Il piroscafo misto Aventino
(3794 tsl, costruito nel 1907, della Società Anonima di Navigazione Tirrenia e
requisito dalla Regia Marina) fu
tra le navi affondate nello scontro del banco di Skerki (o Sherki) del 2
dicembre 1942, nel quale fu distrutto il convoglio “H”.
Il convoglio,
composto dall’Aventino, dal traghetto
Aspromonte (che si era aggregato alle
15.30 uscendo da Trapani), dalla motonave Puccini
e dal trasporto militare tedesco KT 1
con la scorta dei cacciatorpediniere Nicoloso
Da Recco (caposcorta), Folgore e Camicia Nera e delle torpediniere Procione e Clio, aveva lasciato Palermo per Biserta alle 10 del 1° dicembre,
trasportando 1766 militari appartenenti in massima parte alla Divisione
“Superga” (distribuiti più o meno equamente Aventino
e Puccini), 698 t di munizioni e
rifornimenti sul KT 1, 32 automezzi,
quattro carri armati e 12 cannoni. I mercantili erano disposti su due file, l’Aventino seguito dall’Aspromonte a sinistra, la Puccini seguita dal KT 1 a dritta; esternamente al convoglio, su due file, il Da Recco a proravia a sinistra, la Procione a proravia a dritta, la Clio a sinistra alla stessa altezza
dell’Aspromonte ed il Camicia Nera a dritta alla stessa
altezza del KT 1, mentre il Folgore procedeva a poppavia del
convoglio, dietro i mercantili). L’Aventino
era carico di truppe ed in totale aveva a bordo circa 1100 uomini, tra cui
molti nuovi radiotelegrafisti che avrebbero dovuto partecipare ad una sorta di
corso durante il viaggio, prima di essere assegnati ai loro reparti in Africa.
Il servizio di
decrittazione britannico “Ultra” intercettò però i messaggi riguardanti il
convoglio, ed ad attaccarlo fu inviata da Bona la Forza Q, una formazione
britannica al comando del viceammiraglio C. H. J. Harcourt e composta dagli
incrociatori leggeri Aurora, Sirius ed Argonaut e dai cacciatorpediniere Quiberon e Quentin.
Poco dopo la
mezzanotte il Da Recco (caposcorta,
al comando del capitano di vascello Aldo Cocchia), per spostare il convoglio di
circa tre miglia verso sud (una misura precauzionale in vista di un possibile
attacco da parte di navi di superficie) ordinò dapprima di accostare di 90° a
sinistra alle 00.05 e poi di 00.17 di riaccostare a dritta per tornare sulla
rotta precedente (245°), e ciò causò una collisione tra la Puccini, che non aveva ricevuto l’ordine causa la radio
malfunzionante, e l’Aspromonte,
causando pochi danni ma molta confusione. L’Aventino,
invece, eseguì le manovre e si venne a trovare circa un chilometro a poppavia
del Da Recco, ed in vista di tale
unità.
Pochi minuti più
tardi, alle 00.37 del 2 dicembre, il convoglio venne attaccato dalla Forza Q al
largo del banco di Skerki (nelle acque della Tunisia). Lo scontro, in
condizioni di drammatica disparità, durò un’ora, tutti i mercantili ed il Folgore vennero affondati, mentre Da Recco e Procione subirono gravi danni.
L’Aventino
(comandante civile capitano di lungo corso Giovanni Duili, comandante militare
capitano di corvetta richiamato Pietro Bechis), che alle 00.38 aveva iniziato
ad accostare sulla sinistra per invertire la rotta come ordinato dal Da Recco, venne poco dopo illuminato da
un proiettore di un’unità britannica, e subito dopo, dalle 00.46, divenne il bersaglio di violento, e preciso,
fuoco d’artiglieria da parte dell’Aurora
(da 3600 m) e dell’Argonaut.
Il comandante Bechis, vedendo sulla sinistra
un’unità nemica (probabilmente l’HMCS Quiberon)
con rotta che sarebbe divenuta convergente, fece interrompere l’accostata ed
assumere rotta approssimativamente parallela a quella della Forza Q, ma il
piroscafo, che poté rispondere al fuoco solo con le sue mitragliere, nel giro
di qualche minuto venne devastato, la plancia venne colpita falciando i
presenti, la sala macchine, la sala radio, la trasmissione di manovra del
timone furono centrati. Gli scoppi dei proiettili provocò una carneficina tra i
circa 1100 uomini a bordo. L’Aventino
iniziò ad appruarsi ed a sbandare a sinistra, ed intorno alle 00.50 una
violenta esplosione a prora dritta (secondo “Navi mercantili perdute”) od a
centro nave (secondo “La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale”),
ritenuta essere dal comandante Bechis lo scoppio di un siluro (“Navi mercantili
perdute” riferisce come possibilità il siluro oppure lo scoppio di una caldaia
colpita da un proiettile), accelerò l’appruamento. Il siluro era stato lanciato
dall’Argonaut (che lanciò un siluro
all’1.00 contro una nave in fiamme, che ritenne di aver colpito a sinistra) o
dal Sirius (che lanciò un siluro
contro un mercantile, ritenendo di averlo colpito, all’1.02).
Una foto colorizzata dell’Aventino con l’originario nome di Baron Beck ed i colori del Lloyd Austriaco a Trieste (g.c. Rosario Sessa).
|
Alle 00.55 circa (l’orario è discordante rispetto a
quelli indicati dalle unità britanniche per i siluramenti, come spesso avveniva)
il piroscafo s’inabissò in posizione 37°40'
Nord e 11°15' Est (secondo “Navi mercantili perdute”, invece, la nave affondò
all’1.30 in posizione 37°43’ N e 11°16’ E, cinque miglia ad ovest del banco di
Skerki, ma l’orario dev’essere errato), impennando la poppa (secondo la
motivazione per il conferimento della medaglia d’argento al v.m. al comandante
Bechis, invece, spezzato in due), trascinando con sé la gran parte delle truppe
stipate nei locali inferiori, che non ebbero il tempo di raggiungere la
coperta. Il comandante civile Duili affondò con la nave, il comandante militare
Bechis, pur gravemente ferito, si salvò abbandonando la nave per ultimo (venne
tratto in salvo dopo oltre dieci ore in acqua, gravemente dissanguato). Il
direttore di macchina Bartolomeo Portolan, dalmata come il comandante Duili ed
anch’egli ferito gravemente, rimase a bordo per tentare di organizzare il
salvataggio di truppe ed equipaggio e come il capitano Duili s’inabissò con la
nave. I naufraghi, parecchi dei quali feriti, rimasero in acqua per tutta la
notte e parte del giorno successivo, aggrappati a rottami galleggianti. I primi
soccorsi giunsero solo alle 9.10 del 2 dicembre, da parte delle torpediniere Perseo e Partenope (che avevano raggiunto il luogo dello scontro su
iniziativa del comandante della sezione), che proseguirono la loro opera di
salvataggio sino alle 14: la Perseo
recuperò 150 naufraghi dell’Aventino,
che trasbordò poi sulla nave soccorso Capri
frattanto inviata, e la Partenope,
insieme ai sopravvissuti del Folgore,
trasse in salvo altri dieci superstiti dell’Aventino.
Il cacciatorpediniere Antonio Da Noli,
giunto nell’area alle 13 dopo aver dato assistenza al Da Recco, salvò altri dieci sopravvissuti dell’Aventino; la nave soccorso Laurana,
sopraggiunta alle 11, proseguì le ricerche anche nella notte successiva e
rientrò alla base nelle prime ore del 3 dicembre, dopo aver tratto in salvo gli
ultimi 133 naufraghi, provenienti sia dall’Aventino
che dalla Puccini.
I morti dell’Aventino
furono almeno 800, forse più di 900 (dei 1766 militari imbarcati su questa nave
e sulla Puccini, solo 239
sopravvissero). Molti corpi vennero gettati dalle onde sulle spiagge delle
Egadi e della Sicilia occidentale a più di un mese di distanza dal disastro.
Motivazione della Medaglia di bronzo al valor
militare, sul campo, conferita alla memoria del capitano di lungo corso
Giovanni Duili:
“Primo
ufficiale di piroscafo mercantile, al secondo anno del conflitto 1940-1943,
partecipava a numerose e pericolose navigazioni in convoglio, dimostrando
coraggio e perizia professionale. Nel terzo anno del citato conflitto, quale
comandante di piroscafo requisito, effettuava difficili missioni di guerra fino
a che, colpita la nave da siluro avversario, scompariva in mare lasciando
esempio di elevato sentimento del dovere.” (Mediterraneo, 5 novembre
1941-28 aprile 1942 e 14 agosto 1942-18 febbraio 1943)
Motivazione della Medaglia d’argento al valor
militare conferita al capitano di corvetta Pietro Bechis, nato a Genova il 22
dicembre 1887:
“Comandante
militare di piroscafo navigante in convoglio attaccato in ore notturne da
soverchianti forze di superficie avversarie, manovrava prontamente per evitare
il concentramento del tiro sulla propria unità. Gravemente ferito in più parti
del corpo, mentre intorno a lui cadeva tutto il personale della plancia, dava
pronte disposizioni per il salvataggio dell’equipaggio. Abbandonava la nave per
ultimo e solo dopo che questa – colpita anche da siluro – affondava spezzata in
due. Naufrago, durante oltre dieci ore sottoposto a gravissimo dissanguamento,
dava prova di eccezionale forza d’animo che non gli veniva meno anche quando –
trasportato finalmente in salvo – veniva sottoposto a dolorose operazioni
chirurgiche. Esempio di non comune coraggio ed elevatissimo sentimento del
dovere.” (Canale di Sicilia, 2 dicembre 1942)
L’Aventino sbarca truppe nelle bocche di Cattaro, nel 1941 (g.c. Mauro Millefiorini).
|
La nave in tempo di pace, con la livrea della Tirrenia (g.c. Rosario Sessa).
|
I FALLITI ATTACCHI DEL CACCIATORPEDINIERE “CAMICIA NERA”
RispondiEliminaSulle manovre di attacco del cacciatorpediniere Camicia Nera, durante la difesa del convoglio “Aventino”, riportiamo il sunto di quanto è scritto nei siti Accademia EDU e Forum AIDMEN, compilato sulla scorta dei documenti britannici riguardanti la Forza Q e dei rapporti di Supermarina e delle unita navali italiane partecipanti all’episodio.
Francesco Mattesini
Alle 04.43 l’incrociatore Argonaut (capitano di vascello E.W.C. Langley-Cook), terza nave nella linea di fila della Forza Q, aprì il fuoco contro un cacciatorpediniere, probabilmente il Camicia Nera che stava manovrando per l’attacco silurante, e che, inquadrato da diverse salve, secondo i britannici si coprì di nebbia allontanandosi. E ciò avvenne quando anche l’Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew), la nave comando della Forza Q ( lo prese a bersaglio alle 04.46, scambiandolo però per una nave mercantile.
In realtà il Camicia Nera (capitano di fregata Adriano Foscari), la nave scorta più spostata verso nord nello schieramento difensivo del convoglio “Aventino”, dopo aver stretto le distanze dal nemico lanciò una salva di tre siluri, che non arrivarono a segno su un cacciatorpediniere della Forza Q, la quale stava compiendo una lenta accostata sulla dritta. Accostando anch’esso sulla dritta per assumere una rapida rotta di allontanamento, in modo da sottrarsi alla reazione nemica, il Camicia Nera fu inquadrato da numerose salve di otto colpi ciascuna: probabilmente di uno dei due incrociatori tipo “Dido”, armati con dieci cannoni, mentre l’Aurora (contrammiraglio Edward Venables-Vernon-Harcourt), la nave comando della Forza Q, ne aveva sei.
Appena terminata l’accostata, alle 00.45 il Camicia Nera, con il bersaglio che si stava allontanando, avendo avvistato una nave sull’altro lato (il sinistro) rispetto a quello in cui si trovavano le navi della Forza Q, che manovravano sempre in linea di fila, ingannato dalla sagoma di una nave con due fumaioli inclinati e ritenendo di aver di fronte un altro incrociatore, dell’inesistente tipo “Emerald”, lanciò sulla dritta gli altri suoi tre siluri, ma anch’essi, fortunatamente, non arrivarono a segno, perché si trattava in realtà del cacciatorpediniere capo scorta Da Recco, i cui due fumaioli erano anch’essi inclinati.
Fortunatamente i siluri del Camicia Nera non colpirono il Da Recco, ma quest’azione, ancora oggi considerata da storici e addetti ai lavori di grande abilita combattiva, fu all’epoca molto apprezzata negli ambienti navali italiani e dal Comando Supremo, tanto che al comandante Foscari, con l’approvazione di un entusiasta Mussolini, fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Dopo il secondo attacco il cacciatorpediniere del comandante Foscari manovrò per rotte varie, ma non ebbe più occasione di ritrovare il nemico, e nella ricerca con rotta 50°, assunta alle 01.14, uscì dall’area del combattimento.