Il Maestrale nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
Cacciatorpediniere capoclasse
della classe omonima (dislocamento standard 1680 o 1750 tonnellate, in carico
normale 2025, a pieno carico 2235 o 2450), detta anche classe "Venti"
perché le sue unità vennero battezzate con i nomi dei principali venti del
Mediterraneo (Maestrale, vento da
nordovest; Grecale, vento da nordest; Libeccio, vento da sudovest; Scirocco,
vento da sudest).
La classe Maestrale,
progettata dal colonnello del Genio Navale Giulio Truccone (collaborò al progetto
anche il generale del Genio Navale Leonardo Fea) per conto del Comitato
Progetti Navi nell’ambito del programma navale del 1930-1931, venne
inizialmente menzionata come "Freccia migliorato" ma in realtà
rappresentò un tipo completamente nuovo rispetto alle precedenti classi Freccia/Folgore,
dalle quali si distaccò, risolvendo i più gravi problemi che avevano afflitto
tali classi.
La decisione di
costruire una nuova classe che ovviasse ai problemi dei Dardo/Folgore venne
presa nel 1931, quando divenne evidente che questi ultimi – non ancora entrati
in servizio – avevano seri problemi di stabilità e di tenuta del mare; con i Maestrale
si volevano avere cacciatorpediniere con prestazioni ed armamento analoghi ai Dardo/Folgore,
ma maggiore robustezza (specie dello scafo), stabilità (mediante una più
razionale distribuzione dei pesi) e qualità marine. Il costo di capitolato di
ciascuna nave della classe era di 14.700.000 lire dell’epoca, ma le
considerevoli modifiche apportate durante la costruzione a seguito dei
risultati delle prove a mare dei Freccia (modifiche che ritardarono il varo al
1934, quasi tre anni dopo l’impostazione) fecero sì che il costo finale fosse
superiore.
Il Maestrale ed un gemello nel 1934 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
Rispetto ai Dardo/Freccia,
i Maestrale avevano uno scafo più lungo di 10 metri (106,7 metri contro i 96,15
della classe precedente, allo scopo di migliorare la tenuta del mare: il
conseguente aumento del dislocamento, grazie alle nuove forme dello scafo, non
ebbe ripercussioni sulla velocità, che rimase invariata senza necessitare di un
aumento di potenza dell’apparato motore) e più largo di un metro, un
dislocamento a pieno carico di 2400 tonnellate (200-250 in più della classe
precedente) ed un armamento principale composto da due complessi binati OTO
1931 da 120/50 mm di nuova progettazione. Vennero adottate nuove forme di
carena, più idrodinamiche ed affusolate; anche l’aspetto della classe Maestrale,
facilmente distinguibile da quello delle classi Dardo/Folgore, appariva più
moderno ed anche elegante.
La disposizione
dell’apparato motore era invece simile a quella delle classi precedenti: tre
caldaie, a poppavia delle quali erano situate le due sale macchine; l’apparato
motore sviluppava una potenza di 44.000 HP, consentendo una velocità alle prove
di 38-39 nodi ed una in condizioni reali di 32 nodi (31 per periodi prolungati
in tempo di guerra), un paio di nodi in più rispetto ai Dardo/Folgore,
nonostante un maggior dislocamento ed un apparato motore di uguale potenza
(ciò, come detto, fu dovuto a forme dello scafo più evolute). L’autonomia era
di 4000 miglia a 12 nodi. (Secondo una fonte, però, i Maestrale andarono
incontro, come gli altri cacciatorpediniere italiani dell’epoca, ad un rapido
invecchiamento dell’apparato motore; secondo Navypedia, inoltre, il
dislocamento standard di progetto era previsto in 1449 tonnellate, mentre
quello effettivo si aggirò sulle 1700).
Grazie ad una più
equilibrata distribuzione dei pesi e ad una miglior altezza metacentrica, le
navi della classe Maestrale risolsero una volta per tutte i problemi di stabilità
che avevano piagato le classi Freccia/Folgore, e mostrarono buona tenuta del
mare in quasi ogni condizione di tempo. I Maestrale risultarono anche navi
solide e robuste, in grado di sopportare gravi danni, sopravvivendo in diverse
occasioni all’asportazione della prua (Grecale,
gennaio 1943) o della poppa (Libeccio,
aprile 1941; la seconda volta, nel novembre 1941, gli fu però fatale; Maestrale, gennaio 1943).
Maestrale, Grecale, Scirocco e Libeccio a Genova, il 30 maggio 1938 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
In principio era
previsto che i Maestrale sarebbero stati dotati, come armamento contraereo, di
sei mitragliere da 37 mm in impianti binati, ma le modifiche apportate durante
la costruzione indussero a rinunciarvi, per via degli eccessivi pesi che si
sarebbero dovuti aggiungere le rinforzare le strutture.
Durante la guerra,
l’originario armamento contraereo di due mitragliere singole da 40/39 mm e due
binate da 13,2 mm venne sostituito con sei più moderne mitragliere singole da
20/65 mm Breda Mod. 35 (sistemate in controplancia, dove impianti singoli a
puntamento libero sostituirono quelli binati, ed a poppavia del fumaiolo, al
posto degli obici illuminanti), e vennero eliminati i due obici illuminanti da
120/15 mm. Anche la disposizione dell’armamento principale subì alcune
modifiche: nel 1942 il complesso binato prodiero da 120 mm fu sostituito con un
cannone singolo dello stesso calibro, mentre un altro pezzo singolo da 120/50
mm venne installato sulla tuga a centro nave, tra i complessi lanciasiluri
(secondo altra fonte sarebbe stato installato un complesso binato da 120 sul
cielo della tuga di discesa in macchina, portando il totale dei pezzi da 120 a
cinque; ma ciò sembra erroneo). Anche l’armamento antisommergibili del Maestrale
venne potenziato, con l’aggiunta di due lanciabombe di produzione tedesca e la
sostituzione delle tramogge per bombe di profondità con altre più moderne.
Nel 1943 il complesso
trinato lanciasiluri da 533 mm venne sostituito con una mitragliera contraerea
binata Breda da 37/54 mm. Il Maestrale sarebbe stato anche dotato, durante la
guerra (forse negli ultimi e mai completati lavori intrapresi nel 1943), di un
radar EC.3/ter “Gufo”, forse soltanto per delle prove.
Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco ad Ancona nel 1935-1936 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
In generale i
cacciatorpediniere della classe Maestrale si rivelarono delle unità ben
riuscite, che segnarono una netta svolta qualitativa nell’evoluzione dei
cacciatorpediniere italiani; sul loro progetto si basò quello della successiva
classe Oriani (o "Poeti"), che fu pressoché identica, da cui poi
derivò anche la classe Soldati. Stranamente, nonostante le loro dimensioni non
particolarmente grandi, le quattro unità della classe Maestrale vennero
inizialmente classificate “esploratori” (come i più grandi e potentemente
armati "Leone" e "Navigatori"), venendo poi riclassificate
come cacciatorpediniere solo nel 1938.
Dal progetto della
classe Maestrale venne derivato quello di una classe di cacciatorpediniere per
la Marina sovietica, la classe Gnevny (o Progetto 7), di 30 unità costruite tra
il 1935 ed il 1942. Si trattò di navi veloci e ben riuscite sotto molti aspetti,
rappresentando un considerevole miglioramento nell’evoluzione dei
cacciatorpediniere sovietici, ma nelle acque più turbolente dei mari della
Russia mostrarono problemi di debolezza strutturale e tenuta del mare, dato che
i Maestrale erano progettati per le acque relativamente più calme del Mediterraneo.
Il Maestrale (a sinistra) con Grecale, Libeccio e Scirocco a Venezia, nel 1935-1936 (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia) |
Durante il secondo
conflitto mondiale il Maestrale effettuò
in tutto 157 missioni di guerra (14 con le forze da battaglia, 52 di scorta
convogli, 5 di posa di mine, 3 di trasporto, 2 di caccia antisommergibili, 2 di
bombardamento controcosta, 24 di addestramento, 55 di trasferimento o di altro
tipo), percorrendo complessivamente 54.859 miglia nautiche e passando ai lavori
333 giorni.
Breve e parziale cronologia.
25 settembre 1931
Impostazione nei
Cantieri Navali Riuniti di Ancona (numero di costruzione 128).
15 aprile 1934
Varo nei Cantieri
Navali Riuniti di Ancona.
2 settembre 1934
Entrata in servizio.
Inizialmente è
classificato come esploratore, e va quindi a formare, con i gemelli Libeccio, Grecale e Scirocco,
la X Squadriglia Esploratori; solo a fine anni ’30 le navi saranno
riclassificate cacciatorpediniere e di conseguenza la squadriglia cambierà nome
in X Squadriglia Cacciatorpediniere.
Il Maestrale fotografato durante le prove in mare, nell’ottobre 1934 (Coll. Giorgio Parodi, via “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia) |
29 marzo 1936
Il marinaio Silvano
Ceccherini, del Maestrale, dopo una
violenta rissa con un guardiamarina (a seguito della quale è incriminato per
detenzione abusiva di rivoltella e minaccia con arma da fuoco) diserta durante
una sosta del cacciatorpediniere nel principato di Monaco, andando ad
arruolarsi nella Legione Straniera francese in Nordafrica e poi passando a
combattere tra le fila repubblicane durante la guerra civile spagnola.
Ceccherini verrà
arrestato in Francia nel 1940, consegnato alle autorità italiane a Mentone nel
1942 e condannato a cinque anni di carcere per la sua diserzione, dopo un processo
per direttissima.
Il Maestrale a Venezia nel 1936 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
26 luglio 1936
Pochi giorno dopo lo
scoppio della guerra civile spagnola, il Maestrale
(il cui comandante viene indicato, a seconda delle fonti, nel capitano di
fregata Luigi Biancheri o nel capitano di corvetta Carlo Zampari) viene inviato
da Cagliari a Palma di Maiorca, nelle Baleari, dove dà fondo il mattino del 27
luglio.
Il governo fascista
italiano, preoccupato dalla situazione nelle Baleari dopo lo scoppio della
guerra, ha deciso l’invio del Maestrale
allo scopo di tutelare gli interessi italiani a Maiorca e di usarlo per
evacuare, qualora necessario, i cittadini italiani residenti a Maiorca e tutti
coloro che desiderassero lasciare l’isola. Il comandante del Maestrale provvede inoltre a raccogliere
informazioni sulla problematica situazione nelle diverse isole dell’arcipelago
(Maiorca, Ibiza e Formentera), in mano ai nazionalisti ma isolate e minacciate
dalle forze repubblicane che controllano Minorca, Valencia e Barcellona
(impossibile, per le forze del generale Francisco Franco, inviare loro aiuto in
tempi rapidi), ed invia una dettagliata relazione a riguardo ai suoi superiori
a Roma. Il 5 agosto il comandante del cacciatorpediniere compirà anche un breve
viaggio a Barcellona per andare a prendere alcuni cittadini italiani che
desiderano lasciare la Spagna.
Nei giorni
successivi, la situazione per i nazionalisti spagnoli, nelle Baleari,
precipita: all’inizio di agosto le isole di Formentera (7 agosto), Ibiza (8
agosto) e Cabrera (13 agosto) vengono conquistate con una serie di sbarchi
dalle truppe repubblicane provenienti dalla Catalogna; il 16 agosto i
repubblicani sbarcano anche a Maiorca.
Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco a Taranto nel 1935-1936 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
16 agosto 1936
A seguito dello
sbarco dei repubblicani a Maiorca, il Maestrale
lascia Palma trasportando 247,360 grammi di oro (in tre casse, che contengono
rispettivamente 96,650, 95,940 e 56,320 grammi), per un valore complessivo di
604.000 pesetas (la locale riserva del Banco di Spagna), nonché altra valuta
raccolta nell’isola mediante pubblica sottoscrizione. L’oro ed il denaro,
raccolti dai nazionalisti spagnoli e consegnato al console italiano a Palma,
Abramo Facchi, dev’essere consegnato alla Banca d’Italia quale garanzia di
pagamento di un contratto di fornitura di materiale militare alle truppe
spagnole nazionaliste da parte dell’Italia. L’oro è stato imbarcato sul Maestrale di notte, col favore del buio.
Su richiesta del comandante del Maestrale
e del console Facchi, s’imbarca sul cacciatorpediniere anche un rappresentante
delle autorità nazionaliste.
Maestrale e gemelli a Cagliari, negli anni Trenta (Coll. Eustachio Patalano, via www.naviearmatori.net) |
19 agosto 1936
Dopo aver fatto scalo
a La Maddalena, il Maestrale arriva a
La Spezia, dove l’oro viene consegnato alla locale sede della Banca d’Italia.
Tale deposito viene messo a disposizione dei Ministeri degli Esteri,
dell’Aviazione e della Guerra.
15 settembre 1936
Il Maestrale e la sua squadriglia scortano
a Portoferraio la VII Divisione incrociatori (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli, Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta) che qui imbarca Benito Mussolini sull’Eugenio (nave ammiraglia) per poi
trasferirsi a Napoli ed eseguire un’esercitazione tattica rientrando a La
Spezia.
Nello stesso periodo,
Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco scortano sovente Vittorio
Emanuele III nei suoi trasferimenti tra i porti del Tirreno.
Il Maestrale durante una missione di scorta alle navi del Corpo Truppe Volontarie, fotografato da bordo di una nave carica di “legionari” diretti in Spagna (da www.marina.difesa.it) |
1937-1938
Il Maestrale partecipa alle operazioni
connesse alla guerra civile spagnola, scortando le navi che trasportano in
Spagna il personale del Corpo Truppe Volontarie.
Di norma i bastimenti
mercantili adibiti a questo traffico, partiti da Napoli con a bordo i
“legionari” del C.T.V. ed i rifornimenti per le forze nazionaliste spagnole,
costeggiano la Sardegna orientale, passano davanti a Cagliari e poi dirigono a
nord verso le coste del Sulcis; al largo dell’isolotto del Toro vengono
raggiunti dalle unità della scorta, che escono da Cagliari o La Maddalena, e
raggiungono Cadice cinque giorni dopo la partenza.
Il Maestrale partecipa a tali missioni di
scorta avendo base a Cagliari, unitamente ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli e Luca Tarigo ed agli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo (altre navi hanno invece
base a La Maddalena).
Con questo sistema,
che vede l’impiego complessivamente di una quarantina di navi mercantili,
risulta possibile inviare in Spagna 48.000 uomini (in 66 viaggi) e 356.000
tonnellate di materiali (tra cui 488 pezzi d’artiglieria, 706 mortai, 700
velivoli e 46 carri armati).
Il Maestrale in navigazione verso Napoli nel 1939, con a bordo volontari italiani di ritorno dalla Spagna (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it) |
1939
Il Maestrale trasporta per un breve viaggio
nelle acque di La Spezia Benito Mussolini ed il capo delle “camicie brune”
tedesche (SA), generale Viktor Lutze, in visita in Italia con una
rappresentanza tedesca.
Giugno 1939
Dopo la fine della
guerra civile spagnola, il Maestrale
viene utilizzato per rimpatriare militari italiani che avevano combattuto in
Spagna nel Corpo Truppe Volontarie.
1939-1940
In seguito a lavori
di modifica dell’armamento, le due mitragliere singole da 40/39 mm
Vickers-Terni 1917 e le due binate da 13,2/76 mm vengono rimosse, e l’armamento
contraereo viene potenziato e ammodernato con l’imbarco di sei mitragliere Breda
singole da 20/65 mm modello 1939/1940 (in controplancia ed a poppavia del
fumaiolo); sono imbarcati anche due scaricabombe per bombe di profondità.
Il Maestrale nell’aprile 1940, sullo sfondo sono riconoscibili gli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi (g.c. Alberto Villa) |
Lancio di un siluro dal Maestrale, aprile 1940 (g.c. Alberto Villa) |
Il guardiamarina Vittorio Villa del Maestrale nell’aprile 1940; poco tempo dopo sarebbe stato trasferito sul gemello Grecale (g.c. Alberto Villa) |
Il quadrato ufficiali del Maestrale (g.c. Alberto Villa) |
Preparazione di un siluro al lancio, aprile 1940. In primo piano il sottotenente di vascello Boldrini, dietro il siluro il capo silurista D’Anna ed il secondo capo Biasco (g.c. Alberto Villa) |
Un cacciatorpediniere non identificato segue il Maestrale nella scia (g.c. Alberto Villa) |
31 maggio 1940
Il Maestrale è caposquadriglia della X
Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma con i gemelli Grecale, Libeccio e Scirocco:
la Squadriglia dei “Quattro Venti”. La X Squadriglia è assegnata alla II
Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolmeo
Colleoni) della 2a Squadra Navale.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale.
Lo stesso 10 giugno
la X Squadriglia esegue una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon; in
suo appoggio escono da Messina e Napoli gli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III Divisione Navale), gli incrociatori
leggerei Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli (VII
Divisione Navale) e quattro cacciatorpediniere. Tutte le navi rientrano alle
basi entro la sera dell’11 giugno.
22-24 giugno 1940
La X Squadriglia
prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XII, alle
Divisioni incrociatori I, II e III ed all’incrociatore pesante Pola (tutta la 2a
Squadra Navale, più la I Divisione) per fornire copertura alla VII Divisione ed
alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione
contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale. Le forze
della 2a Squadra, partite da Messina (Pola e III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da
Taranto la notte tra il 21 ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si
riuniscono al tramonto dello stesso giorno a nord di Palermo. L’operazione non
porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
2 luglio 1940
Il Maestrale, le tre unità gemelle, la I
Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), la II Divisione (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) forniscono scorta
indiretta ai trasporti truppe Esperia e Victoria, di ritorno vuoti da Tripoli
(da dove sono partiti alle 13 del 2) a Napoli con la scorta delle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso.
4 luglio 1940
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 23.
6-7 luglio 1940
Il Maestrale (caposquadriglia della X
Squadriglia Cacciatorpediniere) salpa da Augusta alle 19.45, insieme ai tre
gemelli ed agli incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni, per andare a rinforzare la scorta diretta del primo convoglio di
grandi dimensioni inviato in Libia (operazione «TCM», cioè Terra, Cielo, Mare):
lo compongono il piroscafo Esperia,
la motonave passeggeri Calitea (usati
per trasporto truppe) e le motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco
Barbaro e Vettor Pisani,
partite da Napoli alle ore 18 del 6 luglio (tranne la Barbaro che, partita da Catania con la scorta delle torpediniere Pilo e Abba, si aggrega al convoglio il mattino del 7 luglio) e scortate
dalle moderne unità della XIV Squadriglia Torpediniere (Orsa, Procione, Orione e Pegaso).
Mentre il convoglio
si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino
del 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da
battaglia Hood, incrociatori
leggeri Arethusa, Delhi ed Enterprise, cacciatorpediniere Faulknor, Foxhound, Fearless, Douglas, Active, Velox, Vortingern, Wrestler, Escort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita
(operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere
l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a
Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da
inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti
per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign,
portaerei Eagle, incrociatori
leggeri Orion, Neptune, Sydney, Gloucester e Liverpool, cacciatorpediniere Dainty, Defender, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Hyperion, Hostile, Ilex, Nubian, Mohawk, Stuart, Voyager, Vampire, Janus e Juno); questo, però, non è a conoscenza
dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a
Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta
viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con gli incrociatori Bande Nere e Colleoni, e dalla X Squadriglia
Cacciatorpediniere con Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco
(ma per altra versione, Maestrale e X
Squadriglia avrebbero scortato il convoglio fin da Napoli; non è chiaro se la
partenza della squadriglia sia avvenuta il 6 oppure il 7 luglio).
Quale scorta a
distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni
IV (incrociatori leggeri Alberico
Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori
leggeri Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV
(Leone Pancaldo, Ugolino
Vivaldi, Antonio Da Noli),
XV (Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare),
e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le
Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano)
e VII (incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Pola, I e III Divisione, con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad
est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est,
mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest,
forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta
(IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un
gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione aerea
con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il posamine
ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto di
Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo
orientale.
L’avvistamento anche
della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si
è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la
convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio,
procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un
punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso
quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando
proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea, mentre le motonavi da carico mantengono
una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti
della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet
britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si
trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere
pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato
che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio,
Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
Il convoglio «TCM»
arriva a Bengasi, dopo una navigazione tranquilla, tra le 18 e le 22; la II
Divisione e la X Squadriglia vengono inviate a Tripoli. In tutto, il convoglio
porta in Libia 2190 uomini (1571 sull’Esperia e
619 sulla Calitea), 72 carri
armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445 tonnellate
di rifornimenti.
9 luglio 1940
La II Divisione e la
X Squadriglia vengono dislocate a Tripoli. Queste unità non parteciperanno
quindi alla battaglia di Punta Stilo, scatenatasi il giorno seguente tra la
flotta italiana (1a e 2a Squadra Navale) e quella
britannica e conclusasi senza vincitori né vinti.
Successivamente,
mentre la II Divisione sarà inviata in Mediterraneo Orientale (subendo la
perdita del Colleoni ed il
danneggiamento del Bande Nere nello
scontro di Capo Spada del 20 luglio), la X Squadriglia rientrerà in Italia
scortando un convoglio.
19 luglio 1940
In mattinata Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco, provenienti da Tripoli,
vengono mandati a rinforzare la scorta diretta di un convoglio (trasporti
truppe Esperia e Calitea, motonavi da carico Marco Foscarini, Vettor Pisani e Francesco Barbaro, con la scorta diretta
di Orsa, Procione, Orione e Pegaso)
salpato da Bengasi alle 6 per rientrare in Italia. Da Taranto esce in mare
anche la VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, più i cacciatorpediniere di scorta) per fornire
al convoglio scorta a distanza. (Per altra versione, invece, la X Squadriglia
Cacciatorpediniere avrebbe fatto parte della scorta indiretta, insieme alla
VIII Divisione, e non di quella diretta).
21 luglio 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 00.30.
30 luglio 1940
Il Maestrale (caposquadriglia), assieme
a Grecale, Libeccio e Scirocco, salpa da Catania il mattino del 31 per rinforzare nel
tratto tra la Sicilia e Tripoli la scorta diretta (torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso) di un convoglio composto dai
piroscafi Maria Eugenia, Bainsizza e Gloriastella e
dalle motonavi Mauly, Col di Lana, Francesco Barbaro e Città
di Bari, in navigazione da Napoli a Tripoli nell’ambito dell’operazione
«Trasporto Veloce Lento» (TVL). Si tratta del convoglio lento (n. 1
nell’operazione), avente velocità 7,5 nodi.
A protezione di
questo e di un secondo convoglio diretto a Bengasi (quello veloce, che procede
a 16 nodi: trasporti truppe Marco
Polo, Città di Palermo e Città di Napoli, torpediniere Alcione, Airone, Aretusa ed Ariel) sono in mare, dal 30 luglio al 1°
agosto, gli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Trento e Gorizia (I Divisione), gli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano della IV Divisione e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Eugenio di Savoia, Raimondo
Montecuccoli e Muzio
Attendolo della VII Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX
(Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XII (Lanciere, Corazziere, Carabiniere, Alpino), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Ascari) e
XV (Pigafetta, Malocello, Zeno).
I due convogli,
partiti originariamente il 27 luglio, si sono rifugiati nei porti della Sicilia
il 28, per ordine di Supermarina, a seguito dell’avvistamento in mare di imponenti
forze navali britanniche.
Il convoglio 1
(quello lento), rifugiatosi a Catania, riparte il mattino del 30 luglio con il
rinforzo dalla X Squadriglia.
Intorno alle 14 lo
stesso convoglio viene attaccato, circa 20 miglia a sud di Capo dell’Armi (ed a
sudovest di Capo Spartivento), dal sommergibile britannico Oswald (capitano di corvetta David
Alexander Fraser), che lancia alcuni siluri contro il Grecale e la Col di
Lana: il cacciatorpediniere riesce però a schivare le armi, che mancano
anche la motonave. L’Oswald lancia
via radio un segnale di scoperta relativo al convoglio.
Successivamente il Maestrale ed il resto della X
Squadriglia lasciano il convoglio e vengono tenuti in crociera protettiva a
metà strada tra i convogli 1 e 3 (quest’ultimo, formato dai piroscafi Caffaro e Bosforo scortati dalle torpediniere Generale Antonino Cascino, Generale
Achille Papa, Vega e Perseo, è in navigazione da Trapani a
Tripoli) e Malta.
1° agosto 1940
Il convoglio 1 raggiunge
indenne Tripoli alle 9.45, seguito a mezzogiorno dal convoglio 3. L’operazione
«TVL» viene portata a termine con successo.
8 agosto 1940
Il Maestrale (caposquadriglia,
capitano di vascello Franco Garofalo), insieme a Libeccio (capitano di fregata Simola), Grecale (capitano di fregata Cacace) e Scirocco (capitano di fregata
Gatteschi), lascia Palermo diretto a Trapani in preparazione della posa degli
sbarramenti di mine 5 AN (200 mine tipo P 200) e 5 AN bis (240 mine tipo Elia),
tra Pantelleria e la Tunisia. Qui i quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia
imbarcano le mine da posare, per poi partire alle 17.40, preceduti di quaranta
minuti dal posamine ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla che è scortato dalle
torpediniere Antares (tenente
di vascello Senese) e Sagittario (capitano
di fregata Del Cima).
9 agosto 1940
La posa – effettuata
dallo Scilla per il 5 AN e
dalla X Squadriglia per il 5 AN bis – avviene regolarmente; per determinare
correttamente la posizione, vengono usati oltre al faro di Pantelleria anche
quelli di Capo Bon e Kelibia, accesi dal Comando francese di Biserta su
richiesta della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF) a sua
volta sollecitata da Supermarina.
Il 23 agosto il
cacciatorpediniere britannico Hostile (capitano
di corvetta Anthony Frank Burnell-Nugent) urterà una delle mine dello
sbarramento 5 AN, riportando danni tanto gravi da costringere il gemello Hero a dargli il colpo di grazia,
affondandolo nel punto 36°53’ N e 11°19’ E, una ventina di miglia a sudest di
Capo Bon.
Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco, Scilla, Sagittario ed Antares rientrano a Trapani tra le
11 e le 12; le quattro unità della X Squadriglia e
lo Scilla imbarcano subito le mine per altri due campi minati, il 6
AN (200 mine tipo P 200) ed il 6 AN bis (240 mine tipo Elia), e ripartono nel
pomeriggio (lo Scilla è
scortato ancora da Antares e Sagittario). Anche queste operazioni di
posa (effettuate dallo Scilla per
il 6 AN e dalla X Squadriglia per il 6 AN bis) sono effettuate regolarmente;
unico inconveniente è lo scoppio di una delle mine lanciate dal Maestrale. La X Squadriglia raggiunge
poi Palermo, da dove ripartirà per ricongiungersi con la sua Squadra.
16-17 agosto 1940
Durante la notte il Maestrale ed i tre gemelli della X
Squadriglia, unitamente alla I Squadriglia Torpediniere (Airone, Alcione, Aretusa, Ariel), vanno a rinforzare nella notte la scorta diretta
(torpediniere Procione, Orsa, Orione, Pegaso) dei
trasporti truppe Marco Polo, Città di Palermo e Città di Napoli, partiti da Tripoli alle
18.30 per rientrare in Italia.
18-19 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 3 del 18 ed a Napoli alle 19 del 19.
1° settembre 1940
A seguito della
riorganizzazione delle forze navali e dello scioglimento della II Divisione a
seguito dello scontro di Capo Spada, la X Squadriglia Cacciatorpediniere viene
assegnata, insieme alla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) della 1a Squadra
Navale.
1-2 settembre 1940
Il Maestrale partecipa all’uscita in
mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats», consistente in
varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per
rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della
portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
La X Squadriglia cui
appartiene il Maestrale (con Libeccio, Grecale e Scirocco)
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio, nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi
solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori
pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia),
all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino),
XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno), e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Complessivamente,
all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13
incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX
e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a
Squadra dal Pola, dalle
Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII),
riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono
però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro
notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di
cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno
ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò
impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16
Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a
Squadra, che si trova in posizione più avanzata della I, di proseguire verso le
forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha
chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma
alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a
Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie).
Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed
assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le
forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante,
dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere
contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le
navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma
non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
7-9 settembre 1940
Il Maestrale lascia Taranto alle 16
del 7, insieme ai tre gemelli, al resto della 1a Squadra
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duilio
della VI Divisione; cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia, Freccia, Saetta e Dardo della VII Squadriglia, Folgore, Fulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia) ed
alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia della I Divisione, Trento, Trieste e Bolzano della III Divisione; cacciatorpediniere Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia, Alfieri della
IX Squadriglia e Geniere della
XI Squadriglia). La flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud
della Sardegna (in modo da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del
giorno seguente), per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta
verso Malta; in realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha
soltanto simulato un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo
per della propria uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere
Freetown, per poi attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia
possibile ottenere il contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere
per il Basso Tirreno a levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi
raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III Divisione
rispettivamente). Le navi si riforniscono di carburante e rimangono
pronte a muovere, ma non ci sono novità sul nemico, ergo nel pomeriggio
del 10 settembre lasciano Napoli e Palermo per tornare nelle basi di
dislocazione; la 1a Squadra giungerà a Taranto nel tardo pomeriggio
dell’11.
29 settembre-1° ottobre 1940
Il Maestrale lascia Taranto la sera
del 29 settembre, insieme ai tre gemelli nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori
pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour),
VII (incrociatori leggeri Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), XIII (Granatiere,Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno, Usodimare) (il Pola con
la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle
19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare
un’operazione britannica in corso, la «MB. 5».
Quest’ultima consiste
nell’invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti e nell’invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il
tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite,
della portaerei Illustrious,
degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura
dell’operazione.
La formazione uscita
da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi
provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi
sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean
Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che
avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte
dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare
l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del
30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e
39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo,
poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta
italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre,
vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per
riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò
risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno
l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 novembre 1940
Il Maestrale si trova ormeggiato in
Mar Piccolo a Taranto (banchina torpediniere/banchina di Porta Ponente) insieme
al resto della X Squadriglia (Libeccio, Grecale, Scirocco) ed a numerose altre unità (incrociatori pesanti Pola e Trento, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, Geniere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi,
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
posamine Vieste e rimorchiatore di
salvataggio Teseo), quando la base
viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso
la Littorio e la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma una sola bomba va a segno, colpendo il Libeccio (che non subisce danni gravi,
perché la bomba non esplode).
Nel pomeriggio del 12
novembre la X Squadriglia, insieme alla XIII Squadriglia ed alle
corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria (uniche uscite indenni
dall’attacco) lascia Taranto, base non più sicura, e raggiunge Napoli.
Gennaio 1941
Il capitano di
vascello Franco Garofalo lascia il comando del Maestrale e della X Squadriglia Cacciatorpediniere, che teneva dal
settembre 1938, e viene sostituito dal capitano di vascello Ugo Bisciani.
11-12 gennaio 1941
Il Maestrale, insieme ai tre gemelli, ad
una sezione della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere ed Alpino)
ed ai cacciatorpediniere Freccia e Saetta della VII Squadriglia, parte
da La Spezia alle 4 dell’11 gennaio, scortando le corazzate Andrea Doria e Vittorio Veneto (nave di bandiera
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino) inviate ad intercettare e finire la
portaerei britannica Illustrious,
che è stata gravemente danneggiata dalla Luftwaffe, nel canale di Sicilia (cioè
a più di un giorno di navigazione da La Spezia). Le navi dirigono verso sud a
20 nodi, ma alle 14.30 Supermarina, informata che l’Illustrious ha già raggiunto Malta nella notte precedente,
ordina a Iachino, che si trova in quel momento nelle acque delle Isole Pontine,
di tornare indietro. Durante il rientro alla base le navi effettuano una serie
di esercitazioni di tiro e di manovra, per poi giungere a La Spezia alle 9 del
12 gennaio.
8-11 febbraio 1941
Alle 18.30 dell’8
febbraio il Maestrale (caposquadriglia)
ed il resto della X Squadriglia (Libeccio, Grecale e Scirocco) superano le ostruzioni foranee uscendo per primi dal
porto di La Spezia, insieme alle corazzate Vittorio Veneto (ammiraglia dell’ammiraglio Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (della V Divisione) ed
alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Fuciliere, Alpino) per intercettare l’aliquota della Forza H britannica
(incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya, portaerei Ark
Royal, incrociatore leggero Sheffield,
cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake)
che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure
(ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in
mare la X Squadriglia assume posizione di scorta ravvicinata a dritta (la XIII
Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a sinistra) delle tre navi da
battaglia, che procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto
del mattino del 9 le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad
ovest di Capo Testa sardo, alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente
ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia,
ed alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è
ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi,
errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana,
in navigazione verso sudest (verso la posizione in cui si ritiene probabile
trovarsi il nemico), non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento
di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra
italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo
dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad
ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da
152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici,
uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene
inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi
italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi (solo alle 9.50 Iachino viene a
sapere del bombardamento di Genova), fanno rotta verso nord, con le corazzate
precedute di 10 km dalla III Divisione. La formazione si trova 30 miglia più a
sud di quanto previsto. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta
e posizione delle forze britanniche, la formazione italiana assume rotta 330°
in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest
costeggiando la Provenza (una ipotesi corretta, che avrebbe effettivamente
permesso alle forze italiane di intercettare la Forza H entro un’ora), ma alle
13.16, dopo aver ricevuto nuovi messaggi su (errati) avvistamenti delle navi
britanniche (una portaerei ancora nel Golfo di Genova, diretta a sud, ed altre
tre navi ad ovest-sud-ovest di Capo Corso con rotta nordest: queste ultime sono
in realtà un convoglio francese, il «CN 4», in navigazione da Tolone a Bona),
che spingono Iachino a pensare che le forze britanniche, divise in due gruppi,
intendano riunirsi ad ovest di Capo Corso per poi ritirarsi verso sud lungo la
costa occidentale della Sardegna (impressione rafforzata dal fatto che un
idroricognitore catapultato dal Trieste non
ha avvistato nulla nelle acque della Provenza, nonché da rilevamenti
radiogoniometrici sospetti che sembrano confermare tale ipotesi), le corazzate
accostano di 60° assumendo rotta 30° (la III Divisione assume invece rotta 50°
alle 13.07), accelerando a 24 nodi (30 per gli incrociatori), e la X
Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità
settentrionale della formazione (analogamente fa la XIII Squadriglia, che però
si posiziona all’estremità meridionale).
Alle 13.21 viene
diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo
prossimo l’incontro con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate
delle navi sospette, che però si rivelano essere mercantili francesi in
navigazione: quelli del convoglio «CN 4». Alle 15.50 la squadra italiana
accosta verso ovest (rotta 270°) e prosegue a 24 nodi (per il gruppo delle
corazzate; 30 per gli incrociatori) per intercettare la Forza H nel caso stia
navigando verso ovest lungo la costa francese (infatti Supermarina ha
comunicato che tra le 12 e le 13 aerei italiani hanno avvistato ed attaccato la
Forza H a sud della Provenza), ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20
nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18
le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18
nodi e cessando il posto di combattimento. Durante la notte, in seguito ad un
ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a
15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi
così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61,
come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina
per la III Divisione), dove le navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio, in
quanto l’accesso al porto di La Spezia è temporaneamente ostruito dalle mine
lanciate da aerei britannici durante l’attacco; dragate queste ultime, il gruppo
delle corazzate potrà lasciare Napoli nel tardo pomeriggio dell’11, giungendo a
La Spezia nel pomeriggio del 12.
Il Maestrale in defilamento, preceduto da un’unità della classe Navigatori (da www.marina.difesa.it) |
22 marzo 1941
Il Maestrale e le altre tre unità della X
Squadriglia, insieme alla XIII Squadriglia (che poi prosegue per Messina) ed ad
una sezione della VII Squadriglia, lasciano La Spezia per Napoli, scortando la
corazzata Vittorio Veneto, che
giunge nel porto partenopeo il mattino del 23, per poi attendere l’inizio
dell’operazione «Gaudo».
26-27 marzo 1941
Maestrale (caposquadriglia, capitano di vascello Ugo Bisciani), Libeccio (capitano di fregata
Errico Simola), Scirocco (capitano
di fregata Domenico Emiliani) e Grecale (capitano
di fregata Edmondo Cacace) lasciano Pozzuoli alle 21 per scortare da Napoli a
Messina la corazzata Vittorio Veneto
(nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, partita da Napoli alle
20.30), che insieme alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), alla XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno) ed alla XII
Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere), parteciperà all’operazione «Gaudo», un’incursione
contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Alle
6.15 del 27, davanti a Messina, la X Squadriglia viene rilevata dalla XIII
Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino)
che scorterà la Vittorio Veneto per
il resto della missione, e poi entra a Messina, rifornendosi di carburante e
restandovi poi pronta a muovere in due ore. La X Squadriglia non prenderà
quindi parte all’operazione, che sfocerà nella tragica sconfitta di Capo Matapan.
28 marzo 1941
Alle 22.20 la X
Squadriglia, su richiesta dell’ammiraglio Iachino, viene fatta partire da
Messina per raggiungere in un punto a 92 miglia per 231° da Capo Matapan (od in
altro punto che dovrà eventualmente essere indicato dal Comando della I
Divisione) la I Divisione Navale (incrociatori pesanti Zara e Fiume, cacciatorpediniere Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci della
IX Squadriglia), che è stata inviata in soccorso del Pola, immobilizzato da aerosiluranti britannici nel punto sopraindicato.
Proprio in quei minuti, però, le corazzate britanniche Valiant, Warspite e Barham,
giunte vicine al Pola prima
della I Divisione, si accingono ad aprire il fuoco contro quest’ultima: colta
completamente di sorpresa, la I Divisione viene annientata, con l’affondamento
di Zara, Fiume, Alfieri e Carducci (oltre
al Pola) ed il danneggiamento
dell’Oriani, che riesce a sfuggire
insieme all’indenne Gioberti.
29 marzo 1941
Iachino, che ha
assistito a distanza al disastro, all’1.18 chiede che la X Squadriglia – per la
I Divisione non c’è più nulla da fare – raggiunga la Vittorio Veneto (anch’essa danneggiata da un aerosilurante la
giornata del 28, e costretta a procedere a velocità ridotta) a 60 miglia per
139° da Capo Colonne. Ciò viene fatto; con le luci dell’alba, la X Squadriglia
assume posizione di scorta a sinistra dell’VIII Divisione, che a sua volta è
posizionata a sinistra della Vittorio
Veneto (mentre alla dritta della corazzata c’è la III Divisione), in
formazione diurna di marcia. Alle 6.23 sopraggiungono cinque bombardieri
tedeschi Junkers Ju 88 di scorta aerea, seguiti più tardi da caccia tedeschi e
poi (già dentro il Golfo di Taranto) anche tre caccia italiani. Alle 9.08 la
formazione italiana assume rotta 343°, ed alle 9.40 Maestrale e Libeccio vengono
distaccati per raggiungere l’Oriani,
rimasto immobilizzato per i danni a 110 miglia per 280° da Capo Matapan.
Sul posto giungono
anche le torpediniere Giuseppe Dezza e Simone Schiaffino ed il minuscolo
incrociatore ausiliario Lago Zuai;
l’Oriani, preso a rimorchio, giungerà
ad Augusta alle 5 del 30 marzo.
I giornali britannici
dei giorni seguenti, nel dare la notizia della vittoria di Capo Matapan,
annunciano che cinque navi da guerra italiane – tre incrociatori pesanti e due
cacciatorpediniere – sono state affondate con certezza, ed altre due
(l’incrociatore leggero Giovanni delle
Bande Nere ed un cacciatorpediniere) “probabilmente affondate”: mentre
quest’ultima notizia è errata, è veritiera quella sull’affondamento degli
incrociatori pesanti Pola, Zara e Fiume e di due cacciatorpediniere. Curiosamente, le fonti
britanniche identificano correttamente i tre incrociatori affondati, ma
sbagliano completamente nell’identificare i due cacciatorpediniere: vengono
così dati come affondati il Gioberti,
in realtà unico cacciatorpediniere presente a scampare senza danni, ed il Maestrale, che invece non aveva nemmeno
partecipato alla battaglia. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che, al
contrario che per gli incrociatori, nessun naufrago di Alfieri e Carducci è
stato recuperato dai britannici dopo la battaglia, e dunque da parte britannica
è impossibile conoscere i nomi delle due siluranti affondate.
22 aprile 1941
Maestrale e Scirocco, insieme
agli incrociatori leggeri Luigi Cadorna
e Giovanni delle Bande Nere (IV
Divisione Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio
Giovanola), prendono il mare per rinforzare nel Canale di Sicilia la scorta del
convoglio «Arcturus», partito da Napoli alle 17 del 21 e diretto a Tripoli,
formato dai piroscafi tedeschi Arcturus,
Leverkusen, Castellon e Wachtfels
(quest’ultimo partito da Palermo ed aggregatosi al convoglio in un secondo
momento) e dalla motonave italiana Giulia,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Turbine,
Saetta e Strale.
Il convoglio segue la
rotta di ponente, che passa al largo delle secche di Kerkennah (Tunisia);
l’uscita in mare di Maestrale, Scirocco e IV Divisione per scorta
indiretta viene decisa dopo che la ricognizione aerea ha avvistato a Malta
alcune unità leggere di superficie.
23 aprile 1941
La IV Divisione con Maestrale e Scirocco si unisce al convoglio «Arcturus» nel tardo pomeriggio, al
largo delle boe 3 e 4 delle Kerkennah (cioè ad est di quelle secche), dopo di
che prosegue verso Tripoli tenendosi, durante la notte, nei settori poppieri
del convoglio. Al momento dell’incontro lo Scirocco
viene momentaneamente distaccato per contattare la scorta diretta ed accordarsi
sulle rotte da seguire durante la notte, prima che cali il buio.
Tramontato il sole,
la IV Divisione rimane nei settori poppieri del convoglio, seguendo rotte varie
inclinate rispetto alla direttrice di marcia. Poco dopo le 22 vengono visti dei
bagliori di proiettili contraerei in direzione di Tripoli, che sta venendo
bombardata.
24 aprile 1941
Alle 00.44 vengono
chiaramente distinti dalla IV Divisione, in direzione 80°, dei proiettili
illuminanti e poi le codette luminose di proiettili sparati in una vivace
azione di tiro battente; dato che si distinguono i bagliori prodotti dalle
artiglierie, ma non le vampate, l’ammiraglio Porzio Giovanola ne deduce che il
combattimento che sta avendo luogo deve essere in corso ad almeno 30 miglia di
distanza; giudica comunque che sia opportuno deviare dalla rotta e dirigere
verso ovest, in modo da allontanarsi dal potenziale pericolo. Il convoglio fa
lo stesso di propria iniziativa, così permettendo di evitare il ricorso alla
radio.
I bagliori visti
dalla IV Divisione costituiscono l’epitaffio dello sfortunato incrociatore
ausiliario Egeo. Durante la notte,
infatti, è partita da Malta la 14th Destroyer Flotilla
britannica (cacciatorpediniere Jervis, Janus, Jaguar e Juno),
proprio con lo scopo di intercettare il convoglio «Arcturus». I
cacciatorpediniere britannici non riescono a trovare il convoglio, ma verso le
00.40 incontrano invece l’Egeo, che
viene affondato dopo un impari combattimento.
Sia il convoglio
«Arcturus» che la IV Divisione, frattanto, incrociano al largo di Ras
Turgoeness, del quale non si fede il faro (il che porta Porzio Giovanola a
ritenere che sia spento), seguendo rotte varie in attesa del giorno, prima di
procedere all’atterraggio; tutti si tengono pronti a reagire ad eventuali
attacchi.
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 17. Durante tutto il viaggio, aerei della Regia Aeronautica e del X
Corpo Aereo Tedesco provvedono continuamente a sorvegliare i cieli del
convoglio.
Come ordinato da
Supermarina, la IV Divisione entra a Tripoli e vi si trattiene per alcune ore,
ripartendo alla volta di Palermo prima del tramonto.
Durante la
navigazione di ritorno, Supermarina comunica alla IV Divisione che nella zona
di Malta si trovano un incrociatore tipo Southampton e cinque
cacciatorpediniere; l’ammiraglio Porzio Giovanola ordina pertanto di
accelerare, in modo da ridurre la probabilità di incontrare tali forze durante
la notte, anche se rimane la possibilità di un incontro tra l’una e le tre di
notte del 25 aprile, nella zona tra Lampedusa e le Kerkennah. Durante la
navigazione gli uomini rimangono pertanto al posto di combattimento generale;
la vigilanza viene incrementata al massimo possibile e si tengono le armi
pronte ad un uso immediato.
Superata Lampedusa
senza aver avvistato nulla, l’ammiraglio Porzio Giovanola decide di imboccare
le rotte di ponente in modo da evitare di incontrare il nemico all’alba, sulle
rotte di atterraggio di Capo San Marco.
25 aprile 1941
La IV Divisione arriva
a Palermo alle 16.20.
8 maggio 1941
Maestrale e Scirocco, insieme ai
cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere ed Alpino, salpano da Palermo dopo le 20 scortando gli incrociatori
leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi Cadorna, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, per eseguire una crociera di vigilanza a nord
della Sicilia. È in corso l’operazione britannica «Tiger», consistente
nell’invio da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio di cinque piroscafi
veloci carichi di rifornimenti e rinforzi per le forze britanniche operanti in
Egitto (tra cui 238 carri armati e 43 aerei da caccia), e da Alessandria a
Malta di due convogli (uno veloce di quattro navi da carico, ed uno lento di
due navi cisterna) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (il primo è
scortato dagli incrociatori leggeri Dido,
Calcutta e Phoebe e da 4 cacciatorpediniere, il secondo dagli incrociatori
antiaerei Carlisle e Coventry, da 3 cacciatorpediniere e da 2
unità minori). Al contempo, la corazzata Queen
Elizabeth e tre incrociatori leggeri (Naiad,
Fiji e Gloucester, più 5 cacciatorpediniere) si trasferiscono da
Gibilterra ad Alessandria per rinforzare la Mediterranean Fleet, che esce in
mare a copertura dell’operazione (con le corazzate Warspite, Valiant e Barham, la portaerei Formidable e 12 cacciatorpediniere), al
pari della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield
e 9 cacciatorpediniere).
La reazione della
Marina italiana, pur messa sull’allarme dai molti avvistamenti, non si
materializza: Supermarina, disponendo soltanto di due corazzate in efficienza (Cesare e Doria; altre due, Duilio
e Littorio, sono in riaddestramento
dopo il completamento dei lavori di riparazione dei danni subiti nell’attacco
di Taranto nel mese precedente, mentre la Vittorio
Veneto è in riparazione per i danni subiti nella battaglia di Capo
Matapan), decide di non tentare di intervenire contro una forza britannica che
conta 5 tra corazzate ed incrociatori da battaglia (3 da Alessandria e 2 da
Gibilterra) più 2 portaerei, giudicando il rapporto di forze troppo
sfavorevole.
L’uscita da Palermo
della formazione che comprende il Maestrale
è appunto l’unico provvedimento disposto da Supermarina in concomitanza con
l’operazione nemica, ordinato per l’eventualità che la flotta britannica sia
uscita in mare per lanciare un altro attacco di aerosiluranti analogo a quello
del novembre precedente contro Taranto.
Per ogni evenienza, vengono
approntate a Napoli le corazzate Cesare
e Doria ed a Taranto gli incrociatori
ivi presenti, ma nessuna di queste unità prenderà il mare. Il maltempo
impedisce l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di Sicilia, cui si è fatto
ricorso altre volte.
Il passaggio del
convoglio britannico sarà contrastato solo dagli aerei della Regia Aeronautica,
che nonostante ripetuti attacchi non riusciranno ad affondare alcuna nave, a
causa sia del tempo fosco con nuvole basse che della reazione della scorta
aerea britannica; una bomba danneggia gravemente il cacciatorpediniere
britannico Fortune, mentre da parte
italiana vengono perduti cinque aerei. Uno dei mercantili britannici, l’Empire Song, affonderà per urto contro
mina, ma gli altri giungeranno tutti a destinazione.
9 maggio 1941
Le navi partite da
Palermo vi fanno ritorno, dopo aver infruttuosamente percorso 296 miglia
incontrando cattivo tempo per tutta la notte.
11-14 maggio 1941
Il Maestrale parte da Palermo alle 18.40, insieme
agli incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere, Luigi Cadorna (la
IV Divisione), Duca degli Abruzzi e Garibaldi (la VIII Divisione) ed ai
cacciatorpediniere Da Recco, Pessagno, Usodimare, Bersagliere, Fuciliere, Alpino e Scirocco
(questi ultimi quattro, insieme al Maestrale,
scortano la IV Divisione, mentre i tre “Navigatori” scortano l’VIII Divisione),
per fornire protezione a distanza a due convogli: uno (piroscafi italiani Ernesto e Tembien, motonavi Giulia e Col di Lana, piroscafi tedeschi Preussen e Wachtfels, scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere – caposcorta –, Geniere, Grecale e Camicia
Nera) in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle due dell’11, dopo
essere partito già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) a Tripoli, dove
arriva alle 11.40 del 13; l’altro (motonavi italiane Victoria, Andrea Gritti e
Barbarigo, motonave tedesca Ankara,
cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Saetta e Da Noli) in
navigazione in direzione opposta (partito da Tripoli alle 19.30 del 12, arriva
a Napoli alle 16.30 del 14).
La IV Divisione
raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del
mattino del 12 maggio, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle infiltrazioni
di acqua salata nei condensatori delle caldaie poppiere, che alle 17
costringono il Comando della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna, dopo di che il Bande Nere rientra a Palermo, scortato
dall’Alpino.
Il resto della
Divisione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
21 maggio 1941
Alle 8.30 il Maestrale e la torpediniera Circe salpano da Palermo per scortare ad
Augusta gli incrociatori leggeri Bande
Nere e Cadorna, seguendo rotte
costiere. Alle 10 il Bande Nere, per
problemi di lubrificazione, deve fermare una delle due motrici e dirigere su
Messina, dove arriva alle 18.20. Raggiungerà Augusta il giorno seguente.
25-29 maggio 1941
Maestrale, Grecale e
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna
forniscono scorta a distanza ad un convoglio (piroscafi tedeschi Duisburg e Preussen, piroscafi italiani Bosforo
e Bainsizza, navi cisterna Panuco e Superga) in navigazione da Tripoli a Napoli, con la scorta diretta
dei cacciatorpediniere Folgore
(caposcorta), Fulmine e Turbine. Il convoglio lascia Tripoli
alle 9, vi fa ritorno alle 15 del 26 per un allarme e poi riparte alle 8 del
27.
Al contempo, Maestrale, Grecale e Cadorna fungono
da scorta a distanza anche per un secondo convoglio (motonavi italiane Andrea Gritti, Marco Foscarini, Sebastiano
Venier, Barbarigo e Rialto, motonave tedesca Ankara, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed
Antonio Da Noli e delle torpediniere Cigno, Procione e Pegaso) in
navigazione sulla rotta opposta (partito da Napoli alle 2.30).
Il 27 maggio il
convoglio proveniente da Napoli viene attaccato da bombardieri britannici a
volo radente; la Venier subisce solo
danni leggeri, ma la Foscarini viene
incendiata e, benché portata ad incagliare davanti a Tripoli, non verrà mai
recuperata. Le altre motonavi entrano a Tripoli il mattino del 28.
Maestrale, Grecale e Cadorna entrano a Palermo il mattino del
29 maggio; le navi del convoglio proveniente da Tripoli raggiungeranno le
rispettive destinazioni (Trapani, Palermo e Tripoli) tra la sera del 29 e le
prime ore del 30.
9 giugno 1941
Maestrale, Grecale e Scirocco scortano il Bande Nere in una breve uscita da
Palermo per esercitazioni di tiro.
23 giugno 1941
Maestrale, Grecale ed un altro
cacciatorpediniere, l’Antoniotto
Usodimare, vanno a rinforzare la scorta diretta (cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello, caposcorta, e
torpediniere Orsa, Procione, Pegaso, Enrico Cosenz e Clio) di un convoglio (piroscafi
italiani Amsterdam, Tembien ed Ernesto, piroscafo tedesco Wachtfels,
motonavi Giulia e Col di Lana) partito da Tripoli per
Napoli alle 15 del 21, dopo che nella giornata del 22 il convoglio è stato
oggetto di pesanti attacchi aerei che hanno gravemente danneggiato il Tembien ed il Wachtfels, costringendoli a dirottare su Trapani con la scorta
dell’Orsa. (Per altra versione,
invece, Grecale e Maestrale vengono fatti salpare da
Palermo e mandati incontro a Tembien
e Wachtfels, che scortano a
Pantelleria insieme ad Orsa e Procione, le quali erano rimaste ad
assisterli fin dal momento del loro danneggiamento).
24 giugno 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 3.30.
6 luglio 1941
Il Maestrale salpa da Palermo alle 19.30
insieme a Grecale e Scirocco (per altra fonte sarebbe stato
presente anche il Libeccio), per
scortare la IV Divisione (Bande Nere e Di Giussano, al comando dell’ammiraglio
Porzio Giovanola) che deve prendere parte alla posa della terza tratta («S 3»,
con le spezzate «S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444 boe esplosive)
dello sbarramento «S».
7 luglio 1941
Poco dopo le cinque
del mattino la X Squadriglia e la IV Divisione si accodano alla VII Divisione (Attendolo e Duca d’Aosta, che ha a bordo
l’ammiraglio Casardi, comandante superiore in mare) ed ai
cacciatorpediniere Da Recco, Da Mosto, Da Verrazzano, Pigafetta e Pessagno (questi ultimi due partiti
da Trapani, mentre le altre unità sono salpate da Augusta). Data la scarsa
visibilità, l’ammiraglio Casardi tiene i cacciatorpediniere in posizione di
scorta ravvicinata anche di notte, e fa zigzagare nelle zone dove più probabile
è l’incontro con sommergibili avversari.
Alle 7 le navi (le mine
saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta)
iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa – durante tale
manovra un aereo della ricognizione marittima avvista una mina, che segnala con
una fumata verde: uno dei cacciatorpediniere della X Squadriglia viene quindi
distaccato per distruggerla –, ed alle 7.45 iniziano a posare le mine,
terminando alle 8.57.
La VII Divisione
dirige poi per Taranto; alle 15.11 la IV Divisione viene lasciata libera di
raggiungere Palermo.
21-22 luglio 1941
Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco scortano le corazzate Littorio e Vittorio
Veneto della IX Divisione durante esercitazioni di tiro diurno e
notturno.
15 agosto 1941
A seguito di una
nuova riorganizzazione delle forze navali, la X Squadriglia Cacciatorpediniere
viene assegnata alla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Montecuccoli, Attendolo e Duca
d’Aosta).
19 agosto 1941
Il Maestrale, insieme ai gemelli Grecale e Scirocco, lascia Trapani e si unisce alle 14.50, al largo delle
Egadi (poco a nord di Marettimo), alla scorta – cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta e
comandante superiore in mare, contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da Recco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti partiti col
convoglio da Napoli, più la vecchia torpediniera Giuseppe Dezza aggregatasi alle 13.30 – di un convoglio
salpato da Napoli per Tripoli alle due di notte e composto dai trasporti
truppe Marco Polo (capo
convoglio, contrammiraglio Francesco Canzoneri), Esperia, Neptunia e Oceania. Il convoglio segue la rotta che
passa a ponente di Malta (Canale di Sicilia, Pantelleria, Isole
Kerkennah); Maestrale e
gemelli si sono uniti per la scorta all’inizio del tratto più pericoloso. Di
giorno il convoglio fruisce anche di scorta aerea fornita in modo continuativo
da bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero", caccia biplani
Fiat CR. 42 "Falco" e idrovolanti antisommergibile CANT Z. 501 "Gabbiano”
e CANT Z. 506 "Airone" (questi ultimi nel tardo pomeriggio del 19).
Nel tardo pomeriggio
il convoglio incappa in uno sbarramento di sommergibili britannici, venendo
attaccato pressoché contemporaneamente dall’Urge (tenente
di vascello Edward Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten (capitano
di corvetta Edward Arthur Woodward).
Quest’ultimo avvista
il convoglio alle 18.18 in posizione 37°02’ N e 12°00’ E, circa 15 miglia a
nord di Pantelleria (a 8700 metri di distanza per 325° dall’Unbeaten), ed alle 18.31 lancia tre
siluri (un quarto non parte) contro le navi italiane; le armi passano tutte a
molto proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT Z. 501 della 196a
Squadriglia avvista le scie e lancia due bombe contro l’Unbeaten, che tuttavia è già sceso in profondità dopo il lancio.
L’Urge, invece, avvista il convoglio
(avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N e 11°51’ E (una quindicina
di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a 6400-7315 metri per 30°, e
manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra d’attacco è interrotta da
un’accidentale perdita di assetto, mentre uno dei cacciatorpediniere, avvisato
da un aereo che lo ha avvistato alle 18.15, si avvicina per contrattaccare. Tra
le 18.36 e le 19.25 Vivaldi e Gioberti bombardano l’Urge con bombe di profondità, senza
riuscire a danneggiarlo, ma costringendolo a ritirarsi verso nordovest e
rinunciare all’attacco. Tutti i siluri lanciati nei due attacchi vengono
evitati con pronte contromanovre.
Prima di questi
attacchi, alle 17.20 (a nord di Pantelleria), il Marco Polo ha già evitato due siluri con la manovra, dopo che
è stato diramato il segnale «Scie di siluri a sinistra».
20 agosto 1941
All’una di
notte Maestrale e Grecale rientrano a Trapani, mentre
alle 8.30 si aggregheranno al convoglio la torpediniera Partenope, giunta da Tripoli per pilotare il convoglio sulla rotta
di sicurezza (le cui acque sono state dragate da un gruppo di dragamine, che
precedono inoltre il convoglio lungo la rotta di sicurezza), e due MAS
anch’essi usciti da Tripoli.
Diverse ore più
tardi, l’Esperia verrà silurata dal
sommergibile britannico Unique ed
affonderà in vista di Tripoli, anche se le navi della scorta riusciranno a
salvare 1139 dei 1182 uomini a bordo.
23-26 agosto 1941
Nella giornata del 23
il Maestrale e lo Scirocco lasciano Palermo per andare a
rinforzare la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste, Trento, Bolzano e Gorizia, più i cacciatorpediniere Lanciere, Corazziere, Ascari e Carabiniere della XII Squadriglia), partita da Messina alle
9.50, e la raggiungono alle 18; alle cinque del mattino del 24 le dieci navi si
ricongiungono, al largo di Capo Carbonara, al gruppo «Littorio»
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto e
cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia
e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), formazione che viene poco dopo rinforzata da altri cinque
cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello da Napoli,
ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano da Trapani).
Le navi italiane sono in mare, dirette al centro del Tirreno, per contrastare
l’operazione britannica «Mincemeat», che vede l’uscita da Gibilterra di parte
della Forza H (comprese la portaerei Ark
Royal e la corazzata Nelson)
per bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella
Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark
Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine veloce Manxman) e dissuadere, con tale
dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I
veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che
ha ordinato l’uscita in mare della III e IX Divisione pensando ad un nuovo
tentativo britannico di inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Tra le 6.30 e le 6.40
il Trieste catapulta il
proprio idrovolante da ricognizione, che tuttavia non riesce a trovare nulla.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio Iachino, ha l’ordine di trovarsi per le
otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, essendo la Forza H stata
avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, una novantina di miglia a sud di
Maiorca. Verso le 5 gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania, causando però
pochissimi danni, ed alle 7.45 la squadra italiana viene avvistata da un
ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza H viene localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
In base a
quest’ultimo dato, Supermarina, ritenendo improbabile che le forze italiane
possano incontrare quelle britanniche entro il 24, a meno di non uscire dal
raggio di copertura della caccia aerea, ordina a Iachino di tenersi ad est del
meridiano 8° (a meno, appunto, di non riuscire ad incontrare la Forza H di
giorno ed entro la zona protetta dalla caccia italiana) e di rientrare nel
Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata
inviata ad effettuare nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite;
ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del
25 a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara, onde replicare la manovra del 24, ritenendo
possibile un incontro per il 25.
Il mattino del 25,
dato che la ricognizione aerea non trova traccia della Forza H, ed il traffico
radio britannico sta tornando ai ritmi usuali, Supermarina decide di far
rientrare alle basi le proprie forze navali, ordinando pertanto a Iachino, alle
13.35, di rientrare a Napoli, e alla III Divisione di tornare a Messina.
Nel corso
dell’operazione, per due volte la III Divisione ha avvistato sommergibili
nemici: la seconda, purtroppo, quando alle sei del mattino del 26 agosto il
sommergibile britannico Triumph avvista
a nordovest la Divisione nel punto 38°22’ N e 15°38’ E, mentre questa si
accinge ad imboccare lo stretto di Messina, di rientro dalla missione. Alle
6.38, poco a nord dello stretto, il Triumph lancia
due siluri da 4850 iarde contro l’incrociatore di coda, il Bolzano: colpito a poppa da una delle
armi e gravemente danneggiato, questi riuscirà comunque a raggiungere Messina
assistito da due rimorchiatori, restando però fuori combattimento per diversi
mesi. I cacciatorpediniere e gli aerei antisommergibile della scorta
contrattaccano subito, ritenendo, a torto, di aver affondato il Triumph.
La III Divisione
giunge a Messina il 26 mattina.
Il Maestrale in una foto del 1941 (g.c. STORIA militare) |
26-29 settembre 1941
Il 26 settembre Maestrale, Grecale e Scirocco
(la X Squadriglia Cacciatorpediniere) prendono il mare da La Maddalena (dove le
navi si sono trasferite il giorno precedente da Palermo) unitamente agli
incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VIII
Divisione) per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta
nell’ambito dell’operazione britannica «Halberd». Il convoglio è formato dalla cisterna
militare Breconshire e dai mercantili Ajax, City of Calcutta, City
of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star e Rowallan
Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti, e scortato dalla Forza H
britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales), una portaerei (Ark Royal), cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus)
e 18 cacciatorpediniere (i britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers).
Da parte italiana,
però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che
la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i
britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste
italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei. L’ordine per le forze
italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva, e di
non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta
superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 50 miglia a sud di Capo
Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La Galite, e
di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una delle
corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Per intercettare il
convoglio, prendono il mare anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la IX Divisione (Littorio, Vittorio Veneto) rispettivamente da
Messina e Napoli, accompagnate rispettivamente dalla XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Gioberti)
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno).
A mezzogiorno del 27
la III, la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di
cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo
Carbonara, per intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a
24 nodi per l’intercettazione, con gli incrociatori che precedono di 10.000
metri le corazzate. A mezzogiorno, dato che la ricognizione ha avvistato una
sola corazzata britannica ed una portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per
attaccare in massa (gli aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli
abbattuti, riusciranno a silurare e danneggiare la Nelson), la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare
battaglia (Iachino riceve libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di
combattimento, e le corazzate sono schierate nella direzione di probabile
avvicinamento del nemico. Quando però il contatto appare imminente, in seguito
a nuove segnalazioni dei ricognitori viene appreso che le forze britanniche
ammontano in realtà a due corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei
incrociatori, il che pone la squadra italiana in condizioni di inferiorità
rispetto alla forza britannica, e per giunta la prima è sprovvista di copertura
aerea (soltanto sei caccia, con autonomia dalle basi non superiore a 100 km),
mentre le navi italiane sono tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e
più tardi, dalle 15.15 alle 17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla
portaerei. Alle 14.30, considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa
visibilità e la mancanza di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per
portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici. Alle 15.30 sopraggiungono
tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della
loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani),
vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo
pattuglia (il pilota sarà tratto in salvo dal Granatiere), mentre gli altri due si allontanano. Alle 17.18,
avendo ricevuto comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito
pesanti danni (una corazzata e due incrociatori silurati e daneggiati, un
incrociatore affondato) a causa degli attacchi aerei, la formazione italiana
dirige nuovamente verso sud (prima stava procedendo verso nord), salvo
invertire nuovamente la rotta (dirigendo per est-nord-est) alle 18.14,
portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato da Supermarina perché ormai
non è più possibile intercettare il convoglio prima del tramonto. Alle otto del
mattino del 28 le navi italiane attraversano il canale di Sardegna e, come
ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno
rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non
trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è
infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi; l’VIII Divisione viene
fatta dirigere a Messina (eccetto lo Scirocco,
mandato a Cagliari a seguito di un’avaria).
Alle 17.22 l’Attendolo avvista scie di siluri ed
accosta immediatamente a sinistra; così fa anche il Montecuccoli, che lo segue e vede passare due siluri a soli 20
metri, sulla dritta. Le navi lanciano in mare alcune bombe di profondità.
L’VIII Divisione
raggiunge Messina alle otto del 29 settembre.
7 novembre 1941
Alle cinque del
mattino il Maestrale (caposcorta,
capitano di vascello Ugo Bisciani) salpa da Napoli insieme ai cacciatorpediniere Euro (capitano di corvetta Giuseppe
Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano
di corvetta Mario Milano), per scortare a Tripoli il convoglio «Beta» (poi
divenuto meglio noto come "Duisburg"), formato in origine dai
piroscafi tedeschi Duisburg (capitano
di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg),
dall’italiano Sagitta (capitano
di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani) e dalla grande
e moderna nave cisterna Minatitlan (capitano
di lungo corso Guido Incagliati). Le prime navi iniziano ad uscire dal porto
alle 2.20, ma un attacco aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre i
bastimenti cominciano la manovra di partenza (il Duisburg viene anche illuminato e mitragliato, pur senza subire
danni) rallentano l’uscita, così che solo dopo le 6.30 il convoglio è formato
fuori del porto, ed ha inizio la navigazione verso sud. Il convoglio viene
seguito a distanza dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (caposquadriglia
capitano di vascello Ferrante Capponi, del Granatiere),
con Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino.
Prima della partenza
da Napoli, il comandante Bisciani ha convocato i comandanti delle altre navi
del convoglio e della scorta per esporre loro le direttive del suo ordine di
operazioni: esse prevedono che in caso di attacco di navi di superficie la
difesa del convoglio spetterà esclusivamente alla III Divisione Navale (scorta
a distanza), mentre i cacciatorpediniere della scorta diretta dovranno
difendere il convoglio soltanto contro sommergibili ed aerei (il che verrà in
seguito giudicato arbitrario dalla Commissione d’Inchiesta Speciale istituita
sul convoglio "Duisburg", dato che in base alle direttive della
pubblicazione D.T. 1, alla scorta diretta spettava anche un sostegno
ravvicinato al convoglio in caso di attacco di navi di superficie, manovrando
in modo da allontanarsi con il convoglio stesso, “pur cercando di reagire fin
che possono, con le loro artiglierie”).
Alle nove del mattino,
giunto il convoglio nelle acque della Sicilia, Maestrale, Euro e Fulmine ricevono ordine dal Comando in
Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Napoli di lasciare il convoglio ed entrare
a Messina (dove dirigono a 17 nodi) per rifornirsi, venendo sostituiti nella
scorta diretta dalla XIII Squadriglia.
8 novembre 1941
Nelle prime ore della
notte Maestrale, Euro e Fulmine, una volta
rifornitisi, lasciano Messina e tornano ad assumere la loro posizione di
scorta, mentre è la XIII Squadriglia ad entrare a Messina per rifornirsi.
Alle 3.30 escono da
Messina le altre navi che dovranno far parte del convoglio «Beta»: il
piroscafo Rina Corrado (capitano
di lungo corso Guglielmo Schettini) e la pirocisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco),
scortati dai cacciatorpediniere Grecale (capitano
di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio
(capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò).
La riunione tra i due
gruppi del convoglio avviene alle 4.30, a sud dello stretto di Messina; si
forma un unico convoglio di sette mercantili scortati da Maestrale, Libeccio, Grecale, Oriani, Fulmine ed Euro,
mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi
riforniti a Messina, si uniscono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno
Brivonesi), uscita in mare per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina
vengono avvistati, dal Maestrale e da
altre navi, alcuni aerei nemici diretti verso ovest: vanno ad attaccare un
altro convoglio diretto in Libia, il convoglio "Pegaso".
Alle 16.45, con
l’arrivo della III Divisione (che raggiunge il convoglio in posizione 37°40’ N
e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia
dello stesso) la formazione è completa.
Il convoglio procede
su tre colonne: destra, composta da San
Marco e Conte di Misurata preceduti
dal Maestrale e seguiti
dall’Oriani; centrale, composta
da Duisburg, Sagitta e Rina Corrado; sinistra, formata da Minatitlan e Maria precedute
dall’Euro e seguite dal Grecale. Il Fulmine è posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima
colonna. Le navi procedono a 8 nodi di velocità.
In tutto i sette
mercantili trasportano 34.473 tonnellate di materiali, 389 autoveicoli e 243
uomini. Vi è anche – ma solo di giorno – una scorta aerea per la quale sono
mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti
antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul
cielo del convoglio. Sul Maestrale,
per coordinare l’attività di tale scorta aerea, viene imbarcato il tenente pilota
Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle
17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternano dieci
idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia
Marchetti SM. 79 "Sparviero" e 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54°
Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42
del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9° Squadriglia del 3° Gruppo
del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternano sul convoglio
in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare
eventuali attacchi di bombardieri, e una
coppia a 1000 metri
di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79
decollano dalla Sicilia ed effettuano ricognizione marittima verso sudest;
altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia sono incaricati di effettuare
missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore
protezione del convoglio, Supermarina ha inviato nelle acque di Malta, dove si
è da poco dislocata una formazione navale britannica – la Forza K – i
sommergibili Delfino e Luigi Settembrini, con compiti
esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza
dall’isola.
L’incrociatore
pesante Gorizia (anch’esso
appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia
sono a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne manifestasse la
necessità.
Una volta in franchia
dello stretto di Messina (la riunione avviene subito dopo il suo superamento da
parte del primo gruppo di navi), il convoglio mette la prua verso est (rotta
90°), per imboccare la rotta che passa ad est di Malta, al largo della costa
occidentale greca (così da restare fuori dal raggio d’azione degli
aerosiluranti di Malta, stimato in 190 miglia), nonché per ingannare i
britannici circa la destinazione del convoglio, facendo credere che questa sia
un porto della Grecia oppure Bengasi. Durante la navigazione verso est,
inoltre, le unità effettuano diverse accostate verso ovest per confondere le
idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non basta ad impedire
che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto,
secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il
convoglio (ma non la III Divisione) venga comunque localizzato, in posizione
37°38’ N e 17°16’ E (40 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro), da un
ricognitore Martin Maryland della Royal Air Force (69th
Reconnaissance Squadron), decollato da Luqa (Malta) e pilotato dal tenente
colonnello John Noel Dowland.
Le navi della scorta
(precisamente l’Euro, che lo segnala
subito al Maestrale con il messaggio
ad ultracorte «Aerei in vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000»), da 5000
metri, avvistano il ricognitore, e fanno segnali luminosi alla scorta aerea
(con cui non è possibile comunicare via radio) per richiedere che attacchi il
velivolo nemico, ma gli aerei della scorta non fanno nulla (per altra fonte,
invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del
ricognitore non vengono effettuate, “per grave disservizio”). (Contrariamente a
molte altre occasioni, il servizio di intercettazione e decrittazione
britannico “ULTRA” non ha alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»). Il
Maryland si trattiene in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario
a rilevarne gli elementi del moto, che comunica prontamente a Malta («Un
convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante,
nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella
realtà 9 nodi, è sovrastimata in 10-12 nodi). L’orientamento verso est della
rotta del convoglio (che vira verso sud solo più tardi) non inganna i comandi
britannici: un convoglio tanto grande non può essere diretto né in Grecia né a
Bengasi (porto dalle capacità ricettive insufficienti). L’unica destinazione
plausibile è Tripoli, e le navi italiane cercheranno di raggiungerla tenendosi
al di fuori del raggio della portata degli aerosiluranti: il che permette ai
britannici di intuire che il convoglio dovrà passare circa 200 miglia ad est di
Malta, per poi puntare verso un porto della Libia.
Alle 17.30, di
conseguenza, salpa da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori
leggeri Aurora (capitano di
vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus
Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott)
e Lively (capitano di
corvetta William Frederick Eyre Hussey): una forza costituita appositamente per
intercettare e distruggere i convogli italiani diretti in Libia. La partenza
della Forza K è tanto fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, deve raggiungere la sua
nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore sta già manovrando per
uscire dal porto.
La ricognizione aerea
italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers
Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvista le navi britanniche.
Anche un bombardiere
Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed
otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della
Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollano da Malta per rintracciare il
convoglio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, i secondi
per attaccarlo), ma non riescono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento
della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio segue appunto una
rotta che lo tiene al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò è
a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguono regolarmente per
la loro rotta. Il tempo è buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza
3. La scorta aerea viene ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30,
mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
zigzagano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovra per passare dalla
formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500
metri. La nuova formazione è così composta: a destra, nell’ordine, Duisburg, San Marco e Conte
di Misurata; a sinistra, nell’ordine, Minatitlan, Maria e Sagitta, mentre il Rina Corrado procede più a poppavia
degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne.
Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in
testa al convoglio, Grecale in
coda, Libeccio seguito
dall’Oriani sul lato sinistro,
ed Euro seguito dal Fulmine sul lato destro.
Fino alle 19.30 il
convoglio segue rotta 090°, poi accosta per 122°, ed alle 19.55 per 161°,
sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione
si porta a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi di Brivonesi
risalgono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale (distante da loro 4 km); poi,
a mezzanotte, invertono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al
convoglio.
Intanto, la Forza K
naviga verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est,
la formazione britannica vira verso sudest subito dopo il tramonto, ed
attraversa, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità
britanniche sono disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da Lance, Penelope e Lively,
distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew ha già da tempo
preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di
attacco ad un convoglio: le navi britanniche rimarranno in linea di fila, per
evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri;
prima di attaccare dei mercantili, la Forza K neutralizzerà le navi di scorta
presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta dovessero apparire
durante l’attacco ai mercantili, esse diverranno immediatamente bersaglio
prioritario; l’Aurora (capofila)
manterrà ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso.
9 novembre 1941
Alle 00.39 il
convoglio viene avvistato otticamente – il radar non ha alcun ruolo di rilievo
nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vengono avvistate perché
illuminate dalla luce lunare, il radar verrà poi impiegato nel puntamento dei
cannoni durante il combattimento – dalla Forza K. Secondo il rapporto
britannico, in quel momento le navi italiane si trovano in posizione 36°55’ N e
17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo
Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a 5 miglia per 30° dalla Forza K
(per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora,
autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto
dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della
Calabria. Secondo Agnew, la visibilità notturna è ottimale, la luna splendente
e luminosa, e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da
nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il comandante
Bisciani registra brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna
scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco
nel quarto».
Il convoglio avanza
su rotta 170° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta
alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, segue a quattro
chilometri a poppavia. Il Maestrale
si trova sempre in testa al convoglio, circa 1300 metri a proravia della Minatitlan.
Qualcuna delle unità
della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvista anche la Forza K, 3-5 km
a poppavia, ma ritiene trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvista le navi britanniche meno di un minuto
prima che aprano il fuoco, è l’unico a capire che sono navi nemiche ed a
lanciare immediatamente il segnale di scoperta, ma già troppo tardi; il segnale
sarà ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K inizia
a sparare.
Anziché attaccare
subito il convoglio, il comandante Agnew manovra flemmaticamente per portarsi
nella posizione più favorevole all’attacco, approfittando del fatto che nessuna
nave italiana sembri accorgersi della sua presenza. La Forza K riduce la
velocità da 28 a 20 nodi ed accosta a sinistra per 350°, quindi aggira il
convoglio con una manovra che richiede 17 minuti, portandosi a poppa dritta rispetto
ad esso, di modo che i bersagli si staglino contro la chiara luce lunare. I
bersagli vengono identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e
preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora punta l’armamento principale, asservito al radar tipo
284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra,
asserviti al radar tipo 290, sui mercantili Alle 00.52 la Forza K avvista la
III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, ha fino a quel
momento avuto sentore; ma ciò non modifica le intenzioni di Agnew, il quale
poco dopo conclude che le due “navi maggiori” (che sono, in effetti, il Trento ed il Trieste) ed i cacciatorpediniere che le
accompagnano debbano essere degli altri mercantili con la loro scorta. Alle
00.56 il Lively stima che
il convoglio abbia rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar,
il Maestrale (che al
momento dell’attacco si trova al traverso a poppavia della Forza K, a sud della
stessa) dista 10.060 metri, i mercantili che lo seguono 8230 metri.
Solo alle 00.57 la
Forza K, giunta circa 5 km a sudest del convoglio, apre il fuoco sulle ignare
navi italiane da una distanza di 5200 metri, orientando il tiro con l’ausilio
dei radar tipo 284 e defilando lungo il fianco dei mercantili.
Il Maestrale avvista due lampi per 280°
circa verso le 00.59 (l’orario indicato nel rapporto sono le 00.50, ma tutti
gli orari indicati nel rapporto del Maestrale
risultano indietro di circa 9 minuti rispetto a quelli reali, indicati da tutte
le altre navi), senza vedere né le traiettorie, né i punti di caduta, né sagome
di navi; sul cacciatorpediniere non si capisce se a sparare siano navi nemiche
o la III Divisione, e non si esclude nemmeno che si tratti di un attacco aereo.
La nave ritorna per rotta vera 161° (direttrice di marcia), senza cambiare la
velocità, per cercare di capire cosa stia accadendo.
Il tiro britannico si
abbatte per primo sui cacciatorpediniere che proteggono il lato più vicino alla
Forza K: Fulmine, Euro e Grecale. Il primo e l’ultimo vengono ripetutamente centrati senza
avere il tempo di poter imbastire una reazione efficace: il Fulmine affonda dopo pochi minuti,
il Grecale rimane alla
deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente
fuori combattimento. L’Euro scampa
invece alla strage iniziale (viene anch’esso colpito, ma i danni non sono
gravi), e tenta di coprire i mercantili con una cortina fumogena, imitato
da Maestrale e Libeccio.
Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio è
il Grecale (che viene
immobilizzato dalle prime tre salve, dopo di che l’Aurora sposta il tiro sul Maestrale,
contro il quale sta già sparando il Penelope),
anche Lance e Penelope aprono il fuoco:
quest’ultimo tira prima su un piroscafo e poi sul Maestrale (per altra fonte, invece, il Maestrale è la prima nave ad essere bersagliata dal tiro del Penelope), che accosta per 80° (verso
sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritiene che l’unica
possibilità di attacco consista nel portarsi in posizione prodiera rispetto
alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelera a 20 nodi ed emette cortine
fumogene, seguito dal convoglio. Euro e
Libeccio manovrano anch’essi
aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio
con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale (che ha ordinato alle
unità della scorta di radunarsi intorno a lui), i superstiti cacciatorpediniere
della scorta diretta emettono cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi
assumono rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale
confusione, il comandante Bisciani ritiene erroneamente che l’attacco provenga
dal lato sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco è il lato
destro), e che le navi sul lato destro siano quelle della III Divisione (mentre
è la Forza K).
Nel frattempo,
all’1.04 (00.55 nel rapporto; per altra fonte, all’1.06), il Maestrale, colto anch’esso di sorpresa, viene
inquadrato da nove salve d’artiglieria (ciascuna delle quali formata da 2 o 3
colpi) e colpito da schegge di una salva (sparata, a seconda delle fonti, dall’Aurora o dal Penelope) che cade in mare al traverso a sinistra; i danni sono
lievi, ma comprendono l’abbattimento dell’aereo radiotelegrafico principale: di
conseguenza, già pochi minuti dopo l’inizio del combattimento il caposcorta si
trova impossibilitato a trasmettere ulteriori ordini alle unità dipendenti, e
di comunicare con la III Divisione e con Roma per informarli più in dettaglio
di quanto sta accadendo.
I cacciatorpediniere
della scorta diretta che si trovano sul lato orientale del convoglio (Libeccio ed Oriani) si ritrovano così disorientati e
senza ordini; per la loro posizione, non hanno neanche compreso – per lo meno
nei primi minuti, quelli decisivi – quale sia il tipo di attacco lanciato
contro il convoglio. Si limitano ad emettere fumo. Alcuni, compresi i
comandanti di diversi mercantili, ritengono che le navi siano sotto attacco
aereo, e non da parte di altre navi di superficie: lo stesso comando del Maestrale ritiene sulle prime che le
schegge che hanno colpito la nave siano di bombe d’aereo, anziché di proiettili
di artiglierie navali: anche il tenente pilota Manfredi dell’Aeronautica
scriverà nel suo rapporto che «i numerosi razzi illuminati lanciati dalle navi
attaccanti alle quote di 600/1000 metri, (…) fecero pensare, nel primo momento,
ad un attacco aereo» (Manfredi scriverà inoltre, a proposito dello svolgimento
dell’attacco: «Ebbe inizio approssimativamente con salve contemporanea al
convoglio e alla scorta (…) tirate dai 90° ai 110° a ponente rispetto al
convoglio, e rispetto ai punti cardinali fra i 270° e i 290°, ed a circa
6000/7000 metri di distanza. (…) La manovra di attacco fu rapida e tempestiva,
(…) agevolata (…) dalla copertura bassa e parziale del cielo a ponente
(direttrice di attacco), e dalla luna a circa 40°/45° sull’orizzonte a levante»).
All’1.06 (00.57 nel rapporto) due salve nemiche cadono sotto la prora del Maestrale, a dritta, ed il comandante
Bisciani ordina di accelerare a 20 nodi, accostando per 80° ed emettendo fumo;
il personale dell’impianto binato poppiero da 120 mm vede due salve cadere al
traverso a dritta. Prima che la nebbia emessa copra il convoglio, Bisciani vede
che alcuni dei mercantili sparano raffiche di mitragliera, inducendolo a
ritenere che essi credano di essere sotto attacco aereo.
All’1.09 (1.00 nel
rapporto) il Maestrale ritorna per
160°, riduce la velocità a 12 nodi e smette di emettere fumo, per non
allontanarsi e per cercare di vedere meglio, in modo da poter intervenire; un
altro cacciatorpediniere della scorta (che Bisciani ritiene essere il Libeccio), che prima gli era passato di
prora con rotta verso sud, torna ora sulla sua sinistra. Bisciani continua a
non riuscire a vedere il nemico, né a farsi un’idea nemmeno a grandi linee su
quale rotta abbia; ritiene che la III Divisione stia per intervenire da un
momento all’altro (o che già lo stia facendo) e conclude di non dover
intralciare l’azione delle navi di Brivonesi, anche per evitare di generare
pericolosi equivoci. Tra questo e la caduta dell’aereo radio, Bisciani non è in
grado di dare ordini ai cacciatorpediniere della scorta, che a suo giudizio
sono per la maggior parte in condizioni più favorevoli della sua per la
scoperta del nemico. All’1.14 (1.05 nel rapporto) Bisciani ordina di virare ulteriormente
a dritta, mentre ulteriori salve nemiche cadono nei pressi, ed un minuto dopo,
trovandosi su rotta vera 200°, il Maestrale
accosta a sinistra fino ad assumere rotta 80°, riaccelerando a 20 nodi e
ricominciando a fare fumo; alzato un aereo radio di fortuna, Bisciani ordina
agli altri cacciatorpediniere di emettere fumo anch’essi, ma da Grecale e Fulmine non giunge risposta. Poco dopo dal Maestrale s’iniziano a vedere, oltre alle vampate dei cannoni
nemici, anche le traiettorie delle salve, che arrivano sul convoglio provenendo
dalla sua dritta.
Intanto, all’1.18, l’Euro va al contrattacco silurante,
unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di reazione; il
suo comandante, tuttavia, ha il dubbio di stare attaccando le navi della III
Divisione (anche per via degli ordini impartiti dal caposcorta), così rinuncia
a lanciare i siluri ed abbandona il contrattacco, accostando a sinistra per
riunirsi a Maestrale, Libeccio ed Oriani, che dirigono verso est
inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
I mercantili, nel
vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest), mettono la prua
verso est; anche il Maestrale, per
motivo difficilmente spiegabile (il relativo volume dell’U.S.M.M. così giudica
tale manovra del caposcorta: "Forse d’istinto più che in base ad un
ragionamento"), dopo aver trasmesso l’ordine di coprire i mercantili con
cortine nebbiogene (l’ultimo impartito prima dell’abbattimento dell’aereo
radio) mette la prua in tale direzione, inquadrato dalle salve nemiche. Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, seguono loro caposcorta per
imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine
nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, è il Maestrale stesso ad ordinare ai cacciatorpediniere
superstiti di seguirlo verso est). L’Euro,
unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fa come loro. Il
comandante Bisciani scriverà poi così nel suo rapporto: «Ritengo [all’1.17
circa] che nulla sia più possibile per la salvezza del convoglio, e penso che,
occultandoli, potrò riunire i Ct, dei quali due sono in vista con rotta presso
a poco parallela alla mia, per una successiva azione» che però non si
materializzerà mai.
In tal modo, eccetto
che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro,
nessuna unità della scorta tenta di contrattaccare attivamente le navi nemiche,
a differenza di quanto accade di solito in queste circostanze. La successiva
azione della Forza K contro i mercantili incontra così ben poco contrasto.
L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" e del
caposcorta Bisciani verrà giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio Wladimiro
Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, e dagli
alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata parte
della scorta diretta, mentre il resto di quest’ultima brancola nel buio, alle
00.59 l’Aurora accosta a dritta
e guida la Forza K in una manovra avvolgente, una sorta di volta tonda nella
quale aggira i mercantili da ovest verso est, facendo fuoco su ognuno di essi
finché questo s’incendia od esplode. Primi ad essere colpiti sono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K, poi
anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto è in grado di sfuggire,
data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servono a
nulla, né serve il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei
mercantili – alcuni dei quali credono ancora di avere a che fare con un attacco
aereo – aprono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se
siano sotto attacco navale od aereo, non tentano nemmeno di fuggire: Agnew
scriverà poi che sembrava che aspettassero il loro turno per essere distrutte.
Il Lance colpisce ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine),
mentre il Lively, che apre il
fuoco per ultimo (all’una di notte), colpisce il Duisburg. L’Aurora cannoneggia
ed incendia il Rina Corrado,
quindi mitraglia il già danneggiato Fulmine,
che viene poi finito dal Penelope.
Il Conte di Misurata tenta
di dare la poppa al fuoco nemico per allontanarsi, ma viene rapidamente colpito
ed incendiato dall’Aurora.
Quest’ultimo prende poi di mira la Minatitlan,
che non ha miglior fortuna, ed all’1.15 impegna un cacciatorpediniere, forse
il Maestrale.
All’1.25 l’Aurora accosta a sinistra, di prora
al convoglio, per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile
possa sfuggire, ed all’1.45 dirige verso ovest per girargli intorno: tutti i
mercantili sono ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria
opera di distruzione, la Forza K accelera a 25 nodi e dirige per rientrare a
Malta, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da
scheggia, al fumaiolo del Lively).
Deludente la reazione
della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K
che aprono il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostano a dritta, su
rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste apre
il fuoco all’1.03 ed il Trento due
minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). All’1.08 la III Divisione assume
rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi
mantiene inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K
procede a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18.
All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III
Divisione cessa il fuoco: a quell’ora il convoglio "Duisburg" non
esiste già più. Gli incrociatori di Brivonesi hanno sparato 207 colpi da 203 mm
e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fa
assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi, per intercettare le unità
britanniche dirette verso Malta, ma l’incontro non avviene, perché Brivonesi,
informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti,
crede di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica ed all’1.35
assume rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
Nel frattempo, dopo
aver chiesto alla III Divisione «con chi siete impegnati», all’1.22 il Maestrale dirige per nordest, prima con
rotta 65° e poi con rotta 40°, ossia dalla parte opposta da quella in cui si
trova la Forza K, allontanandosi ad elevata velocità, che poi riduce per
aspettare Euro, Oriani e Libeccio cui ha
ordinato di seguirlo. All’1.34 l’ammiraglio Brivonesi chiede al Maestrale di trasmettere notizie;
all’1.43 Bisciani comunica a Brivonesi che il Maestrale sta incrociando a sud del convoglio. All’1.35 il Maestrale smette di emettere fumo, ma
riprende all’1.38 in quanto le navi della Forza K lo hanno inquadrato con salve
che cadono molto vicine; Bisciani si sottrae al tiro ordinando di zigzagare,
manovra che prosegue fino all’1.41, e non risponde al fuoco (questa mancata
reazione sarà giustificata da Biscani col fatto di non essere riuscito a vedere
le sagome delle navi avversarie: se ne vedono però le vampe dei cannoni, che
indicano così la posizione).
All’1.41 Maestrale, Libeccio, Euro ed Oriani assumono rotta 90° (verso
est), che seguono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il comandante Bisciani
attende che giunga qualche ordine o notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i
quattro cacciatorpediniere si ritirano una decina di miglia ad est del
convoglio per riorganizzarsi, poi vanno al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le
proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire
i mercantili, che si trovano al di là della Forza K. Le quattro unità di
Bisciani seguitano poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni
volta che queste divengono visibili, senza però riuscire a concludere nulla.
Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello
scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio
Brivonesi ordina a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i
naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est
seguendo il caposcorta (ormai distano ben 17 miglia da quel che resta del
convoglio), invertono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio,
procedendo a 18 nodi. Raggiungono i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi
è a galla un solo piroscafo che sia salvabile; alcuni sono già affondati, altri
lo faranno più tardi. La Minatitlan,
con le sue novemila tonnellate di carburante in fiamme, illumina la notte in
uno spaventoso rogo. Continuerà a bruciare fino al mattino seguente.
Poco dopo le tre di
notte, il Maestrale e gli
altri tre cacciatorpediniere iniziano a recuperare centinaia di naufraghi dal
mare cosparso di nafta e rottami; l’operazione di soccorso, cui molto più tardi
si uniscono anche alcuni cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, proseguirà
per tutta la mattinata del 9 novembre. Intanto, il malconcio Grecale arranca verso nord; alle
quattro del mattino rimane definitivamente immobilizzato, per cui alle 4.17
comunica al Maestrale per
radiosegnalatore «Sono completamente immobilizzato confermo richiesta urgente
rimorchio». Bisciani distacca allora l’Oriani
con l’ordine di rimorchiare il Grecale
a Crotone, e così viene fatto.
Dalle 7.30 iniziano a
sopraggiungere anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternano sui
cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo
da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia
Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo
Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli esercitano
vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione
Navale, invertita la rotta, sta anch’essa dirigendo per tornare sul luogo dove
il convoglio è stato distrutto (vi giunge alle 9.20, unendosi ai superstiti
cacciatorpediniere della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E).
All’insaputa delle
navi italiane, intanto, è giunta sul posto una nuova unità britannica: il
sommergibile Upholder, al
comando del capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn. Informato della
presenza del convoglio alle 18.22 dell’8 novembre, a seguito dell’avvistamento
da parte del ricognitore britannico, si è diretto sul posto per partecipare
all’attacco. Durante la notte, per evitare di attaccare unità amiche (Wanklyn
non sa se e quanto la Forza K si deve trattenere sul posto), il sommergibile si
astiene dall’attaccare, limitandosi a navigare in superficie tra i piroscafi in
fiamme; giunta l’alba, si immerge e si prepara ad attaccare i
cacciatorpediniere fermi a recuperare i naufraghi, bersagli perfetti.
La scelta cade
sul Libeccio, che ha appena
rimesso in moto dopo aver completato il recupero di circa 150 naufraghi, in
gran parte del Fulmine. Dall’Upholder, in posizione 37°08’ N e 18°30’
E, partono tre siluri diretti contro il cacciatorpediniere, distante 1830
metri.
Alle 6.40 un siluro
colpisce il Libeccio,
asportandogli la poppa (e uccidendo molti dei naufraghi appena salvati, che
erano stati sistemati in quei locali): danneggiato mortalmente, il
cacciatorpediniere si appoppa e sbanda sulla dritta, minacciando di affondare
subito. Invece rimane a galla, e dopo una ventina di minuti l’Euro attracca sul suo lato dritto
per imbarcarne l’equipaggio; si prepara il trasbordo, mentre la situazione del Libeccio sembra tornare sotto controllo,
facendo sperare che lo si possa salvare. Intanto, il comandante Cigala Fulgosi
dell’Euro riferisce al
comandante Tagliamonte del Libeccio
che, quando si è attraccato al Libeccio,
il Maestrale gli ha
ordinato di mollarlo; Tagliamonte è d’accordo con tale disposizione ed ordina
all’equipaggio di restare a bordo, mentre il Maestrale ribadisce l’ordine all’Euro, che molla definitivamente le cime.
Intanto, il Maestrale si avvicina al Libeccio per imbarcare i naufraghi
precedentemente recuperati da quest’ultimo. Dopo molti sforzi, il comandante in
seconda del Libeccio riesce a mettere
a mare la motolancia, e Tagliamonte gli ordina di trasbordare sul Maestrale, che rimane nei pressi, tutto
il personale non necessario: i membri dell’equipaggio feriti ed i naufraghi
delle altre navi, recuperati in precedenza. La motolancia inizia pertanto a
traghettare feriti e naufraghi dal Libeccio al Maestrale, ma riesce ad effettuare
soltanto quattro viaggi, a causa di ripetute avarie al motore e della perdita
del timone.
Nel mentre, l’Upholder avverte le esplosioni di
quelle che a Wanklyn paiono cinque bombe di profondità, pertanto si ritira
verso nordest alla profondità di 21 metri. In realtà, il Maestrale, dopo aver inviato l’Euro in aiuto del Libeccio (altri cacciatorpediniere
disponibili non ve ce ne sono, con l’Oriani
impegnato nel rimorchio del Grecale),
si è mantenuto nei loro pressi incrociando ad alta velocità, ma senza lanciare
bombe di profondità: Bisciani preferisce correre il rischio di un nuovo attacco
da parte del sommergibile, rispetto a quello di uccidere, con le esplosioni
delle bombe di profondità, i molti uomini caduti o gettatisi in mare dal Libeccio.
Quando l’Upholder torna ad osservare il
risultato dei suoi lanci, tre quarti d’ora dopo il primo attacco, Wanklyn vede
che il Libeccio galleggia
ancora, ma immobilizzato e privo della poppa, con Euro e Maestrale che
lo assistono; avendo ancora tre siluri, il comandante britannico pensa di
usarne uno per finire il Libeccio e
di lanciare i due restanti contro gli altri due cacciatorpediniere, ma l’arrivo
di tre aerei lo induce a rinunciare, per il momento, ad ulteriori attacchi, ed
a scendere in profondità per attendere sviluppi.
Frattanto,
l’equipaggio del Libeccio riesce a
rimettere in funzione gli apparati radio dell’unità, ed il suo comandante si
mette allora in contatto per radiosegnalatore col comandante Bisciani del Maestrale, riferendo che la paratia del
locale macchina prodiero regge, pur dando luogo ad infiltrazioni, e che ritiene
possibile il contenimento delle vie d’acqua per qualche ora: pertanto, chiede
ed ottiene di essere preso a rimorchio.
Subito sul Libeccio vengono preparate il cavo e
la braga; non appena essi sono pronti, il Libeccio comunica per radiosegnalatore al Maestrale «sono pronto al rimorchio». Alle otto del mattino Bisciani
ordina all’Euro di prendere
il Libeccio a rimorchio; a
questo punto il Maestrale inizia
a lanciare in mare bombe di profondità, a scopo intimidatorio, per dissuadere
l’Upholder dal tornare
all’attacco.
Nel frattempo, alle
9.20 (in posizione 37°02’ N e 18°03’ E), avviene il ricongiungimento tra le
superstiti unità della scorta diretta di Bisciani e le navi della III
Divisione, che sono tornate sul posto.
Il rimorchio del Libeccio da parte dell’Euro ha inizio, alla esasperante
velocità di appena due nodi, ma sulla nave danneggiata l’equipaggio fa sempre
più fatica a far fronte agli allagamenti: dinanzi all’estendere degli
allagamenti, all’aumentato appoppamento ed al graduale incremento dello
sbandamento, il comandante Tagliamonte deve infine rassegnarsi al fatto che la
nave è perduta, e dà l’ordine di abbandonare la nave. Alle 11.18 il Libeccio si abbatte sul lato di dritta,
impenna la prua verso il cielo e s’inabissa nel punto 36°50’ N e 18°10’ E.
Il Maestrale, insieme all’Euro e più tardi anche al Fuciliere, provvede al salvataggio dei
naufraghi del Libeccio.
Ai cacciatorpediniere
della scorta diretta si uniscono, per il soccorso ai naufraghi, anche le navi
ospedale Virgilio, fatta
appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la navigazione da Bengasi
all’Italia e giunta sul posto alle undici del mattino (guidata dal fumo
dell’incendio della Minatitlan).
Queste due unità continueranno ad ispezionare la zona del disastro fino
all’alba del 10 novembre.
In tutto, vengono
tratti in salvo 764 naufraghi delle nove navi affondate: il Maestrale è la nave che recupera il
maggior numero di sopravvissuti, 401 tra naufraghi del Libeccio e delle navi mercantili (in tal modo, tra equipaggio e
naufraghi recuperati, il Maestrale si
ritrova ad avere a bordo più di seicento uomini, finendo col trovarsi in
condizioni precarie di galleggiabilità a causa del sovraccarico). L’Euro ne salva 189, l’Oriani 48, l’Alpino 35, la Virgilio
34, l’Arno 21, il Fuciliere 20, il Bersagliere 11. Una lancia del Rina
Corrado con 13 superstiti, evidentemente sfuggita alle ricerche,
raggiungerà Valona, in Albania, dopo quattro giorni di navigazione.
Il Maestrale, con il suo carico di
naufraghi, rientra a Messina nella giornata del 9 novembre; il comandante
Bisciani, la cui titubante azione durante l’attacco al convoglio non è stata
giudicata molto favorevolmente, viene subito privato del comando e sbarcato
(secondo una fonte, sarebbe stato poi sottoposto ad un’inchiesta, ma
prosciolto).
L’ammiraglio
Wladimiro Pini, nella sua relazione, giudicherà che Bisciani abbia mostrato
molta indecisione e scarso spirito offensivo, pur opinando che questi si sia
venuto a trovare in «un cumulo di circostanze sfavorevoli» e sostenendo che
sarebbe però stato ingiusto fare al comandante del Maestrale «imputazioni di imperizia e di negligenza», concludendo
che: «Chi aggredisce – specie di notte – sfrutta sempre il vantaggio della
sorpresa. La situazione che si verificano in mare anche con la luna, sono
sempre difficili a riconoscere e ad apprezzare, e tali dovevano esserlo
particolarmente nelle circostanze in esame quando le forze nemiche assai
sparpagliate, non tutte in vista simultaneamente, occupavano un forte arco di
orizzonte. L’apprezzamento difficile all’inizio diveniva più arduo a mano a
mano che i movimenti reciproci venivano a rendere la situazione sempre più confusa,
a mano a mano che sui piroscafi si sviluppavano incendi e grandi bagliori.
Circostanze di ambiente molto difficili a sceverare, dunque – circostanze che
non consentivano al Comandante Bisciani di apprezzare la situazione per poi
reagire nel tempo giusto e nella direzione appropriata. Sebbene egli manovrasse
razionalmente per riunire i CT superstiti allo scopo di tenersi pronto per la
prima circostanza favorevole, non ha però saputo cogliere il momento giusto per
agire».
Il capo di Stato
Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, sarà più duro nel suo
giudizio sull’operato del comandante Bisciani: egli scriverà che «Nei riguardi
del CV BISCIANI rilevo che, quando per la rapidissima distruzione delle unità
convogliate il suo compito è venuto a mancare, avrebbe potuto trovare occasione
propizia per lanciarsi all’attacco. L’apprezzamento da lui fatto dalla speciale
situazione tattica in cui si trovava non lo ha indotto ad agire in tal senso,
pur essendo rimasto sottoposto ad intervalli, al tiro nemico per 46 minuti. La
manovra del Comandante BISCIANI ha così avuto uno svolgimento essenzialmente
difensivo». Pur aggiungendo a sua volta che a tale manovra abbia contribuito
«un insieme di sfavorevoli circostanze», Riccardi ritiene che per l’azione di Bisciani
«possono configurare le ipotesi prevenute dagli articoli 96 [Inosservanza di
speciali doveri inerenti al comando] del C.P.M. di guerra e 106 [Perdita
colposa o cattura colposa di nave o aeromobile] e 108 [Investimento o incaglio
colposo o avaria colposa di nave o aeromobile] del C.P.M. di pace, aggravate
queste ultime per il tempo di guerra».
Anche l’ammiraglio
Angelo Iachino, comandante della Squadra Navale, valuta molto sfavorevolmente
il comportamento di Bisciani, e la Commissione d’Inchiesta Speciale (CIS)
istituita a fine guerra per acclarare le cause del disastro si esprimerà invece
in termini più pesanti, valutando che la manovra di Bisciani non possa essere
giustificata con l’asserzione di «non aver compreso la natura dell’attacco
sferrato contro i piroscafi», in quanto «l’azione nemica contro il convoglio
continuò a svilupparsi dalla parte opposta a quella in cui il CV Bisciani si
era diretto con le sue unità». Ha scritto in proposito lo storico Francesco
Mattesini, in un suo saggio sulla distruzione del convoglio "Duisburg":
«Il Comandante della 10a Squadriglia CT,
che si giustificò asserendo di non aver potuto inizialmente impartire ordini
perché il fuoco nemico aveva abbattuto l’albero dell’antenna della radio della
sua nave Maestrale, venne indubbiamente a trovarsi a manovrare in condizioni
molto difficili, determinate dalla scarsa visibilità esistente nella zona della
battaglia, resa drammatica dal livido chiarore degli incendi delle navi
mercantili e in parte oscurata dalle cortine di fumo e di nebbia artificiale,
distese, per occultare le navi del convoglio al tiro nemico, dei piroscafi e
delle stesse unità della scorta ravvicinata. In queste condizioni pur restando
sotto il fuoco della Forza K per ben quaranta minuti, il CV Bisciani sostenne
di non aver mai potuto individuare la posizione delle unità nemiche, che
avevano preso di mira la sua nave, con salve di quattro - sei colpi
particolarmente raccolte, e di averne ricevuto soltanto un dato di spostamento,
alle 01.17, fornito da una fugace apparizione di ombre scure. In seguito a ciò,
e sebbene fosse evidente che le unità britanniche continuavano a sparare contro
gli immobilizzati piroscafi, ritenendo che la Forza K si fosse disimpegnata
“accostando sulla sinistra e probabilmente attraversando il convoglio”, le cui
navi apparivano ormai tutte in fiamme, il comandante Bisciani, dopo aver
riunito i suoi 4 CT, preferì allontanarsi dalla zona di mischia dirigendo verso
levante».
Al posto di Bisciani,
assume il comando del Maestrale il
capitano di vascello Stanislao Caraciotti.
19 novembre 1941
Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Caraciotti), Oriani e Gioberti salpano da Napoli alle 20 di scorta alle motonavi Ankara (tedesca) e Sebastiano Venier, che costituiscono il
convoglio «Alfa» diretto a Tripoli nell’ambito di un’operazione di traffico
volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni
un’offensiva britannica (operazione «Crusader»), e dopo che la distruzione del
convoglio «Duisburg» ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di
rifornimenti diretti in Africa Settentrionale. (Per altra fonte, il Maestrale si unisce alla scorta alle
00.00 del 20 novembre).
Dopo qualche giorno
di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato
Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di
far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla
partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con
operazione da svolgersi al più presto, al fine di “sfruttare il vantaggio della
sorpresa”.
Supermarina,
d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per
l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (Monginevro, Ankara, Sebastiano Venier, Vettor Pisani, Napoli ed Iridio Mantovani),
lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
L’operazione vede in
mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: i due scaglioni del
convoglio «C», il primo partito da Napoli alle 20 del 20 (motonavi Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Turbine, torpediniera Perseo) ed il secondo salpato anch’esso
da Napoli alle 5.30 del 21 (motonave Monginevro,
nave cisterna Iridio Mantovani,
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco,
torpediniera Enrico Cosenz). La
III (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia) e VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi) Divisione Navale dovranno dare loro protezione;
dallo stretto di Messina in poi, dovranno navigare ad immediato contatto col
convoglio «C», quasi incorporate in esso.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi)
sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la
scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre),
per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in
missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di Tunisi cariche di truppe
(da Taranto), e verranno fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a
Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero di navi in
movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area,
confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi
a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi
interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del
convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza
(incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
21 novembre 1941
Il convoglio «Alfa»,
protetto da caccia della Regia Aeronautica, dovrebbe attraversare lo stretto di
Messina ed unirsi al convoglio «C» nella giornata del 23, ma viene localizzato
da un ricognitore britannico (nonostante questo venga avvistato dai
cacciatorpediniere e segnalato alla scorta aerea) e quasi contemporaneamente il
Maestrale intercettato un messaggio
radio che segnala la presenza di una forza navale britannica in acque non
lontane; il comandante Caraciotti, pertanto, decide di puggiare ad Argostoli,
dove il convoglio arriva tra le 9.30 e le 10 (per altra versione, il convoglio
viene dirottato ad Argostoli in seguito ai pesanti attacchi aerei subiti dal
convoglio «C», oppure contro lo stesso convoglio «Alfa»).
L’intera operazione
fallisce a causa degli intensi attacchi aerei e subacquei britannici, che
danneggiano gravemente gli incrociatori Trieste
e Duca degli Abruzzi ed inducono ad
ordinare il rientro in porto dei convogli.
22 novembre 1941
Il convoglio «Alfa»
lascia Argostoli alle 4.45 diretto a Taranto, dove arriva alle 19.30.
29 novembre 1941
In un momento
particolarmente critico della battaglia dei convogli, Maestrale, Oriani e Gioberti (che costituiscono la X
Squadriglia Cacciatorpediniere) scortano da Argostoli a Patrasso il piroscafo
tedesco Bellona, carico di
benzina in fusti (ed anche truppe dirette in Grecia). Il Bellona è stato dislocato ad
Argostoli per fungere da deposito galleggiante di carburante, dal quale devono
prelevare quanta più benzina possibile le unità militari adibite alle missioni
di trasporto veloce di carburante in Nordafrica: dopo le gravi perdite subite
nel corso del mese di novembre (perduto in mare il 92 % del carburante inviato,
in gran parte proprio nel disastro del convoglio "Duisburg"), si è
deciso di ricorrere alle navi da guerra per effettuare missioni veloci di
trasporto.
1° dicembre 1941
Maestrale (caposquadriglia, capitano di vascello Stanislao Caraciotti)
e Gioberti salpano da Patrasso per
Derna alle 8.30, in missione di trasporto urgente di 50 tonnellate di benzina
in fusti ed in latte.
A Patrasso Maestrale e Gioberti hanno prelevato dal Bellona quanti più fusti di benzina possibile (imbarcando
inoltre alcuni militari diretti in Libia), poi sono partiti dopo essersi
riforniti di nafta dall’Oriani,
rimasto in porto.
2 dicembre 1941
I due
cacciatorpediniere arrivano davanti a Derna alle 7.30; danno fondo a 200 metri
dall’imboccatura del porto, ma vengono raggiunti da un’imbarcazione con a bordo
un ufficiale, il quale spiega che devono entrare in porto prima di gettare in
mare i fusti (mancando mezzi e manovalanza per metterli a terra, è questo
l’unico metodo di scaricarli in tempi rapidi): durante una precedente missione,
infatti, altri cacciatorpediniere li hanno buttati in acqua stando fuori dal
porto, e gran parte del carico non è stato recuperato, andando così perduto. Il
comandante Caraciotti replica che, nonostante le assicurazioni dell’ufficiale
in merito ai fondali, i suoi cacciatorpediniere non possono entrare, perché in
base alla carta nautica i fondali del porto risultano troppo bassi (meno di
quattro metri); Caraciotti fa notare che al momento la corrente e la maretta di
nordest spingono i fusti galleggianti all’interno del porto, come si constata
gettandone in mare alcuni. Maestrale
e Gioberti gettano quindi in mare
tutti i fusti e le lattine di benzina che hanno a bordo, e la corrente spinge
il tutto verso il porto abbastanza rapidamente. Il comandante di Marina Derna,
capitano di vascello Vannini, si reca intanto a sua volta sottobordo al Maestrale; il comandante Caraciotti gli
ripete quanto ha già spiegato all’ufficiale inviato in precedenza,
sottolineando che è imperativo completare l’operazione il prima possibile.
Alle 8.10, terminato
lo sbarco della benzina, i due cacciatorpediniere ripartono, diretti a Taranto.
Alle 10.15 vengono infruttuosamente attaccati da aerei.
3 dicembre 1941
Alle 8.13 il fumo dei
cacciatorpediniere viene avvistato in posizione 37°43’ N e 20°22’ E (15 miglia
ad ovest di Zacinto), su rilevamento 140°, dal sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta
William Donald Aelian King), che poco dopo avvista anche le navi, aventi rotta
e velocità stimate 310° e 26 nodi. Trovandosi proprio davanti ai
cacciatorpediniere, il Trusty manovra
per lanciare coi tubi poppieri, e lancia tre siluri su rilevamento 85°, da una
distanza di soli 550 metri, con intervalli di quattro secondi tra un siluro e
l’altro. Le navi italiane non vengono colpite; probabilmente i siluri passano
sotto i loro scafi, senza esplodere.
Maestrale e Gioberti arrivano a
Taranto alle 18.25, dopo una navigazione assai tormentata anche dal mare e (nel
primo tratto) minacciata dagli attacchi aerei.
13 dicembre 1941
Alle 18.40 il Maestrale, che forma la X Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ad Oriani
e Gioberti, salpa da Taranto con le
due succitate unità, nonché la corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo
Bergamini), l’incrociatore pesante Gorizia (con
a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e l’VIII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Montecuccoli e Garibaldi, nave di bandiera
dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi) nell’ambito dell’operazione di traffico «M.
41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne
motonavi Fabio Filzi e Carlo
Del Greco scortate dai
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato
su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato
dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed
Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e
dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e
la torpediniera Procione provenienti
da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi.
Il gruppo che
comprende il Maestrale è
assegnato alla protezione dei convogli «A» e «L», mentre il convoglio «N» sarà
protetto dalla corazzata Andrea
Doria, dagli incrociatori leggeri Muzio
Attendolo ed Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta e dai cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia Nera.
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a Supermarina
che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori
(in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente
sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra
Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in
mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro
distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle
ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono
ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni: durante la notte, il
sommergibile britannico Urge silurerà
la Vittorio Veneto,
danneggiandola gravemente.
Durante il rientro,
anche i piroscafi Iseo e Capo Orso entreranno in collisione,
riportando gravi danni.
14 dicembre 1941
Il gruppo del Maestrale arriva a Taranto alle 23.
16 dicembre 1941
Il 16 dicembre, alle
20, il Maestrale lascia Taranto
insieme ai cacciatorpediniere Oriani,
Gioberti (coi quali forma la X
Squadriglia), Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino (XIII
Squadriglia), Corazziere, Carabiniere ed Usodimare (XII Squadriglia), agli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione) ed alle
corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante
superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno
all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di
materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette
a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come
convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata
dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura
ravvicinata (corazzata Duilio,
con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori
leggeri Duca d’Aosta – con
a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione
–, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Camicia
Nera).
Una volta in
franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Gioberti assume rotta 156° e velocità 20 nodi; Maestrale, Oriani e Gioberti,
unitamente alla III Divisione (ammiraglio di divisione Angelo Parona, imbarcato
sul Gorizia), si portano 10 miglia a
proravia della Littorio.
Alle 22.10 il
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su
rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di
Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a
distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle
22.34 l’Utmost lancia quattro
siluri da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di
mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile
britannico Unbeaten, che ne
comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa
l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in
navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna militare Breconshire, con 5000 tonnellate di
carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori leggeri Naiad (nave ammiraglia di Vian)
ed Euryalus, dall’incrociatore
antiaerei Carlisle e dai
cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere
perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad
ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi
rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e
rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (Sikh, Legion, Maori, Lance, Lively ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle 9 la formazione
britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne
viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore
contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e
soprattutto la Breconshire è
stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare
di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da
un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora
ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti
gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico
persisteranno nello scambiare la Breconshire per
una corazzata.
In seguito a tale
comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la
rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima
(Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio
che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza
della Breconshire diretta a
Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio,
sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un avvistamento di fumo
all’orizzonte da parte dell’Oriani,
poi risultato errato, alle 15.43), l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro
con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X
Squadriglia Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per
200° dalla Littorio, mentre la
XII e XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite
per il combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le
navi britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non
poter raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare
all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa ridurre
la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
ricevono ordine di assumere posizione di scorta ravvicinata) e cessare il posto
di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in linea di fila,
dirigendo verso sud.
Proprio a questo
punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso
fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto
alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di
Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter
dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed
accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso
il nemico.
Alle 17.40, mentre il
sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di
prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a
dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio
adeguato.
Alle 17.52
l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso
sud con la scorta di Havock e
Decoy, poi dirige verso la squadra
italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare
la Breconshire con cortine
fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante,
indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le
corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi
di Vian, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche
(in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori
leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e
10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici
vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle
18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere, Maestrale compreso,
sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla
massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche. In
questo frangente uno dei cacciatorpediniere nemici, l’australiano Nizam, subisce alcuni danni per dei
colpi di cannone caduti molto vicini; tali colpi sono attribuiti proprio al
tiro del Maestrale.
Calato poi il buio,
alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha
raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse
il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione
italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori
italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12
Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa).
Lo scontro ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino,
temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea –
la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a
fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento
notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi,
e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la
formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si
dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di
assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est
della formazione.
Durante la sera e la
notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°, tenendosi ad est del
convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del
mattino, Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua. Alle 7.12 Maestrale, Oriani e Gioberti, insieme alla III Divisione,
ricevono ordine di dare loro assistenza; alle 14.15 la III Divisione riceverà
ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto.
Maestrale, Oriani e Gioberti, cui più tardi si unisce
lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a
raggiungere Navarino.
Alle 15 del 18
dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza
lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a destinazione l’indomani
(pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20
nodi.
19 dicembre 1941
Il gruppo «Littorio»
arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
Il Maestrale e gli altri cacciatorpediniere
che assistono Granatiere e Corazziere raggiungono Navarino lo
stesso giorno.
(Gruppo di Cultura Navale) |
3 gennaio 1942
Il Maestrale parte da Taranto alle 16
insieme ai cacciatorpediniere Scirocco,
Oriani e Gioberti, agli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio
di divisione Raffaele De Courten), Muzio
Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi ed alla nave da
battaglia Duilio (nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), formando il gruppo di
scorta per i tre convogli diretti a Tripoli da Messina, Taranto e Brindisi per
l’operazione di traffico «M. 43». Oltre ai tre convogli con le relative scorte
dirette ed al gruppo scorta di cui fa parte il Maestrale (gruppo «Duilio»), è in mare anche un gruppo di appoggio
(gruppo «Littorio») con le corazzate Littorio (ammiraglio
di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), Doria (ammiraglio di divisione Guido
Porzio Giovanola) e Cesare, gli
incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio
di divisione Angelo Parona) e Trento ed
i cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Geniere, Carabiniere, Ascari, Camicia Nera, Antonio
Pigafetta ed Antonio Da
Noli. Il gruppo di scorta, che navigherà per la prima volta ad immediato
contatto con il convoglio, sin quasi a formare un tutt’uno con esso ("scorta
indiretta incorporata nel convoglio", ideata dall’ammiraglio Bergamini),
ha il compito di respingere eventuali attacchi da parte di formazioni navali
leggere (incrociatori leggeri e cacciatorpediniere) come la Forza K, mentre il
gruppo di appoggio si terrà pronto ad intervenire contro un eventuale attacco
con forze pesanti da parte della Mediterranean Fleet (che comunque è rimasta
senza più corazzate efficienti dall’incursione della X MAS ad Alessandria del
19 dicembre, ma questo in Italia ancora non lo si sa).
Aerei impiegati in
compiti di ricognizione e bombardamento sulle basi aeree e navali di Malta e
della Cirenaica, nonché scorta da caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile
sulle navi e sul porto di Tripoli, e sommergibili dislocati ad est di Malta e
tra Creta e la Cirenaica completano l’imponente dispiegamento di forze
predisposto a tutela dell’importante convoglio (il cui carico assomma a 15.379
tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni, 10.242 tonnellate di
altri materiali, 144 carri armati, 520 automezzi e 901 uomini).
4 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio»
raggiunge i tre convogli, che si sono frattanto riuniti come previsto in un
unico grande convoglio composto dalle moderne motonavi da carico Nino Bixio, Lerici, Monginevro, Monviso e Gino Allegri e dalla grande nave cisterna Giulio Giordani, scortate dai
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta,
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da Recco, Antoniotto
Usodimare, Bersagliere, Freccia e Fuciliere e dalle torpediniere Castore, Orsa, Aretusa, Procioneed Antares.
Mentre al gruppo «Duilio»
si unisce al convoglio «Allegri» (Allegri, Freccia e Procione) la III Divisione (Trento e Gorizia) viene avvistata da un
ricognitore britannico; più tardi il convoglio viene avvistato anche da un
altro aereo avversario, ma la formazione aerea inviata da Malta ad attaccarlo
non riuscirà a trovarlo.
Al tramonto il gruppo
«Duilio» s’incorpora nella formazione; durante la notte le navi assumono rotta
per Tripoli, e poco dopo le tre di notte del 5 gennaio il gruppo «Duilio»
lascia il convoglio e si allontana a 22 nodi verso est. I mercantili
giungeranno in porto alle 12.30 dello stesso giorno, senza nemmeno essere stati
attaccati.
6 gennaio 1942
Il Maestrale ed il resto del gruppo di
scorta indiretta rientrano a Taranto alle 4.20.
15 o 16 gennaio 1942
A Trapani, il Maestrale sostituisce la torpediniera Castore nel ruolo di caposcorta di un
convoglio formato dalle motonavi Monviso e Monginevro, provenienti da Tripoli (da
dove sono partite il 13) e dirette a Napoli.
Oltre al Maestrale, scorta il convoglio la
torpediniera Procione.
17 gennaio 1942
Il convoglio giunge a
Napoli tra le 8 e le 10.
21 febbraio 1942
Alle 13.30 il Maestrale lascia Corfù insieme ai
cacciatorpediniere Scirocco, Antonio Pigafetta (caposcorta,
capitano di vascello Mirti della Valle), Emanuele
Pessagno ed Antoniotto Usodimare ed
alla torpediniera Circe, per
scortare a Tripoli un convoglio composto dalla motonave cisterna Giulio Giordani e dalle motonavi da
carico Lerici e Monviso: si tratta del convoglio n. 2
(trasferitosi da Brindisi a Corfù nelle ore precedenti) nell’ambito
dell'operazione «K. 7», consistente nell’invio in Libia di due convogli per
totali sei mercantili, scortati da dieci cacciatorpediniere e due torpediniere.
I convogli fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia»
(ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato
dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme a
quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia
Nera).
22 febbraio 1942
Intorno alle 12.45,
180 miglia ad est di Malta, il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra
piuttosto lenta – al convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade),
salpato da Messina e che è già stato raggiunto dai gruppi «Gorizia» e «Duilio»
(quest’ultimo segue il resto delle navi italiane a breve distanza). La
formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e
fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e
Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli
aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i
velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed
impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un bombardiere Boeing
B-17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando
l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio
diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La
foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed
alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma
solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati
anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe localizza
con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38 (tenente di vascello Rowland John Hemingway), che sta
tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il
periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere
stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al
convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità,
arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a
questo punto si uniscono alla caccia anche il Pessagno e l’Usodimare,
che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta,
mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un
marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere,
e la Circe si deve
allontanare perché la presenza delle altre navi impedisce l’utilizzo
dell’ecogoniometro. Il comandante della Circe deve chiedere al caposcorta di richiamare Pessagno ed Usodimare nel convoglio, il che
avviene; alle 10.40, calmatosi il marasma, la Circe può rimettersi alla ricerca del sommergibile, che
all’improvviso emerge a pallone a circa 30° da poppa, sulla sinistra: il
battello britannico impenna la prua, compie una delfinata e si reimmerge
immediatamente, appruato di circa 40°-45°. Il Pessagno, che si stava allontanando, torna indietro e riprende a
lanciare bombe di profondità, nuovamente costringendo la Circe ad interrompere la ricerca.
Alle 10.44 la Circe comunica
al Pessagno che la sua
presenza sta disturbando la sua ricerca; poco dopo, il cacciatorpediniere se ne
va una volta per tutte. Il P 38 non
riemergerà mai più: è affondato con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e
14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la
tomba dell’unità britannica.
Frattanto, alle
10.30, lo Scirocco (come
stabilito in precedenza) lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega
al gruppo «Gorizia», che, essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non
presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie, si avvia sulla
rotta di rientro.
Alle 11.25 il
convoglio (composto in quel momento da Ravello,
Monginevro, Unione, Vivaldi, Malocello, Zeno, Strale, Maestrale, Premuda, Pallade e Calliope) viene avvistato da un altro
sommergibile britannico: il P 34, del
tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison. Questi, avvistato su
rilevamento 040° il convoglio che procede con rotta 250°, manovra per attaccare
e lancia alle 11.49 una salva di quattro siluri, da 4150 metri di distanza, nel
punto 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli). Uno dei
velivoli della scorta aerea avvista i siluri e li mitraglia per dare l’allarme;
il convoglio accosta prontamente per evitarli, e così nessuna delle armi va a
segno (due mancano l’Unione
passandole a proravia ed a poppavia). Alle 11.58 il Vivaldi passa al contrattacco, lanciando un totale di 57 bombe di
profondità, alcune delle quali esplodono piuttosto vicine al P 34, ma senza riuscire a danneggiarlo.
Alle 13.30 il
convoglio n. 2, avendo forzato l’andatura, giunge in vista del convoglio n. 1;
quest’ultimo entra per primo a Tripoli alle 5. Entrambi i convogli sono in
porto entro le 16.40.
1942
Lavori di modifica
dell’armamento: viene eliminato un pezzo illuminante da 120/15 mm, il complesso
binato prodiero da 120/50 viene sostituito con un pezzo singolo dello stesso
tipo e viene installato un altro cannone da 120/50 mm Ansaldo 1940 sulla tuga
centrale.
18 luglio 1942
Il Maestrale salpa da Napoli alle 14.55
insieme al resto della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani e Gioberti) ed
alla VII Divisione Navale (Eugenio di
Savoia e Raimondo Montecuccoli,
al comando dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara) per intercettare il
posamine veloce britannico Welshman,
di ritorno da Malta, dove ha appena trasportato rifornimenti urgenti. La
formazione italiana incrocia durante la notte a sud della Sardegna, ma non
incontra il Welshman.
19 luglio 1942
Il Maestrale le altre navi ricevono l’ordine
di dirigere su Cagliari, dato che alle 9.20 un ricognitore ha avvistato
il Welshman ormai in
posizione tale da rendere impossibile una sua intercettazione.
11 agosto 1942
Alle 20 il Maestrale, insieme ad Oriani, Gioberti e Fuciliere ed
agli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, comandante della VII Divisione),
salpa da Cagliari per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito
dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato da attacchi da parte
di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande battaglia aeronavale
di Mezzo Agosto.
12 agosto 1942
Poco dopo le 14, si
unisce alla VII Divisione anche l’incrociatore leggero Muzio Attendolo, salpato da Napoli.
Alle 19 le navi
salpate da Cagliari si congiungono, nel Basso Tirreno, con la III Divisione
(incrociatori pesanti Trieste, Gorizia e Bolzano, più i cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera), partita da Messina alle 9.40.
Le due Divisioni
dovrebbero intercettare i resti del convoglio, dispersi e danneggiati, per
ultimarne la distruzione, verosimilmente nella mattina del 13, a sud di
Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia. Alle 22 Supermarina
ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20
nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia,
la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a nord dell’estremità
occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un ricognitore Vickers Wellington
(che viene a sua volta localizzato dal radar del Legionario). I comandi britannici, resisi conto del rischio che gli
incrociatori italiani rappresentano nei confronti di ciò che resta del
convoglio, ordinano dapprima al Wellington autore dell’avvistamento, e poi
anche agli altri ricognitori avvicendatisi nel pedinare la formazione italiana,
di sganciare bombe e bengala, in modo da far credere alle unità italiane di
essere sotto ripetuti attacchi aerei e dissuaderle così dal proseguire nella
navigazione verso il convoglio, giungendo anche ad ordinare loro – in chiaro,
in modo da essere intercettati – di comunicare la posizione della forza
italiana per permetterne l’attacco da parte di inesistenti bombardieri B-24
"Liberator".
Supermarina cade
nell’inganno, e già alle 00.30 del 13 ordina il rientro alla formazione (che si
trova in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito) di virare verso
est, temendo attacchi aerei nemici a seguito dell’intercettazione dei numerosi
messaggi radio avversari tra i ricognitori ed i comandi delle forze aeree di
Malta, in realtà provocata appositamente per ingannare i comandi italiani ed
indurli ad ordinare il rientro degli incrociatori.
Lo stratagemma
britannico è solo una delle molteplici ragioni che inducono a dare il discusso
ordine: Supermarina, infatti, in ogni caso non intende inviare le proprie navi
a sud di Pantelleria senza un’adeguata copertura aerea, che viene però negata
dai comandi tedeschi, che preferiscono impiegare tutti i velivoli disponibili
nell’attacco al convoglio; inoltre, a seguito dell’avvistamento (da parte di un
U-Boot tedesco) di quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici
nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta, Supermarina ha
deciso di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi
all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare tali navi, facendo al contempo
rientrare la VII Divisione. In realtà, anche le unità avvistate nel
Mediterraneo orientale (che sono in realtà due incrociatori, cinque
cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) sono una "finta" organizzata
dai comandi britannici, un convoglio fasullo che finge di essere diretto verso
Malta per ingannare i comandi italiani.
I finti attacchi e
messaggi proseguono comunque anche nelle ore successive, per evitare che i
comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di
riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
13 agosto 1942
Alle 00.30 del 13
Supermarina ordina alla formazione degli incrociatori, che si trovava in quel
momento a circa venti miglia da Capo San Vito (a ponente di Trapani), di virare
verso est per rientrare, temendo attacchi aerei nemici a seguito
dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri
ricognitori. Tre minuti dopo, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare
siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di
inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII
Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare le navi avvistate nel
Mediterraneo orientale, facendo al contempo rientrare la VII Divisione.
Alle 00.30, a seguito
dell’ordine di Supermarina, la III Divisione più l’Attendolo fa rotta su Messina, la VII Divisione su Napoli.
Il Maestrale, insieme all’Oriani ed al Gioberti, scorta Montecuccoli ed Eugenio diretti a Napoli; qui le
cinque navi giungono senza inconvenienti.
Diversa sorte ha la
formazione diretta a Messina, che alle 8.06 dello stesso giorno (dopo che il
sommergibile Safari ha già
avvistato le navi italiane a nord di Palermo senza poterle attaccare) incappa
nel sommergibile britannico Unbroken (tenente
di vascello Alastair C. G. Mars): con un lancio di quattro siluri, questi
colpisce sia l’Attendolo, che perde
la prua ma riesce a raggiungere Messina, che il Bolzano, il quale, incendiato e con danni gravissimi, dev’essere
preso a rimorchio dall’Aviere e
dal Geniere e portato a posarsi
su bassifondali dell’isola di Panarea, alle 13.30.
15 agosto 1942
Alle otto del mattino
il Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Riccardo Pontremoli) parte da Napoli insieme al Gioberti (capitano di fregata Gianroberto Burgos), per scortare a Tripoli
la motonave Rosolino Pilo,
avente a bordo 112 tra automezzi e rimorchi, 17 cannoni, tre barche a motore e
3439 tonnellate di materiali vari, nonché 101 militari di passaggio.
Prima di partire da
Napoli, il comandante Pontremoli ha personalmente domandato a Supermarina
notizie su quali forze britanniche si trovino in quel momento a Malta, ma gli è
stato risposto che mancano informazioni precise; Marina Messina gli darà
informazioni più particolareggiate l’indomani. Ciò, però, non accadrà.
16 agosto 1942
Giunto a Trapani
nelle prime ore del 16, il piccolo convoglio vi sostò per circa un giorno.
17 agosto 1942
Il convoglietto
riparte alle 6.30 a 15 nodi, diretto a Tripoli. I due cacciatorpediniere sono
in posizione di scorta avanzata prodiera, Gioberti a dritta e Maestrale a
sinistra (in base alle norme vigenti dovrebbe essere il contrario, ma
all’uscita da Trapani il comandante Pontremoli ha comunicato che, per una sua
avaria alle colonnine di punteria di dritta, il Maestrale si dovrà posizionare sulla sinistra della Pilo, ed il Gioberti a dritta, sul lato del sole); vi è inoltre scorta
aerea con il concorso di numerosi velivoli della Luftwaffe (al momento
dell’attacco, quattro Junkers Ju 88 e due Messerschmitt Bf 109).
Alle 15.30 (o 15.40;
per altra fonte le 17.17) appaiono all’orizzonte dieci aerei britannici diretti
verso il convoglio. Le navi si trovavano in quel momento 45-50 miglia a sud di
Pantelleria.
I numerosi velivoli
della Luftwaffe che costituiscono la scorta aerea non riescono ad adempiere al
loro compito, ed anzi il comandante Pontremoli asserirà nel suo rapporto che la
scorta aerea ha “forse concorso a ritardare la messa in allarme delle unità”.
L’attacco non è
avvenuto per caso: i britannici hanno saputo che la Pilo era pronta già il 14 agosto, mediante le decrittazioni di
“ULTRA”, che ha anche precisato la composizione del carico. Lo stesso 17
agosto, poi, nuove intercettazioni hanno rivelato che la Pilo, giunta a Trapani, ne deve
ripartire alle sei del mattino del 17, con arrivo a Tripoli previsto per le
12.30 del 18. Un ricognitore ha localizzato il convoglio, e da Malta sono
decollati sei aerosiluranti Bristol Beaufort dell’86th Squadron
della Royal Air Force (guidati dal capitano Donald Charles Scharman; altra
fonte parla del 39th Squadron), scortati da tre o cinque caccia
Bristol Beaufighter del 252nd Squadron e da quattro (od otto)
Supermarine Spitfire del 126th Squadron (altra fonte parla del 235th
Squadron).
Mentre i Beaufighter
e gli Spitfire attaccano gli Ju 88 della scorta aerea e li allontanano dal
convoglio, gli aerosiluranti sganciano i loro siluri nei settori poppieri
della Pilo (lasciati
completamente scoperti dalla posizione di scorta avanzata prodiera di Maestrale e Gioberti: Pontremoli criticherà anche
questa decisione nel suo rapporto, affermando la necessità che almeno una terza
nave scorta si trovasse in coda al convoglio, per proteggere dalle provenienze
poppiere; sarebbe stato necessario tenere a proravia le altre due unità, non
solo per attacchi aerei provenienti da prua, ma anche per la difesa contro i
sommergibili), da 550 metri, ed intanto altri aerei da caccia – i Beaufighter
del 252nd Squadron del maggiore Derek Frecker – effettuano
mitragliamento di tutte e tre le navi, spazzandone i ponti col loro tiro di
mitragliatrici e cannoncini. Mentre il Maestrale riporta
solo leggeri danni causati da qualche proiettile di mitragliatrice, sul Gioberti (colpito, oltre che dalle
raffiche di mitragliatrice, anche da alcuni spezzoni) questo attacco ha
conseguenze particolarmente nefaste, uccidendo 7 uomini e ferendone gravemente decine,
tra cui il comandante e quasi tutti gli ufficiali in plancia (in tutto, un
terzo dell’equipaggio viene messo fuori combattimento, costringendo la nave ad
abbandonare la scorta). Al contempo, alle 15.50 uno dei siluri colpisce la Pilo, immobilizzandola ad una
cinquantina di miglia per 190° da Pantelleria. Solo uno dei Beaufort viene
colpito (quello di Sharman); nonostante danni piuttosto gravi, riuscirà a
rientrare a Malta.
Mentre il
malconcio Gioberti si
allontana verso nord al comando di un sottotenente di vascello, il Maestrale inizia a recuperare il
personale imbarcato sulla Pilo, constatando
che i soldati tedeschi imbarcati, con i quali non si trovava alcun ufficiale,
hanno perso la disciplina.
Alle 18.45 il Maestrale è ancora impegnato
nell’operazione di salvataggio – la Pilo è
immobilizzata, ma resisteva bene a galla – quando l’assistente di squadriglia
ed il direttore del tiro comunicano al comandante Pontremoli di aver avvistato in
lontananza, su rilevamento vero 30° (verso nord), scoppio di proiettili
apparentemente causato dal fuoco contraereo di qualche nave da guerra; subito
dopo, sia Pontremoli che tutti gli altri ufficiali presenti in plancia vedono
chiaramente a loro volta, nella direzione indicata, una seconda salva
contraerea, che ritengono sparata da un incrociatore o comunque da una nave
dotata di un potente armamento, dato che la salva sembra molto nutrita (almeno
dieci colpi di medio calibro). Al contempo, mentre non si sono ancora dissolte
le nuvolette dei colpi viste nel cielo, sia Pontremoli che gli altri ufficiali
in plancia credono di vedere nella medesima direzione della salva la sagoma di
una nave, molto lontana sull’orizzonte. Il comandante Pontremoli, pertanto,
lancia il segnale di scoperta, comunicando la propria posizione, ed assume al
contempo rotta 30° e massima velocità per dirigere incontro al presunto nemico,
con il proposito di impegnarlo e portarlo lontano dalla inerme Pilo, in attesa che intervenga
l’aviazione. Poco dopo, però, la sagoma avvistata svanisce. Pontremoli vorrebbe
richiedere agli aerei tedeschi della scorta aerea di esplorare la zona in cui
si è svolto l’avvistamento, ma non è stato imbarcato alcun operatore radio
tedesco per la missione, per cui non c’è modo di contattarli.
Non riuscendo più a
trovare la presunta unità nemica, il Maestrale prosegue
in direzione di Pantelleria, finché Supermarina lo contatta ordinandogli di non
impegnarsi contro forze superiori e di dirigere per Trapani; qui giunto, vi stazionerà
fino all’indomani.
Di fatto, tanto le
salve contraeree quanto la sagoma “vista” dagli uomini del Maestrale non sono state altro che
un’illusione ottica: nessuna nave britannica, infatti, si trova quel giorno a
Malta o nel Canale di Sicilia.
La Pilo, però, in tal modo è rimasta sola e
indifesa in mezzo al mare.
18 agosto 1942
Abbandonata
dall’equipaggio, la Pilo viene
illuminata da bengala sganciati da aerei britannici e silurata, alle 00.10, dal
sommergibile britannico United,
saltando subito in aria.
Il Maestrale riparte da Trapani alle 6.20
per tornare sul posto in cui ha lasciato la Pilo,
ma non la trova più; insieme al rimorchiatore Montecristo, salpato da Pantelleria la mattina del 18 per prenderla
a rimorchio, ed al cacciatorpediniere Lanzerotto
Malocello, anch’esso fatto partire per quello scopo da Trapani il 18
mattina, non gli rimane che provvedere al salvataggio dei naufraghi,
rifugiatisi nelle lance fin dalla sera precedente. Tutti gli uomini imbarcati
sulla Pilo vengono salvati, tranne un
membro dell’equipaggio civile.
2 settembre 1942
Il Maestrale ed il cacciatorpediniere Freccia salpano in serata da Napoli
scortando la motonave Luciano Manara.
Le navi procedono a 15 nodi, con buone condizioni del mare.
3 settembre 1942
Maestrale, Freccia e Manara entrano a Palermo in mattinata,
poi ripartono in serata diretti verso lo stretto di Messina. Passando al largo
di Messina, il Maestrale lascia la
scorta del convoglietto ed entra in quel porto, mentre Freccia e Manara, poi
raggiunte da altre siluranti, proseguono per Taranto.
4 settembre 1942
Maestrale e Grecale salpano da
Messina alle 12.50 per scortare a Napoli l’incrociatore leggero Muzio Attendolo, che deve trasferirsi
nella base partenopea per i lavori di ricostruzione della prua, asportata da un
siluro durante la battaglia di Mezzo Agosto. Appena fuori del porto, Maestrale e Grecale assumono posizione di scorta laterale, Maestrale a sinistra e Grecale
a dritta; i cacciasommergibili VAS 204,
VAS 210, VAS 215 e VAS 217
procedono in linea di fronte 30 miglia a proravia della formazione (che procede
a 15 nodi), effettuando ascolto idrofonico, finché, all’altezza di Punta
Licosa, si lasciano scadere in modo da ridurre le distanze a 10 miglia. Un
aereo della ricognizione marittima si tiene nel cielo della formazione per
scorta aerea, effettuando cerchi di 5000 metri di raggio che hanno l’Attendolo al centro; la navigazione di
trasferimento è anche appoggiata da sommergibili in ricognizione lontana.
5 settembre 1942
Maestrale, Grecale ed Attendolo entrano a Napoli alle 9.10.
17 ottobre 1942
Il Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Riccardo Pontremoli) salpa da Napoli alle 4.10, insieme al Grecale (capitano di fregata Luigi
Gasparrini), per scortare a Tripoli la motonave cisterna Panuco, carica di carburante.
18 ottobre 1942
Le tre navi
raggiungono Messina, dove sostano dalle 2.45 alle 5.30; qui il comandante
Pontremoli riceve le disposizioni in merito al prosieguo della traversata,
mentre i cacciatorpediniere si riforniscono di nafta.
Alle 5.30 il Maestrale (caposcorta) riparte da
Messina per scortare a Tripoli la Panuco,
insieme al Grecale ed alle vecchie
torpediniere Giuseppe Dezza (tenente di vascello richiamato
Reginaldo Scarpa) e Giuseppe Sirtori (tenente di vascello di
complemento Emilio Gaetano).
Il convoglio
costeggia verso nord la costa della Calabria e poi raggiunge le acque della
Grecia, per poi puntare su Tripoli cercando di mantenersi sempre alla massima
distanza possibile da Malta.
Alle 10.20
Supermarina comunica al convoglio di stare pronto a fronteggiare un possibile
attacco aereo: le navi sono state avvistate da ricognitori nemici.
Alle 12.50 il
sommergibile britannico Una (tenente
di vascello Compton Patrick Norman), in posizione 38°26’ N e 16°41’ E (al largo
di Capo Spartivento), avvista su rilevamento 220° il fumo delle navi del
convoglio, e si avvicina per attaccare, identificando le unità del convoglio –
che hanno rotta 040° – alle 13.30. Alle 13.56, poco prima di poter lanciare i
siluri, l’Una viene localizzato
e costretto a rinunciare all’attacco e scendere in profondità; ad individuarlo
ed a dargli la caccia è il Grecale,
che procede in testa alla formazione (ma l’orario indicato dalle fonti italiane
è alquanto differente, le 15.15). Il Grecale dà
la caccia all’Una per un’ora,
con lancio di bombe di profondità, ma senza risultato. Alle 19 Pontremoli
lascia libere Dezza e Sirtori, con l’ordine di effettuare un
rastrello antisommergibili prima di rientrare a Messina.
La notte è chiara,
con la luna che tramonta verso le due.
Alle 22.37 inizia una
serie di attacchi aerei – sei in tutto – diretti contro al Panuco, che si susseguiranno fino alle 00.40 del 19 (per altra
versione gli attacchi aerei si sarebbero susseguiti ininterrottamente contro il
convoglio dalle 15.30 alle 22.40). Nel primo attacco, verso le 22.40, la Panuco viene colpita da un siluro a
prora sinistra, una settantina di miglia ad est di Punta Stilo.
La petroliera si
ferma subito; per fortuna non scoppiano incendi, ma la gran quantità di vapori
di benzina fuoriusciti dalle cisterne costringono i 101 componenti
dell’equipaggio ad abbandonare la nave.
I successivi cinque
attacchi aerei consistono tutti nel lancio di bombe anziché di siluri; benché
la Panuco sia ferma, neppure una
bomba la colpisce, grazie all’opera di Maestrale
e Grecale, che la avvolgono in fitte
cortine nebbiogene e reagiscono rabbiosamente con le proprie armi antiaeree.
19 ottobre 1942
Verso le sette del
mattino, dato che una brezza frattanto levatasi ha in gran parte disperso i
vapori di benzina, il comandante della Panuco
e 20 volontari, a dispetto del pericolo che rimane comunque elevato, ritornano
a bordo della petroliera danneggiata e riescono a rimettere in moto. La Panuco dirige su Taranto ad una velocità
di 8 nodi, il massimo che può raggiungere in quelle condizioni.
20 ottobre 1942
Scortata da Maestrale e Grecale ed anche, durante le ore diurne, da una continua e nutrita
scorta aerea, la Panuco raggiunge
Taranto con i propri mezzi alle due di notte.
4 novembre 1942
Maestrale (caposcorta), Grecale,
Oriani, Gioberti, il cacciatorpediniere Velite e le torpediniere Animoso e Clio salpano
da Napoli alle 17 per scortare a Tripoli il piroscafo Veloce e le motonavi Giulia e Chisone. Gioberti e Grecale,
oltre a far parte della scorta, sono anche in missione di trasporto di 52
tonnellate di munizioni.
5 novembre 1942
Alle dieci del
mattino un sommergibile attacca il convoglio, ma l’attacco è sventato dalla
scorta. Alle 19.40 inizia una serie di pesanti attacchi aerei, che si
protrarranno fino all’una di notte del 6.
7 novembre 1942
L’Animoso lascia la scorta del
convoglio alle otto del mattino; le altre navi arrivano a Tripoli alle 18.15.
Questo è uno degli
ultimi convogli a raggiungere la Libia senza subire perdite.
11 novembre 1942
Maestrale (caposcorta), Grecale,
Oriani e Gioberti, insieme alla torpediniera Clio, salpano da Napoli alle 16, per scortare a Biserta la
motonave Caterina Costa e
l’incrociatore ausiliario Città di
Napoli.
12 novembre 1942
Il convoglio giunge a
Biserta alle 16.
14 novembre 1942
Maestrale (caposquadriglia), Grecale,
Oriani e Gioberti salpano da Palermo per Biserta alle 7, per una missione di
trasporto. Hanno a bordo un reparto organico di 480 uomini del 10° Reggimento
Bersaglieri e 165 tonnellate di benzina in latte.
Alle 14.24 i cacciatorpediniere
vengono avvistati dal sommergibile britannico P 45 (tenente di vascello Hugh Bentley Turner), a cinque
miglia di distanza, in posizione 37°27’ N e 10°12’ E; il P 45 riduce le distanze fino a 3
miglia e mezzo, poi rinuncia ad attaccare.
Alle 16 il Gioberti trae in salvo l’equipaggio
di un idrovolante CANT Z abbattuto da quattro caccia britannici; poco dopo le
navi arrivano a Biserta (per altra fonte l’arrivo a Biserta avviene alle 15).
Già alle 17.30 i
cacciatorpediniere, messe a terra truppe e benzina, lasciano Biserta diretti a
Napoli.
15 novembre 1942
Le quattro unità
arrivano a Napoli alle 8.10.
26 novembre 1942
Maestrale (caposcorta), Grecale,
Ascari e Camicia Nera partono da Napoli per Biserta alle 15.10, scortando le
moderne motonavi Monginevro e Sestriere.
27 novembre 1942
Il convoglio
raggiunge Biserta alle 13.45.
28 novembre 1942
Alle 14.15 il Maestrale (caposcorta, capitano di
vascello Riccardo Pontremoli) e la torpediniera di scorta Animoso (tenente di vascello Camillo Cuzzi) lasciano Biserta
scortando l’incrociatore ausiliario Città
di Napoli, diretto a Palermo. Alle 20 si aggrega alla scorta anche il
cacciatorpediniere Folgore (capitano
di corvetta Ener Bettica).
Alle 22.40 il Città di Napoli viene scosso da
un’esplosione a prua, affondando dopo 50 minuti in posizione 38°13’ N e 12°20’
E (a nord di Capo San Vito siculo); il suo equipaggio verrà tratto in salvo dai
cacciatorpediniere, ad eccezione di un uomo. Sulle prime si pensa ad un attacco
di sommergibili, ma in base all’osservazione ecogoniometrica prima e dopo
l’affondamento, si conclude infine che la nave abbia urtato una mina alla
deriva.
30 novembre 1942
Maestrale (capitano di vascello Nicola Bedeschi), Grecale, Ascari ed il
cacciatorpediniere Mitragliere
imbarcano a Trapani 56 mine tipo P 200 (senza antenna) ciascuno per effettuare
la posa del campo minato «S 96», una spezzata dello sbarramento «S 9» da posare
nel Canale di Sicilia. Il Maestrale è
stato incluso nell’operazione di posa in sostituzione del Corazziere (era infatti previsto di impiegare il Maestrale se fosse venuto a mancare uno
dei cacciatorpediniere classe Soldati solitamente adibiti a questo compito).
Alle 23.45 Maestrale (capo formazione), Grecale, Ascari e Mitragliere
lasciano Trapani per eseguire la posa, in base agli ordini di Marina Messina.
1° dicembre 1942
Alle 6.43 viene
avvistata la costa della Tunisia, e poco dopo si scorge anche l’Isola dei Cani,
che viene usata come punto di riferimento per controllare la posizione, in modo
da dirigere con esattezza sul punto designato per la posa. Le quattro unità,
scortate da caccia della Luftwaffe, si dispongono in linea di fronte ed alle
8.46 iniziano a posare le mine, operazione che viene completata alle 9.15. Le
mine vengono posate su quattro file parallele, lunghe complessivamente 11.150
metri (6,5 miglia); il Maestrale posa
la fila esterna a dritta, mentre andando verso sinistra le file, distanziate
tra loro di 100 metri, sono posate da Grecale,
Ascari e Mitragliere. Tra ogni mina di una stessa fila c’è un intervallo di
200 metri (il ritmo di lancio è di una mina ogni 33 secondi), e le mine delle
diverse file sono sfalsate tra loro di 50 metri; il Maestrale, che dirige l’operazione, è l’ultimo ad iniziare la posa
e l’ultimo a finirla. Lo sbarramento viene eseguito con rotta di posa 30°.
A mezzogiorno viene
avvistato in lontananza un aereo di nazionalità sconosciuta, e poco dopo
Supermarina comunica al Maestrale che
i cacciatorpediniere sono stati avvistati da aerei nemici.
Alle 19.35 Maestrale, Ascari e Grecale, che
formano la X Squadriglia Cacciatorpediniere, di ritorno dalla posa del campo
minato, vengono mandati a rinforzare la scorta del convoglio «B», formato dai
piroscafi Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa, in navigazione da Napoli a Biserta
e Tunisi con la scorta delle torpediniere Sirio (caposcorta), Groppo,
Uragano, Pallade ed Orione.
(Secondo "La guerra di mine", però, dopo la posa i cacciatorpediniere
sarebbero rientrati a Trapani, dopo di che “il Maestrale ebbe ordine di proseguire per Cagliari, per scortare un
convoglio”). Il convoglio è stato avvistato da ricognitori britannici alle
14.40 (segnale di scoperta intercettato da Supermarina, che, come fa
abitualmente con tutti i segnali di questo tipo, dopo averlo decrittato lo
ritrasmette all’aria, per allertare il convoglio) e da allora viene tenuto
sotto sorveglianza; la X Squadriglia è stata inviata a rinforzarlo per
garantire maggiore protezione nell’ultimo tratto del viaggio.
Alle 17.30 è uscita
da Bona, in Algeria, la Forza Q britannica (incrociatori leggeri Aurora, Sirius ed Argonaut,
cacciatorpediniere Quiberon e Quentin), a caccia di convogli italiani.
Supermarina ha contezza dei movimenti nemici già il 30 novembre, quanto
intercetta un segnale di un ricognitore nemico che, alle 23 di quel giorno, ha
comunicato di aver avvistato due convogli a sudovest di Napoli: si tratta del
«B» e del «C», diretto invece a Tripoli.
Al contempo (sera del
30) Supermarina ha appreso che forze leggere di superficie nemiche si trovano a
Bona, e – dato che, viaggiando a 30 nodi, la Forza Q potrebbe raggiungere in
sei ore i convogli «B» e «H» (altro convoglio diretto in Tunisia) – ha chiesto
una ricognizione su tale porto al tramonto del 1° dicembre. Tuttavia, l’aereo
tedesco inviato a compiere la ricognizione e l’aereo italiano che lo accompagna
non fanno ritorno. Alle 23.30 del 1° dicembre Supermarina viene informata da
Superaereo che un altro aereo tedesco ha avvistato cinque navi da guerra
britanniche di medio tonnellaggio al largo delle coste algerine, con rotta 90°;
dieci minuti dopo Supermarina lancia il segnale di scoperta.
La notizia che la
Forza Q è uscita da Bona, tuttavia, induce Supermarina a disporre che il
convoglio «B», ritenuto il più rischio d’intercettazione (questo è stato anche
il motivo per il rinforzo della scorta) insieme all’«H», venga infine dirottato
su Palermo.
Il convoglio «H»,
trovandosi ormai in posizione troppo avanzata per poter tornare indietro, viene
fatto proseguire (si è inizialmente considerato se inviare la X Squadriglia a
rinforzare quest’ultimo convoglio anziché il «B», ma alla fine si è deciso di
assegnarla al convoglio «B» perché l’«H» è il più protetto dei due, oltre che
il più veloce); verrà distrutto nella notte seguente dalla Forza Q, con
gravissime perdite, nello scontro divenuto noto come del banco di Skerki. Alle
20.15, infatti, la Sirio (capitano di
corvetta Romualdo Bertone) avvista dei bengala a proravia sinistra, e poi molti
altri bengala nella direzione in cui si trova il convoglio «H». Alle 22.30
Bertone, che è anche caposcorta del convoglio «B», ordina alle navi di
accostare verso est per non avvicinarsi troppo al convoglio «H», che appare
sotto attacco; successivamente fa accostare per 150°.
2 dicembre 1942
All’una di notte il
comandante Bedeschi del Maestrale,
di grado superiore a Bertone, interviene ed ordina di fare rotta su
Palermo, essendo ormai evidente che il convoglio «H» è sotto attacco da parte
di una formazione navale.
Alle 7.06 il
convoglio «B» riceve ordine di dirigere per Trapani, dove giunge alle 10.50.
Le navi ripartiranno
poi in due gruppi (il Lisboa alle
12.20 del 5, preceduto dagli altri quattro mercantili alle 19 del 2) e
giungeranno tutte a destinazione (Campania a
Biserta alle 15.45 del 3, Arlesiana ed Achille Lauro a Tunisi alle 18.45
del 3, Lisboa a Susa alle
16 del 6), ad eccezione del Menes,
affondato su mine alle 14.15 del 3 dicembre, al largo dell’Isola dei Cani.
5 dicembre 1942
Maestrale, Grecale, Ascari e Corazziere posano un’altra spezzata dello sbarramento «S 9», la «S
97», anch’essa composta da 224 mine.
Il Maestrale (capitano di vascello Nicola
Bedeschi, comandante della X Squadriglia Cacciatorpediniere) molla gli ormeggi
alle 2.46 ed esce dal porto, dopo di che aspetta a lento moto, in franchia
delle ostruzioni, l’uscita di Grecale,
Ascari e Corazziere. Una volta usciti tutti, i quattro cacciatorpediniere si
dirigono verso la zona di posa.
Alle 7.52
sopraggiungono due aerei da caccia della Regia Aeronautica, che sorvolano la
formazione e ne assumono la scorta. Dalle 8.35 alle 8.42, in posizione 37°37’ N
e 10°25’ E, l’ecogoniometro del Maestrale
rileva una serie di echi sospetti e ben definiti, che inducono Bedeschi a
pensare che si tratti di un campo minato, che si estende per circa 1500 metri
in meridiano ed oltre 3500 in parallelo. Alle 8.45 la squadriglia si dispone in
linea di fronte, ed alle 9.06 inizia la posa delle mine, che prosegue fino alle
9.38. La posa, eseguita sulla base dell’ordine di operazione redatto da Marina
Trapani, avviene con modalità identica alla «S 96», unica differenza la rotta
di posa, che ora è 22°.
Alle 8.52, poco prima
di iniziare la posa, viene avvistato a grande distanza, su rilevamento vero
40°, un aereo di nazionalità incerta, che Supermarina comunicherà poi essere
nemico.
Alle 13.40 i quattro
cacciatorpediniere imboccano le rotte di sicurezza per l’accesso a Trapani,
dove giungono poco più tardi.
10 dicembre 1942
Il Maestrale (caposcorta) salpa da
Napoli per Biserta alle 15.30, insieme al Gioberti, per scortare a Biserta la motonave Monginevro, avente a bordo il personale
destinato ad armare il naviglio francese catturato in Tunisia a seguito
dell’occupazione italo-tedesca della Francia di Vichy e della Tunisia.
11 dicembre 1942
Aerosiluranti
attaccano la Monginevro alle
3.30, ma la nave ne esce indenne.
Il convoglietto
giunge a Biserta alle 19.
29 dicembre 1942
Il Maestrale ed il cacciatorpediniere Corsaro (caposcorta) scortano da Palermo
a Napoli la motonave Caterina Costa,
di ritorno dalla Tunisia.
Alle 10 Maestrale (caposcorta) e Corsaro ripartono da Napoli scortando la
motonave Mario Roselli, diretta a
Biserta.
Alle 21.30 il piccolo
convoglio arriva a Palermo, dove sosta per alcune ore.
30 dicembre 1942
Alle due di notte Maestrale e Corsaro ripartono da Palermo, insieme al cacciatorpediniere Lampo ed alle torpediniere Sirio e Pallade, scortando la Roselli
ed altre due moderne motonavi, la Manzoni
e l’Alfredo Oriani, dirette anch’esse
a Biserta. Il Maestrale è caposcorta.
Alle 5.04 il
sommergibile britannico Ursula (tenente
di vascello Richard Barklie Lakin), a circa 12 miglia per 360° da Capo San Vito
(nel punto approssimato 38°43’ N e 12°40’ E), avvista il convoglio italiano che
procede a 15 nodi su rotta 240°, a 8200 metri di distanza. Alle 5.09 l’Ursula s’immerge e si avvicina alla
massima velocità per attaccare il mercantile di testa, immergendosi a quota
leggermente maggiore alle 5.13 perché il cacciatorpediniere di testa passa
vicino, salvo poi tornare a quota periscopica alle 5.15 per trovare che il
convoglio ha zigzagato di 35° verso l’Ursula
stesso. Alle 5.20 la motonave di testa è a soli 550 metri dall’Ursula – che ha già superato lo
schermo dei cacciatorpediniere e sta per lanciare i siluri – e continua ad
avvicinarsi; il sommergibile tenta di scendere più in profondità per evitare la
collisione, ma rimane per oltre un minuto a 7,6 metri di profondità e viene
così speronato, alle 5.22, quando si trova a soli 8,8 metri di profondità. La
collisione danneggia la torretta e le camicie dei periscopi dell’Ursula (i periscopi e le relative
camicie, così come i telegrafi superiori e le luci esterne, vanno distrutti),
che è costretto ad abbandonare la missione. Le navi italiane proseguono senza
aver nemmeno notato l’accaduto.
Infruttuosamente
attaccato anche da aerei, e raggiunto alle 14.30 dalle motosiluranti MS 16 e MS 33 (provenienti da Biserta), il convoglio giunge a Biserta tra
le 17 e le 17.30.
Alle 23 o 23.30 Maestrale (caposcorta) e Corsaro lasciano Biserta scortando la
motonave Viminale, diretta a Palermo.
31 dicembre 1942
Maestrale, Corsaro e Viminale arrivano a Palermo alle 16.
Il Maestrale in navigazione a velocità sostenuta (da www.naviecapitani.it) |
La lunga odissea del Maestrale
Alle 14 dell’8
gennaio 1943 il Maestrale, al comando
del capitano di vascello Nicola Bedeschi, salpò da Napoli insieme al
cacciatorpediniere Corsaro (capitano
di fregata Ferruccio Ferrini) per scortare a Biserta la moderna motonave Ines Corrado, carica di rifornimenti. Il
Maestrale ricopriva il ruolo di
caposcorta.
Alle 20 del 9
gennaio, mentre le tre navi avanzavano a circa 12 nodi (Maestrale in testa, Ines
Corrado al centro e Corsaro in
coda, tutti con rotta 245°) in condizioni di mare molto agitato o grosso, al
mascone a dritta, il Maestrale venne scosso
da una violenta esplosione, che gli asportò la poppa per una lunghezza di
dodici metri, lasciandolo immobilizzato nel punto 37°34’ N e 10°35’ E (una
quarantina di miglia a est/nordest di Biserta, ed una cinquantina di miglia a
nord di Tunisi).
Data la zona della
nave in cui si era verificata l’esplosione (poppa estrema), il comandante
Bedeschi ritenne che la sua nave fosse stata colpita da un siluro. Si
sbagliava: il Maestrale aveva urtato
una mina, facente parte di un campo minato posato appena la notte precedente dal
posamine britannico Abdiel (capitano
di vascello David Orr-Ewing). Partito da Algeri alle 7.15 dell’8 gennaio, poco
dopo la mezzanotte dello stesso giorno l’Abdiel
aveva posato due linee composte rispettivamente da 70 e 90 mine, leggermente
scostate, quella di 70 mine più a nord (in questa era incappato il Maestrale) e quella di 90 più a sud.
Aveva poi diretto per Malta, dopo di che aveva raggiunto Gibilterra.
I danni causati
dall’esplosione fecero anche venire a mancare la corrente elettrica, così che
Bedeschi non poté avere subito informazioni complete circa l’entità dei danni;
decise comunque di mandare gli uomini ai posti di combattimento, anche per far
sì che si trovassero già riuniti in ordine nell’eventualità di un’emergenza. Al
contempo, ordinò di comunicare per radiosegnalatore all’Ines Corrado di proseguire verso Biserta, ed al Corsaro di avvicinarsi, riferendogli di
essere stato silurato («sono stato silurato – avvicinatevi»).
Quest’ultimo, che
subito dopo l’esplosione sul Maestrale
aveva accelerato al massimo ed assunto rotta inclinata di 40° a dritta rispetto
a quella del piccolo convoglio, diede il ricevuto alle 20.05, mentre l’Ines Corrado non rispose alle chiamate
del Maestrale. Bedeschi ordinò al Corsaro anche di lanciare il segnale di
scoperta.
Le condizioni
meteorologiche erano quasi proibitive, ma il Corsaro cercò subito di avvicinarsi al Maestrale per prestargli soccorso; nel fare così, però, urtò a sua
volta una mina. Quando alle 20.07 Bedeschi vide il Corsaro (che si trovava in quel momento a un centinaio di metri per
140° a proravia dritta del Maestrale)
scosso da un’esplosione a centro nave, si rese conto che la possibilità che le
due navi fossero finite in un campo minato era tutt’altro che remota. Il
comandante del Maestrale stimò che il
campo minato potesse estendersi per la maggior parte sulla sua dritta, e che
fosse posizionato perpendicolarmente alla rotte che i convogli erano soliti
seguire. Dato che l’Ines Corrado
stava manovrando per sorpassare il Maestrale
sulla dritta, Bedeschi cercò di mettersi in comunicazione con essa per dirle di
proseguire passandogli a sinistra, dove era meno probabile che ci fossero mine;
anche questa volta, però, i tentativi di contattare la motonave risultarono
infruttuosi. Per fortuna, fu la stessa Ines
Corrado ad avvicinarsi a portata di voce, passando sulla dritta, ed a
chiedere ordini; Bedeschi le ordinò di allontanarsi subito verso est (cioè
sulla sinistra del Maestrale), ed in
seguito le comunicò con segnalazioni a mezzo fanale-accumulatore di proseguire
per Biserta, riferire a Roma quanto era successo e richiedere che venissero
mandati mezzi di soccorso: il Maestrale,
da parte sua, era nell’impossibilità di comunicare sia con Roma che con
Biserta, per via dello strappamento degli aerei radiotelegrafici. L’Ines Corrado diede il ricevuto e
proseguì verso Biserta, dove giunse indenne alle 8.30 del mattino seguente.
Alle 20.09, due
minuti dopo l’urto contro la prima mina, il Corsaro
urtò un secondo ordigno ed affondò rapidamente, spezzato in due. Dei 235 uomini
del suo equipaggio, solo 48 si sarebbero salvati. Gli uomini del Maestrale non poterono far altro che
assistere impotenti alla fine dell’unità sezionaria, incerti sulla sorte della
loro stessa nave ed impossibilitati a soccorrere i naufraghi del Corsaro a causa del maltempo, che
impediva anche di mettere a mare la motobarca.
Alle 20.10, quando
venne ridata energia elettrica ai circuiti di bordo, il comandante Bedeschi
poté ricevere le prime notizie sulle conseguenze dell’esplosione: la poppa
estrema era stata asportata per una sezione di dodici metri, e c’era acqua nel
corridoio ufficiali a proravia della porta stagna. La paratia di poppa della
sala macchine poppiera appariva però indenne; si provvide subito a puntellarla
per garantirne la tenuta, e si presero tutte le misure attuabili per garantire
la galleggiabilità della nave, e per essere in grado di estinguere prontamente
eventuali incendi. Per eliminare i pesi alti vennero lanciate in mare le bombe
torpedini da getto, dopo averle neutralizzate, e furono lanciati fuori bordo
anche i siluri dei tubi poppieri, con le valvole di conservazione chiuse.
La situazione, per il
Maestrale, rimaneva decisamente
grigia: senza più la poppa, e dunque senza eliche e timoni, la nave galleggiava
bene ma era del tutto immobilizzata ed ingovernabile; scarrocciando verso
sudest, andava alla deriva verso i vicini campi minati italiani "X 2"
e "X 3", rischiando di andare così a finire contro qualche altra mina
che ne avrebbe decretato la fine. Il mare in quella zona era profondo circa 300-350
metri, troppo per potervisi ancorare in attesa dei soccorsi: ma il comandante
Bedeschi ebbe un’idea brillante, che con ogni probabilità salvò il Maestrale ed il suo equipaggio dalla
tragica fine che era toccata al Corsaro.
Mentre una singola catena dell’ancora era troppo corta per ancorarsi su fondali
tanto profondi, unendo le due catene disponibili se ne otteneva una sola di
lunghezza doppia (16 lunghezze di catena, ossia 400 metri), sufficiente a dare
fondo: la catena così ottenuta venne filata per tutta la sua lunghezza,
passandola per i due argani. Con questo espediente il Maestrale riuscì ad ancorarsi alle 23.30, scongiurando il rischio
di deriva verso i campi minati italiani e permettendo inoltre di volgere la
prua al mare. Da prua venne anche gettato in mare dell’olio, allo scopo di
ridurre il tormento provocato dalle onde.
Nel frattempo si era
anche riusciti a ripristinare la possibilità di comunicare mediante la radio
principale, così che Bedeschi poté riferire quanto era successo a Roma, Trapani
e Biserta. Quest’ultimo Comando Marina fece sapere, alle 22.40, che era stata
ordinata la partenza dei soccorsi.
Il Maestrale ed il suo equipaggio
trascorsero così un’angosciosa nottata all’ancora in mezzo al mare, soli tra il
mare mosso ed i campi minati, in attesa che qualcuno venisse in loro aiuto.
Le unità incaricate
di raggiungere e portare in salvo la nave danneggiata salparono da Biserta e
Tunisi la sera del 9 gennaio. Da Biserta presero il mare le torpediniere Calliope (tenente di vascello Marcello
Giudici) e Giuseppe Dezza (tenente di vascello Gino
Mancusi), il peschereccio armato antisommergibili Cefalo, il rimorchiatore italiano Porto Cesareo ed il rimorchiatore tedesco (ex francese) Vigoreux; da Tunisi salpò la
torpediniera Cigno (capitano di
corvetta Massimo Franti). Sulla Calliope
s’imbarcò il comandante stesso di Maritunisia, ammiraglio di divisione Luigi
Biancheri, per dirigere personalmente il salvataggio del Maestrale. La Calliope fu
appunto la prima nave a raggiungere il Maestrale,
alle otto (o 8.30) del mattino del 10 gennaio; due ore più tardi ebbe inizio il
rimorchio da parte della torpediniera, ma i cavi di rimorchio si spezzarono a
più riprese. Verso mezzogiorno sopraggiunse il Vigoreux, seguito poco dopo da Dezza,
Cefalo e Porto Cesareo; a questo punto il Maestrale venne preso a rimorchio contemporaneamente da Calliope e Vigoreux, usando per il traino non più dei normali cavi, ma la
catena dell’ancora, che per la seconda volta in poche ore si rivelava così
decisiva per la salvezza della nave. Alle 17 si unì al gruppo anche la Cigno. Alle 17.30 il Porto Cesareo sostituì il Vigoreux nel rimorchio; il piccolo
convoglio era scortato da Dezza e Cigno, mentre il Cefalo forniva protezione antisommergibili.
Il Maestrale, le unità che lo rimorchiavano
e quelle di scorta entrarono finalmente a Biserta tra le 7.30 e le 8 dell’11 gennaio.
A dispetto dei gravi danni causati dalla mina, il Maestrale non aveva subito una singola perdita tra il suo
equipaggio; soltanto qualche ferito lieve.
Ma le vicissitudini
del cacciatorpediniere non erano ancora finite: in Tunisia, infatti, non vi erano
strutture ed attrezzature adeguate a riparare un danno tanto grave. Occorreva
ricostruire interamente la poppa, e per farlo era necessario riportare la nave
in Italia.
Il Maestrale, con la poppa distrutta,
arriva a rimorchio a Biserta il mattino dell’11 gennaio 1943 (sopra: foto Aldo
Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it; sotto: g.c.
STORIA militare)
A Biserta il Maestrale fu immesso in bacino di
carenaggio per appurare le condizioni dello scafo ed apportare alcune
riparazioni provvisorie, necessarie a rimetterlo in condizione di reggere il
mare senza troppe preoccupazioni per il suo trasferimento in Italia (vennero,
tra l’altro, tagliati i due assi ed eretta una paratia in cemento a poppa, per
evitare infiltrazioni d’acqua). Durante la sua sosta nel porto tunisino, che
durò tre settimane, il Maestrale
scampò nuovamente di stretta misura alla distruzione, venendo inquadrato, ma
mancato, da bombe sganciate da aerei statunitensi durante una delle tante
incursioni aeree che si abbattevano su Biserta con violenza sempre maggiore.
Ultimate le prime
riparazioni, il Maestrale lasciò
Biserta alle 3.45 del 31 gennaio 1943, a rimorchio della torpediniera di scorta
Animoso (tenente di vascello Camillo
Cuzzi). Li scortavano le corvette Procellaria
(tenente di vascello Giorgio Volpe) e Persefone
(tenente di vascello Roberto Lucciardi), le motosiluranti italiane MS 16 e MS 35 e le motozattere tedesche F
481 e F 484. Il comandante
Bedeschi, essendo l’ufficiale più alto in grado, ricopriva anche il ruolo di
comandante superiore in mare.
L’Animoso con a rimorchio il Maestrale era al centro della
formazione, mentre Procellaria e Persefone erano a 1700 metri
rispettivamente a dritta ed a sinistra. Le due motozattere e le due
motosiluranti erano a poppavia delle navi; una delle due motosiluranti era
unita con rimorchio alla poppa del Maestrale (l’Animoso lo era invece a prua) per
cooperare con l’Animoso nel
governo in rotta, dato che il Maestrale
non aveva più il timone. L’inusuale convoglio procedeva a 4-5 nodi – di più,
date le condizioni del Maestrale, non
si poteva fare –, con buone condizioni meteorologiche.
Intorno alle 8.30
l’ecogoniometro della Procellaria rilevò
qualcosa che il suo comandante ritenne essere un sommergibile, dunque la
corvetta lasciò la formazione, eseguì un giro lanciando di cariche di
profondità e poi riassunse la sua posizione. Dato che appena due giorni prima
la Procellaria, diretta a
Biserta (dov’era giunta nel pomeriggio del 29 gennaio), era transitata sulla
medesima rotta in direzione opposta, il comandante della corvetta riteneva che
con buona probabilità non vi dovessero essere mine.
Si sbagliava: proprio
la notte successiva, il 30 gennaio, il posamine britannico Welshman (capitano di fregata
William Howard Dennis Friedberger) aveva posato uno sbarramento di ben 158 mine
proprio in quelle acque.
Alle 9.30 la Procellaria, avendo rilevato nuovi echi
all’ecogoniometro – il comandante Volpe credeva ancora che fosse un sommergibile
– uscì nuovamente di formazione, lanciò bombe di profondità e domandò poi
al Maestrale se dovesse
continuare la caccia. Dal cacciatorpediniere fu risposto di riprendere il suo
posto nella formazione, e di fare attenzione, perché la presenza di mine non andava
esclusa: anche gli ecogoniometri delle altre navi avevano iniziato a rilevare
dei contatti. L’incubo da cui il Maestrale
era faticosamente uscito tre settimane prima era ricominciato.
Alle 10.30, infatti,
un’improvvisa esplosione subacquea sollevò una grossa colonna d’acqua tra Maestrale ed Animoso: la catena di rimorchio tesa tra le due navi si era
impigliata in una mina, che era esplosa, spezzandola. Ora non c’erano più
dubbi: il convoglio era finito in un campo minato. Si concluse poi che le mine
del campo minato dovevano essere state posate a profondità variabili, dato che
la mina che aveva spezzato la catena aveva lasciato passare indenne il Maestrale, mentre aveva tranciato la
catena, la quale evidentemente raggiungeva una profondità maggiore del
pescaggio del cacciatorpediniere.
Sulla Procellaria, nel frattempo, la
situazione stava divenendo sempre più allarmante: la corvetta comunicò al Maestrale che il suo ecogoniometro
rilevava ormai mine in tutte le direzioni. Il comandante Volpe valutò a fondo
le indicazioni fornite dall’ecogoniometro e ritenne che a poppa si trovasse una
zona libera, quindi ordinò macchine indietro nel tentativo di uscire, a marcia
indietro, dal campo minato. La speranza di poterne uscire fu spezzata dopo
pochi attimi, quando, alle 11.19, la Procellaria urtò
una mina a poppa estrema, 24 miglia a nordovest di Capo Bon.
La situazione apparve
subito seria, ma non tale da mettere la nave in immediato pericolo di
affondamento; dopo meno di mezzo minuto, però, la corvetta urtò un’altra mina,
che devastò la poppa. Venne dato l’ordine di abbandonare la nave.
Non appena si avvide
di quanto accaduto alla Procellaria,
il comandante Bedeschi ordinò alle motozattere di soccorrere l’equipaggio della
corvetta, che intanto affondava lentamente di poppa. Fu possibile recuperare 98
dei 119 uomini imbarcati sulla Procellaria;
il relitto semisommerso della corvetta, con la sola prua estrema
affiorante, continuò a galleggiare fino alle 14.30, quando s’inabissò nel punto
37°20’ N e 10°37’ E.
Come se non bastasse,
la torpediniera Generale Marcello
Prestinari (tenente di vascello Agostino Caletti), uscita da Biserta per
tentare di prendere a rimorchio la Procellaria
(l’ammiraglio Bianchieri, a Biserta, aveva sperato di replicare il successo del
salvataggio del Maestrale di tre
settimane prima, dato che la corvetta in un primo momento era sembrata restare
a galla), urtò a sua volta una mina e colò rapidamente a picco, con la perdita
di 84 uomini.
Prima di potersi dire
in salvo, Maestrale, Animoso ed il resto della scorta
dovettero ancora subire anche ripetuti attacchi aerei, ma almeno questi non
causarono nessun danno; alle 11 del 1° febbraio il Maestrale entrava finalmente nel porto di Trapani.
Il Maestrale in una foto scattata dalla torpediniera Pegaso durante il rimorchio da Trapani a Napoli, il 28 febbraio 1943 (Coll. Diego Dabinovic, via g.c. STORIA militare) |
Da Trapani il
cacciatorpediniere venne rimorchiato a Napoli, dove venne sottoposto ad
ulteriori riparazioni; terminati questi lavori, il 1° aprile 1943 il Maestrale lasciò Napoli, sempre a
rimorchio, per essere trasferito a Genova, dove avrebbe dovuto finalmente
essere sottoposto alla ricostruzione della poppa mutilata. In questo viaggio da
Napoli a Genova (che per altra fonte, però, sarebbe avvenuto nel febbraio 1943
anziché in aprile) il Maestrale era
accompagnato da un altro cacciatorpediniere, il Corazziere, anch’esso a rimorchio ed affetto da un problema uguale
ed opposto al suo: mentre al Maestrale
mancava la poppa, al Corazziere mancava
la prua, asportata da una bomba d’aereo durante un’incursione statunitense sul
porto di Napoli.
Il 3 aprile 1943 Maestrale e Corazziere giunsero a Genova, dove ebbero inizio i lavori di
ricostruzione della poppa del primo e della prua del secondo.
La poppa del Maestrale durante i lavori a Genova, aprile-maggio 1943 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
La vicenda del Maestrale ebbe nei mesi successivi
qualche strascico sotto forma di lunghe indagini e discussioni circa cosa
avesse causato l’esplosione che ne aveva asportato la poppa il 9 gennaio.
Nonostante il Corsaro fosse saltato
su mine nel tentativo di avvicinarsi al Maestrale,
infatti, il comandante Bedeschi continuò a lungo a sostenere che la sua nave
fosse stata silurata, adducendo a prova i rilievi eseguiti sullo scafo del Maestrale, che in effetti sembravano
fare pensare più ad un siluro che ad una mina. Da queste verifiche risultò che
la detonazione doveva essere occorsa al di sopra della linea degli assi
portaeliche, e sicuramente contro il timone e le sue appendici, il che sembrava
escludere la possibilità di una mina, che non avrebbe dovuto poter urtare lo
scafo in un punto così “alto” (si riteneva all’epoca che le mine non fossero
posate a profondità inferiori a quattro metri). Supermarina consultò in merito
il Comitato Progetti Armi Navali, che il 3 febbraio 1943 (dispaccio n. 399 R P)
rispose che, anche se le asserzioni del comandante Bedeschi sembravano in
effetti logiche e verosimili, non era possibile escludere con certezza che la
nave avesse urtato una mina regolata per una profondità particolarmente bassa,
la quale poteva aver urtato lo scafo al di sopra degli assi delle eliche in
circostanze “speciali, ma non impossibili”. Il 3 aprile 1943 Supermarina decise
di troncare la discussione stabilendo che il danneggiamento del Maestrale dovesse considerarsi come
causato da mina, dato che né dai bollettini dell’Ammiragliato britannico né dai
servizi informazioni risultava che sommergibili britannici operassero nella
zona in cui il Maestrale era rimasto
danneggiato intorno al 9 gennaio 1943. Oggi, infatti, è praticamente certo che
il Maestrale abbia urtato una delle
mine del citato sbarramento dell’Abdiel.
Il libro "La guerra di mine" dell’U.S.M.M. attribuisce la particolare
insistenza del comandante Bedeschi sulla questione a ragioni di ordine
psicologico: «…poiché il combattente è spiritualmente restio ad ammettere di
essere soggetto al caso, egli è portato ad apprezzare un’esplosione subacquea
piuttosto come dovuta ad un’arma lanciatagli dal nemico col quale combatte, che
non ad un’insidia inerte, contro la quale nulla può il suo spirito combattivo.
Egli, insomma, preferisce che si dica “è stato silurato” anziché “è andato
sulle mine”».
Due foto
del Maestrale in bacino di carenaggio
a Genova, durante i lavori di riparazione, il 24 agosto 1943 (sopra: g.c.
STORIA militare; sotto: foto Aldo Fraccaroli via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)
Tutti gli sforzi ed
il sangue versato per salvare il Maestrale
furono, alla fine, del tutto vani: quando venne annunciato l’armistizio tra
l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, il cacciatorpediniere si trovava
ancora in riparazione a Genova, ben lungi dal completamento dei lavori (per
altra fonte, invece, di lì a pochi giorni avrebbe potuto eseguire le prove a
mare; ma in ogni caso non era ancora in condizione di muovere).
Le forze tedesche
giunsero alle porte di Genova, la cui difesa territoriale poteva contare
soltanto su due battaglioni male armati, alle quattro del mattino del 9 settembre,
ed entro le sei i tedeschi avevano già bloccato gli accessi al porto e stavano
procedendo all’occupazione dei cantieri navali.
L’ammiraglio di
divisione Carlo Pinna, comandante di Marina Genova e comandante superiore del
porto di Genova, aveva già provveduto a disporre la messa in atto delle
disposizioni ricevute da Roma: partenza di tutte le navi mercantili e militari
in efficienza verso porti Alleati o comunque liberi dai tedeschi,
autoaffondamento delle unità militari non efficienti, sabotaggio delle unità
mercantili non efficienti, comunicazione al Comando Marina tedesco di far
uscire dal porto le navi tedesche. Alle 8.30 del 9 gli ordini erano stati
eseguiti; l’ammiraglio Pinna radunò il personale da lui dipendente, fece
distruggere gli archivi segreti e lasciò liberi i suoi uomini di andarsene.
Pinna stesso, per evitare di essere catturato, lasciò Genova alle dieci (era
stato autorizzato a farlo alle sette da Supermarina, nella persona
dell’ammiraglio Sansonetti, essendo la situazione a Genova del tutto
compromessa) e raggiunse la Toscana, dove si sarebbe in seguito unito alla
Resistenza.
Non essendo in grado
di prendere il mare, il 9 settembre il Maestrale
dovette essere autoaffondato nel porto di Genova per non cadere in mano
tedesca.
L’equipaggio del Maestrale si disperse, andando incontro
alla difficile sorte di tanti militari italiani in quel difficile periodo: alcuni
entrarono a far parte della Resistenza partigiana; ci fu, con ogni probabilità,
chi venne catturato dai tedeschi e deportato in Germania; chi riuscì a tornare
a casa; qualcuno, forse, aderì invece alla Repubblica di Salò.
Singolare, a questo
proposito, la sorte del capitano di vascello Nicola Bedeschi: all’armistizio
egli non era più comandante del Maestrale,
dato che, con la sua nave fuori combattimento per i mesi a venire, nella
primavera del 1943 gli era stato affidato invece il comando del
cacciatorpediniere FR 21, ex francese
Lion, autoaffondatosi a Tolone nel
novembre 1942 ma recuperato e riparato dalla Marina italiana. All’atto
dell’armistizio anche l’FR 21,
proprio come il Maestrale, si trovava
ai lavori (a La Spezia), e proprio come il Maestrale
dovette autoaffondarsi il 9 settembre 1943. Bedeschi, rimasto in Liguria, fu
tra i pochi ufficiali superiori della Marina italiana ad aderire alla
Repubblica Sociale Italiana; la coincidenza singolare sta nel fatto che egli
divenne uno dei collaboratori del sottosegretario alla Marina della RSI, il
capitano di vascello Ferruccio Ferrini (nominato sottosegretario il 26 ottobre
1943, in sostituzione dell’ammiraglio Antonio Legnani, primo detentore di tale
carica, che era deceduto in un incidente d’auto), che era stato in precedenza
(col grado di capitano di fregata) comandante del cacciatorpediniere Corsaro nel gennaio 1943, quando il Maestrale di Bedeschi era stato
danneggiato dalle mine ed il Corsaro
di Ferrini era affondato nel tentativo di assisterlo (Ferrini era stato tra i
pochi superstiti, raggiungendo la costa tunisina aggrappato ad un rottame).
Ora, a mesi di distanza, le loro sorti si incrociavano nuovamente, in
circostanze che solo pochi mesi prima sarebbero state inimmaginabili. Bedeschi
si ritrovò coinvolto nei contrasti tra Ferrini ed il comandante della X
Flottiglia MAS repubblicana, Junio Valerio Borghese, del quale Ferrini non
tollerava l’effettiva autonomia ed indipendenza quando Borghese – sulla carta –
avrebbe dovuto essere suo sottoposto; inviato da Ferrini presso il comando
della X MAS, con l’intento di esautorare di fatto Borghese, Bedeschi suscitò
col suo operato gravi attriti e malcontento tra i ranghi della X MAS, finendo
il 9 gennaio 1944 con l’essere da questi disarmato, arrestato e consegnato alla
G.N.R. e poi alla Polizia Repubblicana, venendo liberato dopo una settimana. La
diatriba sarebbe poi culminata con l’arresto di Borghese da parte della GNR, la
sua liberazione dopo probabile intervento tedesco, e la destituzione di Ferrini
dal ruolo di sottosegretario della Marina della RSI.
Meno convoluta, ma
più tragica, fu la sorte di altri marinai del Maestrale. Mentre in tre anni di asperrima guerra sul mare,
scortando decine di convogli, posando mine, scontrandosi con aerei e
sommergibili, il Maestrale non aveva
mai perduto un solo uomo del proprio equipaggio – caso più unico che raro, per
una nave impiegata tanto intensamente –, sei uomini del Maestrale (Bartolomeo Biancheri, Guido Corsi, Remo Costanzo,
Galliano Milocco, Nicolò Riggio e Bruno Scoffo) trovarono la morte dopo
l’armistizio, nell’Italia occupata da contrapposti eserciti stranieri,
dilaniata dalla lotta tra partigiani e repubblichini, devastata dai
bombardamenti e dalla miseria.
Il marinaio
cannoniere Remo Costanzo, da Caluso, divenne partigiano nella zona di Settimo
Torinese; cadde in azione il 17 luglio 1944, insieme ad un altro partigiano, in
un attacco contro un drappello delle Brigate Nere.
Il sottocapo
meccanico Galliano Milocco, di San Vito al Torre, venne deportato in Germania e
morì il 30 settembre 1944 nel campo di concentramento di Flossenburg.
Il sottocapo
elettricista Bruno Scoffo, da Venezia, morì in Italia il 1° ottobre 1944, in
circostanze che non si sono in questa sede riuscite ad accertare.
Il marinaio
cannoniere Guido Corsi, di Borgo San Lorenzo, divenne partigiano, caposquadra nelle Squadre
d'Azione Patriottica (SAP) operanti a La Spezia (in questa città numerosi
militari, soprattutto della Marina, dopo l'armistizio avevano dato vita ad una
"Organizzazione clandestina militare e patriottica" che si era poi
trasformata in una S.A.P. aderente alla Colonna Giustizia e Libertà, formazione
partigiana operante nello Spezzino e nella Lunigiana). Dopo aver organizzato
con successo l'evasione di quattro prigionieri dalla caserma delle Brigate Nere
di via XX Settembre a La Spezia, Corsi venne a sua volta catturato e lungamente
torturato; per scongiurare il rischio di cedere e fare nomi, cercò di uccidersi
gettandosi dal terzo piano dell'edificio in cui era detenuto. Non morì sul
colpo, ma venne finito a colpi di pistola da un brigatista nero mentre veniva
trasportato in ospedale.
Il marinaio fuochista
Bartolomeo Biancheri, da Bordighera, divenne anch'egli partigiano col nome di
battaglia “Bertù”; divenuto comandante di un nucleo della V Brigata della 2a
Divisione Garibaldi "Felice Cascione", operante non lontano dal suo
paese natale, venne catturato dai repubblichini durante un rastrellamento nel
marzo 1945, e fucilato al Forte San Paolo di Ventimiglia, insieme al fratello
Ettore e ad altri sei partigiani, il 21 marzo 1945.
Il marinaio
cannoniere Nicolò Riggio, da Marsala, morì in Italia il 12 gennaio 1946, a
guerra finita, per cause riconducibili alla guerra (presumibilmente i postumi
di ferite o malattie contratte in servizio od in prigionia).
Il relitto del Maestrale venne quasi subito recuperato
dai tedeschi, i quali tuttavia non tentarono nemmeno di ripararlo, ed anzi iniziarono a smantellarlo. Secondo alcune fonti, nell’aprile del 1945, poco prima della liberazione,
i tedeschi stessi affondarono nuovamente il cacciatorpediniere nel porto di
Genova, vicino al lato interno del frangiflutti, davanti al Ponte Eritrea (per
altra fonte, probabilmente erronea, dopo il suo recupero da parte tedesca il Maestrale venne affondato da un
bombardamento aereo Alleato sul capoluogo ligure nell’aprile del 1944); la carcassa del Maestrale sarebbe stata recuperata nel 1946-1947 e
subito demolita.
Secondo altra fonte, invece, non risulterebbe che dopo il 1945 vi fosse traccia, a Genova, di un relitto del Maestrale, il che potrebbe significare che la demolizione della nave fu portata a termine già durante il periodo dell'occupazione tedesca.
Secondo altra fonte, invece, non risulterebbe che dopo il 1945 vi fosse traccia, a Genova, di un relitto del Maestrale, il che potrebbe significare che la demolizione della nave fu portata a termine già durante il periodo dell'occupazione tedesca.
Un’altra immagine del Maestrale (Coll. Aldo Fraccaroli, da “La rotta insanguinata” di Mario Miccinesi) |
Probabilmente venne demolito già durante il periodo dell'occupazione tedesca perché non risulta nessun relitto del MAESTRALE recuperato a Genova dopo il 1945
RispondiEliminaGrazie per l'informazione: provvedo ad aggiungerla.
EliminaBuonasera, sono la figlia del secondo capo silurista raffigurato in una foto e sono un po' commossa nel vederlo, giovane, su Internet...Posso chiedere da quali archivi ha ricavato tutte queste dettagliatissime informazioni e foto? Grazie
RispondiEliminaBuonasera, le informazioni provengono da varie fonti, libri (indicati nella sezione 'Fonti' del sito) e siti (linkati in fondo alla pagina); le fotografie dell'equipaggio, in questo caso, sono state gentilmente fornite da Alberto Villa, figlio del guardiamarina Vittorio Villa, che fu imbarcato per un periodo sul Maestrale.
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