Una bella foto dell’Andrea Sgarallino in tempo di pace (da www.andreasgarallino.it) |
Tra le 8.30 e le 9
del mattino del 22 settembre 1943 il piroscafo misto Andrea Sgarallino (731 tsl, costruito nel 1930), della Società
Anonima di Navigazione Toscana di Livorno, partì da Piombino diretto a
Portoferraio per un viaggio di collegamento locale. Catturato dai tedeschi dopo
l’armistizio dell’8 settembre, il piroscafo aveva ripreso il servizio civile
solo il 21 settembre, per ripristinare i collegamenti tra Piombino e
Portoferraio, e questo era il suo secondo viaggio per Portoferraio: in molti, civili
e militari smobilitati, attendevano a Piombino per tornare all’Elba, e l’isola
necessitava di rifornimenti. La nave aveva a bordo militari smobilitati che
rientravano all’Elba e civili che si erano recati a Piombino a rifornirsi
(nonché alcuni rifornimenti per l’isola ed anche per le forze di occupazione
tedesche), oltre all’equipaggio ed a personale militare tedesco di guardia, ed
era al comando del sottotenente di vascello Carmelo Ghersi. Secondo il
sopravvissuto Stefano Campodonico, a bordo salirono tra i 200 ed i 250
passeggeri, ma nessuno ne tenne un conto preciso. Mentre la nave costeggiava
vicino a Nisporto e Nisportino per avvicinarsi a Portoferraio, intorno alle
9.30 (od alle 9.49) venne colpita da un siluro (per altra fonte due) lanciato
dal sommergibile britannico Uproar e
rapidamente affondò in fiamme, spezzata in due, pressoché davanti a
Portoferraio (tra le punte Nisporto e Falconaia, a 0,7 miglia dalla riva,
nelle acque antistanti il promontorio di Monte Grosso), dov’era quasi giunto,
nel punto 42° 49’
57” N e 010°
21’ 35” E (o Lat. 42° 44\991 N
e Long. 010° 2F .545
E). Le vittime, a seconda delle fonti, furono circa 300 o 330: pressoché tutte
le famiglie elbane persero qualche membro. L’affondamento dello Sgarallino è spesso citato come il
peggior disastro navale, per numero di vittime civili, avvenuto in Italia nel
corso della guerra. I soccorsi dall’isola partirono il ritardo, per il timore
che il sommergibile fosse ancora in agguato e pronto a colpire di nuovo.
Contribuì a rendere drammaticamente elevato il numero delle vittime la giornata
piovosa, che aveva spinto la maggior parte dei passeggeri a ripararsi
sottocoperta.
Solo quattro o cinque furono i sopravvissuti: il fuochista Stefano Campodonico ed il marinaio Celestino Fusari, che vennero sbalzati fuoribordo dall’esplosione e, non sapendo nuotare, sopravvissero aggrappati ad una tavola galleggiante, un altro marinaio italiano (un cannoniere della Regia Marina) ed uno o due militari tedeschi. Campodonico si trovava di guardia nel locale caldaia quando, dopo circa un’ora di navigazione, era salito in coperta e, dopo aver visto che la nave stava per superare il promontorio di Monte Grosso, si era unito ad un gruppetto di membri dell’equipaggio, tra cui il nostromo Angelo Baldetti: secondo la testimonianza che Campodonico diede nel 1979, Baldetti aveva appena iniziato a parlare, quando si era verificata l’esplosione (una sola, anche se poi, in ospedale, gli fu detto che ve ne erano state due) e Campodonico era stato gettato contro una paratia ed in un locale chiuso (una cunetta a murata), perdendo i sensi, mentre Baldetti aveva gridato di andare tutti a prua. Secondo quanto raccontò nel 1985, invece, il gruppetto stava discutendo circa il rischio di attacchi di sommergibili ed il proposito di fuggire in Corsica, quando era avvenuto un primo scoppio a poppa, che aveva fatto sobbalzare la nave, poi Baldetti aveva gridato di andare a prua e Campodonico si era messo a correre verso prua con gli altri quando una seconda esplosione, ancora più violenta, lo aveva gettato nella cunetta a murata. Campodonico aveva ripreso i sensi poco dopo e, mentre la nave sbandava a sinistra, aveva trovato un salvagente e si era gettato in mare attraverso uno sportello mentre il locale iniziava ad allagarsi, poi aveva nuotato per non essere trascinato dal risucchio ed era riuscito a raggiungere la superficie. Dopo essersi tenuto a galla aggrappato a vari rottami di legno ed al salvagente, aveva infine sovrapposto due boccaporti e vi si era tenuto con una mano, ferita, mentre con l’altra (oppure impiegando una tavoletta a mo’ di remo) aveva cercato di nuotare per impedire al vento di scirocco di portarlo via. Ad un certo punto sopraggiunsero dei MAS, che però non prestarono soccorso ai naufraghi, e dopo alcuni rimorchiatori e pescherecci che raccolsero i pochi superstiti. Il fuochista Campodonico dovette subire l’amputazione della gamba destra all’ospedale di Villa Ottone, a Portoferraio, a causa di una ferita infettatasi, e passò cinque anni in vari ospedali. Campodonico ritenne che la maggior parte delle vittime tra quanti si trovavano in coperta venne uccisa dallo spostamento d’aria o non riuscì a salvarsi per lo stordimento da esso derivante, e molti altri rimasero intrappolati nei locali sottocoperta. Gli fu poi detto, in ospedale, che erano state recuperate undici salme, tra cui quella del comandante Ghersi.
Al momento del
siluramento, la nave, che fino all’armistizio aveva prestato servizio per la
Regia Marina come vedetta foranea con la sigla identificativa F 123, era dipinta con colorazione
mimetica ed armata con alcuni cannoni di piccolo calibro e batteva bandiera
tedesca: questo ha alimentato ipotesi secondo cui la nave fu affondata “per
errore” perché scambiata dal comandante dell’Uproar, tenente di vascello Laurence Edward Herrick, per una nave
ausiliaria tedesca. Tali teorie sono da considerarsi errate, perché, se è pur
vero che il comandante Herrick ritenne realmente di trovarsi di fronte un
cacciasommergibili tedesco (come ricordò il segnalatore dell’Uproar, Gus Britton), è altrettanto vero
che anche se lo Sgarallino fosse
stato disarmato e con i colori della sua compagnia (dunque identificabile come
mercantile in servizio civile) sarebbe stato egualmente attaccato, nell’ambito
della guerra totale che imperversava per mare e per terra.
Lo Sgarallino con il gran pavese, in una foto tratta dal libro “Storia della marineria elbana” di Alfonso Preziosi (g.c. sito mucchioselvaggio.org)
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Solo quattro o cinque furono i sopravvissuti: il fuochista Stefano Campodonico ed il marinaio Celestino Fusari, che vennero sbalzati fuoribordo dall’esplosione e, non sapendo nuotare, sopravvissero aggrappati ad una tavola galleggiante, un altro marinaio italiano (un cannoniere della Regia Marina) ed uno o due militari tedeschi. Campodonico si trovava di guardia nel locale caldaia quando, dopo circa un’ora di navigazione, era salito in coperta e, dopo aver visto che la nave stava per superare il promontorio di Monte Grosso, si era unito ad un gruppetto di membri dell’equipaggio, tra cui il nostromo Angelo Baldetti: secondo la testimonianza che Campodonico diede nel 1979, Baldetti aveva appena iniziato a parlare, quando si era verificata l’esplosione (una sola, anche se poi, in ospedale, gli fu detto che ve ne erano state due) e Campodonico era stato gettato contro una paratia ed in un locale chiuso (una cunetta a murata), perdendo i sensi, mentre Baldetti aveva gridato di andare tutti a prua. Secondo quanto raccontò nel 1985, invece, il gruppetto stava discutendo circa il rischio di attacchi di sommergibili ed il proposito di fuggire in Corsica, quando era avvenuto un primo scoppio a poppa, che aveva fatto sobbalzare la nave, poi Baldetti aveva gridato di andare a prua e Campodonico si era messo a correre verso prua con gli altri quando una seconda esplosione, ancora più violenta, lo aveva gettato nella cunetta a murata. Campodonico aveva ripreso i sensi poco dopo e, mentre la nave sbandava a sinistra, aveva trovato un salvagente e si era gettato in mare attraverso uno sportello mentre il locale iniziava ad allagarsi, poi aveva nuotato per non essere trascinato dal risucchio ed era riuscito a raggiungere la superficie. Dopo essersi tenuto a galla aggrappato a vari rottami di legno ed al salvagente, aveva infine sovrapposto due boccaporti e vi si era tenuto con una mano, ferita, mentre con l’altra (oppure impiegando una tavoletta a mo’ di remo) aveva cercato di nuotare per impedire al vento di scirocco di portarlo via. Ad un certo punto sopraggiunsero dei MAS, che però non prestarono soccorso ai naufraghi, e dopo alcuni rimorchiatori e pescherecci che raccolsero i pochi superstiti. Il fuochista Campodonico dovette subire l’amputazione della gamba destra all’ospedale di Villa Ottone, a Portoferraio, a causa di una ferita infettatasi, e passò cinque anni in vari ospedali. Campodonico ritenne che la maggior parte delle vittime tra quanti si trovavano in coperta venne uccisa dallo spostamento d’aria o non riuscì a salvarsi per lo stordimento da esso derivante, e molti altri rimasero intrappolati nei locali sottocoperta. Gli fu poi detto, in ospedale, che erano state recuperate undici salme, tra cui quella del comandante Ghersi.
Le vittime
tra l’equipaggio dello Sgarallino, militari e civili:
Pietro
Badiale, capo meccanico di seconda classe, da Genova, 47 anni
Angiolo
Baldetti, capo nocchiere di seconda classe/nostromo, da Campo nell’Elba, 46
anni
Giovan
Battista Baldetti, marinaio timoniere, da Campo nell’Elba, 35 anni
Vittorio
Battaglini, marittimo civile
Ruggiero
Caressa, marinaio cannoniere, da Trani, 20 anni
Celestino
Carmone, marinaio infermiere, da Manfredonia, 21 anni
Enzo (o
Euro) Ceretti, sergente cannoniere, da La Spezia, 26 anni
Giuseppe
Cetica, marinaio, da Campo nell’Elba, 22 anni
Carmine
Chiocca (o Chiozza), marinaio, da Porto Azzurro, 22 anni
Trento
Comparini, sottocapo cannoniere, da Livorno, 28 anni
Antonio
Conte, marinaio, da Siracusa, 27 anni
Sergio
Corretti, marittimo civile, 19 anni
Emanuele
D’Arcaria, capo meccanico di seconda classe, da Palermo, 40 anni
Carluccio
Dell’Orto, sergente elettricista, da Seregno, 26 anni
Carlo Faipo
(o Faibò), marinaio fuochista, da Gessate, 19 anni
Giovanni
Fonda, secondo capo furiere/primo nostromo, da Pirano, 48 anni
Renzo
Galimberti, marinaio fuochista, da Lissone, 20 anni
Giovan
Battista Garibaldi, sergente cannoniere, da S. Lorenzo al Mare, 29 anni
Carmelo
Ghersi, tenente di vascello (comandante), da Celle Ligure, 45 anni
Pietro
Giannelli, marinaio, da Portoferraio, 23 anni
Elvio
Giannesi, secondo capo furiere, da Portoferraio, 35 anni
Renato
Giannini, capo cannoniere di seconda classe, da Roma, 18 anni
Gino Piero
Giuliani, sottotenente di vascello/primo ufficiale, da Livorno, 41 anni
Mario
Lanzuolo, marittimo civile
Salvatore
Locci, marittimo civile, da Austis, 42 anni
Matteo
Lugnani, secondo capo elettricista, da Pirano, 40 anni
Italo
Mettini, secondo capo furiere, da Portoferraio, 26 anni
Egidio (o
Egisto) Nelli, ingrassatore (civile)
Osvaldo
Palombo, sottocapo fuochista, da Monte Argentario, 33 anni
Achille
Pedrini, marinaio civile
Nilo
Pocci, sergente cannoniere, da Portoferraio, 29 anni
Raffaele
Puccinelli, sergente cannoniere, da Massarosa, 26 anni
Michele
Ricci, marittimo civile
Romildo
Ricci, secondo capo furiere, da Campo nell’Elba, 36 anni
Salvatore
Tringali, marinaio, da Catania, 26 anni
Pasquale
Zanghi, marinaio nocchiere, da Messina, 21 anni (*)
(*) Secondo
l’Albo dei caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra
mondiale, Pasquale Zanghi risulterebbe disperso a Rodi, non nell’affondamento
dello Sgarallino.
Non
risulta invece esistere una vera e propria lista dei passeggeri.
Lo Sgarallino fotografato con armamento e
livrea mimetica durante il servizio per la Regia Marina come vedetta foranea F 123, nell’estate del 1943. Questo
doveva essere l’aspetto della nave al momento dell’affondamento (foto tratta da
“Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM,
Roma 1997)
Lo Sgarallino in navigazione (da www.naviearmatori.net, utente Commis) |
L’affondamento nel ricordo dell’elbana Marisa Burroni (dal sito mucchioselvaggio.org):
«Avevo 12 anni,
abitavo al Forte Stella in quella casa che osservata dalla nave che giunge a
Portoferraio sembra attaccata al faro. Dalle finestre della nostra cucina si
vedevano arrivare le navi da quando incrociavano il Cavo a quando erano
all'altezza del faro di Portoferraio. Quel mattino un boato immenso proveniente
dal mare ci fece correre alle finestre. All'altezza di Nisportino qualcosa era
in fiamme, all’inizio non capii cosa stesse accadendo ma lo capirono subito i
miei familiari: Hanno silurato lo Sgarallino!
Tutti gli abitanti del Forte Stella si radunarono al muretto sotto casa mia, al
muretto dal quale si vede il mare e da lì si poté assistere impietriti al
consumarsi della tragedia. Ricordo che la nave era avvolta dalle fiamme e da un
denso fumo, dopo pochi minuti le fiamme si spensero e lo Sgarallino era scomparso sotto al mare. Quel giorno infame un vento
leggero faceva giungere a tratti le urla di quei disperati. Ricordo che tutti
correvano verso il porto e io feci lo stesso. So che i soccorsi partirono molte
ore dopo il siluramento perché c’era la paura che quel maledetto sommergibile
fosse ancora lì per colpire ancora. Non dimenticherò mai le decine di corpi
esanimi distesi dal molo del Gallo fino a quasi la porta di ingresso di
Portoferraio. La gente voltava i cadaveri per vedere se riconoscevano amici o
parenti mentre alcune donne portavano le lenzuola per coprire quei poveri
corpi, ma più di tutto ho chiaro nella mente il corpicino di un bimbo vestito
di celeste; che Dio maledica la guerra, tutte le guerre».
Il siluramento dello Sgarallino nel ricordo del segnalatore
Gus Britton dell’Uproar (dal libro
“Storia della marineria elbana” di Alfonso Preziosi, disponibile in formato pdf sul sito
mucchioselvaggio.org, che a sua volta fa riferimento al libro
“L’Andrea Sgarallino” di Giuliano Giuliani):
Il relitto dello Sgarallino, spezzato in due ed adagiato sul lato sinistro, venne individuato nel luglio 1961 a 66 metri di profondità, davanti a Punta Nisporto. La parte prodiera è integra, mentre da centro nave verso poppa lo scafo è pesantemente danneggiato dalle esplosioni ed il fondale cosparso di lamiere e rottami. Le immersioni sul relitto sono tuttora interdette (a meno di non ottenere il permesso dalla Capitaneria di Porto e dal Comune di Rio Marina), trovandosi il relitto sulla rotta percorsa giornalmente dai traghetti tra Piombino e Portoferraio.
Lo Sgarallino in porto in tempo di pace (da www.naviearmatori.net, g.c. Pietro Berti) |
“Quella mattina tutto
era tranquillo. Ad un tratto vidi l’operatore all’idrofono agitarsi e
richiamare l’attenzione del comandante: un rumore di eliche, seppure molto
debole, gli arrivava in cuffia. Risuonò l'allarme e il comandante Herrick
ordinò di portarsi immediatamente a quota periscopio. Alcuni attimi più tardi,
attraverso la lente di esplorazione, vide la sagoma di una nave in lento
avvicinamento. Il comandante Herrick, che da alcuni minuti seguiva attentamente
il piroscafo, d’un tratto si voltò verso il primo ufficiale Boyall e ordinò di
prepararsi ad attaccare una nave ausiliaria tedesca probabilmente
antisommergibile. Dopo il lancio dei siluri l’Uproar si era immediatamente immerso adagiandosi sul fondo... Non
si verificò nessun contrattacco, né da parte di navi né da parte di aerei. Il
comandante Herrick pensò di non averla colpita. Fu l'operatore idrofonico che confermò
che la nave era stata affondata”.
La nave all’ormeggio (g.c. mucchioselvaggio.org) |
Il relitto dello Sgarallino, spezzato in due ed adagiato sul lato sinistro, venne individuato nel luglio 1961 a 66 metri di profondità, davanti a Punta Nisporto. La parte prodiera è integra, mentre da centro nave verso poppa lo scafo è pesantemente danneggiato dalle esplosioni ed il fondale cosparso di lamiere e rottami. Le immersioni sul relitto sono tuttora interdette (a meno di non ottenere il permesso dalla Capitaneria di Porto e dal Comune di Rio Marina), trovandosi il relitto sulla rotta percorsa giornalmente dai traghetti tra Piombino e Portoferraio.
Nel 1962 le lettere
bronzee che componevano il nome della nave sullo specchio di poppa, incrostate
per la lunga permanenza in acqua, vennero recuperate dai palombari Virgilio e
Giovanni Lertora della ditta Fratelli Lertora di Loano, con l’impiego della
nave Giovanni Lertora. Il 22
settembre 2001, cinquantottesimo anniversario della strage, il nuovo pontile di
Portoferraio è stato intitolato alle vittime del disastro. Anche a Marina di
Campo, capoluogo di Campo nell’Elba, una piazza è stata dedicata alla memoria
della sciagura: Piazza Vittime del Piroscafo “Sgarallino”. Il 22 settembre
2003, sessantesimo anniversario del disastro, il relitto è stato filmato e vi è
stata deposta una targa con l’iscrizione:
22.IX.1943 - 22.IX.2003
IN MEMORIA
ALLE VITTIME DEL PIROSCAFO
"A. SGARALLINO"
IN MEMORIA
ALLE VITTIME DEL PIROSCAFO
"A. SGARALLINO"
Sull’affondamento venne anche composta una ballata ispirata alla canzone “La spigolatrice di Sapri”:
Il ventidue settembre
partiva da Piombino
ben carico di gente
l' "Andrea Sgarallino"
Il ventidue settembre
ben carico di gente
partiva da Piombino
ched'è sul continente
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Nel mezzo del canale
che c'era il sole in cielo
qualcun vede qualcosa
movendo l'acqua a pelo
Nel mezzo del canale
passate le tonnare
qualcun vede qualcosa,
non si poté sbagliare.
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Si sentono le grida
si sentono le urla
si chiama il capitano
e non è certo burla
Si sentono le grida
nessuno è più al sicuro:
"Buttarsi tutt'a mare,
Che sta a arrivà un siluro!"
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Ma non féciono in tempo,
nessun s'era buttato;
che ci fu l'esplosione
dell'ordigno scoppiato
Ma non féciono in tempo,
nessun s'era salvato;
e per trecentotrenta
il tempo s'è fermato
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Aspetta aspetta al molo
la gente 'un vé arrivare
la nave di ritorno
e inizia a lagrimare
Aspetta aspetta al molo
la gente ode vociare
che l'Andrea Sgarallino
or giace in fondo al mare
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
"Sia maladetto 'l giorno
che son venuto in terra,
Sia maladetto l'omo
che vòrse (*) questa guerra"
"Sia maladetto l'omo,
sia maladetto Iddio,
ché a bordo c'era mamma
e pur l'amore mio".
Erano a bordo, e non avran domani
Eran più di trecento, ed eran tutti elbani.
(*) volle
partiva da Piombino
ben carico di gente
l' "Andrea Sgarallino"
Il ventidue settembre
ben carico di gente
partiva da Piombino
ched'è sul continente
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Nel mezzo del canale
che c'era il sole in cielo
qualcun vede qualcosa
movendo l'acqua a pelo
Nel mezzo del canale
passate le tonnare
qualcun vede qualcosa,
non si poté sbagliare.
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Si sentono le grida
si sentono le urla
si chiama il capitano
e non è certo burla
Si sentono le grida
nessuno è più al sicuro:
"Buttarsi tutt'a mare,
Che sta a arrivà un siluro!"
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Ma non féciono in tempo,
nessun s'era buttato;
che ci fu l'esplosione
dell'ordigno scoppiato
Ma non féciono in tempo,
nessun s'era salvato;
e per trecentotrenta
il tempo s'è fermato
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
Aspetta aspetta al molo
la gente 'un vé arrivare
la nave di ritorno
e inizia a lagrimare
Aspetta aspetta al molo
la gente ode vociare
che l'Andrea Sgarallino
or giace in fondo al mare
Erano tutt'a bordo, erano ben stipati
E in più di trecento non sono più tornati
"Sia maladetto 'l giorno
che son venuto in terra,
Sia maladetto l'omo
che vòrse (*) questa guerra"
"Sia maladetto l'omo,
sia maladetto Iddio,
ché a bordo c'era mamma
e pur l'amore mio".
Erano a bordo, e non avran domani
Eran più di trecento, ed eran tutti elbani.
(*) volle
(da “Il Tirreno”) |
La poesia “Un amore
strappato” dell’elbano Nunzio Marotti, vincitrice del Premio Internazionale
Capoliveri Haiku 2008:
Sprofonda e soffia,
nove e quarantanove,
lo Sgarallino.
nove e quarantanove,
lo Sgarallino.
Speranze offese
d’uomini e donne stanchi
partiti all’alba.
d’uomini e donne stanchi
partiti all’alba.
Ad aspettarti
con mano tesa agli occhi
l’umano affetto.
con mano tesa agli occhi
l’umano affetto.
Boato sordo
acqua e sirena e acqua
ondeggiamento.
acqua e sirena e acqua
ondeggiamento.
Poi solo buio.
Or’è silenzio e quiete:
non nel mio cuore
Or’è silenzio e quiete:
non nel mio cuore
La testimonianza del fuochista Stefano
Campodonico in una lettera del 1979 al signor Sergio Bontempelli (g.c. sito
mucchioselvaggio.org):
Un’altra testimonianza di Stefano Campodonico
del 1985, sulla rivista elbana “Lo Scoglio” (g.c. sito mucchioselvaggio.org)
Pagina sullo Sgarallino del sito mucchioselvaggio.org, comprensiva della testimonianza di Stefano Campodonico
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