in
Mar Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Geniere, Camicia Nera, Carabiniere, Lanciere, Ascari, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
al posamine Vieste ed al
rimorchiatore di salvataggio Teseo),
quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la
corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Tra le 14.30 e le
16.45 del 12 novembre la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (di cui è sempre
caposquadriglia il Lanciere), insieme
alla III Divisione, lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi a
Messina. Il Corazziere esce dal Mar
Piccolo alle 11.30, ed il suo equipaggio può così vedere gli effetti
dell’attacco della notte precedente: la Cavour
affondata, la Duilio incagliata per
evitare la stessa fine, la Littorio
con il ponte di prua semisommerso.
16 novembre 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Corazziere, Lanciere, Ascari, Carabiniere)
salpa da Messina alle 10.30, insieme alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), per partecipare
all’intercettazione di un gruppo navale britannico diretto verso est. Una
formazione britannica (la Forza H dell’ammiraglio James Somerville, con le
portaerei Argus e Ark Royal, l’incrociatore da
battaglia Renown, gli incrociatori
leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle ed otto cacciatorpediniere),
salpata da Gibilterra e con rotta verso levante, è stata infatti avvistata nel
Mediterraneo occidentale: è in corso l’operazione britannica «White»,
consistente nel lancio, da parte della portaerei Argus della Forza H, di 14 aerei destinati a rinforzare le
modeste forze aeree di base a Malta, nonché un’azione di bombardamento di
Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed
il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente
alla partenza da Messina di III Divisione e XII Squadriglia, da Taranto
prendono il mare le corazzate Vittorio
Veneto (nave di bandiera del comandante della 1a Squadra,
ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare) e Cesare, il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino,
comandante la 2a Squadra) e la I Divisione con Fiume e Gorizia (da
Napoli) nonché le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Gioberti, Alfieri, Oriani, Carducci), XIII (Bersagliere,
Granatiere, Fuciliere, Alpino);
da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello).
La III Divisione e la
XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si uniscono al grosso della squadra,
partito da Napoli, nel pomeriggio del 16.
La forza così riunita
sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso
l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14
nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa
difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 la squadra
britannica viene avvistata da ricognitori, che però non ne precisano né la
rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando
di riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono esercitazioni
di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sebbene non vi sia
stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze
italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»:
l’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta,
infatti, ha indotto Somerville a far decollare gli aerei dall’Argus in anticipo, tenendo la
portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto
inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli
aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati
dall’Argus (dodici Hawker
Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua)
giungeranno a Malta: gli altri nove esauriranno il carburante e precipiteranno
in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del
vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso
Siracusa, venendo catturato.
26 novembre 1940
Alle 12.30 il Corazziere lascia Messina insieme al
resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere – caposquadriglia –, Ascari
e Carabiniere, quest’ultimo
temporaneamente sostituito dal Libeccio)
ed alla III Divisione (Bolzano, Trento e Trieste, nave ammiraglia dell’ammiraglio Luigi Sansonetti,
comandante la III Divisione), mentre da Napoli escono le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione Navale (Fiume
e Gorizia) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Saetta e Dardo), IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
La formazione
italiana si riunisce nel punto 39°20’ N e 14°20’ E, 70 miglia a sud di Capri,
alle 18.00, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un
convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione
"Collar". Tale convoglio, entrato in Mediterraneo il 24 novembre, è
composto dai mercantili New Zealand Star,
Clan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Despatch, l’incrociatore antiaerei Coventry, i cacciatorpediniere Duncan, Wishart ed Hotspur e le
corvette Hyacinth, Peony, Salvia e Gloxinia. La
Forza F di protezione ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende
l’incrociatore pesante Berwick e gli
incrociatori leggeri Manchester, Newcastle, Sheffield e Southampton,
mentre come forza di copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H
(ammiraglio James Somerville) con la corazzata Ramillies, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark
Royal e undici cacciatorpediniere (Kelvin,
Jaguar, Encounter, Faulknor, Firedrake, Fury, Forester, Gallant, Greyhound, Griffin e Hereward).
27 novembre 1940
Alle otto del mattino
la III Divisione e la XII Squadriglia si trovano a cinque miglia per 180°
dal Pola, nave ammiraglia della
2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III Divisione; il
tutto sotto il comando dell’ammiraglio Iachino), con rotta 250° e velocità 16
nodi, mentre la I Divisione è insieme al Pola e la 1a Squadra (le due corazzate ed i
cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia; ammiraglio Campioni) è
più a poppavia.
La formazione
italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove
miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi
britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che
possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene avvistato alle 9.45
da un idroricognitore lanciato dal Bolzano
alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90°
e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05
dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo
il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche;
continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione
indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento
è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della
presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la
formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico
e tagliargli la rotta.
Alle 11.01 la III
Divisione riceve ordine da Iachino di portarsi a poppavia (a tre miglia per
270°) del resto della 2a Squadra, ed alle 11.28 l’intera
formazione assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che
(dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da
quella prevista.
Durante l’inversione
di rotta conseguente all’ordine delle 11.01, tuttavia, si verifica una certa
confusione causata dall’errata interpretazione di un segnale da parte del Trento (che per invertire la rotta
vira di contromarcia, mentre gli altri due incrociatori virano ad un tempo),
così che il Trieste, nave
ammiraglia, finisce al centro della formazione, invece che in testa, e la III
Divisione si ritrova arretrata rispetto al resto della 2a Squadra:
ultima della formazione, 8 km a poppavia della I Divisione.
Alle 11.35 la 2a Squadra
riceve dall’ammiraglio Campioni di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla
sua nave ammiraglia (la Vittorio
Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile
direzione d’avvicinamento della squadra britannica.
A mezzogiorno il Lanciere viene colto da un’avaria di
macchina, restando fermo per un breve lasso di tempo; in conseguenza di ciò, la
XII Squadriglia rimane un po’ arretrata.
Alle 12.07, in
seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a
quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di
sicura superiorità), essendosi i due gruppi riuniti, l’ammiraglio Campioni
ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il
combattimento, e tre minuti dopo ordina alla 2a Squadra di
aumentare la velocità per riunirsi alle corazzate, pertanto la 2a Squadra
accelera a 25 nodi, poi a 28.
Alle 12.15, tuttavia,
le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro
cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le
siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta,
ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori,
corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark
Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), Sheffield, Southampton, Newcastle e Manchester (leggeri), oltre a
numerosi cacciatorpediniere. In questo momento la III Divisione si trova in
linea di fila 8 km a poppa della I Divisione, con rotta 90° e velocità 25 nodi,
in aumento (le corazzate sono invece a proravia della I Divisione). A seguito
dell’avvistamento delle forze nemiche, l’ammiraglio Campioni ordina di
incrementare ancora la velocità. Inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi,
gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione
dal Pola e da quelli della
III Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una
distanza di 21.500 metri (Pola e
I Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori
britannici (uno, il Manchester,
viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento,
scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano il loro tiro
contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra,
in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare
con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea
di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di
Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro, le
navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi
esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono
tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del
combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di
18.000 metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III
Divisione (che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in
ritardo rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno
ancora raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di
allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche
difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli
incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella
loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del
fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a
causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti
britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e
poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla
combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III
Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15,
quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm
degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35, l’incrociatore
pesante britannico Berwick: la
prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre da
203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali e locali
adiacenti, ma il Berwick continua
a fare fuoco.
Proprio mentre il Berwick viene colpito, tuttavia, anche
da parte italiana si registrano gli unici colpi a segno della giornata. Durante
lo scontro tra gli incrociatori, la XII Squadriglia – scadendo sulla dritta a
causa delle avarie che avevano in precedenza afflitto il Lanciere – si viene a trovare ad est della III Divisione, e dunque
in posizione più prossima al nemico rispetto a quest’ultima; diverse salve
britanniche da 152 mm cadono nei suoi pressi, ed intorno alle 12.33 una granata
da 152 (forse sparata dall’incrociatore leggero Southampton) colpisce il Lanciere,
fermandone la motrice poppiera. La nave riesce a proseguire a 23 nodi,
ordinando ad Ascari e Carabiniere di coprirla con cortine
fumogene; ma alle 12.40, mentre si sta spostando verso ovest passando a poppavia
della III Divisione, il Lanciere
viene colpito altre due volte. Sebbene gravemente danneggiato, esso mantiene
buone condizioni di galleggiabilità e riesce a sottrarsi al tiro nemico grazie
alle cortine nebbiogene; grazie ad esse, infatti, l’incrociatore Southampton, che l’aveva tenuto sotto il
suo fuoco per undici minuti, lo perde di vista e cambia bersaglio. A causa
dell’esaurimento dell’acqua per alimentare le caldaie (causato dalla rottura
delle tubolature dell’acqua, provocata dal secondo colpo a segno), tuttavia, il
Lanciere è costretto a spegnerle ed a
fermare le macchine, restando immobilizzato intorno alle ore 13.
Fino alle 12.40 le
navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la
III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più
vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane); in
questa fase la III Divisione, mentre la velocità aumenta progressivamente fino
a 34 nodi, aumentando le distanze con le navi nemiche, di quando in quando
accosta in modo da sparare con tutte le artiglierie invece che con le sole
torri poppiere. Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente,
trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire
nulla.
Nel frattempo anche
la 1a Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed
alle 13.00 la Vittorio Veneto apre
il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano
a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a
cessare il fuoco già alle 13.10.
Alle 13.15, dopo la
rottura del contatto balistico tra le due flotte, il Lanciere comunica di essere rimasto immobilizzato per mancanza
d’acqua; alle 13.16, pertanto, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione
di dare assistenza al cacciatorpediniere colpito. Dopo alcune discussioni tra Iachino
e Sansonetti (che non nutre dubbi sull’utilità di tornare indietro con tutta la
divisione per assistere un solo cacciatorpediniere), la III Divisione ritorna
nel punto in cui si trova l’immobilizzato Lanciere, che alle 14.40 – per ordine di Sansonetti – viene preso a
rimorchio dal gemello Ascari.
Alle 15.35, mentre i
due cacciatorpediniere iniziano a mettersi in moto, la III Divisione viene
violentemente attaccata da sette bombardieri britannici Blackburn Skua
(appartenenti all’800th Squadron della Fleet Air Arm, e guidati
dal tenente di vascello R. M. Smeeton), decollati alle 15 dalla portaerei Ark Royal. Gli Skua, senza attaccare i
due cacciatorpediniere intenti nella delicata manovra di rimorchio (che non
sembrano avere avvistato), bombardano in picchiata (con bombe da 227 kg) gli
incrociatori di Sansonetti, che reagiscono con pronte manovre e con intenso
tiro contraereo (pur senza colpire alcun velivolo). L’Ascari molla il rimorchio per avere maggior libertà di manovra
sotto l’attacco, ma per fortuna i bombardieri si concentrano sugli incrociatori
della III Divisione anziché sul Lanciere,
bersaglio lentissimo e molto più facile. Nessuna nave viene colpita, sebbene
cinque delle bombe da 500 libbre cadano molto vicine al Bolzano ed al Trento.
Concluso l’attacco,
l’Ascari torna a prendere a rimorchio
il Lanciere e dirige verso Cagliari a
lento moto (velocità di 6-7 nodi), scortato a distanza dalla III Divisione sino
al tramonto. Anche il Corazziere
scorta il gemello danneggiato; Lanciere
ed Ascari, protetti fino alle 18 da
una scorta aerea di caccia FIAT CR. 42, raggiungono Cagliari senza ulteriori
inconvenienti.
Sopra, una foto scattata dal Corazziere durante la battaglia di Capo Teulada; sotto, altre immagini scattate forse nella medesima circostanza (g.c. Mario Mandina)
9 gennaio 1941
Durante il pomeriggio
il Corazziere, insieme ad Ascari, Carabiniere ed Alpino,
bombarda con le sue artiglierie le posizioni greche nella zona di Grieseraci e
Pikerasi (Piqeras), sulla costa albanese, in appoggio alle truppe di terra
italiane, impegnate in duri combattimenti contro le forze greche le quali,
invaso l’Epiro con la propria controffensiva, minacciano Valona. Siffatte
azioni di bombardamento avvengono in seguito a richiesta da parte del Comando
Superiore delle Forze Armate in Albania.
Mentre sono impegnati
nel bombardamento, il Corazziere e
gli altri cacciatorpediniere godono della protezione a distanda delle Divisioni
Navali VII (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia e Raimondo Montecuccoli)
e VIII (incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi e Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi) nonché di un quinto incrociatore leggero, l’Armando Diaz.
Da parte greca si
reagisce col fuoco di artiglierie di medio calibro, ma nessuno dei
cacciatorpediniere viene colpito. Quella compiuta da Corazziere e gemelli è l’ultima di una serie di azioni di
bombardamento costiero eseguite da siluranti italiane per contribuire a fermare
l’offensiva greca che ha per obiettivo Valona; il giorno seguente, 10 gennaio,
l’offensiva ellenica si esaurisce, senza aver conquistato Valona.
25 gennaio 1941
Nel pomeriggio il Corazziere (caposquadriglia, capitano di
vascello Carmine D’Arienzo) esegue, insieme ai gemelli Ascari e Carabiniere, un’altra
azione di bombardamento navale contro le posizioni greche sulla costa albanese,
nella zona di Pikerasi (Piqeras), Kieparò (Qeparo), Porto Palermo e San
Demetrio, per appoggiare le truppe di terra italiane nei combattimenti in corso
nell’Albania meridionale.
Il 14 gennaio, pochi
giorni dopo il fallimento della loro offensiva contro Valona, le truppe greche
hanno lanciato un nuovo attacco sul fronte a mare, lungo la strada costiera
Himara-Vunoj-Ducati-Valona; dopo dieci giorni di attacchi e contrattacchi da
ambo le parti, il 25 gennaio le forze greche hanno costretto quelle italiane ad
arretrare, e proprio in seguito a ciò è stato disposto il bombardamento del
settore costiero da parte di Corazziere,
Ascari e Carabiniere. L’azione di cannoneggiamento eseguita dalla XII
Squadriglia, e diretta dal comandante D’Arienzo del Corazziere, risulta piuttosto efficace: grazie anche all’intervento
delle artiglierie navali, infatti, la sera stessa del 25 gennaio la 6a
Divisione Fanteria "Cuneo" può compiere un’azione di alleggerimento a
sudest di Vunoj, ed il giorno seguente si sviluppa un contrattacco italiano che
porterà, entro inizio febbraio, a riconquistare tutto il terreno perso nei
giorni precedenti.
8 febbraio 1941
Alle 7 del mattino Corazziere e Carabiniere, insieme alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) dell’ammiraglio Luigi
Sansonetti (imbarcato sul Trieste),
salpano da Messina alla volta di La Spezia, a seguito di un ordine di
Supermarina impartito alle 19.30 del 7 febbraio. L’ordine è stato dato a
seguito della segnalazione di una nutrita formazione navale nemica al largo
delle Baleari (per altra versione la partenza della III Divisione sarebbe stata
disposta da Supermarina quale misura precauzionale, in vista dell’incontro tra
Benito Mussolini e Francisco Franco fissato per l’11 febbraio, per
l’eventualità che la Royal Navy volesse compiere un’azione spettacolare, con
finalità principalmente psicologiche, contro le coste italiane).
Al contempo, da La
Spezia escono in mare le corazzate Vittorio
Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino), Giulio Cesare ed Andrea
Doria e la X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Granatiere, Fuciliere, Alpino). L’invio a La Spezia della III Divisione con relativa
scorta è motivato dal proposito, da parte di Supermarina, di costituirvi una
forza navale razionalmente composta insieme alle altre unità salpate dalla base
ligure: scopo dell’uscita è l’intercettazione dell’aliquota della Forza H
britannica (incrociatore da battaglia Renown,
corazzata Malaya,
portaerei Ark Royal,
incrociatore leggero Sheffield,
cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake),
che si sa essere uscita da Gibilterra. La Forza H sta facendo rotta su Genova
con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (operazione «Grog»); ma
l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani, che pensano potrebbe
invece trattarsi di un nuovo convoglio verso Malta o di un’azione diretta
contro obiettivi della Sardegna occidentale (come già accaduto il 2 febbraio,
quando aerei dell’Ark Royal hanno
infruttuosamente attaccato la diga del Tirso).
Alle 11.45, al largo
di Napoli, anche un terzo cacciatorpediniere, il Camicia Nera, si unisce, come da ordini, alla scorta della III
Divisione.
Il Corazziere nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)
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9 febbraio 1941
Poco dopo le otto del
mattino, come da disposizioni, la III Divisione si riunisce, 40 miglia ad ovest
di Capo Testa sardo (a nord dell’Asinara), alle forze navali uscite da La
Spezia, ed alle 8.25 l’intera formazione (sotto il comando dell’ammiraglio
Iachino) assume rotta 230°, dirigendo per quella che è ritenuta la probabile
zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione
sia diretta contro la Sardegna.
Tale rotta,
controvento, permette anche di catapultare gli idroricognitori: per ordine
dell’ammiraglio Iachino, il Bolzano catapulta
il suo IMAM Ro. 43 alle 8.55, seguito dal Trento alle 9.35; i due aerei hanno il compito di cercare il
nemico verso sud e sud-ovest, ma in realtà la Forza H si trova 170 miglia più a
nord dell’aerea oggetto della ricerca.
La squadra italiana
non riesce a raggiungere la Forza H prima che il bombardamento di Genova si
compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra italiana, del
tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo dell’Asinara, e
la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad ovest della
Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da 152 mm e 405
da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici, uccidendo 144
civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene inviata alla sua
ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi italiane assumono
rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle informazioni pervenute
con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord, con la III Divisione in posizione
avanzata 10 km a proravia delle corazzate. Procedendo verso nord la visibilità
(20.000 metri) e le condizioni meteomarine vanno migliorando, sebbene il cielo
rimanga coperto da nuvole alte. Alle 12.35 il Trieste catapulta il suo idrovolante con l’ordine che questi
segua la rotta 330° fino a 20 miglia dalla costa francese, per poi dirigere
verso Genova ed infine ammarare a La Spezia. Alle 12.44, dopo vari messaggi
contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche ed in mancanza di
notizie fresche, la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle
intercettare nel caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte costiere, ma
alle 13.07, dopo aver ricevuto nuovi messaggi (che fanno pensare a Iachino che
le forze britanniche si siano riuniti poco dopo mezzogiorno a sud di Capo Corso
e stiano ripiegando verso sud intenzionati a passare vicino alle coste
occidentali della Corsica), Iachino ordina che la III Divisione accosti per 50°
(le corazzate assumono invece rotta 30° alle 13.16), dopo di che, quando le
navi di Sansonetti si vengono a trovare 15 km a proravia delle corazzate a
seguito di tale manovra, Iachino dispone che la III Divisione assuma rotta 30°
e porti la velocità a 24 nodi. Alle 13.21 viene diramato l’ordine a tutte le
unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro con il
nemico (anche perché alle 13.27 l’aereo del Trieste ha comunicato di essere 20 miglia a sudest di Capo
Camarat e di non aver incontrato navi nemiche, apparentemente confermando che
queste non stiano seguendo le rotte costiere, bensì fuggendo verso sud
costeggiando la Corsica occidentale: in realtà, si saprà solo in seguito che
era passato prima a 40 e poi a 20 miglia dalla Forza H, senza vederla a causa
della scarsa visibilità), ed alle 15.24 il Trieste (la III Divisione si trova 15 km a proravia delle
corazzate) avvista delle alberature e segnala di aver avvistato il nemico su
rilevamento 50°: viene ordinato il posto di combattimento su tutte le unità, ma
alle 15.32 il Trieste annulla
il segnale di avvistamento, spiegando che la nave avvistata è in realtà una
petroliera. Alle 15.38 Trieste annuncia
di nuovo navi sospette su rilevamento 50°, ed alle 15.40 anche dalle corazzate
vengono avvistate le loro alberature: certe di aver finalmente trovato la
formazione britannica, le navi italiane si preparano al fuoco, ma alle 15.48
un’osservazione più attenta rivela che le alberature sono quelle di sette
mercantili francesi che navigano in convoglio verso sudest (un convoglio di cui
le autorità italiane, come da clausole di armistizio con la Francia, erano
state preavvertite).
Iachino comprende che
la sua supposizione era errata, ed alle 15.50 la squadra italiana accosta verso
ovest (la III Divisione, su ordine di Iachino, accelera a 30 nodi per portarsi
prima possibile nella nuova direzione di probabile avvistamento del nemico) per
intercettare la Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa
francese, ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono
meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano
verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il
posto di combattimento.
10 febbraio 1941
Durante la notte, in
seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel
golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del
10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del
quadratino 19-61, come ordinato (la III Divisione è in quel momento 10 km a
proravia delle corazzate). Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare alle
basi, e la III Divisione fa pertanto rotta su Messina, dove giunge in giornata.
Il Corazziere in bacino di carenaggio nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
24 febbraio 1941
Alle 5.45 Corazziere ed Ascari lasciano Palermo insieme agli incrociatori
leggeri Giovanni delle Bande Nere (nave
di bandiera del comandante della IV Divisione Navale, ammiraglio di divisione
Alberto Marenco di Moriondo) ed Armando
Diaz (capitano di vascello Francesco Mazzola), per una missione di scorta a
distanza ai convogli che trasportano in Libia truppe e materiali dell’Afrika Korps.
Sono infatti in mare tre convogli diretti in Libia: uno (partito da Napoli alle
19 del 23 facendo tappa a Palermo il 24, e diretto a Tripoli a 14 nodi) formato
dalle motonavi tedesche Marburg, Reichenfels, Ankara e Kybfels, scortate
dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Da Noli e dalla torpediniera Castore; un secondo (salpato da Napoli a mezzogiorno del 25)
composto dai trasporti tedeschi Leverkusen, Arcturus, Wachtfels ed Alikante e
dall’italiano Giulia, scortati
dal cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e
dalle torpediniere Procione, Orsa e Calliope; ed un convoglio veloce (partito da Napoli alle 20 del 24
febbraio) formato dai trasporti truppe Conte
Rosso, Esperia, Marco Polo e Victoria, scortati dai
cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera e dalle torpediniere Orione ed Aldebaran. Sono inoltre in mare anche i piroscafi Arta, Nirvo e Giovinezza di
ritorno da Tripoli (che avevano lasciato alle 5.30 del 24) con la scorta della
torpediniera Generale Achille Papa,
ed i piroscafi Santa Paola e Honor partiti da Palermo il 25.
La IV Divisione ha
avuto ordine di portarsi nel Canale di Sicilia per proteggere, tra il 25 ed il
27 febbraio, i convogli «Esperia», «Marburg» e «Alikante» in navigazione da
Napoli a Tripoli, tenendosi pronta a qualsiasi evenienza.
Alle 11.30 la IV
Divisione prende contatto con il convoglio «Marburg» (avente una velocità di 14
nodi), del quale, secondo gli ordini, dovrebbe mantenersi a proravia per
fornirgli, durante la notte, scorta ravvicinata.
Sino al tramonto la
IV Divisione si tiene tra gli 8.000 ed i 12.000 metri a proravia del convoglio
«Marburg», procedendo a zig zag, con Corazziere
ed Ascari in posizione di
scorta ravvicinata (il Corazziere di
prora al Bande Nere, l’Ascari 45° sulla sinistra dello stesso
incrociatore). Tramontato il sole, i due incrociatori mantengono la velocità a
14,5 nodi sino alla boa n. 4 di Kerkennah.
25 febbraio 1941
La notte è senza
luna, l’oscurità profonda; ciò induce l’ammiraglio Marenco di Moriondo, intorno
alle due di notte, dopo aver scapolato la zona obbligata della boa n. 4 di
Kerkennah, ad interrompere lo zigzagamento ed a procedere con Bande Nere e Diaz in linea di fila, preceduti
dal Corazziere e seguiti
dall’Ascari, per eventuale reazione
antisommergibili e per fornire scorta agli incrociatori se la IV Divisione
dovesse eseguire marcate ed improvvise accostate. Alle 2.10 la formazione, un
miglio ad ovest della boa n. 4 di Kerkennah, assume rotta 180°, ed intorno alle
tre, per non allontanarsi dal convoglio, viene ridotta la velocità a 13,5 nodi,
sempre mantenendo la linea di fila Corazziere-Bande Nere-Diaz-Ascari. Via via che
le navi procedono verso sud, in direzione di Zuara, la già scarsa visibilità va
progressivamente calando. Il mare è calmo, senza vento.
Alle 3.22 il
sommergibile britannico Upright (tenente
di vascello Edward Dudley Norman) avvista le navi da guerra italiane su
rilevamento 315°, a circa due miglia e mezzo. L’Upright, restando in emersione, accelera e descrive parzialmente un
semicerchio, manovrando per avvicinarsi ed attaccare.
Il Corazziere e l’Ascari procedono rispettamene a proravia ed a poppavia dei due
incrociatori, in linea di fila; il Diaz naviga
nella scia del Bande Nere, ed al
comandante dell’Upright sembra
la nave più grossa: perciò è contro di esso che, alle 3.40, l’Upright lancia quattro siluri,
immergendosi subito dopo.
Alle 3.43, quando
il Diaz si trova a poche
miglia dalla boa numero 4 delle secche di Kerkennah, due dei siluri lo
colpiscono sul lato dritto, nei pressi del deposito munizioni prodiero,
provocandone la devastante esplosione. Alle detonazioni dei due siluri segue
una fiammata sulla dritta e poi un’esplosione molto più rovinosa, con una
colossale fiammata generata dalla combustione delle polveri: gli uomini del Corazziere e dell’Ascari notano un ampio squarcio sul lato di dritta del Diaz, all’altezza del fumaiolo prodiero,
dal quale escono le fiamme, e vedono anche che le sovrastrutture prodiere
dell’incrociatore sono completamente avvolte dalle fiamme.
Nel giro di soli sei
minuti il Diaz affonda di prua,
fortemente sbandato sulla sinistra, in posizione 34°33’ N e 11°45’ E (al largo
di Sfax, a 20 miglia e mezzo per 190° dalla boa n. 4 di Kerkennah), trascinando
con sé i tre quarti dell’equipaggio.
L’Ascari (che è stato mancato da uno
dei due siluri non andati a segno) contrattacca per primo, ed anche il Corazziere, subito dopo aver visto le
esplosioni sul Diaz, riceve ordine
d’invertire la rotta per partecipare alla caccia contro il sommergibile
attaccante; portatosi nella zona in cui si presume essere il battello nemico,
il Corazziere esegue una ricerca per
nord-sud circa 2 km ad ovest del punto in cui è affondato il Diaz. La caccia da parte dei due
cacciatorpediniere, che vede l’infruttuoso lancio di dieci o dodici bombe di
profondità, si protrae dalle 3.45 alle 4.25, mentre il Bande Nere, dopo l’attacco, prosegue a
maggiore velocità e con rotta a zig zag, scortando il convoglio a destinazione.
Alle 4.25 l’Ascari conclude la caccia e si
dirige sul punto in cui si è inabissato il Diaz
per iniziare a soccorrere i superstiti, dispersi in un’area abbastanza vasta,
mentre il Corazziere,
prosegue nella
vigilanza antisommergibili. Solo alle 7.30 anche il Corazziere si unisce ai soccorsi. All’alba, intanto, sopraggiungono
anche aerei inviati da Marina Libia e da Trapani. Molti uomini scompaiono in
mare prima di poter essere soccorsi, per ipotermia nella fredda acqua di
febbraio, o per soffocamento causato dalla nafta che galleggia copiosa sulla
superficie del mare.
L’Upright, che ha passato il contrattacco
a 6 o 7 metri dal fondale, non subisce danni e ritorna a quota periscopica alle
7.15, osservando l’orizzonte tutt’intorno e vedendo che l’incrociatore
attaccato non c’è più: solo due cacciatorpediniere intenti al recupero dei
naufraghi laddove si era trovata la nave attaccata, su rilevamento 270°. Il
sommergibile si avvia poi sulla rotta di rientro a Malta.
Il Corazziere, pur setacciando il mare per
quattro ore, raccoglie solo tre sopravvissuti, mentre l’Ascari recupera 150 uomini ancora vivi, tra cui 31 feriti, e nove
cadaveri. Due dei naufraghi muoiono poco dopo.
Alle 8.44 i due
cacciatorpediniere, una volta appurato che non vi siano più naufraghi in mare,
rimettono in moto dirigendo verso nordovest, per ricongiungersi col Bande Nere.
26 febbraio 1941
Corazziere, Ascari e Bande Nere giungono a Palermo, dove
vengono sbarcati i naufraghi.
Dell’equipaggio
del Diaz sono morti 464
uomini, su un totale di 605 imbarcati.
12-13 marzo 1941
Il Corazziere esce in mare quale parte
della forza di scorta a distanza (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano della
III Divisione, cacciatorpediniere Aviere
e Carabiniere, torpediniera Giuseppe Dezza, tre MAS) di un convoglio
composto dai trasporti truppe Victoria, Conte Rosso e Marco Polo, aventi la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Folgore, Geniere e Camicia Nera. Il convoglio, partito da Napoli all’1.30 del 12
marzo, giunge a Tripoli alle 15.30 del 13; la forza di cui fa parte il Corazziere procede a qualche miglio di
distanza per fornire protezione strategica.
27 marzo 1941
Il Corazziere (caposquadriglia, capitano di
vascello Carmine D’Arienzo) salpa da Messina alle 5.30 ad Ascari (capitano di fregata Marco Calami) e Carabiniere (capitano di fregata Giacomo
Sicco), che con esso formano la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, ed alla III
Divisione (Trento, Trieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti con bandiera
sul Trieste), per partecipare,
insieme alla corazzata Vittorio
Veneto, alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XIII (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno), all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio
britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Verso le 6.15, nello
stretto di Messina, la III Divisione con la XII Squadriglia si pone 7 miglia a
proravia della Vittorio Veneto,
scortata dalla XIII Squadriglia: queste unità formano il gruppo «Vittorio
Veneto» al comando dell’ammiraglio Iachino.
La navigazione
prosegue senza incidenti sino alle 12.25, quando il Trieste comunica a Iachino la presenza di un ricognitore
britannico Short Sunderland a sud della III Divisione (e che continuerà a
tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a questo – alle 12.20 il Sunderland
ha comunicato l’avvistamento di tre incrociatori ed un cacciatorpediniere a
cinque miglia per 270°, al largo di Capo Passero, per poi precisare alle 12.35
che le navi avvistate hanno rotta 120° e velocità 15 nodi: entrambi i messaggi
vengono intercettati dalla Vittorio
Veneto –, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150°
(prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo (il cui messaggio
rischia di rivelare la destinazione, e dunque le intenzioni, della squadra
italiana), e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare per 130°, e
poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo da arrivare
nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 Supermarina
annulla l’attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione risulta che non
vi sono convogli da attaccare.
Il Corazziere nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino
un idroricognitore catapultato dalla Vittorio
Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori
leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e
dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex,
il tutto sotto il comando del viceammiraglio Henry Daniel Pridham-Wippell), in
navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia
ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la Vittorio Veneto (nonché il
sopraggiungente gruppo «Zara», composto da I e VIII Divisione, che si riunisce
al resto della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo
Spartivento Calabro) aumenta la velocità a 28 nodi, la III Divisione riceve
l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi: Iachino intende far
raggiungere alla divisione di Sansonetti gli incrociatori britannici, poi farla
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III
Divisione di ripiegare verso la Vittorio
Veneto dopo aver avvistato le forze britanniche. A quell’ora le navi
di Sansonetti aumentano la velocità cercando il nemico, non ancora visibile,
che secondo le informazioni del ricognitore dovrebbe trovarsi a sudest, cioè
all’incirca di prora a dritta. Pochi minuti dopo, alle 7.39, la III Divisione viene
avvistata da un ricognitore decollato dalla portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III
Divisione inizia a scorgere su rilevamento 205° i primi segni della
sopraggiungente Forza B, comunicandolo a Iachino, e nel giro di qualche minuto
tutta la formazione di Pridham-Wippell è in vista.
Anche la Forza B,
tuttavia, ha l’ordine di attirare le navi italiane verso il grosso della
Mediterranean Fleet, uscita in mare con le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare i
comandi italiani sono totalmente all’oscuro: di conseguenza, le navi di
Pridham-Wippell ripiegano verso Alessandria, costringendo la III Divisione ad
inseguirle e facendo fallire la trappola pianificata dall’ammiraglio Iachino.
Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 le navi di
Sansonetti aprono il fuoco sulla Forza B da 22.000 (fonti italiane)-23.000
(fonti britanniche) metri, mentre le unità britanniche, i cui cannoni da 152 mm
(essendo tutti incrociatori leggeri) hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”,
non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a
quelle italiane, spara tre salve, che cadono corte, a partire dalle 8.27-8.29,
da 21.000 metri di distanza. È proprio il Gloucester, per via della sua posizione, a costituire il bersaglio
principale dei cannoni della III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per
evitare di essere colpito dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti, che poco
dopo accostano in fuori di 25°, passando da rotta 160° a rotta 135° (così
portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B), per poi riassumere, verso
le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della Forza B.
Alle 8.36 Iachino
ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed interrompere il
combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche, ritenendo, a
ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il controllo dei
cieli è in mano britannica.
La III Divisione
continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a colpire nessuna nave: tutte le
salve cadono corte tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion e Perth subiscono
solo lievi danni da schegge. A quell’ora gli incrociatori di Sansonetti (al
pari della Vittorio Veneto)
accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, venendo
seguiti a distanza dalla Forza B, che si mantiene fuori tiro e tiene informato
il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane.
Essendosene reso conto,
alle 10.17 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire sulla
sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al combattimento (spiegando
anche le sue intenzioni), mentre la Vittorio
Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B
sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B, incerta se le navi avvistate siano
amiche o nemiche, effettua il segnale di riconoscimento, ma alle 10.56, mentre
la Vittorio Veneto apre il
fuoco da 23.000 metri, Iachino ordina alla III Divisione di invertire la rotta
e riprendere il combattimento. La Forza B subito accosta verso sud e si ritira
inseguita dalle navi italiane (la III Divisione cerca di serrare le distanze ma
non fa in tempo ad intervenire), coprendosi con cortine fumogene, ma le
distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace.
Alle 11.18, a causa
delle distanze in aumento e dell’arrivo di aerosiluranti britannici che
attaccano la Vittorio Veneto, la
III Divisione riceve l’ordine di riassumere rotta 300°.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico
convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di
proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30
la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 12.07 anche la
III Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti britannici, che lanciano
contro il Bolzano, ma riesce a
sventare l’attacco contromanovrando ed aprendo un intenso tiro contraereo.
Alle 13.23 la III
Divisione si trova a 57 miglia per 214° da Gaudo; alle 15.20 ed alle 16.58 tale
divisione viene attaccata da bombardieri in quota britannici: nessuna nave
viene colpita, ma alcune bombe cadono molto vicine a Trento e Bolzano.
Alle 15.19 tre
aerosiluranti attaccano la Vittorio
Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia che la
scortano, in cooperazione con bombardieri in quota partecipano: l’aereo del
capitano di corvetta John Dalyell-Stead, prima di essere abbattuto, riesce a
ridurre le distanze con la Vittorio
Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la
nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30
la Vittorio Veneto, che ha
imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette
in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di
19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio
Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, lascia
libera l’VIII Divisione per il rientro a Brindisi ed ordina che le altre unità
si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio
Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà
assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da
sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (nell’ordine, Corazziere, Carabiniere, Ascari),
la III Divisione (Trieste, Trento,Bolzano), la Vittorio
Veneto preceduta da Granatiere (in
testa) e Fuciliere (tra
il Granatiere e la
corazzata) e seguita da Bersagliere (tra
la nave da battaglia e l’Alpino)
ed Alpino (in coda), la I
Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel
frattempo la velocità della Vittorio
Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti
britannici, che si tengono a distanza, alle 18.51 tramonta il sole, ed alle
19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in
modo da essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed alle 19.24 i
cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli
aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori –,
alle 19.30 vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°) e sei
minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il
fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato
da un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i
proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05
l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di portarsi 5 km a proravia
della Vittorio Veneto, alla XIII
Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata ed alla I Divisione di
posizionarsi 5 km a poppavia della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si
scopre che il Pola è stato
immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto
senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la rotta per andare al
soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, molto discussa in
seguito, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre
raggiunge il Pola dalle
corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la
peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I
Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità
19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti (alle
21.35 Iachino fa trasmettere al Trieste una
richiesta d’intervento della caccia aerea per l’alba dell’indomani, a 60 miglia
per 140° da Capo Colonne, per non congestionare la stazione radiotelegrafica
della Vittorio Veneto) sino alle
22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le
navi italiane assistono alla fine della I Divisione. Il tiro che si osserva a
distanza si svolge in più fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori delle
ultime esplosioni vengono visti alle 23.55.
29 marzo 1941
Il resto della
formazione italiana, inutilmente cercato fin dopo mezzanotte dalla Forza B (che
invece trova il Pola immobilizzato,
scambiandolo per la Vittorio Veneto)
e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del
capitano di vascello Philip Mack, viene raggiunto dall’VIII Divisione (frattanto
richiamata) alle otto del 29 marzo, a 60 miglia per 139° da Capo Colonne; la
III Divisione si pone quindi a dritta della Vittorio Veneto, con la VIII Divisione a sinistra della corazzata
(e la X Squadriglia Cacciatorpediniere, anch’essa inviata di rinforzo, a
sinistra della VIII Divisione). A partire dalle 6.23 giungono sul cielo della
formazione, per scortarla nella navigazione di rientro, aerei tedeschi ed
italiani: la scorta aerea, mancata – elemento cruciale – durante tutta
l’operazione, arriva solo ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 la
formazione italiana assume rotta 343°, mettendo la prua su Taranto, ed arriva a
Taranto poco dopo le 15.30. La III Divisione non viene fatta rientrare subito a
Messina, ma viene bensì trattenuta per qualche tempo a Taranto.
24 maggio 1941
Alle 16 del 24 maggio
Corazziere (caposquadriglia della XII
Squadriglia), Ascari e Lanciere salpano da Messina insieme alla
III Divisione (Bolzano e Trieste), di cui ha da poco assunto il
comando l’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi (imbarcato sul Trieste), per fornire scorta a distanza
ad un convoglio per la Libia composto dai trasporti truppe Conte Rosso (capoconvoglio,
contrammiraglio Francesco Canzoneri), Esperia, Victoria e Marco Polo scortati dal
cacciatorpediniere Freccia (caposcorta,
capitano di fregata Giorgio Ghè) e dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso, salpato da Napoli alle 4.40 e che ha appena superato lo
stretto di Messina. III Divisione e XII Squadriglia prendono posizione circa 3
km a poppavia del convoglio.
Subito dopo
l’attraversamento dello stretto, la scorta diretta viene temporaneamente
rinforzata dalle torpediniere Calliope,
Perseo e Calatafimi, che lasciano il convoglio alle 19.10; c’è anche una
scorta aerea con velivoli da caccia, bombardieri ed idrovolanti (83° Gruppo
della Regia Aeronautica) costituiscono invece la scorta aerea, presente dalle
13.56 fino al tramonto (gli ultimi aerei, due idrovolanti CANT Z. 501, se ne
vanno alle 20.15 per tornare alle basi di Augusta e Taranto).
Nel frattempo –
subito dopo aver attraversato lo stretto (il che avviene tra le 15.15 e le
17.30) – il convoglio assume la formazione in colonna doppia; Esperia e Conte Rosso sono i capi colonna, rispettivamente a dritta ed a
sinistra (l’Esperia è seguito
dalla Victoria, il Conte Rosso dal Marco Polo). L’Orsa precede il convoglio e lancia bombe di profondità a scopo
intimidatorio dopo aver superato Reggio Calabria; alle 16.34 e 16.53 anche
il Freccia lancia due
bombe. Poi Procione ed Orsa si dispongono in colonna sul
lato di dritta del convoglio (Orsa più
avanti, all’altezza dell’Esperia; Procione più indietro, a poppavia
della Victoria), Freccia e Pegaso sul lato sinistro (il Freccia in posizione più avanzata, all’altezza del Conte Rosso, e la Pegaso più indietro, appena a
poppavia del Marco Polo). Trieste e Bolzano seguono incolonnati a tre chilometri, preceduti
da Ascari (a dritta), Corazziere (al centro) e Lanciere (a sinistra) che procedono
in linea di fronte. Il convoglio procede quindi a zig zag su quattro colonne
(due di trasporti e due di siluranti, con due navi in ogni colonna), con rotta
171° e velocità 18 nodi.
Il mare è calmo,
forza 1-2 senza cresta d’onda, non un alito di vento; il tramonto,
particolarmente luminoso, rende le sagome delle navi molto visibili da ovest.
Alle 20.30 il
convoglio viene avvistato nel punto 36°48’ N e 15°42’ E (una decina di miglia
ad est di Siracusa e a 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco) dal
sommergibile britannico Upholder (tenente
di vascello Malcolm David Wanklyn). Wankyn stima che il convoglio abbia una
rotta di 215°, e si avvicina per attaccare. Proprio alle 20.40, le navi
smettono di zigzagare, per fare il punto.
Alle 20.43, prima di
scendere a 45 metri e ripiegare verso est, l’Upholder lancia due siluri contro il Conte Rosso, la nave più grande del convoglio. Dopo una breve corsa,
i siluri mancano il Freccia e
colpiscono il bersaglio prescelto.
Subito dopo il
siluramento, il Freccia lancia
un razzo Very verde, segnale convenzionale d’allarme; i tre trasporti illesi eseguono
la prescritta manovra di disimpegno, Esperia e Victoria accostando di 90° a
dritta, Marco Polo a
sinistra.
Il Conte Rosso s’inabissa in poco più
di dieci minuti, una decina di miglia ad est di Capo Murro di Porco.
Al momento
dell’attacco, la III Divisione si trova 3000 metri a poppa del convoglio (Trieste e Bolzano in linea di fila, con l’ammiraglia in testa), mentre
la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, che sta assumendo in quel mentre la
posizione di scorta avanzata notturna, si trova in posizione avanzata a
proravia dei due incrociatori, in linea di fronte, a circa 1500 metri di
distanza. Avvenuto il siluramento, Corazziere
e Lanciere accostano subito a
sinistra e si dirigono verso il punto dal quale sono stati lanciati i siluri,
gettandovi bombe di profondità.
Alle 20.55
l’ammiraglio Brivonesi ordina a Corazziere
e Lanciere di dare subito la caccia
al sommergibile e poi di soccorrere i naufraghi.
Intanto, il Freccia ha iniziato per primo il
contrattacco con bombe di profondità, distaccando Procione e Pegaso per il
recupero dei superstiti del Conte Rosso.
Gli altri tre trasporti truppe proseguono per Tripoli con la scorta dell’Orsa e la protezione a distanza di Trieste, Bolzano ed Ascari; alle
21 anche il Freccia si ricongiunge al
convoglio, lasciando sul posto Corazziere,
Lanciere, Procione e Pegaso. Quale
ufficiale più alto in grado rimasto sul posto, assume la direzione dei soccorsi
il comandante del Corazziere,
caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere. Più tardi giungeranno
sul posto anche le torpediniere Cigno, Pallade e Clio, inviate da Messina, e le navi ospedale Arno e Sicilia.
L’Upholder, sceso a 45 metri, viene
bombardato con 37 cariche di profondità dalle 20.47 alle 21.07 da Freccia, Corazziere e Lanciere, ma
non subisce danni, sebbene le ultime quattro bombe, lanciate alle 21.07,
esplodano molto vicine.
Il buio della notte
rende particolarmente difficile il recupero dei naufraghi; le navi si aiutano
nelle ricerche con i proiettori, ma dei 2729 uomini imbarcati sul Conte Rosso, 1297 affondano con la nave
o muoiono in mare dopo l’affondamento.
Corazziere e Lanciere recuperano
complessivamente circa 540 naufraghi, mentre Procione e Pegaso ne
salvano rispettivamente 270 e 445.
L’operato delle
siluranti impegnate nei soccorsi viene giudicato encomiabile dal capoconvoglio,
contrammiraglio Francesco Canzonieri, naufrago anch’egli del Conte Rosso (e salvato dalla Procione).
25 maggio 1941
Corazziere e Lanciere, con i 540
naufraghi recuperati, entrano ad Augusta alle 5.30.
Il resto del convoglio
entra a Tripoli alle 17.30; le navi di Brivonesi rientrano a Messina alle 20
(ma ciò sembra poco compatibile con la scorta del 27-28 maggio, vedi sotto).
27 maggio 1941
Sbarcate le truppe, Esperia, Victoria e Marco Polo
ripartono da Tripoli per Napoli a mezzogiorno, scortati da Freccia, Orsa, Procione e Pegaso, seguendo ancora la rotta di levante che passa per lo
stretto di Messina.
Nella parte centrale
della navigazione, il convoglio fruisce nuovamente della scorta a distanza di
III Divisione e XII Squadriglia.
29 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli all’1.30.
8 giugno 1941
Corazziere, Ascari e Lanciere, insieme a Trieste e Bolzano (III
Divisione), salpano da Messina alle 15 per fornire scorta a distanza al
convoglio «Esperia» (trasporti truppe Esperia, Marco Polo e Victoria, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Freccia
(caposcorta), Saetta, Strale e Gioberti), salpato da Napoli alle 2.50 e diretto a Tripoli.
9 giugno 1941
La III Divisone torna
a Messina alle sei del mattino. Il convoglio «Esperia» giunge a Tripoli alle
15.
Il Corazziere nel 1941 (Museo Storico Navale di Venezia, via www.associazione-venus.it) |
25 giugno 1941
Il Corazziere, insieme al
resto della XII Squadriglia (Ascari, Lanciere e Carabiniere), va a rinforzare la scorta di un convoglio veloce
composto dai trasporti truppe Esperia (capoconvoglio,
contrammiraglio Luigi Aiello), Marco
Polo, Neptunia ed Oceania, scortati dai
cacciatorpediniere Aviere (caposcorta,
capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere,
Antonio Da Noli e Vincenzo Gioberti e dalla
torpediniera Calliope. Il
convoglio, partito da Napoli e diretto a Tripoli, segue la rotta di levante,
passando nello stretto di Messina e poi ad est di Malta; la XII Squadriglia lo
raggiunge appunto dopo l’attraversamento dello stretto di Messina. Al tramonto
sopraggiunge anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), partita da Messina alle 19, quale scorta indiretta.
Alle 18.25, mentre le navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di
Porco (precisamente, a 32 miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da
Siracusa), il convoglio viene avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco
dopo che la scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79
"Sparviero" e quattro caccia Macchi MC. 200) se ne è andata, ad
eccezione di un singolo caccia che è ancora sul cielo del convoglio, vengono avvistati
tre velivoli tipo Martin Maryland che volano a 2500 metri di quota, proprio
sopra il convoglio. Viene dato l’allarme; sia i mercantili che i
cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con le mitragliere. Gli aerei
sganciano cinque bombe, ma nessuna va a segno; si ritiene che uno degli
attaccanti, colpito, sia caduto in mare in fiamme.
Alle 20.30, terminato il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco
dopo un altro aereo avversario si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri;
fatto oggetto del violento tiro di tutte le navi del convoglio, rinuncia
all’attacco e si allontana prima di poter giungere sulla verticale del
convoglio. Da poppa sopraggiunge un altro bombardiere, ma è seguito
dall’unico caccia rimasto della scorta aerea, e lascia dietro di sé una scia di
fumo; due membri del suo equipaggio si lanciano col paracadute, poi
il bombardiere precipita in mare. Alle 20.40 vengono avvistati altri
due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi accolti dal tiro delle navi
della scorta: uno dei due spara raffiche di mitragliera, poi accosta a sinistra
e si allontana senza sganciare bombe; l’altro giunge sul cielo del convoglio e
sgancia una bomba, che cade in mare senza fare danni. Alle 21, Supermarina
“informa” il convoglio che alle 18.35 questo è stato avvistato da un
ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala si accende a proravia del convoglio, a circa 3000
metri di quota (resta acceso 8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente
insegna che questo è il preludio ad un attacco di aerosiluranti, le navi della
scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, per occultare le navi del
convoglio. Le cortine stese dalle varie siluranti si distendono e prendono
consistenza, occultando sui due lati i bastimenti del convoglio; unica
eccezione sono quelle cortine stese da Ascari
e Lanciere, che si trovano circa 1500
metri a proravia del convoglio, le quali risultano troppo deboli. Di
conseguenza, il caposcorta ordina ai due cacciatorpediniere di lasciarsi
scadere, in modo da avvicinarsi al convoglio.
Alle 21.29 gli aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in
formazione, si portano a proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro,
indi si separano ed attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco
con le mitragliere; vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali
va a segno. Uno degli aerei entra nella formazione passando tra Ascari e Lanciere, attraversando la cortina nel punto in cui è meno densa
per le circostanze sopra citate; ma nemmeno questo riesce a colpire qualcosa.
Mentre ancora non si è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle
21.37, vengono lanciati in mezzo al convoglio tre bengala che galleggiano sul
mare (si tratta di fuochi al cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo
primo impiego nella battaglia dei convogli): due si spengono quasi subito, ma
il terzo resta acceso per un paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio
con la sua fortissima luce gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul
loro cielo i fanalini di navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con
tutte le mitragliere. Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro;
nessuna va a segno, ma una esplode a pochi metri dall’Esperia, che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale
imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle
mitragliere; uno di essi, un Fairey Swordfish dell’830th Squadron
F. A. A. (sottotenente D. A. R. Holmes, aviere J. R. Smith), viene
abbattuto.
Tanto accanimento non è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti
il dubbio onore di essere stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla
base delle informazioni fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica
dedita alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno,
due giorni prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio
formato da Neptunia, Oceania, Marco Polo ed Esperia (in
realtà, inizialmente, i britannici commettono un errore ed identificano la
quarta nave come Victoria, ma
questo viene prontamente corretto il 24 giugno), scortato da cinque
cacciatorpediniere, deve partire da Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con
arrivo previsto per le 16.30 del 27, navigando ad una velocità di 17,5 nodi.
Ulteriori intercettazioni, sempre compiute il 23 giugno, permettono ai
britannici di apprendere anche che il convoglio deve attraversare il parallelo
34°30’ N alle sette del mattino del 26, che sarà scortato anche da aerei, e che
dopo aver scaricato i materiali dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad
ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi
debbano proseguire per il resto della notte ed anche la mattina successiva –
mentre il convoglio è al di fuori del raggio operativo della caccia italiana –,
oltre che in seguito alla notizia dell’avvistamento di un sommergibile in
agguato lungo la rotta del convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo
della ricognizione marittima), Supermarina ordina sia al convoglio che alla III
Divisione di dirottare su Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta
ed indiretta invariate, seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile
lontano da Malta. Anche questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi
messaggi, ma stavolta la reazione britannica sarà assai meno violenta e
tempestiva. I sommergibili Urge, Unbeaten ed Upholder ricevono l’ordine di intercettare il convoglio, ma
soltanto il primo riuscirà a rintracciarlo.
28 giugno 1941
In mattinata il convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico;
il segnale di scoperta da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da
Supermarina, che ne informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente
la rotta, ma nel pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però
attacchi aerei durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai
lasciato dalla III Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma
raggiunto dalla scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due
idrovolanti CANT Z. 501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali
sganciano poche bombe che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
Alle 8.56 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), in agguato a
levante della Sicilia nel punto 37°55’ N e 15°35’ E, avvista Trieste e Gorizia, scortati da Corazziere,
Ascari e Carabiniere, a 6 miglia di distanza per 195°. Tomkinson stima la
rotta e velocità degli incrociatori come 360° e 24 nodi, ed alle 9.14 lancia
quattro siluri contro l’incrociatore di testa, da una distanza di 1520 metri.
A bordo dell’Urge vengono
sentiti due scoppi e si ritiene di aver colpito ed affondato l’incrociatore, ma
in realtà nessuno dei siluri è andato a segno: il Trieste viene mancato da tre delle armi, e segnala l’accaduto,
scatenando la reazione della scorta. I cacciatorpediniere lanciano 64 bombe di
profondità tra le 9.21 e le 11.30, ma nessuna di esse esplode particolarmente
vicina all’Urge, che così non subisce
danni.
16 luglio 1941
Corazziere, Ascari e Carabiniere, insieme alla III Divisione
(incrociatori pesanti Trieste e Bolzano), prendono il mare per fornire
scorta a distanza al convoglio «Marco Polo», salpato da Taranto alle 16 e
composto dai trasporti truppe Marco
Polo (capoconvoglio, contrammiraglio Luigi Ajello), Neptunia ed Oceania, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Lanciere, Geniere (caposcorta), Oriani e Gioberti e della torpediniera Centauro. Il convoglio segue la rotta di levante.
Secondo alcune fonti
il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a
sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di
un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 14.30.
23 agosto 1941
Alle 9.50 Corazziere, Lanciere, Ascari e Carabiniere, che formano la XII
Squadriglia, partono da Messina insieme alla III Divisione (incrociatori
pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia), per partecipare al contrasto
all’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di
parte della Forza H (la portaerei Ark
Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore
leggero Hermione e cinque
cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed
i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di
Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Alle 18 si uniscono
alla formazione anche i cacciatorpediniere Maestrale
e Scirocco, inviati da Palermo.
24 agosto 1941
Alle cinque del
mattino la III Divisione si unisce al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio»
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione
e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia
e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), salpata da Taranto alle 16; poco dopo la formazione viene
rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello,
provenienti da Napoli, ed Antonio
Pigafetta e Giovanni Da
Verrazzano, inviati da Trapani.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione italiana,
al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di trovarsi
per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la Forza H è
stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a sud di
Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata, una
portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che
l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e
dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi
alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara,
per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe
probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Nel corso
dell’operazione, per due volte la III Divisione ha avvistato sommergibili
nemici.
26 agosto 1941
Alle 5.54 il
sommergibile britannico Triumph (capitano
di fregata Wilfrid John Wentworth Woods), in agguato a nord di Messina, avverte
rumori piuttosto forti di scoppi di bombe di profondità, che sembrano avvicinarsi;
sei minuti dopo, in posizione 38°22’ N e 15°38’ E, il Triumph avvista verso nordovest un folto gruppo di navi
italiane: essendo la luce ancora insufficiente, ed il periscopio d’osservazione
fuori uso, Woods ci mette qualche minuto prima di riuscire a discernere la
tipologia di navi nel periscopio, “tre corazzate od incrociatori, scortati da
circa dieci cacciatorpediniere”. Si tratta della III Divisione e dei relativi
cacciatorpediniere, che si apprestano ad imboccare lo stretto di Messina, di
rientro dalla missione.
Il Triumph inizia la manovra di
attacco alle 6.11, ed alle 6.38, poco a nord dello stretto, lancia due siluri
da 4850 metri di distanza, contro il Bolzano,
per poi scendere a 24 metri di profondità ed assumere rotta nord, per
allontanarsi dalla posizione del lancio.
Uno dei siluri, circa
tre minuti dopo il lancio, raggiunge il bersaglio, colpendo il Bolzano a poppa dritta; 8 uomini
rimangono uccisi e 22 sono feriti, e l’incrociatore imbarca 2000 tonnellate
d’acqua, restando fortemente appoppato.
Assistito da due
rimorchiatori, il Bolzano riuscirà
faticosamente a raggiungere Messina alle 10.55, mentre il
cacciasommergibili Albatros e
la vecchia torpediniera Giuseppe
Missori vengono inviati a dare la caccia al sommergibile, senza
risultato.
Il resto della III
Divisione giunge anch’esso a Messina il 26 mattina.
Questa fotografia,
solitamente attribuita al Corazziere,
ritrae in realtà il gemello Camicia Nera,
la cui sigla identificativa (CN) è stata alterata in CR (quella del Corazziere) con un intervento di
fotoritocco. Era questa una pratica piuttosto diffusa, all’epoca, presso i
fotografi professionisti, i quali, allo scopo di realizzare cartoline da
rivendere ai marinai, fotografavano un cacciatorpediniere di una determinata
classe e poi ne ritoccavano la sigla identificativa in modo da ottenere, a
partire da tale fotografia, immagini che ritraessero anche altre unità della
stessa classe (foto g.c. Antonio Angelo Caria, via Wikipedia; si ringrazia
Dante Flore per la corretta identificazione)
22 settembre 1941
Alle 18 il Corazziere (capitano di vascello Paolo
Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia) lascia Augusta insieme ai
gemelli Aviere (capitano di
vascello Luciano Bigi), Ascari (capitano di
fregata Marco Calamai), Carabiniere
(capitano di fregata Giacomo Sicco), Lanciere
(capitano di fregata Giulio Di Gropello) e Camicia Nera (capitano di fregata Silvio Garino).
Le quattro unità
della XII Squadriglia (Corazziere, Ascari, Carabiniere, Lanciere)
devono posare le mine dei campi minati offensivi «M 6» e «M 6 bis» (per i quali
è previsto in tutto l’impiego di 100 mine P 200 con dispositivo acustico ed
altrettante P 200 ad antenna) a sudest di Malta, mentre Aviere e Camicia Nera devono scortarli nell’operazione di posa.
Ciascuno dei cacciatorpediniere della XII Squadriglia ha imbarcato, prima di
partire, 25 mine tipo P 200 con dispositivo acustico (da regolare per una
profondità di 20 metri) e 25 mine tipo P 200 con antenna (da regolare per una
profondità di tre metri).
Sul Corazziere, come sulle altre navi, vige
l’ordine di silenzio assoluto e coprifuoco completo: anche fiammiferi e
sigarette devono essere lasciati nei dormitori, per evitare che qualcuno possa
inavvertitamente accendere una pur piccola luce che potrebbe rivelare la
posizione della nave.
23 settembre 1941
All’1.20 il
sommergibile britannico Thrasher
(capitano di corvetta Patrick James Cowell) avvista delle navi oscurate su
rilevamento 335° in posizione 32°01’ N e 19°21’ E (al largo di Bengasi); le
unità procedono in linea di fila, a 9 nodi, su rotta 105°, con un intervallo di
0,6 miglia tra una nave e l’altra. Dopo aver accostato per avvicinarsi ad
elevata velocità, all’1.32 il Thrasher
nota che la seconda e la terza nave della fila hanno accostato, l’una verso di
esso e l’altra per allontanarsi, avendolo probabilmente avvistato. All’1.34 il Thrasher lancia tre siluri contro la
nave di testa, che è la più grande, ma nel farlo Cowell si rende conto che non
si tratta di un nave mercantile, bensì di “qualcos’altro”. Tutti e tre i siluri
mancano il bersaglio; il primo gli passa a proravia, il secondo gli passa sotto
senza esplodere, ed il terzo affiora in superficie e si perde verso sinistra. A
questo punto il Thrasher accosta a
sinistra per lanciare contro un’altra delle navi, ma a questo punto Cowell
scopre di essere molto più vicino di quanto pensava: e il bersaglio viene
identificato come un cacciatorpediniere, che vira verso di lui. All’1.35,
pertanto, il Thrasher s’immerge;
l’equipaggio del sommergibile sente all’1.36 un cacciatorpediniere che
accelera, all’1.37 un’esplosione attribuita (erroneamente) ad un possibile
siluro a segno sulla terza nave della fila, all’1.39 due bombe di profondità
esplode piuttosto vicine, all’1.40 un cacciatorpediniere che passa sopra il
sommergibile, all’1.41 altre esplosioni di bombe di profondità, il
cacciatorpediniere che esegue dei cerchi e poi, alle 2, il cacciatorpediniere
che si allontana. Alle 2.29 il Thrasher
emerge e vede che il convoglio è composto da una torpediniera “classe
Partenope” e due piccoli mercantili di circa 500 tsl.
Una fonte ipotizza
che le navi attaccate dal Thrasher
possano essere in realtà il gruppo di cacciatorpediniere di cui fa parte il Corazziere, ma ciò appare improbabile,
data anche la discrepanza degli orari ed il fatto che “La guerra di mine”
dell’U.S.M.M., che descrive in dettaglio la missione, non fa menzione di alcun
attacco di sommergibili.
Tra l’una di notte e
l’1.30 Corazziere, Carabiniere, Ascari, Aviere, Lanciere e Camicia Nera giungono nel punto convenzionale «M» designato per
l’inizio della posa, dopo aver ridotto la velocità a 10 nodi; a questo punto la
formazione si divide, con Corazziere
e Carabiniere che si dirigono verso
la zona dello sbarramento M 6, mentre Ascari
e Lanciere fanno rotta verso la zona
dello sbarramento M 6 bis.
All’1.24 il Lanciere è il primo ad iniziare la posa
delle sue 50 mine, che termina all’1.52. L’Ascari,
che lo segue, inizia all’1.55 e conclude alle 2.23; contestualmente, nell’altra
zona, il Carabiniere inizia all’1.35
e finisce alle 2.02, dopo di che il Corazziere,
ultimo a posare le mine, comincia alle 2.07 e termina alle 2.34. La posa
avviene con rotte serpeggianti, a grappoli, a cominciare dal cacciatorpediniere
poppiero; le mine vengono lanciate con intervalli di 18 secondi tra l’una e
l’altra (corrispondenti ad uno spazio di 90 metri), tra un grappolo e l’altro
viene lasciato un intervallo di 5 minuti e 15 secondi (corrispondenti a 1600
metri). Il primo ed il terzo grappolo posato da ogni nave sono composti da 12
mine, il secondo ed il quarto da 13. Durante la posa si verificano in tutto
sette esplosioni accidentali di mine: tre all’1.55, due alle 2.17, due alle
2.27.
Terminata la posa, i
due gruppi si disimpegnano dal lato esterno rispetto a Malta, e fanno rotta
verso il punto di riunione, situato 20 miglia a sud-sud-est di Capo Passero,
avvistandosi vicendevolmente alle 6.59 al largo di Capo Murro di Porco.
Una volta riuniti in
un’unica formazione, i cacciatorpediniere proseguono verso nord; durante la
navigazione di rientro ricevono ordine di dirigere verso Taranto, dove arrivano
alle 17.25.
26 settembre 1941
Corazziere, Carabiniere, Ascari e Lanciere (la XII Squadriglia), insieme a Trento (nave ammiraglia dell’ammiraglio Bruno Brivonesi), Trieste e Gorizia (la III Divisione), partono alle 22 da Messina per
raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta (cisterna
militare Breconshire e
mercantili Ajax, City of Calcutta, City of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star e Rowallan
Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti) e scortato dalla Forza H
britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales) ed una portaerei (Ark Royal), oltre a cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus)
e 18 cacciatorpediniere (i britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers) nell’ambito dell’operazione britannica «Halberd». Da parte
italiana, però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi
italiani, dato che la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche,
pensano che i britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro
le coste italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei.
III Divisione e XII
Squadriglia, dopo la partenza, fanno rotta dapprima verso nord e poi verso
ovest. L’ordine per le forze italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in
una posizione difensiva, e di non ingaggiare il nemico a meno di non essere in
condizioni di netta superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27
cinquanta miglia a sud di Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno
alle 15, ad est di La Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a
danneggiare almeno una delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Partono anche la VIII
(Attendolo, Duca degli Abruzzi) e la IX Divisione (Littorio, Vittorio
Veneto) rispettivamente da Palermo e Napoli, accompagnate rispettivamente
dalla X (Maestrale, Grecale, Scirocco) e dalla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Gioberti)
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno).
Alle 14.35 il
sommergibile britannico Utmost
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), inviato a “coprire” l’accesso
settentrionale dello stretto di Messina durante l’operazione «Halberd», avvista
a 6 miglia di distanza, in posizione 38°18’ N e 15°41’ E, una forza di tre
incrociatori ed otto cacciatorpediniere, diretti verso nord. L’Utmost si avvicina fino ad una distanza
di 2300 metri e sta per lanciare quattro siluri contro l’incrociatore di coda,
quando – verso le 15 – si ritrova quasi in collisione con uno dei
cacciatorpediniere, il che lo costringe ad interrompere ed abbandonare l’attacco.
Le navi che l’Utmost ha cercato di
attaccare sono la III Divisione e la XII Squadriglia, appena salpate da
Messina.
27 settembre 1941
A mezzogiorno la III,
la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere,
si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per
intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a 24 nodi (altra
fonte: rotta 244°, velocità 22 nodi; poi 210° per dirigere incontro al nemico,
alle 12.30 e 180° alle 13, per tagliare la rotta alle forze britanniche,
aumentando la velocità a 24 nodi) per l’intercettazione, con gli incrociatori
che precedono di 10.000 metri le corazzate. La III Divisione viene posizionata
a 10.000 metri per 210° dalla IX Divisione (dalla quale, a causa della scarsa
visibilità verso sudovest, risulta appena visibile, mentre la III Divisione
vede bene le corazzate di Iachino, riferendo però che la visibilità verso sud è
cattiva, dunque in caso d’incontro la Forza H vedrà la squadra italiana prima
che quest’ultima la possa vedere a sua volta), mentre l’VIII prende posto a
10.000 metri per 240 da quest’ultima.
A mezzogiorno, dato
che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una
portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli
aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a
silurare e danneggiare la Nelson),
la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve
libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di combattimento, e le
corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico.
Quando però il contatto appare imminente, in seguito a nuove segnalazioni dei
ricognitori viene appreso che le forze britanniche ammontano in realtà a due
corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei incrociatori, il che pone la
squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica, e
per giunta la prima è sprovvista di copertura aerea (soltanto sei caccia, con
autonomia dalle basi non superiore a 100 km), mentre le navi italiane sono
tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e più tardi, dalle 15.15 alle
17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed
esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei. Alle 14.30,
considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza
di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal
raggio degli aerosiluranti nemici.
Alle 15.30
sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma,
per via della loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi
biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia
(il pilota sarà tratto in salvo dal Granatiere),
mentre gli altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni
secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e
due incrociatori silurati e daneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli
attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava
procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per
est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato
da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima
del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino
le navi italiane attraversano il canale di Sardegna e, come ordinato,
raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno rotta per
ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più
alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti
passato) viene ordinato il rientro alle basi. La III Divisione viene fatta
dirigere su La Maddalena, dove giunge il mattino del 29, per poi
successivamente tornare a Messina.
Ancora nel 1941 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
21 novembre 1941
Alle 8.10 il Corazziere (capitano di vascello Paolo
Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere) parte da
Napoli unitamente a Carabiniere (capitano
di fregata Giacomo Siccio, unica altra unità della XII Squadriglia coinvolta
nell’operazione), Aviere (capitano di
vascello Luciano Bigi, caposquadriglia della XI Squadriglia, che include Geniere, Aviere e Camicia Nera), Geniere (capitano di fregata Francesco
Baslini) e Camicia Nera (capitano
di fregata Silvio Garino) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di
vascello Vittorio De Pace) e Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni; nave di
bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe
Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due convogli
partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi poi
riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e la motonave
cisterna Iridio Mantovani,
scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi,
Pessagno, Da Noli e Turbine e dalla
torpediniera Perseo) e l’«Alfa»
(salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano
Venier scortate dai cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo
Oriani e Vincenzo Gioberti).
Entrambi dovranno
seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
Sono in mare anche
due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal
cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto
e l’altro (nave cisterna Berbera e
torpediniera Pegaso) salpato da
Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di
ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di
cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere
continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio.
Infine, l’incrociatore leggero Luigi Cadorna è partito da Brindisi per
trasportare a Bengasi un carico di benzina, e da Tripoli prendono il mare le
navi qui rimaste bloccate a inizio novembre, per rientrare in Italia.
Si tratta di una
grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea
battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio “Duisburg” (9 novembre
1941), i rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica
“Crusader”, con la quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa
Settentrionale.
La VIII Divisione,
insieme alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Gorizia, nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dovranno fornire
protezione all’intera operazione.
Per evitare che il
nuovo convoglio faccia la stessa fine del “Duisburg”, distrutto dalla Forza K
britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la
presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due
Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì
navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale
numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi
su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i
convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e
VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice
della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero
e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
L’VIII Divisione, che parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco
aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli
ormeggi (il che ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto),
dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In mattinata l’VIII
Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come pianificato.
Il convoglio «Alfa» è
stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a
seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta
che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene
dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
Il convoglio «C»,
invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i
relativi cacciatorpediniere, Corazziere
compreso. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi
contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia,
anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un
Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che
segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane
dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi
i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode,
sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche
modificare la rotta.
Alle 19.50 il
convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo
vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona.
(Secondo un’altra versione, Corazziere,
Geniere, Aviere e Camicia Nera non
sarebbero partiti da Napoli con l’VIII Divisione, bensì da Messina insieme alla
III Divisione ed ad un altro cacciatorpediniere, il Bersagliere).
La VIII Divisione si
posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume
direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle
20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di
superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità
“posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro
notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere
sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce
volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle
navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del
convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco
contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera
contro tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la
formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio
d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia
notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento
di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di
disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini
dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non passa
molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da parte di
aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron e Fairey
Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm e da
bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a Malta); ed anche
sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N
e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le
navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°,
stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e
lancia quattro siluri contro il Trieste,
il quale alle 23.12 viene colpito da una delle armi in corrispondenza della
caldaia numero 3, che esplode: l’incrociatore subisce danni gravissimi,
rimanendo immobilizzato, senza corrente elettrica e con diversi compartimenti
allagati.
L’Utmost, mentre scoppiano le prime due
bombe di profondità, si allontana verso sudest; successivamente vengono gettate
altre 84 bombe di profondità, ma ormai il sommergibile si è allontanato.
Mentre il resto della
formazione prosegue, il Corazziere si
avvicina a poppa dell’immobilizzato Trieste
e, alle 00.07 del 22 novembre, effettua il segnale di riconoscimento. Il
comandante del Trieste, capitano di
vascello Umberto Rouselle, ordina al Corazziere
di girare intorno al suo incrociatore a velocità non eccessiva, per fare
vigilanza antisommergibili (la torpediniera Perseo sta già girando attorno al Trieste per impedire nuovi attacchi
subacquei).
22 novembre 1941
Alle 00.13 il Corazziere chiede al Trieste, a mezzo di megafono, se
quest’ultimo necessiti di rimorchio; dall’incrociatore viene risposto di sperare
di riuscire, a breve, a rimettere in moto a bassa velocità con rotta nordovest.
Intanto, alle 00.15, sopraggiunge anche il Carabiniere,
parimenti rimasto ad assistere il Trieste.
Alle 00.38 il Trieste riesce a rimettere in moto e
dirige lentamente per Messina, scortato da Corazziere e Carabiniere.
L’incrociatore giungerà a Messina alle 7.30 di quello stesso mattino, ma prima
ancora di arrivare in porto Corazziere
e Carabiniere vengono richiamati
dall’ammiraglio Lombardi e mettono di nuovo la prua a sud: sono infatti
chiamati ad assistere il Duca degli
Abruzzi, che nel frattempo è stato anch’esso silurato.
Il siluramento del Duca degli Abruzzi, per mano non di
sommergibili ma di aerosiluranti, è avvenuto alle 00.38, proprio all’ora in cui
il Trieste rimetteva in moto.
La conseguente menomazione
della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla
notizia della presenza in mare di forze di superficie britanniche, hanno
indotto l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato
da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina
conferma l’ordine. Garibaldi e
XIII Squadriglia rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi: quest’ultimo rimette in moto già alle 00.40,
non avendo subito danni nei locali dell’apparato motore; gli allagamenti
vengono anch’essi agevolmente contenuti, ma il siluro, che ha colpito a poppa,
ha causato seri danni al timone, il che impedisce all’incrociatore di
governare. Per quasi tre ore il Duca
degli Abruzzi gira in tondo – pur di non restare fermo, bersaglio immobile
e fin troppo facile per gli attaccanti – mentre l’equipaggio ripara i danni
agli apparati di governo, sotto la protezione di Garibaldi e XIII Squadriglia che lo occultano con cortine
nebbiogene e sparano intensamente contro bombardieri ed aerosiluranti che
seguitano ad attaccare.
Alle 3.23,
finalmente, il timone è riparato ed il Duca
degli Abruzzi è in grado di fare rotta per le coste della Calabria, alla
velocità di 6 nodi.
Successivamente
arrivano sul posto anche Corazziere e
Carabiniere; alle 7 del mattino
l’incrociatore danneggiato è circondato dai cacciatorpediniere Corazziere, Carabiniere, Vivaldi, Da Noli, Turbine, Granatiere, Fuciliere e Alpino, e dalla torpediniera Perseo.
Tutte le siluranti evoluiscono intorno al Duca
degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo.
L’incrociatore,
assistito dal rimorchiatore Impero e
scortato da Granatiere, Fuciliere, Alpino, Vivaldi, Da Noli e Perseo, riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42; Corazziere, Carabiniere e Turbine
dirigono per Reggio Calabria, dove arrivano alle 12.40.
Il Corazziere in una cartolina dipinta dal pittore di Marina Rodolfo Claudus (g.c. Mario Mandina) |
29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed
il 30 novembre sono partiti, o devono partire, ben quattro convogli e cinque
unità militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a
Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico,
da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio
Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi;
cacciatorpediniere Nicolò Zeno,
da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele
Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi
navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due
convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a
protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori
britannici, una consistente forza di protezione con varie navi maggiori.
Alle 22.20 del 29 Corazziere e Carabiniere partono pertanto da Messina insieme all’incrociatore
leggero Giuseppe Garibaldi
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), unica unità residua dell’VIII
Divisione dopo il siluramento del Duca
degli Abruzzi. Da Taranto sono invece uscite, alcune ore prima, la
corazzata Duilio (comandante
superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) con la XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e la
VII Divisione (incrociatori leggeri Attendolo, Montecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Camicia Nera).
La VII Divisione
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) e la XI Squadriglia (Geniere compreso), punta avanzata della
formazione italiana, salpano da Taranto a mezzogiorno del 29, e si dislocano a
metà strada tra Taranto e Bengasi, mentre Duilio, Garibaldi e
relativi cacciatorpediniere prendono il mare in serata, a sostegno della VII
Divisione.
Nel pomeriggio dello
stesso 29 novembre la VII Divisione viene avvistata dal sommergibile britannico
P 31 (poi Uproar), che l’attacca senza successo; tuttavia la formazione
italiana, diretta a sud, è stata così scoperta dai britannici. Questi ultimi,
d’altra parte, apprendono del cospicuo traffico navale italiano anche mediante
decrittazioni di “ULTRA” relative ai convogli in partenza.
Da Malta, pertanto,
il mattino del 30 novembre prendono il mare con l’obiettivo di intercettare i
convogli italiani (nonostante l’avvistamento della squadra di protezione
formata da Duilio, Garibaldi e VII Divisione), l’ormai famigerata
Forza K (capitano di vascello William Gladstone Agnew), costituita dagli
incrociatori leggeri Aurora (nave
di bandiera del comandante Agnew) e Penelope e
dal cacciatorpediniere Lively, e
la Forza B (contrammiraglio Henry Bernard Hughes Rawlings), formata dagli
incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai
cacciatorpediniere Kingston e Kimberley. Per tutta la giornata del 30,
aerei britannici tengono sott’occhio sia i mercantili diretti a Bengasi che le
navi da guerra italiane, nonostante la scorta aerea con caccia della Regia
Aeronautica.
Nemmeno l’uscita in
mare delle navi britanniche sfugge alle forze italiane, grazie al loro
avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, pertanto Supermarna
ordina alla VII Divisione di tenersi ad immediato contatto con la
motonave Venier, la più importante tra quelle in mare ad est di Malta ed
esposte al pericolo dell’incursione navale britannica. Alle 15.15 del 30 il
gruppo «Garibaldi» ed il gruppo «Duilio» si riuniscono, e dirigono poi verso la
posizione stimata del gruppo «Aosta», col quale devono congiungersi per
fronteggiare la minaccia degli incrociatori partiti da Malta.
Ma la sfortuna si
accanisce contro i piani italiani: nel pomeriggio del 30 il Garibaldi viene colto da una grave
avaria alle caldaie, che lo lascia immobilizzato. Cacciatorpediniere e Duilio incrociano in zona mentre sul Garibaldi, che alle 16.22 comunica di
avere tutte le caldaie spente, si cerca di comprendere quali siano le cause
dell’avaria; alle 16.51 l’incrociatore comunica che l’avaria non è ancora
chiarita, che può muovere con una sola macchina e che ritiene opportuno
imboccare la rotta di rientro. Alle 16.30, dato che il problema non è ancora
risolto (il Garibaldi ha
rimesso in moto, ma senza riuscire a superare i 15 nodi di velocità), che la
VII Divisione è ancora troppo lontana per poterlesi riunire in ore diurne, che
le navi si trovano vicine al punto in cui alle 13.38 è stato avvistato un
sommergibile nemico, che alle 12.57 è stato avvistato un aereo sospetto, e che c’è
rischio di un attacco contro l’incrociatore in difficoltà, l’ammiraglio Porzio
Giovanola comunica a Supermarina che salvo contrordine dirigerà verso nord. Successivamente,
pertanto, Duilio, Garibaldi e cacciatorpediniere ripiegano
in formazione verso nordest per allontanarsi dalla zona in cui è stato
avvistato il sommergibile, dopo di che dirigono verso nord.
Gli ordini emanati
prima dell’operazione prevedono che la forza di copertura dovrebbe rientrare a
Taranto al tramonto del 30 solamente qualora non giungesse notizia della
presenza di forze di superficie britanniche nel Mediterraneo centro-orientale;
la presenza di tali forze appare ora del tutto evidente, ma per proteggere
l’avariato Garibaldi nel ritorno alla
base occorre la protezione della Duilio,
e ciò lascerebbe in mare la sola VII Divisione, che si troverebbe in condizioni
di inferiorità numerica alle Forze B e K qualora si dovessero riunire (per non
parlare del caso, più che probabile, di un attacco notturno delle forze
britanniche, che vedrebbe gli incrociatori italiani in netto svantaggio). Alle
17.45, pertanto, Supermarina ordina a tutta la forza di copertura di rientrare
a Taranto. Qui le navi giungeranno alle 11.20 del 1° dicembre.
La Forza K
intercetterà ed affonderà l’Adriatico,
il Da Mosto e la Mantovani.
13 dicembre 1941
Il Corazziere salpa da Taranto alle 19.40
insieme ai gemelli Carabiniere, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera (per altra versione Corazziere, Geniere e Carabiniere sarebbero partiti più tardi,
separatamente dal resto del gruppo), agli incrociatori leggeri Attendolo e Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione
Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione) ed alla corazzata Andrea
Doria, nell’ambito dell’operazione di
traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato
su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e
dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e
la torpediniera Procione provenienti
da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Attendolo, Duca d’Aosta e Doria,
più i relativi cacciatorpediniere, sono assegnati alla protezione del
convoglio «N», mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla
corazzata Duilio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII
Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di
bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione)
e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia (con
a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni.
Un’altra immagine del Corazziere (g.c. Mario Mandina) |
14 dicembre 1941
Alle nove del
mattino, il sommergibile britannico Urge silura
la Vittorio Veneto,
danneggiandola gravemente. Durante la navigazione si verificano altri allarmi
per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione che un gruppo di
aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non alla fine non
succede niente.
Durante la
navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da
altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta
dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti della X Squadriglia e Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere, il Camicia Nera, il Vivaldi
ed il Da Noli, mentre le torpediniere
Centauro e Clio lasciano la scorta e raggiungono Messina.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
16 dicembre 1941
Il 16 dicembre, alle
20, il Corazziere (caposquadriglia
della XII Squadriglia Cacciatorpediniere) lascia Taranto insieme ai
cacciatorpediniere Carabiniere, Usodimare (coi quali forma la XII
Squadriglia), Maestrale, Oriani, Gioberti (X Squadriglia), Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino (XIII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione) ed alle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante superiore in mare, ammiraglio
di squadra Angelo Iachino) formando la forza di sostegno a distanza
all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di
materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette
a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come
convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata
dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura
ravvicinata (corazzata Duilio,
con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori
leggeri Duca d’Aosta – con
a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione
–, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia
Nera).
Una volta in
franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Corazziere assume rotta 156° e velocità 20 nodi; III Divisione
(ammiraglio di divisione Angelo Parona, imbarcato sul Gorizia) e X Squadriglia si portano 10 miglia a proravia
della Littorio, mentre XII e
XIII Squadriglia, Corazziere
compreso, rimangono con le corazzate (gruppo «Littorio»).
Poco prima di
mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile
britannico Unbeaten, che ne
comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa
l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in
navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna
militare Breconshire, con 5000
tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori
leggeri Naiad (nave
ammiraglia di Vian) ed Euryalus,
dall’incrociatore antiaerei Carlisle e
dai cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere
perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad
ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi
rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e
rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (Sikh, Legion, Maori, Lance, Lively, Legion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle 7.30 il gruppo «Littorio»,
come da ordini, si trova nel punto 36°54’ N e 19°00’ E.
Alle 9 la formazione
britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne
viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore
contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e
soprattutto la Breconshire è
stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare
di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da
un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora
ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti
gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico
persisteranno nello scambiare la Breconshire per
una corazzata.
In seguito a tale
comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la
rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima
(Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio
che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza
della Breconshire diretta a
Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio,
sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un avvistamento di fumo
all’orizzonte da parte dell’Oriani,
poi risultato errato, alle 15.43), l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro
con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la XII e
XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il
combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi
britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter
raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare
all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa
ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere posizione di scorta ravvicinata)
e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in
linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto,
quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso fuoco contraereo al
traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto alla posizione stimata
sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter
dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed
accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso
il nemico.
Alle 17.40, mentre il
sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di
prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a
dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio
adeguato.
Alle 17.52
l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso
sud con la scorta di Havock e
Decoy, poi dirige verso la squadra
italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare
la Breconshire con cortine
fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante,
indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le
corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi
di Vian, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche
(in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori
leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e
10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere
britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in
risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro
al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi
britanniche. In questo frangente uno dei cacciatorpediniere nemici,
l’australiano Nizam, subisce alcuni
danni per dei colpi di cannone (forse del Maestrale)
caduti molto vicini.
Calato poi il buio,
alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha
raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse
il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione
italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori
italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12
Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa).
Lo scontro ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino,
temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea –
la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a
fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno,
e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto
di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la
formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si
dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di
assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est
della formazione.
Durante la sera e la
notte, il gruppo «Littorio» segue alternativamente rotte 40° e 220° a 18 nodi
di velocità, tenendosi ad est del convoglio in posizione idonea a poterlo
proteggere da eventuali attacchi da parte delle navi britanniche con le quali
ci si è scontrati poco prima. Il gruppo viene sorvolato da aerei nemici,
illuminato con un piccolo proiettore da uno di essi e probabilmente anche
localizzato anche dal radar di un’unità britannica, le cui trasmissioni radio
vengono intercettate; tuttavia, non si concretizza alcun attacco britannico.
18 dicembre 1941
Verso le sei del
mattino (poco prima dell’alba), a sudest della Sicilia, durante una manovra
intrapresa dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere per cambiare posizione
passando da un lato all’altro della formazione, Corazziere (appartenente alla XII Squadriglia) e Granatiere (della XIII Squadriglia) entrano
in collisione a causa di un errore di manovra, distruggendosi a vicenda la
prua. La collisione avviene mentre i due cacciatorpediniere procedono quasi di
controbordo, ad alta velocità, con effetti disastrosi; è il Corazziere a speronare il Granatiere a prora sinistra, appena a
poppavia del complesso prodiero da 120/50 mm. Di conseguenza, il Granatiere riporta i danni più gravi,
con l’asportazione dell’intera prua fin quasi alla sovrastruttura della plancia;
il Corazziere, da parte sua, si
ritrova a sua volta seriamente danneggiato, con buona parte della prua (fino a
subito prima del complesso prodiero da 120/50, che a differenza di quello del Granatiere è stato “risparmiato”) schiacciata
e accartocciata, anche se il danno è meno catastrofico di quello subito dal Granatiere. Nonostante la gravità dei
danni, comunque, le paratie trasversali reggono su entrambi i
cacciatorpediniere, che rimangono così a galla, per quanto mutilati. Tra
l’equipaggio del Corazziere vi è una
vittima: il sottocapo cannoniere Mario Paris, da Senigallia (Ancona), di 21
anni.
Alle 7.12 Maestrale, Oriani e Gioberti,
insieme alla III Divisione, ricevono ordine di dare assistenza ai due
cacciatorpediniere lesionati; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di
lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto. Maestrale, Oriani e Gioberti, cui
più tardi si unisce lo Strale,
rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere. Il Corazziere viene preso a rimorchio dal Gioberti, che lo porta ad Argostoli (Cefalonia), mentre l’Oriani fa lo stesso con il Granatiere, rimorchiandolo a Navarino.
Nel frattempo, alle 15
del 18 dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a
distanza hanno lasciato la scorta dei due convogli, che arrivano a destinazione
l’indomani (pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno
ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
I britannici, grazie
alle intercettazioni di “ULTRA”, vengono a sapere anche della collisione tra Corazziere e Granatiere.
19 dicembre 1941
Il gruppo «Littorio»
arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
Il Corazziere raggiunge Argostoli lo
stesso giorno, mentre il Granatiere
viene preso a rimorchio alle 10.30 del 20 dicembre dal rimorchiatore tedesco Max Barendt, inviato appositamente da
Bengasi, che lo porta a Navarino, dove giungerà alle due di notte del 21.
(Altra fonte inverte i porti di destinazione: il Corazziere sarebbe stato rimorchiato a Navarino, ed il Granatiere ad Argostoli).
Ad Argostoli, il Corazziere si ormeggia al centro della
baia, ad un centinaio di metri dal molo, con l’ancora di poppa; la maggior
parte dell’equipaggio viene sbarcato, lasciando a bordo una trentina di uomini.
Due immagini del Corazziere, con la prua distrutta, alla fonda nella rada di Argostoli nel dicembre 1941 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: Coll. N. Siracusano via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
Dicembre 1941
Durante la sosta
forzata ad Argostoli, nell’attesa dell’invio dall’Italia dei mezzi necessari a
riparare la nave a sufficienza da permetterle di affrontare la navigazione fino
a Taranto, gli uomini rimasti sul Corazziere
si ritrovano a vivere in condizioni a dir poco spartane: il dormitorio
dell’equipaggio si trovava a prua, proprio nella parte di nave distrutta dalla
collisione, e di conseguenza gli uomini non hanno più un locale dove dormire ed
hanno perso tutto il vestiario, le coperte, le amache, i materasssini e gli
effetti personali, restando soltanto con quello che indossavano al momento
della collisione. La perdita di coperte e vestiti si fa particolarmente
sentire, date le rigide temperature di dicembre; gli uomini devono arrangiarsi
a dormire in qualsiasi angolo di nave riparato dalle intemperie, senza nulla con
cui coprirsi, mentre col passare dei giorni il clima si fa sempre più freddo.
Di giorno, per scaldarsi, ci si mette a correre tra la poppa ed il dormitorio
sottufficiali.
Questa situazione,
insieme alla totale inattività ed al ritardo nell’arrivo dei soccorsi
dall’Italia, ha l’effetto di demoralizzare gli uomini rimasti sul Corazziere; un giorno, finalmente,
arriva un idrovolante con viveri e posta, e le cose parvero migliorare almeno
un po’. Ma la situazione rimaneva grama: non era nemmeno possibile lavarsi, o
cambiare la biancheria (essendo andata perduta quella di ricambio).
Secondo il ricordo del
reduce Bruno Taglieri, all’epoca sottocapo silurista sul Corazziere, dopo alcuni giorni gli uomini rimasti sul Corazziere avrebbero escogitato un
singolare espediente per migliorare la loro condizione. Notando un deposito di
materiali da costruzione sulla vicina spiaggia, Taglieri propose di costruire
muro provvisorio in cemento armato, per isolare i compartimenti prodieri dal
mare; l’idea venne accettata dagli ufficiali, e tutto il personale rimasto sul Corazziere si mise al lavoro. Le
ferroguide montate per la posa delle mine vennero utilizzate per formare l’“intelaiatura”
metallica del muro; quest’ultima venne realizzata dallo stesso Taglieri e
dall’unico altro silurista rimasto a bordo, che era uno specialista della
saldatura ad ossigeno, mentre altri membri dell’equipaggio reperirono presso la
popolazione locale sabbia, cemento, ghiaia ed altro materiale occorrente per
realizzare il muro. Il materiale così procurato venne caricato su un barcone,
anch’esso prestato dai greci, che il mattino del 24 dicembre lo portò
sottobordo al Corazziere; ci si mise
quindi alacremente al lavoro per innalzare il muro ed il lavoro venne ultimato
proprio nella notte di Natale, poco dopo la mezzanotte.
Per quanto strana, la
storia raccontata da Taglieri sembra confermata dai ricordi del maggiore del
Genio Navale Mario Mandina, all’epoca direttore di macchina del Corazziere, che avrebbe in seguito
raccontato ai familiari, nel dopoguerra, la storia del muro costruito per
rimettere la nave in condizione di prendere il mare almeno temporaneamente.
Il muro permise in
primo luogo agli uomini del Corazziere
di “recuperare”, isolandolo dal mare, un locale che poté essere utilizzato per riunirsi
e mangiare con un po’ più di comodità, sempre in attesa dell’arrivo di aiuto
dall’Italia. A turbare gli animi giunse la notizia della presenza in zona di un
sommergibile nemico, ma gli uomini rimasti sul Corazziere decisero, nonostante tutte le avversità del momento, di festeggiare
egualmente Capodanno. Con i soldi rimasti in tasca venne acquistato da un
contadino greco un maialino, nonché alcune bottiglie di vino e di spumante; e
la sera del 31 dicembre 1941, quei pochi uomini rimasti bloccati su una nave
mutilata ferma in un porto straniero trovarono il modo di festeggiare lo stesso
l’anno nuovo.
Il
capitano del Genio Navale Mario Mandina, direttore di macchina del Corazziere, e sotto, le decorazioni
conferitegli per il suo servizio (per g.c. del nipote Mario Mandina)
Gennaio 1942
Qualche giorno dopo
l’inizio del 1942, finalmente, arrivano ad Argostoli i mezzi di soccorso; dopo
alcune riparazioni provvisorie eseguite in loco, il Corazziere viene trasferito a Taranto per i lavori di ricostruzione
della prua, che si protrarranno per cinque mesi. Tali lavori sono effettuati
nell’Arsenale della base pugliese, a cura della Direzione Costruzioni Navali di
Taranto (Maricost Taranto). Parte dell’equipaggio viene alloggiato a bordo
della corazzata Giulio Cesare; gli uomini che erano rimasti con
la nave durante la difficile sosta ad Argostoli possono, finalmente, fruire di
un periodo di licenza.
A seguito della
collisione tra Granatiere e Corazziere, la XII Squadriglia
Cacciatorpediniere viene sciolta, e le sue unità vengono suddivise tra la XI e
la XIII Squadriglia: al suo rientro in servizio, il Corazziere verrà assegnato alla XI Squadriglia insieme ad Aviere, Geniere e Camicia Nera.
È probabilmente
durante questi lavori che il Corazziere
riceve anche le modifiche all’armamento apportate su tutte le unità della
classe Soldati nel 1941-1942: l’obice illuminante da 120/15 mm viene eliminato
e sostituito con un quinto cannone da 120/50 mm mod. Ansaldo 1940. Vengono
inoltre eliminate 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti
singoli ed otto in impianti binati) ed installate invece quattro mitragliere
binate Breda 1935 da 20/65 mm (per altra fonte due, in impianti singoli
laterali a ridosso della torretta telemetrica) e due scaricabombe per bombe di
profondità.
8 maggio 1942
Completati i lavori
di ricostruzione della prua, il Corazziere
torna in servizio, al comando del capitano di fregata Antonio Monaco di Longano.
Nel corso dei lavori è stato anche dotato di ecogoniometro: è il primo a
riceverlo, tra le navi della classe Soldati.
14 giugno 1942
Alle 10 del mattino il
Corazziere (capitano di fregata
Antonio Monaco di Longano) accende le caldaie e successivamente lascia Taranto
insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Camicia Nera), alla VII Squadriglia (Freccia, Folgore e Legionario),
alla XIII Squadriglia (Mitragliere, Bersagliere ed Alpino), alla III Divisione (Trento e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo
Parona), alla VIII Divisione (Garibaldi,
nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, e Duca d’Aosta) ed alla IX Divisione (Littorio, nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in
mare, e Vittorio Veneto,
nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo), per contrastare
l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un convoglio di rifornimenti da
Alessandria a Malta, con undici mercantili scortati da otto incrociatori e 26
cacciatorpediniere oltre a naviglio minore ed ausiliario) nel corso della
battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. La XI Squadriglia è assegnata alla scorta
degli incrociatori della III e VIII Divisione.
La formazione
italiana (le cui unità sono tenute pronte ad uscire in mare entro tre ore già
dalle 18 del 13 giugno) parte da Taranto nel primo pomeriggio del 14 (la III e
la VIII Divisione oltrepassano le ostruzioni alle 13.02, la IX Divisione alle
13.49), poi (a 20 nodi) segue le rotte costiere orientali del golfo di Taranto
sino al largo di Vela di Santa Maria di Leuca (dove si uniscono ad essa i
cacciatorpediniere Saetta, che
viene aggregato alla VII Squadriglia, e Pigafetta, che viene aggregato alla XIII), dopo di che, alle 18.06,
assume rotta 180° e dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’
E) per intercettare il convoglio britannico. Alle 20.20 un aereo sospetto viene
segnalato in prossimità del gruppo degli incrociatori.
Calata la notte, i
quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia si dispongono attorno agli
incrociatori (che procedono in linea di fila nell’ordine Garibaldi, Duca d’Aosta, Gorizia e Trento): due a dritta (Geniere
seguito da Camicia Nera) e due a
sinistra (Aviere seguito da Corazziere).
Essendo stata
avvistata alle 17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud
fino alle 22, poi, alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a
mezzanotte, allo scopo di disorientare le forze nemiche.
15 giugno 1942
Intorno alle 2.30, essendo
stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro attacco (diretto
contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad emettere cortine
nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo l’ammiraglio
Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal caso sarebbe
vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità di essere
colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente vengono
sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma poi, dato
che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni, viene
ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è stata
riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi la
squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con tale
rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque minuti di
30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle 3.56, non
vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa l’emissione di
cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington, infatti, si sono
ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane nelle cortine
nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una corazzata ma senza
risultati.
Alle 4.15 la
formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta
per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il
convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già
invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a
danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere
uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio
dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire
definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
L’orizzonte è chiaro
e luminoso verso est, e le sagome delle navi, con rotta sud, risultano fin
troppo ben delineate; verso ovest, invece, il cielo è ancora scuro, anche se la
linea dell’orizzonte è distinguibile. La formazione degli incrociatori (gruppo
«Garibaldi»), di cui il Corazziere fa
parte, procede a 20 nodi nell’ordine assunto ore prima, con gli incrociatori in
linea di fila ed i quattro cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale,
formazione notturna assunta proprio in previsione di attacchi di aerosiluranti.
(Secondo il ricordo di Antonio Angelo Caria, stereotelemetrista sul Corazziere, questa nave occupava nella
formazione il posto a sinistra del Garibaldi,
mentre secondo lo schema conteuto nel volume ufficiale dell’USMM tale posto
sarebbe stato occupato dall’Aviere). De
Courten ritiene che sarebbe migliore la formazione usata comunemente di giorno,
su due colonne, perché sfrutterebbe meglio la protezione dei
cacciatorpediniere, specie quando questi ultimi – come in questo caso – sono in
numero ridotto; Iachino è invece di opposto avviso, perché tale formazione
vincolerebbe troppo la manovra delle unità, costringendole sempre ad accostare
in fuori per non entrare in collisione con quelle vicine, e renderebbe meno
libero anche il tiro contraereo, mentre la linea di fila sarebbe più agile e
più sciolta.
Poco dopo le cinque
del mattino del 15 giugno, venti minuti prima del sorgere del sole, i quattro
incrociatori (al comando dell’ammiraglio De Courten), che con la XI Squadriglia
procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono
attaccati da nove aerosiluranti britannici Bristol Beaufort (è la prima volta
che aerei di questo tipo, più grandi e meglio protetti dei Fairey Swordfish ed
in grado di portare due siluri anziché uno, vengono usati contro la flotta da
battaglia italiana). Il primo ad avvistarli, nel gruppo degli incrociatori, è
il Corazziere, che segnala velivoli
nemici verso sudest; inizialmente viene avvistato un singolo aereo, sul lato
sinistro della formazione (verso est), che si mantiene sempre a bassa quota ed
a grande distanza (12-15 km) e si sposta verso sud e poi verso ovest (il che indurrà
l’ammiraglio De Courten a ritenere che tale aereo avesse specificamente il
compito di stabilire il contatto con le navi italiane e di guidare gli
aerosiluranti verso la posizione più favorevole per un attacco, cioè quella il
lato occidentale della formazione). Inizialmente l’aereo non viene riconosciuto
come nemico, sia perché è troppo lontano per permetterne l’identificazione, sia
perché è atteso l’arrivo di velivoli della Regia Aeronautica per la scorta
aerea, ed il nuovo arrivato esegue una manovra analoga a quella normalmente
eseguita dagli aerei italiani di scorta. Soltanto quando, dopo poche decine di
secondi (verso le 5.10), vengono avvistati tre aerosiluranti che si avvicinano
alla formazione volando in gruppo e bassi sul mare, viene dato l’allarme e
viene aperto un intenso tiro contraereo, mentre le navi iniziano ad
intraprendere manovre evasive. La reazione contraerea, secondo quanto scriverà
De Courten nel suo rapporto, è molto intensa da parte degli incrociatori, ma
scarsa ed insufficiente da parte dei cacciatorpediniere: ciò perché questi
ultimi sono soltanto quattro, e muniti di un ridotto numero di mitragliere.
I nove Beaufort
attaccano in tre ondate, composte ciascuna da tre aerei: quelli della prima
ondata si separano in modo da lanciare simultaneamente ma da angolazioni
diverse ed attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta; quelli della seconda
ondata attaccano soprattutto il Gorizia
ed il centro della formazione, mentre quelli della terza prendono di mira la
coda della formazione (Gorizia e Trento). Tutti gli aerei si avvicinano
decisamente sotto il fuoco delle navi, sganciano il proprio siluro e poi virano
rapidamente; alcuni di essi, per allontanarsi, defilano di controbordo a
pochissima distanza dalle navi italiane, venendo bersagliati dal fuoco delle
mitragliere, che è però grandemente complicato dalle forti variazioni di
brandeggio. (Antonio Angelo Caria ricordò poi che uno degli aerosiluranti passò
proprio sopra il Corazziere, tanto da
poterne vedere chiaramente il contrassegno della RAF sotto le ali, mentre un
altro aerosilurante passò tra il Corazziere
ed il Garibaldi ed altri quattro o
cinque passarono sulla sinistra del Corazziere).
In tutte e tre le ondate gli aerosiluranti, attaccando da direzioni diverse,
realizzano dei pericolosissimi “incroci” di siluri. Mentre gli aerosiluranti
che attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta sganciano i loro siluri da
circa mille metri di distanza, quelli che puntano su Trento e Gorizia li
lanciano da distanze molto minori. Ciascuna nave manovra per contro proprio per
evitare i siluri, in base alle decisioni dei rispettivi comandanti (che a loro
volta decidono le manovre in base agli sganci di siluri che possono osservare);
otto delle nove armi lanciate vengono così evitate, ma una – sganciata da non
più di 200 metri, distanza troppo breve per consentire una manovra evasiva –
colpisce il Trento, l’ultimo
incrociatore della fila ed il meno protetto dai cacciatorpediniere, che sono
più vicini alla testa della formazione. L’incrociatore rimane immobilizzato, in
preda ad un violento incendio. Due dei Beaufort vengono danneggiati dal tiro
italiano.
Poco più tardi, tra
le 5.26 e le 5.51, tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio»,
ma senza successo. La formazione italiana prosegue sulla sua rotta, dopo aver
distaccato Saetta e Pigafetta per l’assistenza al Trento danneggiato. (Più tardi,
alle 9.13, il Trento verrà
nuovamente silurato dal sommergibile britannico P 35 – che alle 5.46 aveva già infruttuosamente lanciato
quattro siluri da 4500 metri contro la Vittorio Veneto, senza che le unità italiane se ne accorgessero –
ed affonderà in soli sette minuti, con la perdita di 570 dei 1151 uomini
dell’equipaggio).
Alle 6.15 il
sommergibile britannico P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) riesce a superare inosservato lo
schermo della scorta prodiera per attaccare gli incrociatori del gruppo «Garibaldi»,
ma proprio quando è giunto in posizione di lancio vede gli incrociatori
accostare di 90° verso di lui, passargli sopra ed assumere una rotta che
riporta fuori tiro, così vanificando il tentativo di attacco.
Alle sette vi è un
nuovo allarme in seguito all’avvistamento di nove aerei dapprima ritenuti
nemici – tutte le armi vengono puntate contro di essi –, ma che poi si rivelano
essere tedeschi, la scorta aerea sopraggiunta. Sempre alle 7,
in seguito a numerose comunicazioni che rivelano che il convoglio è molto
indietro rispetto al previsto od addirittura sta tornando ad Alessandria, la
squadra di Iachino assume rotta 140° per poterlo intercettare (nell’ipotesi che
ancora stia dirigendo su Malta). Intorno a quest’ora il Garibaldi, per ordine di Iachino, catapulta un idrovolante da
ricognizione, ma l’aereo non riesce a levarsi in volo e cade subito in mare,
con la morte di tutto l’equipaggio.
Poco dopo le otto
vengono avvisati due aerei britannici 30° a di prua a dritta, e viene aperto il
fuoco contro di essi, ma frattanto sopraggiunge da sinistra una formazione di
otto bombardieri statunitensi Consolidated B-24 Liberator che, tenendosi a 4000
metri di quota, sgancia sulle corazzate, colpendo con una bomba la Littorio, provocando modesti danni.
Subito dopo le navi italiane accostano ad un tempo di 80° a sinistra, per poter
rivolgere tutte le armi contro gli aerei, poi, essendosi questi allontanati,
riprendono la rotta 110°. Poco dopo le 8.40 vengono avvistati cinque
aerosiluranti Bristol Beaufort provenienti da prua, contro cui aprono il fuoco
sia i pezzi da 90 mm delle corazzate che quelli da 120
mm dei cacciatorpediniere (e successivamente anche le mitragliere), e le
navi accostano rapidamente sulla dritta sin quasi ad invertire la rotta,
confondendo gli attaccanti, che lanciano infruttuosamente da poppa, tre da una
distanza di circa 4000 metri e due da una distanza di 2000 metri (le
prime tre armi sono evitate con piccole accostate, le ultime due mettendo tutta
la barra a sinistra). Due degli aerei vengono danneggiati dal tiro contraereo.
Poi la squadra italiana ritorna in linea di fila; viene assunta rotta verso sud
e poi, alle nove, si torna sulla rotta 110° (verso est-sud-est) per raggiungere
il nemico.
Alle 9.17, in seguito
all’avvistamento di navi da parte di uno dei ricognitori imbarcati, la velocità
viene portata a 24 nodi. Alle 11.40 l’Aviere,
cacciatorpediniere in posizione più avanzata a sinistra del gruppo «Garibaldi»,
segnala di aver avvistato fumo ed un’alberatura in direzione 120° (quasi di
prua), e poco dopo fumo ed alberatura vengono avvistati anche dalle altre navi
del gruppo.
Alle 11.50 anche la Littorio avvista un fumo a 30° di prua
dritta; viene allora ordinato il posto di combattimento generale e la
formazione italiana accelera a 28 nodi ed assume rotta per 150° per incontrare
quelle che crede essere le navi britanniche, ma scopre invece trattarsi di un
ricognitore italiano precipitato in mare.
Alle 12.20 la
velocità viene nuovamente ridotta a 24 nodi, ed alle 14.00, essendo ormai
evidente l’impossibilità di incontrare le forze nemiche, ormai tornate alla
base, anche le unità italiane accostano per 340° e riducono la velocità a 20
nodi per rientrare alle loro basi.
Alle 17.09 un caccia
tedesco getta in mare, a sinistra delle navi, un fumogeno, segnale concordato
per indicare l’avvistamento di un sommergibile, pertanto la formazione italiana
accosta ad un tempo a dritta, per poi tornare sulla rotta 340° alle 17.21. Al
tramonto il sommergibile britannico Thrasher
avvista il gruppo «Garibaldi», ma rinuncia ad attaccare, perché troppo lontano.
Alle 18.10 il Garibaldi avvista un
periscopio a 5000 metri di distanza, manovrando quindi per allontanarsi: si
tratta del sommergibile britannico Porpoise, il quale manovra per attaccare ma
alle 18.35 viene attaccato da bombardieri tedeschi e costretto a sua volta ad
abbandonare l’attacco, scendendo a maggiore profondità.
Alle 22,
in seguito a nuove disposizioni (trovarsi a 60 miglia per 180°
da Nido alle cinque del mattino del 16, per un’eventuale ripresa dell’azione)
la squadra di Iachino assume rotta 250°, ma tra le 22.30 e le 23,
in seguito al rilevamento di aerei, accosta dapprima per 210° e poi (poco
prima delle 23) per 260°. Poco dopo, tuttavia, iniziano ad accendersi dei
bengala e quindi le navi italiane iniziano ad emettere cortine di nebbia, che
risultano però meno dense ed efficaci rispetto alla notte precedente. Alle
23.26 ed alle 23.55 si accendono altri bengala a dritta e verso poppavia, e la
seconda serie di bengala, a 4000 metri, vanifica l’effetto delle cortine
fumogene. Le navi accostano rapidamente di 20° a sinistra, per lasciarsi a
poppa i bengala, ma poco dopo se ne accendono altri a soli 2500 metri. I
cacciatorpediniere (cui poi si uniscono le corazzate) dirigono il tiro di tutte
le mitragliere su un aerosilurante britannico, in avvicinamento da circa 20° di
prora a dritta, che riesce ad avvicinarsi a circa 1000 metri prima di
sganciare: alle 23.40 la Littorio viene
colpita da un siluro a prua dritta. Dopo essersi fermata per evitare una
collisione con la Vittorio Veneto impegnata
in manovre evasive, la corazzata colpita può rimettere in moto a 20 nodi, e la
formazione assume rotta 340°, ma altri bengala si accendono a soli 2000
metri, quindi la formazione italiana accosta immediatamente ad un tempo a
dritta assumendo rotta 50° per lasciarsi i bengala a poppa, ma non vi sono
altri attacchi. Poco dopo mezzanotte viene ripresa rotta 350° (verso nord),
mentre le navi italiane vengono infruttuosamente cercate da altri aerei.
16 giugno 1942
Non si verificano più
attacchi aerei, ed all’1.18 viene fatta cessare l’emissione di cortine e si
ritorna in formazione, con rotta su Taranto.
Alle 5.06 la squadra
accosta per 315° apprestandosi ad imboccare la rotta di sicurezza, procedendo a
zig zag e poi eseguendo diverse accostate in seguito ad avvistamenti, veri o
presunti, di periscopi nemici; verso le 9 un altro caccia tedesco getta in mare
un fumogeno (così segnalando la presenza di un sommergibile) a dritta della
formazione, che accosta immediatamente a sinistra. La rotta di sicurezza viene
imboccata alle 10.35, ed alle 16.21 il gruppo «Garibaldi» attraversa le
ostruzioni, giungendo poco dopo nel porto di Taranto.
21 giugno 1942
Una rappresentanza
dell’equipaggio del Corazziere viene
mandata a bordo della corazzata Littorio
(ammiraglia della Squadra Navale) per le celebrazioni della vittoria di Mezzo
Giugno. Benito Mussolini, accompagnato dagli ammiragli Angelo Iachino
(comandante della Squadra Navale) ed Arturo Riccardi (capo di Stato Maggiore
della Marina) e del segretario del partito fascista Aldo Vidussoni, visita la Littorio e passa in rassegna le
rappresentanze degli equipaggi di tutte le navi che hanno partecipato alla
battaglia di Mezzo Giugno, conferendo le decorazioni a chi si è distinto.
1-2 luglio 1942
Il Corazziere parte da Taranto e viene
inviato a Navarino (Grecia) unitamente alla VIII Divisione (incrociatori
leggeri Garibaldi, Duca d’Aosta e Duca degli Abruzzi) ed ai gemelli Mitragliere, Bersagliere
e Alpino. La formazione rimarrà
stanziata nel porto greco per quattro mesi, pronta a prendere il mare nel caso
convogli in navigazione nel Mediterraneo centro-orientale dovessero subire
attacchi da parte di navi di superficie partite dalle basi britanniche in Medio
Oriente, ma tale necessità non si manifesterà.
Qualche volta,
durante il periodo trascorso a Navarino, uno o più cacciatorpediniere vengono
fatti salpare per andare a rinforzare la scorta di convogli diretti in
Cirenaica (Tobruk e Bengasi), ma tocca quasi sempre agli altri: il Corazziere compirà in questo periodo
(fino a fine ottobre 1942) pochissime uscite in mare. Di fatto il periodo
passato a Navarino si rivelerà, per gli uomini del Corazziere, un periodo di riposo: posti di lavaggio, esercitazioni
ed altra ordinaria amministrazione; nel tempo libero i marinai fanno bagni in
mare tuffandosi direttamente dalla nave, o recandosi nella vicina spiaggia con
la motolancia dell’unità. Per la franchigia gli uomini si recano nel vicino
paese di Pilos, unico abitato della baia, dove è possibile andare al bar, fare
acquisti allo spaccio dell’Esercito od usufruire della “casa chiusa”
organizzata a cura della Marina (con suddivisione in “turni” tra le due forze
armate: mattino per i militari dell’Esercito, pomeriggio per quelli della
Marina); si sviluppa anche un commercio del chinino, che viene venduto dai
militari italiani alla popolazione locale, essendo Navarino zona malarica. Dall’Italia
arrivano con cadenza quindicinale le navi della ditta Genepesca, che recano le
provviste e la posta per l’VIII Divisione.
Durante il periodo
passato a Navarino vengono anche compiute quattro o cinque esercitazioni di
sbarco con due battaglioni formati da marinai delle diverse unità dell’VIII
Divisione (compresi uomini del Corazziere).
A ricordare dei pericoli della guerra sono i bombardieri statunitensi, B-24
“Liberator”, i quali, a seguito dell’individuazione delle navi italiane da
parte di ricognitori, lanciano diversi attacchi contro di esse: le unità
italiane non possono reagire efficacemente, perché i bombardieri volano a quota
superiore rispetto alla portata massima delle loro armi contraeree. Ma nessuna
bomba va mai a segno, ed anzi le esplosioni degli ordigni, che cadono
puntualmente in mare, servono a procurare facilmente pesce fresco per gli
equipaggi.
Proprio uno di questi
bombardamenti, tuttavia, pur senza causare danni materiali, dà origine ad un
episodio particolarmente sgradevole, ricordato nelle memorie del sottufficiale
Antonio Angelo Caria. I B-24 sganciano le loro bombe mentre il Corazziere si trova con tutto
l’equipaggio al posto di manovra, ed il comandante in seconda ordina di passare
dal posto di manovra al posto di combattimento, ordine inutile in quanto, come
detto, i “Liberator” volano al di fuori della portata delle armi contraeree
della nave; il frettoloso passaggio al posto di combattimento, con abbandono
del posto di manovra, fa sì che il Corazziere
rimanga in balia della corrente, andando a sbattere contro gli sbarramenti.
Subito dopo, numerose bombe cadono a pochissima distanza dalla nave, sollevando
enormi colonne d’acqua che ricadono sul ponte del Corazziere, inondandolo ed inzuppando tutto l’equipaggio, pur senza
arrecare danni. Per l’accaduto, il comandante Monaco accusa addirittura
l’equipaggio di “ammutinamento”, e nonostante le proteste del comandante in
seconda, che addossa a sé la colpa di quanto avvenuto, si precipita furente
dall’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante dell’VIII Divisione (imbarcato
sul Garibaldi), chiedendo addirittura
la decimazione dell’equipaggio. Provvedimento decisamente esagerato e fuor di
luogo, come puntualizza l’ammiraglio De Courten, che – dopo aver chiamato a
rapporto ed ascoltato gli altri ufficiali del Corazziere – respinge tale assurda richiesta: l’equipaggio ha
eseguito un ordine sbagliato senza sapere chi lo avesse ordinato, ma poteva
essere stato dato dallo stesso comandante, dunque non vi è motivo per un
provvedimento disciplinare e meno che mai per una decimazione. La vicenda non
ha dunque seguito, anche se i rapporti tra il comandante Monaco ed i suoi
uomini rimangono incrinati da questo episodio.
L’VIII
Divisione Navale a Navarino nell’estate 1942. Da sinistra a destra: Alpino, Garibaldi, Mitragliere, Duca d’Aosta, Corazziere, Duca degli
Abruzzi, Bersagliere (sopra: g.c.
Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net;
sotto: A. Barilli via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
2 agosto 1942
Alle 17.40 il Corazziere (capitano di fregata
Antonio Monaco di Longano) ed il gemello Alpino
(caposcorta) salpano da Navarino per scortare a Bengasi la moderna
motonave Monviso. Quest’ultima,
proveniente da Brindisi, è stata danneggiata da un siluro di aereo il 28 luglio
e si è rifugiata a Navarino, dove ha provvisoriamente riparato il danno;
riparte dunque dal porto ellenico scortata da Corazziere e Alpino, per
completare il suo viaggio.
3 agosto 1942
Alle 15.25 la Monviso viene scossa da due esplosioni
ed affonda 8 miglia a nordovest di Sidi Sueicher e 16 miglia a nordovest di
Bengasi.
Le esplosioni
vengono, sul momento, attribuite a siluri lanciati da sommergibile, tanto
che Corazziere ed Alpino, da poco dotati di ecogoniometro
(ma quello del Corazziere non
funziona), contrattaccano con lanci di bombe di profondità, finché Supermarina
non ordina loro di rientrare a Navarino ed invia sul posto la
torpediniera Pegaso per
proseguire la caccia.
Dal momento che
l’unico sommergibile britannico operante nelle acque della Cirenaica era
il Thorn (capitano di corvetta
Robert Galliano Norfolk), che non comunicò più con la base dopo la partenza e
non rientrò mai da quella missione (fu affondato con tutto l’equipaggio tre
giorni più tardi, il 6 agosto, proprio dalla Pegaso, ma in acque molto lontane: al largo di Gaudo, a sud di Creta),
per lungo tempo l’affondamento della Monviso è
stato attribuito al Thorn.
Questi, però, aveva ordine di restare in agguato al largo di Tobruk – cioè a
200 miglia di distanza dal luogo in cui fu affondata la Monviso – fino al 6 agosto, per poi spostarsi al largo di Capo
Matapan: è quindi molto improbabile che il 3 agosto si potesse trovare al largo
di Sidi Sueicher. Sembra oggi probabile che la Monviso affondò in realtà per urto contro mine, e che la presenza
di un sommergibile fosse semplicemente una impressione errata (caso non
infrequente in guerra) della scorta. Difatti, il Corazziere non rilevò alcun sommergibile, ma questo fu all’epoca
attribuito al fatto che il suo ecogoniometro era in avaria.
Il dragamine Cotugno e la torpediniera Pegaso, inviate da Bengasi, recuperano
241 dei 247 uomini imbarcati sulla Monviso.
11 agosto 1942
Bombardamento aereo
su Navarino. Si valuta la possibilità di impiegare la VIII Divisione ed i
relativi cacciatorpediniere nella battaglia di Mezzo Agosto (11-12 agosto 1942)
nel caso dovessero intervenire forze navali britanniche da oriente, ma tale
impiego non avrà luogo.
29 agosto 1942
Alle 9.50 il Corazziere, partito da Navarino, va a
rinforzare la torpediniera Orsa nella
scorta al piroscafo Anna Maria Gualdi,
partito dal Golfo di Corinto e diretto a Tobruk. Il Corazziere assume il ruolo di caposcorta.
30 agosto 1942
Corazziere, Orsa e Gualdi giungono a Tobruk alle 10.15.
Corazziere (a destra) e Duca degli Abruzzi a Navarino nell’estate 1942; in primo piano la poppa del Duca d’Aosta (Antonio Angelo Caria via Wikipedia) |
30 ottobre 1942
Il Corazziere lascia Navarino, ponendo fine
– per primo, tra le unità dell’VIII Divisione – al periodo di dislocazione in
quel porto, per tornare a Taranto.
31 ottobre 1942
Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano), Bersagliere (capitano di fregata Anselmo
Lazzarini) e Da Recco (caposquadriglia,
capitano di vascello Aldo Cocchia) salpano da Taranto per Tobruk alle 17.45, in
missione di trasporto di 196 tonnellate di munizioni e tre tonnellate di
materiale d’artiglieria.
Le tre navi seguono
la rotta del Mediterraneo orientale, transitando per il Canale di Corinto,
passando al largo di Atene e poi dirigendo verso sud, passando al largo delle
isole di Poros, Idra e Cerigo e tra Cerigotto e Creta.
1° novembre 1942
A partire dalle due
di notte i tre cacciatorpediniere iniziano ad essere fatti oggetto di una serie
ininterrotta di attacchi aerei, sette in tutto (cinque di bombardieri e due di
aerosiluranti), che vengono tutti elusi con abili e rapide contromanovre: per
ore le navi reagiscono col tiro delle mitragliere, zigzagano ed evoluiscono con
continue accostate per evitare bombe e siluri, stendono cortine fumogene per
cercare di occultarsi alla vista degli attaccanti. Nel cielo si accendono
bengala, bombe cadono tutt’intorno, ed un siluro passa proprio sotto lo scafo
del Corazziere, senza esplodere; da
bordo si ritiene di aver colpito un aereo, che sembra allontanarsi in fiamme
per poi forse esplodere (si vede una vampata nella direzione nella quale
l’aereo danneggiato è scomparso all’orizzonte). Il Corazziere non subisce danni di rilievo, ma le schegge di una o più
bombe esplose in mare molto vicine investono il complesso poppiero da 120 mm,
provocando sei feriti tra il personale addetto a tale complesso, due dei quali
in modo grave. Il Da Recco viene
“colpito” da un siluro che, sganciato troppo tardi dall’aereo che lo portava, anziché
entrare in acqua e colpirne lo scafo cade direttamente in coperta e scivola in
mare senza esplodere, e senza praticamente causare danni.
2 novembre 1942
Alle 9.22 Corazziere, Bersagliere e Da Recco
arrivano a Tobruk, sbarcano rapidamente il carico e poi ripartono alle 14. Lo
sbarco delle casse di munizioni sulle chiatte e bettoline, preparate da Marina
Tobruk e dal Genio dell’Esercito, avviene a mano; tutto l’equipaggio, ufficiali
compresi, passa le casse a mano agli uomini di Marina Tobruk ed ai soldati
dell’Esercito, permettendo di completare l’operazione in tempi rapidi. Durante
la sosta nella rada di Tobruk i due feriti gravi del Corazziere, uno dei quali in condizioni gravissime (ha perso
entrambe le gambe), vengono trasbordati su un idrovolante CANT Z. 506 della
Croce Rossa, ammarato accanto alla nave, che trasporta il ferito gravissimo
all’Ospedale di Chirurgia di Guerra di Massa Carrara. I quattro uomini feriti
in modo non grave, invece, preferiscono restare a bordo fino al rientro in
Italia.
3 novembre 1942
Il Corazziere, in navigazione di rientro da
Tobruk a Taranto con le altre unità, riceve ordine di dirigere per Messina per
prendere parte ad una missione di posa di mine: la nave dovrà posare il campo
minato temporaneo «S.t. 2» (cioè «Sbarramento temporaneo 2») al largo della
costa tunisina, con l’obiettivo di impedire il transito nel Canale di Sicilia
ad un presunto convoglio nemico diretto verso Malta. L’«S.t. 2» è caratterizzato
dall’essere composto, anziché dalle normali mine usate comunemente, da mine a
temporaneo galleggiamento, per la precisione 50 mine Bollo dotate di congegni
di autoaffondamento (due per ogni mina), che verranno regolati in modo da farle
affondare dopo il passaggio di un tempo prestabilito dal momento della posa
(qualche giorno), rendendole così inoffensive. La posa dello sbarramento è
stata decisa fin dal 23 settembre, ma ha dovuto essere rinviata a causa
dell’indisponibilità di due cacciatorpediniere classe Soldati necessari a
posare le mine; inoltre, essendo lo sbarramento temporaneo, esso dev’essere
posato soltanto quando si ha la certezza – nei limiti del possibile –
dell’imminente tentativo di transito nel Canale di Sicilia da parte di
importanti gruppi navali o convogli nemici.
Nei primi giorni di
novembre, Supermarina ha ricevuto diverse segnalazioni relative a movimenti di
forze navali nemiche da Gibilterra verso est (la cui entità verrà stata
precisata, il 6 novembre, in 34 mercantili, 4 corazzate, 3 portaerei, 6 incrociatori
e circa 30 unità sottili): nell’ipotesi che si possa trattare di un convoglio
diretto verso Malta, che dovrebbe in tal caso passare nel Canale di Sicilia
(anche se non è esclusa la possibilità, che poi si rivelerà esatta, che la
forza nemica intenda invece effettuare uno sbarco nell’Africa nordoccidentale
francese: le navi viste a Gibilterra sono infatti destinate all’operazione
“Torch”), Supermarina ha concluso che sia giunto il momento propizio per la
posa dell’«S.t. 2», dimezzato rispetto ai piani originari (che prevedevano
inizialmente due linee di 50 mine ciascuna, ridotte ora alla sola linea di
ponente), così da effettuarla usando un solo cacciatorpediniere, il Corazziere. (Secondo il libro "Torch:
North Africa and the Allied Path to Victory" di Vincent O’Hara, invece, la
posa dell’«S.t. 2» venne disposta da Supermarina non nell’ipotesi che le forze
segnalate a Gibilterra fossero dirette a Malta, ma che invece intendessero
tentare uno sbarco in Libia, nella zona di Tripoli o di Bengasi, come era
convinzione dei comandi tedeschi).
È stato inoltre
disposto che la posa dell’«S.t. 2» avvenga in contemporanea con quella di un
campo minato “tradizionale”, l’«S 8», da parte di altre unità: dato che i due
sbarramenti sono molto vicini tra di loro, infatti, si è deciso di farli posare
entrambi in un’unica missione, ed allo scopo è stato dirottato a Messina il Corazziere, che stava rientrando a
Taranto insieme a Da Recco e Bersagliere.
Non avendo abbastanza
nafta per raggiungere Messina, il Corazziere
raggiunge Navarino, dove si rifornisce del carburante strettamente
indispensabile a raggiungere la base siciliana, dopo di che prosegue per
Messina.
4 novembre 1942
Il Corazziere arriva a Messina alle 9.40. Ha
lasciato le ferroguide per le mine a Taranto, ma esse vengono rapidamente
trasportate a Messina e rimontate sul cacciatorpediniere.
All’arrivo a Messina
vengono sbarcati i quattro feriti non gravi, che vengono caricati su due
ambulanze, ed anche l’ufficiale medico del Corazziere,
destituito dal comandante Monaco a seguito di un diverbio, scoppiato durante
l’attacco aereo del 1° novembre, su quali fossero i compiti prioritari del
medico.
L’ammiraglio Pietro
Barone, comandante della Piazza Militare Marittima di Messina e del Comando
Militare Marittimo della Sicilia, fa presente a Supermarina la preoccupante
situazione del carburante: «Corazziere
giunto con vuoto di 480 tonn.; a Trapani siamo al limite e gli incrociatori
della III Divisione pure».
6 novembre 1942
Montate le ferroguide
e lasciata Messina alle 3.45, il Corazziere
arriva a Trapani verso le 14 (per altra fonte, in serata). La posa della «S.t.
2» è programmata per la notte tra il 7 e l’8 novembre.
7 novembre 1942
Alle 5 del mattino,
dopo iniziali esitazioni dovute all’incerto stato del tempo, Supermarina
telefona a Messina ordinando che le navi destinate alla posa di «S.t. 2» e «S
8» procedano all’imbarco delle mine, a meno di condizioni meteorologiche
decisamente proibitive. Il Corazziere
imbarca dunque 50 mine tipo Bollo, dotate di congegni di affondamento e rampino
antidragaggio. Contemporaneamente, caricano le loro mine anche i
cacciatorpediniere incaricati della posa dello sbarramento «S 8»: Da Noli, Pigafetta, Zeno (che
erano già in porto al momento dell’arrivo a Trapani del Corazziere), Ascari e Mitragliere (arrivati dopo il Mitragliere).
L’operazione di imbarco delle mine viene rapidamente portata a termine senza
inconvenienti. All’operazione parteciperà anche il nuovissimo incrociatore
leggero Attilio Regolo, che però –
onde evitare il sovraffollamento del porto di Trapani – caricherà le sue mine
(129 tipo «E») a Palermo. MAS e motosiluranti inviate dal Comando di Messina si
occupano della scorta e dell’esecuzione di agguati protettivi ad ovest di Capo
Bon ed a sud di Kelibia.
Corazziere, Pigafetta (con a
bordo il contrammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo
Cacciatorpediniere di Squadra, incaricato di dirigere l’operazione), Da Noli, Zeno, Ascari e Mitragliere salpano da Trapani alle 7,
assumendo una velocità di 20 nodi. Alle 22 si unisce alla formazione anche il Regolo.
Giunte sul posto, le
navi trovano ad attenderle la torpediniera Nicola
Fabrizi, inviata da Trapani per segnalare loro il punto in cui cominciare a
posare le mine. Regolandosi in base ai fari che appaiono visibili ed ai segnali
della Fabrizi, i cacciatorpediniere
si portano in linea di fronte ed assumono la rotta di posa (rotta 68°); il Corazziere, come previsto, lascia la
formazione per andare a posare poco lontano lo sbarramento «S.t. 2». Le altre
navi procedono a posare l’«S 8»: all’1.37 viene dato lo stop di inizio della
posa.
Il Corazziere posa le sue 50 mine
regolandole per tre metri di profondità, e lasciando un intervallo di 50 metri
tra un ordigno e l’altro; tuttavia, durante la posa si verificano alcuni
inceppamenti, che lasciano alcuni vuoti nella linea e ne provocano
l’allungamento dai 2400 metri previsti ai 2880 metri effettivi. Viene inoltre
rilevato che cinque mine, appena toccata l’acqua, danno luogo ad una piccola
esplosione, forse causata dalla prematura attivazione di uno dei due dispositivi
di autoaffondamento (il che porta a presumere che tali mine siano affondate
immediatamente). Mezz’ora dopo la fine della posa, mentre il Corazziere si sta allontanando, vengono
avvertiti tre forti scoppi, presumibilmente mine esplose accidentalmente. Ultimata
alle 4.08 la posa dell’«S.t. 2», alle 5.30 il Corazziere si riunisce alle altre unità, che dirigono per rientrare
a Palermo alla velocità di 20 nodi.
Alle 6.37 lo Zeno avvista un aereo sospetto, che
sorvola il gruppo a bassa quota, ed alle 9.58 il Comando Marina di Trapani
segnala che un velivolo nemico sta tallonando la formazione.
Alle 10.22
l’ammiraglio Gasparri ordina di assumere una formazione su due colonne (fino a
quel momento si è mantenuta la linea di fila), con il Corazziere in posizione di scorta laterale a dritta del Regolo; ma la manovra è appena
cominciata, quando – tre miglia a nordovest di Capo San Vito – il Regolo viene colpito a prua da un siluro
lanciato dal sommergibile britannico P 46
(poi Unruffled, tenente di vascello
John Samuel Stevens), guidato sul posto dai segnali dell’aereo.
Il P 46, avvistate alberature ed aerei
verso sudovest alle 9.55 e ritenendo, correttamente, trattarsi
dell’incrociatore e dei cacciatorpediniere del cui arrivo era stato avvisato,
ha avuto conferma dei suoi sospetti alle 10, quando ha avvistato la centrale di
direzione del tiro del Regolo, ed
alle 10.05 ha iniziato ad avvicinarsi a tutta forza per attaccare. Alle 10.23,
in posizione 38°14’ N e 12°43’ E, il sommergibile ha lanciato una salva di
quattro siluri (gli ultimi rimasti a bordo) da 1920 metri di distanza, per poi
scendere subito in profondità onde eludere la reazione della scorta.
L’esplosione asporta
buona parte della prua del Regolo.
L’ammiraglio Gasparri
ordina a Da Noli e Zeno di dare la caccia al sommergibile
attaccante, ed agli altri cacciatorpediniere di girare intorno al Regolo coprendolo con cortine fumogene;
contatta Trapani richiedendo l’invio di mezzi di soccorso. La caccia con bombe
di profondità da parte di Da Noli e Zeno ha inizio alle 10.35 e si protrae
per un’ora; vengono gettate 14 bombe di profondità, singolarmente, ma nessuna
esplode vicina al P 46, che non
subisce danni.
Poco dopo
sopraggiungono due rimorchiatori, che tentano infruttuosamente di prendere a
rimorchio l’incrociatore e di metterlo sulla rotta desiderata; le lamiere di
ciò che resta della prua, piegate verso l’esterno, fanno da timone ed
impediscono di governare. Alle 11.30 arrivano i MAS 544 e 549; il Pigafetta tenta a sua volta il
rimorchio, ma senza successo. Alle 13.30, con l’arrivo da Trapani di altri due
rimorchiatori (i quattro rimorchiatori sono il Monfalcone, il Maurizio, il Liguria ed il Trieste),
si riesce finalmente a prendere il Regolo
a rimorchio, e inizia così la navigazione verso Palermo, all’esasperante
velocità di due nodi e mezzo. Poco più tardi arrivano anche le torpediniere Cigno e Giuseppe Cesare Abba, che effettuano ricerca con
l’ecogoniometro nell’area dell’attacco, mentre alle 14.48 Corazziere, Ascari e Mitragliere vengono distaccati per
raggiungere Messina, su ordine di quel Comando Marina.
Il Regolo riuscirà a raggiungere Palermo
all’alba del 9 novembre.
12 novembre 1942
Il Corazziere, insieme ai gemelli Aviere, Bombardiere, Mitragliere,
Corsaro, Legionario, Ascari e Velite, salpa da Taranto di scorta alle
corazzate Roma, Littorio e Vittorio Veneto
(la IX Divisione Navale), delle quali è stato disposto il trasferimento a
Napoli.
Il Corazziere fa parte della scorta delle
corazzate (XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) fin dalla partenza, mentre
altri cacciatorpediniere (la XIII Squadriglia) si uniscono ad essa tra le 5.30
e le 6. Con le luci dell’alba, verso le sei del mattino, appaiono anche i primi
velivoli della scorta aerea: un bombardiere tedesco Junkers Ju 88, un
idrovolante italiano CANT Z. 506 (successivamente rimpiazzato da un CANT Z.
501), ambedue in funzione antisommergibili, e 7 (poi 10) caccia tra Macchi C.
200 e FIAT G. 50 (due dei quali più tardi sostituiti da altrettanti biplani
FIAT CR. 42).
Tra le 14 e le 15.18
la squadra attraversa lo Stretto di Messina passando nel canale dragato, ad una
velocità di 24 nodi. Alle 14.20 uno degli Mc 200 precipita in mare, ma il suo
pilota viene salvato dal Camicia Nera.
Alle 15.56 il
sommergibile britannico P 35 (tenente di vascello Stephen Lynch
Conway Maydon), in agguato a ponente di Capo Vaticano (Calabria), avvista su
rilevamento 190° delle unità che alle 16.02 identifica come due corazzate
classe Littorio, scortate da almeno
dodici cacciatorpediniere e con almeno tre aerei in volo sopra le navi: si
tratta della formazione di cui fa parte il Corazziere.
Dopo aver stimato che la rotta della squadra italiana sia 335°, il P 35 si
porta in posizione 38°39’5” N e 15°44’5” E ed alle 16.19 lancia quattro siluri
contro la seconda corazzata della fila, da una distanza di 3660 metri.
Subito dopo il
lancio, il sommergibile scende a 36 metri di profondità. Nessuno dei siluri va
a segno, perché il P 35 ha
sovrastimato la velocità dei bersagli, giudicandola di 29 nodi (mentre la
velocità realmente tenuta è di 22); tuttavia, mentre le navi notano i siluri,
nessuno degli aerei di scorta ne vedono le scie, destando il rincrescimento
dell’ammiraglio Iachino.
Durante la
navigazione di trasferimento i cacciatorpediniere eseguono varie manovre per
esercitazione, con risultati giudicati eccellenti. Non sono invece molto
efficaci i tentativi di occultare le corazzate con cortine fumogene per
nasconderle ai ricognitori nemici, a causa di malfunzionamenti dei generatori
di fumo e dell’insufficiente addestramento del personale.
Tra le 16.20 e le
17.15 la scorta aerea lascia la formazione, ed anche la XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere, tranne il Bombardiere,
riceve ordine di rientrare a Messina. Apparentemente anche il Corazziere lascia la formazione più o
meno intorno a quest’ora, ed il trattenimento del Bombardiere (che fa parte della XIII Squadriglia) è motivato dalla
necessità di sostituirlo.
La IX Divisione e la
sua scorta proseguono verso Napoli, dove giungono indenni nelle prime ore del
13 novembre, dopo aver eluso anche un tentativo d’intercettazione da parte del
sommergibile britannico Turbulent
(nel Golfo di Napoli) grazie al calare dell’oscurità. La XI Squadriglia si
ormeggia a Napoli insieme alle corazzate, mentre la XII Squadriglia va ad
ormeggiarsi a Pozzuoli, poco lontano.
26 novembre 1942
Il Corazziere (capitano di fregata
Antonio Monaco di Longano) ed i cacciatorpediniere Mitragliere (caposcorta, capitano di vascello Giuseppe Marini)
e Folgore (capitano di
corvetta Renato D’Elia) partono da Palermo per Biserta alle 22.15 (o 22.20),
scortando il convoglio «G», formato dalle motonavi Città di Napoli e Città
di Tunisi.
27 novembre 1942
Nelle prime ore della
notte, tra Capo Gallo e Capo San Vito, il convoglio «G» (che procede a 15 nodi
con le due motonavi in linea di fronte, il Corazziere in posizione avanzata a proravia, il Folgore a dritta ed il Mitragliere a sinistra) incontra il
convoglio «LL», in navigazione da Tripoli a Palermo con i piroscafi Zenobia Martini e Giuseppe Leva e la
torpediniera Circe (con i
piroscafi in linea di fila e la torpediniera in scorta avanzata a proravia). Le
condizioni di visibilità, grazie alla luce lunare, sono eccellenti; i due
convogli – che sanno del previsto incontro – si avvistano già da grande
distanza e seguono le rispettive rotte senza incertezze. Il convoglio «G», dato
che tra le navi c’è una distanza più che adeguata a fargli passare in mezzo il
convoglio «LL» (che ha rotta opposta e velocità 7 nodi), prosegue senza mutare
rotta né formazione, ma all’1.13 – nel punto 38°14’ N e 12°27’ E – la Circe, per una sua manovra errata,
taglia la rotta alla Città di Tunisi,
che la sperona. La torpediniera affonda rapidamente spezzata in due; il Folgore, su ordine del caposcorta, può
soltanto salvare i superstiti, 99 su un equipaggio di 165 uomini, che porta a
Palermo. La Città di Tunisi,
danneggiata, ripara a Trapani con la Climene.
La Città di Napoli prosegue
per Biserta, dove giungerà alle 14.55 del 28, mentre Corazziere e Mitragliere
fanno ritorno a Palermo.
5 dicembre 1942
Corazziere, Maestrale (capitano
di vascello Nicola Bedeschi, comandante della X Squadriglia
Cacciatorpediniere), Ascari e Grecale salpano da Trapani eseguire la
posa del campo minato «S 97» (composto da 224 mine), una spezzata dello
sbarramento «S 9» nel Canale di Sicilia.
Primo a partire, alle
2.46, è il caposquadriglia Maestrale,
seguito da Grecale, Ascari e Corazziere. Una volta usciti tutti, i quattro cacciatorpediniere si
dirigono verso la zona di posa.
Alle 7.52
sopraggiungono due aerei da caccia della Regia Aeronautica, che sorvolano la
formazione e ne assumono la scorta. Alle 8.45 la squadriglia si dispone in
linea di fronte, ed alle 9.06 inizia la posa delle mine, che prosegue fino alle
9.38. La posa viene eseguita sulla base dell’ordine di operazione redatto da
Marina Trapani: le mine vengono posate su quattro file parallele, lunghe
complessivamente 11.150 metri (6,5 miglia) e distanziate tra loro di 100 metri.
Il Corazziere posa la fila più a
destra, mentre andando verso sinistra le altre file sono posate nell’ordine da Grecale, Ascari e Maestrale. Tra
ogni mina di una stessa fila c’è un intervallo di 200 metri (il ritmo di lancio
è di una mina ogni 33 secondi), e le mine delle diverse file sono sfalsate tra
loro di 50 metri. Lo sbarramento viene eseguito con rotta di posa 22°.
Alle 8.52, poco prima
di iniziare la posa, viene avvistato a grande distanza, su rilevamento vero
40°, un aereo di nazionalità incerta, che Supermarina comunicherà poi essere
nemico.
Alle 13.40 i quattro
cacciatorpediniere imboccano le rotte di sicurezza per l’accesso a Trapani,
dove giungono poco più tardi.
8 dicembre 1942
Il Corazziere ed i cacciatorpediniere Zeno, Ascari, Mitragliere, Grecale, Pigafetta e Da Noli
iniziano a caricare le mine per la posa della spezzata «S 94», anch’essa
facente parte dello sbarramento «S 9».
9 dicembre 1942
Alle 9.40 Supermarina
ordina di sospendere l’imbarco delle mine, rimettere sulle bettoline quelle già
imbarcate e prepararsi subito ad un’urgente missione di trasporto truppe a
Tunisi e Biserta.
10 dicembre 1942
Corazziere (capo sezione) e Zeno
salpano da Trapani per Tunisi alle due di notte per una missione di trasporto
truppe. Giungono a Tunisi alle 9.45; sbarcate le truppe, Corazziere e Zeno
lasciano Tunisi alle 17.30 per rientrare a Trapani.
11 dicembre 1942
Corazziere e Zeno arrivano a
Trapani alle 10.30; poco dopo, ricominciano ad imbarcare le mine. Corazziere, Mitragliere, Ascari e Grecale caricano ciascuno 52 mine tipo P
200 od Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno ne caricano 85 tipo EMF ciascuno.
Pochi minuti prima
della partenza, in tarda serata, il Pigafetta
subisce un’avaria di macchina che gli impedisce di partire; viene così deciso
di rinunciare ad una fila di mine (il piano originario ne prevedeva cinque, tre
composte da 86 EMF e due di 104 Elia o P 200). Il capitano di vascello Del
Minio, che comanda la XV Squadriglia Cacciatorpediniere e deve dirigere la
posa, trasborda dal Pigafetta sul Da Noli.
12 dicembre 1942
Corazziere, Mitragliere, Ascari, Da Noli, Zeno e Grecale partono da Trapani all’una di
notte. Procedono a 20 nodi di velocità finché alle 7.10 avvistano l’Isola dei
Cani; a questo punto riducono la velocità a 18 nodi e dirigono per la rotta
normale a quella di posa, passando nel varco rimasto tra le spezzate «S 93» e «S
96». Alle 7.55 sopraggiunge un ricognitore che fornisce alle unità scorta
antisommergibili (insieme, per poco tempo, a tre aerei da caccia) fino alle
10.45. Viene assunta formazione con Zeno,
Da Noli e Corazziere in linea di fronte, seguiti da Mitragliere e Grecale
anch’essi in linea di fronte, seguiti a loro volta dall’Ascari; viene ridotta ancora la velocità, fino a 14 nodi, ed alle
9.29 inizia la posa, su rotta 57°. Prima nave a posare le mine è lo Zeno, poi Da Noli, Mitragliere ed Ascari, mantenendo gli intervalli
necessari per lo sfalsamento delle mine tra le file, poi – quando i precedenti
hanno terminato la posa, per poi accostare in fuori ed accelerare per portarsi
in posizione laterale avanzata – Corazziere
e Grecale. In tutto, otto mine
esplodono prematuramente.
Corazziere e Mitragliere posano
la terza fila, lunga 13 miglia e formata da 104 mine tipo Elia o P 200,
regolate per tre metri di profondità e distanziate di 232 metri l’una
dall’altra. Grecale ed Ascari posano la quarta, avente
caratteristiche analoghe alla terza, mentre Zeno
e Da Noli posano rispettivamente la
prima e seconda fila di mine (da sinistra), entrambe lunghe 16 miglia e
composte da 86 ordigni tipo EMF.
La posa viene
ultimata alle 10.39. Durante l’operazione, una schiarita ha agevolato il
riconoscimento dei punti cospicui della costa; terminata la posa, tuttavia, il
tempo diventa fosco, la visibilità cala drasticamente e si verificano frequenti
piovaschi.
Le navi rientrano a
Trapani alle 16.40.
15 dicembre 1942
Corazziere, Ascari e Mitragliere (caposquadriglia) partono da
Trapani per Tunisi alle 00.35, in missione di trasporto di truppe e personale
della Marina.
Le tre unità giungono
a Tunisi alle 10.10, sbarcano le truppe e poi ripartono alle 12.45; vengono
mandate d’urgenza a soccorrere i naufraghi del piroscafo Sant’Antioco, affondato qualche ora prima al largo di Capo Bon.
Nonostante diversi attacchi aerei, i tre cacciatorpediniere raggiungono il
luogo dell’affondamento ed il Mitragliere
recupera 139 superstiti del Sant’Antioco,
che trasporta a Palermo; Corazziere
ed Ascari dirigono invece per
Trapani, dove arrivano alle 21.30.
18 dicembre 1942
Corazziere (capo sezione) ed Ascari
partono alle due di notte da Trapani per effettuare una missione di trasporto
truppe a Biserta. Qui arrivano alle 9.30, per poi ripartire alle 10.40 dopo
aver celermente sbarcato le truppe; dopo aver superato indenni un attacco aereo
a mezzogiorno, i due cacciatorpediniere si dividono. Il Corazziere fa rotta per Trapani, dove arriva alle 17.30, mentre l’Ascari dirige per Palermo.
16 dicembre 1942
Supermarina ordina a
Marina Messina di far caricare sulle bettoline, la sera del 19 dicembre, le
mine destinate alla spezzata «S 98» dello sbarramento «S 9», che dovrà essere
posata da Grecale, Corazziere (con mine tipo Elia), Da Noli, Pigafetta e Zeno (con
mine tipo EMC e EMF). Marina Messina, tuttavia, risponde che Corazziere, Ascari, Da Noli e Zeno, appena tornati da una missione di
trasporto truppe in Tunisia, hanno solo 200 tonnellate di nafta, insufficienti
ad eseguire la missione; a riprova della crescente gravità della carenza di
nafta, Supermarina si trova a dover ordinare a Marina Messina che lo Zeno ceda al Da Noli tutta la nafta in eccedenza rispetto a quella necessaria a
trasferirsi da Trapani a Palermo, dopo di che il Da Noli si rechi a Palermo, riempia di nafta tutti i serbatoi
prelevandola dalle unità ai lavori, e poi torni a Trapani per distribuire la
nafta agli altri cacciatorpediniere. Tale è la scarsezza di nafta nella base di
Trapani.
Alle 18.30 Supermarina
ordina anche a Marina Messina che Corazziere
e Grecale, oltre alle mine tipo Elia,
carichino anche le P 200 fino a completo carico; il 17 dicembre, con messaggio
delle 19.30, preciserà che dato il maggior numero di mine, le linee di Corazziere e Grecale dovranno essere allungate verso nordest.
Successivamente, le
necessità del rifornimento della Tunisia, che impegnano i cacciatorpediniere in
continue missioni di trasporto truppe, ed i periodi di maltempo costringono a
rimandare la posa della «S 98» per oltre un mese.
21 dicembre 1942
Il Corazziere ed i cacciatorpediniere Legionario (caposquadriglia), Bombardiere e Grecale salpano da Trapani per Biserta all’una di notte, in
missione di trasporto truppe. Più tardi, in mare aperto, si uniscono ad essi
anche Pigafetta e Da Noli, partiti un’ora dopo. In tutto,
i sei cacciatorpediniere trasportano 1750 uomini.
Corazziere, Bombardiere, Grecale e Legionario arrivano a Biserta alle 8.45, seguiti dopo un quarto
d’ora da Pigafetta e Da Noli. Le sei unità imbarcano 1000
smobilitati della Marina francese, poi ripartono: Corazziere, Bombardiere, Pigafetta (caposquadriglia) e Da Noli lasciano Biserta alle 10.30, Legionario e Grecale dieci minuti dopo.
Corazziere, Bombardiere, Pigafetta e Da Noli arrivano a Palermo alle 23.40, mentre Grecale e Legionario
dirigono per Trapani.
24 dicembre 1942
Corazziere, Bersagliere, Grecale e Mitragliere (caposquadriglia) salpano da Palermo per Tunisi alle
21, in missione di trasporto di 1200 soldati.
25 dicembre 1942
I quattro cacciatorpediniere
arrivano a Tunisi alle 8.30 e ripartono due ore più tardi, dopo aver sbarcato
le truppe ed aver imbarcato 1200 tra smobilitati della Marina francese e
prigionieri. Corazziere, Bersagliere e Mitragliere (caposquadriglia) arrivano a Palermo alle 22.40, mentre
il Grecale vi giunge alcune ore più
tardi, a causa di un’avaria.
2-3 gennaio 1943
Nella notte tra il 2
ed il 3 gennaio, mentre il Corazziere
si trova ormeggiato presso i cantieri navali di Palermo per compiere delle
riparazioni ad una caldaia (andata in un’avaria alcuni giorni prima), il porto
del capoluogo siciliano viene attaccato da cinque “chariots” britannici, mezzi
d’assalto copiati dai siluri a lenta corsa italiani, penetrati nel porto dopo
l’avvicinamento da parte dei sommergibili Trooper e Thunderbolt (operazione
«Principal»). Dei cinque “chariots”, uno (incaricato di collocare le sue
cariche esplosive sulle chiuse del bacino di carenaggio, per distruggerle) va
perduto per avaria senza aver compiuto la sua missione, un altro (incaricato di
minare e affondare la motonave Calino)
dev’essere anch’esso autoaffondato senza aver concluso nulla a causa
dell’annegamento del pilota (la cui muta subacquea è stata lacerata durante il
superamento delle ostruzioni), ed un terzo torna indietro senza aver compiuto
la missione, a causa di infiltrazioni d’acqua nella muta del pilota; gli altri due,
invece, riescono a collocare le loro cariche esplosive, piazzandole sugli scafi
dell’incrociatore leggero Ulpio
Traiano, in costruzione (varato poco più di un mese prima ed in fase di
allestimento), del piroscafo Gimma, del
cacciatorpediniere Grecale, della
motonave Viminale e della
torpediniera di scorta Ciclone. Tutti
gli operatori degli “chariots”, eccetto due che sono annegati ed i due uomini
del “chariot” che è tornato indietro (i quali vengono recuperati in mare aperto
dal sommergibile P 46), raggiungono
la riva e vengono successivamente catturati.
Mentre le cariche
applicate agli scafi di Ciclone, Gimma e Grecale non si attivano (forse perché piazzate troppo
frettolosamente dagli operatori britannici) e vengono successivamente scoperte
e rimosse senza alcun danno per le tre navi, le mine applicate sugli scafi di Ulpio Traiano e Viminale esplodono dopo alcune ore. Per prima scoppia, alle 5.45,
la carica collocata sullo scafo della Viminale,
che subisce gravi danni, anche se rimane a galla; due ore dopo, alle 7.58,
esplode anche la carica sistemata sullo scafo dell’Ulpio Traiano, con effetti più gravi: l’incrociatore, ancora
incompleto, si spezza in due e affonda rapidamente. Lo scoppio di questa carica
danneggia gravemente anche l’adiacente banchina del cantiere navale, che crolla
parzialmente per un tratto di circa trenta metri, e provoca 5 vittime (quattro
operai italiani ed un soldato tedesco) e 21 feriti.
Il Corazziere, che si trova ormeggiato poco
lontano dall’Ulpio Traiano, ha
l’equipaggio al posto di manovra (deve infatti muovere) e si viene a trovare in
una posizione “privilegiata” per osservare la drammatica fine
dell’incrociatore: da bordo del cacciatorpediniere, i marinai vedono i primi
operai salire sull’Ulpio Traiano e
subito dopo una violenta esplosione che scuote l’incrociatore, facendolo
rovesciare ed affondare. Alcune schegge dell’esplosione vengono proiettate fin
sul Corazziere, anche se non ci sono
danni né feriti.
17 gennaio 1943
Corazziere, Ascari, Bombardiere e Legionario (caposquadriglia) partono da Trapani per Biserta alle
2.30, trasportando 1200 militari e 12 tonnellate di rifornimenti.
Giungono a Biserta
alle 9.40; alle 12.20 il Corazziere e
l’Ascari (capo sezione e caposcorta)
lasciano Biserta per rientrare a Palermo scortando la motonave Ines Corrado. Verso le 17 un
sommergibile britannico (probabilmente l’United,
che nelle stesse ore silura e affonda sulla stessa rotta il cacciatorpediniere Bombardiere) lancia quattro siluri
contro Corazziere ed Ascari, che riescono ad evitarli.
Trasbordo di truppe dal Corazziere su un motoveliero davanti a Tunisi, gennaio 1943 (g.c. STORIA militare) |
18 gennaio 1943
Corazziere, Ascari ed Ines Corrado arrivano a Palermo alle
2.30.
Calmatosi il tempo, e
giunti in Sicilia altri cacciatorpediniere per concorrere alle missioni di
trasporto truppe, alleggerendo la pressione su quelli presenti, si decide di
procedere con la posa della «S 98».
20 gennaio 1943
Alle 3.30 Corazziere, Ascari, Da Noli, Pigafetta (avente a bordo l’ammiraglio
Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra) e Zeno salpano da Trapani per effettuare
la posa.
I cinque
cacciatorpediniere si dirigono verso ovest, fino a superare il meridiano dello
scoglio Keith, di modo da tenersi sempre (per quanto possibile) in acque
profonde almeno 200 metri, e di avvicinarsi all’area di posa provenendo da
ovest.
La torpediniera Cigno avrebbe l’incarico di posizionare
un segnale sullo scoglio Keith e di portarsi tre miglia a sudest dello stesso
per agevolare l’individuazione della zona di posa ai cacciatorpediniere, ma
problemi alle caldaie la costringono a rientrare; il suo comandante ferma la
corvetta Gabbiano, in zona per altra
missione, e le ordina di rimpiazzarla. Ciò determina tuttavia alcuni disguidi,
così che l’ammiraglio Gasparri decide di distaccare un cacciatorpediniere per
sincerarsi che la Gabbiano sappia
bene cosa dovrà fare. Alle 10.20 sopraggiungono tre MAS che assumono la scorta
dei cacciatorpediniere; due si posizionano a dritta, uno a sinistra.
Infine, con un paio
d’ore di ritardo, i cacciatorpediniere accostano ad un tempo sulla sinistra ed
assumono la linea di fronte, su rotta di posa 224°, iniziando la posa alle
10.58. Da dritta a sinistra, le file parallele sono posate nell’ordine da Pigafetta, Da Noli, Zeno, Corazziere ed Ascari; la distanza tra le file è di 400 metri, eccetto che per
quelle posate da Ascari e Corazziere, che distano solo 200 metri
tra di loro. La lunghezza dello sbarramento è di 21.300 metri, il suo
orientamento da nordest a sudovest.
Corazziere ed Ascari posano ciascuno
54 mine Elia e P 200, regolate per tre metri di profondità, distanziate tra
loro di 230 metri, per una lunghezza complessiva delle file di 12.580 metri.
Alle 11.27 i due cacciatorpediniere ultimano la posa e si posizionano sulla
sinistra dei tre “Navigatori”, ancora impegnati nella posa, eseguendo scorta e
ricerca ecogoniometrica. Alle 11.47 anche Zeno,
Pigafetta e Da Noli ultimano la posa.
Durante la posa viene
avvertita una concussione subacquea, senza colonna d’acqua, e mezz’ora dopo la
fine della posa si verifica l’esplosione prematura di quattro mine.
Inizia poi la
navigazione di rientro, a 20 nodi di velocità. Alle 13.30 giungono quale scorta
aerea tre caccia ed un ricognitore della Regia Aeronautica, che rimangono sul
cielo delle navi per un’ora; durante questo periodo viene avvistata la torretta
di un sommergibile, il quale tuttavia è lesto ad immergersi. Segnalato dagli
aerei il Pigafetta, subisce la caccia
da parte di Corazziere ed Ascari, appositamente distaccati.
Alle 16.45 i
cacciatorpediniere, dopo il ricongiungimento di Corazziere ed Ascari con
i tre “Navigatori”, raggiungono Trapani.
Dopo il rientro, le
navi iniziano ad imbarcare le mine per posare la spezzata successiva dello
sbarramento «S 9», la «S 99». Ascari
e Corazziere imbarcano ciascuno 50
mine tipo Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno caricano 86 mine tedesche, delle quali 24 magnetiche e 62 ad
urto.
24 gennaio 1943
Corazziere, Ascari, Pigafetta (capitano di vascello Del
Minio), Da Noli e Zeno salpano da Trapani alle 3.30.
Alle 3.55, fuori
dalle ostruzioni, le navi si dispongono in linea di fila, con Pigafetta in testa, seguito dal Da Noli, lo Zeno in terza posizione, il Corazziere
dietro di lui e l’Ascari per ultimo.
La velocità viene gradatamente incrementata fino a 20 nodi.
Alle 5.35, in
franchia delle rotte di sicurezza, i cacciatorpediniere passano in una
formazione su due colonne, con Pigafetta,
Da Noli e Zeno a dritta, Corazziere
ed Ascari a sinistra, coi capofila in
linea di rilevamento.
Alle 7.39 viene
avvistata la corvetta Artemide, in
attesa presso lo scoglio Keith, svolgendo le stesse funzioni della Gabbiano durante la missione precedente;
alle 7.50 un ricognitore italiano ed un aereo da combattimento tedesco assumono
la scorta aerea delle navi.
Alle 7.52 i
cacciatorpediniere accostano ad un tempo a sinistra e passano in linea di
fronte su rotta opposta a quella di posa (verso sudovest), come ordinato. Alle
8.38 la velocità viene ridotta a 14 nodi, ed alle 8.52, superato di tre miglia
il punto di inizio della posa, viene invertita la rotta ad un tempo sulla
sinistra.
Alle 9.05 inizia la
posa; comincia per primo il Da Noli,
seguito dagli altri, con gli intervalli prestabiliti per lo sfalsamento. Da
dritta verso sinistra, le file parallele sono posate da Zeno, Da Noli, Pigafetta, Corazziere ed Ascari; la
distanza tra ogni fila è di 400 metri. La rotta di posa è di 50°, lo
sbarramento è orientato da sudovest a nordest, le mine tipo Elia sono regolate
per tre metri di profondità e distanziate tra loro di 233 metri.
Alle 9.25, dopo la
posa delle prime 72 mine magnetiche (24 per ciascuno dei tre “Navigatori”), il Corazziere e gli altri
cacciatorpediniere tranne il Pigafetta
(che posa la linea centrale) accostano in dentro, riducendo l’intervallo tra le
file a 200 metri.
Ascari e Corazziere ultimano
la posa alle 9.32, passando poi a compiti di protezione e ricerca ecogoniometrica
sulla sinistra del gruppo; Da Noli, Pigafetta e Zeno ultimano la posa alle 9.50. In tutto si verificano tre
esplosioni premature di mine. L’Ascari,
avendo il fonoscandaglio in avaria, viene lasciato libero di tornare a Trapani.
Gli altri
cacciatorpediniere, Corazziere compreso,
una volta ultimata la posa vanno a scandagliare un’area rettangolare lunga
dodici miglia e larga tre, situata poco a nordest di quella in cui hanno appena
posato le mine, e che è stata designata per la posa di un nuovo sbarramento.
Terminato lo
scandagliamento, le unità rientrano a Trapani alle 16.25.
28 gennaio 1943
Corazziere, Ascari ed il
cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello
(caposquadriglia) salpano da Trapani per Tunisi alle 3.30, in missione di
trasporto truppe. Hanno a bordo, complessivamente, 990 militari.
Giunti a Tunisi alle
10.30, i tre cacciatorpediniere sbarcano le truppe, imbarcano 500 rimpatrianti
dalla Tripolitania e ripartono alle 12.40 per Trapani, dove arrivano alle
22.10.
29 gennaio 1943
In mattinata Corazziere, Ascari, Pigafetta
(caposquadriglia, capitano di vascello Del Minio), Da Noli e Zeno iniziano a
caricare a Trapani le mine per la posa della spezzata «S 910», ultima spezzata
dello sbarramento «S 9» nonché ultimo campo minato posato da unità italiane a
protezione della rotta per la Tunisia. Corazziere
ed Ascari imbarcano ciascuno 50 mine
tipo P 200, i “Navigatori” caricano ognuno 86 mine tedesche (23 EMF magnetiche,
14 EMC con antenna e 49 senza antenna).
30 gennaio 1943
Alle 4.30 i
cacciatorpediniere salpano da Trapani per eseguire la posa. Alle 5.17 hanno
raggiunto i 20 nodi di velocità, ed alle 6.40, in franchia delle rotte di sicurezza,
cominciano a zigzagare a 22 nodi. Alle 6.58 due aerei da caccia della Regia
Aeronautica sorvolano la formazione, per poi andarsene dopo qualche minuto;
alle 7.15 sopraggiungono due bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 ed un
idrovolante italiano CANT Z. 506, che assumono la scorta aerea dei
cacciatorpediniere. Alle 7.30, quando quattro MAS assumono la scorta
antisommergibili dei cacciatorpediniere, soltanto il CANT Z. 506 è sul cielo
delle navi.
Alle 8.25 le unità
smettono di zigzagare e riducono la velocità a 20 nodi, ed alle 8.42 accostano
per contromarcia e riducono la velocità a 18 nodi, preparandosi alla posa. Alle
8.50 viene eseguita un’accostata ad un tempo di 90° sulla dritta, viene assunta
la rotta di posa (58°) e la velocità diventa di 14 nodi.
La posa ha inizio
alle 9.07; le file parallele sono posate nell’ordine, da dritta a sinistra, da Corazziere, Ascari, Pigafetta, Zeno e Da Noli. Il Corazziere e
l’Ascari navigano parallelamente ai
“Navigatori”, ma posano la prima mina soltanto quando questi ultimi stanno
posando la quarantanovesima (cioè mentre essi stanno ultimando la posa della
prima tratta, lunga quattro miglia), dato che le loro file sono più corte; i
due “Soldati” posano quindi le loro mine con intervalli di 233 metri tra un
ordigno e l’altro, regolandole per tre metri di profondità. Dopo la posa della quattordicesima
mina (per i Soldati), Corazziere ed Ascari accostano in fuori verso dritta
e, con manovra opposta rispetto a quella eseguita nella posa della «S 99», si
distanziano tra di loro e dal Pigafetta
in modo da raddoppiare l’intervallo tra le file di mine. Al contempo, sul lato
opposto, Da Noli e Zeno fanno lo stesso.
Le file posate da Corazziere ed Ascari sono lunghe 6,5 miglia, quelle dei “Navigatori” 10,5 miglia.
Lo sbarramento ha orientamento quasi identico alla spezzata «S 99», ma forma
rovesciata (ristretto all’inizio, più largo alla fine).
Le ultime unità
terminano la posa alle 9.52, e cinque minuti dopo accostano ad un tempo di 90°
a dritta ed iniziano la navigazione di rientro, alla velocità di 20 nodi.
Alle 10.15 Ascari e Corazziere si posizionano 5 km a poppavia dei “Navigatori”, e tutte
le navi iniziano a zigzagare a 22 nodi. A mezzogiorno viene data libertà di
manovra ai MAS, e dopo qualche minuto anche all’Ascari, che deve raggiungere Messina.
Il Corazziere e gli altri
cacciatorpediniere superano le ostruzioni di Trapani alle 12.59 e si ormeggiano
in porto entro le 13.35.
1° febbraio 1943
Corazziere, Legionario
(caposquadriglia), Malocello, Zeno e Da Noli salpano da Trapani per Tunisi alle 6.30, trasportando 1700
militari nonché un carico di materiali vari.
Alle 13.30 i
cacciatorpediniere vengono infruttuosamente attaccati da aerei all’imboccatura
di La Goletta; approdati a Tunisi mezz’ora dopo, mettono a terra truppe e
carico e poi ripartono alle 15.45, trasportando 470 rimpatrianti. Alle 19
vengono nuovamente attaccati da aerei, ma non subiscono danni, ed arrivano a
Trapani alle 23.30.
5 febbraio 1943
Corazziere, Malocello (nave
ammiraglia dell’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo
Cacciatorpediniere di Squadra; secondo Antonio Angelo Caria, imbarcato sul Corazziere, Gasparri si sarebbe invece
imbarcato proprio sul Corazziere
durante questa missione), Da Noli e Zeno partono da Trapani per Tunisi
all’una di notte, trasportando 920 soldati e materiali vari. Arrivano a Tunisi
alle 9.45, sbarcano truppe e carico e ripartono alle 11.15, giungendo a Trapani
alle 20.30.
Di nuovo senza prua, primavera 1943 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
La fine
Intorno alle 22 del 5
febbraio 1943 il Corazziere (capitano
di fregata Antonio Monaco di Longano), mentre rientrava dalla sua ultima
missione di trasporto truppe in Tunisia insieme a Malocello, Da Noli e Zeno, entrò in collisione con la
motozattera tedesca F 484 al largo di
Trapani, a causa di un errore di manovra. Il mezzo tedesco speronò il Corazziere, aprendo uno squarcio lungo
circa dodici metri a prua del cacciatorpediniere, sul lato di dritta; entrambe
le unità rimasero a galla, ma il danno subito dal Corazziere era piuttosto serio. Secondo il libro
"Cacciatorpediniere Classe Soldati" di Erminio Bagnasco, lo squarcio
causato dalla collisione era nell’opera morta del cacciatorpediniere, cioè al
di sopra della linea di galleggiamento, ma secondo il sottufficiale cannoniere
Antonio Angelo Caria, che teneva all’epoca un diario, il danno causato dalla
collisione provocò l’allagamento di diversi compartimenti, il che farebbe
presumere che la falla si estendesse anche al di sotto della linea di
galleggiamento. Alcuni membri dell’equipaggio, i serventi del complesso
poppiero da 120 mm, misero a mare una zattera credendo che la nave stesse per
affondare, gesto che sarebbe poi stato punito con un massimo di rigore. Il Corazziere fermò temporaneamente le
macchine, per accertare l’estensione dei danni e stabilire la propria posizione
con l’aiuto di Marina Trapani, che accese un fanale per permettere di
effettuare un rilevamento: la corrente lo stava infatti facendo scarrocciare
verso i campi minati posati a difesa della rotta di sicurezza. Rimesso in moto,
il Corazziere si riportò sulla rotta
originaria e riuscì a proseguire a bassa velocità verso Trapani, dove arrivò
alcune ore più tardi.
Così Antonio Angelo
Caria ha descritto le vicende della collisione: "5 FEBBRAIO 1943. Ennesima missione di trasporto veloce di truppe a
Tunisi, assieme al Malocello, Da Noli e Zeno. Al ritorno, assumiamo la testa
della formazione poichè alzavamo le insegne dell'Ammiraglio Gaspari, Comandante
del Gruppo Cacciatorpediniere, che avevamo a bordo. Navigazione tranquilla, a
30 miglia all'ora. Arrivati in vista di Trapani, verso le 22, abbiamo visto che
vi era un bombardamento aereo in corso e la contraerea che sparava
rabbiosamente. Eravamo entrati appena nella rotta di sicurezza, con le nostre
mine a desta e sinistra, cosicchè avevamo poco spazio a disposizione. In quel frangente
c'é stata una collisione tra noi e una motozattera tedesca che ci ha aperto una
falla a prora, sulla dritta, di 10-12 mt., allagandoci tutti i locali al di
sotto della linea di galleggiamento. L'Ammiraglio ha fatto dare ordine di
libertà di manovra al Malocello, Da Noli e Zeno, il che voleva dire di non
entrare nella rotta di sicurezza perchè intasata da noi e dalla motozattera
tedesca. Io avevo chiesto il permesso di allontanarmi per prendere il caffè o
il cognac in Centrale di tiro, posto di riferimento del mio rancio durante le
navigazioni, ove mi son trattenuto con gli SDT (Specialisti Direzione del
Tiro). Allo schianto, siamo balzati disperatamente, scavalcandoci
reciprocamente e le apparecchiature (Indicatore Centrale, Gimetro e Tavolo
previsore) per raggiungere lo scoperto. Uscito dalla tuga centrale, allo
scoperto, stavo meditando di buttarmi a mare ma tergiversavo giacchè la nave
non era sbandata. Gli addetti del complesso di poppa hanno calato a mare una
zattera di salvatagio. I responsabili di quel gesto sono stati puniti con un
massimo di rigore. Sono rientrato nella realtà dalle chiamate Caria...,
Caria... del mio Capo Reparto che in quel momento comndava la nave e che mi
aveva dato il permesso di allontanarmi. Salto di cOrsa in plancia. Le macchine
erano state fermate subito per dar modo di verificare il danno subìto, chiudere
le porte stagne e per fare il punto nave - dal momento che la corrente ci stava
scarrocciando a destra o sinistra verso le mine. Per il punto nave (il cielo
era coperto), il radiogoniometro ci dava all'altezza di Marettimo, ma
evidentemente era sfasato. Allora, é stato chiesto a Marina Trapani di
accenderci un fanalicchio di Levanzo o Favignana (non ricordo quale). Marina
Trapani ci ha comunicato che il fanalicchio sarebbe rimasto acceso per tre
secondi per darci la direzione, e dopo cinque minuti altra accensione di cinque
secondi per poter fare il rilevamento e misurare la distanza. L'Ufficiale di
rotta, alla seconda accensione, ha fatto il rilevamento ed io con lo stereotelemetro,
con la scala telemetrica illuminata, ho misurato la distanza. L'Ufficiale di
rotta, fatto il punto nave, ha detto al Comandante che eravamo con la poppa
molto vicini alle mine del lato destro. Il Comandante ha dato l'ordine macchine
di sinistra avanti mezza e macchine di destra avanti adagio, cosi abbiamo
riguadagnato la linea mediana dello sbarramento. Piano-piano, siamo andati
avanti finchè siamo arrivati a Trapani (il bombardamento era cessato), dando
fondo in rada. Quella notte, finalmente, siamo potuti dormire in branda- dopo
tre mesi di dormire a terra tra cielo e mare, con le inevitabili intemperie,
nelle diuturne missioni di trasporto veloce di truppe per la Tunisia, alternate
subito dopo dalla posa delle mine. Noi stereotelemetristi (fortunati....)
dormivamo dentro la torretta telemetrica, insieme al sott'ordine del Direttore
di tiro col quale era nato un affetto fraterno. Non parlo degli addetti al
complesso di prora, poveracci, perchè dovrei fare un lungo discorso. Parte del
personale di macchina, però, si é dovuto arrangiare, poichè il loro locale era
allagato. Ha dormito come é capitato. Molto più tardi, sono arrivati il Malocello,
Da Noli e Zeno, dando fondo in rada anche loro".
Era previsto che
proprio in quei giorni il Corazziere
partecipasse ad un’altra missione di posa di mine nel Canale di Sicilia, quella
della spezzata «S 62», ma i danni subiti rendevano ovviamente impossibile la
sua partecipazione. Il mattino del 6 febbraio, pertanto, l’ammiraglio Gasparri,
telefonando da Messina a Supermarina per discutere quali cacciatorpediniere
assegnare all’operazione, propose tra l’altro di trasferire il prima possibile
il Corazziere a Palermo, onde
liberare il porto di Trapani già affollato di cacciatorpediniere, e svolgere
nel capoluogo siciliano le riparazioni provvisorie necessarie al suo successivo
trasferimento a Napoli. Quest’ultimo sarebbe dovuto avvenire insieme al Geniere (che abbisognava di
manutenzione) ed al Grecale (che
necessitava anch’esso di riparazioni, a seguito di una grave collisione con la
torpediniera Ardente), con la scorta
di Gioberti e Camicia Nera. Il posto del Corazziere
nella formazione di posa della «S 62» sarebbe stato preso dal Carabiniere, in quel momento a Palermo,
che allo scopo avrebbe dovuto montare le ferroguide per la posa di mine. Già
alle 17.30 dello stesso giorno, tuttavia, Gasparri dovette nuovamente
telefonare a Supermarina perché il Carabiniere,
logorato dall’intensissimo servizio (come tutti i caccia), aveva subito
un’avaria che ne impediva l’invio a Trapani e l’impiego per la posa della «S
62». Venne destinato al suo posto il Mitragliere,
ed al contempo si poté appurare che il Malocello,
escluso in un primo momento dall’operazione perché aveva toccato il fondale al
largo di Kelibia, non aveva subito danni e poteva dunque svolgere la missione.
Venne allora deciso
che la posa della «S 62» sarebbe stata svolta l’8 febbraio da Pigafetta, Malocello, Da Noli, Zeno, Legionario e Mitragliere,
e che per portare a 220 tonnellate la riserva di carburante di ciascuno dei
cacciatorpediniere di Trapani (in modo da avere abbastanza carburante per
svolgere l’operazione) si sarebbe distribuita loro tutta la nafta del Corazziere, 234 tonnellate, rimandando
il trasferimento a Napoli di quest’ultimo. Così fu fatto.
Secondo Caria, una
volta a Trapani il Corazziere sbarcò
tutte le munizioni, comprese le cariche di profondità (ed anche i siluri, ma
ciò contrasta con i ricordi del silurista Bruno Taglieri, secondo il quale la
nave aveva ancora dei siluri a bordo quando fu colpita il 15 febbraio nel
bombardamento di Napoli), dopo di che ripartì alle 7 dell’8 febbraio con la
scorta di due motovedette, arrivando a Palermo quattro ore più tardi. Qui il
cacciatorpediniere si ormeggiò nei pressi del cantiere navale e subì alcune
riparazioni sommarie (la falla causata dalla collisione venne riparata con
fasciame provvisorio dagli operai del locale cantiere navale), effettuate tra
il 9 ed il 14 febbraio, necessarie a metterlo in condizione di potersi
trasferire a Napoli per lavori più estesi; lasciò Palermo alle 6.40 del 15
febbraio, scortato dal cacciatorpediniere Premuda,
e giunse a Napoli alle 15.20 di quello stesso giorno, ormeggiandosi alla Calata
Villa del Popolo.
Secondo
"Cacciatorpediniere Classe Soldati" di Bagnasco, invece, le
riparazioni provvisorie prima del trasferimento a Napoli vennero effettuate a
Messina; mentre si trovava in riparazione in quella base, il Corazziere venne ulteriormente
danneggiato nel corso di un bombardamento aereo. Effettuate delle riparazioni
provvisorie, il cacciatorpediniere venne finalmente trasferito a Napoli per
ultimarvi i lavori.
Nella notte tra il 14
e il 15 febbraio, l’ultima passata a Palermo, gli uomini di guardia a bordo del
Corazziere avvertirono degli strani
rumori, come prodotti da qualcosa che si muovesse sott’acqua, che li insospettirono
al punto da spingerli a svegliare l’ufficiale di servizio per informarlo;
insieme ad essi, questi si mise a controllare lo scafo con un apposito faretto,
senza trovare nulla. La mattina seguente, prima di partire, lo scafo del Corazziere venne ispezionato dal
palombaro facente parte dell’equipaggio, che di nuovo non trovò niente. Non si
era verificato, infatti, alcun attacco nemico: semplicemente gli uomini erano
ancora scossi, probabilmente, dall’attacco verificatosi proprio a Palermo un
mese e mezzo prima, quando le cariche esplosive piazzate dagli “chariots”
britannici avevano affondato sotto i loro occhi l’Ulpio Traiano.
Il Corazziere era arrivato a Napoli da
appena mezz’ora, quando la città partenopea venne sottoposta ad un ennesimo
bombardamento aereo, da parte di 14 quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator”
del 93rd e 98th Bomb Group dell’USAAF (9th
USAAF). I bombardieri statunitensi, che al decollo erano 21 (gli altri sette,
come spesso accadeva, si erano persi lungo la rotta e non raggiunsero
l’obiettivo; uno andò perduto), avevano come obiettivo proprio il porto e le
navi ivi ormeggiate, anche se parte delle bombe finì, come sempre, anche sul
centro abitato. Affondarono sotto le bombe i piroscafi Lecce e Modica, e due
bombe colpirono anche il Corazziere, perforando
tutti i ponti per poi esplodere sotto la chiglia: l’esplosione asportò di netto
l’intera prua del cacciatorpediniere fino al complesso prodiero da 120/50 mm,
cioè per una lunghezza di 22 metri, e lesionò anche l’apparato motore.
Miracolosamente, nonostante la gravità dei danni, non ci fu tra l’equipaggio un
solo ferito: metà del personale, d’altra parte, non era a bordo al momento
dell’incursione, essendo sceso a terra in franchigia. Molti dei marinai rimasti
a bordo stavano facendo la doccia quando le bombe colpirono, e si precipitarono
in coperta ancora nudi, gettandosi nel mare cosparso di nafta e raggiungendo a
nuoto la riva, cercando un rifugio antiaereo.
Il sottocapo silurista
Bruno Taglieri stava finendo di scaricare l’aria compressa dei siluri prima di
andare in licenza (l’ufficiale suo diretto superiore gli aveva detto che
sarebbe potuto partire non appena avesse sbarcato quelle armi: non aveva
nemmeno bisogno di preparare la valigia, perché in seguito alla collisione
aveva perso un’altra volta – la seconda in due anni – tutto il vestiario e gli
effetti personali) quando era suonato l’allarme aereo: non si era però
scomposto, dato che ormai gli allarmi aerei erano divenuti un’abitudine. Il suo
ufficiale capo-reparto, che sbarcava a sua volta, era in quel momento passato
salutandolo, e gli aveva ordinato d’indossare l’elmetto. Taglieri stava
aspettando l’arrivo del battello sul quale dovevano essere trasbordati i siluri,
quando la contraerea aveva aperto il fuoco: guardando verso il cielo, si era
accorto che i bombardieri avevano iniziato a sganciare il loro carico, ed aveva
capito che le bombe stavano per finire proprio sulla nave. Si era precipitato a
terra, ed era giunto ad una cinquantina di metri dal Corazziere quando quest’ultimo era stato colpito dalle bombe:
cercando un posto in cui ripararsi, era stato colpito da qualcosa alla testa,
ma non era rimasto ferito. Era stato salvato dall’elmetto. Taglieri descrisse
poi così ciò che trovò quando tornò alla nave: «La scena era terrificante, il Corazziere era senza prua e pendeva in
avanti perché imbarcava acqua. Da un lato c’era una nave da trasporto già a
fondo, dall’altro lato una nave da guerra tedesca colpita a poppa sembrava
seduta. Alcuni marinai che erano di servizio sul Corazziere e non avevano avuto
il tempo per allontanarsi, cercavano di risistemare la passerella, la mia
presenza sul molo facilitò l’operazione. (…) Mentre aspettavo l’arrivo del mezzo per trasbordare i siluri, andai a
vedere i danni: erano ingenti, la prua era scomparsa. Diedi una mano a
sistemare i tubi delle pompe per aspirare l’acqua».
Il danno subito dal Corazziere fu gravissimo, e la nave
rischiò seriamente di affondare: le pompe non erano sufficienti ad espellere
tutta l’acqua imbarcata, e per scongiurarne l’affondamento servirono delle
pompe aggiuntive, fornite da Marina Napoli.
Così, a riguardo, il
ricordo del sottufficiale cannoniere Antonio Angelo Caria: "15 FEBBRAIO 1943. Sveglia al mattino
presto. Ci accorgiamo di essere accesi e pronti a muovere. Posto di manovra, e
si salpa per Napoli, alle 6,40, scortati dalla Torpediniera Premuda. Arriviamo
a Napoli alle 15,20, ormeggiandoci alla calata Villa del Popolo. Dopo mezz'ora,
pesante bombardamento su Napoli da parte di numerosi aerei B17 americani. E'
stato un bombardamento a tappeto. Ho visto crollare gli edifici di S.Giovanni a
Teduccio, e le bombe che cadevano avvicinandosi sempre più a noi per cui ho
detto a me stesso: - OGGI SI MUORE! Un po distante da noi c'era ormeggiato un
incrociatore ausiliario tedesco che sparava all'impazzata, ma si é preso una
gragnola di bombe che lo hanno fatto letteralmente "sedere" con la
tolda al livello del mare. E' caduta una scarica di bombe fra noi e quell'incrociatore,
e, infine, anche noi abbiamo avuto la nostra razione. Due bombe sono cadute a
prora, "perforando" tutti i ponti e scoppiando in acqua, tagliandoci
un bel pezzo di chiglia. 22 metri della nostra prora si é inclinata in avanti, spezzandosi
e affondando. Anche il resto della nave ha cominciato ad affondare. Le nostre
pompe di esaurimento non bastavano perciò Marina Napoli ne ha mandato alcune
per rimediare. Metà equipaggio era in franchigia, molti marinai stavano facendo
la doccia, ma sono scappati tuffandosi in mare, sporco di nafta, vagando (nudi)
come invasati in cerca di un rifugio antiaereo. Io, pur essendo franco, non
sono uscito per rispondere alle lettere di mia madre. Me la sono cavata bene
riparandomi all'interno della torretta telemetrica per ovviare eventuali
schegge. Comunque, la bomba "intelligente" tanto agognata,
finalmente, era arrivata: nessun morto e nessun ferito. La notte abbiamo cenato
e dormito a bordo della nave-caserma Lombardia, e l'indomani tutti in licenza
per lavori: per noi sardi gg. 30+4, per gli altri gg. 30+2".
Il Corazziere, privo della prua, in bacino a Napoli nel febbraio 1943 (Antonio Angelo Caria, via Wikipedia)
Per la seconda volta
dall’inizio della guerra, il Corazziere
si ritrovava così a necessitare della completa ricostruzione della prua. Per
eseguire tali lavori, il cacciatorpediniere doveva essere trasferito a Genova,
ma ciò sarebbe stato possibile soltanto dopo aver compiuto in loco una prima
parte di riparazioni provvisorie, volte a garantirne la galleggiabilità. Questi
lavori si protrassero per più di un mese; essendo evidente che la nave sarebbe
rimasta fuori servizio per lungo tempo, gran parte dell’equipaggio – circa 150
uomini – venne sbarcato ed assegnato ad altre unità. Sbarcarono tra gli altri
tutti gli ufficiali, ad eccezione del comandante Monaco e del direttore di
tiro, e tutti i sottufficiali, tranne uno; tutto il personale di macchina e
quasi tutti i cannonieri, specialisti direzione del tiro, radiotelegrafisti,
nocchieri e siluristi. Gli altri, mentre venivano compiute le riparazioni
provvisorie, vennero alloggiati sulla nave caserma Lombardia, un grande transatlantico ormeggiato nel porto di Napoli,
e ricevettero un mese di licenza.
La prua del Corazziere, ripescata dalle acque del porto, adagiata su un molo a Napoli nel febbraio 1943 (Antonio Angelo Caria via Wikipedia) |
Il 28 marzo 1943,
quando i lavori di riparazione necessari al trasferimento a Genova erano stati
quasi completati ed il Corazziere era
quasi pronto a partire, Napoli venne sconvolta dall’esplosione della motonave Caterina Costa, carica di carburante e
munizioni da trasportare in Tunisia. La nave, incendiatasi per cause rimaste
ignote (incidente o forse sabotaggio), esplose infine alle 17.39 con effetti
catastrofici: l’esplosione investì e affondò i due rimorchiatori, Oriente e Cavour, che stavano cercando di portare la Caterina Costa fuori dal porto, mandò in pezzi porte e finestre nei
quartieri attorno all’area portuale, e lanciò lamiere e rottami infuocati di
ogni dimensione sulla città, provocando altri incendi e crolli, danneggiando
facciate, sfondando tetti e uccidendo passanti. Le vittime furono almeno 549, i
feriti circa 3000.
Il Corazziere, che si trovava ormeggiato
vicino alla stazione marittima (abbastanza lontano dal molo dov’era ormeggiata
la Caterina Costa), non subì danni,
ma due membri del suo equipaggio, il marinaio cannoniere Walter Floriani (di 20
anni, da Padova) ed il sottocapo silurista Carlo Giovannetti (di 25 anni, da
Campiglia Marittima), che al momento del disastro si trovavano a terra, furono
tra le decine di persone uccise in città dalla pioggia di rottami lanciati ovunque
dall’esplosione della Caterina Costa.
Giovannetti, che era sceso a terra per fare un ultimo giro in città prima di
partire per Genova, fu ucciso da una scheggia che lo colpì alla testa.
Il 1° aprile 1943,
terminate le riparazioni provvisorie, il Corazziere
lasciò Napoli alla volta di Genova, trainato da alcuni rimorchiatori sia a prua
che a poppa. Viaggiava insieme ad esso un altro cacciatorpediniere, il Maestrale, anch’esso mutilato ma privo
della poppa (distrutta dall’urto contro una mina nel Canale di Sicilia) anziché
della prua. Il 3 aprile, di pomeriggio, i due cacciatorpediniere giunsero a
Genova, dove ebbero inizio i lunghi lavori di riparazione: per il Corazziere, questi vennero svolti presso
le O.A.R.N. (Officine Allestimento e Riparazione Navi). Una folla immensa
assisté, a Genova, all’arrivo di Corazziere
e Maestrale, che la gente credeva
erroneamente di ritorno da una battaglia navale, nella quale erano rimasti
gravemente danneggiati.
Il 5 aprile la
maggior parte dell’equipaggio residuo venne a questo punto sbarcata ed
assegnata ad altre unità; se ne andarono così una settantina di uomini, mentre
solo una quarantina rimasero col Corazziere.
Quelli che rimasero vennero alloggiati nella caserma della G.I.L.-Mare (per i
giovani della Gioventù Italiana del Littorio assegnati alla leva di mare). Il
15 aprile sbarcò anche il comandante Monaco, anch’egli destinato a nuovo
incarico: nonostante le turbolenze (a dir poco) che a volte, in passato,
avevano turbato il rapporto tra lui ed il suo equipaggio, al momento di
congedarsi dai suoi uomini Monaco rivolse loro parole lusinghiere. A questo
proposito ancora Caria: "Verso le
ore 10 vuole salutarci il Comandante perchè sbarcava pure lui. E' venuto
vestito col frac, con cappello a cilindro, guanti bianchi, uose grigie e scarpe
lucide. Nel petto sinistro del frac spiccava lo stemma gentilizio della sua
casata. Poche parole per dirci che per il "pomeriggio" di Navarino [per
questo episodio si veda più sotto, a fondo pagina, nei racconti di Caria ivi
riportati integralmente] si era fatto un
concetto errato del suo equipaggio. Aggiunse, però, che aveva seguito il suo
spirito di sacrificio, il suo coraggio e ardimento nei tremendi mesi di
diuturna fatica durante la battaglia della Tunisia, posa di mine, ecc,
traendone la convinzione di aver avuto al suo comando un equipaggio formato da
veri uomini. Ci ha passato in rassegna. A me, che ero il primo della fila, mi
strinse la mano (nuda) con un Caria, continuate cosi... Ha stretto le mani a
tutti e detto qualcosa anche a qualcun'altro. Uno di noi, ha gridato EVVIVA IL
NOSTRO COMANDANTE, e lui si é allontanato, ringraziandoci, agitanto in alto il
suo cappello a cilindro". Al comando del Corazziere, in sostituzione del capitano di fregata Monaco, venne
successivamente designato il parigrado Giuseppe Gregorio.
Oltre alla
ricostruzione della prua ed alla riparazione dell’apparato motore, erano
previste anche alcune modifiche all’armamento; nel corso dei lavori sarebbe
stato sbarcato l’impianto lanciasiluri poppiero, al cui posto sarebbero state
installate due mitragliere contraeree pesanti da 37/54 mm.
Per i pochi uomini
dell’equipaggio rimasti col Corazziere,
i mesi che seguirono furono un periodo di grande tranquillità. Avendo ben poco
da fare, mentre la nave era in riparazione, la rigida disciplina vigente fino a
quel momento venne un po’ allentata, e gli uomini ebbero modo di uscire più liberamente:
giri in riviera, riposo, niente più orari fissi per svegliarsi o andare a
dormire. In luglio, l’equipaggio venne mandato in due turni a Merano, in Alto
Adige, per un periodo di riposo in cui riprendersi dalle fatiche del duro
periodo compreso tra l’ottobre 1942 ed il febbraio 1943, nel quale si erano
susseguite senza sosta missioni di posa di mine, scorta e trasporto, spesso
sotto attacco aereo sia in porto che in mare. Durante questo soggiorno in
montagna gli uomini del Corazziere
furono alloggiati in albergo, senza più orari da rispettare né il pericolo
costituito dai bombardamenti continui (l’Alto Adige, fino a quel momento, non
aveva mai subito incursioni aeree, essendo troppo lontano dalle basi aeree
nemiche); poterono recuperare le tante ore di sonno perse nei mesi precedenti e
mangiare a volontà. Furono anche compiute delle escursioni in quota, fino a
2300 metri di altezza, in parte in funivia ed in parte a piedi.
Intanto, però, la
guerra continuava, e di tanto in tanto giungevano dispacci del Ministero della
Marina che disponevano il trasferimento di qualcuno su altre unità che
continuavano a navigare e combattere.
Questa
immagine del Corazziere in bacino
senza prua (sopra: g.c. STORIA militare; sotto, foto Aldo Fraccaroli via Coll.
Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)
viene variamente indicata come scattata a Genova nell’estate 1943, durante i
lavori di ricostruzione della prua; o durante la primavera; od ancora a Napoli,
nel marzo 1943.
Al momento
dell’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943), il
Corazziere si trovava ancora in grandi
lavori di riparazione a Genova. La prua era stata ormai ricostruita, ma i
lavori, benché ormai prossimi al completamento, non erano ancora terminati, e di
conseguenza la nave non era pronta a muovere.
Subito dopo la
proclamazione dell’armistizio, le truppe della Wehrmacht, attuando piani già
accuratamente preparati in precedenza, diedero il via all’operazione «Achse»,
procedendo a neutralizzare le forze armate italiane – lasciate dai loro comandi
senza ordini precisi su come comportarsi nei confronti dei tedeschi, non più
alleati ma nemmeno dichiarati ufficialmente nemici – ed occupare il territorio
nazionale italiano. Genova era difesa soltanto da due battaglioni territoriali
male armati: le truppe tedesche giunsero alle porte della città alle quattro del
mattino del 9 settembre, ed entro le sei avevano già bloccato gli accessi al
porto e stavano procedendo all’occupazione dei cantieri navali.
L’ammiraglio di
divisione Carlo Pinna, comandante di Marina Genova e comandante superiore del
porto di Genova, aveva già provveduto a disporre la messa in atto delle
disposizioni ricevute da Roma: partenza di tutte le navi mercantili e militari
in efficienza verso porti Alleati o comunque liberi dai tedeschi,
autoaffondamento delle unità militari non efficienti, sabotaggio delle unità
mercantili non efficienti (quest’ultimo ordine non poté essere eseguito in
quasi nessun caso, perché molte navi mercantili erano senza equipaggio),
comunicazione al Comando Marina tedesco di far uscire dal porto le navi
tedesche. Alle 8.30 del 9 gli ordini erano stati eseguiti; l’ammiraglio Pinna
radunò il personale da lui dipendente, fece distruggere gli archivi segreti e
lasciò liberi i suoi uomini di andarsene. Pinna stesso, per evitare di essere
catturato, lasciò Genova alle dieci (era stato autorizzato a farlo alle sette
da Supermarina, nella persona dell’ammiraglio Sansonetti, essendo la situazione
a Genova del tutto compromessa) e raggiunse la Toscana, dove si sarebbe in
seguito unito alla Resistenza.
Nell’impossibilità di
prendere il mare, il comandante del Corazziere,
capitano di fregata Giuseppe Gregorio, dovette rassegnarsi ad ordinare
l’autoaffondamento della sua nave, per evitare che cadesse in mano tedesca:
radunati i suoi uomini (che erano alloggiati in una casermetta situata poco
lontano dal punto in cui la nave era ormeggiata), impartì gli ordini per
l’autoaffondamento e poi rivolse loro poche parole di commiato. Nel
pomeriggio/sera del 9 settembre 1943 il Corazziere
venne dunque autoaffondato dall’equipaggio nel porto di Genova, presso la
Calata Grazie. Tra gli uomini che aprirono le ultime valvole di sentina, assolvendo
all’amaro compito di “uccidere” la nave che per anni era stata la loro casa
attraverso tante peripezie belliche, era il sottocapo silurista Bruno Taglieri:
insieme ai colleghi di comandata, Taglieri eluse agevolmente la sorveglianza
dei soldati tedeschi, già schierati sul molo, passando dietro all’edificio
dell’officina del cantiere navale, che li coprì alla vista. Il gruppetto salì
sul Corazziere, aprì le valvole per
l’allagamento, e la nave iniziò ad affondare lentamente.
Le truppe tedesche,
che ormai avevano il controllo del porto di Genova, non esitarono a sparare sugli
uomini del Corazziere che tentavano
di allontanarsi dopo aver autoaffondato la nave: alcuni riuscirono a fuggire,
come un gruppetto di sei uomini che avevano lasciato la nave per ultimi, in
ritardo rispetto agli altri, e riuscirono a nascondersi in una galleria-rifugio
antiaereo in costruzione; altri furono abbattuti a raffiche di mitra. Antonio
Angelo Caria, che non si trovava più col Corazziere
essendo stato trasferito alcuni mesi prima alla nuova corvetta Sibilla, così riferisce quel che gli
raccontò un collega superstite (pur esagerando l’entità della strage): "…quella quarantina di persone rimaste a bordo
del Corazziere, l'8 settembre, alla notizia dell'armistizio, hanno avuto
l'ordine di autoaffondare la nave, cosa che hanno fatto. Uscendo dal porto,
scappando, sono stati falciati dalle mitragliere tedesche. I ritardatari,
vedendo la fine di quelli che li avevano preceduti, si sono nascosti nel bunker
antiaerei esistenti in porto. Vi sono rimasti dentro tutta la notte e il giorno
successivo, e ne sono usciti mischiandosi alle maestranze a fine giornata
lavorativa. Si sono salvate solo 6 persone, tra le quali il mio collega
stereotelemetrista". Bruno Taglieri, che invece c’era e partecipò
all’autoaffondamento, ricordò poi che l’edificio che serviva da alloggio per
gli uomini del Corazziere venne
bersagliato da raffiche di colpi, anche se non sapeva se all’interno si
trovassero ancora i suoi compagni o se fossero già scappati. Taglieri e cinque
compagni si rifugiarono nell’officina, nascondendosi dietro ai macchinari.
Quattro uomini del Corazziere risultano "dispersi"
nella data del 9 settembre 1943, e non sembra azzardato presumere che abbiano
trovato la morte nelle circostanze sopra descritte.
I loro nomi:
Olimpio Alessio, marinaio cannoniere, 20 anni,
da Udine
Mario Gregori, marinaio, 22 anni, da Trieste
Mario Panaro, marinaio, 22 anni, da Savona
Wladimiro Pellizon, marinaio fuochista, 21
anni, da Savogna d’Isonzo (Gorizia)
Bruno Taglieri ed i
compagni rimasero nascosti nell’officina fino al calare dell’oscurità, dopo di
che si allontanarono alla chetichella, in ordine sparso, rasentando i muri.
Taglieri raggiunse un tunnel in costruzione che univa il porto alla stazione
ferroviaria di Brignole, dove rimase solo; procedendo a tentoni nel tunnel non
illuminato, riuscì a raggiungere la stazione e si tolse la divisa (il berretto
lo aveva già perso correndo) per non essere riconosciuto come marinaio dai
tedeschi. Dopo di che, si mescolò ai civili che attendevano il treno; suo
proposito era di raggiungere Roma e poi il suo paese di origine, in Abruzzo. Il
treno arrivò dopo poco e Taglieri vi salì, viaggiando senza problemi fino a
qualche chilometro prima di Orbetello, dove la linea era interrotta a causa dei
danni causati da un bombardamento aereo. Il treno attese lungamente e poi tornò
indietro, e deviò per passare da Siena e raggiungere la linea Firenze-Roma;
Taglieri, stanco e digiuno da parecchie ore, si addormentò dopo mezzanotte e fu
svegliato alla stazione di Chiusi da soldati tedeschi armati fino ai denti, che
fecero scendere dal treno tutti gli uomini abili e li condussero nel piazzale della
stazione, dove vennero circondati da sentinelle armate. Dopo un’ora di
discussioni tra ufficiali tedeschi ed italiani, gli uomini vennero riportati
alla stazione e fatti salire su un altro treno, diretto a Firenze; una volta
arrivati nel capoluogo toscano, gli uomini vennero fatti scendere dal treno e,
incolonnati e scortati da sentinelle armate che procedevano su ambo i lati,
furono portati in una caserma poco lontana dalla stazione, occupata da militari
italiani che si erano schierati con i tedeschi. Nella caserma regnava di fatto
l’anarchia, e Taglieri ne approfittò per fuggire: calato di nuovo il buio, notò
che su un lato c’era un muro di cinta facilmente scavalcabile; era di guardia
in quel punto un militare italiano, ma dopo qualche tentativo Taglieri riuscì a
convincerlo a non “vederlo”, offrendogli un pacchetto di sigarette. Scavalcato
il muro, Taglieri incontrò nella via semideserta un ciclista che si fermò e gli
indicò la strada per raggiungere la stazione. Tornato in stazione, Taglieri
riuscì a salire su un treno per Roma, raggiungendo la capitale e qui prendendo
un altro treno per il suo paese natale in Abruzzo, dove giunse nel pomeriggio
dell’11 settembre 1943. Rimase nascosto per tutto il periodo dell’occupazione
tedesca, onde sfuggire alle retate degli occupanti, e subito dopo la
liberazione di Roma tornò in servizio presso la Regia Marina, ora
co-belligerante con gli Alleati.
Non ebbe la stessa
fortuna il secondo capo S.D.T. Candido Battaglini, da Rio Marina (Livorno). Quando
fu annunciato l’armistizio, Battaglini era appena tornato in Liguria dopo un
periodo di licenza trascorso nell’Isola d’Elba, sua terra d’origine: arrivato a
Genova, trovò il Corazziere già
affondato; venne catturato dai tedeschi durante un rastrellamento e mandato a La
Spezia, per essere arruolato a forza nelle fila della Repubblica di Salò. Qui
Battaglini incontrò altri undici elbani, tutti, come lui, marinai della Regia
Marina rastrellati dai tedeschi; alcuni di essi erano già stati forzatamente arruolati
nella RSI. Non volendo combattere per la repubblichina, i dodici decisero di
fuggire e tornare all’Elba, o forse anche di raggiungere il Sud Italia
controllato dagli Alleati. Fu proprio Battaglini ad organizzare la fuga: il
gruppo s’impadronì a La Spezia di un motopeschereccio, il Riganò, col quale diresse verso il sud; ma il tentativo fallì,
perché il peschereccio venne inseguito e raggiunto da una motovedetta tedesca.
Successivamente, Battaglini ed i conterranei tentarono nuovamente di fuggire e raggiungere
l’Elba, questa volta via terra, divisi in gruppetti di quattro: ma mentre
quattro di essi riuscirono nel tentativo, gli altri otto, tra cui Battaglini,
vennero fermati ed arrestati, quattro ad Altopascio (dove si erano diretti
perché li viveva un parente di un membro del gruppo) e gli altri quattro nei
pressi del Fiume Magra. Insieme a Battaglini furono arrestati Renzo Corbelli,
Lorenzo Prosperi, Mario Martorella, Franco Pacinotti (tutti e quattro in
servizio, prima dell’armistizio, nella base di La Spezia), Aldo Bandinelli,
Francesco Innocenti e Lorenzo Pierangeli: tutti marinai della Regia Marina,
alcuni dei quali furono considerati disertori perché risultavano già arruolati
nelle fila di Salò.
Battaglini ed i
compagni vennero rinchiusi nel carcere di Marassi a La Spezia, poi – nonostante
l’intervento di un giudice italiano – furono condotti in Germania, imprigionati
nel carcere militare di Monaco di Baviera e processati per “diserzione” da un
tribunale militare. Battaglini, che era il più “anziano” (aveva 27 anni, gli
altri erano tutti ventenni: lui aveva combattuto anche durante la guerra di
Spagna, ed era stato più volte decorato) e che era di fatto stato il capo del
gruppo e l’organizzatore del tentativo di fuga, tentò inutilmente di addossare
a sé la “colpa”, chiedendo di essere fucilato lui e che gli altri venissero
risparmiati; ma la sentenza, pronunciata il 15 luglio 1944, fu la condanna a
morte per tutti. Alla fine dell’agosto 1944, dopo quasi un anno trascorso nella
prigione di Monaco di Baviera, Candido Battaglini ed i sette compagni fennero
trasferiti alla fortezza VIII di Manching, vicino ad Ingolstadt, per
l’esecuzione dela condanna. Il mattino del 9 settembre 1944 sette degli otto
marinai elbani vennero fucilati presso il poligono di tiro del lago Auwaldsee, nei
pressi di Ingolstadt, insieme a 75 soldati tedeschi condannati anch’essi per di
diserzione. Candido Battaglini, il capo del gruppo, venne fucilato per ultimo,
a più di un mese di distanza, il 15 ottobre 1944. Rifiutò di lasciarsi bendare
gli occhi, e prima di morire gridò “Viva l’Italia”.
I fucilati vennero
tutti sepolti nei pressi del poligono di tiro, in una fossa scavata nella
terra, senza neanche avere una bara. Alla fine della guerra i loro resti
vennero riesumati e trasferiti nel locale cimitero ebraico, da dove vennero
successivamente rimpatriati e riportati nell’Isola d’Elba. Nel 2005, a
settantuno anni dalla loro morte, è stato inaugurato a Rio Marina un cippo in
loro memoria.
Il comandante
Gregorio, dopo aver liquidato ed assistito i suoi uomini per quanto possibile,
riuscì a raggiungere la sua abitazione a Mondovì, in provincia di Cuneo. Nel
cuneense si sviluppò fin da dopo l’armistizio un importante movimento
partigiano, e Gregorio non tardò a mettersi in contatto con il locale Fronte di
Resistenza clandestina e col Comitato di Liberazione Nazionale; a partire dal
marzo 1944 si pose alle dipendenze del colonnello degli alpini Augusto Reteuna,
comandante della "IV Zona Provinciale Militare" a Cuneo. Gregorio
ebbe un ruolo di primo piano nell’organizzazione di gruppi armati di partigiani
attivi a Mondovì, nonché nella raccolta di rifornimenti che venivano poi
mandati ai partigiani che operavano sulle vicine montagne; cercò anche di
inserire alcuni elementi della Resistenza in una guardia civica creata a
Mondovì dalle autorità repubblichine, in modo da garantire un miglior controllo
della situazione al momento dell’insurrezione finale e della liberazione.
Queste attività erano molto pericolose, e nel dicembre 1944 Gregorio venne
anche arrestato ed incarcerato per denuncia di un traditore, tornando però in
libertà dopo qualche giorno.
Anche altri uomini
del Corazziere aderirono alla
Resistenza, ma non tutti videro la fine della guerra. Il sottocapo cannoniere
Sebastiano Cappello, da Sortino (Siracusa) venne arrestato a Milano nel 1944,
in quanto antifascista, ed inviato nel campo di transito di Bolzano-Gries, da
dove il 5 ottobre di quell’anno fu deportato nel famigerato campo di
concentramento nazista di Dachau. Qui morì nel 1945, in data imprecisata, all’età
23 anni (per la Marina risulta disperso in prigionia in Germania il 31 ottobre
1944).
Il marinaio fuochista
Romeo Bernardi, da Milano, entrò a far parte della Brigata Garibaldi "Trieste",
un reparto partigiano operante in Venezia Giulia, nelle zone del Carso e del
Collio. Morì nella zona di Monfalcone il 18 ottobre 1944, all’età di 23 anni.
Altri ancora fecero
invece una scelta di campo opposta: il sottocapo meccanico Domenico Fermi, da
Piacenza, entrò nei ranghi della Marina Nazionale Repubblicana, la piccola
Marina della Repubblica Sociale Italiana. Durante il servizio nella M.N.R.,
Fermi si ammalò e morì all’Ospedale San Martino di Genova il 7 aprile 1944.
Aveva venti anni.
Dato che il Corazziere era affondato restando in
assetto di navigazione, il suo recupero risultò piuttosto facile per gli
occupanti tedeschi, che lo riportarono a galla nel gennaio 1944. Anziché
ripararlo, tuttavia, questi decisero di spogliarlo di tutto ciò che poteva
essere riutilizzato. (Per altra fonte vi era, da parte tedesca, l’intenzione di
riparare il Corazziere, ma ciò fu
reso impossibile dallo stato della cantieristica italiana, a corto di materie
prime e gravemente colpita dai bombardamenti).
Il 4 settembre 1944
il relitto del Corazziere venne
colpito da bombe durante un’incursione aerea Alleata su Genova, ed affondò
nuovamente nel porto del capoluogo ligure. Il bombardamento di Genova del 4
settembre 1944, effettuato tra le 12.50 e le 14.10 da ben 144 bombardieri B-24
del 449th e 550th Group dell’USAAF, ebbe effetti
particolarmente devastanti sul naviglio in porto: furono affondati, insieme a
varie navi mercantili ed al Corazziere,
il cacciatorpediniere tedesco TA 33
(ex italiano Corsaro II, ex Squadrista, al termine dell’allestimento), la torpediniera TA 28 (ex italiana Rigel), la corvetta UJ 6085
(ex italiana Renna), i sommergibili UIT 5 (ex italiano Sparide), UIT 6 (ex
italiano Murena), UIT 20 (ex italiano Grongo) ed Aradam (armato
dalla X Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana), il cacciasommergibili
Antonio Landi della Marina Nazionale
Repubblicana, i rimorchiatori Capodistria,
Senigallia e Taormina, e la motovedetta M.B.
43 della Guardia di Finanza. Andarono distrutte anche le officine
riparazione navi e molte bombe, come al solito (l’obiettivo era il porto con le
sue navi, ma i bombardieri dell’epoca erano caratterizzati da cronica
imprecisione), caddero anche sul centro cittadino, provocando distruzioni e
vittime tra la popolazione civile. Si trattò forse del più pesante
bombardamento aereo mai subito da Genova e certamente del più sanguinoso, con
centinaia di morti (320, secondo una fonte) e di feriti.
La versione secondo
cui il Corazziere venne affondato dal
bombardamento del 4 settembre 1944 è accreditata dalla maggior parte delle
fonti, compreso il libro "Navi militari perdute" dell’U.S.M.M.; per
altra fonte ("Navi e marina italiani nel secondo conflitto mondiale"
di Erminio Bagnasco), invece, furono gli stessi tedeschi ad autoaffondare di
nuovo il relitto del Corazziere, da
essi parzialmente smantellato, a Genova subito prima della loro resa,
nell’aprile 1945.
Comunque andarono le
cose, il relitto del cacciatorpediniere rimase sui fondali del porto di Genova
per ben otto anni dopo la fine della guerra: solo nel giugno 1953 iniziarono i
lavori per il suo recupero (diretti dall’ingegner Armando Andri, già colonnello
del Genio Navale), che si rivelò particolarmente difficile, giungendo a
compimento solo nel dicembre di quell’anno. Quel che restava del Corazziere venne poi demolito in circa
sei mesi.
Ricordi di guerra di
Antonio Angelo Caria, imbarcato sul Corazziere
come secondo capo stereotelemetrista dal 24 aprile 1942 al 4 giugno 1943 (da
lui caricati, all’età di oltre novant’anni, su un’apposita pagina della
Wikipedia italiana, dalla quale sono tratti):
“Battaglia di mezzo giugno
Stereotelemetrista di turno (04-08), all'alba
del 15 giugno 1942 siamo stati sorvolati da una squadriglia di aerosiluranti
inglesi. Io che avevo frequentato diversi tirocinii per il riconoscimento degli
aerei e navi nostri, tedeschi, inglesi, americani e giapponesi, vedendo il
contrassegno inglese di tali aerei (il mio posto di turno era la plancia e
l'ala di plancia) ho urlato: "AEREI INGLESI..." Non mi sono spiegato
perchè il Comandante ed il Direttore di Tiro, presenti in plancia, non abbiano
dato l'ordine di aprire subito il fuoco. Il fuoco rabbioso lo ha aperto
il Garibaldi dopo aver avuto la visuale di tiro libera dal nostro
ingombro sulla sua sinistra. Gli aerei inglesi hanno fatto un giro largo per
presentarsi dopo sul lato destro della nostra formazione Garibaldi - Duca
d’Aosta - Gorizia e Trento con a lato la squadriglia
di Cacciatorpediniere.
Io, istintivamente, col telemetro portatile,
mi sono portato sull'ala di plancia destra per vedere cosa sarebbe successo. Ho
ancora impresso nella mente il planare dell'aerosiliurante inglese e lo sgancio
del siluro diretto al Trento, rimanendo col fiato sospeso aspettando la
virata estrema per evitarlo, virata che non c'é stata, cosi ho visto lo scoppio
sulla fiancata destra del Trento, all'altezza dell'albero poppiero-torre
3, il fumo ed il vapore che ne è seguito. Ho urlato: "E' stato silurato
il Gorizia" per cui il Comandante mi raggiunse e, dopo aver osservato
col binocolo la scena, mi dette da tergo uno scappellotto cordiale dicendomi:
"Caria, lo vedete il Gorizia che è a poppavia del Duca
d’Aosta?" Io, smarrito, mi son corretto dicendo al Comandante:
"Allora è il Trento, é laggiù, fermo, che fuma", indicandoglielo
col dito. Persuaso, ha esclamato: "Quel testa di cavolo, alla prima
missione col Trento si é fatto fregare..."
Abbiamo proseguito verso est inseguendo gli
inglesi. Verso le 11, il Garibaldi ha alzato bandiera di
combattimento seguito da tutta la formazione di avanscoperta. Si sono fatte
avanti Littorio e Vittorio Veneto (si vedeva il fumo
all'orizzonte), ma gli inglesi, durante la notte, avevano invertito la rotta
verso Alessandria d'Egitto, perciò non è stato possibile agguantarli ed
ingaggiare il tanto atteso e sospirato combattimento da parte di tutti i
marinai della Squadra Navale.
Apro una parentesi riguardo al lancio del
siluro. Dopo aver urlato "AEREI INGLESI" (rimanendo stupito perchè il
Comandante e il Direttore di Tiro prsesenti in plancia non hanno dato l'ordine
di aprire il fuoco contro tali aerei), dissi che sono passato nell'ala di
plancia destra. Lì ho trovato l'Ufficiale di rotta appoggiato alla paratìa tra
la colonnina del tiro notturno e il Panerai. Quando le vedette hanno dato
l'allarme di aereo diretto verso il Trento, ho sollevato lo stereotelemetro
portattile per vedere l'avvicinamento di tale aereo. L'Ufficiale di rotta,
vedendomi in osservazione, mi chiese di misurare la distanza nel preciso
istante del lancio del siluro contro il Trento,dicendogli ALT (la parola STOP,
allora, era vietata) e subito dopo la distanza del Trento col solito ALT. In
quei due precisi istanti, lui ha preso i due rilevamenti col Panerai. Ha
assistito a tutta la scena, compreso al cordiale scappellotto datomi da tergo
dal Comandante (abbozzando un sorriso), e poi si è ritirato in Sala Nautica,
ove con riga parallela, matita e compasso sul goniometro della carta nautica,
ha stabilito la distanza di lancio del siluro. Subito dopo è venuto nuovamente
nell'ala di plancia per riferire al Comandante che la distanza di lancio era
avvenuta sugli 800 metri circa. Il Comandante, allora, gli chiese il perchè di
quel circa, e lui rispose perchè fra le due misurazioni, seppure avvenute a
pochi secondi una dall'altra, il Trento si era mosso. Ho letto le diverse
segnalazioni fatte all'Ufficio Storico della nostra Marina Militare, e cioè
persone che avevano segnalato che il lancio del siluro contro il Trento era
avvenuto dalla distanza di 200 metri, altre di aver visto che gli aerosiluranti
inglesi avevano due siluri, ecc. Per me, le une e le altre avevano le
traveggole.Aerosiluranti con due siluri non sono MAI esistiti! Se il lancio del
siluro contro il Trento fosse avvenuto dalla distanza di 200 mt., con la
velocità dell'aerosilurante sui 5-600 Km. orari,il siluro stesso, con la spinta
di tale velocità, si sarebbe "inabissato" a meno 100 mt. dal
bersaglio, formando una curva di immersione-emersione profonda non meno di 20
mt., cosi tale siluiro sarebbe passsato sotto la chiglia del Trento senza
colpirlo. L'Ufficio Storico della nostra Marina Militare ha raccolto TUTTE le
informazioni col beneficio d'inventario.
DIVAGAZIONE A MARGINE. La sera del 14 giugno
ero di turno, ore 20-24. Verso le 22-23 é venuto in plancia un
radiotelegrafista con una busta in mano che l'ha consegnata all'Ufficiale di
rotta-responsabile delle telecomunicazioni. Era un cifrato proveniente dal
Comando Squadra. Dopo averlo decifrato,l'ha consegnato al Comandante che lo ha
letto a voce agli altri presenti in sala nautica: - domani alle 11, saremo a
contatto col nemico. Casualmente, io ero appoggiato, nell'ala di plancia
sinistra, vicino all'oblò della sala nautica e ho sentito tutto. Ho chiesto il
permesso al mio Capo reparto che in quel momento comandava la nave (eravamo
sempre insieme di turno) per andare in Centrale di tiro per prendere il caffè o
il cognac. Di ritorno, salendo in plancia, un collega mitragliere mi ha chiesto
cosa si diceva nelle alte sfere. Risposi: - non dirlo a nessuno, domani alle 11
saremo a contatto col nemico. Segreto di Pulcinella. Lo ha detto a tutti,
perciò si sono "assemblati" nel cannone di centro tutti gli addetti
del complesso di prora, di poppa, tutti i mitraglieri e siluristi per cantare a
squarciagola la canzone fascista VINCERE, VINCERE E VINCEREMO IN CIELO, IN TERRA
E MAR... Il Comandandante deve aver sentito il clamore perciò ha chiesto cosa
stava succedendo. Gli ha risposto l'Ufficiale di rotta che i cannonieri,
mitraglieri, siluristi e altri dell'equipaggio stavano cantando la canzone
fascista accennata. Non c'é stato molto per individuare chi aveva dato loro
quella notizia, il sottoscritto. Doveva essere punito per quella
"spiata", mentre glie n'é venuta una gratificazione perchè ha dato
modo al Comandante di "tastare" il polso dei suoi uomini circa il loro
spirito combattivo, traendone compiacimento. Lo stesso clamore é stato
percepito dal Garibaldi, sulla nostra destra e sottovento rispetto a noi, per
cui ci ha chiesto cosa stesse succedendo attraverso la radio a onde-ultra
corte, in fonia e quindi in chiaro. Con lo stesso mezzo é stata data una
risposta che non ho afferrato, ma senz'altro sarà stata ovvia e pertinente.
Continua DIVAGAZIONE A MARGINE. Era di vedetta
nella coffa il Cannoniere Puntatore Scelto Giannocaro, mio collega di corso.
Aveva dato l'allarme di aerei che bombardavano le Corazzate Littorio e Vittorio
Veneto. Ha cominciato ad enumerare tali aerei:
1,2,3....20,21,22....40.41.42..... 80.81.82..... 120.121.122.....
180.181.182....,ecc. Quando aveva raggiunto tali cifre, io stavo scendendo
dalla controplancia, passando dall'ala di plancia destra (il mio collega di
turno era dalla parte opposta). In quel mentre, ho sentito dire al Comandante:-
OGGI CI AFFONDANO TUTTI..... Vedendomi, mi ha chiamato per dirmi: - Caria, vi
prego, date voi uno sguardo! Mi sono portato sull'Astramar (un grosso binocolo
a tre ingrandimenti intercambiabili - posizionati fissi in entrambe le ali di
plancia), scelgo il massimo ingrandimento, guardo e vedo che di aerei che
bombardavano le Corazzate erano, si e no, una decina-non di più. Gli aerei in
sovrappiù che contava Giannocaro altri non erano che i coppiòli dei proiettili
sparati dalla contraerea delle Corazzate. I coppiòli (forse da coppiòla-detti
cosi in Marina nell'artiglieria navale) erano i proiettili che appena
scoppiavano determinavano una nuvoletta densa nera che poi piano-piano si
dissolveva. Infatti, sopra le Corazzate c'era una nuvola nera derivata,
appunto, dallo scoppio dei coppiòli. Ho riferito tutto al Comandante che ha
attivato l'Ufficiale medico. Costui ha fatto scendere Giannocaro dalla coffa,
lo ha fatto sdraiare in controplancia e lo ha visitato, constatando che lo
stesso si trovava in uno stato di paura estrema, perciò lo ha curato.
Ammutinamento
Dopo che i nostri incursori della X^ MAS hanno
messo KO il grosso della flotta inglese del Mediterraneo, violando le
munitissime basi di Malta, Gibilterra, Suda e Alessandria d'Egitto e dopo la
decisiva battaglia navale di Pantelleria ad opera della VII^ Divisione Navale e
della contemporanea azione del Mediterraneo orientale del 13-14-15 giugno '42
ad opera della nostra Squadra Navale, alla Regia Marina si é aperta una certa
facilità nelle operazioni navali nel Mediterraneo per rifornire le truppe
italo-tedesche impegnate nell' offensiva in Africa settentrionale al comando del
Generale Rommel. Travolti Tobruk, Sidi el Barrani e Marsa Matruk le stesse
truppe sono arrivate fin ad El Alamein. Tale avanzata ha comportato
l'allungamento delle vie di rifornimento per quelle truppe, per cui Supermarina
ha dovuto dislocare l' VIII^ Divisione Navale (gli Incrociatori Garibaldi e Duca
d’Aosta con i Cacciatorpediniere Corazziere, Bersagliere, Alpino e Mitragliere)
nella baia di Navarino (Grecia), ben a ridosso dell'isola Sfacteria. Più tardi
é stato aggiunto l'incrociatiore Duca degli Abruzzi Quando passavano i convogli
diretti a Bengasi o Tobruk, da Navarino uscivano sempre il Bersagliere, l' Alpino
e il Mitragliere per rinforzare la scorta. Noi Corazziere siamo usciti una sola
volta, con l'Alpino, per scortare la motonave Monviso per Bengasi. E proprio di
fronte a Bengasi il Monviso ci é stato silurato. Noi, con l'ecogoniometro
(sonar) installato da poco, abbiamo incocciato quasi subito il sommergibile
lanciandogli parecchie bombe di profondità. La caccia poteva essere continuata,
ma Supermarina ci ha ordinato di rientrare subito a Navarino, lasciando
l'incombenza della caccia al sommergibile alla Torpediniera Pegaso, uscita da
Bengasi, che lo ha affondato Non vi è stato mai il bisogno dell'intervento
degli incrociatori, dal momento che si navigava "nuovamente" nel mare
nostrum. Dopo tanto siamo stati scoperti dalla ricognizione nemica, perciò sono
cominciati i bombardamenti dei B24 Liberator americani. Venivamo investiti di
traverso rispetto all'isola Sfacteria, sicchè le bombe cadevano sull'ìsola o a
mare- procurandoci notevoli quantità di pesce. Dall'Italia, quindicinalmente,
venivano le navi della Genepesca cariche di viveri per tutta la Divisione
Navale, e ci portavano anche la posta. Si affiancavano prima al Garibaldi, per
scaricarvi la sua quota di viveri, indi al Duca d’Aosta e, infine, al Duca
degli Abruzzi; per questa operazione noi Corazziere dovevamo lasciare libero il
suo fianco sinistro, con posto di manovra, per portarci sul fianco sinistro del
Duca d’Aosta. In una di queste operazioni, tutto l'equipaggio era a posto di
manovra, sono arrivati i B24 Liberator americani per bombardarci. Al Comandante
in 2^ é venuta la sciagurata idea di battere posto di combattimento (del tutto
inutile perchè non avevamo cannoni antiaerei e le nostre mitragliere arrivavano
a sparare a circa 4.000 mt.- mentre tali aerei volavano sui 6-7.000 mt. di
quota. Non sparavano nemmeno i cannoni antiaerei da 100/47 degli Incrociatori
perchè la loro elevazione massima era di 60-70° ), perciò la nostra nave, abbandonato
il posto di manovra per il posto di combattimento, é rimasta in balìa della
corrente che l'ha sbattuta contro gli sbarramenti. Ci siamo presi una gragnola
di bombe tanto vicine le cui colonne d'acqua, alte 20-30 mt., ci hanno lavato
da capo a piedi e ci hanno fatto anche il lavaggio della tolda. Per fortuna non
siamo stati colpiti. Cessato l'allarme, altro posto di manovra per portarci sul
fianco sinistro del Duca d’Aosta. Dopo cena, ordine di indossare tutti la
divisa ordinaria e assemblea generale sopra castello (prora). Il Comandante ha
chiesto all'Ufficiale d'Ispezione-capo del Duca d’Aosta di chiudere tutti gli
oblò del loro lato sinistro, chiudere tutti i boccaporti che portavano sopra il
loro castello e lo sgombero generale del castello stesso. Questo perchè i
marinai del Duca d’Aosta non dovevano sentire nè vedere i panni sporchi che di
lì a poco sarebbero stati lavati in famiglia da noi. Ottenuto ciò, il
Comandante ha cominciato la sua filippica con le seguenti, testuali parole: -
oggi, ho assistito ad una cosa ignominiosa, il mio equipaggio che si é
ammutinato di fronte al nemico-passibile della decimazione generale. Il
Comandante in 2^, sentendosi in colpa, gli si é inginocchiato davanti,
piangente, dichiarandosi il solo colpevole dell'accaduto, l'equipaggio, secondo
lui, non c'entrava. Tuttavia, il Comandante non la pensava cosi, dal momento
che il Regolamento di Disciplina recitava che GLI ORDINI SBAGLIATI NON DOVEVANO
ESSERE ESEGUITI, perciò, furente, é partito col motoscafo diretto sul Garibaldi
dal Comandante della Divisione Navale, Ammiraglio De Courten, per chiedere la
decimazione generale del suo equipaggio. L'Ammiraglio ha mandato il suo
motoscafo per chiamare a rapporto il nostro Comandante in 2^, il Direttore di
tiro e l'Ufficiale di rotta. Noi, intanto, siamo rimasti impalati in fila fin
oltre la mezzanotte, paventando la conta: ogni dieci persone, l'undicesima
doveva essere fucilata - questa era la decimazione generale. Sul Garibaldi c'é
stata una riunione burrascosa di fronte alla richiesta del nostro Comandante,
richiesta smorzata dall'Ammiraglio con la decisiva osservazione che
l'equipaggio ha risposto, si, a un ordine sbagliato senza sapere chi aveva dato
quell'ordine, ordine che poteva essere stato dato anche dal Comandante stesso,
perciò non passibile di alcun provvedimento disciplinare e tanto meno della
decimazione generale. Quando i nostri Ufficiali sono rientrati a bordo, é stato
dato l'ordine di rompere le righe e di andare tutti a dormire. La grande paura,
l'angoscia e il terrore accumulati in quelle ore si sono dissolti d'incanto....
Dopo quel fattaccio, il Comandante si é chiuso in se stesso, non é venuto più
fra noi come prima, in navigazione ci parlava a monosillabi, sembrava una belva
ferita. Oggi, debbo rendere omaggio a quel nostro Comandante, l'allora Capitano
di Fregata Antonio Monaco duca di Longano, ravvedutosi, per le nobili parole
che ci ha rivolto prendendo commiato da noi quando é sbarcato, a Genova-aprile
1943 - parole che riferirò in un'altra pagina.
DIVAGAZIONE A MARGINE - A Navarino, tutta
l'estate del '42, per noi é stata una pacchia (al pari dei marinai degli
Incrociatori): normali posto di lavaggio, normali esercitazioni e bagni di
mare, con tuffi a non finire, da bordo stesso. Noi Corazziere andavamo spesso
alla spiaggia (deserta-in quei tempi) a poppavia da noi-trasportativi dalla
nostra motolancia. Sono state fatte 4-5 prove di sbarco da parte di due
battaglioni costituiti dai marinai della Divisione (io ero in uno di questi),
in previsione dell'invasione di Malta che poi non c'é stata per motivi
strategici e militari. Le nostre franchigie le facevamo nell'unico centro
abitato della baia, il grazioso paese di Pilos, ove era dislocato un Reggimento
di Fanteria. Lì c'era l'unico bar ove si gustava il caffè alla turca e si
beveva il vino resinato che ci procurava solenni sbornie. Ho visto anche la
chiesa ortodossa con le icone, e anche il pope. Da buoni italiani, vendevamo ai
greci il chinino che ci veniva distribuito perchè in zona malarica. Nello spaccio
dell'Esercito, invece, si trovava quasi di tutto. La Regia Marina, poi, si é
fatta parte diligente nel procurarci una casa chiusa ove potevano inzupparvi il
"biscotto" anche i soldati, di mattina; il pomeriggio, invece, era
tutta per noi marinai. Noi Corazziere siamo stati i primi a rimpatriare, chissà
perchè, il 30 ottobre 1942.- Il perchè lo abbiamo saputo appena arrivati a
Taranto: caricare munizioni anticarro da portare urgentemente a Tobruk che
stava per cadere in mano nemica, come dirò nella pagina seguente.
Missione di guerra sul Corazziere (1-2 novembre 1942)
OMAGGIO alla memoria di Delio INDEO di SAN
GAVINO MONREALE
Nella missione del 1-2 novembre 1942, c'era
anche il Da Recco e Bersagliere, per il trasporto veloce di munizioni
anti-carro per Tobruk, che stava per essere investita dall'avanzata dell'8^
Armata del Generale Montgomery. In linea di fila abbiamo attraversato il Canale
di Corinto. Siamo passati davanti ad Atene, scivolando in giù davanti alle
isole di Poros, Ydra e più giù ancora tra quelle di Cerigo e Cerigotto.
Doppiata Creta, si é scatenato l'inferno. E dire che Supermarina, per farcela
fare franca, aveva escogitato il percorso interno della Grecia.... E' stato un
segreto di Pulcinella, poichè, doppiata Creta (come già detto) si sono accesi
su di noi una quarantina di bengala, se non di più, sicuramente lanciati da
ricognitore nemico. Il mare era calmo come l’olio e c’era il plenilunio. Dopo
circa un’ora dal lancio dei bengala, siamo stati attaccati da bombardieri
nemici che hanno sfruttato, per individuarci, le nostre scie fosforescenti e,
nell’osservazione contro-luna, hanno potuto vedere le nostre sagome stagliate
nel mare d’argento. Premetto che io, dopo cena, sono stato colto da terribili
dolori addominali che, contorcendomi, per trovare sollievo (col salvagente
addosso) mi distendevo prono sui sacchetti di sabbia collocati in
controplancia. Nell’attacco aereo accennato, il Cannoniere Ordinario –
trattenuto di leva – Delio INDEO di San Gavino Monreale, che era di vedetta, ha
urlato “rumore di aerei sulla destra”. Io, seppure dolorante, sono scattato in
piedi come una molla, guardo a destra e vedo l’aereo. Corro alla mitragliera
alta singola, da 20/65 - snodata in brandeggio ed elevazione - afferro da tergo
il mitragliere dicendogli “lascia fare a me” e, impugnando le mezze lune con i
grilletti multipli sincronizzati, sparo in direzione dell’aereo i cui
proiettili traccianti rossastri, verdastri, biancastri, ecc, sono serviti a
indicare alle mitragliere binate del lato destro di sparare pure loro.
Fortunatamente, in quell’attacco aereo nessuno di noi è stato colpito.
L’handicap delle scie fosforescenti e del mare d’argento è stato eliminato con
i fumogeni, con rotte intersecanti e a rientrare cosi da oscurarci
vicendevolmente. Sono seguiti numerosi attacchi per i quali c’è stato sempre il
solito urlo di INDEO “rumore di aerei a destra o sinistra” e il mio correre
alle mitragliere del lato indicato per sparare, dando indicazione alle altre
mitragliere di sparare anche loro. In uno di questi attacchi, il mio tiro e
soprattutto per il fuoco corale di tutte le mitragliere, ho visto la gragnola
di proiettili traccianti scoppiare nella carlinga dell’aereo attaccante che ha
cominciato a fiammeggiare allontanandosi; oltre l’orizzonte si è vista una
vampata il che ci ha fatto pensare che sia esploso.
Noi, colpiti da una bomba a frammentazione
laterale e obliqua all'ingiù, scoppiata a circa un metro di altezza nel plateau
del complesso di poppa, abbiamo avuto 6 feriti tra gli addetti uno dei quali ha
avuto tranciate le cosce. Più tardi, un idrovolante Cant Zeta 506 della Croce
Rossa, ammarando nella rada di Tobruk, lo ha preso a bordo e trasportato
nell'Ospedale di Chirurgia di Guerra di Massa Carrara.
Quando c’è stato lo schianto della bomba
scoppiata nel plateau del complesso di poppa, l’Ufficiale alle vedette in
controplancia mi sollecitava ad alzarmi, toccando delicatamente col piede il
mio salvagente dicendomi che la situazione stava precipitando. Il Comandante ha
sentito senz’altro che in controplancia c’erano problemi, per cui, attraverso
il portavoce, lo ha chiesto all’Ufficiale, che gli ha risposto che c’ero io con
intensi dolori addominali e che facevo fatica ad intervenire durante gli
attacchi aerei. Il Comandante (tutto l'equipaggio era al posto di
combattimento) lo ha pregato di andare subito dal Tenente Medico, che accudiva
i feriti, per dirgli di venire subito da lui in plancia, ma quello non è
venuto. Allora, il Comandante ha pregato il Comandante in 2^ di andarci lui,
per ordinare al medico di venire subito in plancia. Quando è arrivato, il
Comandante lo ha apostrofato dicendogli: "Non vi ho chiamato per
capriccio, ma per il bene e l‘interesse supremo di TUTTI!" Quello ha
risposto che lui stava facendo il suo dovere di medico, curando e assistendo
sei feriti, uno grave e uno gravissimo. A quel punto, il Comandante è
“esploso”: "Mi dispiace per i miei sei uomini feriti, ma io ho altri 254
uomini che mi sono stati affidati con un mezzo bellico da portare all’offesa e
alla difesa." Il medico ha detto: "Sono ai vostri ordini." Il
Comandante gli dice: "Andate su in controplancia e vedete cosa ha Caria,
quel ragazzo sardo che insieme a quell’altro ragazzo sardo, stanotte ci stanno
tenendo a galla, mentre voi, sardo, vi siete macchiato del reato di diserzione
e insubordinazione di fronte al nemico-se non di ammutinamento…". Il
medico ha ordinato al Sergente Infermiere di darmi alcune pastiglie, due da
prendere subito e altre, una ogni quarto d’ora. Tali pastiglie hanno sortito
l’effetto sperato, per cui, di nuovo pimpante, ero sempre vicino a INDEO. Il
suo ultimo urlo di rumore di aerei sulla destra, mi ha fatto intravedere
l’aereo che ci lanciava il siluro. Ho ritenuto più opportuno attaccarmi al
portavoce per dire al Comandante che ci era stato lanciato un siluro…., dalla
distanza di 50-60 metri. L’ho sentito dire, in modo calmo, "VIA COSI"
(al timoniere), sicuro che il siluro ci sarebbe passato sotto la chiglia. In
quell’attacco di aerosiluranti, al Da Recco il siluro è caduto in coperta
scivolando poi in mare, lasciando la sua coda impigliata in una bitta
doppia-passacavo del trincarino di sinistra vicino all'occhio di cubìa
(particolare raccontatomi dal collega stereotelemetrista, sardo pure lui, che
vi era imbarcato). Le bombe e i siluri il nemico era costretto a lanciarli a
casaccio dal momento che eravamo ben occultati dalle cortine fumogene. Cessati
gli attacchi, verso le 4,30, il Comandante ha voluto avere al suo cospetto,
nell’ala di plancia sinistra, INDEO e me per farci i complimenti. A INDEO ha
chiesto: "Come mai sentivate il rumore degli aerei nonostante la
turbolenza della nostra velocità?" E lui, modestamente rispose:
"Signor Comandante, li sentivo…". A me ha chiesto come mai vedevo gli
aerei, ed io, modestamente, risposi: "Signor Comandante, li vedevo…".
Tutti e tre CC.TT. abbiamo aumentato al massimo la velocità, 35-38 miglia
all’ora, per battere sul tempo gli inglesi.
Frattanto, siamo arrivati in Africa.
Randeggiando la Marmarica, ho ancora impresso nel cervello la visione di un
piccolo dromedario, immobile, in quella landa strabombardata dagli eserciti
contrapposti. Un nostro aereo da caccia é stato abbattuto dal Da Recco- perchè
non preavvisati... Il Bersagliere ha tratto in salvo il pilota. Siamo giunti a
Tobruk, ove ho visto la gloriosa San Giorgio, semiaffondata e bruciacchiata, e
la motonave Liguria scaraventata con la prora su un molo diroccato. Marina
Tobruk aveva preparato molte bettoline e anche il Genio aveva preparato delle
chiatte per adagiarvi le casse delle armi anti-carro trasportate da noi. Tutti,
a cominciare dal Comandante in 2^ fino all'ultimo marò, abbiamo fatto il
passamano delle casse di munizioni ai marinai di Marina Tobruk, e ai soldati.
In un battibaleno, abbiamo scaricato tutto e subito dopo si é usciti in mare
aperto. Anche noi, dopo aver sbarcato i due feriti gravi, sull’idrovolante,
come già detto. Eravamo lontani da Tobruk, 4-5 miglia, quando sono apparse una
squadriglia di bombardieri Avro Lancaster e una di Mosquito. Sono passati su di
noi, ma di bombe non ne hanno sganciato. Le hanno sganciate sulle munizioni
delle bettoline e delle chiatte, per cui abbiamo visto, da lontano, i “fuochi
artificiali” che ne sono derivati. Se ci avessero sorpresi nel porto di Tobruk,
gli inglesi avrebbero fatto una bella “mattanza”.
Arrivati a Messina, abbiamo trovato ad
attenderci due ambulanze per portar via i quattro feriti, che sono voluti
rimanere a bordo, e un camioncino per prendere le cose del Tenente Medico,
sbarcato e cacciato come un cane rognoso, e chissà con quali capi
d'imputazione... Non ne abbiamo saputo più niente!
Ricordo questa missione nei minimi
particolari, essendo stata la più cruenta, la più combattuta e la più difficile
che ho fatto stando imbarcato sul Corazziere.
Il principio della fine
5 FEBBRAIO 1943. Ennesima missione di
trasporto veloce di truppe a Tunisi, assieme al Malocello, Da Noli e Zeno. Al
ritorno, assumiamo la testa della formazione poichè alzavamo le insegne
dell'Ammiraglio Gaspari, Comandante del Gruppo Cacciatorpediniere, che avevamo
a bordo. Navigazione tranquilla, a 30 miglia all'ora. Arrivati in vista di
Trapani, verso le 22, abbiamo visto che vi era un bombardamento aereo in corso
e la contraerea che sparava rabbiosamente. Eravamo entrati appena nella rotta
di sicurezza, con le nostre mine a desta e sinistra, cosicchè avevamo poco
spazio a disposizione. In quel frangente c'é stata una collisione tra noi e una
motozattera tedesca che ci ha aperto una falla a prora, sulla dritta, di 10-12
mt., allagandoci tutti i locali al di sotto della linea di galleggiamento.
L'Ammiraglio ha fatto dare ordine di libertà di manovra al Malocello, Da Noli e
Zeno, il che voleva dire di non entrare nella rotta di sicurezza perchè
intasata da noi e dalla motozattera tedesca. Io avevo chiesto il permesso di allontanarmi
per prendere il caffè o il cognac in Centrale di tiro, posto di riferimento del
mio rancio durante le navigazioni, ove mi son trattenuto con gli SDT
(Specialisti Direzione del Tiro). Allo schianto, siamo balzati disperatamente,
scavalcandoci reciprocamente e le apparecchiature (Indicatore Centrale, Gimetro
e Tavolo previsore) per raggiungere lo scoperto. Uscito dalla tuga centrale,
allo scoperto, stavo meditando di buttarmi a mare ma tergiversavo giacchè la
nave non era sbandata. Gli addetti del complesso di poppa hanno calato a mare
una zattera di salvatagio. I responsabili di quel gesto sono stati puniti con
un massimo di rigore. Sono rientrato nella realtà dalle chiamate Caria...,
Caria... del mio Capo Reparto che in quel momento comndava la nave e che mi
aveva dato il permesso di allontanarmi. Salto di cOrsa in plancia. Le macchine
erano state fermate subito per dar modo di verificare il danno subìto, chiudere
le porte stagne e per fare il punto nave - dal momento che la corrente ci stava
scarrocciando a destra o sinistra verso le mine. Per il punto nave (il cielo
era coperto), il radiogoniometro ci dava all'altezza di Marettimo, ma
evidentemente era sfasato. Allora, é stato chiesto a Marina Trapani di
accenderci un fanalicchio di Levanzo o Favignana (non ricordo quale). Marina
Trapani ci ha comunicato che il fanalicchio sarebbe rimasto acceso per tre
secondi per darci la direzione, e dopo cinque minuti altra accensione di cinque
secondi per poter fare il rilevamento e misurare la distanza. L'Ufficiale di
rotta, alla seconda accensione, ha fatto il rilevamento ed io con lo
stereotelemetro, con la scala telemetrica illuminata, ho misurato la distanza.
L'Ufficiale di rotta, fatto il punto nave, ha detto al Comandante che eravamo
con la poppa molto vicini alle mine del lato destro. Il Comandante ha dato
l'ordine macchine di sinistra avanti mezza e macchine di destra avanti adagio,
cosi abbiamo riguadagnato la linea mediana dello sbarramento. Piano-piano,
siamo andati avanti finchè siamo arrivati a Trapani (il bombardamento era
cessato), dando fondo in rada. Quella notte, finalmente, siamo potuti dormire
in branda- dopo tre mesi di dormire a terra tra cielo e mare, con le
inevitabili intemperie, nelle diuturne missioni di trasporto veloce di truppe per
la Tunisia, alternate subito dopo dalla posa delle mine. Noi stereotelemetristi
(fortunati....) dormivamo dentro la torretta telemetrica, insieme al
sott'ordine del Direttore di tiro col quale era nato un affetto fraterno. Non
parlo degli addetti al complesso di prora, poveracci, perchè dovrei fare un
lungo discorso. Parte del personale di macchina, però, si é dovuto arrangiare,
poichè il loro locale era allagato. Ha dormito come é capitato. Molto più
tardi, sono arrivati il Malocello. Da Noli e Zeno, dando fondo in rada anche
loro.
6-7 FEBBRAIO 1943. Sbarchiamo TUTTE le
munizioni, siluri e bombe di profondità compresi.
8 FEBBRAIO 1943. Presto accendiamo e
posto di manovra alle 7. Salpiamo subito per Palermo, scortati da due
motovedette, navigando lentamente. Vi arriviamo verso le 11.
9-10-11-12-13-14 FEBBRAIO 1943. Gli
operai del Cantiere Navale ci hanno riparato la falla con un fasciame
provvisorio. Il lavoro definitivo lo si doveva fare a Napoli.
15 FEBBRAIO 1943. Sveglia al mattino
presto. Ci accorgiamo di essere accesi e pronti a muovere. Posto di manovra, e
si salpa per Napoli, alle 6,40, scortati dalla Torpediniera Premuda. Arriviamo
a Napoli alle 15,20, ormeggiandoci alla calata Villa del Popolo. Dopo mezz'ora,
pesante bombardamento su Napoli da parte di numerosi aerei B17 americani. E'
stato un bombardamento a tappeto. Ho visto crollare gli edifici di S.Giovanni a
Teduccio, e le bombe che cadevano avvicinandosi sempre più a noi per cui ho
detto a me stesso: - OGGI SI MUORE! Un po distante da noi c'era ormeggiato un
incrociatore ausiliario tedesco che sparava all'impazzata, ma si é preso una
gragnola di bombe che lo hanno fatto letteralmente "sedere" con la
tolda al livello del mare. E' caduta una scarica di bombe fra noi e
quell'incrociatore, e, infine, anche noi abbiamo avuto la nostra razione. Due
bombe sono cadute a prora, "perforando" tutti i ponti e scoppiando in
acqua, tagliandoci un bel pezzo di chiglia. 22 metri della nostra prora si é
inclinata in avanti, spezzandosi e affondando. Anche il resto della nave ha
cominciato ad affondare. Le nostre pompe di esaurimento non bastavano perciò
Marina Napoli ne ha mandato alcune per rimediare. Metà equipaggio era in
franchigia, molti marinai stavano facendo la doccia, ma sono scappati
tuffandosi in mare, sporco di nafta, vagando (nudi) come invasati in cerca di
un rifugio antiaereo. Io, pur essendo franco, non sono uscito per rispondere
alle lettere di mia madre. Me la sono cavata bene riparandomi all'interno della
torretta telemetrica per ovviare eventuali schegge. Comunque, la bomba
"intelligente" tanto agognata, finalmente, era arrivata: nessun morto
e nessun ferito. La notte abbiamo cenato e dormito a bordo della nave-caserma
Lombardia, e l'indomani tutti in licenza per lavori: per noi sardi gg. 30+4, per
gli altri gg. 30+2
26 MARZO 1943. Sono rientrato in ritardo dalla licenza a causa delle
discontinue comunicazioni da e per la Sardegna (motivi di sicurezza). Arrivato
a bordo, vengo a sapere che 150 persone, rientrate dalla loro licenza, sono
state sbarcate e avviate a Maridepo Taranto (Deposito della Regia Marina).
Tutto il personale di macchina sbarcato; quasi tutto il reparto Cannonieri
idem; idem per gli SDT, per i Radiotelegrafisti, Siluristi e Nocchieri. Tutti
gli Ufficiali sbarcati meno il Comandante e il mio Caporeparto-Direttore di
tiro. Tutti i Sottufficiali sbarcati meno uno. 1° aprile 1943 - Partiamo per
Genova trainati da rimorchiatori a poppa e prora; assieme a noi c'é anche il Maestrale,
senza poppa (finito sulle mine), rimorchiato anche lui. Arriviamo a Genova il
pomeriggio di sabato 3 aprile. Ad attenderci, mezza Genova assiepata nella
parte alta di Corso Italia (credevano che provenissimo da una battaglia
navale). Noi Corazziere siamo stati alloggiati nella caserma della
GIL-Mare.G.I.L.= Gioventù Italiana del Littorio, quei giovani destinati alla
Leva di Mare. Quelli del Maestrale non so dove siano stati alloggiati. Il
lunedì successivo, altre 70 persone sbarcate da noi e avviate a Maridepo La
Spezia. A bordo era rimasta la "crema", e fra quella, modestamente,
c'ero anch'io. Vita beata, a Genova: niente sveglia il mattino, ci si alzava
alle 8, alle 9, alle 10 e oltre. Si andava in cucina e lì c'era caffelatte e
pane pronto per la colazione. Di giorno si usciva a tutte le ore, svirgolando nella
riviera di levante e ponente, la sera non c'era l'ora della ritirata. Una sola
parola: PACCHIA! Tuttavia, ogni tanto, dal Ministero della Marina arrivavano
dei dispacci di movimento nominativo per il Tizio, il Caio o il Sempronio per
imbarco su altre navi che continuavano la guerra. Un bel giorno, é arrivato il
movimento anche per me, a Marinalles Trieste per Corvetta Sibilla. Il mio
Caporeparto, non volendo perdermi, ha fatto un dispaccio al Ministero
comunicando che io ero in licenza di lavori di gg. 30+4 (e non era vero),
sperando che il Ministero ripiegasse su un altro nominativo. Non é stato cosi.
Dopo 40 giorni, il Ministero ha reiterato il dispaccio ed io ho dovuto fare le
valigie per Trieste.
DIVAGAZIONE A MARGINE. 15 aprile 1943. Per
tutto il "resto" dell'equipaggio, sveglia alle ore 8 e ordine di
indossare la divisa ordinaria. Verso le ore 10 vuole salutarci il Comandante
perchè sbarcava pure lui. E' venuto vestito col frac, con cappello a cilindro,
guanti bianchi, uose grigie e scarpe lucide. Nel petto sinistro del frac
spiccava lo stemma gentilizio della sua casata. Poche parole per dirci che per
il "pomeriggio" di Navarino si era fatto un concetto errato del suo
equipaggio. Aggiunse, però, che aveva seguito il suo spirito di sacrificio, il
suo coraggio e ardimento nei tremendi mesi di diuturna fatica durante la
battaglia della Tunisia, posa di mine, ecc, traendone la convinzione di aver
avuto al suo comando un equipaggio formato da veri uomini. Ci ha passato in
rassegna. A me, che ero il primo della fila, mi strinse la mano (nuda) con un
Caria, continuate cosi... Ha stretto le mani a tutti e detto qualcosa anche a
qualcun'altro. Uno di noi, ha gridato EVVIVA IL NOSTRO COMANDANTE, e lui si é
allontanato, ringraziandoci, agitanto in alto il suo cappello a cilindro.
Chiudo questa pagina dicendo che io sono sbarcato il 4 giugno '43. Arrivato a Trieste
il giorno dopo, ho assistito alla cerimonia della consegna della Corvetta
Sibilla alla Regia Marina. Pertanto, ho preso parte al pranzo speciale offerto
dai Cantineri Navali S. Marco di Monfalcone, ove é stata costruita la Corvetta.
Una ventina di giorni a Trieste, indi un mese a Pola per l'addestramento e,
infine, trasferimento a Brindisi-zona di operazione.
(…)
DIVAGAZIONE A MARGINE. Quando sono sbarcato
dal Corazziere, il 4 giugno '43, ho salutato gli amici e, per ultimo, il mio
Capo Reparto-Direttore di tiro, Ufficiale Responsabile della nave durante i
lavori a Genova. Quasi-quasi piangevo per il "dolore" di lasciare la
MIA nave, gli amici e, soprattutto lui che mi aveva imparato tante-tante cose.
Mi ha confortato dicendomi: - ma, dai...., andrai a Marinalles Trieste, la
Corvetta Sibilla sarà appena impostata dai Cantieri Navali di Monfalcone, lì
starai accasermato fino a quando sarà bene allestita e, forse, allora, la
guerra sarà anche finita... Il resto lo conoscete già. Piuttosto quella
quarantina di persone rimaste a bordo del Corazziere, l'8 settembre, alla
notizia dell'armistizio, hanno avuto l'ordine di autoaffondare la nave, cosa
che hanno fatto. Uscendo dal porto, scappando, sono stati falciati dalle
mitragliere tedesche. I ritardatari, vedendo la fine di quelli che li avevano
preceduti, si sono nascosti nel bunker antiaerei esistenti in porto. Vi sono
rimasti dentro tutta la notte e il giorno successivo, e ne sono usciti
mischiandosi alle maestranze a fine giornata lavorativa. SI SONO SALVATE SOLO 6
PERSONE, tra le quali il mio collega stereotelemetrista. Un proverbio recita
"non tutti i mali vengono per nuocere". Il mio "male" é
stato uno di quelli......che non mi ha procurato nocumento, anzi ho avuto salva
La PELLE (non quella descritta da Malaparte)....”