venerdì 21 settembre 2018

Euro

L’Euro a La Spezia negli anni Trenta (g.c. STORIA militare)

Cacciatorpediniere della classe Turbine (1220 tonnellate di dislocamento standard, 1560 in carico normale e 1715 a pieno carico). Durante la seconda guerra mondiale fu inizialmente impiegato, dal 1940 all’estate del 1942, principalmente in missioni di scorta tra l’Italia e l’Africa Settentrionale, mentre tra la seconda metà del 1942 ed il 1943 operò soprattutto in Egeo, specie nella zona dei Dardanelli, sempre con compiti di scorta convogli.
In tutto svolse 162 missioni di guerra, percorrendo complessivamente 47.855 miglia e trascorrendo 4011 ore in mare. Fu l’ultimo cacciatorpediniere italiano ad andare perduto per azione di guerra nel secondo conflitto mondiale: il primo era stato, quaranta mesi prima, il gemello Espero.

Breve e parziale cronologia.

24 gennaio 1925
Impostazione nei Cantieri Navali del Tirreno di Riva Trigoso. È la seconda nave della classe Turbine ad essere impostata.
7 luglio 1927
Varo nei Cantieri Navali del Tirreno di Riva Trigoso.
Durante le prove in mare l’Euro toccherà una velocità massima di 38,9 nodi, anche se in condizioni operative la velocità massima effettiva risulterà attorno ai 33 nodi.


 Il varo dell’Euro (sopra: Coll. Luigi Accorsi, da www.associazione-venus.it; sotto: dal “Riva Trigoso. Il cantiere e la sua storia” di Edoardo Bo, via Franco Lena e www.naviearmatori.net)


22 dicembre 1927
Entrata in servizio. È la quinta unità della classe Turbine ad essere completata.

L’Euro ed il gemello Nembo a San Remo nel 1927 (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)

1929
Fa parte, con i gemelli Turbine, Nembo ed Aquilone, della II Squadriglia della 1a Flottiglia della I Divisione Siluranti, facente parte della 1a Squadra Navale, di base a La Spezia. Nei primi anni Trenta la II Squadriglia compie crociere addestrative nel Mediterraneo.
Maggio 1929
L’Euro fa parte di una squadra navale italiana, al comando dell’ammiraglio Ferdinando di Savoia-Genova (principe di Udine), che salpa da La Spezia e si reca in visita a Barcellona.


A La Spezia nel 1930 (foto Ugo Pucci, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

1931
Insieme ai gemelli Zeffiro, Espero e Nembo, all’esploratore Ancona ed a due flottiglie di cacciatorpediniere (rispettivamente quattro e sei unità, più un esploratore ciascuna), l’Euro forma la II Divisione della 1a Squadra Navale.
1932 o 1933
Viene dotato, tra i primi, di una centralina di tiro tipo «Galileo-Bergamini», progettata dal capitano di vascello Carlo Bergamini, comandante della I Squadriglia Cacciatorpediniere di cui l’Euro fa parte (le altre unità sono Nembo, Turbine ed Aquilone). Le navi della squadriglia compiono un intensivo addestramento con la nuova centrale di tiro; tale addestramento ha come il risultato la formazione di equipaggi esperti e qualificati, e la decisione, visti i risultati positivi dell’impiego di tale apparecchiatura, di imbarcare altre centraline di tiro «Galileo-Bergamini» su numerose altre unità.


Un’altra foto dell’Euro nel 1930 (Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

1933
Presta servizio sull’Euro il sottocapo macchinista Tullio Tedeschi, futura Medaglia d’Oro al Valor Militare.
1934
Euro, Nembo, Turbine ed Aquilone formano la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IV Squadriglia (Espero, Borea, Ostro e Zeffiro), è aggregata alla II Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Fiume e Gorizia.

L’Euro nel 1935 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

1935-1937
Posto in riserva.
1937
Viene impiegato nel contrasto al contrabbando di rifornimenti per le forze spagnole repubblicane, durante la guerra civile spagnola.

L’Euro ed il Nembo in una foto datata 15 febbraio 1938 (Naval History and Heritage Command, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

1938
Dislocato nelle acque della Cirenaica e della Tripolitania.

Il complesso poppiero da 120 mm dell’Euro nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

1939-1940
Lavori di modifica dell’armamento: vengono sbarcate le due mitragliere singole Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm, mentre vengono installate quattro mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due scaricabombe per bombed i profondità. (Per altra fonte la nave avrebbe avuto originariamente tre mitragliere Vickers/Terni da 40/39 mm, una a poppa e due a centro nave, in plancette collocate ai lati; la mitragliera di poppa sarebbe stata eliminata nel 1939 e sostituita con due mitragliere binate da 13,2 mm – una al posto di quella da 40/39, l’altra in una plancetta in posizione centrale – mentre le altre due sarebbero state eliminate nel 1942 e rimpiazzate con altrettante mitragliere binate da 20 mm. Per fonte ancora differente l’armamento contraereo nel 1942 sarebbe stato composto da 7 mitragliere da 20/65 mm, in due impianti binati e tre singoli).


L’Euro nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

Primavera 1940
Dislocato a Tobruk. Dal marzo 1940 la I Squadriglia Cacciatorpediniere, di cui l’Euro fa parte, ha base in tale porto.
6 giugno 1940
L’Euro e le altre unità della I Squadriglia Cacciatorpediniere posano 6 campi minati difensivi antinave, di 40 mine ciascuno (160 in tutto), nelle acque di Tobruk.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. L’Euro (capitano di corvetta Michele Morisiani, da Napoli), insieme ai gemelli Turbine (caposquadriglia), Nembo ed Aquilone, forma la I Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Tobruk ed alle dipendenze di Marina Tobruk.
17 giugno 1940
L’Euro esce da Tobruk per compiere alcune prove di macchina; in tutto rimane in mare per meno di tre ore, prima di rientrare in porto.
Durante questo lasso di tempo, l’Euro viene avvistato dal sommergibile britannico Parthian (capitano di corvetta Michael Gordon Rimington), in pattugliamento al largo di Tobruk: questi avvista un cacciatorpediniere “classe Nembo” che sembra incrociare avanti e indietro ad una velocità stimata di oltre 30 nodi. La distanza è di 7,3-8,2 km; il Parthian tenta di avvicinarsi per attaccare, ma non vi riesce.
19 giugno 1940
Nel pomeriggio, l’Euro cede parte delle sue bombe di profondità al gemello Turbine, intento a dare la caccia ad un sommergibile britannico – è sempre il Parthian – che alle 12.43 ha infruttuosamente lanciato due siluri contro l’incrociatore corazzato San Giorgio, ancorato in rada a Tobruk con funzione di nave antiaerei. In una prima serie di attacchi, il Turbine ha lanciato tutte le sue cariche di profondità; non essendo convinto di aver affondato il sommergibile, pur avendo avvistato quella che sembra una chiazza di nafta (in realtà, infatti, il Parthian non ha subito danni, perché le bombe sono esplose lontane), il comandante del cacciatorpediniere ha deciso di rientrare in porto per rifornirsi di bombe di profondità prelevate dall’Euro, per poi uscire nuovamente e riprendere la caccia. In questo lasso di tempo, però, il Parthian riesce ad allontanarsi e far perdere le proprie tracce.
4 luglio 1940
Mentre l’Euro si trova a Tobruk, ormeggiato in rada alla boa A2 (nella parte occidentale della rada), dalle 10 alle 11.15 del mattino la piazzaforte è messa in allarme perché sorvolata da un idrovolante da ricognizione Short Sunderland, che tenendosi in quota (1500-2000 metri) effettua diversi passaggi sulla rada nel giro di una decina di minuti, inutilmente bersagliato dal tiro della contraerea, scattando numerose foto, dopo di che si allontana verso nordest.
Il Sunderland appartiene all 228th Squadron della Royal Air Force ed è decollato dall’idroscalo di Alessandria d’Egitto, per vagliare l’opportunità di lanciare un attacco di aerosiluranti contro il naviglio in rada a Tobruk: ed in effetti le foto scattate, e le informazioni rilevate dall’idrovolante, mostrano ai comandi britannici che il porto di Tobruk è gremito di navi, offrendo agli attaccanti solo l’imbarazzo della scelta in termini di bersagli: oltre all’Euro, infatti, ci sono ben cinque altri cacciatorpediniere (Turbine, Nembo, Ostro, Aquilone, Zeffiro), tutti della classe Turbine; i piroscafi Sabbia (usato temporaneamente come nave caserma per gli equipaggi dei cacciatorpediniere), Sereno, Serenitas, Liguria e Manzoni (tutti scarichi ed in attesa di tornare in Italia); il vecchio incrociatore corazzato San Giorgio, impiegato come unità antiaerea in appoggio alle difese terrestri; sette sommergibili e svariate unità minori. A parte i sommergibili ed il Turbine, che sono ormeggiati in banchina, tutte le navi si trovano in rada; i piroscafi formano una fila più o meno al centro della rada (nell’ordine Sereno, Sabbia, Liguria, Serenitas e Manzoni, da ovest verso est), con lo Zeffiro affiancato al Sabbia, mentre Aquilone, Nembo ed Ostro sono anch’essi ormeggiati “in fila”, alle boe, nella parte meridionale della rada. L’Euro è ormeggiato in disparte, un po’ più ad ovest della fila del piroscafi, con la prua rivolta verso nord anziché (come quasi tutte le altre navi) verso est o verso ovest.
Sulla scorta di queste informazioni il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, ordina per l’indomani un attacco di aerosiluranti contro Tobruk. L’attacco sarà soltanto la componente principale di un’operazione complessa articolata su più punti: sono infatti previsti anche il contemporaneo bombardamento dell’aeroporto T2 di Derna (da parte di undici bombardieri Bristol Blenheim, scortati da dodici caccia Gloster Gladiator), allo scopo di impedire alla caccia italiana di intervenire, ed un’azione di bombardamento navale della piazzaforte di Bardia da parte della 3rd Cruiser Division del contrammiraglio Edward de Faye Renouf (incrociatori leggeri Caledon e Capetown, più i cacciatorpediniere Janus, Juno, Imperial ed Ilex), che avrà anche il compito secondario di dare assistenza agli aerosiluranti di ritorno dall’attacco a Tobruk (il Capetown dovrà facilitare il rientro degli aerei emettendo periodicamente segnali con il fanale di testa d’albero, ed i cacciatorpediniere verranno inviati in soccorso qualora qualche aereo, per danni o per avarie, sia costretto all’ammaraggio). Quest’ultimo sarà eseguito da nove aerosiluranti Fairey Swordfish dell’813th Squadron della Fleet Air Arm, assegnati alla portaerei Eagle ma dislocati al momento nella base egiziana di Dakheila, al comando del capitano di corvetta Nicholas Kennedy. Prima dell’attacco, un bimotore Bristol Blenheim del 211st Squadron R.A.F. compirà un ultimo volo di ricognizione per accertarsi che non vi siano stati mutamenti significativi nella situazione precedentemente osservata. Gli Swordfish, per compiere l’attacco, vengono trasferiti nel tardo pomeriggio dello stesso giorno da Dakheila alla base avanzata di Sidi el Barrani (in verità, più che una base una pista in terra battuta con i soli servizi minimi indispensabili), da dove decolleranno per l’attacco. È previsto che bersagli prioritari debbano essere i cacciatorpediniere, con le navi mercantili in subordine. L’attacco avrà luogo nella fase terminale del crepuscolo, quando le condizioni di luce saranno più sfavorevoli per gli italiani (che con l’arrivo del buio faticheranno ad avvistare gli aerei) ed invece ancora favorevoli per gli attaccanti britannici (la luminosità diffusa che caratterizza la conclusione del crepuscolo, infatti, sarà ancora sufficiente a permettere ai piloti di avvistare le navi italiane: essendo queste verniciate di color grigio cenerino chiaro – la mimetizzazione verrà adottata soltanto diversi mesi dopo –, esse saranno ben distinguibili contro il profilo scuro della costa).
5 luglio 1940
Nel primo pomeriggio un ricognitore Blenheim del 211st Squadron, come pianificato, decolla da Dakheila, raggiunge Tobruk e sorvola la rada per controllare la situazione, dopo di che rientra alla base; la disposizione delle navi, rispetto al giorno precedente, è immutata. Le informazioni raccolte dal Blenheim sono subito comunicate per telescrivente alla base di Sidi el Barrani, dove gli aerei destinati all’attacco sono in attesa; il capitano di corvetta Kennedy illustra ai suoi piloti il piano d’attacco ed assegna a ciascuno un bersaglio. Ricevuto alle 18, da Alessandria, l’ordine di dare inizio all’operazione, gli Swordfish decollano da Sidi el Barrani alle 18.50, preceduti di venti minuti dai Blenheim che dovranno attaccare l’aeroporto T2 (i quali invece partono da Dakheila), che devono raggiungere il loro obiettivo mezz’ora prima che gli aerosiluranti attacchino il porto (l’attacco, con mitragliamento degli aerei al suolo e bombardamento degli edifici della base, verrà eseguito in orario, ma causerà danni contenuti, limitandosi al danneggiamento di otto caccia FIAT CR. 42, parte dei quali poi riparati, ed a danni limitati alle installazioni a terra). Dopo il decollo i nove Swordfish salgono fino alla quota di 1500 metri e seguono la costa egiziana e poi libica verso Tobruk, distante circa 110 miglia. Arrivati nei pressi dell’obiettivo, effettuano una larga virata in modo da arrivare sulla rada di Tobruk provenendo dal mare; si dividono quindi in tre sezioni di tre aerei ciascuna, disposti a cuneo.
Il sole tramonta alle 19.21.
Gli Swordfish, sempre volando a 1500 metri di quota, arrivano davanti a Tobruk intorno alle 20.15, come previsto; la difesa italiana, messa sul chi va là dagli aerofoni di Bardia e di Belafarid, è in allarme dalle 20.06 ed accoglie gli attaccanti con un rabbioso tiro di sbarramento. Anche i cacciatorpediniere aprono il fuoco con le loro armi antiaeree, ma il loro campo di tiro è in parte ostruito dagli altri bastimenti ormeggiati in rada.
La reazione della contraerea è stata più sollecita di quanto i britannici avessero preventivato, pertanto gli Swordfish devono modificare la loro formazione per non presentarsi troppo concentrati ai mitraglieri italiani, e si devono “tuffare” rapidamente a bassa quota, per poi lanciare i siluri in rapida successione, uno dopo l’altro. Nonostante questo cambio di tattica all’ultimo momento, l’attacco degli Swordfish è preciso e devastante.
I siluri vengono sganciati da 400-500 metri di distanza, da una quota di una trentina di metri. Primo ad attaccare è il capo formazione, capitano di corvetta Kennedy: questi sgancia il suo siluro alle 20.20 contro lo Zeffiro, che viene colpito nel deposito munizioni prodiero ed affonda rapidamente spezzandosi in due, con la morte di 21 uomini.
Il secondo siluro è proprio per l’Euro: il secondo Swordfish ad attaccare (secondo una fonte, che però potrebbe essere erronea, pilotato dal sottotenente di vascello S. T. Tracy con i sergenti Taylor ed A. T. Cullinan come equipaggio), infatti, effettua la sua cOrsa d’attacco nella scia di Kennedy e sgancia il suo siluro contro l’Euro, bersagli più ad ovest di tutti, che viene colpito a prua, sul lato di dritta, proprio sotto l’ancora in quel momento appennellata. L’esplosione del siluro dilania la prua del cacciatorpediniere, troncando di netto il fuso dell’ancora ed aprendo un enorme squarcio che si estende anche al lato sinistro dello scafo; dato però che il siluro ha colpito a prora estrema, e le paratie prodiere – subito rinforzate dall’equipaggio – reggono bene, l’Euro mantiene la sua galleggiabilità. Nondimeno, si deciderà di portarlo ad incagliarsi su un bassofondale vicino alla darsena.
Anche gli altri Swordfish, subito dopo, vanno all’attacco: il terzo ed il quarto, a causa dello spazio ristretto in cui devono agire e del nutrito tiro contraereo dei cacciatorpediniere, rinunciano al lancio; il quinto, invece, colpisce il piroscafo Manzoni, che si abbatte su un fianco ed affonda rapidamente. Il sesto colpisce con un siluro il grande trasporto truppe Liguria, che dev’essere portato all’incaglio per evitarne l’affondamento (non sarà, però, mai disincagliato, andando perduto sei mesi più tardi alla caduta di Tobruk); il settimo e l’ottavo lanciano senza successo contro il piroscafo Sereno, grazie al forte tiro contraereo che impedisce loro di eseguire una corretta manovra di lancio, mentre il nono ed ultimo colpisce col suo siluro il piroscafo Serenitas, che viene anch’esso portato all’incaglio per scongiurarne l’affondamento (e, come il Liguria, non verrà mai disincagliato e sarà perduto nel gennaio 1941 alla caduta della città).
Compiuto l’attacco, gli Swordfish si allontanano per rientrare alla base. Atterreranno tutti a Dakheila verso le 22.30, come previsto; sono stati quasi tutti più o meno sforacchiati dal tiro della contraerea, ma nessuno è stato abbattuto. Alle 21.31, dato che gli aerofoni di Bardia e Belafarid hanno perso ogni contatto acustico con gli aerei, viene suonato a Tobruk il cessato allarme.
In uno degli attacchi aerosiluranti più riusciti della guerra del Mediterraneo, gli Swordfish hanno affondato due navi (Manzoni e Zeffiro) e danneggiato gravemente altre tre (Euro, Serenitas, Liguria, questi ultimi due di fatto perduti, in quanto gli eventi successivi ne impediranno il recupero). Da parte britannica, l’attacco è stato molto ben eseguito, mostrando un’eccellente coordinazione tra Royal Navy e Royal Air Force, un ottimo addestramento degli equipaggi degli aerosiluranti e la notevole manovrabilità e robustezza degli Swordfish, che ha dispetto dell’apparenza antiquata si sono rivelati in grado di manovrare abilmente in spazi ristretti e di resistere bene ai colpi subiti. Da parte italiana, la reazione della contraerea e soprattutto quella dei cacciatorpediniere (sui quali, come previsto dalle disposizioni vigenti, le mitragliere da 40/39 e da 13,2 mm erano mantenute costantemente armate), pur non ottenendo abbattimenti, è riuscita a costringere quattro aerei su nove (il terzo, quarto, settimo ed ottavo) a rinunciare ai lanci o a lanciare in modo affrettato ed impreciso, fallendo i bersagli. A determinare un esito così disastroso è stata soprattutto l’eccessiva concentrazione di navi in un solo porto, e la totale mancanza di reti parasiluri a loro protezione.



 L’Euro fotografato a Tripoli a inizio settembre 1940 (?), con i vistosi danni causati dal siluramento del luglio precedente (g.c. STORIA militare)


Particolare della prua dilaniata dell’Euro, sempre a Tripoli a inizio settembre 1940 (g.c. STORIA militare)

Luglio-Agosto 1940
Dopo aver provveduto a tamponare e rinforzare provvisoriamente le paratie stagne prodiere con i mezzi disponibili presso l’officina di Tobruk, l’Euro viene alleggerito del carburante, dell’armamento principale e delle relative munizioni e rimesso in condizioni di galleggiamento, per essere trasferito in Italia per le riparazioni.
Una parte dell’originario equipaggio dell’Euro, secondo una testimonianza (quella del marinaio Michele Sorrentino), è stata però sbarcata dopo il siluramento e rimane a Tobruk, integrando le difese della piazzaforte con alcune armi prelevate dalla nave. Questi uomini resteranno a Tobruk anche dopo la partenza dell’Euro per l’Italia e cadranno prigionieri dei britannici alla caduta di Tobruk, il 22 gennaio 1941, durante l’operazione "Compass", passando il resto della guerra nel grande campo di prigionia di Zonderwater (Sudafrica).
10 agosto 1940
Rimorchiato di poppa dal Turbine e scortato dalla torpediniera Calliope, l’Euro lascia Tobruk iniziando il suo viaggio di trasferimento, facendo una prima sosta a Bengasi e proseguendo poi per Tripoli.
13 agosto 1940
Arriva a Tripoli, dove sosta due giorni.
15 agosto 1940
Lascia Tripoli, sempre a rimorchio, ed in tali condizioni attraversa il Canale di Sicilia.



Altro particolare dei danni causati dal siluro alla prua dell’Euro, fotografati durante la sosta a Tripoli prima del rientro in Italia (g.c. STORIA militare e Marcello Risolo)


27 settembre (?) 1940
Arriva a Trapani, sostandovi per un giorno. 
28 settembre 1940
Lascia Trapani, ancora a rimorchio, diretto a Palermo.
6 ottobre 1940
Arriva a Palermo, dove dovranno essere effettuate le riparazioni dei danni causati dall’attacco degli aerosiluranti a Tobruk.
16 ottobre 1940
L’Euro entra nei cantieri navali di Palermo (Cantieri Navali Riuniti del Tirreno) per dare inizio alle riparazioni.
1° marzo 1941
Completamento dei lavori di riparazione. (Secondo qualche fonte tali lavori sarebbero stati compiuti a Taranto, e Palermo sarebbe stato solo uno scalo intermedio nel trasferimento dalla Libia a Taranto; ma ciò appare errato).
1° aprile 1941
Alle 11 l’Euro ed i cacciatorpediniere Baleno e Luca Tarigo (caposcorta, capitano di fregata Pietro De Cristofaro) salpano da Napoli per Tripoli scortando i trasporti truppe Conte RossoMarco Polo, Esperia e Victoria. Da Tripoli escono successivamente le torpediniere Polluce e Partenope, per rinforzare la scorta.
Il convoglio segue la rotta di levante (che è quella solitamente seguita dai convogli veloci per trasporto truppe): attraversa lo stretto di Messina, poi passa circa 150 miglia ad est di Malta (in modo da restare al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti là basati) a 15-17 nodi di velocità. Di giorno, le navi fruiscono di una scorta aerea assicurata da due-tre idrovolanti CANT Z. 501 per protezione antisommergibili e due caccia FIAT CR. 42 per protezione da attacchi aerei.
Durante il viaggio, una sola volta viene segnalato un sommergibile in zona; la scorta reagisce al possibile attacco zigzagando e lanciando bombe di profondità a scopo intimidatorio.
2 aprile 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 19.30.
7 aprile 1941
EuroLampoTarigo (caposcorta) e Baleno ripartono da Tripoli alle 17, scortando Conte RossoMarco PoloEsperia e Victoria che tornano a Napoli. La rotta seguita è ancora quella di levante.
8 aprile 1941
Alle 00.05 il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista il convoglio in posizione 34°30’ N e 12°51’ E (un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli), su rilevamento 143° e con rotta 350°. Alle 00.21 il battello lancia due siluri contro i mercantili di testa delle due colonne del convoglio (che si “sovrappongono” nella visuale del periscopio) e poi altri due al mercantile di coda. Nessun’arma va a segno, e probabilmente l’attacco non viene nemmeno notato.
9 aprile 1941
Le navi giungono a Napoli alle 7.30.
13 aprile 1941
L’Euro viene assegnato, insieme al cacciatorpediniere Strale, alla scorta al convoglio «Tarigo», formato dai piroscafi ArtaAdanaAeginaIserlohn e Sabaudia (tutti tedeschi, tranne quest’ultimo) ed avente per caposcorta il cacciatorpediniere Luca Tarigo. Prima della partenza, Euro e Strale vengono però sostituiti dai cacciatorpediniere Lampo e Baleno. Una sostituzione provvidenziale per l’Euro: l’intero convoglio, infatti, verrà distrutto da un attacco britannico nella notte del 16 aprile.
24 aprile 1941
L’Euro salpa da Napoli alle 23 insieme al cacciatorpediniere Fulmine ed alle torpediniere Castore, Procione (capitano di corvetta Riccardo Imperiali, caposcorta) ed Orione, per scortare a Tripoli un convoglio formato dalle motonavi italiane Birmania e Rialto e dai piroscafi tedeschi ReichenfelsMarburg e Kybfels (convoglio «Birmania» o «Seetransportstaffel. 23»).
25 aprile 1941
Al convoglio si unisce anche il trasporto truppe Marco Polo, scortato dalla torpediniera Orsa.
A causa sia di movimenti delle forze navali britanniche sia ad est che ad ovest del Canale di Sicilia (e conseguente allarme navale) sia del mare tempestoso, il convoglio viene dirottato in porti della Sicilia, diviso in due gruppi: piroscafi e torpediniere vengono fatti rifugiare a Palermo alle 21.30 del 25, mentre le motonavi riparano a Messina alle 18.
Ripartiranno solo nella notte tra il 29 ed il 30 aprile.
30 aprile 1941
I due gruppi salpano da Palermo a Messina nelle prime ore della notte e riformano il convoglio al largo di Augusta. Quest’ultimo passa a nord della Sicilia e poi imbocca la rotta delle Kerkennah, la più adatta per restare il più lontano possibile dalle navi britanniche ancora in movimento nel Mediterraneo Orientale.
Per ordine di Supermarina, le Divisioni incrociatori III (incrociatori pesanti Trieste e Bolzano) e VII (incrociatore leggero Eugenio di Savoia) ed i cacciatorpediniere AscariCarabiniere (per la III Divisione) e Gioberti (per la VII Divisione) escono in mare per proteggere il convoglio da eventuali attacchi da parte delle forze di superficie britanniche che sono ancora in mare.


L’Euro durante una missione di scorta nell’aprile-maggio 1941 (Coll. Aldo Fraccaroli, dal libro “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia)

1° maggio 1941
Alle 12.51, ottanta miglia a nord di Tripoli, la Rialto viene mancata di stretta misura da un siluro che la passa a poppa: a lanciarlo è stato il sommergibile britannico Undaunted (tenente di vascello James Lees Livesey), che alle 12.44 ha lanciato un segnale di scoperta per un grosso convoglio scortato in posizione 34°40’ N e 12°20’ E, su rotta 205° e con velocità 8 nodi.
Il convoglio viene anche infruttuosamente attaccato da aerei; da Malta prende il mare per intercettarlo una formazione composta dall’incrociatore leggero Gloucester e dai cacciatorpediniere KellyKelvinKashmirKiplingJersey e Jackal, ma non riesce a rintracciarlo.
Tutte le navi raggiungono indenni Tripoli alle 23 (o 21).
3 maggio 1941
L’Euro si trova nel porto di Tripoli, insieme ad altre unità mercantili (tra cui il trasporto truppe Marco Polo) e militari (tra cui Fulmine, Castore, Procione ed Orione) quando saltano in aria, per cause controverse, la motonave Birmania e l’incrociatore ausiliario Città di Bari, cariche di munizioni. Il disastro provoca danni e vittime in buona parte dell’area portuale.
5 maggio 1941
Euro, Fulmine, Procione (caposcorta) e le torpediniere Orsa, CignoCentauro e Perseo salpano da Tripoli per Palermo (la destinazione finale è Napoli) alle 9.30, scortando la motonave italiana Rialto, il trasporto truppe Marco Polo ed i piroscafi tedeschi ReichenfelsMarburg e Kybfels: il convoglio è denominato «Marco Polo».
Il convoglio segue la rotta ad est di Malta; per proteggere il suo movimento e quello di un altro convoglio (in navigazione da Napoli a Tripoli), essendo state avvistate a Malta delle unità leggere britanniche, esce in mare la VII Divisione Navale dell’ammiraglio Ferdinando Casardi, con gli incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaMuzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta ed i cacciatorpediniere Antonio PigafettaAlvise Da MostoGiovanni Da VerrazzanoNicoloso Da Recco e Nicolò Zeno.
La visibilità è cattiva durante tutta la giornata del 5.
Alle 14.26 la VII Divisione, di scorta indiretta al convoglio diretto a Tripoli, avvista il convoglio «Marco Polo»; l’ammiraglio Casardi manda il Da Verrazzano a segnalare otticamente alla Procione (essendo quest’ultima sprovvista di apparato radio ad onde ultracorte, avente portata abbastanza limitata da non essere radiogoniometrabile) gli ordini di Supermarina sulla rotta da seguire, ed ad impartirgli istruzioni in merito al dispositivo di marcia notturna ed a come il convoglio dovrà manovrare in caso di attacco aereo. Alle 19.50 la VII Divisione si posiziona 4 km a proravia del convoglio.
Al calare del buio, il convoglio si dispone come ordinato dall’ammiraglio Casardi: i mercantili su tre colonne, con scorta laterale, gli incrociatori in linea di fila 3 km a proravia del convoglio, ed i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata.
La navigazione notturna si svolge senza inconvenienti; il convoglio esegue le accostate senza difficoltà, nonostante la loro ampiezza.
6 maggio 1941
Alle 5.45 la VII Divisione lascia la scorta ravvicinata del convoglio, posizionandosi alla sua sinistra; alle 6.04 viene avvistato il primo velivolo della scorta aerea.
Alle 13.25 il convoglio viene avvistato in posizione 37°36’ N e 15°28’ E, su rilevamento 070°, dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), ma questi, che dista una decina di miglia dalle navi dell’Asse e non è nella posizione prevista a causa di un errore di navigazione, non è in grado di attaccare.
7 maggio 1941
Il convoglio arriva a Palermo alle 6.30.
16 maggio 1941
Lascia Napoli alle 18.30 insieme ai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), FulmineTurbine e Strale, scortando in Libia il «26. Seetransport Konvoi», composto dai mercantili tedeschi Preussen e Sparta, dagli italiani MotiaCapo Orso e Castelverde.
17 maggio 1941
Il convoglio viene dirottato a Palermo per allarme navale, giungendovi alle 19.
19 maggio 1941
Il convoglio riparte da Palermo alle 9.30; ad esso si sono unite le navi cisterna Panuco e Superga.
Alle 19 salpa da Palermo anche una forza di copertura, costituita dagli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi con i cacciatorpediniere GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino.
Alle 11.30 un sommergibile lancia una salva di siluri contro il convoglio; per evitarli, Preussen e Panuco entrano in collisione, ma non riportano danni di rilievo e possono proseguire entrambe.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista su rilevamento 020° un cacciatorpediniere seguito da altre navi, che due minuti dopo identifica come una formazione composta da due incrociatori e tre cacciatorpediniere, che passano a 6 miglia di distanza: è la forza di copertura del «26. Seetransport Konvoi». Poco dopo, l’Urge avvista su rilevamento 315° un’altra nave, troppo distante per poter essere identificata, ed alle 9.40 scende a 27 metri e modifica la rotta per evitare un idrovolante che ha avvistato su rilevamento 080°, a distanza di soli 730 metri, diretto proprio verso di lui. Tornato a quota periscopica alle 9.47, il sommergibile si avvede che la nave avvistata in precedenza è un cacciatorpediniere, che procede a zig zag davanti ad un convoglio di quattro navi, che navigano a 12 nodi su rotta 135° con la scorta di cinque cacciatorpediniere.
L’Urge passa quindi all’attacco (in posizione 35°44’ N e 11°59’ E, una quarantina di miglia a nordovest di Lampedusa), lanciando quattro siluri contro il Capo Orso e la Superga, poi s’immerge a maggiore profondità; nonostante l’Urge rivendichi tre centri e l’affondamento di entrambi i mercantili, in realtà nessuno dei siluri va a segno, e l’Euro ne risale le scie e contrattacca con bombe di profondità. Al termine della caccia l’Euro ritiene di aver affondato il sommergibile, ma anche in questo caso si tratta di una rivendicazione errata; in realtà l’Urge, che è sceso a 85 metri di profondità, è riuscito a scampare senza subire danni seri. Il sommergibile britannico rileva lo scoppio di dieci bombe di profondità nei 10 minuti successivi all’attacco, nessuna delle quali molto vicina; va però notato che Tomkinson registra anche, poco dopo gli “scoppi” dei “siluri” (che in realtà non sono tali, non avendo colpito), “una tremenda esplosione” che arreca alcuni lievi danni all’Urge e provoca il ferimento di diversi membri dell’equipaggio. Siccome, contrariamente a quanto ritenuto da Tomkinson, nessuna nave è stata colpita, e tanto meno è esplosa, sembra logico supporre che questi danni e feriti siano stati in realtà causati dalle bombe di profondità dell’Euro.
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a destinazione alle 11.
25 maggio 1941
Euro, Fulmine, Folgore (caposcorta) e Turbine lasciano Tripoli alle 9 per scortare a Napoli un convoglio formato dai piroscafi tedeschi Duisburg e Preussen (con a bordo 568 prigionieri), dagli italiani Bosforo e Bainsizza e dalle navi cisterna Superga e Panuco.
26 maggio 1941
Alle 15, a seguito dell’avvistamento di luci sospette nella zona di Linosa/Lampedusa, il convoglio ritorna a Tripoli.
27 maggio 1941
Alle 8 il convoglio riparte da Tripoli alla volta di Napoli. Stavolta è in mare anche una forza di copertura costituita dall’incrociatore leggero Luigi Cadorna e dai cacciatorpediniere Maestrale e Grecale.
29 maggio 1941
Duisburg e Superga entrano rispettivamente a Trapani e Palermo alle 23 ed alle 24, mentre il resto del convoglio prosegue per Napoli. La forza di scorta indiretta è già rientrata a Palermo in mattinata.
30 maggio 1941
Il convoglio giunge a Napoli all’1.30.
19 giugno 1941
L’Euro ed i cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine e Saetta partono da Napoli alle 23.30 per Tripoli, scortando i piroscafi Preussen (tedesco), MotiaBainsizzaMaddalena Odero e Nicolò Odero.
Successivamente si aggregano al convoglio anche la torpediniera Antonio Mosto e la nave cisterna Ardor, usciti da Palermo.
22 giugno 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 19.30, dopo aver superato indenne diversi attacchi aerei britannici.
1° luglio 1941
Euro, Folgore (caposcorta), Fulmine e Saetta lasciano Tripoli per Napoli alle 20, scortando i piroscafi italiani Bainsizza, Giuseppe Leva, Nicolò Odero e Maddalena Odero, il piroscafo tedesco Preussen e la nave cisterna italiana Ardor.
5 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 00.10.
21 luglio 1941
Alle 5.15 Euro, Folgore (caposcorta, capitano di fregata Giurati), FulmineSaetta ed Alpino partono da Napoli per scortare a Tripoli il convoglio lento «Nicolò Odero», formato dai piroscafi Maddalena OderoNicolò OderoCaffaro e Preussen (quest’ultimo tedesco).
Il piano prevede che dall’alba del 23, a sud di Pantelleria, si accodi al convoglio anche la nave cisterna Brarena, partita da Palermo e scortata dal Fuciliere (capitano di fregata Cerrina Feroni): la Brarena non entrerebbe a far parte del convoglio vero e proprio, essendo più lenta di un nodo (8 nodi, contro i 9 nodi raggiunti dal convoglio), ma si terrebbe a breve distanza soprattutto nella notte del 22-23, in modo che ciascun gruppo possa recare aiuto all’altro se necessario, dopo di che il convoglio «Odero» “scavalcherebbe” la Brarena senza comunque allontanarsene eccessivamente.
Alle 13.27 il sommergibile britannico Olympus (capitano di corvetta Herbert George Dymott) avvista il convoglio in posizione 39°53’ N e 11°49’ E, ed alle 13.58 lancia infruttuosamente un siluro da 5490 metri; alle 14.23 lancia un secondo siluro da 5030 metri, di nuovo senza colpire. L’attacco non viene notato.
Poche ore dopo la partenza, alcuni cacciatorpediniere della scorta iniziano a lamentare una serie di avarie, causate dal logorio che colpisce le navi impiegate senza sosta sulle rotte per la Libia, costrette a saltare le normali revisioni degli apparati motori e dei macchinari: dopo che già il Fulmine è dovuto tornare momentaneamente a Napoli per una riparazione urgente in sala macchine (si riunirà al convoglio nel pomeriggio), il Saetta si ritrova con una caldaia inutilizzabile a causa di una grave perdita al fascio tubiero. Può comunque proseguire la navigazione.
I velivoli della scorta aerea si avvicendano sul cielo del convoglio con regolarità, soprattutto a sud di Lampedusa.
22 luglio 1941
Alle 9.45 Supermarina mette in allarme sia il convoglio «Odero» che il gruppo Brarena-Fuciliere, in seguito alla segnalazione di importanti movimenti di forze navali nemiche nel Mediterraneo occidentale; più tardi, Supermarina – avendo intercettato e decifrato, intorno alle 10, la comunicazione di un aereo britannico da ricognizione – informa entrambi i capiscorta che i convogli sono stati localizzati da ricognitori britannici, i quali ne hanno informato il Comando di Malta.
Dopo le 19, poco prima del tramonto, il convoglio «Odero» viene attaccato trenta miglia a sudest (oppure ad ovest) di Pantelleria da due bombardieri Bristol Blenheim (altra fonte parla di Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) che si avvicinano volando bassissimi, a soli 15 metri dalla superficie del mare. Mentre la reazione dell’armamento contraereo dei mercantili è debolissima, quasi inconsistente, Folgore ed Alpino aprono subito un violento fuoco contraereo, ma i due aerei superano questo “sbarramento”, passano tra le due colonne di navi ed attaccano uno il Preussen e l’altro il Nicolò Odero. Quest’ultimo esce quasi indenne dall’attacco, perché l’intenso tiro del Folgore impedisce al Blenheim di completare la manovra d’attacco: il velivolo, che forse viene anche colpito e danneggiato, sgancia le sue bombe che però cadono tutte in mare accanto al piroscafo, eccetto una che colpisce di striscio l’Odero senza scoppiare, rimbalzando in mare. Non ha altrettanta fortuna il Preussen: in questo caso, il Blenheim riesce a completare la manovra d’attacco e colpisce la nave tedesca con diverse bombe, scatenando un incendio che diviene rapidamente incontrollabile. Equipaggio e truppe imbarcate si gettano in mare e si allontanano a nuoto, e dopo un quarto d’ora il Preussen esplode.
Muoiono 180 uomini dei 440 che si trovavano sul Preussen; Euro e Fulmine vengono distaccati dal caposcorta per salvare i naufraghi. Le due unità recuperano dal mare 260 uomini, che portano poi a Porto Empedocle.
Il marinaio Mario Esposito (21 anni, da Napoli) dell’Euro riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per aver recuperato una cassetta con documenti segreti abbandonata su un’imbarcazione del PreussenImbarcato su cacciatorpediniere, di scorta a convoglio, durante le operazioni di salvataggio del personale di un piroscafo alleato da aerei nemici, si lanciava spontaneamente in mare, dando prova di elevato senso del dovere, per raggiungere un’imbarcazione, sulla quale trovavasi una cassetta con documenti segreti e, recuperatala, la portava, a nuoto, a bordo dell’unità. Con la sua iniziativa, improntata a sereno coraggio ed audacia, riusciva a porre in salvo, presso i camerati germanici, i preziosi documenti»).
La scorta aerea – due Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, che incrociavano a proravia del convoglio a circa 200 metri di quota per vigilanza antisommergibili, e due aerei da caccia – non sembra essere intervenuta contro i due velivoli nemici, il che porta il caposcorta a supporre che non li abbia visti a causa della quota da essa tenuta, inadeguata ad un tempestivo intervento.
Poco dopo l’attacco che affonda il Preussen, anche il gruppo formato da Brarena e Fuciliere, che non ha ancora raggiungo il convoglio «Odero», viene ripetutamente attaccato da aerei: la Brarena viene colpita ed immobilizzata; dopo un inutile tentativo, da parte del Fuciliere, dapprima di rimorchiarla verso Lampedusa e poi di finirla a cannonate, viene abbandonata alla deriva (affonderà definitivamente dopo alcuni giorni).
Il resto del convoglio raggiungerà Tripoli alle 17 del 23 luglio.
16 agosto 1941
L’Euro, i cacciatorpediniere Dardo e Freccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè) e le torpediniere Procione, Pegaso e Giuseppe Sirtori salpano da Napoli per Tripoli alle 00.30, scortando un convoglio composto dai piroscafi Nicolò OderoMaddalena Odero e Caffaro, dalla nave cisterna Minatitlan e dalle motonavi Giulia e Marin Sanudo.
Alle 9.13 il sommergibile olandese O 23 (tenente di vascello Gerardus Bernardus Michael Van Erkel) avvista il convoglio, che procede con rotta 212° a dieci nodi di velocità, a 10 miglia per 057°, ed alle 10.03, nel punto 39°35’ N e 13°18’ E (a sudovest di Capri), lancia due siluri da cinque miglia per poi scendere subito a 40 metri. Nessuna delle armi colpisce, ma dopo undici minuti alcune unità della scorta si portano al contrattacco e lanciano, fino alle 13.30, un centinaio di bombe di profondità. L’O 23 evita danni scendendo a 95 metri; terminata la caccia, alcune unità continuano a lanciare una carica di profondità ogni venti minuti sino alle 19.30.
17 agosto 1941
Nel tardo pomeriggio il convoglio, mentre procede a 9 nodi a sud di Pantelleria, viene avvistato da ricognitori nemici.
Alle 20.45 (o 20.47), 17 minuti dopo che la scorta aerea ha lasciato le navi per rientrare alle basi, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti britannici: due sezioni di due aerei ciascuna, provenienti dai fianchi, appaiono ai lati del convoglio, defilando lungo i mercantili e sganciando i loro siluri da poca distanza. Le navi della scorta reagiscono con opportune manovre, l’apertura del fuoco (sia con le artiglierie che con le mitragliere) e l’emissione di cortine nebbiogene per coprire i piroscafi.
Tre dei quattro siluri sganciati mancano il bersaglio, grazie anche all’azione della scorta (e soprattutto all’emissione di cortine fumogene, che disorientano gli ultimi aerei ad attaccare), ma uno colpisce il Maddalena Odero, immobilizzandolo. Il piroscafo danneggiato dev’essere preso a rimorchio della Pegaso, assistito dalla Sirtori; viene portato fino in un’insenatura sulla costa di Lampedusa, ma qui il piroscafo, colpito ancora da bombe d’aereo, esplode e trascina nella sua fine anche la cannoniera Maggiore Macchi della Guardia di Finanza, inviata a prestargli assistenza.
Il resto del convoglio prosegue per Tripoli.
19 agosto 1941
Verso le 15.30 il sommergibile britannico P 32 (tenente di vascello David Anthony Bail Abdy), in agguato a quota periscopica fuori Tripoli, avvista il convoglio di cui fa parte l’Euro. Il P 32 scende a 15 metri e si avvicina ad elevata velocità, preparandosi ad attaccare, ma verso le 15.40, mentre sta tornando a quota periscopica, il sommergibile viene scosso da un’esplosione ed affonda, adagiandosi sul fondale a 60 metri di profondità.
L’esplosione viene notata anche dalle navi del convoglio italiano, ormai in arrivo a Tripoli. Un MAS inviato sul posto dalla base libica recupera due sopravvissuti (gli unici superstiti su 34 membri dell’equipaggio), che sono fuoriusciti dal relitto del sommergibile attraverso il portello della torretta: uno dei due è il comandante Abdy. Un terzo membro dell’equipaggio è annegato nel tentativo di fuoriuscire, mentre di parecchi altri uomini del P 32, che hanno tentato la fuoriuscita dal portello d’emergenza del locale motori, non si saprà più nulla.
Sul momento si ritiene che il P 32 sia saltato sulle mine dei campi minati posti a difesa del porto, mentre un successivo esame del relitto mostrerà che probabilmente il battello è rimasto vittima dell’esplosione accidentale di uno dei suoi stessi siluri.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 17.30.
Alle 15 EuroFreccia (caposcorta), Dardo e Procione ripartono da Tripoli per scortare in Italia le motonavi Rialto, GrittiBarbaroPisani e Venier.
21 agosto 1941
Alle due di notte Euro e Rialto, separatisi dal resto del convoglio, entrano a Palermo. Le altre navi raggiungono Napoli alle 8.
26 agosto 1941
L’Euro, le torpediniere ProcioneOrsaClio ed il cacciatorpediniere Alfredo Oriani (caposcorta, capitano di fregata Vittorio Chinigò) salpano da Napoli alle 5.30 scortando i piroscafi ErnestoAquitania e Bainsizza, le motonavi Col di Lana e Riv e la nave cisterna Pozarica, dirette a Tripoli.
Da Trapani esce per rinforzare la scorta anche la Pegaso.
27 agosto 1941
Alle 6.30 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio italiano, ed alle 6.42, in posizione 38°11’ N e 12°07’ E (una decina di miglia a nord di Marettimo), lancia quattro siluri contro uno dei mercantili (quello di testa della colonna più vicina; sono nella “linea di tiro” anche la nave di testa della colonna più lontana e la Pozarica), da 4115 metri di distanza. Uno dei siluri, quello nel tubo numero 3, rimane però bloccato per metà dentro e per metà fuori dal tubo; l’Urge finisce così con l’affiorare involontariamente in superficie.
Alle 6.50 (ora italiana), poco dopo che il convoglio ha superato Punta Mugnone (Trapani), l’Aquitania viene colpito.
Sull’Urge, intanto, l’equipaggio ripristina però l’assetto, ed a questo punto il siluro esce dal tubo; l’Urge torna ad immergersi rapidamente, mentre la Clio (distante 2740 metri), che l’ha visto affiorare, gli si dirige incontro. Anche un idrovolante CANT Z. 501 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica, di scorta al convoglio, sgancia una bomba contro l’Urge, precedendo l’arrivo della Clio; quest’ultima giunge sul posto quando l’attaccante si è ormai immerso, e getta in tutto una dozzina di bombe di profondità. Anche la Procione inverte la rotta e partecipa al contrattacco, lanciando sette bombe di profondità. L’Urge, benché la Clio ritenga di averlo certamente danneggiato se non affondato, si ritira verso nordovest senza subire danni.
Preso a rimorchio dapprima dall’Orsa e poi dai rimorchiatori Marsigli e Montecristo (con la scorta della Clio), l’Aquitania potrà essere condotto in salvo a Trapani, dove giungerà alle 20.45.
Il resto del convoglio prosegue nella navigazione.
29 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 7.45.
Alle 18.30 l’Euro ne riparte insieme all’Oriani (caposcorta) ed alle torpediniere OrsaCalliope e Pegaso, scortando un convoglio formato dalle motonavi Giulia e Marin Sanudo, dai piroscafi Caffaro e Nicolò Odero, dalla nave cisterna Minatitlan e dal dragamine ausiliario DM 6 Eritrea.
31 agosto 1941
Orsa e Marin Sanudo, separatesi dal convoglio, raggiungono Trapani alle 11.45.


L’Euro in una vecchia cartolina del cantiere di Riva Trigoso (da www3.comune.sestri-levante.ge.it)

1° settembre 1941
Il resto del convoglio giunge a Napoli alle 12.30.
17 settembre 1941
L’Euro lascia Napoli alle cinque del mattino, insieme a Freccia, Folgore (caposcorta) e Dardo, per scortare a Tripoli un convoglio («Caterina») formato dal piroscafo Caterina, dalle motonavi Marin Sanudo e Col di Lana e dalla nave cisterna Minatitlan.
18 settembre 1941
Alle quattro del mattino il convoglio, mentre naviga sulle rotte interne di Favignana, viene attaccato da aerosiluranti britannici a tre miglia da Marsala. Le navi della scorta, come al solito, cercano di nascondere i mercantili con cortine nebbiogene ed aprono il fuoco con l’armamento contraereo; data la vicinanza della costa, anche le batterie di terra sparano contro gli aerei. Uno degli attaccanti viene abbattuto, ma un siluro colpisce la Col di Lana, che viene rimorchiata a Trapani dai rimorchiatori Liguria e Montecristo, scortati dal Dardo.
In serata, il convoglio viene nuovamente attaccato da aerosiluranti, decollati a Malta dopo il tramonto; questa volta, però, le abbondanti cortine nebbiogene emesse dalle navi scorta riescono a frustrare l’attacco.
19 settembre 1941
In mattinata si unisce alla scorta il cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti, proveniente da Tripoli. Qui il convoglio giunge alle 12.30 (o 17.30).
20 settembre 1941
EuroFreccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè), Folgore e Gioberti lasciano Tripoli per Napoli alle 20.20, scortando i piroscafi TembienGiuliaNirvo e Bainsizza, seguendo la rotta di ponente.
21 settembre 1941
Alle 19.45, dopo il tramonto, il convoglio viene attaccato a sorpresa da due bombardieri; il Tembien viene colpito. L’Euro riceve ordine dal caposcorta di avvicinarsi alla nave danneggiata per prestarle assistenza, mentre il resto del convoglio prosegue.
Giunto nei pressi del Tembien, l’Euro vede che sono già in mare tre imbarcazioni con naufraghi, che hanno inopinatamente abbandonato la nave; avvicinate una dopo l’altra le prime due, recupera da esse 38 naufraghi, tra cui dieci feriti (tre gravi e sette lievi). L’Euro manovra poi per accostare la terza lancia, ma mentre le si avvicina viene attaccato da un aereo, che lo mitraglia sorvolandolo a volo radente, ed al contempo avvista sulla sinistra altri due velivoli, che si avvicinano molto bassi sull’acqua per attaccare: il cacciatorpediniere accosta rapidamente e si allontana a tutta forza per vanificare l’attacco, poi ritorna verso il Tembien, che non è ancora riuscito ad avvicinare. Avvicinandosi al piroscafo, l’Euro nota che esso è ancora in moto; il cacciatorpediniere si mette a cercare la terza imbarcazione, precedentemente avvistata in mare, ma non ne trova traccia. Vedendo che il Tembien dirige verso nord, il comandante dell’Euro rinuncia a cercarla ulteriormente (verrà inviata a cercarla, più tardi, la nave ospedale Arno) e – alle 22 – raggiunge il piroscafo, ordinandogli di seguirlo. Da bordo rispondono che la nave è rimasta senza bussola.
22 settembre 1941
Alle 00.06 Euro e Tembien raggiungono il convoglio, ed il Tembien riassume il suo posto in formazione. Alle 7.30, su ordine del caposcorta, il Tembien lascia nuovamente il convoglio, sempre scortato dall’Euro (per ordine del caposcorta), e dirige verso Pantelleria. In prossimità del porto dell’isola, l’Euro trasborda sul Tembien i 28 naufraghi illesi recuperati in precedenza, dopo di che sbarca i 10 feriti a Pantelleria. Subito dopo, l’Euro dirige per ricongiungersi al convoglio, mentre ad assumere la scorta del Tembien (che arriverà a Trapani alle 17) è il Gioberti. (Per altra fonte il Tembien sarebbe invece giunto a Napoli con le altre navi, alle 17.30 del 23 settembre.)
23 settembre 1941
L’Euro ed il resto del convoglio giungono a Napoli alle 17.30.
2 ottobre 1941
L’Euro parte da Napoli per Tripoli alle 22.30, insieme ai cacciatorpediniere Antonio Da Noli (capitano di fregata Luigi Cei Martini, caposcorta), Vincenzo Gioberti ed Antoniotto Usodimare, scortando un convoglio composto dalle motonavi Vettor PisaniRialtoFabio Filzi e Sebastiano Venier, italiane, Ankara e Reichenfels, tedesche. In tutto le navi del convoglio trasportano 828 veicoli, 12.110 tonnellate di materiali vari, provviste e munizioni, 3162 tonnellate di carburante e 1060 uomini: circa metà della loro portata, per frazionare il carico tra più navi in modo da ridurre le perdite nel caso dell’affondamento di una di esse.
Il convoglio, denominato «Pisani», segue la rotta di levante, per lo stretto di Messina ed ad est di Malta (a circa 90 miglia dall’isola, perché la recente introduzione dei bombardieri ed aerosiluranti Vickers Wellington, dotati di maggiore autonomia dei Fairey Swordfish ed Albacore sino ad ora impiegati, rende inutile viaggiare a distanza maggiore: in tali condizioni, allora, tanto vale viaggiare più vicini a Malta, per ridurre la durata della traversata e prolungare il tempo in cui la caccia proveniente dalla Sicilia può tenere il convoglio sotto la propria protezione).
La velocità del convoglio dovrebbe essere di 14 nodi, ma il Reichenfels ha problemi di macchina che costringono a ridurla a 10 nodi, che più avanti è possibile portare a 13.
4 ottobre 1941
Alle 14 il Da Noli ordina a Rialto e Reichenfels di scambiarsi di posto nella formazione.
Nelle giornate del 3 e 4 ottobre, di giorno, il convoglio fruisce della scorta aerea di bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" della Regia Aeronautica e di caccia Messerschmitt della Luftwaffe, ma poco dopo le dieci del mattino del 4 ottobre viene avvistato da ricognitori britannici provenienti da Malta, che informano subito i propri comandi.
Supermarina intercetta i segnali di scoperta lanciati dai ricognitori, e richiede a Superaereo di sottoporre Malta, in serata, ad un violento bombardamento, così da impedire che gli aerei destinati ad attaccare il convoglio nottetempo possano decollare; il bombardamento avrà luogo, ma per “ragioni di forza maggiore” non sarà intenso come richiesto da Supermarina, così gli aerei di Malta possono decollare egualmente.
Dopo l’intercettazione del segnale di scoperta, Supermarina ne mette al corrente anche il caposcorta, che dopo il tramonto fa coprire tutto il convoglio con cortine nebbiogene, così che i ricognitori nemici non lo vedano accostare, poi modifica la rotta nel tentativo di ingannare gli aerei britannici.
Il provvedimento sembra avere un temporaneo successo, ma tra l’una e le due di notte del 5 ottobre i ricognitori nemici ritrovano il convoglio.
5 ottobre 1941
Alle 00.45, un sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio e l’Usodimare contrattacca, ritenendo di averlo danneggiato.
Poco dopo le 2.52 del 5 ottobre ha inizio un attacco aereo; viene dato l’allarme, ed i cacciatorpediniere della scorta riescono ad occultare i mercantili con cortine di nebbia. L’Euro, che procede in coda al convoglio chiudendo la formazione, segnala la presenza degli aerei con una breve raffica di mitragliera (alle 2.30, secondo il rapporto del regio commissario della Rialto). Non appena gli aerei si avvicinano, tutte le navi del convoglio aprono un violento fuoco di sbarramento, che costringe gli attaccanti a ritirarsi. La navigazione prosegue, con vigilanza rafforzata.
Alle 3.52, una settantina di miglia a nord di Misurata (per altra fonte, 80 miglia a nord-nord-est di tale città), ha inizio un secondo attacco, da parte di quattro aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm decollati da Malta. Il caposcorta fa emettere nuovamente cortine fumogene, ma si accorge che, con il vento che spira dai settori poppieri, la cortina non è efficace; risale quindi il convoglio su rotta invertita ed emettendo fumo, così riuscendo ad occultare tutto il lato sinistro. Il lato dritto, quello opposto alla luna, resta però scoperto; e da quel lato attaccano gli aerosiluranti, che alle 3.57 colpiscono la Rialto con uno o due siluri. Uno degli aerei viene abbattuto, ma la motonave rimane immobilizzata ed inizia a sbandare fortemente. Il caposcorta ordina all’Euro di assisterla; poco dopo, quest’ultimo risponde di essere ancora sorvolato da aerei, pertanto il caposcorta distacca anche il Gioberti con l’ordine di sostituire l’Euro, in modo che per breve tempo rimangano sul posto due cacciatorpediniere, dopo di che rimarrà solo quello dei due dotato di miglio armamento contraereo.
Fermatosi ad una certa distanza dalla Rialto, che è fortemente appoppata e sbandata di 35° sulla sinistra, l’Euro viene raggiunto dalla scialuppa di sinistra della motonave, e ne prende a bordo gli occupanti. La scialuppa di dritta non può fare lo stesso, perché è rimasta senza remi; pertanto, mezz’ora dopo l’abbandono della nave, i suoi occupanti attraggono l’attenzione dell’Euro facendo delle segnalazioni con una piccola lampada tascabile, e gli gridano di avvicinarsi. Accortosi della presenza della lancia, l’Euro le si dirige lentamente incontro; dato che per effetto del mare il cacciatorpediniere si trova sottovento rispetto alla scialuppa, uno dei suoi occupanti, il capitano del Genio Navale Mario Maccarone (regio commissario della Rialto), gli chiede di portarsi sopravvento. Così viene fatto, dopo di che l’Euro si ferma con la scialuppa alla sua sinistra, le si accosta, cala una corda che viene fissata alla fragile imbarcazione e prende a bordo i naufraghi. Questi salgono uno per volta; per ultimo, il regio commissario Maccarone.
Dal mare si sentono le grida di aiuto dei naufraghi in acqua; diversi uomini nuotano verso l’Euro, dal quale vengono lanciate loro delle corde, ma nell’oscurità i naufraghi sfiniti non riescono a vederle e vengono gettati dalle onde contro la murata del cacciatorpediniere, e poi trascinati più lontano.
Il regio commissario Maccarone, pur sofferente da varie contusioni e da vecchi reumatismi (è bagnato fradicio), chiede ed ottiene al comandante dell’Euro di mettere a mare un battellino per la ricerca dei naufraghi, offrendosi di guidarlo e chiedendo volontari per aiutarlo; tre marinai dell’Euro si fanno avanti, offrendosi due di remare ed uno di assistere nella ricerca.
Guidato dalle altissime ed incessanti grida dei naufraghi, il battellino coi quattro uomini affronta i cavalloni – lo stato del mare è proibitivo – e riesce a raggiungere diverse persone che lottano in acqua. Parte di esse possono essere tirate faticosamente a bordo, mentre altre rimangono aggrappate ai bordi. L’acqua allaga rapidamente l’imbarcazione, che in breve si trova a dover usare i remi solo per tenere la prua al mare, senza nemmeno pensare di poter avanzare.
Il Gioberti, intento anch’esso a recuperare naufraghi, si avvicina al battellino, e Maccarone grida per farsi notare e gli chiede di portarsi sopravvento, per coprirli e permettere così di manovrare, visto che altrimenti lo stato del mare preclude ogni manovra della piccola imbarcazione. I naufraghi vengono trasferiti sul Gioberti (uno di essi è ferito, e viene imbragato con cime per essere trasbordato), dopo di che il suo comandante ordina a Maccarone di tornare sull’Euro; è quasi l’alba.
Il battellino allagato affronta di nuovo il mare, il cui stato seguita a peggiorare; si sentono ancora grida lontane, ma Maccarone non trova nessun naufrago sulla sua rotta o nelle vicinanze.  
Tornato sull’Euro, Maccarone riferisce al comandante dell’esito del tentativo ed aiuta poi l’equipaggio a recuperare altri sopravvissuti. Infine giunge dal Da Noli l’ordine urgente che l’Euro si riunisca subito al convoglio, lasciando il Gioberti ad ultimare il recupero dei naufraghi; quest’ultimo dice all’Euro di raggiungere la propria motobarca, ancora in mare per recuperare naufraghi, e trasbordarvi il regio commissario Maccarone ed il comandante civile della Rialto. Così viene fatto, ed insieme ai due scendono sulla motobarca anche il secondo ufficiale della Rialto, Ramiro Magris, il suo direttore di macchina Antonio Zanin ed il commissario al carico Zorzi.
L’Euro si riunisce dunque al convoglio. Ogni tentativo di salvare la Rialto sarà vano; la motonave affonderà infine alle dieci del mattino, nel punto 33°30’ N e 15°33’ E. Dei 165 uomini imbarcati, complessivamente, 145 sono stati salvati da Euro e Gioberti. Nel suo rapporto, il commissario Maccarone esprimerà il proprio ringraziamento nei confronti di comandanti ed equipaggi di Euro e Gioberti, che si sono prodigati con abnegazione per salvare i naufraghi e dare loro assistenza.
Il resto del convoglio, proseguito dopo il siluramento, viene raggiunto dalle torpediniere Partenope (dopo rastrello antisommergibile) e Calliope (per pilotaggio e rinforzo alla scorta) inviate da Tripoli, ed arriva nel porto libico alle 15 (o 15.30) dello stesso giorno.
6 ottobre 1941
L’Euro lascia Tripoli per Napoli alle 12.45, scortando il piroscafo lento Una, scarico.
8 ottobre 1941
Alle 18.38, in posizione 38°12’ N e 11°11’ E (una cinquantina di miglia ad ovest-nord-ovest di Marettimo), il sommergibile britannico Thorn (capitano di corvetta Robert Galliano Norfolk) avvista una nave mercantile di circa 3000 tsl, scortata da un cacciatorpediniere “classe Sauro o Sella”, a 7300 metri di distanza, su rilevamento 120°. Si tratta probabilmente dell’Euro (la sagoma della classe Turbine è piuttosto somigliante a quella delle classi Sauro e Sella) e dell’Una. Il mercantile procede a 8 nodi su rotta 055°, il cacciatorpediniere procede a zig zag a proravia di quest’ultimo, ma poco dopo l’avvistamento cessa lo zigzagamento ed assume la stessa rotta del piroscafo. Il Thorn manovra per attaccare, ed alle 18.56 lancia due siluri contro il cacciatorpediniere da 5500 metri, seguiti due minuti dopo da altri due siluri contro il mercantile, da analoga distanza. Nessuno dei siluri va a segno, e le due navi proseguono per la propria rotta, senza essersi apparentemente accorte dell’attacco.
9 ottobre 1941
Euro ed Una arrivano a Napoli alle 23.30, senza aver incontrato contrasto durante la navigazione.
10 ottobre 1941

Assume il comando dell’Euro, avvicendando il capitano di corvetta Morisiani, il parigrado Giuseppe Cigala Fulgosi (31 anni, da Piacenza), che manterrà tale ruolo per un anno. (Per altra fonte, Cigala Fulgosi avrebbe assunto il comando dell'Euro già nel luglio 1941).
7 novembre 1941
Alle cinque del mattino l’Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) salpa da Napoli insieme ai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani) e Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano), per scortare a Tripoli il convoglio «Beta» (poi divenuto meglio noto come “Duisburg”), formato in origine dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), dall’italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani) e dalla grande e moderna nave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati). Le prime navi iniziano ad uscire dal porto alle 2.20, ma un attacco aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre i bastimenti cominciano la manovra di partenza (il Duisburg viene anche illuminato e mitragliato, pur senza subire danni) rallentano l’uscita, così che solo dopo le 6.30 il convoglio è formato fuori del porto, ed ha inizio la navigazione verso sud. Il convoglio viene seguito a distanza dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (caposquadriglia capitano di vascello Ferrante Capponi, del Granatiere), con Granatiere, BersagliereFuciliere ed Alpino.
Alle nove del mattino, giunto il convoglio nelle acque della Sicilia, Euro, Fulmine e Maestrale ricevono ordine dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Napoli di lasciare il convoglio ed entrare a Messina (dove dirigono a 17 nodi) per rifornirsi, venendo sostituiti nella scorta diretta dalla XIII Squadriglia.
8 novembre 1941
Nelle prime ore della notte Euro, Fulmine e Maestrale, una volta rifornitisi, lasciano Messina e tornano ad assumere la loro posizione di scorta, mentre è la XIII Squadriglia ad entrare a Messina per rifornirsi.
Alle 3.30 escono da Messina le altre navi che dovranno far parte del convoglio «Beta»: il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso Guglielmo Schettini) e la pirocisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco), scortati dai cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò).
La riunione tra i due gruppi del convoglio avviene alle 4.30, a sud dello stretto di Messina; si forma un unico convoglio di sette mercantili scortati da Euro, Fulmine, MaestraleGrecale, Libeccio ed Oriani, mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a Messina, si uniscono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), uscita in mare per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina vengono avvistati alcuni aerei nemici diretti verso ovest: vanno ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio “Pegaso”.
Alle 16.45, con l’arrivo della III Divisione (che raggiunge il convoglio in posizione 37°40’ N e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia dello stesso) la formazione è completa.
Il convoglio procede su tre colonne: destra, composta da San Marco e Conte di Misurata preceduti dal Maestrale e seguiti dall’Oriani; centrale, composta da DuisburgSagitta e Rina Corrado; sinistra, formata da Minatitlan e Maria precedute dall’Euro e seguite dal Grecale. Il Fulmine è posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima colonna. Le navi procedono a 8 nodi di velocità.
In tutto i sette mercantili trasportano 34.473 tonnellate di materiali, 389 autoveicoli e 243 uomini. Vi è anche – ma solo di giorno – una scorta aerea per la quale sono mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio.
Dalle 7.30 fino alle 17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternano dieci idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” e 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9° Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una
coppia a 1000 metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79 decollano dalla Sicilia ed effettuano ricognizione marittima verso sudest; altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia sono incaricati di effettuare missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore protezione del convoglio, Supermarina ha inviato nelle acque di Malta, dove si è da poco dislocata una formazione navale britannica – la Forza K – i sommergibili Delfino e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore pesante Gorizia (anch’esso appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia sono a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne manifestasse la necessità.


I mercantili del convoglio “Duisburg” fotografati da bordo dell’Euro l’8 novembre 1941. La nave cisterna a sinistra nella seconda immagine è la Minatitlan (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societaitalianastoriamilitare.org)


Una volta in franchia dello stretto di Messina (la riunione avviene subito dopo il suo superamento da parte del primo gruppo di navi), il convoglio mette la prua verso est (rotta 90°), per imboccare la rotta che passa ad est di Malta, al largo della costa occidentale greca (così da restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta, stimato in 190 miglia), nonché per ingannare i britannici circa la destinazione del convoglio, facendo credere che questa sia un porto della Grecia oppure Bengasi. Durante la navigazione verso est, inoltre, le unità effettuano diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non basta ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venga comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (40 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro), da un ricognitore Martin Maryland della Royal Air Force (69th Reconnaissance Squadron), decollato da Luqa (Malta) e pilotato dal tenente colonnello John Noel Dowland.
L’Euro avvista il ricognitore da 5000 metri di distanza, e lo segnala subito al Maestrale, con il messaggio ad ultracorte «Aerei in vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», nonché a tutte le unità in navigazione ed a Supermarina, lanciando all’aria il segnale radio di scoperta. In quel momento (16.40 per le fonti italiane) sul cielo del convoglio sono ancora presenti diversi aerei italiani e tedeschi; le navi della scorta fanno segnali luminosi alla scorta aerea – con cui non è possibile comunicare via radio – per richiedere che attacchi il velivolo nemico, ma gli aerei della scorta non fanno nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del ricognitore non vengono effettuate, “per grave disservizio”). (Contrariamente a molte altre occasioni, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ha alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»). Il Maryland si trattiene in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a rilevarne gli elementi del moto, che comunica prontamente a Malta («Un convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, è sovrastimata in 10-12 nodi). L’orientamento verso est della rotta del convoglio (che vira verso sud solo più tardi) non inganna i comandi britannici: un convoglio tanto grande non può essere diretto né in Grecia né a Bengasi (porto dalle capacità ricettive insufficienti). L’unica destinazione plausibile è Tripoli, e le navi italiane cercheranno di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio della portata degli aerosiluranti: il che permette ai britannici di intuire che il convoglio dovrà passare circa 200 miglia ad est di Malta, per poi puntare verso un porto della Libia.
Alle 17.30, di conseguenza, salpa da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori leggeri Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott) e Lively (capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey): una forza costituita appositamente per intercettare e distruggere i convogli italiani diretti in Libia. La partenza della Forza K è tanto fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, deve raggiungere la sua nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore sta già manovrando per uscire dal porto.
La ricognizione aerea italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvista le navi britanniche.
Anche un bombardiere Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollano da Malta per rintracciare il convoglio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, i secondi per attaccarlo), ma non riescono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio segue appunto una rotta che lo tiene al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò è a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguono regolarmente per la loro rotta. Il tempo è buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza 3. La scorta aerea viene ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30, mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere zigzagano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovra per passare dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500 metri. La nuova formazione è così composta: a destra, nell’ordine, DuisburgSan Marco e Conte di Misurata; a sinistra, nell’ordine, MinatitlanMaria e Sagitta, mentre il Rina Corrado procede più a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al convoglio, Grecale in coda, Euro seguito dal Fulmine sul lato destro, e Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro.
Fino alle 19.30 il convoglio segue rotta 090°, poi accosta per 122°, ed alle 19.55 per 161°, sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione si porta a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi  di Brivonesi risalgono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale (distante da loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al convoglio.
Intanto, la Forza K naviga verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est, la formazione britannica vira verso sudest subito dopo il tramonto, ed attraversa, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche sono disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da LancePenelope e Lively, distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew ha già da tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche rimarranno in linea di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K neutralizzerà le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta dovessero apparire durante l’attacco ai mercantili, esse diverranno immediatamente bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) manterrà ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso.
9 novembre 1941
Alle 00.39 il convoglio viene avvistato otticamente – il radar non ha alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vengono avvistate perché illuminate dalla luce lunare, il radar verrà poi impiegato nel puntamento dei cannoni durante il combattimento – dalla Forza K. Secondo il rapporto britannico, in quel momento le navi italiane si trovano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a 5 miglia per 30° dalla Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della Calabria (altra fonte: 37°08' N e 18°09' E, circa 130 miglia a sudovest della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna è ottimale, la luna splendente e luminosa, e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il caposcorta Bisciani registra brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco nel quarto».
Il convoglio avanza su rotta 170° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, segue a quattro chilometri a poppavia. La formazione del convoglio è sempre la stessa del giorno precedente, con i mercantili su due colonne di tre navi ciascuna più il Rina Corrado in posizione centrale ed arretrata, circondati dai cacciatorpediniere; Euro e Fulmine proteggono il lato di dritta.
Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvista anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritiene trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvista le navi britanniche meno di un minuto prima che aprano il fuoco, è l’unico a capire che sono navi nemiche ed a lanciare immediatamente il segnale di scoperta, ma già troppo tardi; il segnale sarà ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K inizia a sparare.
Anziché attaccare subito il convoglio, il comandante Agnew manovra flemmaticamente per portarsi nella posizione più favorevole all’attacco, approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembri accorgersi della sua presenza. La Forza K riduce la velocità da 28 a 20 nodi ed accosta a sinistra per 350°, quindi aggira il convoglio con una manovra che richiede 17 minuti, portandosi a poppa dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si staglino contro la chiara luce lunare. I bersagli vengono identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora punta l’armamento principale, asservito al radar tipo 284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti al radar tipo 290, sui mercantili Alle 00.52 la Forza K avvista la III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, ha fino a quel momento avuto sentore; ma ciò non modifica le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo conclude che le due “navi maggiori” (che sono, in effetti, il Trento ed il Trieste) ed i cacciatorpediniere che le accompagnano debbano essere degli altri mercantili con la loro scorta. Alle 00.56 il Lively stima che il convoglio abbia rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale (che al momento dell’attacco si trova al traverso a poppavia della Forza K, a sud della stessa) dista 10.060 metri, i mercantili che lo seguono 8230 metri.
Solo alle 00.57 la Forza K, giunta circa 5 km a sudest del convoglio, apre il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284 e defilando lungo il fianco dei mercantili. Per primo spara l’Aurora, subito imitato da Lance e Penelope.
Il tiro britannico si abbatte per primo sui cacciatorpediniere che proteggono il lato più vicino alla Forza K, quello di dritta: FulmineGrecale e, appunto, proprio l’Euro. I primi due vengono ripetutamente centrati senza avere il tempo di poter imbastire una reazione efficace: il Fulmine affonda dopo pochi minuti, il Grecale rimane alla deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente fuori combattimento.
Diversa è la sorte dell’Euro. All’1.06 vengono visti in plancia una coppiola di proiettili illuminanti che scoppiano sul convoglio; subito dopo, i mercantili divengono oggetto di tiro battente da parte di navi nemiche. Il comandante Cigala Fulgosi vede due navi al suo traverso, e ne trae l’impressione che siano quelle che stanno sparando sul convoglio: di conseguenza, ordina di mettere in comunicazione la terza caldaia, e l’Euro inizia subito a stendere una cortina di nebbia artificiale per cercare di occultare i mercantili. Anche Maestrale e Libeccio fanno fumo, ed il Maestrale accosta di circa 60° a sinistra, seguito dal convoglio; l’Euro aumenta la velocità e cerca di coprire la testa del convoglio con la sua cortina fumogena. L’Aurora ed il Penelope fanno fuoco contro di esso (il Penelope, in particolare, dopo aver sparato su due piroscafi tira dall’1.20 all’1.24 su due cacciatorpediniere che vengono visti sottrarsi al fuoco facendo fumo: uno è certamente l’Euro); anche il Lively, dopo aver sparato le prime cinque salve contro il Duisburg (aprendo il fuoco all’una), sposta il suo tiro sull’Euro. All’1.10, mentre l’Euro sta aumentando la velocità per stendere la cortina fumogena, un proiettile esplode in mare a pochi metri dal suo lato di dritta, all’altezza della plancia: quest’ultima viene investita da una pioggia di schegge, che colpiscono mortalmente il capo centrale sull’aletta di dritta, che si accascia sul ponte, feriscono il puntatore della colonnina e feriscono gravemente anche il sergente furiere addetto ai telegrafi di macchina, Nario Aspromonti, che si abbatte sul telegrafo. Anche Cigala Fulgosi viene ferito, ma in modo lieve; il comandante dell’Euro scampa alla morte per puro miracolo, perché una scheggia colpisce il binocolo che porta al collo, perforandolo. Se non l’avesse avuto, la scheggia lo avrebbe colpito in pieno petto. Gli organi di governo rimangono indenni.


Sopra: il comandante Cigala Fulgosi, dopo la battaglia, mostra il binocolo che gli ha salvato la vita; sotto, particolare del binocolo con il vistoso foro causato dalla scheggia (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societaitalianastoriamilitare.org)


L'ordinanza del comandante Cigala Fulgosi racconterà poi così al giornalista Vero Roberti la drammatica scena, ricordata da Roberti nel suo libro “Con la pelle appesa a un chiodo”: «[Il sergente furiere Aspromonti] cadde senza lamentarsi. “Nane [nomignolo dell'ordinanza di Cigala Fulgosi] – gridò – sono ferito alla schiena, sta’ attento ai telegrafi!” Il comandante gli si avvicinò e gli disse: “Fatti coraggio ancora per qualche minuto. Adesso mettiamo un po’ di siluri in corpo a quegli inglesi, poi ti curerò!” Anche il comandante era ferito. Una piccola scheggia lo aveva colpito all’orecchio. Il suo viso era macchiato di sangue e così il cappotto e la sua sciarpa. Il sergente furiere, morente, si rivolse al comandante e sussurrò: “Non pensi a me, comandante”. Poi, con le sue ultime forze, urlò: “Forza Euro, viva l’Ita…». Il sergente furiere Nario Aspromonti, da Poggio Mirteto (Rieti), sopravvivrà alle gravi ferite riportate (ed anche al conflitto: si spegnerà in tarda età nel 1997) e sarà in seguito decorato di Medaglia d'Argento al Valor Militare per il suo comportamento, con motivazione: "Volontario di guerra già distintosi in precedenti missioni e proposto per decorazione al valore, dovendo sbarcare, alla vigilia della partenza insisteva per rimanere a bordo. In uno scontro navale notturno dava prova di calma e sprezzo del pericolo. Gravemente colpito al posto di combattimento rispondeva al suo comandante che gli rivolgeva parole di incoraggiamento: "Non pensate a me, forza EURO, Viva l'Italia". Sottoposto a gravissima operazione ripeteva di essere fiero del suo sacrificio per la sua nave e per il suo paese".
All’1.18, ritenendo di aver portato abbastanza avanti la cortina nebbiogena e di aver così adempiuto alla prima parte del suo compito – nascondere i mercantili –, Cigala Fulgosi decide di passare al contrattacco. A questo scopo, l’Euro accosta a dritta (prua 220° circa), verso il nemico, e manda in punteria l’apparecchio di punteria generale (A.P.G.) sulle navi intraviste a proravia, che si ritiene essere nemiche; serra le distanze fino ad appena 3-4 km, preparandosi ad attaccare. Intanto, tre o quattro mercantili sono già stati incendiati: da bordo dell’Euro li si vede esplodere. Il comandante Cigala Fulgosi non riesce a distinguere le sagome delle navi verso le quali si sta dirigendo: vede soltanto due ombre più grandi e due o tre più piccole leggermente più a sinistra. Si tratta, effettivamente, della Forza K: ma Cigala Fulgosi è assalito dai dubbi. In serata, infatti, aveva già intravisto due volte la III Divisione al traverso a dritta, cioè nella direzione in cui ora vede le presunte navi nemiche; e le sagome che vede sembrano quelle di due navi maggiori e due o tre minori, il che corrisponde alla composizione della III Divisione e della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere. Per giunta, Cigala Fulgosi trova strano che, sebbene l’Euro si stia certamente profilando distintamente sullo sfondo dei piroscafi in fiamme, le navi che vede non stiano sparando su di lui (stanno facendo fuoco, ma contro altri bersagli la cui identità non si riesce a capire), nonostante l’Euro disti ormai meno di 3000 metri dall’incrociatore di testa. (Per altre fonti, l’Euro sarebbe arrivato fino a meno di 2000 metri dalle navi della Forza K durante il suo contrattacco, riuscendo a portarsi in una posizione ideale per lanciare i suoi siluri contro l’Aurora; Cigala Fulgosi stava per dare l’ordine di lancio quando ricevette dal Maestrale l’ordine di portarsi sul lato sinistro del convoglio e fu colto dal dubbio sull’identità delle navi che aveva davanti). Tutto ciò porta il comandante dell’Euro a pensare che forse le navi che vede non siano quelle nemiche, bensì la III Divisione, che si trovi a dritta del convoglio e che stia sparando su un nemico che sta attaccando il convoglio da poppa: dubbio che a poco a poco si trasforma in convinzione. (Per alcune fonti, tale errato apprezzamento sarebbe stato influenzato anche dalla ricezione dell’ordine del caposcorta Bisciani, diramato a tutte le unità della scorta, di radunarsi attorno al Maestrale sul lato opposto del convoglio: sarebbe stato anche questo a portare Cigala Fulgosi a credere che il nemico si trovasse da quella parte, e che le navi che stava per attaccare fossero quelle di Brivonesi. Di questo però non si parla nel rapporto del comandante Cigala Fulgosi, riportato in appendice nel volume USMM “La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dall’1.10.1941 al 30.9.1942”, che invece menziona le altre ragioni sopra descritte. La Sezione Storica dell’Ammiragliato britannico ha commentato che l’errore di valutazione dell’Euro fu dovuto al fatto che la Marina italiana non disponeva di un adeguato sistema di riconoscimento notturno). Temendo di stare attaccando navi amiche, pertanto, Cigala Fulgosi abbandona l’attacco ed accosta a sinistra, invertendo la rotta, per raggiungere il Maestrale e gli altri cacciatorpediniere, che dirigono all’incirca verso est continuando ad emettere fumo, inquadrati dal tiro della Forza K. Si spegne così l’unico concreto tentativo di contrattacco da parte di un cacciatorpediniere della scorta durante tutta la terribile notte del convoglio “Duisburg”. L’Euro mette le macchine alla massima forza, ed all’1.35 giunge 400-500 metri di poppa agli altri tre cacciatorpediniere rimasti intatti (Maestrale, Libeccio e Oriani), i quali navigano grosso modo in linea di fronte.

Resti di proiettili britannici esplosi a bordo dell’Euro durante lo scontro (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societaitalianastoriamilitare.org)

A questo punto, salve nemiche iniziano a cadere sul gruppo dei quattro cacciatorpediniere, che ne vengono presto inquadrati; l’Euro compie continue, brusche accostate, dirigendo sempre dal lato del punto in cui è caduta l’ultima salva. Due salve, in rapida successione, centrano l’Euro: diversi proiettili cadono a bordo o nelle immediate vicinanze della nave, crivellandola di scheggie. (Per alcune fonti, l’Euro sarebbe stato pesantemente bersagliato prima dal Lively e poi dai due incrociatori circa un minuto dopo aver interrotto l’attacco per ritornare verso il convoglio, venendo colpito in rapida successione da 6 proiettili da 152 mm, che però passano lo scafo da parte a parte senza scoppiare, e senza così causare danni gravi). Poi, le salve smettono di cadere. Cigala Fulgosi non riesce a distinguere niente, a causa del contrasto tra il punto in cui bruciano i mercantili ed il resto dell’orizzonte, oltre che delle cortine fumogene; di conseguenza, si limita a seguire gli altri cacciatorpediniere per imitazione di manovra.
Nel frattempo, neutralizzata parte della scorta diretta, mentre il resto di quest’ultima brancola nel buio, alle 00.59 l’Aurora accosta a dritta e guida la Forza K in una manovra avvolgente, una sorta di volta tonda nella quale aggira i mercantili da ovest verso est, facendo fuoco su ognuno di essi finché questo s’incendia od esplode. Primi ad essere colpiti sono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K, poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto è in grado di sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servono a nulla, né serve il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credono ancora di avere a che fare con un attacco aereo – aprono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se siano sotto attacco navale od aereo, non tentano nemmeno di fuggire: Agnew scriverà poi che sembrava che aspettassero il loro turno per essere distrutte.
Il Lance colpisce ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine), mentre il Lively, che apre il fuoco per ultimo (all’una di notte), colpisce il Duisburg. L’Aurora cannoneggia ed incendia il Rina Corrado, quindi mitraglia il già danneggiato Fulmine, che viene poi finito dal Penelope. Il Conte di Misurata tenta di dare la poppa al fuoco nemico per allontanarsi, ma viene rapidamente colpito ed incendiato dall’Aurora. Quest’ultimo prende poi di mira la Minatitlan, che non ha miglior fortuna, ed all’1.15 impegna un cacciatorpediniere, forse il Maestrale.
All’1.25 l’Aurora accosta a sinistra, di prora al convoglio, per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile possa sfuggire, ed all’1.45 dirige verso ovest per girargli intorno: tutti i mercantili sono ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria opera di distruzione, la Forza K accelera a 25 nodi e dirige per rientrare a Malta, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively).
Deludente la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K che aprono il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostano a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste apre il fuoco all’1.03 ed il Trento due minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). All’1.08 la III Divisione assume rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi mantiene inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K procede a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18. All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessa il fuoco: a quell’ora il convoglio “Duisburg” non esiste già più. Gli incrociatori di Brivonesi hanno sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fa assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi, per intercettare le unità britanniche dirette verso Malta, ma l’incontro non avviene, perché Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti, crede di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica ed all’1.35 assume rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
All’1.41 Euro, MaestraleLibeccio ed Oriani assumono rotta 90° (verso est), che seguono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il comandante Bisciani attende che giunga qualche ordine o notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i quattro cacciatorpediniere si ritirano una decina di miglia ad est del convoglio per riorganizzarsi, poi vanno al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire i mercantili, che si trovano al di là della Forza K. Le quattro unità seguitano poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni volta che queste divengono visibili, senza però riuscire a concludere nulla. Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio Brivonesi ordina al caposcorta Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est seguendo il caposcorta, distano ormai ben 17 miglia da quel che resta del convoglio.
Nel corso del combattimento, l’Euro è stato centrato da ben sei proiettili da 152 mm, due al galleggiamento e quattro all’opera morta, oltre che da un’infinità di schegge: miracolosamente, nessuno dei proiettili è esploso (a differenza che sul Fulmine, anch’esso colpito da sei proiettili nella fase iniziale dello scontro: in quel caso, i proiettili andati a segno sono esplosi tutti, provocando danni letali e l’affondamento in pochi minuti del cacciatorpediniere), il che ha salvato l’Euro da certa distruzione. I danni causati dal tiro nemico non sono tali da minacciare la sopravvivenza della nave, ma il cacciatorpediniere di Cigala Fulgosi è piuttosto malridotto: verso le due di notte i telegrafi di macchina hanno smesso di funzionare; a prua c’è una falla dalla quale entra copiosa molta acqua, la girobussola non funziona più, ed inizia anche a mancare la luce. Cigala Fulgosi dà ordine di ridurre la velocità, in modo da mettere i paglietti turafalle, e ne dà comunicazione al Maestrale. Alle 2.15 le vie d’acqua principali sono state tamponate, ma la turbodinamo si è fermata del tutto; un colpo in sala caldaie ha messo fuori uso anche l’impianto delle luci di sicurezza, così l’Euro si ritrova completamente al buio. Sono andate distrutte anche tutte le antenne radio, e non è possibile fare segnali; le macchine sono però sempre in efficienza, così come siluri ed artiglieria. Nel frattempo, l’Euro ha perso di vista le altre navi; pertanto, Cigala Fulgosi ordina di invertire la rotta, dirigendosi verso il punto in cui stanno ancora bruciando i mercantili. Ormai la battaglia è finita.
Alle 2.55 l’Euro è giunto nei pressi di quel che resta del convoglio; poco dopo viene raggiunto dall’Oriani, al quale segnala con un lampadino di fortuna che, a parte l’impossibilità di fare segnali ed il fatto che, per le comunicazioni, funziona solo il radiosegnalatore, la nave è in efficienza, e seguirà l’Oriani per imitazione di manovra. L’Oriani segnala allora di recuperare naufraghi; l’Euro inizia dunque il mesto compito. Non vi è a galla un solo piroscafo che sia salvabile; alcuni sono già affondati, altri lo faranno più tardi. La Minatitlan, con le sue novemila tonnellate di carburante in fiamme, illumina la notte in uno spaventoso rogo. Continuerà a bruciare fino al mattino seguente. L’Euro recupera dal mare parecchi naufraghi, tra cui molti superstiti della Conte di Misurata, inclusi 20 mitraglieri dell’Esercito.
Alle 3.20 l’Euro può comunicare al Maestrale, col radiosegnalatore, che tutte le falle sono state tamponate, e di essere ritornato sul punto dove si è riunito all’Oriani.
L’operazione di soccorso, cui molto più tardi si uniscono anche alcuni cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, proseguirà per tutta la mattinata del 9 novembre. Intanto, il malconcio Grecale arranca verso nord; alle quattro del mattino rimane definitivamente immobilizzato, per cui il caposcorta distacca l’Oriani con l’ordine di rimorchiarlo a Crotone.
Dalle 7.30 iniziano a sopraggiungere anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternano sui cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli esercitano vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione Navale, invertita la rotta, sta anch’essa dirigendo per tornare sul luogo dove il convoglio è stato distrutto (vi giunge alle 9.20, unendosi ai superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E).
All’insaputa delle navi italiane, intanto, è giunta sul posto una nuova unità britannica: il sommergibile Upholder, al comando del capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn. Informato della presenza del convoglio alle 18.22 dell’8 novembre, a seguito dell’avvistamento da parte del ricognitore britannico, si è diretto sul posto per partecipare all’attacco. Durante la notte, per evitare di attaccare unità amiche (Wanklyn non sa se e quanto la Forza K si deve trattenere sul posto), il sommergibile si astiene dall’attaccare, limitandosi a navigare in superficie tra i piroscafi in fiamme; giunta l’alba, si immerge e si prepara ad attaccare i cacciatorpediniere fermi a recuperare i naufraghi, bersagli perfetti.
La scelta cade sul Libeccio, che ha appena rimesso in moto dopo aver completato il recupero di circa 150 naufraghi, in gran parte del Fulmine. Dall’Upholder, in posizione 37°08’ N e 18°30’ E, partono tre siluri diretti contro il cacciatorpediniere, distante 1830 metri.
Alle 6.40 un siluro colpisce il Libeccio, asportandogli la poppa (e uccidendo molti dei naufraghi appena salvati, che erano stati sistemati in quei locali): danneggiato mortalmente, il cacciatorpediniere si appoppa e sbanda sulla dritta, minacciando di affondare subito. Invece rimane a galla, e dopo una ventina di minuti l’Euro attracca sul suo lato dritto per imbarcarne l’equipaggio; si prepara il trasbordo, mentre la situazione del Libeccio sembra tornare sotto controllo, facendo sperare che lo si possa salvare. Intanto, il comandante Cigala Fulgosi riferisce a voce al comandante Tagliamonte del Libeccio che, quando si è attraccato al Libeccio, il Maestrale gli ha ordinato di mollarlo: i due comandanti, nelle rispettive plance, si parlano da qualche metro di distanza in linea d’aria. Tagliamonte dice a Cigala Fulgosi “Fai quello che ti dicono, può essere pericoloso per te stare qui, credo si tratti di un sommergibile”, poi si rivolge verso l’equipaggio della sua nave, radunato a prua, ed ordina al personale che si prepara al trasbordo di restare a bordo, dicendo “Libeccio, noi rimaniamo a bordo!”. Poi si rivolge di nuovo verso Cigala Fulgosi, e lancia un’accusa bruciante contro l’ammiraglio Brivonesi, che ritiene il colpevole di questo disastro.
Il Maestrale ribadisce l’ordine all’Euro, e Cigala Fulgosi ordina di mollare definitivamente le cime; un marinaio del Libeccio, nel mollare l’ultima cima a prua, dice “Noi del Libeccio non abbiamo bisogno di trasbordare”. Poi, l’Euro si allontana.
Intanto, il Maestrale si avvicina al Libeccio per imbarcare i naufraghi precedentemente recuperati da quest’ultimo; il trasbordo viene effettuato mediante la motolancia del Libeccio.
Nel mentre, l’Upholder avverte le esplosioni di quelle che a Wanklyn paiono cinque bombe di profondità, pertanto si ritira verso nordest alla profondità di 21 metri. In realtà, il Maestrale, dopo aver inviato l’Euro in aiuto del Libeccio (altri cacciatorpediniere disponibili non ve ce ne sono, con l’Oriani impegnato nel rimorchio del Grecale), si è mantenuto nei loro pressi incrociando ad alta velocità, ma senza lanciare bombe di profondità: il suo comandante preferisce correre il rischio di un nuovo attacco da parte del sommergibile, rispetto a quello di uccidere, con le esplosioni delle bombe di profondità, i molti uomini caduti o gettatisi in mare dal Libeccio.
Quando l’Upholder torna ad osservare il risultato dei suoi lanci, tre quarti d’ora dopo il primo attacco, Wanklyn vede che il Libeccio galleggia ancora, ma immobilizzato e privo della poppa, con Euro e Maestrale che lo assistono; avendo ancora tre siluri, il comandante britannico pensa di usarne uno per finire il Libeccio e di lanciare i due restanti contro gli altri due cacciatorpediniere, ma l’arrivo di tre aerei lo induce a rinunciare, per il momento, ad ulteriori attacchi, ed a scendere in profondità per attendere sviluppi.
Frattanto, l’equipaggio del Libeccio riesce a rimettere in funzione gli apparati radio dell’unità, ed il suo comandante si mette allora in contatto per radiosegnalatore col comandante Bisciani del Maestrale, riferendo che la paratia del locale macchina prodiero regge, pur dando luogo ad infiltrazioni, e che ritiene possibile il contenimento delle vie d’acqua per qualche ora: pertanto, chiede ed ottiene di essere preso a rimorchio.
Subito sul Libeccio vengono preparate il cavo e la braga; non appena essi sono pronti, il Libeccio comunica per radiosegnalatore al Maestrale «sono pronto al rimorchio». Alle otto del mattino Bisciani ordina all’Euro di prendere il Libeccio a rimorchio. Il Maestrale li proteggerà lanciando bombe di profondità a scopo precauzionale.
L’Euro, pertanto, si porta subito sottobordo al Libeccio («con brillante manovra», scriverà Tagliamonte nel suo rapporto); ma, ritenendo giustamente che il cavo dato dal Libeccio sia troppo corto, Cigala Fulgosi manda a bordo il suo cavo d’acciaio. Ha finalmente inizio al rimorchio, tra mille difficoltà ed ad una lentezza esasperante – stimata da Tagliamonte in appena due nodi – a causa del precario stato del Libeccio e delle condizioni del mare. Rapidamente l’Euro provvede a preparare un rimorchio più pesante, con catena, da dare al Libeccio per tentare di aumentare la velocità (Cigala Fulgosi ne informa Tagliamonte); ma la situazione sul cacciatorpediniere danneggiato va precipitando: nonostante gli sforzi dell’equipaggio, gli allagamenti si estendono. 



Sopra, l’Euro tenta di rimorchiare il Libeccio danneggiato; sotto, il Libeccio agonizzante fotografato da bordo dell’Euro (Coll. Cigala Fulgosi, dal saggio di Francesco Mattesini su www.societaitalianastoriamilitare.org)


Alla fine, dinanzi all’estendere degli allagamenti, all’aumentato appoppamento ed al graduale incremento dello sbandamento, il comandante Tagliamonte deve rassegnarsi al fatto che la nave è perduta, e dà l’ordine di abbandonare la nave.
Tagliamonte comunica all’Euro la propria decisione, dicendogli di abbandonare il rimorchio; così viene fatto, poi il comandante Cigala Fulgosi riferisce a Tagliamonte che attraccherà subito con l’Euro sul fianco del Libeccio, per recuperarne l’equipaggio.
Su ordine del comandante, tutto l’equipaggio del Libeccio si raduna sulla murata di sinistra; l’Euro, nonostante i problemi causati dall’instabilità e dallo scarroccio dell’agonizzante Libeccio, attracca sul lato sinistro di quest’ultimo e getta a prua una cima, cui però non risulta possibile dar volta: nel frattempo, lo sbandamento del Libeccio è aumentato così velocemente da far apparire che la nave stia per capovolgersi da un momento all’altro.
Alle 11.18 il Libeccio si abbatte sul lato di dritta, impenna la prua verso il cielo e s’inabissa nel punto 36°50’ N e 18°10’ E. Così il comandante Cigala Fulgosi, che assiste all’affondamento dall’Euro, descriverà la scena nel suo rapporto: «l’ultima visione che ho di questa unità [il Libeccio] è la sua prua dritta verso il cielo ed il suo magnifico comandante che aggrappato in alto, in tenuta di panno, con colletto duro e berretto, senza salvagente, salutava col braccio. Ho fischiato l’“attenti” ma non ce n’era bisogno perché tutto il mio equipaggio dopo mollate le cime si era spontaneamente messo in riga per rendere l’ultimo onore al Regio Cacciatorpediniere Libeccio».
Il comandante Cigala Fulgosi elogerà in seguito, nel suo rapporto, sia il comportamento dell’equipaggio del Libeccio durante i tentativi di salvare e rimorchiare la nave (avevano fatto tutto il possibile per agevolare la sua opera), sia il comportamento dei naufraghi di Libeccio e Fulmine: nessuno di essi si è lamentato od aveva chiesto aiuto, e tutti – feriti compresi – hanno fatto il possibile per assistere l’equipaggio dell’Euro nel prestare aiuto a chi più necessita di cure.
L’Euro, insieme al Maestrale e più tardi anche al Fuciliere, provvede al salvataggio dei naufraghi del Libeccio. Tra quelli raccolti dall’Euro è anche il comandante Tagliamonte; questi, finito in acqua al momento dell’inabissamento e portato a galla da delle bolle d’aria fuoriuscite dalla nave, si è arrampicato su una zattera con la quale, insieme ad altri naufraghi del suo equipaggio, rema verso l’Euro, a bordo del quale sale una ventina di minuti più tardi. L’Euro recupera anche 51 naufraghi del Fulmine precedentemente raccolti dal Libeccio, tra i quali un solo ufficiale.


L’Euro recupera i naufraghi del Libeccio, tarda mattinata del 9 novembre 1941 (g.c. STORIA militare)

Ai cacciatorpediniere della scorta diretta si uniscono, per il soccorso ai naufraghi, anche le navi ospedale Virgilio, fatta appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la navigazione da Bengasi all’Italia e giunta sul posto alle undici del mattino (guidata dal fumo dell’incendio della Minatitlan). Queste due unità continueranno ad ispezionare la zona del disastro fino all’alba del 10 novembre.
In tutto, vengono tratti in salvo 764 naufraghi delle nove navi affondate: l’Euro ne raccoglie in tutto 189, tra superstiti del Libeccio e delle navi mercantili. Il Maestrale ne salva 401, l’Oriani 48, l’Alpino 35, la Virgilio 34, l’Arno 21, il Fuciliere 20, il Bersagliere 11. Una lancia del Rina Corrado con 13 superstiti, evidentemente sfuggita alle ricerche, raggiungerà Valona, in Albania, dopo quattro giorni di navigazione.
Sono quattro i membri dell’equipaggio dell’Euro uccisi nello scontro notturno: i marinai Ernesto Feliciani, 22 anni, da Cassano d’Adda; Luigi Forlai, 20 anni, da Bologna; Aniello Savarese, 21 anni, da Vico Equense; ed il capo S.D.T. di terza classe Celeste Punturiero, 32 anni da compiere il 10 novembre, da Rosarno. Altri otto uomini sono rimasti feriti.
Alla memoria di Celeste Punturiero verrà conferita la Croce di Guerra al Valor Militare con motivazione: “Capo servizio vedette, addetto agli smistamenti sull’ala di plancia di un C.T. di scorta a convoglio, durante un violento scontro notturno con forze nemiche, assolveva il suo compito con slancio e Sereno coraggio, finché, gravemente colpito da una scheggia di proiettile, immolava la vita nell’adempimento del dovere”. Anche Ernesto Feliciani ed Aniello Savarese riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare alla memoria; motivazione: “Addetto all’armamento di un impianto da 120 di un C.T., di scorta a convoglio, durante un violento scontro notturno con forze nemiche, assolveva il suo compito con slancio e Sereno coraggio, finché, gravemente colpito da una scheggia di proiettile, immolava la vita nell’adempimento del dovere”.
30 dicembre 1941
L’Euro scorta da Bari a Patrasso il piroscafo tedesco Macedonia, carico di truppe e materiali.
29 gennaio 1942
L’Euro scorta da Bari a Corfù il Macedonia, con un carico di materiali vari. Il convoglio ha destinazione finale Patrasso.
30 gennaio 1942
A Corfù l’Euro ed il Macedonia si uniscono al Turbine ed al piroscafo Absirtea, provenienti da Brindisi e diretti anch’essi a Patrasso. Le quattro navi formano un unico convoglio che dirigerà per Patrasso; sostano a Corfù fino al giorno seguente prima di proseguire.
1° febbraio 1942
Euro, Turbine, Absirtea e Macedonia lasciano Corfù alla volta di Patrasso. Caposcorta è il Turbine (capitano di corvetta Rocca).
In mattinata, il convoglio procede su rotta 173° con i due piroscafi linea di fronte (Macedonia a dritta ed Absirtea a sinistra), ad una velocità di appena cinque nodi, in conseguenza del mare molto agitato con venti di scirocco. L’Euro zigzaga a dritta del convoglio, il Turbine fa lo stesso a sinistra.
Alle 10.45, a sei miglia per 320° (per altra fonte 290°) da Capo Dukato (Isola di Santa Maura, nell’arcipelago delle Isole Ionie), l’Absirtea avvista le scie di tre siluri a sinistra: nonostante la contromanovra subito iniziata, solo uno può essere evitato, mentre gli altri due colpiscono l’Absirtea a poppa, alle 10.46. Il Macedonia accosta subito a dritta e riceve ordine di allontanarsi alla massima velocità, mentre Euro e Turbine si portano sulla sinistra dell’Absirtea e lanciano bombe di profondità, per impedire al sommergibile di attaccare anche il Macedonia. Non si conosce però l’esatta posizione del sommergibile, non avendone visto il periscopio né, a causa del mare mosso, le scie dei siluri.
L’attaccante è il sommergibile britannico Thunderbolt (capitano di corvetta Cecil Bernard Crouch), che alle 10.30, a 4,4 miglia per 291° da Capo Dukato, ha avvistato – in condizioni di scarsa visibilità – il convoglio italiano mentre procedeva su rotta 130°, da una distanza di 3800 metri. Il sommergibile è penetrato all’interno dello schermo dei cacciatorpediniere ed alle 10.43 ha lanciato una salva di tre siluri contro l’Absirtea, da soli 915 metri di distanza. Anche dopo il lancio, il Thunderbolt è rimasto a quota periscopica allo scopo di attaccare anche il secondo mercantile; ha visto uno dei siluri andare a segno sull’Absirtea, ma la rapida accostata a dritta del Macedonia ha venificato il proposito di attaccarlo, pertanto Crouch ha ordinato di scendere in profondità. Sul Thunderbolt vengono contate 21 esplosioni di bombe di profondità, delle quali sono vicine le prime, che causano alcuni danni di minore entità.
L’Absirtea, intanto, assume un marcato appoppamento e viene subito abbandonato dall’equipaggio. Prima di proseguire per Patrasso scortando il Macedonia, il Turbine ordina all’Euro di assistere la nave colpita.
Il mare mosso costringe l’Euro a rinunciare al tentativo di rimorchiare l’Absirtea in costa; può soltanto recuperarne i naufraghi (35, cinque dei quali feriti) dopo di che, verso le 13, abbandona il piroscafo alla deriva, in stato di lento affondamento (quando l’Euro se ne va, il piroscafo ha l’acqua al livello della coperta a poppa, e la prua che va sollevandosi), a circa 7 miglia per 320° da Capo Dukato. L’Absirtea colerà a picco poco dopo le 13.35, nel punto 38°35' N, 20°27' E. Il comandante dell’Euro chiede a quello dell’Absirtea se abbia distrutto i documenti segreti prima di abbandonare la nave, ricevendone risposta affermativa.
7 febbraio 1942
Euro e Turbine scortano da Patrasso a Brindisi, via Corfù, il piroscafo Andrea Contarini, la motonave Apuania e la pirocisterna Giorgio. In mare, nel tratto da Patrasso a Corfù, si uniscono al convoglio anche la torpediniera Sagittario e la cisterna militare Devoli, provenienti da Argostoli e diretti a Corfù.
11 marzo 1942
L’Euro, il cacciatorpediniere Sebenico, l’incrociatore ausiliario Città di Genova e la torpediniera Solferino scortano da Bari a Patrasso un grosso convoglio formato dai piroscafi Francesco CrispiAventinoPiemonteGalileaItaliaIvorea e dalla motonave Viminale, aventi a bordo truppe e rifornimenti. Il convoglio è anche scortato da idrovolanti della Ricognizione Marittima con compito antisommergibili.


Sopra: l’Euro fotografato l’11 marzo 1942 da bordo di uno dei mercantili del convoglio (g.c. STORIA militare); sotto: l’Euro il 12 marzo 1942, presumibilmente fotografato durante la stessa missione (Coll. E. Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it)


14 marzo 1942
Euro e Città di Genova scortano da Patrasso a Bari la motonave Calino ed il piroscafo Re Alessandro.
2 aprile 1942
L’Euro parte da Taranto alle 12.50, insieme ai cacciatorpediniere Da NoliPigafetta (caposcorta) ed alla torpediniera Cigno, per scortare a Tripoli le motonavi Unione e Lerici, nell’ambito dell’operazione «Lupo».
A mezzanotte dello stesso giorno, la Cigno è sostituita dalla gemella Pallade.
3 aprile 1942
Alle otto del mattino, una sessantina di miglia ad est di Capo Murro di Porco, il convoglio che comprende l’Euro si unisce – come prestabilito – ad un secondo proveniente da Taranto e composto dalle motonavi Nino Bixio e Monviso, scortate dai cacciatorpediniere Emanuele Pessagno e Folgore e dalla torpediniera Centauro. Si forma così un unico convoglio, che imbocca una rotta che passa a 110 miglia da Malta per raggiungere Tripoli.
Al tramonto si aggregano al convoglio anche le motonavi Gino Allegri e Monreale, provenienti da Augusta con la scorta dei cacciatorpediniere Freccia e Nicolò Zeno.
4 aprile 1942
Il convoglio viene avvistato da ricognitori britannici e sottoposto a diversi attacchi aerei, ma non subisce alcun danno e giunge a Tripoli tra le 9 e le 10.30, portando a destinazione un prezioso carico di 14.955 tonnellate di munizioni e materiali vari, 6190 tonnellate di carburante, 769 tra automezzi e rimorchi, 82 carri armati e 327 militari.
11 aprile 1942
L’Euro e l’incrociatore ausiliario Arborea scortano da Bari a Durazzo il piroscafo Aventino, carico di truppe e materiali.
12 aprile 1942
L’Euro scorta l’Aventino che rientra da Durazzo a Bari con militari che rimpatriano.
25 aprile 1942
L’Euro e l’incrociatore ausiliario Zara scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Italia e Quirinale, carichi di truppe e materiali.
1° maggio 1942
L’Euro, l’incrociatore ausiliario Città di Napoli e la torpediniera Antonio Mosto scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Rosandra e Città di Catania, con truppe e materiali.
2 maggio 1942
L’Euro scorta da Valona a Bari la nave cisterna Dora C.
5 maggio 1942
L’Euro e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano Rosandra e Città di Catania che rientrano con truppe rimpatrianti da Durazzo a Bari.
29 maggio 1942
L’Euro (capitano di fregata Giuseppe Cigala Fulgosi) salpa da Taranto per Tripoli alle 17, scortando la motonave Rosolino Pilo, con la quale costituisce il convoglio «P».
30 maggio 1942
Verso le 6.30, un centinaio di miglia a sudest di Punta Stilo, il convoglio «P» si unisce al convoglio «L», cioè la motonave Gino Allegri ed il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, provenienti da Brindisi. Il convoglio unico così formato (caposcorta è il capitano di vascello Aldo Cocchia, del Da Recco) imbocca la rotta di levante per la Libia, passando a circa 200 miglia ad est di Malta ad una velocità di 15,5 nodi.
Nella notte del 30, a seguito della segnalazione della presenza di un sommergibile sul percorso, nonché della presenza di ricognitori britannici, la rotta viene cambiata più volte per confondere le idee al nemico. Il Da Recco lancia delle bombe di profondità contro un sommergibile dalla nazionalità dubbia. Alle 11.03 un aereo britannico avvista il convoglio.
Alle 22.30 il convoglio si scinde di nuovo, ma scambiandosi le navi scorta: la Pilo dirige per Tripoli con la scorta del Da Recco, mentre l’Allegri fa rotta verso Bengasi, scortata dall’Euro.
31 maggio 1942
Alle 00.15 Euro ed Allegri vengono localizzate da ricognitori britannici decollati dalle basi cirenaiche, che indirizzano su di esse gli aerei di base a Malta (che proprio in questo periodo, a seguito della riduzione dell’intensità dei bombardamenti tedeschi e dell’arrivo di nuovi velivoli decollati da delle portaerei, stanno iniziando a rimettere i denti ed a riprendere ad attaccare i convogli, dopo un periodo di scarsissima attività aerea). Il primo attacco aereo si verifica alle 00.35 e passa senza causare alcun danno; ma alle prime luci dell’alba gli aerei, dei bombardieri Vickers Wellington del 221st Squadron della Royal Air Force, tornano alla carica.
Nel frattempo, alle 4.20 (ora italiana, d’ora in poi usata; 5.20 ora di bordo del Proteus) il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) ha avvistato le due navi oscurate su rilevamento 300°, in posizione 32°28’ N e 18°52’ E. Alle 4.22 il Proteus si immerge, non potendo attaccare in superficie a causa della luce lunare, ed alle 4.30 avvista di nuovo il convoglio al periscopio, riconoscendolo correttamente come composto da un mercantile scortato da un cacciatorpediniere.
Alle 4.41 il Proteus lancia due siluri da 1370 metri, con i tubi di poppa, contro l’Allegri, per poi scendere in profondità ed allontanarsi verso nordovest.
Colpita, alle 4.45, sia dalle bombe degli aerei che dai siluri del Proteus, la motonave – carica di munizioni – prende fuoco e dopo sei minuti salta in aria nel punto 32°31’ N e 18°36’ E (o 32°27’ N e 18°54’ E), un’ottantina di miglia ad ovest di Bengasi, ricoprendo tutto il mare circostante con una coltre di fumo nero. L’esplosione è tanto violenta che anche il Proteus, immerso ad elevata profondità e notevole distanza, viene scosso violentemente e subisce anche alcuni danni. (Le fonti italiane attribuiranno inizialmente la perdita all’attacco aereo, e successivamente, appreso dell’attacco del Proteus, ad una coincidenza che abbia portato le bombe degli aerei ed i siluri del Proteus a colpire contemporaneamente l’Allegri;  il Proteus però non parla minimamente della presenza di aerei nel suo giornale di bordo. Alcune fonti parlano anche di partecipazione all’attacco da parte del sommergibile britannico Taku, ma in realtà il Taku lancia, alle 4.43 e 60 miglia più a nord, contro la Rosolino Pilo, senza riuscire a colpirla).
All’Euro non rimane che riferire l’accaduto a Supermarina e raccogliere i pochi superstiti: 21, tutti feriti, su circa 300 uomini che erano a bordo dell’Allegri. Il cacciatorpediniere prosegue poi per Bengasi, dove arriva a mezzogiorno e dieci (raggiunto, per una fonte, anche dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari, inviata da Bengasi per rinforzare la scorta).


Una bella foto dell’Euro con colorazione mimetica, nella primavera del 1942 (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societaitalianastoriamilitare.org)

4 giugno 1942
Alle 20 l’Euro lascia Bengasi e viene inviato a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Freccia, torpediniere Pallade, Partenope e Pegaso) della motonave Reginaldo Giuliani, che alle 5.30 di quel mattino è stata silurata da aerosiluranti britannici a 130 miglia da Bengasi, mentre procedeva da Taranto verso il porto cirenaico. Ogni tentativo di rimorchio (prima da parte del Freccia, poi del rimorchiatore tedesco Max Berendt) e di salvataggio della nave risulta vano; dopo aver tratto in salvo i 225 uomini imbarcati, la scorta dovrà accelerare l’affondamento dell’ormai irrecuperabile Giuliani nelle prime ore del 5 giugno.
5 giugno 1942
Le navi da guerra giungono a Bengasi in mattinata.
9 giugno 1942
L’Euro, il Freccia (caposcorta) e la Pallade lasciano Bengasi per Taranto alle 5.30, scortando la motonave Monviso, che ha a bordo circa 200 prigionieri.
10 giugno 1942
A seguito della segnalazione dell’avvistamento di un sommergibile nemico, il convoglio viene fatto entrare a Gallipoli alle 20.45, sostandovi per alcune ore.
11 giugno 1942
Alle due di notte le navi lasciano Gallipoli per riprendere il viaggio verso Taranto, dove arrivano alle 9.30.
16 giugno 1942
L’Euro, il Turbine e la torpediniera Partenope, trovandosi in porti della Grecia, vengono fatti salpare nelle prime ore della notte per andare a rinforzare la scorta antisommergibili delle corazzate Littorio (nave di bandiera del comandante della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino) e Vittorio Veneto, che stanno rientrando a Taranto dopo aver partecipato, in Mediterraneo orientale, alla battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. Il rinforzo alla scorta antisommergibili è stato disposto da Supermarina per proteggere il più possibile le navi da attacchi di sommergibili, specialmente dato che la Littorio è stata danneggiata da un aerosilurante: alcune ore prima l’incrociatore pesante Trento, immobilizzato da un aerosilurante, è stato affondato dal sommergibile britannico Umbra mentre si tentava di prenderlo a rimorchio.
Euro e Turbine raggiungono la squadra navale all’alba (la formazione procede a 20 nodi, la velocità massima che la Littorio può raggiungere dopo il siluramento) e ne assumono la scorta antisommergibili. Più o meno nello stesso momento la Littorio, che dopo il siluramento è passata dietro alla Vittorio Veneto, torna ad assumere il suo posto in testa alla formazione, sul cui cielo arriva al contempo la prima pattuglia di caccia della Regia Aeronautica. Alle 5.06 la squadra navale accosta per 315°, dirigendosi verso il punto in cui cominciano le rotte di sicurezza costiere tra i campi minati difensivi, a sud di Santa Maria di Leuca. Nella supposizione che possano esservi sommergibili in agguato, le navi iniziano al contempo a zigzagare; varie unità comunicano infatti avvistamenti di periscopi, inducendo ad accostate d’urgenza di tutta la formazione per sottrarsi ad eventuali attacchi, anche se è possibile che si sia in realtà trattato di falsi allarmi. I sommergibili britannici della I Flottiglia si sono effettivamente spostati, nel corso della notte, poco a sud di Santa Maria di Leuca; pur essendosi ben posizionati nei pressi delle rotte percorse dalla squadra italiana, non riusciranno ad attaccare.
Verso le 8.30 Euro e Turbine vengono sostituiti nel compito di scorta antisom dalle torpediniere Sagittario, Antares ed Aretusa, inviate da Taranto per ordine di Supermarina; a questo punto, i due cacciatorpediniere fanno rotta per Brindisi.
2 luglio 1942
L’Euro salpa alle 13 da Taranto insieme ai cacciatorpediniere Turbine e Giovanni Da Verrazzano (caposcorta) ed alle torpediniere AntaresSan MartinoCastorePolluce e Pegaso per scortare a Bengasi un convoglio composto dalle moderne motonavi MonvisoNino Bixio ed Ankara (quest’ultima tedesca).
Si tratta del primo importante convoglio dopo la riconquista di Tobruk da parte dell’Asse, con un carico complessivo di 8182 tonnellate di munizioni e materiali, 1247 tonnellate di carburanti e lubrificanti, sette carri armati e 439 veicoli; la Monviso ha a bordo 128 automezzi, due carri armati, 300 tonnellate di carburanti e lubrificanti e 3020 tonnellate di altri materiali (tra cui materiale d’artiglieria e munizioni), oltre a 165 militari.
Già alle 14.18 il servizio di decrittazione britannico “ULTRA” intercetta e decifra un messaggio codificato dalla macchina “Enigma”, apprendendo così della partenza del convoglio; successive decrittazioni precisano la composizione della scorta e la rotta che il convoglio seguirà (rotte costiere e di sicurezza fino alle 4.30 del 3 luglio, quando Sagittario e San Martino si devono unire alla scorta, dopo aver completato un rastrello in quelle acque; indi riunione con convoglio che deve passare probabilmente a sudovest di Capo Gherogambo). Vengono dunque disposti attacchi aerei contro il convoglio, ed un ricognitore viene inviato a cercarlo, in base alle informazioni di “ULTRA”, per precisarne meglio la posizione.
Tuttavia, anche l’Ufficio Beta del Servizio Informazioni Segrete (il servizio segreto della Regia Marina) è al lavoro: la sera del 2 luglio gli uomini del SIS intercettano e decrittano un messaggio radio inviato alle 20.40 da Malta ai ricognitori YU3Y e 86KK, con l’ordine di cambiare rotta e cercare 30 miglia più ad est delle posizioni assegnate. Il messaggio è codificato col sistema SYKO, che i decrittatori del SIS sono riusciti a decifrare; inoltre, rilevazioni radiogoniometriche permettono di localizzare i ricognitori britannici (a 150 miglia per 350° da Bengasi l’uno, a 90 miglia per 350° da Bengasi l’altro). Alle 21.40, così, Supermarina invia al convoglio dell’Euro un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) ed informa il capoconvoglio che i britannici conoscono la loro posizione: in tal modo, il capoconvoglio cambia rotta.
La Pegaso rileva all’ecogoniometro un sommergibile nemico e lo attacca con intenso lancio di bombe di profondità, ritenendo di averlo affondato, ma in realtà non è stato colpito nulla (è possibile che il sommergibile stesso fosse solo un falso contatto).
3 luglio 1942
Nonostante il cambiamento di rotta, alle 3.30 il ricognitore H3TL riesce a trovare il convoglio, e lo comunica per radio a Malta. Di nuovo, però, il SIS intercetta e decifra il messaggio, e nel giro di mezz’ora Supermarina invia un nuovo avvertimento al convoglio, che cambia di nuovo rotta. La mattina ed il pomeriggio il convoglio procede senza incontrare forze britanniche.
Alle 15.13 ed alle 16.13, però, il SIS intercetta nuovi messaggi in codice britannici, e scopre che da Malta sono decollati otto aerosiluranti Bristol Beaufort.
Infatti il convoglio è stato avvistato da ricognitori nel pomeriggio, ed alle 18.30 sono decollati per attaccarlo otto aerosiluranti Bristol Beaufort, scortati da cinque caccia Bristol Beaufighteer; due degli aerei, però, non sono riusciti a decollare, ed altri due sono stati costretti a tornare indietro poco dopo il decollo. I rimanenti attaccano il convoglio alle 20.10, da est, provenendo dalla direzione opposta del crepuscolo e delle navi della scorta. Due aerei attaccano il mercantile al centro (la Bixio), altri due il mercantile di coda; questi ultimi due vengono abbattuti dal tiro contraereo della scorta (per altra fonte i Beaufort attaccanti erano sei, di cui tre abbattuti). Nonostante la coordinazione con i Beaufighters, che mitragliano le navi per contrastare il loro tiro contraereo, l’attacco britannico fallisce completamente: nessuna nave è colpita.
(Secondo una fonte, sempre in serata il convoglio viene attaccato da tre aerosiluranti Vickers Wellington, guidati da un Wellington VIII dotato di radar ASV – Air to Surface Vessel, per l’individuazione delle navi da parte di un aereo –, ma anche in questo caso non vengono subiti danni. È però probabile una confusione col successivo attacco di Wellington del 4 luglio).
4 luglio 1942
Alle 00.18 ed alle 00.42 il ricognitore N1KL invia due segnali di scoperta del convoglio, seguiti all’una di notte da un terzo segnale, lanciato dal ricognitore ZZ7P. Sono decollati da Malta cinque velivoli Vickers Wellington, due dei quali armati con siluri e tre con bombe da 227 kg: la scorta del convoglio, però, occulta i mercantili con cortine fumogene, e gli attaccanti devono sganciare bombe e siluri pressoché a caso, senza riuscire a vedere i bersagli. Nessuna bomba o siluro va a segno.
Nella mattinata del 4 luglio, nuovo attacco: stavolta da parte di tre Wellington e tre bombardieri quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator”, tutti della Royal Air Force, decollati dall’Egitto. I Wellington non riescono a trovare il convoglio; i B-24 invece sì, ma le loro bombe non vanno a segno.
Alle 10.30 ed alle 14.15 (quando l’Ankara viene mancata da quelli che sembrano dei siluri) il convoglio viene attaccato da sommergibili (ma è probabile che si sia trattato di falsi allarmi).
Il britannico Turbulent (capitano di fregata John Wallace Linton) avvista le alberature e poi le navi italiane alle 11.10, in posizione 33°30’ N e 20°30’ E (un’ottantina di miglia a nord di Bengasi), ma viene localizzato dal sonar della Pegaso alle 11.41, prima di poter attaccare, e subisce poi una caccia antisom che inizia alle 11.48: la prima scarica di 6 bombe di profondità, lanciata in posizione 33°28’ N e 20°28’ E, esplode molto vicina ma causa soltanto danni minori; successivamente vengono gettate molte altre bombe di profondità, che però esplodono più lontane. Da parte italiana si ritiene, erroneamente, di avere affondato il sommergibile; comunque, l’attacco è sventato.
Il convoglio giunge indenne a Bengasi alle 18.45.


Un gruppo di marinai dell’Euro. Primo a sinistra, in piedi, il marinaio furiere Francesco De Rizzo (g.c. Alberto De Rizzo)

21 settembre 1942
L’Euro salpa da Taranto nella notte tra il 21 ed il 22, insieme al cacciatorpediniere Lampo ed alla torpediniera Partenope, scortando la nave cisterna Proserpina, diretta in Libia con scalo intermedio al Pireo ed a Suda. La petroliera ha a bordo un prezioso carico di 5316 tonnellate di benzina (la sua portata sarebbe in realtà quasi doppia: ma in Italia non c’è altro carburante disponibile da inviare in Africa).
22 settembre 1942
In serata il convoglio viene attaccato da nove aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force (guidati dal tenente colonnello Maurice ‘Larry’ Gaine, che ha da poco assunto il comando del 39th Squadron), scortati da sei caccia Bristol Beaufighter del 227th Squadron (guidati dal tenente colonnello Donald Shore). Volando a bassa quota, gli aerei intercettano il convoglio al largo di Antipaxo, per colpire prima che riesca ad entrare nel Golfo di Corinto. Il piano britannico prevede che i Beaufort, agendo suddivisi in “coppie fluide”, dovranno attaccare contemporaneamente da tutte le direzioni, in modo da provocare una maggior dispersione del tiro contraereo (data la scarsità delle risorse disponibili a Malta, i piloti degli aerosiluranti hanno l’ordine di attaccare solo navi di stazza pari o superiore alle 5000 tsl), mentre i Beaufighter si divideranno in due gruppi da tre con differenti compiti: tre Beaufighter dovranno attaccare le navi per “sopprimere” il loro fuoco contraereo, e gli altri tre dovranno restare sul cielo degli aerosiluranti per fornire loro protezione in quota.
I britannici subiscono una perdita prima ancora prima di incontrare il convoglio: uno dei tre Beaufighter della sezione “anti-contraerea”, pilotato dal sergente australiano A. J. Phillips, entra in collisione con un Beaufort pilotato dal sottotenente canadese Aubrey F. Izzard, il quale riporta alla coda danni tali da precipitare in mare, uccidendo tutto l’equipaggio. L’aereo di Phillips riesce ad evitare tale tragica sorte, ma è costretto a rientrare a Luqa (Malta) senza poter partecipare all’attacco. Quando i restanti tredici aerei raggiungono il convoglio, sul cui cielo sono visibili due caccia Macchi M.C. 200 e diversi bombardieri Junkers Ju 88, le tre unità della scorta iniziano a girare in cerchio intorno alla Proserpina, emettendo cortine fumogene ad alta velocità; il capitano Terry A. McGarry spara un razzo Very giallo, segnale di attaccare, ed i Beaufort vanno all’attacco. Il Beaufighter del tenente colonnello Shore, addetto alla soppressione del fuoco contraereo, compie due passaggi mitragliando una delle navi scorta con cannoncini e mitragliere, poi mitraglia anche la Proserpina; viene a sua volta colpito, e sarà costretto ad un atterraggio d’emergenza a Luqa. Il Beaufort del sottotenente canadese Dallas Schmidt mitraglia un cacciatorpediniere, ritenendo di aver colpito delle munizioni (avendo visto quella che sembra una piccola esplosione a proravia della plancia); viene poi attaccato da uno Ju 88, che riesce però ad eludere, mentre gli altri Beaufighter attaccano gli altri Ju 88 senza particolari risultati da una parte o dall’altra. Un mitragliere del Beaufort del tenente colonnello Gaine rivendica il probabile abbattimento o danneggiamento di uno Ju 88. Tutti i Beaufort, sebbene attaccati ripetutamente dagli aerei italo-tedeschi, lanciano i loro siluri contro la Proserpina, che è parzialmente nascosta dal fumo; ma la petroliera riesce ad evitarli tutti con abili manovre. (Secondo la versione italiana gli aerosiluranti avrebbero dapprima lanciato senza risultato i loro siluri, poi mitragliato sia la Proserpina che le navi della scorta, mentre da parte britannica risulterebbe il contrario). L’attacco britannico termina così nell’insuccesso; le navi italiane lo superano con pochi lievi danni causati dal mitragliamento.
Il cacciatorpediniere mitragliato dal sottotenente Schmidt, con esplosione di munizioni a bordo, è con ogni probabilità proprio l’Euro, che in questo attacco deve lamentare due vittime tra l’equipaggio: il marinaio cannoniere Antonio Locatelli, da Milano, ed il sottocapo S.D.T. Giuseppe Noseda Pedraglio, da Brunate, entrambi di vent’anni. Entrambi sono decorati alla memoria con la Croce di Guerra al Valor Militare: per Giuseppe Noseda Pedraglio, la motivazione è “Imbarcato su C.T. di scorta a convoglio attaccato da aerosiluranti nemici, assolveva il suo incarico sull’ala di plancia bersagliata dalla mitraglia avversaria e, benché mortalmente colpito, continuava ad adempiere il suo dovere fino all’estremo limite della resistenza, immolando la vita nella più completa dedizione alla Patria.
23 settembre 1942
Euro, Proserpina, Lampo e Partenope, dopo aver attraversato il Canale di Corinto, raggiungono il Pireo alle 23. Da lì la nave cisterna proseguirà per l’Africa con diversa scorta, giungendo indenne a destinazione.
28 settembre 1942
L’Euro ed il cacciatorpediniere tedesco Hermes scortano dal Pireo ai Dardanelli le navi cisterna Albaro e Celeno.
16 ottobre 1942
L’Euro ed il piroscafetto requisito F 110 Giorgio Orsini scortano il piroscafo Pola dal Pireo a Rodi.
20 ottobre 1942
Euro ed Orsini scortano di nuovo il Pola in un altro viaggio dal Pireo a Rodi.
29 ottobre 1942
L’Euro ed il cacciatorpediniere tedesco Hermes scortano dal Pireo ai Dardanelli la nave cisterna tedesca Ossag.
31 ottobre 1942
Euro ed Hermes scortano da Salonicco al Pireo la nave cisterna Adriana e la motonave Col di Lana.
1° novembre 1942
L’Euro, proveniente da Istmia, assume la scorta dell’incrociatore ausiliario Francesco Morosini, salpato da Taranto a mezzogiorno per una missione di trasporto verso Tobruk.
3 novembre 1942
Euro e Morosini sostano a Suda durante la giornata.
4 novembre 1942
Euro e Morosini arrivano a Tobruk alle 17.10.
5 novembre 1942
Alle 16 l’Euro (caposcorta) lascia Tobruk per scortare il Morosini al Pireo, insieme alla torpediniera di scorta Fortunale.
6 novembre 1942
Le tre navi giungono al Pireo alle 21.
8 dicembre 1942
L’Euro e le torpediniere Castore e Libra scortano la motonave Donizetti ed il piroscafo Argentina dal Pireo a Rodi.
9 dicembre 1942
L’Euro e le torpediniere Libra e Calatafimi scortano da Rodi al Pireo la Donizetti, l’Argentina ed il piroscafo greco Ardena.
14 dicembre 1942
Euro, Castore e Libra scortano dal Pireo a Rodi Donizetti, Argentina, Ardena ed il piroscafo Hermada.
18 dicembre 1942
Euro e Solferino scortano dal Pireo a Salonicco il piroscafo Fanny Brunner e la pirocisterna Celeno.


Marinai dell’Euro, tra cui il marinaio furiere Francesco De Rizzo (a sinistra, unico con il berretto in testa), probabilmente in una foto ricordo davanti al Partendone (g.c. Alberto De Rizzo)

5 gennaio 1943
L’Euro scorta il Fanny Brunner da Salonicco a Lero.
29 gennaio 1943
Euro e Calatafimi scortano da Iraklion al Pireo il piroscafo Re Alessandro. Durante la navigazione, a sudovest di Polikandro, il convoglio viene bombardato da aerei, ma nessuna bomba va a segno.
3 febbraio 1943
Euro, Turbine, Solferino e Calatafimi scortano Donizetti, Argentina e Ardena dal Pireo a Rodi.
6 febbraio 1943
Euro, Turbine, Solferino e Calatafimi scortano Donizetti, Argentina e Ardena da Rodi al Pireo.
14 febbraio 1943
Euro, Turbine e Calatafimi scortano la nave cisterna tedesca (ex greca) Petrakis Nomikos da Salonicco a Trikiri.
16 febbraio 1943
L’Euro scorta il piroscafo Goggiam da Iraklion al Pireo.
25 febbraio 1943
Assume il comando dell’Euro il capitano di fregata Vittorio Meneghini, che sarà il suo ultimo comandante.
17 marzo 1943
L’Euro, l’Hermes ed il posamine tedesco Drache scortano da Iraklion al Pireo le motonavi Città di Savona, Città di Alessandria e Donizetti ed il piroscafo Ardena.
26 marzo 1943
Euro e Solferino scortano Città di Savona, Città di Alessandria, Donizetti ed Ardena dal Pireo a Rodi.
27 marzo 1943
Euro e Solferino scortano Città di Savona, Città di Alessandria, Donizetti ed Ardena da Rodi al Pireo.
7 aprile 1943
Euro, Turbine e Solferino scortano Donizetti e Re Alessandro dal Pireo a Rodi, via Lero.
11 aprile 1943
L’Euro scorta la Donizetti da Rodi a Lero.
18 aprile 1943
Euro e Turbine scortano il Re Alessandro dal Pireo a Lero.
19 aprile 1943
Euro e Turbine scortano il Re Alessandro da Lero al Pireo.
22 aprile 1943
L’Euro, la torpediniera Castelfidardo ed il cacciatorpediniere Quintino Sella scortano dal Pireo a Rodi Ardena, Città di Savona, Donizetti e Re Alessandro.
24 aprile 1943
Euro, Sella e Castelfidardo scortano da Rodi al Pireo Ardena, Città di Savona, Donizetti e Re Alessandro.
1° maggio 1943
Euro e Castelfidardo scortano dal Pireo ad Iraklion Re Alessandro ed Ardena.
3 maggio 1943
Euro e Castelfidardo scortano Re Alessandro ed Ardena da Iraklion al Pireo.
11 maggio 1943
L’Euro scorta il piroscafo Hermada dal Pireo a Rodi.
25 maggio 1943
L’Euro e due cacciasommergibili tedeschi scortano la Donizetti da Rodi al Pireo.
8 giugno 1943
Euro, Solferino e due cacciasommergibili tedeschi scortano dal Pireo a Rodi la Donizetti e la piccola nave cisterna Helli.
9 giugno 1943
L’Euro e due cacciasommergibili tedeschi scortano Helli e Donizetti da Rodi al Pireo.
19 giugno 1943
Euro, Turbine e la torpediniera Monzambano scortano Donizetti, Ardena e Re Alessandro dal Pireo a Lero e poi a Rodi.


Il marinaio dell’Euro Francesco De Rizzo con alcuni commilitoni davanti al palazzo del Parlamento di Atene, il 20 giugno 1943 (g.c. Alberto De Rizzo)

21 giugno 1943
Euro, Turbine e Monzambano scortano Donizetti, Ardena e Re Alessandro da Rodi al Pireo.
26 giugno 1943
L’Euro e le torpediniere Castelfidardo e Calatafimi scortano Donizetti, Ardena e Re Alessandro dal Pireo a Rodi, via Lero.
28 giugno 1943
Euro, Castelfidardo e Calatafimi scortano Donizetti, Ardena e Re Alessandro da Rodi al Pireo.
25 luglio 1943
Euro e Monzambano scortano il Re Alessandro da Rodi a Salonicco.
28 luglio 1943
Euro e Solferino scortano il Re Alessandro da Salonicco a Rodi.
Alle 16.45, mentre il convoglio si trova 25 miglia a sudest della penisola di Cassandra, un sommergibile tenta infruttuosamente di attaccarlo; la scorta aerea va al contrattacco, e viene osservata una chiazza di nafta. Non risulta, comunque, che il sommergibile attaccante sia stato affondato.
30 luglio 1943
Euro e Solferino scortano il Re Alessandro da Rodi al Pireo.
2 agosto 1943
L’Euro e la torpediniera San Martino scortano il piroscafo Re Alessandro dal Pireo a Rodi.
8 agosto 1943
Euro e Monzambano scortano il Re Alessandro da Rodi al Pireo.
10 agosto 1943
Euro, Turbine, Monzambano ed il cacciatorpediniere Francesco Crispi scortano Helli, Donizetti e Re Alessandro dal Pireo a Rodi.
12 agosto 1943
Euro, Turbine, Crispi e Monzambano scortano Helli, Donizetti e Re Alessandro da Rodi al Pireo.
Agosto 1943

Mentre l’Euro si trova ormeggiato al Pireo, nella prima metà del mese, l’equipaggio assiste a delle esercitazioni da parte delle truppe tedesche, il cui fine appare sul momento incomprensibile. Si saprà in seguito, come scriverà il direttore di macchina Gennaro Caronna, che quelle esercitazioni erano volte alla preparazione di un colpo di mano contro i locali comandi italiani e contro le navi italiane in porto: i soldati tedeschi si stavano addestrando ad impadronirsene di sorpresa, se ciò si fosse reso necessario, in vista della probabile defezione dell’Italia. Qualche tempo dopo, l’equipaggio dell’Euro riceverà delle istruzioni segrete in merito alle precauzioni da adottare per difendersi da eventuali azioni di forza da parte tedesca.
 
L’Euro nel 1930-1931 (da “Cacciatorpediniere in guerra” di Carlo De Risio, supplemento alla “Rivista Marittima” dell’ottobre 2009, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

Lero, l’ultima isola

Quando fu annunciata al mondo la notizia della firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, l’Euro si trovava ormeggiato a San Giorgio nella baia di Portolago, nell’isola di Lero, sede della maggiore base navale italiana del Dodecaneso.
Delle quattro navi (Euro, Turbine, Crispi, Sella) che formavano all’8 settembre la IV Squadriglia Cacciatorpediniere, dislocata nel Dodecaneso agli ordini del Comando Marina Egeo (Rodi), l’Euro era l’unica a trovarsi nell’arcipelago in quel momento: Turbine e Crispi, infatti, erano al Pireo, dove furono catturati dai tedeschi, mentre il Sella era a Venezia per lavori (partito l’11 settembre per raggiungere un porto del sud, venne affondato in Adriatico da motosiluranti tedesche). In tal modo l’Euro, al comando del capitano di fregata Vittorio Meneghini, si ritrovò ad essere la nave da guerra italiana più grande e potente presente nel Dodecaneso.
La situazione nel Dodecaneso andò rapidamente precipitando dopo l’armistizio, quando le forze tedesche passarono all’azione con l’obiettivo di occupare l’intero arcipelago prima che potessero farlo gli Alleati, schiacciando qualsiasi reazione da parte delle forze italiane, che dal canto loro non avevano chiari ordini su come comportarsi nei confronti degli ex alleati. I primi scontri tra truppe italiane e tedesche scoppiarono nell’isola principale dell’arcipelago, Rodi, sede del governatore del Dodecaneso, ammiraglio Inigo Campioni, e dei comandi delle forze armate italiane nell’Egeo (Egeomil, Mariegeo); era a Rodi che era concentrata la quasi totalità delle truppe tedesche nell’Egeo (circa 8000 uomini), comandate dal generale Ulrich Kleeman.
A Lero la notizia dell’armistizio, che fu annunciato dagli Alleati (proclama del generale Dwight Eisenowher a Radio Algeri) prima che dalle autorità italiane, fu ricevuta alle 18.30 dell’8 settembre, per tramite del locale servizio intercettazioni radio straniere. Sulle prime, la notizia venne ricevuta con incredulità e tenuta segreta; ma dopo poco più di un’ora, con il giornale radio italiano delle 20, giunse la conferma ufficiale da parte italiana, sotto forma del proclama del maresciallo Badoglio. Come altrove, la notizia dell’armistizio, che molti credettero significasse la fine di quella guerra disastrosa, diede luogo ad inconsulte esplosioni di euforia, soprattutto da parte degli operai della locale Officina Mista ma ancor più, per ovvie ragioni, da parte della popolazione civile greca: le chiesette dei paesi dell’isola suonarono le campane a distesa fino a notte. Ben più tesa l’atmosfera nel Comando, dove si intuì subito che sarebbe stata prevedibile una dura reazione tedesca: i comandi subordinati, insieme alla notifica dell’armistizio, ricevettero l’ordine di tenere consegnato il personale; venne disposto lo stato di emergenza eccezionale, e l’ordine di Badoglio di reagire «ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza [cioè, non angloamericana]» venne subito interpretato, a differenza che in tanti altri ambiti, come una espressa autorizzazione a rispondere con le armi a qualsiasi atto ostile da parte degli ex alleati tedeschi. Nel giro di qualche ora, dunque, tutte le difese di Lero vennero allertate e preparate a reagire ad eventuali attacchi.
A bordo dell’Euro si trovavano imbarcati, al momento dell’armistizio, alcuni segnalatori tedeschi; vennero immediatamente sbarcati e trasferiti presso il locale campo d’aviazione, dove furono posti sotto sorveglianza. Erano questi gli unici tedeschi presenti a Lero, insieme ad un sottufficiale della Luftwaffe che si trovava di passaggio e che fu sottoposto ad analoghe misure cautelative. (Secondo alcune fonti, dopo l’annuncio dell’armistizio "fu ordinato di entrare a Lero a tutte le unità  che si trovavano in mare, ordine che solo il cacciatorpediniere Euro fu in grado di eseguire", il che sembrerebbe significare che al momento dell’armistizio l’Euro si trovava in mare, e che raggiunse Lero per ordine di quel Comando; ma di questo non si parla nel volume USMM "Avvenimenti in Egeo dopo l’armistizio", il quale sembra invece dare ad intendere che l’Euro si trovasse già a Lero in quel momento).
Le prime ore successive all’armistizio furono cariche di tensione ed incertezza; da Rodi giungevano poche e parziali notizie su quanto vi stava accadendo, ed a Lero non si era sicuri di come comportarsi con mezzi aerei e navali tedeschi che non manifestassero intenzioni ostili, come il ricognitore della Luftwaffe che compì due sorvoli sopra l’isola nella mattina del 9 settembre. Da Rodi venne risposto che gli aerei tedeschi andavano considerati nemici soltanto se compivano atti ostili. Sull’Euro l’ordine fu di stare ai posti di combattimento, ma senza fare fuoco.

Proprio a Rodi, intanto, si stavano accendendo i primi scontri tra italiani e tedeschi nel Dodecaneso. Dopo l’armistizio l’ammiraglio Campioni aveva ordinato alle truppe di stare all’erta ed aveva intimato ai tedeschi di non compiere spostamenti, che avrebbero potuto provocare reazioni da parte italiana; alle 2.15 era arrivata una comunicazione del Comando Supremo che assumeva il controllo diretto dell’Egeo (dalle 23 dell’8 settembre) e dava al Comando la “libertà” di assumere nei confronti dei tedeschi “l’atteggiamento che si ritenesse più conforme alla situazione”, prescrivendo tuttavia di disarmarli nel caso fossero prevedibili atti ostili. Quest’ultimo ordine presupponeva che i tedeschi fossero disposti a lasciarsi disarmare: e non era proprio così; in verità, mentre il Comando Supremo ed i vertici del governo e della monarchia avevano tenuto i Comandi oltremare all’oscuro dell’armistizio fino al momento del suo annuncio, i comandi tedeschi si erano preparati già da mesi alla probabile defezione dell’Italia, e sapevano già cosa fare. Mentre l’ammiraglio Campioni, incerto sul da farsi, alternava le discussioni con il locale comandante tedesco (che sosteneva di non avere intenzioni ostili contro gli italiani) a quelle con la missione britannica inviata a Rodi per persuaderlo ad agire decisamente contro i tedeschi, le truppe tedesche, che da una parte prendevano tempo con inutili trattative, dall’altra cercavano di assumere il controllo dei due aeroporti di Gadurrà e Maritza, vitali per il controllo dei cieli nel Dodecaneso (in tutto l’arcipelago c’era un solo altro aeroporto, a Coo; a Lero vi era soltanto un idroscalo con dieci idroricognitori CANT Z. 501, di cui sette in condizioni di efficienza), e troncavano le comunicazioni fra i diversi reparti italiani. La missione britannica, guidata dal maggiore George Jellicoe (figlio dell’ammiraglio che aveva comandato la flotta britannica allo Jutland), tentò di convincere Campioni a resistere ai tedeschi in attesa di rinforzi, senza però promettere nulla su quando questi ultimi sarebbero arrivati, e quale sarebbe stata la loro consistenza. Il generale Kleeman andava ripetendo ai suoi ormai ex alleati italiani che suo intento era soltanto respingere eventuali attacchi britannici, siccome la Germania ed il Regno Unito erano ancora in guerra, e che le forze italiane, ora che l’armistizio era stato firmato, avrebbero dovuto lasciargli libertà d’azione: non intendeva attaccare gli italiani. E intanto, i suoi uomini conquistavano Maritza e Gadurrà – dopo scontri con i locali presidi italiani, con perdite da a ambo le parti – e catturavano il comandante e lo stato maggiore della Divisione "Regina".
Nel primo pomeriggio del 9 settembre, appunto in seguito all’occupazione della base area di Maritza da parte di truppe corazzate tedesche, il comandante della Zona Militare Marittima dell'Egeo (con sede a Rodi), contrammiraglio Carlo Daviso di Charvensod, propose all’ammiraglio Campioni di far venire l’Euro da Lero, per fargli bombardare con le sue artiglierie l’aeroporto ormai in mano tedesca; ma la proposta fu respinta. Alle 19.30 di quello stesso giorno, invece, Egeomil (il Comando Superiore delle Forze Armate dell’Egeo, con sede a Rodi) ordinò a Marina Lero, con un messaggio di precedenza assoluta, che l’Euro si recasse nell’isola di Coo, vi imbarcasse una compagnia di fanteria (200 soldati) e la trasportasse a Rodi città («EGEOMIL 14689 ALT Prego disporre che C.T. Euro si rechi subito at Coo per imbarcare immediatamente una compagnia destinata at Rodi alt Assicurate inviando previsione anche at Coo»). Contestualmente, Egeomil ordinò che anche il piroscafetto requisito Eolo, adibito ai collegamenti di linea nel Dodecaneso, sbarcasse a Lero tutte le merci ed i passeggeri che aveva a bordo e si recasse anch’esso a Coo per imbarcarvi truppe da trasportare a Rodi.
Nella notte tra il 9 e il 10 settembre, pertanto, l’Euro lasciò Lero e si recò a Coo; l’attracco notturno a Coo risultò piuttosto difficoltoso, ma alla fine i 200 soldati vennero imbarcati, e l’Euro ripartì per Rodi. L’Eolo seguì l’Euro a Coo, ma poi non proseguì per Rodi, in quanto Mariegeo gli ordinò di restare a Coo.
Alle dieci del mattino del 10 settembre, mentre navigava lungo la rotta di sicurezza ad ovest di Rodi (a otto miglia dall’isola secondo una fonte, a trenta secondo un’altra), l’Euro venne attaccato da un sommergibile non identificato, che gli lanciò tre siluri a ventaglio. Il cacciatorpediniere li evitò con una pronta manovra (cui assistette anche l’ammiraglio Daviso, che in quel momento si trovava sulla costa di Rodi, presso la batteria Majorana), e le tre armi passarono a meno di cento metri dalla sua poppa.
Solo molto tempo dopo si sarebbe saputo che il sommergibile attaccante non era tedesco, ma britannico: si trattava del Trespasser, al comando del capitano di corvetta Richard Molyneux Favell. Alle 9.05 del 10 settembre (ora di bordo del Trespasser), infatti, il battello britannico aveva avvistato l’Euro sette miglia a sudest di Capo Alupo, e siccome esso batteva bandiera italiana ma non un “pennello blu” che indicasse la sua adesione all’armistizio (in realtà, il pennello avrebbe dovuto essere nero; comunque, da parte italiana non vi sono notizie su questo dettaglio, dunque non risulta qui possibile sapere se effettivamente l’Euro ne fosse sprovvisto o se il comandante britannico non lo vide), Favell aveva deciso di attaccarlo. Il Trespasser aveva lanciato ben cinque siluri, che l’Euro aveva evitato con la sua manovra, riuscendo così a non diventare la prima vittima di “fuoco amico” degli ormai nuovi alleati angloamericani a soli due giorni dall’armistizio.

Alla fine, però, la missione dell’Euro a Rodi si rivelò soltanto uno spreco di tempo: nel frattempo, infatti, erano affluite a Rodi città altre truppe provenienti dall’interno dell’isola, rendendo superfluo l’invio di 200 soldati da Coo. Quando già l’Euro era arrivato in prossimità del porto di Rodi, Mariegeo gli ordinò pertanto di non entrare in porto, ma di restare al largo, fuori dal tiro delle batterie, aspettando ordini; dopo non molto gli diede ordine di riportare le truppe a Coo e poi tornare a Lero. Così fu fatto. Il comandante Meneghini ebbe modo di osservare che a Rodi si stavano svolgendo combattimenti tra italiani e tedeschi, con utilizzo di artiglieria da parte di entrambi, cosa che riferì al suo ritorno a Lero. Il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Gennaro Caronna, scrisse poi nella sua relazione che verso le otto del mattino del 10 settembre, quando l’Euro giunse in vista di Rodi, vennero avvistate le colonne di fumo che indicavano i combattimenti in corso sull’isola.
Rientrato a Lero, l’Euro tentò inutilmente di mettersi in contatto radio con il suo caposquadriglia, il Francesco Crispi: ma quella nave, che si trovava al Pireo, era già caduta in mano tedesca, e ovviamente non giunse risposta. L’Euro passò dunque agli ordini del Comando Marina di Lero.
A Rodi, nel mentre, la situazione precipitava: nell’isola si erano accesi vari scontri tra italiani e tedeschi, ma non c’era da parte italiana una difesa coordinata; i tedeschi erano riusciti a troncare i collegamenti tra diversi reparti e specialmente tra Rodi città, sede del comando di Campioni, ed il grosso delle truppe, dislocato nel resto dell’isola. Qua e là si combatteva confusamente, senza avere un’idea della situazione generale nel resto dell’isola; le artiglierie italiane e tedesche si scambiavano colpi ed un attacco tedesco ad uno degli aeroporti venne respinto, ma i tedeschi tornarono alla carica con l’appoggio di mezzi corazzati ed occuparono la base. Le truppe italiane persero parecchie armi pesanti, mentre le loro artiglierie, in gran parte antiquate, andavano incontro a rapido logoramento; anche la Luftwaffe, ormai incontrastata, intervenne all’alba dell’11 settembre bombardando la periferia di Rodi città, colpendo le batterie Santo Stefano e Majorana e distruggendo la stazione radio, il che rese l’ammiraglio Campioni ancor più isolato dalle sue truppe. Alle undici di quel mattino un ufficiale tedesco, inviato da Kleeman, intimò a Campioni la resa, minacciando in caso contrario di bombardare la città di Rodi e di scatenare un’offensiva aerea su tutta l’isola; Campioni aveva mezz’ora per decidere. L’ammiraglio esitò ancora, ma alle 11.30, come previsto, gli Stukas tedeschi iniziarono a bombardare, colpendo dapprima obiettivi militari; giudicando la situazione molto grave, essendo rimaste ormai in mano italiana poche artiglierie, scarseggiando le munizioni e ritenendo di non poter ricevere aiuto dall’esterno, Campioni si rassegnò a capitolare. Aveva influito su questa decisione anche il collasso della rete di comunicazioni, che impediva all’ammiraglio di controllare le sue truppe e di comprendere il quadro generale della situazione: in altre parti dell’isola, infatti, la situazione sul campo non pareva così disperata, e in molte parti la notizia della resa fu accolta dai soldati con rabbia e incredulità. Ma Rodi era caduta.
Le truppe tedesche mossero progressivamente all’occupazione del resto dell’Egeo: prima le Cicladi, peggio difese, poi varie isole minori delle Sporadi e del Dodecaneso. Alcune caddero combattendo, altre furono sgomberate dalle loro guarnigioni, o si arresero subito giudicando la loro situazione – presidi isolati, poco armati, privi di veri e propri apprestamenti difensivi e di appoggio aereo che potesse contrastare lo strapotere della Luftwaffe – senza speranza. I britannici corsero ai ripari inviando rinforzi a Lero, a Coo, a Samo, a Castelrosso, a Simi ed in qualche altra isola: troppo poco, troppo tardi, come avrebbero mostrato i fatti.

In seguito alla caduta di Rodi, il comando delle forze armate italiane nell’Egeo passò al generale Mario Soldarelli, che aveva il suo quartier generale nell’isola di Samo; il comando della Zona Militare Marittima dell'Egeo (Mariegeo) venne assunto dal capitano di vascello Luigi Mascherpa, comandante militare di Lero, che era rimasto l’ufficiale di grado più elevato della Regia Marina nel Dodecaneso. Mascherpa, dopo le incertezze dei primi giorni, era giunto alla conclusione che i tedeschi dovevano essere ormai inequivocabilmente considerati come nemici, dato che si erano comportati come tali fin da subito dopo l’armistizio; da essi ci si doveva difendere con decisione. Riconfermò la propria lealtà al Governo italiano e richiese di sapere chi non condividesse tale linea di pensiero. Nei successivi due mesi, si registrarono soltanto due casi di “dissidenza” in tutta la guarnigione di Lero; l’adesione alla decisione del comandante Mascherpa di resistere ai tedeschi fu praticamente unanime, condivisa persino dalle camicie nere della 402a Compagnia mitraglieri della M.V.S.N. (centurione Dante Calise), che avrebbero poi partecipato ai combattimenti contro i tedeschi, insieme a soldati e marinai. Prima preoccupazione del comandante Mascherpa, una volta chiarita la situazione, fu dunque di provvedere a rafforzare le difese dell’isola: soprattutto quelle contraeree, perché c’era da aspettarsi che la Luftwaffe non sarebbe rimasta con le mani in mano.
Presa Rodi, le forze tedesche avrebbero ora attaccato, uno dopo l’altro, tutti i presidi italiani nelle rimanenti isole dell’Egeo; i comandi Alleati, rimasti inattivi nei primi giorni dopo l’armistizio, iniziarono ad inviare rinforzi alle truppe italiane in Egeo, per scongiurare la caduta di tutto l’arcipelago in mano tedesca. Il 12 settembre arrivò a Lero una prima missione britannica, seguita da una seconda il giorno seguente; vennero così stabiliti i collegamenti con i comandi britannici del Medio Oriente, mentre truppe britanniche iniziavano ad affluire a Coo. Il 13 settembre Lero subì il primo degli innumerevoli attacchi aerei tedeschi che l’avrebbero martoriata nei due mesi a venire. Il 14 settembre giunse a Lero una terza e più completa missione britannica (colonnello Turnbull, tenente colonnello Wheeles, capitano di fregata Heilstone, maggiori Blagden e Lloyd Owen, capitano Fassnidge) che iniziò a studiare i piani della difesa insieme al comandante Mascherpa; tra le questioni affrontate vi fu anche la sorte del naviglio militare italiano presente a Lero: cioè l’Euro, i posamine Azio e Legnano, la nave appoggio sommergibili Alessandro Volta e la flottiglia MAS e motosiluranti. In base alle disposizioni armistiziali, queste navi avrebbero dovuto trasferirsi nella più vicina base navale Alleata, cioè Haifa (Palestina), ma da parte italiana fu avanzata la richiesta che esse fossero invece trattenute a Lero, restando agli ordini del Comando italiano, per appoggiare la difesa dell’isola. Il Comando britannico del Medio Oriente accolse in toto tale proposta, così l’Euro e le altre navi rimasero a Lero.
Nella notte tra il 15 ed il 16 arrivarono a Lero i primi rinforzi britannici, seguiti il 17 da altri 400 soldati britannici; il 20 settembre arrivò un altro e più nutrito contingente britannico (600 uomini) e con esso il generale Frank G. R. Brittorous, che assunse il comando delle forze britanniche a Lero; non mancò un certo attrito tra lui e Mascherpa, nel frattempo promosso a contrammiraglio, dal momento che l’inglese fece affliggere proclami in cui si parlava delle truppe britanniche come “occupanti” dell’isola. Dopo la protesta da parte italiana, il testo dei proclami venne modificato; all’ammiraglio Mascherpa fu riconosciuto il comando sulle truppe italiane ed anche sulla popolazione civile, ma la sua posizione rimase subordinata a quella di Brittorous. Anche Brittorous convenne con il comando italiano che l’Euro sarebbe rimasto a Lero «per eventuali missioni», al pari di Volta, Azio, Legnano ed il piroscafo frigorifero Ivorea (carico di carne congelata per la guarnigione), mentre gli altri piroscafi sarebbero stati inviati a Cipro. Per diminuire il rischio che un singolo bombardamento aereo potesse distruggere in un sol colpo questa sparuta flottiglia, venne disposto il decentramento degli ancoraggi: ogni unità fu fatta ormeggiare in un posto diverso, e all’Euro, in particolare, venne assegnato un posto d’ormeggio in località San Giorgio.
Vennero richiesti rinforzi in armi, munizioni e viveri: per quanto riguardava le armi, giunsero una cinquantina di fucili ed una novantina di mitra.
Il 17 settembre arrivò a Lero anche la piccola guarnigione dell’isoletta di Alimia, che aveva lasciato quell’isola la sera del 15 su due motopescherecci: giudicando Alimia indifendibile con le poche forze a sua disposizione, il comandante di quel presidio aveva preferito sottrarre i suoi uomini alla cattura andando a rinforzare la guarnigione di Lero. Avevano portato con loro armi e provviste.
Il 22 settembre sbarcarono a Lero altri mille soldati britannici, mentre nei giorni successivi cominciò a spargersi la preoccupante notizia dell’eccidio di Cefalonia. Per rincarare la dose, aerei tedeschi lanciarono sull’isola volantini firmati dal generale Ulrich Kleeman (comandante delle truppe tedesche nel Dodecaneso), nei quali si annunciava: «Marinai di Lero! Conosciamo i nomi di coloro che vi hanno venduti agli inglesi. Quando sbarcheremo li sottoporremo a terribili torture».
Il 26 settembre, dopo alcuni giorni di frequenti ricognizioni aeree, cominciò lo stillicidio di attacchi aerei della Luftwaffe.
Alle nove di quel mattino un gruppo di circa 25 bombardieri Junkers Ju 88 (altre fonti parlano di Junkers Ju 87, i famosi “Stukas”) piombarono su Portolago cogliendo tutti di sorpresa: la caduta dell’isola di Sira, il cui comando aveva deciso per la capitolazione ai tedeschi senza opporre resistenza, aveva infatti eliminato ogni possibilità di avvistamento e preallarme per gli attacchi aerei provenienti da ovest; i britannici avevano portato a Lero dei radar per la scoperta aerea, ma in quel momento non avevano ancora finito di montarli.
Gli Ju 88 scesero così in picchiata su Portolago prima ancora che la DICAT (Difesa Contraerea Territoriale) potesse dare l’allarme; in rada si trovavano in quel momento l’Euro ed altri due cacciatorpediniere, il britannico Intrepid ed il greco Vasilissa Olga, nonché alcune unità minori e navi mercantili. A bordo del Vasilissa Olga si trovava in quel momento in visita una scolaresca greca, che col permesso del Comando italiano (che aveva invece rifiutato la richiesta di una visita ufficiale da parte della popolazione locale) aveva voluto visitare la prima nave greca che fosse giunta in quelle acque dallo scoppio della guerra. Disgrazia volle che proprio il Vasilissa Olga venisse colpito in pieno dalle bombe tedesche: in poco tempo la nave affondò capovolgendosi in un mare di nafta in fiamme. Decine di naufraghi vennero soccorsi da varie barche e motolancie armate da volontari italiani del Comando Marina e del vicino aeroporto, ma 72 membri dell’equipaggio del Vasilissa Olga persero la vita, insieme ad un imprecisato numero di scolari. Venne distrutto dalle bombe il MAS 534, mentre l’Intrepid, colpito e fortemente sbandato, venne portato a poggiare su un bassofondale. Il rimorchiatore militare Tavolara, che stava rimorchiando una bettolina carica di fusti di nafta, fu attaccato a più riprese; non venne mai colpito da bombe, ma le schegge degli ordigni scoppiati vicini provocarono nello scafo sia del Tavolara che della bettolina una quantità di fori, dai quali entrambi i natanti iniziarono ad imbarcare acqua. Per evitare l’affondamento, il comandante del Tavolara portò la sua nave e la bettolina ad arenarsi su una vicina spiaggia.
L’Euro ebbe maggior fortuna: pur trovandosi anch’esso ormeggiato e costituendo dunque un bersaglio perfetto (parecchie bombe caddero infatti nelle sue vicinanze), il cacciatorpediniere non riportò danni, anche se due membri dell’equipaggio rimasero feriti. Riuscì, anzi, ad abbattere un aereo, e a danneggiarne un altro.
Mentre la prima ondata di bombardieri si concentrò sulla rada e sulle navi ivi presenti, la seconda attaccò anche la zona di San Giorgio, con effetti particolarmente distruttivi per le installazioni militari: furono colpiti l’officina mista, la caserma sommergibili, la caserma della base, l’officina accumulatori ed altri impianti minori.
Nel pomeriggio, alle 15.30, la Luftwaffe effettuò un secondo pesante bombardamento su Portolago: anche questa volta l’attacco fu rapido e violento, ma stavolta la contraerea reagì con prontezza un po’ maggiore rispetto al mattino. L’Intrepid fu colpito ancora ed incendiato; venne raggiunto da mezzi di soccorso italiani (li armavano gli stessi volontari della mattina, tra cui i capitani di corvetta Corradini e Napoli, che vennero per questo elogiati da Tilney con un apposito ordine del giorno) che prelevarono una trentina di feriti gravi, dopo di che affondò lentamente, capovolgendosi. Il resto dell’equipaggio raggiunse a nuoto la vicina riva; le vittime furono 15. Da parte italiana, furono danneggiati la motosilurante MS 11 ed i piroscafi Prode e Taganrog (quest’ultimo era un piroscafo tedesco, catturato a Rodi durante gli scontri svoltisi in quell’isola e mandato a Lero con equipaggio italiano). Tra le installazioni a terra, l’officina mista, la caserma della base e la caserma sommergibili vennero colpite ancora e completamente distrutte; furono distrutti anche quattro depositi carburante su un totale di cinque che esistevano nella base, ma fortuna volle che fossero tutti vuoti e che l’unico rimasto intatto fosse proprio quello pieno (il quale rimase integro fino alla caduta di Lero).
In tutto, i bombardamenti del 26 settembre causarono oltre 300 morti, tra italiani (in maggioranza), britannici e greci, oltre ad un imprecisato numero di feriti. La difesa contraerea ritenne di aver abbattuto almeno sette aerei.
Il secondo bombardamento sorprese l’Euro proprio mentre stava per lasciare l’ormeggio alla banchina di San Giorgio: il cacciatorpediniere si difese accanitamente con le proprie mitragliere contraeree, e di nuovo non ebbe danni, anche se caddero a bordo diverse schegge. Una bomba lo mancò di pochissimo, cadendo in mare a pochi metri di distanza. Scrisse poi il direttore di macchina Caronna: «Molto è da attribuire al perfetto tiro delle mitragliere di bordo che disturbarono decisamente gli attacchi aerei nei momenti più decisivi ed al comportamento degli ufficiali e dell’equipaggio».
Subito dopo questa incursione, al fine di sottrarsi ad altri attacchi aerei, l’Euro si spostò nella baia di Parteni (sulla costa settentrionale dell’isola), ormeggiandosi a pochissima distanza dalla riva (nei limiti di quanto era permesso dalla profondità dei fondali); l’equipaggio cercò meticolosamente di mimetizzare la nave con rami e frasche, ma le continue apparizioni dei ricognitori tedeschi vanificarono questo tentativo, anche se per quattro giorni non si ebbero attacchi.

Con la distruttiva incursione del 26 settembre era iniziato l’«assedio aereo» di Lero, il sistematico martellamento dell’isola volto ad annichilirne le difese e le installazioni militari in preparazione dello sbarco dal mare della forza d’invasione tedesca. Per l’operazione contro Lero, la Luftwaffe trasferì in Egeo aerei sia dalla Francia che dal fronte orientale; gli aerei che attaccavano Lero partivano dalle basi di Eleusi (bombardieri), Megara e Maritza (cacciabombardieri), Kalamaki ed Argo (caccia).
Il 27 un secondo bombardamento colpì le installazioni dell’Aeronautica, danneggiando gli impianti a terra e distruggendo due idrovolanti; il 29 ottobre Lero venne bombardata da ben 60 aerei. L’offensiva aerea non risparmiò neanche gli abitati, a partire da Lero città e da Portolago, che furono duramente colpiti.
La fine per l’Euro giunse il 1° ottobre 1943, quando Lero fu sottoposta ad un nuovo bombardamento da parte di 40 velivoli della Luftwaffe. Alle undici di quel mattino, dei bombardieri Junkers Ju 88 (alcune fonti Internet parlano di Junkers Ju 87 “Stuka”, ma la storia ufficiale dell’USMM afferma che l’attacco fu compiuto dagli Ju 88, e di aerei di quest’ultimo tipo parla la relazione del direttore di macchina Caronna) presero di mira proprio il cacciatorpediniere italiano, ancora ormeggiato a Parteni; parte dell’equipaggio dell’Euro era in quel momento a terra, a poppa della nave, per dei lavori in corso. Le mitragliere dell’Euro aprirono subito il fuoco, ma la prima ondata di bombardieri, sopraggiunti volando ad alta quota e buttatisi in picchiata, fu subito letale per la nave italiana: alcune bombe scoppiarono a terra, proiettando sul vicino Euro dei cumuli di fango che coprirono ed incepparono le mitragliere, impedendo di continuare il tiro; altre bombe caddero in mare, vicinissime alla nave, e con le loro esplosioni provocarono falle e sconnessioni nelle lamiere dello scafo, che iniziò ad imbarcare acqua. Per effetto di queste vie d’acqua, che provocarono il rapido allagamento di diversi locali, l’Euro cominciò ben presto a sbandare sulla dritta, assumendo in breve una marcata inclinazione (40°, il che impedì l’utilizzo delle mitragliere rimaste efficienti) per poi adagiarsi sul fondale, sempre sbandato. Inutile ogni tentativo di salvataggio da parte degli uomini presenti a bordo: la nave venne sommersa quasi completamente, e dovette essere abbandonata dall’equipaggio. Così si concluse la vita dell’Euro: fu l’ultimo cacciatorpediniere italiano ad essere affondato durante la seconda guerra mondiale.

Anche dopo che l’Euro fu affondato, altre ondate di aerei tedeschi si abbatterono su quello che ormai era niente più che un relitto, bombardandolo ancora. I velivoli della Luftwaffe mitragliarono anche gli uomini che, gettatisi in mare, avevano cercato riparo tra le rocce della riva: morì così il marinaio Francesco De Rizzo, che insieme all’amico sergente furiere Giovanni Ralla era riuscito a raggiungere a nuoto la riva dopo l’affondamento dell’Euro. Giunti a terra, si erano divisi: Ralla si era rifugiato sotto un albero, De Rizzo sotto una vicina batteria contraerea. Poco dopo la batteria venne mitragliata da alcuni degli aerei tedeschi, e De Rizzo fu colpito da dei proiettili alle gambe: morì dissanguato, senza che Ralla o chiunque altro potesse portargli aiuto, a causa del mitragliamento che continuava.


Il marinaio furiere Francesco De Rizzo, 22 anni, da Schio (Vicenza), morto il 1° ottobre 1943 nell’attacco aereo in cui fu affondato l’Euro (per g.c. del nipote Alberto De Rizzo)
Parte di una lettera scritta da un parente di Francesco De Rizzo, in cui si narra l’incontro con Giovanni Ralla ed il suo racconto della morte di Francesco (g.c. Alberto De Rizzo)
La tomba di Francesco De Rizzo nel Sacrario Militare di Schio.

Secondo la relazione del direttore di macchina Caronna ed il volume dell’USMM "Avvenimenti in Egeo dopo l’armistizio" (che sembra basarsi su tale relazione nel redigere la descrizione di quegli avvenimenti), sette uomini dell’Euro rimasero uccisi nell’attacco; tutti gli ufficiali furono feriti da schegge, anche se nessuno in modo grave.
Sull’identità delle vittime dell’affondamento, però, sembra esistere una certa confusione. L’Albo dei Caduti della Marina Militare nella seconda guerra mondiale elenca cinque uomini dell’Euro deceduti o dispersi il 1° ottobre 1943, data dell’affondamento, nonché altri undici membri dell’equipaggio che sarebbero morti o scomparsi a Lero tra l’ottobre ed il novembre 1943, ma in date diverse; le vittime dell’affondamento (in data 1/10/1943) sarebbero state:

Sergio Gabici, marinaio, 21 anni, da Ravenna, disperso
Pietro Giardina, marinaio nocchiere, 20 anni, da Lipari, deceduto
Giovanni Grasso, sergente cannoniere, 25 anni, da Bagheria, deceduto
Gastone Saltini, capo cannoniere di terza classe, 39 anni, da Firenze, deceduto
Giordano Testa, marinaio fuochista, 22 anni, da Milano, disperso

Il tenente di vascello Oscar Ciani, comandante in seconda dell’Euro, nella relazione stesa al rientro dalla prigionia (dicembre 1944) affermò che le vittime dell’azione che portò all’affondamento dell’Euro furono sette, e che si trattava di:

Francesco De Rizzo, marinaio furiere, 22 anni, da Schio
Giorgio Gianfranchi, marinaio nocchiere, 20 anni, da La Spezia
Pietro Giardina, marinaio nocchiere, 20 anni, da Lipari
Giovanni Grasso, sergente cannoniere, 25 anni, da Bagheria
Emilio Russo, marinaio motorista, 23 anni, da Castellammare di Stabia
Gastone Saltini, capo cannoniere di terza classe, 39 anni, da Firenze
Giovanni Tantillo, sottocapo nocchiere, 21 anni, da Palermo

Ciani precisò inoltre che le salme di De Rizzo, Santini, Grasso, Russo e Giardina furono sepolte nel locale cimitero italiano, mentre quella di Tantillo venne trovata due giorni dopo l’affondamento e fu sepolta a Parteni, e quella di Gianfranchi non fu mai ritrovata.
Stranamente, nell’Albo dei Caduti della Marina Militare la data di morte di Francesco De Rizzo, Emilio Russo, Giorgio Gianfranchi e Giovanni Tantillo è indicata nel 5 ottobre 1943, sebbene dalla relazione di Ciani risulti che essi morirono il 1° ottobre nell’attacco che affondò la nave, e le circostanze della morte di De Rizzo sono ulteriormente confermate dal racconto che Giovanni Ralla fece allo zio al rientro dalla prigionia. Appare qui evidente un errore dell’Albo.
Ulteriore confusione è causata dalle decorazioni alla memoria conferite ad alcuni dei caduti: secondo le motivazioni di tali onorificenze, sarebbero morti nell’affondamento:

Saverio Bergamin, marinaio fuochista, 20 anni, da San Martino di Lupari
Giorgio Gianfranchi, marinaio nocchiere, 20 anni, da La Spezia
Pietro Giardina, marinaio nocchiere, 20 anni, da Lipari
Giovanni Grasso, sergente cannoniere, 25 anni, da Bagheria
Gastone Saltini, capo cannoniere di terza classe, 39 anni, da Firenze
Giovanni Tantillo, sottocapo nocchiere, 21 anni, da Palermo, deceduto

Il capo cannoniere Gastone Saltini, il sottocapo nocchiere Giovanni Tantillo, il marinaio fuochista Saverio Bergamin ed i marinai nocchieri Giorgio Gianfranchi e Pietro Giardina furono decorati alla memoria con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione “Imbarcato su ct. restava al suo posto di combattimento sino al momento dell’affondamento dell’unità contrastando validamente gli attacchi in picchiata degli aerei nemici ed immolando la propria vita al servizio della Patria”. Anche il sergente cannoniere armarolo Giovanni Grasso fu decorato con la Medaglia di Bronzo alla memoria, con la motivazione “Imbarcato su cacciatorpediniere dislocato in base navale avanzata che all’armistizio si opponeva con eroica resistenza agli attacchi di forze preponderanti tedesche, nel corso di violento attacco aereo rimaneva impavido al proprio posto di combattimento fino a che, colpito mortalmente, immolava la propria vita al servizio della Patria. Esempio di dedizione al dovere e spirito di sacrificio”.
Secondo la relazione di Ciani, tuttavia, il marinaio fuochista Saverio Bergamin non morì nell’affondamento dell’Euro, bensì durante i successivi combattimenti terrestri contro i tedeschi, presso una posizione antisbarco. La data della sua morte è indicata dall’Albo dei Caduti della Marina Militare nel 10 novembre 1943.
Tra i feriti nell’attacco che provocò l’affondamento dell’Euro erano il sottocapo furiere Nario Aspromonti, i cannonieri Raffaele Ardolino e Mario Casalin, il militarizzato Nunzio Scolaro.

Alcuni documenti relativi all’affondamento dell’Euro: un elenco (probabilmente approssimativo ed incompleto) dell’equipaggio presente a bordo, la relazione del direttore di macchina Gennaro Caronna, un documento con i nomi delle vittime dell’attacco aereo (Ufficio Storico della Marina Militare, via Alberto De Rizzo)






L’equipaggio dell’Euro, dopo la perdita della nave, si aggregò inizialmente al Distaccamento di Parteni, venendo in parte alloggiato in una grotta, nella quale furono portati feriti ed ammalati. La maggior parte degli illesi si offrì per armare batterie costiere e contraeree e per servizi di stazione segnali, centrali elettriche ed officine. Gli specialisti rimasti illesi vennero immediatamente “assorbiti” dalla Difesa, venendo assegnati a diversi servizi nelle varie batterie in base alle rispettive categorie; del resto dell’equipaggio, una parte andò ad armare una batteria anticarro da 47/32 mm (su quattro pezzi, divisi in due sezioni, dotati esclusivamente di granate perforanti) ceduta dai britannici e piazzata nella baia di Gurna (Settore Centro, sulla costa occidentale, in corrispondenza della “strozzatura” centrale di Lero), un’altra armò una sezione di cannoni da 76/17 mm nella baia di Xerocampo (Settore Sud, più precisamente a sudest), ed un’altra ancora andò a formare un plotone destinato alla difesa ravvicinata del caposaldo della batteria P.L. 989 (Capo Timari-Parteni, sulla costa occidentale di quella baia), nel Settore Nord. A Parteni (Settore Nord) fu creato un Gruppo "Euro".
Questi plotoni facevano parte – insieme ad altri formati anch’essi da naufraghi di navi affondate o danneggiate, da uomini in eccedenza rispetto al personale delle batterie e dei servizi, e da altri racimolati alla meglio dove era stato possibile – della forza creata dal Comando della Difesa con il compito della difesa terrestre; in tutto, 22 ufficiali e 700-800 uomini, di cui un centinaio nel settore Nord, circa 400 nel settore Centrale e circa 300 in quello Sud, suddivisi in plotoni. Ogni plotone era formato da 36 uomini, suddivisi in tre squadre e comandati da un ufficiale; si trattava di reparti eterogenei, formati con personale di svariate categorie e specialità, poco addestrati al combattimento terrestre (trattandosi di marinai imbarcati sulle navi o di personale addetto ai servizi) e con armamento scarso e superato (molti di essi erano armati con gli antidiluviani fucili Vetterli, ceduti dall’Esercito: risalivano al 1870 ed erano superati già ai tempi della Grande Guerra), ma nonostante questi problemi «questi plotoni erano moralmente sani, pieni di buona volontà e diedero, nei giorni della prova, ottimi risultati».
Così suddivisi, gli uomini dell’Euro avrebbero continuato a partecipare alla difesa di Lero.
Lo stesso avvenne per gli ufficiali: il comandante Meneghini assunse il comando del Settore Nord-Est, in cooperazione con il colonnello britannico Douglas Iggulden; il capitano del Genio Navale Gennaro Caronna, direttore di macchina, fu assegnato alla Direzione Officina Mista (secondo la sua relazione, terminati i lavori di recupero armi e materiali dal relitto dell’Euro Caronna si presentò al tenente colonnello del Genio Navale Ciucci, chiedendogli di prenderlo alle sue dipendenze, e durante la successiva battaglia proseguì il suo lavoro con anche numerose missioni su unità in mare); il tenente di vascello Giulio Bernoni, direttore del tiro, venne destinato ai servizi di rifornimento delle batterie e di riparazione delle artiglierie e delle mitragliere (siccome l’incessante utilizzo delle artiglierie e mitragliere determinava il loro logorio, in aggiunta ai tecnici dell’Officina Mista vennero formate piccole squadre di cannonieri ed armaioli, sbarcati dalle navi affondate dai bombardamenti, per provvedere al ripristino delle armi logorate: lavoro eseguito alla meglio, «con una esasperata volontà di raggiungere lo scopo», nelle grotte in cui erano state trasferite le officine, con gli attrezzi che si erano potuti salvare dai bombardamenti). Il tenente di vascello Oscar Ciani, comandante in seconda dell’Euro, rimase invece con il personale residuato per occuparsi delle sue numerose esigenze.
Essendo l’Euro affondato in acque basse, anche se era quasi interamente sommerso (ne emergeva una ridotta porzione del ponte di coperta a sinistra), fu possibile recuperare dal relitto parte delle armi e munizioni ed altri materiali (tra cui materiale elettrico e meccanico), che furono assegnati alla Difesa; non vennero rimossi i cannoni, perché le loro munizioni erano state allagate nei loro depositi, mentre le mitragliere furono recuperate per ricavarne parti di ricambio per quelle della difesa contraerea dell’isola. L’opera di recupero fu condotta dal direttore di macchina Caronna, in base agli ordini del comandante Meneghini, nelle ore dell’alba e del tramonto, quando gli attacchi aerei tedeschi si facevano più rari.

Il 3 ottobre giunse la notizia che Coo era caduta: ora le forze italo-britanniche nel Dodecaneso non avevano più basi aeree a loro disposizione. Il dominio dei cieli era saldamente in mano alla Luftwaffe, che continuò imperterrita a martellare Lero: il 5 ottobre fu affondato il posamine Legnano, l’indomani il piroscafo Ivorea. Il 6 ottobre il presidio britannico nell’isola di Calino, antistante Lero, venne ritirato, essendo l’isola giudicata ormai indifendibile; il giorno seguente, Calino fu occupata dai tedeschi. Questi lanciarono un attacco anche contro l’isola di Simi, ma furono respinti. Il 9 ottobre fu bombardato l’abitato di Lero, e venne danneggiato il posamine Azio. Il 10 ottobre le batterie italiane di Lero iniziarono a cannoneggiare Calino, allo scopo di disturbare i preparativi da parte dei tedeschi, i quali usavano l’isola appena conquistata per preparare l’assalto contro Lero. L’11, per ordine del comando britannico, Simi venne evacuata; il suo presidio fu trasferito a Cipro. Il 22 ottobre, mentre proseguivano incessanti i bombardamenti tedeschi su Lero, anche l’isola di Stampalia cadde in mano tedesca. Il 25 ottobre un attacco aereo su Portolago affondò la motosilurante MS 15 e danneggiò la MS 11. Il 30 ottobre arrivarono a Lero trecento soldati britannici del Royal East Kent Regiment, quanti rimaneva di un intero battaglione che cinque giorni prima aveva perso 134 uomini nell’affondamento del cacciatorpediniere Eclipse, saltato su una mina.
Negli ultimi giorni di ottobre l’intensità e la frequenza degli attacchi aerei tedeschi andò scemando, e dall’1 al 6 novembre, mentre i comandi tedeschi concentravano truppe e mezzi in preparazione dello sbarco, Lero fu lasciata in pace. Durante questa pausa, il 5 novembre, arrivò a Lero il generale britannico Robert Tilney, inviato a sostituire Brittorous, giudicato non adatto al suo compito. Anche con Mascherpa crescevano i dissapori, tanto che i britannici richiesero che si recasse al Cairo per discutere della situazione di Lero, ma intanto domandavano al Comando italiano di sostituirlo con un ufficiale più “collaborativo”: prevedendo che una volta al Cairo gli sarebbe stato impedito di tornare a Lero, l’ammiraglio decise di restare nell’isola per condurne la difesa.
Il 7 novembre ripresero i bombardamenti aerei, ed il giorno seguente, mentre proseguivano incursioni sempre più violente, sbarcò a Lero un altro battaglione britannico. Alla fine, le forze italo-britanniche a Lero giunsero a contare quasi 12.000 uomini: 8320 italiani ed oltre 3500 britannici. Contro di essi, i tedeschi avrebbero impiegato una forza numericamente di molto inferiore – tra i 1700 e i 2800 uomini, a seconda delle fonti – godendo però dell’incontrastato appoggio della Luftwaffe.
Tra il presidio italiano, il grosso era costituito da personale della Marina: 6065 tra ufficiali e marinai, più 697 militarizzati. Solo un migliaio, però, erano truppe di “prima linea”; il resto era personale dei servizi, o addetto alla difesa costiera e contraerea. C’erano poi circa 1200 soldati dell’Esercito (il I Battaglione del 10° Reggimento Fanteria della Divisione "Regina"), 400 avieri della Regia Aeronautica (il personale addetto alla base idrovolanti "Rossetti" di Portolago e gli uomini della 147a Squadriglia da Ricognizione Marittima), una quarantina di carabinieri ed una ventina di guardie di finanza. Le difese costiere consistevano in cinque batterie antinave, armate complessivamente con 4 cannoni da 152/50 mm, 15 da 152/40 mm ed uno da 102/35 mm; otto batterie antisilurante, con 4 cannoni da 102/35 mm, 8 da 76/50 mm e 12 da 76/40 mm; dodici batterie a doppio scopo antisilurante e contraereo, con 14 pezzi da 102/35 mm, 6 da 90/53 mm e 28 da 76/40 mm. In gran parte si trattava però di artiglierie obsolete. Erano armate da personale della Marina, comandato però da ufficiali dell’Esercito, che a loro volta rispondevano al Comando FAM-DICAT che era retto da un ufficiale di Marina. Le batterie contraeree comprendevano anche tre mitragliere pesanti da 37 mm, 15 mitragliere da 20 mm e 31 da 13,2 mm. Comandante della difesa terrestre era il tenente colonnello Giuseppe Li Volsi dell’Esercito; comandante della difesa marittima e della base navale il capitano di fregata Luigi Re; comandante del fronte a mare e della difesa contraerea territoriale (FAM-DICAT) il capitano di fregata Virgilio Spigai.
Le truppe britanniche consistevano nel 2° Battaglione dei Royal Irish Fusiliers, nel 2° Battaglione del Queen’s Own Royal West Kent Regiment, nel 4° battaglione del Royal East Kent Regiment (detti anche “Buffs”) e nel 1° battaglione del King’s Own Royal Regiment.

Secondo le fonti ufficiali italiane, dal 26 settembre al 31 ottobre vi fu su Lero una media di quattro bombardamenti al giorno, con l’impiego di 41 bombardieri, mentre dal 7 all’11 novembre la media fu di otto attacchi giornalieri, con 37 aerei utilizzati in media in un giorno. Altre fonti parlano di 185 attacchi aerei registrati in 35 giorni, cioè una media di cinque al giorno.
Il cannoneggiamento contro Calino e l’incessante fuoco contraereo ebbero l’effetto di provocare una forte usura nelle artiglierie di Lero, e soprattutto di consumare gran parte delle munizioni (nel corso della “battaglia aerea” di Lero le artiglierie dell’isola spararono circa 150.000 colpi); l’ammiraglio Mascherpa chiese ed ottenne dal Comando Supremo, col permesso britannico, l’invio di due cacciatorpediniere in missione di trasporto munizioni, ma le due navi furono inesplicabilmente fermate ad Alessandria d’Egitto e non raggiunsero mai Lero. Vennero invece impiegati dei sommergibili, sia italiani che britannici, i quali però non potevano trasportare che miserrime quantità di rifornimenti: in un totale di otto missioni non giunsero a Lero che 225 tonnellate di materiali, 17 uomini, dodici moderni cannoni Bofors da 40/56 mm ed una jeep. Pochi altri rifornimenti, 213 tonnellate in tutto, giunsero su navi di superficie britanniche; tra di essi un migliaio di proiettili da 90 mm con spoletta dell’Esercito (probabilmente catturati dai britannici in Nordafrica: non erano quelli inviati dall’Italia sui due cacciatorpediniere) e pochi colpi dello stesso calibro con spoletta della Marina.
Alcuni pezzi erano a tale punto usurati dal continuo tiro contraereo che scoppiarono; su altri, a forza di sparare le molle di ritorno in batteria del cannone si snervarono, col risultato che se i pezzi sparavano a forti elevazioni non rientravano più dalla posizione di rinculo, per cui non potevano più essere impiegati nel tiro contraereo, ma solo in quello antinave. Le batterie contraeree erano, peraltro, tra i bersagli più presi di mira dai velivoli tedeschi. Gli artiglieri impararono a conoscere le tecniche di attacco dei bombardieri tedeschi ed a sviluppare adeguate misure per contrastarli: ad esempio, siccome il bombardamento in picchiata permetteva solitamente di capire su quale batteria l’aereo stesse puntando, si provvedeva ad evacuare momentaneamente tale batteria, in modo da evitare perdite tra il personale, mentre quelle limitrofe concentravano il loro tiro sull’aereo; cadute le bombe, i cannonieri della batteria attaccata tornavano subito al posto (se la batteria era ancora intatta) e riprendere il tiro contro l’aereo prima che riprendesse quota. Inoltre, quando attaccavano obiettivi situati in valli incassate i bombardieri, una volta sganciate le bombe, perdevano velocità nel riprendere quota, ed esponevano così il “ventre” alle batterie situate sulle creste, che potevano sparare da ridotta distanza: gli artiglieri impararono a sfruttare questo momento di vulnerabilità, e la mitragliera binata da 37/54 del Monte Patella (alto 248 metri, sito tra Gurna e Portolago e sede del comando FAM-DICAT) rivendicò da sola l’abbattimento di otto velivoli con questo metodo. Ad ogni modo, il consumo di munizioni andò incidendo sull’attività delle batterie contraeree: verso la fine, i cannoni dovettero ridursi a sparare a colpo sicuro, facendo economia di colpi e ricorrendo a proiettili di peggiore qualità, avendo già consumato quelli migliori. La distribuzione delle munizioni doveva essere effettuata nottetempo, perché di giorno i trasporti erano troppo esposti ai continui attacchi dal cielo.
Il generale Tilney aveva posto il suo comando sul Monte Maraviglia (un’altura di 204 metri situata a levante della baia di Pandeli ed a sudovest del paese di Lero) e suddiviso Lero in tre settori (settentrionale, centrale e meridionale), ognuno dei quali assegnato ad un battaglione britannico; le truppe italiane della Marina e dell’Esercito, ancorché male armate rispetto a britannici e tedeschi, avevano una notevole forza numerica, ma Tilney le adibì esclusivamente a compiti di difesa statica, con l’ordine di non lasciare per nessun motivo le posizioni. Sia il contrattacco, che ogni sorta di iniziativa era loro proibita; questa decisione fu giustificata da parte britannica con la presunzione che le truppe tedesche, quando fossero sbarcate, avrebbero usato divise italiane per confondere i difensori. Tutto ciò, naturalmente, non migliorava i rapporti tra Tilney e Mascherpa. Ogni settore era comandato da un colonnello britannico, affiancato da un ufficiale superiore italiano.
Anche da parte tedesca, intanto, fervevano i preparativi: il 3 novembre si riunirono a Laurion (Attica, non molto lontano da Atene) le unità navali incaricate del trasporto della forza da sbarco, e della scorta di quest’ultima. La flottiglia da sbarco consisteva in 6 cannoniere ausiliarie, due motopescherecci armati, tre motozattere, 25 mezzi da sbarco, cinque unità di altro tipo; le scortavano due cacciatorpediniere e due torpediniere ex italiane, nonché diversi dragamine e motosiluranti. Tra il 6 ed il 10 novembre le unità tedesche si trasferirono da Laurion a Coo e Calino, da dove sarebbe stata lanciata l’invasione. Nome dell’operazione: “Taifun”.
Il piano tedesco prevedeva di sbarcare il gruppo principale al centro dell’isola, in modo da troncare in due il dispositivo di difesa italo-britannico, per poi avanzare progressivamente verso le estremità, e di eseguire lanci di paracadutisti che avrebbero colto alle spalle i difensori. Le unità con le truppe da sbarco avrebbero dovuto lasciare Coo e Calino la sera dell’11 novembre per poi eseguire, nel corso della notte, sbarchi a nord della baia di Alinda (zona centrale dell’isola, costa orientale), nella baia di Palma (costa settentrionale), nella baia di Drimona (zona centrale dell’isola, costa occidentale) e a levante dell’abitato di Lero. Successivamente, una volta consolidate le teste di ponte, sarebbe sbarcata una seconda ondata con altre truppe ed artiglieria, dopo di che nella giornata del 12 un battaglione di paracadutisti sarebbe stato lanciato sull’istmo centrale dell’isola.
Le truppe tedesche, al comando del generale Friedrich-Wilhelm Müller, appartenevano a tre reggimenti della 22. Luftlande In fanterie-Division, un battaglione dell’11. Luftwaffen-Felddivision ed elementi della 2. Fallschirmjäger-Division. Come rinforzo, da mandare una volta che si fossero create delle teste di ponte, erano pronti al Pireo reparti "Küstenjäger" della Divisione "Brandenburg", truppe speciali paragonabili ai "commandos" Alleati.
Negli ultimi cinque giorni prima dello sbarco, dal 7 al 12 novembre, Lero fu oggetto di ben 40 attacchi aerei, con l’impiego in totale di 187 velivoli; i bombardieri tedeschi miravano soprattutto alle batterie del settore orientale, scelto per lo sbarco principale, ed a quelle della costa centro-meridionale, cioè quelle che facevano tiro di disturbo contro Calino, nonché alla sede del Comando FAM-DICAT (Fronte a Mare-Difesa Contraerea Territoriale), per eliminare il centro che coordinava il sistema delle batterie, ed alla zona di Portolago e le pendici del Monte Maraviglia, dove si trovavano concentramenti di truppe britanniche. Questa nuova ondata di attacchi arrecò ulteriori danni alle installazioni a terra ed alle linee di comunicazione, aggravò l’usura delle artiglierie, e provocò un ulteriore forte consumo di munizioni. Un deposito munizioni britannico, colpito dalle bombe, esplose, danneggiando ulteriormente le installazioni militari e le abitazioni di Portolago. Anche l’ospedale, già seriamente danneggiato, venne definitivamente distrutto.
All’alba dello sbarco tedesco un decimo delle batterie antinave di Lero, un quinto di quelle contraeree ed un terzo di quelle antisilurante era fuori uso; siccome gli ospedali erano stati tutti colpiti, le infermerie avevano dovuto essere trasferite in grotte. Mentre sempre più grave era la carenza di munizioni, si stimava che provviste e medicinali sarebbero bastante ancora per mesi.

Gli sbarchi tedeschi a Lero iniziarono prima dell’alba del 12 novembre 1943. Nelle prime ore del mattino alcuni mezzi da sbarco furono avvistati, secondo fonti britanniche, da una motolancia britannica che ebbe con essi una breve scaramuccia; il Comando di Lero, ricevuto l’allarme, tentò di ritrasmetterlo ai singoli reparti, batterie e Comandi distaccati, ma i danni alla rete delle comunicazioni, provocati dai bombardamenti, impedirono che l’avviso venisse ricevuto ovunque (non lo ricevette, tra gli altri, il Comando FAM-DICAT).
Un primo gruppo di sei mezzi da sbarco tedeschi, scortati da due siluranti ex italiane, si avvicinò da sudovest puntando sulla baia di Gurna, ma fu respinto dal tiro delle batterie costiere Ducci e San Giorgio; un secondo gruppo, proveniente da est, si divise in quattro sottogruppi, che sebbene contrastati dal tiro delle batterie costiere si diressero poi verso punti diversi della costa dell’isola. Di questi sottogruppi, uno sbarcò le sue truppe nella baia ad ovest di Punta Pasta di Sopra, un altro ad est di Monte Clidi (un’altura di 320 metri, tra le principali dell’isola, situata tra Blefuti ed Alinda) ed un terzo sulla costa orientale del Monte Appetici (alto 180 metri, ad est dell’abitato di Lero), sotto la batteria costiera Lago; il quarto gruppo, che si era diretto verso la costa settentrionale di Lero, venne invece respinto dalle batterie costiere. I MAS 555 e 559 furono sorpresi e catturati nella baia del Grifo; di questi, il MAS 555 venne poi distrutto dalle stesse batterie italiane per impedire ai tedeschi di servirsene, mentre il MAS 559 fu sabotato dal suo stesso equipaggio (il suo comandante fu per questo fucilato dai tedeschi).
Gli sbarchi tedeschi erano anche appoggiati da alcune torpediniere e cacciatorpediniere, ex italiani, catturati al Pireo e a Suda ed ora incorporati nella Kriegsmarine: tra di essi anche il Turbine, ora divenuto TA 14 ed armato da un equipaggio tedesco. I difensori italiani di Lero si ritrovarono così a dover combattere contro navi già italiane, che fino a qualche mese prima erano state in servizio proprio in quelle isole: forse qualche marinaio dell’Euro, assegnato a una batteria costiera, si ritrovò a dover far fuoco sul Turbine, ultimo sopravvissuto della sua classe, che ora batteva bandiera tedesca.
La batteria P.L. 989 (situata sulla costa occidentale delle baia di Parteni, al comando del tenente d’artiglieria Gaetano Farro e dotata di quattro cannoni da 76/40 mm), presso la quale era stato destinato un plotone formato da naufraghi dell’Euro, fu una delle prime ad essere coinvolte nei combattimenti, fin dal momento dello sbarco. Insieme alle altre batterie dello stesso settore (P.L. 749, P.L 888, P.L. 899, P.L. 906 ed altre), essa aprì il fuoco sulle motozattere tedesche che si avvicinavano alla costa per sbarcare le proprie truppe; il tiro delle batterie italiane (soprattutto della P.L. 888) incendiò due motozattere, una delle quali poi affondò, e ne colpì altre, che si ritirarono, ma alcune altre riuscirono invece a portarsi entro i settori “morti” delle batterie, ed a sbarcare così le truppe nella baia del Grifo e nella baia della Palma (situata a levante di Blefuti), al riparo dal tiro delle artiglierie costiere. Lo stesso accadde in altri punti dell’isola. Nel settore nordorientale i primi scontri ebbero esito favorevole per i difensori, che sconfissero i primi distaccamenti tedeschi sbarcati, rimasti isolati, e catturarono 85 prigionieri; ma nel settore centrale le forze tedesche stabilirono alcune teste di ponte che andarono estendendosi, conquistando nel primo pomeriggio la batteria Ciano, sul Monte Clidi, i cui cannoni erano stati tutti messi fuori uso durante i combattimenti. Gli ufficiali di questa batteria, dopo la cattura, furono passati per le armi. Accaniti scontri si svolsero presso la batteria Lago, difesa dai suoi artiglieri e da un plotone di rinforzo della Marina, nonché da una compagnia britannica inviata anch’essa in rinforzo (ma che dovette poi ripiegare per le gravi perdite subite); dopo duri combattimenti, la batteria rimase per il momento in mano italiana.
Le truppe tedesche, appoggiate dagli aerei (che apparvero nel cielo subito dopo il sorgere del sole, e svolsero per tutto il giorno intensa attività ad appoggio delle loro forze di terra), avanzarono gradualmente nonostante l’accanita resistenza italo-britannica; alle 13.27 vennero compiuti anche aviosbarchi di paracadutisti tedeschi al centro dell’isola, nel punto in cui essa si restringeva maggiormente, tra le baie di Gurna e di Alinda. Una formazione di Junkers Ju 52 lanciò un totale di circa 600 paracadutisti, da una quota di appena 250 metri (scelta per far sì che i difensori avvistassero gli attaccanti il più tardi possibile); così ridotta che alcuni dei paracadute non si aprirono, provocando così la morte dei paracadutisti nell’impatto contro il terreno roccioso. I difensori reagirono con le armi leggere, cui si unì anche il tiro dei cannoncini Bofors britannici; molti paracadutisti furono uccisi prima ancora di toccare a terra, ed alcuni Ju 52 furono colpiti dal tiro dei cannoncini e precipitarono in mare con i paracadutisti ancora a bordo. Fu poi stimato che circa 300 dei paracadutisti fossero rimasti uccisi, in aria, a terra od in mare. Alcuni paracadutisti feriti, invece di chiedere aiuto, preferivano sacrificarsi e lanciare attorno a sé le bombe a mano di cui disponevano, per fare esplodere le eventuali mine che si fossero trovate nel terreno circostante, in modo che non potessero nuocere ai compagni. Terminato l’aviolancio, i paracadutisti sopravvissuti si lanciarono decisamente all’attacco delle batterie di quel settore, difese dai loro stessi serventi, poco e male armati (pochi fucili, moschetti, bombe a mano) e scarsamente addestrati per il combattimento corpo a corpo. Opposero comunque una vivace resistenza. Dopo accaniti combattimenti, i paracadutisti catturarono le batterie 211 (già priva dei suoi cannoni, distrutti dagli attacchi aerei), sul Monte Rachi (un’altura di 109 metri che separa le baie di Gurna e di Alinda), e 763, divisa in due sezioni delle quali una era a Gurna (costa occidentale) e l’altra ad Alinda (costa orientale). La sezione di Alinda della 763, situata allo scoperto e dotata per la difesa ravvicinata soltanto di pochi moschetti e bombe a mano, fu la prima a cadere; la 211 fu conquistata dai tedeschi prima dell’imbrunire, mentre la sezione di Gurna della 763 resisté fino al pomeriggio del giorno seguente.
Furono coinvolti in questi combattimenti anche gli uomini dell’Euro: un nucleo tedesco sbarcato nella baia di Alinda, infatti, s’impadronì entro la sera del 12 della sezione di cannoni britannici da 47/32 mm che era stata armata da personale dell’Euro, al comando del guardiamarina Carmine Mattera. Questi, ferito piuttosto seriamente alla testa da una scheggia, prima della cattura riuscì a rendere inutilizzabili i suoi due cannoni rimuovendo alcuni elementi del congegno di sparo. Dopo la cattura, il guardiamarina Mattera ed alcuni suoi marinai vennero impiegati dai tedeschi per trasportare feriti e recuperare salme; mentre si spostavano da un centro di raccolta ad un altro, Mattera venne avvicinato da un paracadutista tedesco, rimasto ignoto, che gli suggerì di non farsi riconoscere come ufficiale se non voleva essere fucilato (come infatti accadde a quasi tutti gli ufficiali italiani catturati in quel settore). Dopo essersi consultato con un altro ufficiale prigioniero, il tenente di fanteria Aliboni, Mattera decise di seguire il consiglio; Mattera e Aliboni si vestirono da semplici marinai, e salvarono così la vita. Alcuni dei marinai del reparto di Mattera riuscirono a disperdersi e ad evitare così la cattura; una parte di essi raggiunsero le linee britanniche sul Monte Maraviglia, altri andarono a rinforzare una mitragliera della batteria 211 che ancora resisteva, colla quale combatterono ancora a lungo prima di essere sopraffatti.
Del tutto opposta fu la sorte dell’altra sezione di pezzi da 47/32 della baia di Gurna, comandanta dal sottotenente di vascello Caprettini: occultati dagli ulivi, questi cannoni ed i loro serventi non furono catturati fino al momento della resa generale di Lero. Dopo la resa il sottotenente di vascello Caprettini ed i suoi uomini, fatti prigionieri dai tedeschi che rastrellavano il settore, vennero impiegati nel recupero delle salme.
Durante il pomeriggio del 12, mentre erano in corso i combattimenti nelle zone degli sbarchi e dell’aviolancio di paracadutisti, altri mezzi tedeschi si avvicinarono alla costa orientale di Lero per effettuarvi un nuovo sbarco, ma vennero respinti dal tiro della batteria Farinata. A sera, le truppe tedesche nel settore settentrionale avevano conquistato un tratto della costa nordorientale fino al Monte Clidi, e tentavano di riunirsi con i paracadutisti, che avevano conquistato Monte Appetici (ad eccezione della batteria Lago che ancora resisteva); nel settore centrale, i paracadutisti avevano conquistato Monte Rachi e tentavano di avanzare in diverse direzioni; nel settore meridionale, invece, non si svolgevano ancora scontri.
Nella notte un contrattacco britannico venne pianificato ma poi abbandonato senza avere esecuzione (anche a causa dello stato delle truppe britanniche ad esso destinate, che avevano subito perdite durante la giornata ed erano ora esauste e disorganizzate); il generale Tilney chiese rinforzi a Samo (anche qui, intanto, erano infatti sbarcate truppe britanniche), ma il loro invio non risultò possibile, per mancanza di mezzi (l’indomani furono mandate da Lero a Samo alcune imbarcazioni armate per prelevare rinforzi e munizioni, ma il peggioramento delle condizioni del mare le bloccò a Samo, da dove non poterono più ripartire).
Alle sette del mattino del 13 novembre avvenne un nuovo lancio di paracadutisti tedeschi, seppure di minore entità rispetto a quello del giorno precedente; le truppe tedesche catturarono la batteria Lago ed avanzarono da est e da nord, occupando diverse posizioni. L’ammiraglio Mascherpa chiese rinforzi ed appoggio aereo al generale Soldarelli, avente il suo quartier generale a Samo, ma invano. Per il resto del giorno continuarono i combattimenti tra italiani, britannici e tedeschi, in zone ancora circoscritte dell’isola.
Nel pomeriggio del 13 la batteria 899, nella zona di Blefuti (costa settentrionale), fu presa sotto intenso tiro di mitragliatrici tedesche ed ebbe parecchie perdite tra il personale, compreso il comandante (tenente d’artiglieria Luigi Pizzoli), che fu gravemente ferito e portato in ospedale; essendo la batteria sul punto di cadere in mano tedesca, il comandante Meneghini vi inviò un reparto di marinai del distaccamento di Parteni guidato dal tenente del CREM Rodolfo Andreotti, che riuscì a ristabilire la situazione ed anche a migliorarla. Andreotti, infatti, una volta presso la batteria fornì anche al Comando di Gruppo gli elementi necessari a permettere alle batterie del Gruppo di effettuare tiri indiretti contro i nidi di mitragliatrici tedesche, che furono ridotte al silenzio. Gli effetti perniciosi dell’ordine di Tilney che le truppe italiane dovessero essere adibite a sola difesa statica si videro anche in questo frangente: nella marcia da Parteni verso la batteria 899, il distaccamento del tenente Andreotti venne fermato da pattuglie britanniche, e dovette perdere tempo a chiedere per radio al Comando britannico il permesso di proseguire.
Sempre nella giornata del 13 novembre, le truppe britanniche effettuarono un contrattacco, ma lo fecero disperdendo le proprie forze in due direzioni diverse (contro il centro dell’isola, dov’erano i paracadutisti, e contro il Monte Appetici, dove si trovavano le truppe sbarcate dal mare), così che la manovra fallì. L’ammiraglio Mascherpa chiese più volte che le proprie truppe potessero partecipare al contrattacco, ma da Tilney non giunse risposta; aveva stabilito che le truppe italiane dovessero limitarsi a difesa statica sul posto, e questi ordini rimasero immutati durante tutta la battaglia. Due cacciatorpediniere britannici cannoneggiarono le posizioni tedesche al centro dell’isola, ed aerei britannici lanciarono armi e materiali, ma in quantità insufficiente.
Il 14 novembre il capitano di fregata Meneghini, comunicando col comandante militare dell’isola di Lisso (pochi chilometri a nord di Lero), capitano di corvetta Stefano Bausani (già comandante della nave appoggio sommergibili Alessandro Volta, incagliatasi a Lisso dopo essere stata attaccata per errore da motocannoniere britanniche: il “presidio” di Lisso consisteva esclusivamente nell’equipaggio di quella nave, sbarcato sull’isola dopo l’incaglio), appariva piuttosto ottimista: riteneva prossimo l’arrivo di rinforzi britannici, e possibile un contrattacco per ributtare a mare le truppe tedesche. La situazione determinatasi a Lero era però tale che il comandante Meneghini, per comunicare dal settore di Parteni (ove si trovava) con il Comando di Lero dell’ammiraglio Mascherpa, cioè sulla stessa isola, dovette servirsi come tramite della stazione di vedetta di un’altra isola, Patmo (l’isola più settentrionale del Dodecaneso, situata a nordovest di Lero, dalla quale distava pochi chilometri, ed antistante Lisso), in quanto i bombardamenti causavano continue interruzioni delle linee telefoniche di Lero, ed il successivo sbarco tedesco aveva del tutto tagliato le comunicazioni tra i settori Nord (comandato da Meneghini) e Centro. Patmo poteva invece ricevere e trasmettere comunicazioni da Parteni al Comando in capo e viceversa, in quanto era collegata a Parteni con un cavo telefonico sottomarino e disponeva di una radio campale (evidentemente non a disposizione, invece, del Comando Settore Nord di Lero) per comunicare col Comando dell’ammiraglio Mascherpa. Per lo stesso motivo, siccome il cavo telegrafico sottomarino che collegava Lero a Samo approdava proprio a Parteni, il generale Soldarelli finì con l’interloquire più frequentemente con il comandante Meneghini che con l’ammiraglio Mascherpa, specie dopo che il bombardamento del 30 ottobre ebbe distrutto la stazione radio della Marina. Alle richieste di notizie che giungevano da Samo, Meneghini rispondeva con continui aggiornamenti sulla situazione: alle 9.20 del 14 novembre comunicò che «Comunicazioni con Ammiraglio [Mascherpa] interrotte alt. Tedeschi sbarcati baia Glifo et Alinda hanno occupato monte Vedetta et prossimità batteria Ciano alt. Paracadutisti discesi su Santa Marina alt continuano combattimenti ma qui Parteni mancano notizie alt»; alle 14.45, che «Nella zona Parteni mancano notizie ufficiali alt si ode combattere in continuazione alle pendici di Monte Clidi alt si dice che paracadutisti siano stati annientati tutti alt Qui siamo sotto continuo bombardamento aereo alt Comando inglese est sicuro et fiducioso alt»; alle otto del giorno seguente, che «Questa mattina vi è stato tentativo di sbarco con 3 motozattere alt Abbiamo visto affondarne una e le altre si ritiene si siano ritirate oppure hanno girato verso baia Alinda alt Ripresa grande attività aerea nemica alt»; alle 11.45, «Stanno svolgendosi combattimenti Monte Raki et linea litoranea Alinda alt»; alle 16.30, «Zona nord situazione immutata alt continua attività aerea alt».
Sempre per via dell’isolamento del suo settore dal Comando centrale, alle 14.20 il comandante Meneghini chiese a Samo di ordinare alla stazione di vedetta dell’isola di Nicaria di trasmettergli, per tramite di Samo, eventuali avvistamenti di rilievo, prescindendo dalle comunicazioni normalmente inviate a Mariegeo Lero («Prego incaricare Nicaria fare servizio scoperta et comunicarmi indipendentemente da comunicazioni at Mariegeo tramite Samo ogni avvistamento interessante alt»). Da Samo giunse risposta affermativa.
La giornata del 14 novembre fu caratterizzata da una serie di scontri minori nelle diverse zone di Lero dove le forze tedesche erano riuscite a sbarcare, e dove cercavano ora di ampliare le loro teste di sbarco. I britannici lanciarono diversi contrattacchi, ma lo fecero disperdendo le forze in più direzioni, il che tolse forza a questi attacchi e andò ad indebolire il settore centrale dell’isola. Grazie al supporto fornito dalle artiglierie di due cacciatorpediniere britannici, la batteria Ciano venne riconquistata, con la cattura di oltre 230 prigionieri. Truppe tedesche attaccarono il Castello di Pandeli, che venne difeso ad oltranza dai marinai italiani (contro l’avviso del comandante del locale plotone britannico, il quale aveva invece dato l’ordine di abbandonarlo) i quali respinsero diversi attacchi.
Dalla stretta di Gurna, le truppe tedesche cercavano di avanzare verso nord, nella zona di Santi Quaranta, allo scopo di riunirsi ad altri loro reparti che da Santa Madonna stavano muovendo verso la piana di Alinda, per insinuarsi tra il Monte Clidi, riconquistato dalle truppe britanniche, ed il mare. In appoggio ai contrattacchi britannici da nord e da sud intervennero efficacemente diverse batterie della Difesa italiana, che bersagliarono le truppe tedesche le quali, in questa manovra di ricongiungimento, dovevano giocoforza esporsi al loro tiro. La batteria P.L. 989, quella presso la quale era stato dislocato un plotone dell’Euro, fu sollecitata dal Comando britannico a tirare contro alcuni nidi di mitragliatrici creati dai tedeschi sul costone del Monte Vedetta; gli aerei della Luftwaffe, per tutta risposta, presero ad attaccarla con particolare accanimento, ma ciò non disturbò l’accuratezza del suo tiro, tanto che dopo mezz’ora di fuoco il Comando britannico le comunicò: «Cessate il fuoco, col vostro tiro meraviglioso avete distrutto due postazioni di mitragliatrici nemiche. Il colonnello inglese vi elogia e vi ringrazia». Al termine di aspri combattimenti, nei settori nord e sud furono catturati 200-300 prigionieri tedeschi; il tentativo dei paracadutisti di ricongiungersi con le altre forze tedesche era fallito. Sarebbe stato forse possibile sfruttare un’occasione favorevole per lanciare un contrattacco generale con tutte le forze, che avrebbe potuto avere esito risolutivo, ma il generale Tilney, preoccupato per la conquista tedesca del Monte Appetici, che rappresentava una pericolosa minaccia sul fianco, decise invece di tentare di riconquistare quella posizione. Il tentativo fallì, con gravi perdite per il battaglione britannico che aveva attaccato quel monte, compreso il suo comandante (tenente colonnello French) che fu ucciso in combattimento.
Nel pomeriggio del 14 novembre si verificò un altro episodio minore che coinvolse il presidio di Parteni. Una delle motozattere tedesche che avevano tentato di sbarcare truppe sulla costa di Lero era stata affondata dal tiro delle batterie costiere italiane nei pressi dell’isolotto di Strongilo, poco più che uno scoglio, non lontano da Parteni; i soldati tedeschi imbarcati sulla motozattera si erano rifugiati su tale isolotto, e si decise di prenderli prigionieri. Un gruppetto di marinai del Distaccamento di Parteni, guidati dal tenente CREM Andreotti e dal capitano di fanteria Eligio Radice (ufficiale dell’Esercito addetto al Comando del Settore Nord), raggiunsero dunque Strongilo con il motoveliero Nereo e vi catturarono 28 soldati tedeschi, più altri quattro che avevano tentato la fuga in una piccola imbarcazione. Portati a Parteni, i prigionieri furono consegnati ai britannici, che quella stessa sera li  imbarcarono su una motozattera e li trasferirono ad Alessandria con altri prigionieri.
La sera del 14, le forze tedesche controllavano saldamente il Monte Appetici, il Monte Vedetta, il Monte Clidi (che avevano nuovamente riconquistato) e la Baia del Grifo.
Le incursioni aeree tedesche proseguivano incessantemente, giorno e notte, e nella notte tra il 14 ed il 15 le truppe tedesche occuparono l’abitato di Lero (dove fu ucciso in combattimento, nella notte seguente, il tenente colonnello Easonsmith, comandante del Long Range Desert Group), Santa Marina ed Alinda. Il mattino seguente, dopo diversi attacchi, il castello veneziano di Lero cadde in mano tedesca, e l’avanzata tedesca proseguì durante la giornata, mentre le difese contraeree, ormai pressoché annientate, non riuscivano più ad opporsi agli attacchi sempre più violenti della Luftwaffe. Molte batterie erano state catturate o danneggiate, altre erano a corto di munizioni; la P.L. 989, dov’era stanziato un plotone dell’Euro, aveva ancora tre cannoni efficienti, mentre il quarto era fuori uso. Le truppe tedesche attestatesi nel settore centrale si congiunsero con quelle della zona orientale tra Santi Quaranta ed il Patriarcato, poi attaccarono più volte il Monte Maraviglia, appoggiati da bombardamenti aerei particolarmente pesanti; incontrando resistenza particolarmente accanita da parte italiana e britannica, aggirarono il Monte Maraviglia da nord e raggiunsero la baia di Pandeli, così occupando tutta la zona centrale di Lero. Truppe tedesche in questo settore avanzarono sul Monte Rachi, che fu in gran parte conquistato; fu in questo frangente che si svolse l’ultima azione di fuoco della batteria P.L. 989. Insieme ad altre batterie (Farinata, P.L. 906), essa concentrò il suo tiro contro nuclei di mitragliatrici tedesche sul Monte Rachi, che furono distrutti, come venne confermato sia dal Comando di Gruppo che da quello britannico. Ma all’alba altre truppe tedesche erano sbarcate presso Punta Pasta, costringendo parte delle truppe britanniche, anziché a contrattaccare contro i tedeschi del settore centrale (che avrebbero potuto essere presi tra due fuochi), a doversi impegnare contro questa nuova minaccia. In questo frangente, «non mancò fra le truppe inglesi qualche fenomeno di sbandamento e di panico dovuto sia alla esasperante persistenza degli attacchi aerei, che si svolgevano a quota sempre più bassa via via che la reazione veniva meno, sia alla sensazione del rapido aggravarsi di una situazione che ormai appariva a tutti senza scampo».
Nondimeno, non dappertutto la situazione sembrava compromessa: nel settore Nord, anzi, le cose dovevano sembrare andare abbastanza bene, tanto che nel corso della giornata del 15 il comandante Meneghini inviò al generale Soldarelli, a Samo, tre telegrammi piuttosto ottimistici. Il primo, da Lero Parteni, ricevuto a Samo alle 10.54, diceva: «Sono in corso combattimenti in zona centrale di cui mi mancano notizie alt Zona nord est impegnata levante S. Chirico alt Andamento generale soddisfacente alt Questa mane non sono giunti rinforzi tedeschi alt Continua intensa attività aerea alt»; il secondo, sempre da Lero Parteni e ricevuto alle 12.35, riferiva che «Monte Vedetta riconquistato alt In corso rastrellamento alt»; il terzo, ricevuto alle 18.35, affermava «Andamento combattimenti buono alt Monte Raki parte riconquistato alt Se non arrivano rinforzi tedeschi sperarsi entro domani liquidare tutto alt». Un radiotelegrafista di Parteni, rimasto anonimo, aveva comunicato a Samo alle 6.30 di quel mattino: «I tedeschi ripiegano sotto l’impeto dei Marinai d’Italia alt Speriamo che stamane sia giorno definitivo di vittoria. Viva l’Italia alt Viva il Re alt».
Questa visione ottimistica era legata alla particolare situazione del settore di Parteni: nella fase iniziale degli sbarchi tedeschi, infatti, le truppe italiane e britanniche stanziate in quella parte dell’isola avevano riportato alcuni successi contro le forze tedesche, dopo di che la distruzione dei collegamenti aveva fatto sì che quel settore rimanesse isolato e tagliato fuori dal grosso della battaglia; chi vi si trovava aveva dunque l’impressione che la situazione fosse sotto controllo, e che i tedeschi stessero per essere sconfitti. Ulteriori telegrammi (precedenti a quelli sopra menzionati, e qui elencati in ordine cronologico), alcuni inviati da Meneghini o ufficiali subordinati in risposta alle richieste di Samo, altri trasmessi per iniziativa di singoli radiotelegrafisti, mostrano quale fosse lo spirito che regnava a Parteni: «Le forze italo-inglesi passate al contrattacco alt Monte Clidi riconquistato alt Continuano combattimenti zona Alinda alt Non giunti rinforzi tedeschi alt» (comandante Meneghini, 11.00 del 13 ottobre); «Credo ma non sono sicuro ma ormai non importa [in risposta a domanda, da Samo, se fossero arrivati i rinforzi britannici partiti da quell’isola] perché sembra che tutto sia quasi finito alt Ci sono ancora pochi nuclei [tedeschi] che sono però circondati e se non arrivano rinforzi per questa notte è finito tutto almeno a quanto si dice qui» (radiotelegrafista di Parteni, 11.06); «Comandante Meneghini in questo momento si trova Clidi alt Notizie ufficiose poiché è difficile precisare alt si dice che il grosso delle truppe in giornata venga sgominato alt All’arrivo del Comandante avrete notizie più precise perché a detto scopo si è allontanato da Parteni alt» (tenente Andreotti, 17.00); «Situazione notevolmente migliorata alt Tedeschi tengono ancora Monte Vedetta alt Ignoro situazione Alinda ma dicesi molto buona alt Fatti molti prigionieri alt In complesso situazione generale soddisfacente e salvo complicazioni l’isola potrà essere sgomberata dai tedeschi molto presto alt Continuata per tutto il giorno attività aerea alt Attualmente cacciatorpediniere inglese in navigazione acque isola alt Ancora non ristabilita comunicazione con Portolago alt» (comandante Meneghini, 20.15); «Unità inglesi cannoneggiano i punti dove sono rifugiati gli ultimi tedeschi alt Ora ci sono aerei sospetti e quindi lancio di paracadutisti alt Nulla sicuro alt» (radiotelegrafista di Parteni, ore 20.20).
Nella zona centrale dell’isola, invece, la situazione era ben diversa. I messaggi diretti a Samo dall’ammiraglio Mascherpa e dai radiotelegrafisti del suo Comando descrivevano una situazione in continuo peggioramento, e chiedevano rinforzi di uomini ed artiglieria ed attacchi aerei per risollevare la situazione. Il mattino del 15 due cacciatorpediniere britannici avevano sbarcato 500 uomini a Portolago, ed altre unità della Royal Navy avevano attaccato alcuni mezzi da sbarco tedeschi e cannoneggiato le forze nemiche nella baia di Alinda; ma questo non era bastato a risollevare la situazione. Tilney aveva ordinato un tardivo contrattacco, senza successo, e Mascherpa, vedendo i suoi suggerimenti sempre respinti, aveva lasciato il Comando per tornarsene al suo Comando Marina. Al tramonto del 15 le forze tedesche avanzavano su due fronti, l’uno – a nord – che si estendeva da Punta Pasta alla baia di Gurna, passando per Monte Clidi, e l’altro – a sud – che andava dalla baia di Pandeli alla baia di Gurna, passando per Lero città ed il Monte Rachi. L’isola era ormai spaccata in due ed il Monte Maraviglia, al suo centro, sede del Comando, era martellato dai bombardamenti e minacciato dalle truppe nemiche che avanzavano sia da nord che da sud. Giunsero altri 400 soldati britannici, ma anche i tedeschi sbarcarono rinforzi nella baia di Alinda, e le prime truppe tedesche si affacciarono al Passo dell’Ancora, sul Monte Maraviglia.
Il mattino del 16 novembre, il Comando britannico richiese la partecipazione di truppe italiane nella difesa del Monte Meraviglia, dove aveva sede il quartier generale di Tilney; la difesa dell’importante posizione del “Trincerone” (Porta Vecchia) venne però riservata alle forze britanniche. Le truppe italiane tentarono la difesa di Portolago, ma il Trincerone venne abbandonato dai britannici, e la situazione andò precipitando. In alcuni reparti britannici si stavano ormai manifestando segni di scoramento: il colonnello Iggulden dovette intervenire per riportare in linea alcuni reparti che erano dal Monte Rachi stavano ripiegando verso Parteni senza autorizzazione, e alle 10.35 un radiotelegrafista di Lero comunicava preoccupato «Ho paura che fra poco sarà tutto finito alt Tommy si ritirano distruggendo le proprie riserve senza voler più combattere. Nostri resistono ma non possono tenere molto alt». All’alba la batteria 306 era stata distrutta dagli attacchi aerei, mentre la batteria 127 del Monte Maraviglia fu teatro di aspri combattimenti anche all’arma bianca.
Fin dal mattino il Monte Maraviglia fu sottoposto a nuovi attacchi aerei ed assaltato, da nordest, dalle truppe tedesche di terra: gli uomini dell’Irish Fusiliers respinsero inizialmente questi attacchi (lo stesso Tilney partecipò ai combattimenti), ma alla fine dovettero iniziare a cedere terreno.
Alle 12.30 del 16 novembre si presentò al Comando italiano un parlamentare tedesco che richiese la resa separata delle truppe italiane, promettendo in cambio la salvezza per tutti; la richiesta fu respinta. I combattimenti proseguirono per alcune altre ore, ma alle 17.30 arrivò alla sede del Comando dell’ammiraglio Mascherpa un ufficiale britannico, latore della ferale notizia: il quartier generale di Tilney era stato circondato dai tedeschi e sopraffatto dopo un’ultima resistenza; il generale Tilney era stato catturato e, in qualità di comandante di tutte le truppe di Lero, aveva firmato la resa dell’intero presidio ed ordinava di cessare ogni attività bellica. Poco dopo giunse lo stesso Tilney, ormai prigioniero, che confermò quanto accaduto. Mascherpa capitolò alle 22.

Le poche e piccole unità navali sopravvissute ai bombardamenti fuggirono la sera del 16, permettendo a piccoli gruppetti di militari di scampare alla prigionia.
L’ordine di resa venne trasmesso a tutta l’isola, ma il collasso delle comunicazioni fece sì che molti presidi italiani, rimasti isolati (specie nella parte settentrionale dell’isola), non lo ricevettero fino al giorno seguente, e continuarono così a combattere fino al 17 novembre. Peraltro, come già detto, in alcune parti dell’isola (soprattutto quella settentrionale) la situazione locale sembrava tutt’altro che irreparabile, ed anzi favorevole, tanto che nessuno si sognava che si potesse giungere alla resa: questa notizia fu pertanto accolta con incredulità, ed anche con rabbia, da molti soldati italiani e britannici. Emblematico il caso del Gruppo contraereo Nord: quando il Comando FAM-DICAT gli trasmise, per mezzo di segnali ottici, l’ordine di resa con la comunicazione «Alle 18.30 la Piazza è capitolata», la risposta fu «Non ci crediamo. Viva l’Italia». La comunicazione della resa venne ripetuta dal Comando FAM-DICAT, ed il comandante del Gruppo c.a. Nord, capitano di artiglieria Amadei (che in quel momento era assente dal Comando perché si era recato a concordare con un parigrado britannico la difesa del Comando Gruppo e di una batteria da possibili nuovi lanci di paracadutisti), al suo rientro presso la sede del Comando, ne venne messo al corrente. Amadei, dopo aver inutilmente tentato di contattare il Comando FAM-DICAT per saperne di più, telefonò al capitano di fregata Meneghini, già comandante dell’Euro, ora comandante italiano del Settore Nord. Questi rispose di non sapere nulla della resa, e disse che a breve sarebbe andato a parlare con il colonnello Iggulden, comandante britannico dello stesso settore. Poco dopo, Meneghini richiamò al telefono Amadei e gli disse che la notizia della resa era falsa; spiegò anche che il generale Soldarelli, da Samo, gli aveva mandato un telegramma cifrato col quale lo avvertiva del rischio di false comunicazioni da parte dei tedeschi, che se ne erano già serviti anche in altre circostanze. Seguirono ore di incertezza, mentre gli ufficiali italiani e britannici del settore cercavano di capire cosa stesse accadendo e tentavano di mettersi in contatto con i loro superiori; il comandante Meneghini non volle credere alla notizia della resa, appoggiato in questa convinzione anche dalla prosecuzione dei bombardamenti aerei tedeschi, che mal si accordava con una cessazione delle ostilità sull’isola.
Nel pomeriggio del 16 ottobre il tenente CREM Rodolfo Andreotti, appartenente al Distaccamento di Parteni, rilevò che l’azione degli aerei della Luftwaffe stava divenendo sempre più pericolosa, soprattutto perché le mitragliere da 20 mm, logorate dall’utilizzo ininterrotto degli ultimi giorni, avevano ormai smesso di funzionare quasi del tutto. Andreotti domandò dunque a Meneghini il permesso di prendere una motolancia ed un gruppo di volontari in grado di immergersi sul relitto dell’Euro (nonostante il clima ormai quasi invernale e la bassa temperatura dell’acqua), allo scopo di cercare di recuperare qualcuna delle mitragliere del cacciatorpediniere, che in precedenza si era cercato di recuperare senza successo. Meneghini accordò il permesso ed il tentativo fu portato a termine; Andreotti e gli altri rientrarono a Parteni intorno alle 21, e sentirono qualcuno che diceva che Lero si fosse arresa. La notizia venne smentita, ma nella notte si verificò un fatto che rivelò tristemente rivelatore: un ufficiale di collegamento britannico, ben conosciuto dal personale italiano di Parteni, salì sul motoveliero Nereo ormeggiato nella baia e, dopo una discussione col suo comandante italiano (l’inglese disse che il Nereo gli serviva per allontanarsi da Lero, l’italiano rifiutò e l’inglese insistette), che scese a terra per chiedere ordini, costrinse il restante equipaggio del motoveliero a mettere in moto e partire, armi alla mano. Con a bordo soltanto il suo equipaggio, meno il comandante, e tre ufficiali britannici, il Nereo lasciò Parteni portandosi via a rimorchio anche un battello ed una motobarca: mezzi che sarebbero invece stati utili al locale presidio italiano (400 uomini) per sottrarsi, almeno in parte, alla cattura. Il sottufficiale addetto alle ostruzioni della baia (che erano aperte perché era previsto l’arrivo di un convoglio britannico, ovviamente poi non giunto dato che l’isola era caduta), che conosceva personalmente l’ufficiale di collegamento britannico (il quale, senza fermarsi, disse che usciva per andare a pilotare il convoglio in arrivo) cercò di fermare il Nereo, giungendo anche ad ordinare alla sentinella di sparare quando il motoveliero rifiutò di fermarsi; ma la piccola nave proseguì, e si dileguò nell’oscurità. Questa precipitosa fuga degli ufficiali britannici, compresero gli uomini del distaccamento di Parteni, non si spiegava se non col fatto che Lero doveva essersi veramente arresa.
La sera del 16 il capitano di fregata Meneghini, essendo rimasto isolato dal resto dell’isola, chiese al Comando Militare di Lisso se per caso avessero notizie su quanto stesse accadendo a Lero, perché andavano diffondendosi voci allarmanti. Da Lisso risposero che non sapevano nulla, perché anche loro erano isolati da Lero; alle 22 Meneghini cercò allora di contattare il Comando di Lero tramite Lisso e Patmo, ma Lero non rispondeva più alle chiamate radio di Patmo fin dalle 18, dunque la sua richiesta di notizie non poté essere inoltrata. Verso le 23 Meneghini ebbe uno scambio di telegrammi con il capitano di fregata Luigi Borghi, che da Lero era stato inviato a Samo con un MAS: il primo spiegò al secondo che giravano voci di resa, ma non erano ancora giunti ordini ufficiali.
Il comandante Meneghini continuò a smentire ogni notizia di resa fino alle quattro del mattino del 17 novembre, quando – presumibilmente – nuove comunicazioni la cui autenticità era innegabile lo convinsero infine che Lero si era effettivamente arresa. A questo punto, Meneghini diramò la triste notizia ai suoi subordinati, e anche gli uomini del Settore Nord deposero le armi, ponendo fine alla battaglia di Lero. Alle cinque del mattino del 17 una staffetta mandata dal comandante Meneghini recapitò al tenente di artiglieria Ezio Martinelli, comandante della batteria 888 di Blefuti (cui Meneghini aveva ordinato – per mezzo del tenente di vascello Oscar Ciani, già comandante in seconda dell’Euro –, nel tardo pomeriggio del 16, di non sparare durante la notte, perché era previsto l’arrivo di una motozattera italiana), la notizia della resa. Tre ore dopo, alcuni ufficiali tedeschi si presentarono presso la caserma del distaccamento di Parteni e diedero agli uomini del distaccamento cinque minuti per prelevare i bagagli individuali (non più di qualche chilo), dopo di che li trasferirono a Gurna, da dove furono poi mandati nel campo di concentramento creato a Xerocampo, nella ex sede dell’Aeronautica, per alloggiare i prigionieri italiani.
Tragica fu la sorte toccata al comandante Meneghini. Quando incontrò i primi tedeschi, questi gli ordinarono di restare in attesa di disposizioni presso il Distaccamento di Parteni; successivamente, si presentò al distaccamento un capitano paracadutista tedesco che, servendosi come interprete di un marinaio italiano che conosceva il tedesco, disse: “Abbiamo trovato dei nostri paracadutisti sgozzati”. Assisteva alla scena il tenente CREM Andreotti, che rispose – sempre a mezzo dell’interprete – facendo notare che i soldati tedeschi feriti e fatti prigionieri, durante la battaglia, sullo scoglio di Strongilo erano stati curati dagli stessi italiani; il capitano tedesco domandò allora dove fosse la Baia delle Palme, ed il comandante Meneghini rispose di potergliela indicare. Il tedesco gli disse di avviarsi. Meneghini si mise in cammino, ed il capitano di fanteria Eligio Radice chiese di accompagnarlo; Meneghini e Radice si incamminarono, seguiti dal capitano paracadutista e da un soldato tedesco armato di mitra. Si erano da poco allontanati dal distaccamento, quando una raffica di mitra falciò i due ufficiali italiani. Per giorni, i tedeschi impedirono anche che alle loro salme venisse data sepoltura; i corpi del comandante dell’Euro e del capitano Radice rimasero insepolti, là dove erano stati fucilati, finché dopo qualche giorno l’attendente del comandante Meneghini non poté avvicinarsi al punto in cui giacevano, e provvedere finalmente a seppellirli.
I tedeschi non vollero che sulla tomba di Meneghini venisse eretta una croce, né un qualsiasi altro segno di riconoscimento; ma un operaio italiano prigioniero, di nascosto, riuscì nottetempo a fare una croce di sassi sul punto in cui era stato sepolto l’ultimo comandante del R.C.T. Euro.
 
Il comandante Vittorio Meneghini (Ufficio Storico della Marina Militare).

In aggiunta agli uomini morti nell’affondamento ed al comandante Meneghini fucilato dopo la resa, altri cinque membri dell’equipaggio dell’Euro morirono a Lero durante o dopo la battaglia: il sottocapo meccanico Rocco Di Iulio, il sottocapo cannoniere Rocco Grossi, il sottocapo elettricista Luigi Martellini, il sottocapo motorista Giuseppe Pistacchio ed il sottocapo S.D.T. Ottorino Zanuso risultano tutti dispersi il 17 novembre 1943, data della definitiva caduta di Lero. Non è dato sapere se essi trovarono la morte nei combattimenti, o in rappresaglie tedesche dopo la resa, o ancora nel tentativo di fuggire da Lero per sottrarsi alla cattura.

In tutto, con la caduta di Lero i tedeschi catturarono oltre 8500 prigionieri: 351 ufficiali e 5000 tra soldati e marinai italiani; 201 ufficiali e 3000 soldati britannici.
I prigionieri italiani vennero inizialmente concentrati per la maggior parte dentro i reticolati dell’idroscalo e nella zona di San Giorgio, mentre gli ufficiali furono portati a Gonià; da qui ebbe poi inizio il loro trasferimento, via mare, verso la Grecia continentale, da dove poi furono mandati nei campi di prigionia della Germania e della Polonia. Oltre al comandante Meneghini ed al capitano Radice, diversi ufficiali italiani, ed anche qualche marinaio, furono fucilati dopo la resa, in rappresaglia per la resistenza opposta all’attacco tedesco; altri avevano già subito la stessa sorte durante la battaglia. Tra gli ufficiali che i tedeschi volevano fucilare c’era anche il comandante della batteria 888 di Blefuti, il tenente Martinelli, che dopo la resa, passando dal distaccamento di Parteni, aveva salutato il comandante Meneghini ed il capitano Radice, là trattenuti dai tedeschi in attesa di ordini, ignari della loro sorte. Martinelli scampò alla morte, senza neanche saperlo, perché i tedeschi credettero erroneamente che il comandante della batteria 888 fosse il capitano di fanteria Dante Calise (già centurione della M.V.S.N.), e fucilarono lui al suo posto.
Nei confronti dei prigionieri italiani, i tedeschi alternarono da subito i maltrattamenti alle ripetute pressioni per spingerli alla collaborazione, ma ottennero un netto e compatto rifiuto. Gli ufficiali furono separati da sottufficiali e marinai e sottoposti ad interrogatorio, sia per ottenere dettagli sulle difese dell’isola, sia per individuare quelli che avevano inflitto le maggiori perdite alle truppe tedesche, allo scopo di passarli per le armi come già era stato fatto con diversi altri ufficiali durante o subito dopo la battaglia. Si provvide anche alla rigorosa separazione tra prigionieri britannici ed italiani; a questi ultimi fu riservato fin da subito un trattamento nettamente peggiore, con furti sistematici, violenze (squadre di prigionieri italiani trattati a calci e pugni furono usati per caricare carbone sui piroscafi tedeschi), umiliazioni di ogni sorta.
Per i primi cinque giorni dopo la resa, non furono dati ai prigionieri né cibo né acqua; molti approfittarono della confusione che ancora regnava per sottrarre cibo dai magazzini, altri vennero aiutati dalla popolazione locale, che assisté generosamente i prigionieri nonostante la scarsità delle sue stesse risorse alimentari ed il pericolo di rappresaglie da parte tedesca.
I primi 70 prigionieri (30 ufficiali e 40 feriti) vennero trasferiti da Lero al Pireo già il 17 novembre, a bordo del cacciatorpediniere TA 15, cioè l’ex italiano Crispi, che lasciò l’isola alle 16 di quel giorno e giunse al Pireo l’indomani. Il 21 novembre 2700 prigionieri, in gran parte britannici ma con anche 150 ufficiali italiani (compreso l’ammiraglio Mascherpa, che fu fatto viaggiare rinchiuso nel tunnel dell’asse dell’elica), furono trasferiti al Pireo a bordo del piroscafo Schiaffino (che lasciò Lero a mezzogiorno del 21 e giunse a destinazione verso le 13 del 22), ed il 30 toccò ad altri 1500 prigionieri, a bordo di un piroscafo.
Una volta giunti al Pireo, i prigionieri italiani vennero fatti marciare per le vie di Atene, poi furono rinchiusi in un capannone vuoto di una fabbrica di motori alla periferia della capitale greca. Anche qui si rinnovarono gli inviti alla collaborazione con i tedeschi, anche da parte di ufficiali italiani (non di Lero) che avevano aderito alla repubblica di Salò, nuovamente respinti dalla quasi totalità dei prigionieri. Dalla Croce Rossa Internazionale non giunse nessun aiuto, perché, fu detto, l’Italia non aveva versato il suo contributo e dunque non si sapeva chi avrebbe rimborsato le spese. Il 6 dicembre 1943 i prigionieri di Lero furono caricati sui treni che li portarono nei campi di prigionia (il convoglio partito il 6 dicembre, in particolare, giunse in Westfalia il 22 dicembre). Vi sarebbero rimasti fin dopo la fine della guerra, venendo rimpatriati soltanto nell’agosto-settembre 1945.
Analoga sorte subirono i prigionieri che giunsero sul continente dopo il 6 dicembre. Il 17 dicembre 1943 furono trasferiti da Lero al Pireo 3700 prigionieri italiani, imbarcati sulla motonave Leda (ex italiana Leopardi catturata in Adriatico dopo l’armistizio); l’ultimo gruppo di prigionieri, un migliaio di uomini, fu trasferito sul continente il 1° gennaio 1944. Rimasero a Lero circa 200 prigionieri italiani, con pochi ufficiali (appartenenti a corpi medici e tecnici). Ebbero più fortuna i prigionieri feriti, che il 2 dicembre 1943 furono imbarcati sulla nave ospedale Gradisca, anch’essa catturata dai tedeschi: durante la navigazione verso la Grecia, la nave fu intercettata da cacciatorpediniere britannici che la dirottarono a Brindisi, e i prigionieri furono così liberati.
Per i prigionieri di Lero giunti nei territori del Reich, la sorte fu la stessa delle centinaia di migliaia di «internati militari italiani» rastrellati dai tedeschi dopo l’8 settembre in Italia, nei Balcani, in Francia, in Mar Egeo: fame, freddo, malattie, lavoro forzato, maltrattamenti, a cui non tutti sopravvissero. I più finirono in Germania, altri in Polonia; la sorte peggiore toccò a quelli che finirono in Bielorussia: in quella terra, sul fronte orientale, il rispetto per la vita era praticamente inesistente; se altrove il trattamento dei prigionieri italiani era ben peggiore rispetto a quello riservato agli angloamericani, ma comunque molto “migliore” di quello riservato ai russi (che erano in fondo alla “gerarchia” stabilita dai tedeschi per i prigionieri di guerra, ed erano vittime di trattamenti disumani, morendo in massa), in Bielorussia non si discostava da quello riservato ai sovietici. Qui i morti, per fame e malattie, si contavano a decine al giorno; molti altri rimasero vittime di esecuzioni sommarie (nei pressi del solo villaggio di Khodorovka, nel giugno 1944, furono fucilati circa 200 prigionieri italiani, insieme a 600 civili bielorussi). Pochi sopravvissero; tra di essi, un gruppo di 153 prigionieri provenienti da Lero (cinquantatrè), Rodi, Cefalonia e Corfù, imprigionati nel campo di Borisof, i quali proprio nel giugno 1944 riuscirono a fuggire durante le marce forzate di trasferimento nel corso della ritirata tedesca verso ovest, per poi presentarsi ai reparti dell’Armata Rossa. Inizialmente messi dai russi in vari campi di prigionia insieme ai tedeschi (e assurdamente, di nuovo sotto l’autorità di questi ultimi, siccome l’organizzazione “interna” del campo, essendo i tedeschi il gruppo più numeroso, era ad essi affidata) e nuovamente adibiti al lavoro forzato in misere condizioni, nel dicembre 1944 ottennero di poter lavorare senza vigilanza armata e nel febbraio 1945 poterono lasciare il campo e prestare servizio, armati, insieme ai russi (venendo impiegati essenzialmente in compiti di retrovia, come servizio di vigilanza ai Comandi ed ai depositi, o scorta ai prigionieri). Formarono così un piccolo reparto italiano che prestò servizio con l’Armata Rossa fino alla fine della guerra, rimpatriando nell’ottobre 1945.
Qualcuno riuscì a scampare alla prigionia con mezzi di fortuna: tra di essi anche il tenente medico Galassi, dell’Euro, il quale – aggregato al gruppo dei sanitari italiani, trattenuti a Lero più a lungo per continuare ad operare sui feriti non ancora trasferiti – riuscì a fuggire in Turchia con una barca nel dicembre 1943.
Un altro ufficiale dell’Euro, il guardiamarina di complemento Cipriano Cuneo, riuscì a sottrarsi alla prigionia per un fortuito evento accaduto prima della resa. A Parteni erano stati concentrati, nella giornata del 15 novembre, circa 200 prigionieri tedeschi; in quella baia si trovava in quel momento anche la motozattera MZ 722, afflitta da vari problemi ai motori (uno era mancante e gli altri due funzionavano male). Il Comando britannico insisté lungamente affinché i prigionieri tedeschi venissero trasferiti immediatamente in una località da esso indicata; alla fine il comandante Meneghini diede il suo assenso, e alle 18.30 del 15 novembre la MZ 722 lasciò Parteni con a bordo i prigionieri e 40 soldati britannici di scorta. Siccome il comandante della motozattera, tenente di vascello Armando Santoro, era in condizioni di salute piuttosto precarie (era convalescente da un recente attacco di influenza), il guardiamarina Cuneo venne fatto imbarcare per assisterlo. La MZ 722 trasportò i prigionieri a Samo, dopo di che andò a Kukuwa, sulla costa turca, ma ricevette ordine di recarsi nuovamente a Porto Vathi (Samo), dove il 16 novembre imbarcò 400 uomini del "Battaglione Sacro" greco da trasportare a Lero come rinforzo; trasbordò queste truppe su due cacciatorpediniere britannici in attesa in rada, che le avrebbero dovute portare a Lero, ma dopo mezz’ora la notizia della caduta di Lero vanificò tutto il progetto: la MZ 722 reimbarcò le truppe, le portò di nuovo a terra, e l’indomani tornò a Punta Kukura. Il suo comandante accettò poi una proposta britannica di compiere una non meglio precisata difficile e rischiosa missione verso la Palestina o l’Egitto; la MZ 722 imbarcò di nuovo i 200 prigionieri tedeschi di Lero, insieme alla loro scorta ed a due gruppetti di circa venti uomini ciascuno (l’uno di feriti greci e britannici, l’altro di ufficiali britannici) e si recò dapprima a Guvercinlik e poi a Budrum, sulla costa turca, dove sbarcò i feriti più gravi e imbarcò cinque marinai italiani del motoveliero Nereo, lì giunto dopo la fuga da Parteni. Dopo altre soste in varie località della costa turca (Orak, Makri, baia di Adalia), più volte sorvolata da aerei tedeschi che però non attaccarono, la MZ 722 giunse a Cipro il 22 novembre e vi sbarcò feriti e malati gravi, si rifornì e diresse per Haifa, dove giunse il 24 mattina sbarcando prigionieri e “profughi” da Lero. La MZ 722 rimase in Medio Oriente al servizio dei britannici fino alla fine della guerra in Europa: poté tornare in Italia, a Taranto, soltanto il 24 giugno 1945.
Anche l’ex direttore di macchina dell’Euro, capitano del Genio Navale Gennaro Caronna, riuscì a sottrarsi alla cattura: appresa la notizia della resa la sera del 16 novembre, dopo alcune ore s’imbarcò su un MAS insieme al tenente colonnello del Genio Navale Ciucci, al tenente colonnello commissario Scolozzi, al capitano di corvetta Franzitta e ad un nutrito gruppo di ufficiali e marinai, dirigendo verso la neutrale Turchia. Il mattino seguente la piccola imbarcazione, stipata di militari, approdò in una località della costa turca che Caronna descrisse nella sua relazione come "Scamanova" (traslitterazione o storpiatura di un nome turco che non è stato qui possibile ricostruire); tutti gli occupanti vennero trasferiti dalle autorità turche nel centro di raccolta di Tefenni e poi internati in Turchia per lungo tempo.
Tra i pochi prigionieri italiani rimasti a Lero dopo il gennaio 1944, ed adibiti principalmente a lavori di manovalanza, vi era anche l’ex comandante in seconda dell’Euro, il tenente di vascello Oscar Ciani. Questi, conoscendo bene la lingua tedesca (uno dei pochi italiani in tutta Lero, il che lo rese indispensabile per questo incarico), fu investito dal comando tedesco del ruolo di interprete; il comandante tedesco lo considerò inoltre come responsabile dell’esecuzione degli ordini da esso impartiti. All’inizio del dicembre 1943 Ciani venne assegnato come interprete al comandante (tedesco) del porto; cercò sempre di sfruttare la sua posizione per prestare assistenza agli italiani rimasti a Lero, militari e civili (ed anche alla popolazione locale), appoggiandosi in questo a quei militari della Wehrmacht che avevano meno fede nella causa nazista: soldati di origine austriaca, alsaziana o polacca. Nell’estate del 1944 Ciani cercò di organizzare una rete di uomini a lui fedeli per impedire alle truppe tedesche, quando avessero dovuto abbandonare Lero, di attuare le distruzioni che sempre compivano prima di ritirarsi, a partire da quella delle strutture portuali; entrò anche in contratto con partigiani greci ed italiani, per valutare la possibilità di una insurrezione contro i tedeschi, se l’andamento della guerra avesse generato una situazione favorevole. Ma il 12 settembre 1944, mentre andava ad un appuntamento con alcuni dei suoi uomini per discutere la possibilità di impedire la distruzione del porto al momento della ritirata tedesca, Ciani fu fermato da un ufficiale tedesco ed imbarcato su un caicco in partenza per Atene, accompagnato da un maggiore tedesco. Dopo una sosta forzata di una settimana a Sira, causata dal maltempo, il caicco raggiunse Atene il 21 settembre, mentre le forze tedesche già stavano facendo fagotto; dato che raggiungere la Germania era divenuto piuttosto difficile, il maggiore tedesco andò un ufficio per chiedere notizie su come proseguire, lasciando incautamente da solo il tenente di vascello Ciani. Questi approfittò dell’occasione per eclissarsi; fu nascosto dapprima da un greco e poi dalla Croce Rossa Italiana (da poco formatasi) fino all’arrivo delle truppe britanniche ad Atene, che avvenne dopo meno di venti giorni. Poté quindi fare ritorno in Italia.
L’ammiraglio Mascherpa fu trasferito in Grecia il 21 novembre 1943; internato nel campo di prigionia di Schokken, in Polonia, venne successivamente consegnato dalle autorità tedesche a quelle della repubblica di Salò, che lo sottoposero ad un processo farsa per tradimento insieme all’ammiraglio Campioni. Il “tradimento” consisteva, nelle menti dei repubblichini, nell’aver difeso Lero e Rodi dagli attacchi tedeschi, in esecuzione degli ordini giunti dal legittimo governo regio, cui avevano prestato giuramento, oltre che del loro dovere di soldati. La sentenza era già scritta; il 24 maggio 1944 gli ammiragli Luigi Mascherpa e Inigo Campioni vennero fucilati nel poligono di tiro di Parma.

Quattro uomini dell’Euro non sarebbero tornati dalla prigionia nei campi del Reich.
Il marinaio cannoniere Vittorio Vecchi, 33 anni, da Migliarino, internato nello Stalag VI C – Arbeitskommando 1913, morì per malattia il 22 marzo 1944 a Duisburg, nella Renania settentrionale-Westfalia. È oggi sepolto presso il cimitero militare italiano di Amburgo.
Il capo meccanico di prima classe Ferdinando Di Lonardo, 42 anni, da Rionero in Vulture, fu dichiarato disperso in prigionia in Germania il 24 maggio 1944.
Al capo silurista di terza classe Eugenio Annibale Abà, 32 anni, da Savigliano, toccò una sorte tragicamente assurda: prigioniero in un campo tedesco dell’Europa Orientale, venne liberato verso fine 1944, o inizio 1945, dalle forze sovietiche in avanzata; ma fu da queste nuovamente imprigionato, come migliaia di altri militari italiani prigionieri dei tedeschi, e morì il 13 gennaio 1945 nel campo ospedale 5374 di Sofievka, in Ucraina.
Il sottocapo cannoniere Nolando Fattorini, 25 anni, da Fano, morì in prigionia in Polonia il 20 gennaio 1945.
In tutto, tra morti nell’affondamento, nei bombardamenti tedeschi sull’isola, nei combattimenti a terra, od in prigionia, ventuno uomini dell’equipaggio dell’Euro non fecero ritorno da Lero.


Caduti in guerra tra l’equipaggio dell’Euro:

Eugenio Annibale Abà, capo silurista di terza classe, deceduto in prigionia in Europa Orientale il 13.1.1945
Saverio Bergamin, marinaio fuochista, deceduto in combattimento a Lero il 10 novembre 1943
Ivanoe Boschini, marinaio, deceduto in Jugoslavia il 31.8.1943
Agnello Castellano, marinaio fuochista, disperso nel Mediterraneo orientale il 9.9.1943
Francesco De Rizzo, marinaio, deceduto in seguito all’affondamento
Rocco Di Iulio, sottocapo meccanico, disperso a Lero il 17.11.1943
Ferdinando Di Lonardo, capo meccanico di prima classe, disperso in prigionia in Germania il 24.6.1944
Nolando Fattorini, sottocapo cannoniere, deceduto in prigionia in Polonia il 20.1.1945
Ernesto Feliciani, marinaio, deceduto il 9.11.1941 (scontro del convoglio Duisburg)
Luigi Forlai, marinaio, deceduto il 9.11.1941 (scontro del convoglio Duisburg)
Sergio Gabici, marinaio, disperso nell’affondamento
Sergio (o Giorgio) Gianfranchi, marinaio nocchiere, deceduto nell’affondamento
Pietro Giardina, marinaio nocchiere, deceduto nell’affondamento
Giovanni Grasso, sergente cannoniere, deceduto nell’affondamento
Rocco Grossi, sottocapo cannoniere, disperso a Lero il 17.11.1943
Antonio Locatelli, marinaio cannoniere, deceduto in Mediterraneo orientale il 22.9.1942 (attacco aereo)
Luigi Martellini, sottocapo elettricista, disperso in Mediterraneo orientale il 17.11.1943
Vittorio Meneghini, capitano di fregata (comandante), fucilato a Lero dalle forze tedesche il 18.11.1943
Giuseppe Noseda Pedraglio, sottocapo S. D. T., deceduto in Mediterraneo orientale il 22.9.1942 (attacco aereo)
Giuseppe Pistacchio, sottocapo motorista, disperso in Mediterraneo orientale il 17.11.1943
Celeste Punturiero, capo S. D. T. di terza classe, deceduto il 9.11.1941 (scontro del convoglio Duisburg)
Emilio Russo, marinaio motorista, deceduto nell’affondamento
Gastone Saltini, capo cannoniere di terza classe, deceduto nell’affondamento
Aniello Savarese, marinaio, deceduto il 9.11.1941 (scontro del convoglio Duisburg)
Giovanni Tantillo, sottocapo nocchiere, deceduto nell’affondamento
Giordano Testa, marinaio fuochista, disperso nell’affondamento
Vittorio Vecchi, marinaio cannoniere, deceduto in prigionia in Germania il 22.3.1944
Ottorino Zanuso, sottocapo S. D. T., disperso in Mediterraneo orientale il 17.11.1943
Aldo Omarini, secondo capo radiotelegrafista, deceduto in territorio metropolitano il 19.8.1947


Un ventiduesimo membro dell’equipaggio, il secondo capo radiotelegrafista Aldo Omarini, morì in Italia il 19 agosto 1947, a guerra finita, per postumi delle ferite o per conseguenza della prigionia.

Un parziale elenco dell’equipaggio presente sull’Euro compilato nel dopoguerra, probabilmente sulla base del ricordo di qualche superstite ed infatti tutt’altro che privo di errori, elenca come membro dell’equipaggio dell’Euro, deceduto a Lero, anche il sottotenente di vascello Edoardo Gardoni: ma in realtà risulta che questo ufficiale, fucilato dai tedeschi dopo la resa e decorato alla memoria di Medaglia d’Argento al Valor Militare, non facesse parte dell’equipaggio del cacciatorpediniere, bensì della nave appoggio sommergibili Alessandro Volta.


La motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di fregata Vittorio Meneghini, nato a Foligno (Perugia) l’11 giugno 1900:

"Ufficiale superiore, comandante in guerra di sommergibile, secondo di incrociatore, e finalmente comandante di cacciatorpediniere, affondata la propria unità assumeva volontariamente il comando di zona della difesa costiera di piazzaforte marittima d'oltremare violentemente attaccata da forze aeree, navali e terrestri, dopo aver dato ripetute prove di bravura e valore.
Nel lungo assedio subito, controbatteva molto efficacemente la soverchiante offesa aerea, prima da bordo e, successivamente, con le batterie della zona affidategli e rinforzata con i naufraghi del suo equipaggio e le armi recuperate dal cacciatorpediniere. Quando già l'intera piazzaforte era caduta, resisteva ancora nella sua zona e cessava il fuoco solo dopo aver avuto conferma dell'ordine generale che rendeva ogni ulteriore lotta inutile spargimento di sangue. Caduto in mano ad un nemico ingeneroso e feroce, suggellava con il sangue una vita tutta dedita all'adempimento del dovere e riconfermava in tal modo sublime i diritti della Patria su quelle terre lontane così strenuamente contese dal tedesco invasore.
Esempio alle future generazioni marinare di alte virtù militari e di comando.
Lero, 8 settembre – 17 novembre 1943."

Oggi non rimane, dell’Euro, praticamente più nulla: giacendo in acque molto basse, il suo relitto venne demolito in modo pressoché totale nel dopoguerra, non è chiaro se da parte di un’impresa di demolizioni che fu incaricata di recuperare il relitto, o da parte di demolitori locali che agendo indipendentemente a poco a poco lo smantellarono del tutto per recuperarne il metallo. Stessa sorte toccò tra gli altri, tra le navi affondate a Lero, anche all’Intrepid e (in misura minore) al Vasilissa Olga, del quale almeno rimane qualcosa. Dell’Euro rimangono sul fondale solo pochi e piccoli rottami, o forse neanche quelli.

La nave nel 1940-1941 (foto Ugo Pucci, via Coll. Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazion-venus.it)