sabato 3 settembre 2022

Fuciliere

Il Fuciliere (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
 
Cacciatorpediniere della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate, in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate). Durante il conflitto 1940-1943 effettuò in totale 180 missioni di guerra (15 di ricerca del nemico, otto di caccia antisommergibili, cinque di trasporto, 37 di scorta convogli, 42 di trasferimento, 44 per esercitazione e 29 di altro tipo), percorrendo 61.766 miglia nautiche e passando 2758 ore in mare e 279 giorni ai lavori.
Il suo motto era "Idem animus eadem voluntas" (“pari alla volontà il coraggio”).
 
Breve e parziale cronologia.
 
2 maggio 1937
Impostazione presso i Cantieri Navali Riuniti di Ancona (numero di costruzione 163).
31 luglio 1938
Varo presso i Cantieri Navali Riuniti di Ancona. Presenzia al varo il principe ereditario Umberto di Savoia.
 
Impostazione della chiglia del Fuciliere (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

Il Fuciliere (al centro) in costruzione ad Ancona nel 1937 insieme all’Alpino (a destra) ed al dragamine D 1 (a sinistra) (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net)

Novembre 1938
Prove in mare.
10 gennaio 1939
Entrata in servizio. Suo primo comandante è il capitano di fregata Francesco Luigi Padolecchia, 39 anni, da Massa.

Il Fuciliere attraversa il canale navigabile di Taranto nel 1939 (ANMI Carrara)

Giugno 1939
Riceve a Livorno la bandiera di combattimento, insieme ai gemelli; la bandiera di ciascuna unità è offerta dall’associazione d’arma del corpo cui la nave è intitolata.
Il Fuciliere va poi a formare la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere insieme a Granatiere, Bersagliere ed Alpino. La Squadriglia è assegnata alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), facente parte della 2a Squadra Navale.
1939
Compie una crociera nel Mediterraneo occidentale, con scali in porti spagnoli e portoghesi.
 
Il Fuciliere a fine 1939 (Coll. Maurizio Brescia, via www.associazione-venus.it)

Febbraio 1940
Assume il comando del Fuciliere, al posto del capitano di fregata Padolecchia, il parigrado Alfredo Viglieri, 39 anni, da Sarzana.
2 maggio 1940
Il Fuciliere ed il gemello Alpino, salpati da Messina, rilevano in tarda mattinata, all’imboccatura dello stretto, i cacciatorpediniere Leone Pancaldo ed Emanuele Pessagno nella scorta della nuovissima corazzata Vittorio Veneto, in corso di trasferimento da Trieste a La Spezia dopo la sua consegna alla Regia Marina.
3 maggio 1940
Alle nove del mattino le tre navi attraversano il Canale di Piombino, ed all’una del pomeriggio, con La Spezia ormai in vista, Fuciliere ed Alpino ricevono libertà di movimento. La Vittorio Veneto si ormeggerà in rada cinquanta minuti più tardi.
Maggio 1940
Il Fuciliere forma la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Granatiere, Bersagliere ed Alpino. La Squadriglia è assegnata alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo), inquadrata nella 2a Squadra Navale.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Fuciliere (capitano di fregata Alfredo Viglieri) fa sempre parte della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, assegnata alla VII Divisione Navale, insieme a Granatiere, Bersagliere ed Alpino.

Il Fuciliere, in secondo piano, segue l’Alpino in una foto del 1940 (da www.wiki.wargaming.net)

7-11 luglio 1940
Il Fuciliere parte da Palermo alle 12.35 (o 11.50) del 7 luglio insieme al resto della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereAlpino) ed alla VII Divisione (incrociatori leggeri Muzio Attendolo, Eugenio di SavoiaEmanuele Filiberto Duca d’Aosta e Raimondo Montecuccoli) con il compito di dare scorta indiretta ad un convoglio diretto a Bengasi (motonavi da carico Marco FoscariniFrancesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo Giuseppe Missori) con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini.
VII Divisione e XIII Squadriglia si posizionano 45 miglia ad ovest del convoglio, per fornire protezione a distanza contro provenienze da Malta.
Il resto della 2a Squadra Navale (incrociatore pesante Pola, I e III Divisioni incrociatori con cinque navi in tutto e IX, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce anch’essa scorta indiretta al convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso, per la protezione a distanza contro provenienze da est.
La 1a Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con tredici unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione.
Viene prevista anche intensa ricognizione aerea, la posa di un campo di mine al largo di Bengasi (da parte del posamine ausiliario Barletta) ed un potenziamento dello schieramento dei sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale, portato a 14 unità.
Le unità della 1a e della 2a Squadra (ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare) salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
All’1.50 dell’8 luglio, a seguito della (erronea) segnalazione da parte di Supermarina (sulla scorta di rilevazioni radiogoniometriche e della ricognizione aerea) circa la presenza di forze navali britanniche 60 miglia a nord di Ras el Tin, provenienti da Alessandria, l’ammiraglio Campioni – comandante superiore in mare – ordina al convoglio di passare dalla rotta 147° (per Bengasi) a 180°, per un eventuale dirottamento su Tripoli; la VII Divisione modifica anch’essa la rotta per dirigersi verso il convoglio.
Alle cinque del mattino Attendolo e Montecuccoli catapultano i loro idrovolanti da ricognizione, ma questi non trovano traccia delle forze nemiche.
Alle 7.10, tuttavia, dato che i due ricognitori catapultati non hanno trovato nulla, Campioni ordina al convoglio di rimettersi in rotta per Bengasi, ed alla VII Divisione di accompagnarlo.
L’operazione va a buon fine, ma alle 14.30 ed alle 15.20 dell’8 luglio, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare (con le corazzate WarspiteMalaya e Royal Sovereign, la portaerei Eagle, cinque incrociatori leggeri e 17 cacciatorpediniere) a protezione di due convogli da Malta ad Alessandria (operazione «MA 5») – prima la 2a e poi la 1a Squadra Navale dirigono verso nord-nordovest per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che – a differenza di Campioni – ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Anche la VII Divisione riceve da Campioni l’ordine di rientrare, e dirige pertanto verso lo stretto di Messina, per rientrare a Palermo.
Nel mentre la VII Divisione, posto il convoglio al sicuro, ha ricevuto (nel primo pomeriggio) l’ordine di invertire la rotta per rientrare; alle 19.20 essa si dirige verso lo stretto di Messina, con l’ordine di tenersi sulla sinistra rispetto al grosso della flotta.
Alle 22 dell’8, però, arrivano nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Alcune ore dopo (secondo il giornalista Vero Roberti, imbarcato sull’Eugenio di Savoia come corrispondente di guerra, l’ordine giunse a mezzanotte e stabiliva di accompagnare ad Augusta l’Attendolo e la XIII Squadriglia, bisognosi di rifornimento, per poi raggiungere il punto di riunione entro le 14 dell’indomani) l’ammiraglio Paladini, comandante della II Squadra, ordina pertanto alla VII Divisione di non rientrare a Palermo ma invece di dirigere verso il punto 37°40’ N e 17°20’ E (65 miglia a sudest di Punta Stilo), indicato come punto di riunione delle forze navali italiane. In base alle disposizioni emanate la VII Divisione, quando si sarà ricongiunta con il resto della flotta, dovrà disporsi in colonna sull’ala sinistra della formazione italiana.
Alle 11.11 del 9 luglio la VII Divisione avvista a grande distanza due idroricognitori Short Sunderland; viene aperto il fuoco (dal solo Montecuccoli; l’Attendolo farà lo stesso più tardi, alle 13.44), ma i due velivoli non sono colpiti, perché troppo lontani.
Poco dopo le 13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, la VII Divisione, proveniente da sud-sud-ovest, viene finalmente avvistata, su rilevamento 210°, da bordo della Cesare, nave ammiraglia di Campioni. Sulle prime, a causa dell’angolo visuale e della difficoltà di osservazione (la VII Divisione proviene proprio dalla direzione del sole), gli incrociatori di Sansonetti vengono scambiati per tre corazzate britanniche, tanto che Campioni ordina di assumere rotta 270°; subito dopo, però, un ricognitore segnala l’avvistamento delle vere corazzate britanniche in tutt’altra direzione (80 miglia a nordest), contribuendo a chiarire l’equivoco. La VII Divisione raggiunge il punto di riunione alle 13.45.
Alle 14.05 ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica, e tra le 15.15 e le 15.40 viene aperto il fuoco dai due schieramenti.
Dato che la Mediterranean Fleet si trova nella direzione opposta della VII Divisione, rispetto al grosso della flotta, quest’ultimo, nel dirigere incontro al nemico, ritarda il congiungimento con la VII Divisione. Gli incrociatori di Sansonetti (e con essi i cacciatorpediniere della XIII Squadriglia), rimasti scaduti, non avranno così modo di partecipare allo scontro.
La mancata partecipazione della VII Divisione alla battaglia sarà oggetto di studi e critiche nei decenni successivi: per la lentezza del suo avvicinamento al grosso della squadra italiana (causato dai continui cambiamenti di rotta di quest’ultima, ma anche dalla velocità troppo bassa tenuta dalla VII Divisione: pur potendo raggiungere i 35-36 nodi, gli incrociatori di Sansonetti mantennero un’andatura di crociera); per la posizione assunta quando – alle 15.20 – iniziò la battaglia (a poppavia della V Divisione e leggermente spostata verso sinistra, anziché in testa alla formazione, sul lato opposto rispetto ad IV e VIII Divisione, com’era stato ordinato: secondo storici come Giorgio Giorgerini, sembra strano che non potesse raggiungere la posizione assegnata, sfruttando la propria velocità). Campioni scriverà, nel suo rapporto finale, di non aver ritenuto necessario attendere la VII Divisione, dato che la sua formazione già godeva di considerevole superiorità sull’avversario per quanto riguardava gli incrociatori.
Conclusa la battaglia in un nulla di fatto, la VII Divisione con la XIII Squadriglia, senza neanche riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su Palermo (prima, però, catapulta un ricognitore, che riferisce a Campioni che la flotta britannica si dirige verso ovest, ma in termini alquanto vaghi), e successivamente, attraversato lo stretto di Messina, riceve l’ordine di dirigere su Napoli, dove arriva tra le 8.25 e le 9 del 10 luglio.
30 luglio-1° agosto 1940
Il Fuciliere prende il mare, insieme alle altre unità della XIII Squadriglia (GranatiereBersagliere, Alpino) ed alla VII Divisione (Eugenio di SavoiaMuzio Attendolo, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Raimondo Montecuccoli), nonché alla I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia, con i cacciatorpediniere LanciereCorazziereCarabiniere ed Alpino della XII Squadriglia), alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i cacciatorpediniere Antonio PigafettaLanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante superiore in mare) e Trento, per fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento». Tali convogli sono tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità) è formato dalle navi da carico Maria EugeniaGloria StellaMaulyBainsizzaBarbaro e Col di Lana e dall’incrociatore ausiliario Città di Bari (qui usato come trasporto) scortati dalle torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti truppe Marco PoloCittà di Napoli e Città di Palermo, scortati dalle torpediniere AlcioneAretusaAirone ed Ariel; il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro, scortati dalle torpediniere VegaPerseoGenerale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del 28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Fuciliere. La I e VII Divisione, insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere frattanto inviata, si portano in posizione idonea a proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e rientra le basi.
Tutti i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto. La VII Divisione viene poi inviata a Napoli.

Il Fuciliere nel 1940 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

22 agosto 1940
Il Fuciliere, insieme a Bersagliere ed Alpino (caposquadriglia) ed alle torpediniere Circe e Clio, salpa da Napoli alle 20 per scortare a Bengasi, via Tripoli, il trasporto truppe Esperia.
Le due torpediniere lasciano il convoglio a Palermo, dopo di che l’Esperia prosegue con la scorta della XIII Squadriglia. (Per altra versione, la XIII Squadriglia avrebbe rilevato Circe e Clio nella scorta dell’Esperia al largo di Marettimo).
24 agosto 1940
Il convoglio sosta a Tripoli dalle 7 alle 11, per poi proseguire verso Bengasi.
25 agosto 1940
Esperia e scorta arrivano a Bengasi alle 9.30.
26 agosto 1940
Fuciliere, Bersagliere, Alpino (caposquadriglia) e le torpediniere Andromeda ed Aldebaran lasciano Bengasi alle 19.30 per scortare a Napoli l’Esperia.
28 agosto 1940
I tre cacciatorpediniere si separano dal convoglio a Trapani; l’Esperia, scortato dalle due torpediniere, giungerà a Napoli l’indomani.
1° settembre 1940
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere ed Alpino, insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), sono assegnati alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio, nave ammiraglia del comandante in capo della flotta da battaglia nonché della 1a Squadra Navale, e Vittorio Veneto).
1-2 settembre 1940
Il Fuciliere partecipa all’uscita in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats», consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
La XIII Squadriglia cui appartiene il Fuciliere (con Granatiere, Bersagliere ed Alpino) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate DuilioConte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti ZaraPolaFiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaDardoSaettaStrale), VIII (FolgoreFulmineLampoBaleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XV (Antonio PigafettaAlvise Da MostoGiovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno), e XVI (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare). Complessivamente, all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere.
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina, che ha posticipato l’orario del ritorno, ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
Il convoglio britannico subirà alcune modeste perdite (grave danneggiamento del piroscafo Cornwall, lieve danneggiamento del cacciatorpediniere Garland) ad opera della Regia Aeronautica.
7-9 settembre 1940
Il Fuciliere lascia Taranto alle 16 del 7, insieme ai tre gemelli della XIII Squadriglia, al resto della 1a Squadra Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duilio della VI Divisione; cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della X Squadriglia, FrecciaSaetta e Dardo della VII Squadriglia, FolgoreFulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia) ed alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia della I Divisione, TrentoTrieste e Bolzano della III Divisione; cacciatorpediniere CarabiniereAscari e Corazziere della XII Squadriglia, Alfieri della IX Squadriglia e Geniere della XI Squadriglia).
La flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
In realtà la Forza H, salpata da Gibilterra il 6 settembre, ha soltanto simulato un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze francesi a Dakar.
Le due squadre navali attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H, dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale (Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III Divisione rispettivamente). Le navi si riforniscono di carburante e rimangono pronte  a muovere, ma non ci sono novità sul nemico, ergo nel pomeriggio del 10 settembre lasciano Napoli e Palermo per tornare nelle basi di dislocazione; la 1a Squadra giungerà a Taranto nel tardo pomeriggio dell’11.
La XIII Squadriglia – che procede in avanguardia rispetto al gruppo formato da Littorio, Cesare e Cavour – è protagonista, la sera del 7 settembre, di un incidente di fuoco amico che avrebbe potuto avere tragiche conseguenze: alle 20.50 del 7, a 14 miglia per 138° da Capo Colonne, il Granatiere avvista il sommergibile italiano Uarsciek (tenente di vascello Carlo Zanchi) da 5 km di distanza e – non sapendo della sua presenza in zona, dato che l’Uarsciek avrebbe dovuto lasciarla già da diverse ore – lo scambia per un sommergibile britannico delle classi Phoenix o Regulus; apre pertanto il fuoco contro di esso, sparando due salve dai cannoni prodieri, prontamente imitato dal Bersagliere, e poi manovra per speronarlo. L’Uarsciek s’immerge precipitosamente a 90 metri, dopo di che il Granatiere lancia sei bombe di profondità, causando alcuni lievi danni al sommergibile; Fuciliere ed Alpino vengono poi incaricati di proseguire la caccia, fortunatamente senza successo.

(g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

11-12 novembre 1940
Il Fuciliere (capitano di fregata Alfredo Viglieri) si trova ormeggiato alle boe in Mar Piccolo a Taranto, insieme al resto della XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Alpino) ed agli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano, quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio. I quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, al momento dell’attacco, sono ormeggiati a poppavia dei due incrociatori: Bersagliere e Granatiere rispettivamente a poppavia dritta e sinistra del Trieste, Fuciliere ed Alpino a poppavia dritta e sinistra del Bolzano, che è ormeggiato più ad est del Trieste.
Mentre gli aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da una quota valutata in 500 metri; solo due degli ordigni vanno a segno, colpendo il cacciatorpediniere Libeccio e l’incrociatore pesante Trento, ormeggiati con numerose altre unità alla banchina torpediniere ed alla banchina di Porta Ponente, ma nessuna delle due unità subisce danni seri, in quanto le bombe non esplodono.
Nel pomeriggio del 12 novembre la XIII Squadriglia, insieme alla X Squadriglia ed alle corazzate Vittorio VenetoGiulio Cesare ed Andrea Doria (uniche uscite indenni dall’attacco), lascia Taranto, base non più sicura, per trasferirsi a Napoli.
16 novembre 1940
La XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (FuciliereBersagliere,GranatiereAlpino) salpa da Napoli alle 10.30 del 16, insieme alle corazzate Vittorio Veneto (nave ammiraglia dell’ammiraglio Campioni, comandante della 1a Squadra) e Cesare, al Pola (nave ammiraglia della 2a Squadra, ammiraglio Iachino), alla I Divisione con Fiume e Gorizia ed alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (AlfieriOrianiGiobertiCarducci), per intercettare una formazione britannica partita da Gibilterra e diretta verso est, che è stata segnalata nel Mediterraneo occidentale. Si tratta della Forza H dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri SheffieldDespatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere) uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di 14 aerei decollati dall’Argus per rinforzarne le scarse difese, nonché un’azione di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente alla partenza da Napoli del grosso della flotta, escono in mare da Messina anche la III Divisione (TrentoTriesteBolzano) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (LanciereCarabiniereAscariCorazziere), mentre da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (VivaldiDa NoliTarigoMalocello).
Le navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud nel Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 si uniscono al grosso la III Divisione e la XII e XIV Squadriglia. La forza così riunita sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 le forze britanniche vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza; raggiungono le rispettive basi tra il 17 ed il 18 novembre.
Sebbene non vi sia stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei dall’Argus tenendo la portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso Siracusa, venendo catturato.

Un’altra immagine della nave nel 1940 (foto Signorinello, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

26 novembre 1940
Tra le 11.50 e le 12.30 (per una fonte, a mezzogiorno) il Fuciliere lascia Napoli unitamente a Granatiere, Bersagliere, Alpino, alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta) ed alle corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta.
Tale convoglio, entrato in Mediterraneo il 24 novembre, è composto dai mercantili New Zealand StarClan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Despatch, dei cacciatorpediniere DuncanWishart ed Hotspur e delle corvette HyacinthPeonySalvia e Gloxinia. La Forza F di protezione ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende gli incrociatori leggeri ManchesterSheffield e Southampton, mentre come forza di copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H (ammiraglio James Somerville) con l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal e sette cacciatorpediniere (KelvinJaguarEncounterFaulknorFiredrakeFuryForester). La Forza H ha raggiunto il convoglio il mattino del 25 dopo che questo, nella notte precedente, è entrato in Mediterraneo; ad essa dovrà unirsi la formazione salpata da Alessandria, demominata Forza D (composta dalla corazzata Ramillies, dall’incrociatore pesante Berwick, dall’incrociatore leggero Newcastle, dall’incrociatore antiaerei Coventry e dai cacciatorpediniere GallantGreyhoundGriffinDiamondDefender e Hereward), che ha preso il mare nel pomeriggio del 24 novembre. La Ramillies con GriffinGreyhound ed Hereward dovrà unirsi alla Forza H, Berwick e Newcastle alla Forza F, mentre Gallant e Coventry rinforzeranno la scorta diretta del convoglio.
Supermarina ha saputo per la prima volta dell’intensa attività navale nemica il mattino del 25, quando informatori attivi a Gibilterra hanno comunicato che alle 8.25 la Forza H è partita con rotta verso est; successivamente l’alto Comando della Regia Marina ha appreso anche dell’uscita in mare di forze navali britanniche dalla base di Alessandria.
Da Napoli, oltre al gruppo che comprende il Fuciliere e le corazzate, prendono il mare anche l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità (incrociatori pesanti Fiume e Gorizia) e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere con Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo Gioberti e Giosuè Carducci; da Messina salpano alle 12.30 la III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (LanciereAscariCorazziere e Libeccio).
I tre gruppi si riuniscono 70 miglia a sud di Capri (nel punto 39°20’ N e 14°20’ E) alle 18.00, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare la squadra britannica proveniente da Gibilterra. VII e XIII Squadriglia scortano le due corazzate (così formando la 1a Squadra). Comandante della 1a Squadra è l’ammiraglio Inigo Campioni, con bandiera sulla Vittorio Veneto; comandante della 2a Squadra è l’ammiraglio Angelo Iachino, imbarcato sul Pola.
27 novembre 1940
Alle otto del mattino, la formazione italiana procede nel seguente ordine: in testa sono il Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III Divisione), e la I Divisione, con rotta 250° e velocità 16 nodi; la III Divisione procede a cinque miglia per 180° dal gruppo Pola-I Divisione; la 1a Squadra (le due corazzate ed i cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia, al comando dell’ammiraglio Campioni) è più a poppavia.
La formazione italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che possano riunirsi.
Tra le 8.30 e le 9.10 la 1a Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che formano la 2a Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza.
Le flotte contrapposte si trovano in quel momento a non grande distanza l’una dall’altra, ma nessuna conosce con esattezza la posizione dell’avversario; il primo a sapere con certezza della presenza nei pressi di una potente formazione nemica è l’ammiraglio Somerville, che di conseguenza, dopo essersi congiunto con la Forza D (il che fa sì che le forze ai suoi ordini divengano leggermente più potenti di quelle italiane, mentre Supermarina pianificava uno scontro in condizioni di superiorità, con la sola Forza H), ordina al convoglio di proseguire con la protezione di tre cacciatorpediniere e dell’incrociatore antiaerei Coventry, mentre il resto della flotta britannica si appresta a fronteggiare quella italiana.
Alle 9.50 le corazzate italiane avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana). Alle 9.45, intanto, il gruppo britannico proveniente da Alessandria viene avvistato da un idroricognitore lanciato dal Bolzano alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90° e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05 dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche; continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico e tagliargli la rotta.
Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da quella prevista. Alle 11.35 Campioni l’ammiraglio Campioni ordina a Iachino di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla sua nave ammiraglia (la Vittorio Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile direzione d’avvicinamento della squadra britannica.
Alle 11.55 Campioni viene informato della presenza del convoglio e di una seconda corazzata, accompagnata da alcuni incrociatori, non lontano dalla Forza H. Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità) l’ammiraglio Campioni ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la velocità.
Alle 12.15, tuttavia, le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta, ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori, corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), SheffieldSouthamptonNewcastle e Manchester (leggeri), oltre a numerosi cacciatorpediniere. L’ammiraglio Campioni ordina pertanto di incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la 1a Squadra e di 28 per la 2a Squadra, che deve riunirsi alla 1a essendo più indietro): inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20 gli incrociatori della 2a Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000 metri. Subito gli incrociatori britannici (uno, il Manchester, viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento, scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; BerwickManchesterSheffield e Newcastle concentrano il loro tiro contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest.
Per avvicinarsi rapidamente alla 2a Squadra, alle 12.27 la 1a Squadra inverte la rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la rotta, sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici, decollati dalla portaerei Ark Royal, si porta a 650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della scorta) e lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la manovra. I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere contraeree, così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm oltre alle mitragliere).
Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35, l’incrociatore pesante britannico Berwick: la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali ed i locali adiacenti, ma il Berwick continua a fare fuoco con le torri rimaste funzionanti. Nello schieramento italiano, tra le 12.33 e le 12.40 tre colpi sparati da un incrociatore britannico colpiscono in sala macchine il cacciatorpediniere Lanciere, che rimane immobilizzato e verrà successivamente preso a rimorchio dal gemello Ascari.
Fino alle 12.40 le navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane). Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente, trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire nulla.
Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza (della 2a Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere.
28 novembre 1940
La flotta italiana arriva a Napoli tra le 13.25 e le 14.40.

Medaglietta ricordo del Fuciliere (da www.wiki.wargaming.net)

8-11 febbraio 1941
Alle 18.30 dell’8 febbraio il Fuciliere salpa da La Spezia insieme a Granatiere ed Alpino, nonché alle corazzate Vittorio Veneto (ammiraglia dell’ammiraglio Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (della V Divisione) ed alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) per intercettare l’aliquota della Forza H britannica (incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya, portaerei Ark Royal, incrociatore leggero Sheffield, cacciatorpediniere FuryFoxhoundForesightFearlessEncounterJerseyJupiterIsisDuncan e Firedrake) che sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in mare la XIII Squadriglia assume posizione di scorta ravvicinata a sinistra (la X Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a dritta) delle tre navi da battaglia, che procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto del mattino del 9 le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad ovest di Capo Testa sardo, alla III Divisione (TrentoTriesteBolzano) partita da Messina unitamente ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia, ed alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana, in navigazione verso sudest (verso la posizione in cui si ritiene probabile trovarsi il nemico), non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da 152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici, uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle informazioni pervenute con nuovi messaggi (solo alle 9.50 Iachino viene a sapere del bombardamento di Genova), fanno rotta verso nord, con le corazzate precedute di 10 km dalla III Divisione. La formazione si trova 30 miglia più a sud di quanto previsto. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche, la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest costeggiando la Provenza (una ipotesi corretta, che avrebbe effettivamente permesso alle forze italiane di intercettare la Forza H entro un’ora), ma alle 13.16, dopo aver ricevuto nuovi messaggi su (errati) avvistamenti delle navi britanniche (una portaerei ancora nel Golfo di Genova, diretta a sud, ed altre tre navi ad ovest-sud-ovest di Capo Corso con rotta nordest: queste ultime sono in realtà un convoglio francese, il «CN 4», in navigazione da Tolone a Bona), che spingono Iachino a pensare che le forze britanniche, divise in due gruppi, intendano riunirsi ad ovest di Capo Corso per poi ritirarsi verso sud lungo la costa occidentale della Sardegna (impressione rafforzata dal fatto che un idroricognitore catapultato dal Trieste non ha avvistato nulla nelle acque della Provenza, nonché da rilevamenti radiogoniometrici sospetti che sembrano confermare tale ipotesi), le corazzate accostano di 60° assumendo rotta 30° (la III Divisione assume invece rotta 50° alle 13.07), accelerando a 24 nodi (30 per gli incrociatori), e la XIII Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità meridionale della formazione (analogamente fa la XIII Squadriglia, che però si posiziona all’estremità settentrionale).
Alle 13.21 viene diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate delle navi sospette, che però si rivelano essere mercantili francesi in navigazione: quelli del convoglio «CN 4». Alle 15.50 la squadra italiana accosta verso ovest (rotta 270°) e prosegue a 24 nodi (per il gruppo delle corazzate; 30 per gli incrociatori) per intercettare la Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa francese (infatti Supermarina ha comunicato che tra le 12 e le 13 aerei italiani hanno avvistato ed attaccato la Forza H a sud della Provenza), ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di combattimento. Durante la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61, come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina per la III Divisione), dove le navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio, in quanto l’accesso al porto di La Spezia è temporaneamente ostruito dalle mine lanciate da aerei britannici durante l’attacco; dragate queste ultime, il gruppo delle corazzate potrà lasciare Napoli nel tardo pomeriggio dell’11, giungendo a La Spezia nel pomeriggio del 12.
22 marzo 1941
La XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla X Squadriglia ed ad una sezione della VII Squadriglia, lasciano La Spezia per Napoli, scortando la corazzata Vittorio Veneto, che giunge nel porto partenopeo il mattino del 23, per poi attendere l’inizio dell’operazione «Gaudo». La XIII Squadriglia prosegue poi per Messina.
27 marzo 1941
Fuciliere (capitano di fregata Alfredo Viglieri), Granatiere, Bersagliere ed Alpino lasciano Messina, assegnati alla scorta della corazzata Vittorio Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della Squadra Navale), che insieme alla I Divisione (ZaraPolaFiume: ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo), alla III Divisione (TrentoTriesteBolzano: ammiraglio di divisione Luigi Sansonetti), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi: ammiraglio di divisione Antonio Legnani), alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), alla XII Squadriglia (AscariCorazziereCarabiniere) ed alla XVI Squadriglia (Nicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno), deve partecipare all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta.
Alle 6.15, davanti a Messina, la XIII Squadriglia rileva la X Squadriglia (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco) che ha scortato la Vittorio Veneto da Napoli sino a lì, e che entra a Messina, rifornendosi e restandovi poi pronta a muovere. Più o meno alla stessa ora, la III Divisione scortata dalla XII Squadriglia assume posizione sette miglia a proravia della corazzata: queste unità formano il gruppo «Vittorio Veneto», sotto il diretto comando dell’ammiraglio Iachino, mentre I e VIII Divisione costituiscono il gruppo «Zara» al comando dell’ammiraglio Cattaneo.
La navigazione prosegue senza incidenti sino alle 12.25, quando il Trieste comunica a Iachino la presenza di un ricognitore britannico Short Sunderland a sud della III Divisione (e che continuerà a tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a questo – alle 12.20 il Sunderland ha comunicato l’avvistamento di tre incrociatori ed un cacciatorpediniere a cinque miglia per 270°, al largo di Capo Passero, per poi precisare alle 12.35 che le navi avvistate hanno rotta 120° e velocità 15 nodi: entrambi i messaggi vengono intercettati dalla Vittorio Veneto –, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo (il cui messaggio rischia di rivelare la destinazione, e dunque le intenzioni, della squadra italiana), e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 Supermarina annulla il pianificato attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.
28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista a sud di Gaudo la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri OrionAjaxPerth e Gloucester e dai cacciatorpediniere VendettaHastyHereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così verso la corazzata), la Vittorio Veneto ed il sopraggiungente gruppo «Zara» (che si riunisce al resto della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo Spartivento Calabro) aumentano la velocità a 28 nodi. Iachino intende far raggiungere alla III Divisione gli incrociatori britannici, poi farla dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III Divisione di ripiegare verso la Vittorio Veneto dopo aver avvistato le forze britanniche. A quell’ora le navi di Sansonetti aumentano la velocità cercando il nemico, non ancora visibile, che secondo le informazioni del ricognitore dovrebbe trovarsi a sudest, cioè all’incirca di prora a dritta. Pochi minuti dopo, alle 7.39, la III Divisione viene avvistata da un ricognitore decollato dalla portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III Divisione avvista la Forza B, comunicandolo a Iachino, ma dato che anche la Forza B cerca di attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (uscita in mare al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham con le corazzate BarhamValiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro), e pertanto si ritira, la manovra pianificata dall’ammiraglio Iachino non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 la III Divisione apre il fuoco sulla Forza B da 22.000 (fonti italiane)-23.000 (fonti britanniche) metri, mentre le unità britanniche, i cui cannoni da 152 mm (essendo tutti incrociatori leggeri) hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”, non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a quelle italiane, spara tre salve, che cadono corte, a partire dalle 8.27-8.29, da 21.000 metri di distanza. È proprio il Gloucester, per via della sua posizione, a costituire il bersaglio principale dei cannoni della III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per evitare di essere colpito dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti, che poco dopo accostano in fuori di 25°, passando da rotta 160° a rotta 135° (così portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B), per poi riassumere, verso le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della Forza B.
Alle 8.36 Iachino ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed interrompere il combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche, ritenendo, a ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il controllo dei cieli è in mano britannica.
La III Divisione continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a colpire nessuna nave: tutte le salve cadono corte tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion e Perth subiscono solo lievi danni da schegge.
Terminato l’infruttuoso inseguimento e scambio di cannonate, le navi italiane alle 8.55 accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a distanza dalla Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane. Essendosene reso conto, alle 10.02 (per altra fonte, le 10.17) l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al combattimento, mentre la Vittorio Veneto (scortata dalla XIII Squadriglia) e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto della formazione italiana) ed impedirne la ritirata.
Le unità della Forza B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B, incerta se le navi avvistate siano amiche o nemiche, effettua il segnale di riconoscimento, ma alle 10.56 la Vittorio Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, ordinando al contempo alla III Divisione di invertire la rotta e riprendere il combattimento. La Forza B accosta subito verso sud e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere aerosiluranti britannici (Fairey Swordfish decollati dalla Formidable), che alle 11.18 attaccano: la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia (compreso l’Alpino) si porta in posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco contraereo; alle 11.25 gli aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a farlo da una distanza eccessiva, ed i siluri non vanno a segno. Lo scontro di Gaudo, combattuto a distanze variabili tra i 22.000 ed i 26.000 metri, si è concluso senza risultati tangibili, all’infuori di qualche danno da schegge sulle navi britanniche per colpi caduti vicini.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30 la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alcune ore prima, alle nove del mattino, un ricognitore ha comunicato alla Vittorio Veneto la presenza di una portaerei, due corazzate e naviglio minore in una posizione vicina a quella delle navi italiane: Iachino e Supermarina hanno però pensato che il ricognitore abbia semplicemente avvistato la squadra italiana, scambiandola per nemica. E invece è davvero il nemico: il grosso della Mediterranean Fleet al comando dell’ammiraglio Cunningham.
Nemmeno una nuova segnalazione delle 14.25, secondo cui alle 12.15 un aereo ha avvistato una corazzata, una portaerei, sei incrociatori e cinque cacciatorpediniere 79 miglia ad est della Vittorio Veneto, verrà presa in considerazione: Supermarina e Iachino la riterranno sbagliata, dato anche che un precedente rilevamento radiogoniometrico ha individuato la squadra britannica come a 170 miglia da quella italiana. Mezz’ora dopo Supermarina comunica a Iachino che «Dalle intercettazioni radiogoniometriche nave nemica ore 13.15 a miglia 110 per 60° da Tobruk trasmette ordini a Creta e ad Alessandria»; alle 11.15 i crittografi imbarcati sulla Vittorio Veneto decrittano un messaggio dell’ammiraglio Henry Pridham-Wippel, comandante della Forza B, che dice a Cunningham «Dirigo per incontrarvi». Ma la granitica certezza di Iachino, che Cunningham e corazzate siano ad Alessandria, non viene scossa.
Uno dei due messaggi sopra citati viene intercettato anche sul Fuciliere, come ricorderà anni dopo il comandante Viglieri, che scriverà nelle sue memorie che la nave aveva intercettato un comunicazione della Regia Aeronautica in cui si riferiva della presenza di corazzate, una portaerei ed altre unità ad un centinaio di miglia dalla formazione italiana, e che il suo ufficiale di rotta aveva fornito la posizione dei britannici; Iachino aveva ritenuto trattarsi di un falso avvistamento della squadra italiana.
Alle 12.07 la III Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti britannici, che lanciano contro il Bolzano, ma riesce a sventare l’attacco contRomanovrando ed aprendo un intenso tiro contraereo; parimenti senza successo sono due attacchi di bombardieri contro la stessa Divisione alle 15.20 ed alle 16.58.
Alle 14.30, 15.01 e 15.40 la Vittorio Veneto viene attaccata da bombardieri in quota britannici (le bombe cadono a 50-150 metri dalle navi); anche la I Divisione subisce ripetuti attacchi aerei. Complessivamente, nel corso del pomeriggio, la squadra italiana subirà cinque attacchi da parte di un totale di trenta bombardieri Bristol Blenheim della Royal Air Force decollati da basi in Grecia, e tre attacchi da parte di un totale di diciotto aerosiluranti Fairey Swordfish e Fairey Albacore della Fleet Air Arm decollati dalla Formidable e dalla base cretese di Maleme. I dodici caccia FIAT CR. 42 della Regia Aeronautica di base a Scarpanto, che nel mattino sono saltuariamente apparsi sul cielo delle navi e nei quali Iachino ripone le sue speranze per la protezione contro gli attacchi aerei, non sono più in grado di fornire copertura aerea alla squadra nel pomeriggio, essendosi questa allontanata oltre il limite della loro autonomia, anche con i serbatoi supplementari.
Alle 15.19 si verifica un secondo attacco di aerosiluranti che, in tre (su cinque Albacore dell’829th Squadron originariamente decollati dalla Formidable), attaccano la corazzata, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia per ridurre l’efficacia del loro tiro contraereo contro gli aerosiluranti; anche dei bombardieri in quota partecipano all’attacco. L’intenso tiro contraereo dei cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (che sono disposti sui fianchi della Vittorio Veneto formando due colonne: Fuciliere seguito dal Granatiere a dritta, Bersagliere seguito dall’Alpino a sinistra) colpisce uno degli aerosiluranti (pilotato dal capitano di corvetta John Dalyell-Stead), che però, prima di essere colpito dal tiro incrociato del Fuciliere e della Vittorio Veneto durante la manovra di disimpegno e precipitare in mare con la morte dei tre uomini di equipaggio, riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di mille metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E: in quel momento la squadra italiana si trova a 420 miglia da Taranto.
Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di 19 nodi.
La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto (di cui è stato informato dal gruppo di crittografi di Supermarina imbarcato sulla Vittorio Veneto, che ha intercettato alcune comunicazioni britanniche), lascia l’VIII Divisione libera di rientrare a Brindisi ed ordina che le altre unità si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (CorazziereCarabiniereAscari), la III Divisione (TriesteTrentoBolzano), la Vittorio Veneto preceduta da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in coda), la I Divisione (ZaraPolaFiume) e la IX Squadriglia (Vittorio AlfieriVincenzo GiobertiGiosuè CarducciAlfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza, alle 18.51 tramonta il sole, ed alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo da essere meno illuminata possibile dal sole che tramonta) ed alle 19.24 i cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori – ed alle 19.30 l’Alpino segnala che gli aerei britannici sono vicinissimi: di conseguenza, su ordine dell’ammiraglio Iachino, vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°). Sei minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina alla XIII Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata, mentre la I e la III Divisione si posizionano 5 km rispettivamente a prua ed a poppa della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione, su ordine di Iachino, inverte la rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito.
Questa decisione, poi molto discussa, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre raggiunge il Pola dalle corazzate di Cunningham e sarà annientata, con la perdita di ZaraPolaFiumeAlfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti sino alle 22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane stanno assistendo alla fine della I Divisione. Il tiro che si osserva a distanza si svolge in più fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori delle ultime esplosioni vengono visti alle 23.55.
29 marzo 1941
Il resto della formazione italiana, inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova il Pola immobilizzato, scambiandolo per la Vittorio Veneto) e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del capitano di vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte, viene raggiunto dall’VIII Divisione (frattanto richiamata) alle otto del 29 marzo, a 60 miglia per 139° da Capo Colonne; la III Divisione si pone quindi a dritta della Vittorio Veneto, con la VIII Divisione a sinistra della corazzata. A partire dalle 6.23 giungono sul cielo della formazione, per scortarla nella navigazione di rientro, aerei tedeschi ed italiani: la scorta aerea, mancata – elemento cruciale – durante tutta l’operazione, arriva solo ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 la formazione italiana assume rotta 343°, mettendo la prua su Taranto, dove arriva poco dopo le 15.30.

Un’altra immagine del Fuciliere (da www.piombino-storia.blogspot.com)

22-23 aprile 1941
Pochi giorni dopo la conclusione dell’invasione della Jugoslavia, Supermarina dispone l’invio della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ad occupare le isole di Lissa, Curzola e Meleda. I quattro cacciatorpediniere, partiti da Brindisi, arrivano a Spalato durante la notte; il Granatiere vi rimane, immobilizzato da un’avaria, mentre Fuciliere, Bersagliere ed Alpino ripartono all’alba con a bordo truppe da sbarcare nelle Curzolane (una compagnia per nave).
Il Fuciliere, in particolare, sbarca a Curzola un reparto di camicie nere imbarcate a Brindisi.
8 maggio 1941
Fuciliere, Bersagliere ed Alpino, insieme a Maestrale e Scirocco, salpano da Palermo dopo le 20 scortando gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande NereLuigi CadornaLuigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, per eseguire una crociera di vigilanza a nord della Sicilia. È in corso l’operazione britannica «Tiger», consistente nell’invio da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio di cinque piroscafi veloci carichi di rifornimenti e rinforzi per le forze britanniche operanti in Egitto (tra cui 238 carri armati e 43 aerei da caccia), e da Alessandria a Malta di due convogli (uno veloce di quattro navi da carico, ed uno lento di due navi cisterna) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (il primo è scortato dagli incrociatori leggeri DidoCalcutta e Phoebe e da 4 cacciatorpediniere, il secondo dagli incrociatori antiaerei Carlisle e Coventry, da 3 cacciatorpediniere e da 2 unità minori). Al contempo, la corazzata Queen Elizabeth e tre incrociatori leggeri (NaiadFiji e Gloucester, più 5 cacciatorpediniere) si trasferiscono da Gibilterra ad Alessandria per rinforzare la Mediterranean Fleet, che esce in mare a copertura dell’operazione (con le corazzate WarspiteValiant e Barham, la portaerei Formidable e 12 cacciatorpediniere), al pari della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield e 9 cacciatorpediniere).
La reazione della Marina italiana, pur messa sull’allarme dai molti avvistamenti, non si materializza: Supermarina, disponendo soltanto di due corazzate in efficienza (Cesare e Doria; altre due, Duilio e Littorio, sono in riaddestramento dopo il completamento dei lavori di riparazione dei danni subiti nell’attacco di Taranto nel mese precedente, mentre la Vittorio Veneto è in riparazione per i danni subiti nella battaglia di Capo Matapan), decide di non tentare di intervenire contro una forza britannica che conta 5 tra corazzate ed incrociatori da battaglia (3 da Alessandria e 2 da Gibilterra) più 2 portaerei, giudicando il rapporto di forze troppo sfavorevole.
L’uscita da Palermo della formazione che comprende il Fuciliere è appunto l’unico provvedimento disposto da Supermarina in concomitanza con l’operazione nemica, ordinato per l’eventualità che la flotta britannica sia uscita in mare per lanciare un altro attacco di aerosiluranti analogo a quello del novembre precedente contro Taranto.
Per ogni evenienza, vengono approntate a Napoli le corazzate Cesare e Doria ed a Taranto gli incrociatori ivi presenti, ma nessuna di queste unità prenderà il mare. Il maltempo impedisce l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di Sicilia, cui si è fatto ricorso altre volte.
Il passaggio del convoglio britannico sarà contrastato solo dagli aerei della Regia Aeronautica, che nonostante ripetuti attacchi non riusciranno ad affondare alcuna nave, a causa sia del tempo fosco con nuvole basse che della reazione della scorta aerea britannica; una bomba danneggia gravemente il cacciatorpediniere britannico Fortune, mentre da parte italiana vengono perduti cinque aerei. Uno dei mercantili britannici, l’Empire Song, affonderà per urto contro mina, ma gli altri giungeranno tutti a destinazione.
9 maggio 1941
Le navi partite da Palermo vi fanno ritorno, dopo aver infruttuosamente percorso 296 miglia incontrando cattivo tempo per tutta la notte.
11-14 maggio 1941
Il Fuciliere parte da Palermo alle 18.40, insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande NereLuigi Cadorna (che formano la IV Divisione), Duca degli Abruzzi e Garibaldi (che formano la VIII Divisione) ed ai cacciatorpediniere Da ReccoPessagnoUsodimareBersagliereAlpino, Maestrale e Scirocco (questi ultimi quattro, insieme al Fuciliere, scortano la IV Divisione, mentre i tre “Navigatori” scortano l’VIII Divisione), per fornire protezione a distanza a due convogli: uno (piroscafi italiani Ernesto e Tembien, motonavi Giulia e Col di Lana, piroscafi tedeschi Preussen e Wachtfels, scortati dai cacciatorpediniere DardoAviere – caposcorta –, GeniereGrecale e Camicia Nera) in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle due dell’11, dopo essere partito già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) a Tripoli, dove arriva alle 11.40 del 13; l’altro (motonavi italiane VictoriaAndrea Gritti e Barbarigo, motonave tedesca Ankara, cacciatorpediniere VivaldiMalocelloSaetta e Da Noli) in navigazione in direzione opposta (partito da Tripoli alle 19.30 del 12, arriva a Napoli alle 16.30 del 14).
La IV Divisione raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del mattino del 12 maggio, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle infiltrazioni di acqua salata nei condensatori delle caldaie poppiere, che alle 17 costringono il Comando della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna, dopo di che il Bande Nere rientra a Palermo, scortato dall’Alpino.
Il resto della Divisione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
2 giugno 1941
Il Fuciliere salpa da Palermo alle 19.45 insieme a GranatiereBersagliere ed Alpino per scortare l’VIII Divisione Navale (ammiraglio di divisione Antonio Legnani), formata dai moderni incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi, durante una missione di copertura a distanza per la navigazione da Napoli (da dov’è partito alle 19.30 del 1° giugno) a Tripoli del convoglio «Aquitania», formato dai piroscafi Beatrice C.AquitaniaCaffaroNirvo e Montello e dalla moderna motonave cisterna Pozarica: si tratta di uno dei più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed in assoluto uno dei più grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani. La scorta diretta è composta dai cacciatorpediniere Dardo, Aviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera.
3 giugno 1941
Alle 16.30, ad una ventina di miglia dalle Kerkennah, il convoglio viene attaccato da bombardieri britannici, che colpiscono il Montello ed il Beatrice C: il primo, carico di munizioni, esplode con la perdita di tutto l’equipaggio, mentre il secondo viene incendiato e dev’essere finito dal Camicia Nera dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio. Un aereo viene abbattuto.
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto del convoglio raggiunge Tripoli; il gruppo di scorta a distanza rientra a Palermo alle 18.
28 giugno 1941
Il capitano di fregata Viglieri lascia il comando del Fuciliere, venendo sostituito dopo pochi giorni dal parigrado Giulio Cerrina Feroni, 41 anni, da Firenze.
Alle 14.10 dello stesso giorno Fuciliere, Bersagliere e Montecuccoli, in navigazione verso Palermo (dove arriveranno alle 15.30), vengono avvistati a cinque miglia di distanza, su rilevamento 230° e con rotta 130°, dal sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), che identifica il Montecuccoli come un incrociatore classe Condottieri. Non riuscendo ad avvicinarsi a sufficienza per poter attaccare, l’Utmost lancia il segnale di scoperta, ma Malta non accusa ricevuta.
10 luglio 1941
Alle 21.45 il Fuciliere salpa da Napoli per scortare a Tripoli, insieme all’Alpino ed alle torpediniere Orsa, Procione e Pegaso, un convoglio formato dai piroscafi Ernesto, Nita, Nirvo, Aquitania e Castelverde. Caposcorta è proprio il Fuciliere.
11 luglio 1941
Alle 16.30 si unisce alla scorta anche il cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello, proveniente da Palermo.
14 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 6.
Alle 16 (o 17) Fuciliere, Malocello (caposcorta), Alpino, Procione, Orsa e Pegaso lasciano Tripoli scortando le motonavi Rialto, Andrea Gritti, Ankara (tedesca), Barbarigo e Sebastiano Venier.
Questo convoglio, denominato «Barbarigo», è il primo ad essere oggetto con successo delle intercettazioni di “ULTRA”, che l’11 luglio 1941, tre giorni prima della partenza, apprende da messaggi decrittati che un convoglio di sei mercantili di 5000 tsl, scortato da cacciatorpediniere, lascerà Tripoli alle 16 del 14 luglio, procedendo a 14 nodi, passando a est delle Kerkennah alle cinque del mattino del 15 luglio e poi ad ovest di Pantelleria alle 14 del 15 luglio, probabilmente diretto a Napoli.
In seguito a quest’informazione, i comandi britannici schierano uno sbarramento di sommergibili (tra cui l’Union ed il P 33) attorno a Pantelleria, dove sannno che il convoglio dovrà passare nel primo pomeriggio del 15.
Vengono anche lanciati diversi attacchi aerei tra il 14 ed il 15 luglio, ma i velivoli – Fairey Swordfish decollati da Malta – non riescono a localizzare il convoglio da attaccare.
15 luglio 1941
In mattinata il convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico, e nel pomeriggio si verificano gli attacchi dei sommergibili.
Alle 11.20 il Fuciliere avvista Pantelleria, su rilevamento 24°, ed accosta in tale direzione insieme al resto del convoglio, procedendo a zig zag; oltre ai cacciatorpediniere ed alle torpediniere, è presente anche una scorta aerea, con due caccia e due idrovolanti CANT Z. 501. Alle 14.07 il P 33 (tenente di vascello Reginald Denis Whiteway-Wilkinson) avvista il convoglio nel punto 36°27’ N e 11°54’ E, da una distanza di 10 km; alle 14.16 Wilkinson ne stima la composizione in cinque mercantili carichi a metà, in due colonne composte da due navi ciascuna, con la quinta che procede in posizione più avanzata, equidistante dalle due colonne, ed una scorta costituita da sei torpediniere classe Spica, due a proravia del convoglio e due su ciascun lato, spostate verso poppa, più un aereo.
Avvicinatosi con l’intento di attaccare il mercantile di testa della colonna di dritta, alle 14.39 il P 33 lancia quattro siluri da 2300 metri di distanza.
Alle 14.41 il convoglio si trova a 21 miglia per 209° da Punta Sciaccazza (a sud di Pantelleria; altra fonte parla di otto miglia a sud di Punta Sciaccazza) quando l’Alpino riferisce per radiosegnalatore «Scie di siluro a dritta», mentre uno dei velivoli della scorta aerea (l’idrovolante CANT Z. 501/6 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica) si getta in picchiata sul punto dove si presume essere il sommergibile nemico, sganciando due bombe per poi inseguire e mitragliare le scie dei siluri. L’Alpino avvista a 2000 metri su rilevamento 110° una bolla d’aria e l’inizio della scia di un siluro, che evita di stretta misura con un’accostata sulla dritta, dopo di che si porta sul punto del lancio e lancia 28 bombe di profondità; anche un CANT Z. 501 (l’idrovolante numero 2 della 144a Squadriglia) lancia due bombe di profondità, oltre a continuare ad indicare la posizione del sommergibile. Poco dopo, alle 14.43, la Barbarigo – prima nave della fila di dritta – viene colpita a poppa da un siluro.
Subito dopo il siluramento della Barbarigo, il Fuciliere avvista a proravia dritta una scia di siluro che dirige per tagliargli la rotta; il cacciatorpediniere accosta con tutta la barra a sinistra ed avvista intanto una seconda scia di siluro, che corre parallelamente alla prima, con rotta leggermente divergente. Le due scie passano in mezzo al convoglio.
Il Malocello ordina alla Pegaso di dare assistenza alla Barbarigo, che ha già la poppa sommersa e continua ad affondare, ed a Procione ed Orsa di dare la caccia al sommergibile, in cooperazione con l’idrovolante. La Barbarigo s’inabissa definitivamente alle 15.10, nel punto 36°27’ N e 11°54’ E.
Alle 15.26, a 11,5 miglia per 130° da Punta Sciaccazza, l’Alpino – giunto intanto all’altezza della seconda fila del convoglio dopo aver concluso la caccia al sommergibile – segnala di nuovo “scia di siluro sulla dritta”, avendo avvistato l’inizio di due scie a mille metri di distanza, su rilevamento 94°. Portatosi su tale punto, lancia un segnale e le ultime due bombe di profondità che gli sono rimaste, mentre i mercantili, Fuciliere e Malocello accostano immediatamente di 90° a sinistra. Poco dopo il Fuciliere avvista tre scie di siluri leggermente divergenti (con un angolo di 5°, secondo la stima del comandante del Fuciliere) sulla sinistra, a circa duecento metri di distanza; una volta assicuratosi che i siluri siano passati oltre, il Fuciliere accosta con tutta la barra a sinistra, risale la scia centrale e si dirige alla massima velocità verso il punto di congiunzione delle tre scie, dove l’Alpino ha lanciato il suo segnale. Qui il Fuciliere lancia tutte le bombe di profondità a disposizione, ventotto, mentre arrivano anche due MAS da Pantelleria. La caccia prosegue fino alle 16.05, con il lancio in tutto di 116 bombe di profondità. Solo una scarica di bombe (attribuita da alcune fonti alla Procione) esplode vicina al P 33, limitandosi a mettere fuori uso alcune luci; il sommergibile riporta però gravi danni proprio durante il tentativo di eludere la caccia, perdendo il controllo dell’assetto e precipitando accidentalmente dai 21 metri previsti a ben 94 metri di profondità, dove l’elevata pressione deforma lo scafo resistente e causa vie d’acqua che costringeranno il P 33 ad interrompere la missione e rientrare a Malta per le riparazioni.
Alle 15.40 la Pegaso comunica di aver completato il salvataggio dei naufraghi, ed entro le 16.15 tutte le siluranti hanno riassunto le rispettive posizioni di scorta, e la navigazione ha ripreso regolarmente, con i soli MAS rimasti sul luogo del secondo attacco.
16 luglio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 14.30.
21 luglio 1941
Il Fuciliere (capitano di fregata Giulio Cerrina Feroni) salpa da Palermo per Tripoli alle 23, scortando la motonave cisterna Brarena, diretta a Tripoli con un carico di motorina. Le due navi devono unirsi ad un più grande convoglio salpato da Napoli alcune ore prima, formato dai piroscafi Preussen (tedesco), Caffaro, Nicolò Odero e Maddalena Odero con la scorta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta, capitano di fregata Ernesto Giuriati), Fulmine, Euro e Saetta: Fuciliere e Brarena dovranno accodarsi al convoglio dall’alba del 23, a sud di Pantelleria, in modo da formare quasi un unico convoglio (la Brarena, che non riesce a superare gli otto nodi contro i nove delle altre navi, le seguirà a breve distanza insieme al Fuciliere). Secondo i piani di Supermarina, nella notte tra il 22 ed il 23 i due gruppi dovranno navigare a ridotta distanza per fornirsi reciproco supporto, e dall’alba del 23 il convoglio “Folgore” supererà il gruppo Fuciliere-Brarena senza però allontanarsene troppo.
22 luglio 1941
Alle 9.45 il convoglietto viene messo in allarme da Supermarina, in seguito all’avvistamento di nutrite forze navali britanniche in movimento nel Mediterraneo occidentale. Successivamente il Fuciliere viene informato che il convoglio è stato avvistato da ricognitori nemici (i cui messaggi sono stati intercettati verso le dieci e decifrati dal servizio intercettazione e decrittazione di Supermarina) e segnalato al Comando di Malta.
Alle 17.15 Fuciliere e Brarena vengono sorvolati da un aerosilurante Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, che poco dopo si allontana. Alle 19.04 il Fuciliere avvista un aereo sospetto a poppavia, basso sull’orizzonte, e quattro minuti dopo viene osservata una grande esplosione su rilevamento vero 130°: il comandante Cerrina Feroni intuisce correttamente che si tratta dell’esplosione di un piroscafo del convoglio “Folgore”, attaccato da aerei nemici. Il Preussen, infatti, è esploso dopo essere stato colpito da bombe lanciate da aerei britannici. Sul Fuciliere viene alzato il segnale “aerei nemici in vista” ed ordinato il posto di combattimento; in quel momento Fuciliere e Brarena si trovano un’ottantina di miglia a sud di Pantelleria.
Alle 19.12 vengono avvistati dei bombardieri nemici – si tratta di Bristol Blenheim britannici – bassi sull’orizzonte, diretti sulla dritta della Brarena portandosi dalla parte del sole. Il Fuciliere accelera e si porta a fianco della Brarena, sul lato da cui si avvicinano i bombardieri; questi per tutta risposta accostano a sinistra, girano al largo e si portano sull’altro lato. Di nuovo il Fuciliere manovra per portarsi sull’altro fianco della Brarena, ma quando non è ancora neanche all’altezza della poppa i bombardieri puntano decisamente sulla cisterna da circa 8000 metri di distanza; il cacciatorpediniere apre il fuoco con i cannoni da 120 mm, cui si uniscono anche le Mitragliere quando la distanza cala a duemila metri. Alle 19.17 il primo aereo sgancia una decina di bombe incendiarie contro la Brarena, senza riuscire a colpirla, ed il secondo, che lo segue a poca distanza, ne lancia anch’esso una decina, con una salva molto fitta, riuscendo a metterne tre a segno. Una colpisce ed incendia il deposito di motorina della Brarena, le altre due ne perforano la coperta; si alza una grande fiammata e l’equipaggio della petroliera si getta in mare, mentre la Brarena si arresta con un incendio a bordo. In breve tempo, tuttavia, le fiamme, invece di crescere, vanno calando, mentre il Fuciliere mette a mare un battellaccio per recuperare gli uomini in mare e prende a bordo una lancia con un ferito grave (i naufraghi informano il comandante Cerrina Feroni che a bordo della nave ci sono ancora due feriti gravi); l’altra lancia della Brarena, sulla quale si trova il comandante, torna indietro una volta constatato che l’incendio non è molto esteso. Il comandante del Fuciliere ordina anche ai naufraghi recuperati dall’altra scialuppa, meno il ferito, di tornare a bordo per contribuire a domare le fiamme e tentare di rimettere in moto la nave.
Alle 19.26 sopraggiungono due S.M. 79, che ripassano di tanto in tanto sul cielo del piccolo convoglio; alle 20.10 il Fuciliere, dopo essersi già allontanato una prima volta dalla Brarena per avvistamento di aerei poi rivelatisi bombardieri italiani, si riavvicina alla petroliera e le ordina di passare i cavi per il rimorchio e di fare il possibile per rimettere in moto la motrice e riparare l’avaria al timone. Al contempo, vengono trasbordati sul Fuciliere i due feriti gravi rimasti a bordo della Brarena.
Alle 20.37 l’incendio è stato quasi completamente estinto grazi ad estintori e pompe a mano ed a vapore, e le cime per il rimorchio sono a bordo del Fuciliere; disteso il rimorchio, il cacciatorpediniere aumenta l’andatura e si dirige verso Lampedusa per portare la Brarena alla fonda nelle acque antistanti l’isola. Alle 21.08, quando è ormai quasi completamente calata l’oscurità e le macchine hanno raggiunto i 60 giri, si accende un bengala verso nord, seguito da rumori di aerei nel cielo sopra le navi. Dato che fino a poco prima il convoglietto è stato sorvolato da due S.M. 79, il comandante Cerrina Feroni è colto da dubbio sulla loro nazionalità; in ogni caso dà l’allarme ed ordina al personale a poppa di tenersi pronto a tagliare il rimorchio, mentre esamina personalmente la parte buia dell’orizzonte. Alle 21.13 Cerrina Feroni avvista due aerei, che identifica come Vickers Wildbeest IV (si tratta in realtà di Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) che volano bassi con i fanali di via accesi, dirigendo verso le due navi italiane da circa 2000 metri di distanza; avendo già in punteria la colonnina, presidiata dal direttore del tiro, ordina l’apertura del fuoco contro di essi con cannoni e Mitragliere, ed il taglio del cavo di rimorchio a poppa, dopo di che mette le macchine avanti tutta ed accosta a dritta con tutta la barra. Quando, tagliato il rimorchio, il Fuciliere si è allontanato di circa quattrocento metri dalla Brarena, gli aerosiluranti lanciano i loro siluri da ridotta distanza: uno manca di poco il Fuciliere passandogli a poppavia (Cerrina Feroni ordina allora di zigzagare a forte velocità), ma l’altro colpisce la petroliera. 
Alle 21.20 il Fuciliere avvista verso est un altro bengala, che Cerrina Feroni ritiene essere un segnale convenzionale di riunione per gli aerosiluranti; alle 21.31, calata l’oscurità completa, il cacciatorpediniere torna ad avvicinarsi alla Brarena, attorno alla quale il mare è coperto di carburante per un raggio di due chilometri. L’incendio a bordo della nave non ha dimensioni molto grandi, ma dall’albero in fiamme cadono continuamente in mare spezzoni incandescenti, minacciando di incendiare il carburante. L’equipaggio, compreso il comandante, ha abbandonato la nave prendendo posto su due zattere, finite sottovento; il Fuciliere si avvicina e prende a bordo i naufraghi. Una volta a bordo, il comandante della Brarena, capitano Enrico Garassini, riferisce a Cerrina Feroni che sulla petroliera sono rimasti quattro cadaveri, uccisi da mitragliamento da parte dei bombardieri, ma anche un uomo che non è riuscito ad imbarcarsi sulla zattera ed è rimasto aggrappato ai paranchi. Ritenendo imprudente rimanere ancora così vicino e sottovento alla Brarena, Cerrina Feroni si porta sopravvento e cala in mare il battellaccio, mandandolo a cercare l’uomo rimasto attaccato ai paranchi. L’imbarcazione compie un giro attorno alla Brarena ma non vede nessuno; gli occupanti chiamano eventuali superstiti, ma non giunge risposta.
Ritenendo troppo pericoloso avvicinarsi ancora alla Brarena, circondata com’è da carburante galleggiante che potrebbe incendiarsi, e che se anche riuscisse a riprenderla a rimorchio non potrebbe comunque giungere a Lampedusa prima che faccia giorno (allorquando si troverebbe ancora al di fuori dal raggio operativo della caccia italiana, e dunque vulnerabile a nuovi attacchi aerei), mentre consistenti forze navali britanniche sono state avvistate in avvicinamento al Canale di Sicilia, Cerrina Feroni decide di abbandonare la Brarena e ricongiungersi al convoglio “Folgore” per rinforzarne la scorta. Invia pertanto un telegramma al Folgore chiedendo autorizzazione ad affondare la nave cisterna ed unirsi poi al convoglio, mentre provvede ad informare del tutto anche Supermarina per mezzo di telegramma (numero 37428); il Folgore autorizza l’affondamento della Brarena ed il Fuciliere spara contro di essa 28 colpi a granata dirompente, mirando alla sala macchine all’altezza della linea di galleggiamento, da 1500 metri di distanza, ma la petroliera non dà cenno di voler affondare. Informatone il Folgore, il Fuciliere riceve per risposta ordine di abbandonare la petroliera alla deriva e riunirsi al convoglio, che raggiunge nella notte.
Durante la navigazione la scorta del convoglio viene ulteriormente rinforzata dall’Alpino e dalla torpediniera Pallade, uscita da Tripoli.
23 luglio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 17. Due naufraghi della Brarena, tra cui il secondo ufficiale, sono morti a bordo del Fuciliere per le ferite riportate; gli altri vengono sbarcati a Tripoli. La petroliera, rimasta alla deriva, s’incaglierà sulle secche di Kerkennah, dove affonderà ad inizio agosto.
27 luglio 1941
Il Fuciliere parte da Tripoli alle sette del mattino per scortare a Napoli, insieme ai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Saetta ed Alpino, i piroscafi ErnestoNitaNirvo, Castelverde ed Aquitania e la cannoniera Palmaiola, che formano il convoglio «Ernesto» (convoglio “lento”, avente una velocità di 8 nodi). Gli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Raimondo Montecuccoli (che formano l’VIII Divisione, al comando dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi) ed i cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere forniscono copertura a distanza; Fuciliere ed Alpino, che normalmente formano la XIII Squadriglia insieme a Granatiere e Bersagliere e che con essi avrebbero dovuto scortare i due incrociatori, sono stati distaccati per rinforzare la scorta diretta del convoglio a causa della penuria di unità sottili.
28 luglio 1941
Alle 18.15 il cacciatorpediniere Fulmine si unisce alla scorta del convoglio, ma alle 19.55 il Garibaldi viene silurato dal sommergibile Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) in posizione 38°04’ N e 11°57’ E (al largo di Capo San Vito, e 20 miglia a nordovest di Marettimo), riportando seri danni, che tuttavia non gli impediscono di continuare a navigare in formazione. Alle 20.20 Fuciliere ed Alpino ricevono ordine dall’ammiraglio Lombardi di raggiungerlo per prestargli assistenza e rinforzarne la scorta, così lasciando la scorta del convoglio, che ha già superato la zona di maggior pericolo e raggiungerà indenne Napoli il 30.
I due cacciatorpediniere raggiungono il Garibaldi alle 21.30; l’incrociatore, che è stato colpito da un siluro a proravia dritta ed ha imbarcato 700 tonnellate d’acqua, riesce a sviluppare una velocità di dieci nodi.
29 luglio 1941
Scortato dalla XIII Squadriglia, il Garibaldi raggiunge Palermo con i suoi mezzi alle 6.30.
15 agosto 1941
In seguito ad una riorganizzazione delle forze navali, il Fuciliere continua a far parte del la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme a Granatiere, Bersagliere, Alpino, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti (questi ultimi aggregati alla XIII Squadriglia in seguito alla distruzione della IX Squadriglia a Capo Matapan). La squadriglia è sempre assegnata alla scorta della IX Divisione (Littorio e Vittorio Veneto).
23 agosto 1941
Il Fuciliere, insieme ai tre gemelli della XIII Squadriglia, ad Aviere e Geniere della XI Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), esce da Taranto alle 16 a contrasto dell’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore leggero Hermione e cinque cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine veloce Manxman) e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Altre aliquote delle forze navali italiane escono da Palermo (VIII Divisione con Duca degli AbruzziMontecuccoli ed Attendolo, VIII Squadriglia Cacciatorpediniere con FrecciaDardo e Strale, VII Squadriglia con Folgore e Fulmine), Messina (III Divisione con TrentoTriesteBolzano e Gorizia, X Squadriglia con Maestrale e Scirocco, XII Squadriglia con CorazziereCarabiniereAscari e Lanciere), Napoli (cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia e Nicoloso Da Recco della XVI Squadriglia) e Trapani (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano della XV Squadriglia).
24 agosto 1941
Alle cinque del mattino il gruppo «Littorio» si unisce al largo di Capo Carbonara alla III Divisione (incrociatori pesanti TrentoTriesteBolzano e Gorizia, cacciatorpediniere CorazziereLanciereAscariCarabiniere, Maestrale, Scirocco); poco dopo la formazione viene rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino VivaldiNicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello, provenienti da Napoli, ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano, inviati da Trapani.
Le navi italiane assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le 6.40 LittorioVittorio Veneto e Trieste catapultano i loro idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle 11.15 è il Bolzano a catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata, una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo Teulada.
Intorno alle cinque del mattino del 24, gli aerei dell’Ark Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle 7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30 miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° Est (salvo, per l’appunto, riuscire ad incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia italiana) e di rientrare nel Tirreno per passarvi la notte dopo aver appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara, per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali; alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate, probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
26 agosto 1941
La IX Divisione arriva a Napoli in mattinata.
11 settembre 1941
Il Fuciliere, insieme all’incrociatore ausiliario Brioni ed alla torpediniera Cassiopea, scorta dal Pireo a Rodi, via Sira, il piroscafo Vesta, la cisterna militare Prometeo e la motonave Città di Agrigento, carichi di truppe e materiali.
26 settembre 1941
Il Fuciliere salpa da Napoli insieme a Granatiere (caposquadriglia), Bersagliere e Gioberti (temporaneamente aggregato alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere) nonché alle navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto (IX Divisione) ed alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (FolgoreDa ReccoPessagno) per raggiungere ed attaccare a sudest della Sardegna un convoglio britannico diretto a Malta e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una portaerei, oltre a cinque incrociatori e 18 cacciatorpediniere, nell’ambito dell’operazione «Halberd».
Il convoglio è formato dalla cisterna militare Breconshire e dai mercantili AjaxCity of CalcuttaCity of LincolnClan FergusonClan MacDonaldImperial StarDunedin Star e Rowallan Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti, e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate (NelsonRodney e Prince of Wales), una portaerei (Ark Royal), cinque incrociatori (KenyaEdinburghSheffieldHermione ed Euryalus) e 18 cacciatorpediniere (i britannici CossackDuncanFarndaleFuryForesterForesightGurkhaHeythropLaforeyLanceLegionLivelyLightningOribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers).
Dopo la partenza da Gibilterra, la forza navale britannica si è divisa in due gruppi: uno, composto da Nelson (nave ammiraglia dell’ammiraglio James Somerville, comandante superiore in mare), Ark RoyalHermioneCossackZuluForesterForesightLightning e Laforey, procede in posizione avanzata con rotta verso il Mediterraneo centrale, mentre l’altro, al comando dell’ammiraglio Alban Curteis e composto da RodneyPrince of WalesSheffieldKenyaEdinburghEuryalusOribiPiorunIsaac SweersHeythropGhurkhaLegionLanceLivelyDuncanFury e Farndale, rimane a protezione dei mercantili e segue una rotta che passa più a nord.
Alle 7.18 del 26 un idrovolante CANT Z. della 287a Squadriglia da Ricognizione Marittima ha avvistato il gruppo dell’ammiraglio Somerville ad ovest dell’isola di La Galite, lanciando un primo segnale di scoperta relativo ad una corazzata, una portaerei, quattro incrociatori ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere con rotta 90° e velocità 12 nodi in posizione 37°43’ N e 08°55’ E, seguito più tardi da un secondo segnale relativo a tre incrociatori con rotta 90° e velocità 18 nodi in posizione 37°55’ N e 08°55’ E. Successivamente, un aereo civile spagnolo avvista anche il gruppo dell’ammiraglio Curteis, la cui posizione verrà inoltrata dagli spagnoli ai Comandi italiani.
Per intercettare al convoglio, oltre alla IX Divisione ed alle Squadriglie XIII e XVI, partono anche la III (TrentoTriesteGorizia) e la VIII Divisione (Duca degli AbruzziAttendolo) rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate rispettivamente dalla XII (LanciereCarabiniereCorazziereAscari) e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleScirocco). Comandante in capo è l’ammiraglio Angelo Iachino.
Da parte italiana, però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei. L’ordine per le forze italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva, e di non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
27 settembre 1941
Alle 8.46 l’ammiraglio Iachino riceve notizia dell’avvistamento di uno dei due gruppi navali britannici da un aereo decollato da Cagliari. Altri avvistamenti del medesimo gruppo, in posizioni tra loro concordanti, seguono alle 10.45 ed a mezzogiorno, mentre non giunge nessuna notizia sull’esistenza del secondo gruppo, il più importante data la presenza in esso del convoglio: alle 11.30, pertanto, Iachino fa catapultare un ricognitore dalla Littorio per cercare traccia del secondo gruppo ad ovest della posizione in cui è stato segnalato il primo. Forti scariche che disturbano le comunicazioni radio, tuttavia, impediranno a Iachino di ricevere i segnali di scoperta lanciati da questo aereo, che avvista tra l’altro un gruppo composto da due corazzate, una portaerei e naviglio minore.
A mezzogiorno la III, la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, poi dirigono verso sud (rotta 244°) a 22 nodi per intercettare il convoglio. La III Divisione si posiziona a 10 km per 210° dalla IX Divisione, l’VIII a 10 km per 240°.
Più o meno alla stessa ora, l’ammiraglio Somerville viene informato dell’uscita in mare della flotta italiana.
Sempre a mezzogiorno, dato che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a silurare e danneggiare la Nelson), la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve libertà d’azione); alle 12.30 Iachino ordina pertanto di assumere rotta 210° per dirigere verso il nemico, ed alle 13 accosta per 180° ed accelera a 24 nodi, con l’intento di tagliare la rotta alla squadra britannica. Alle 13.07, quando la squadra è ad una sessantina di miglia da Elmas, l’ammiraglio Iachino chiede la protezion degli aerei da caccia per le 14.
Dal momento che continua a non essere possibile comunicare con il ricognitore catapultato dalla Littorio, alle 13.30 viene fatto lanciare un secondo aereo dalla Vittorio Veneto; questi non avvista tuttavia nessuna nave nemica a causa della scarsa visibilità. Alle 13.50 Iachino fa lanciare un terzo ricognitore, stavolta al Trento, allo scopo di esplorare zigzagando la zona più vicina alla Galite; un quarto segue alle 14, catapultato dal Duca degli Abruzzi con l’ordine di svolgere una crociera protettiva entro una zona distante al massimo 40 miglia dall’VIII Divisione in direzione libeccio, in considerazione della peggiorata visibilità verso sudovest (questo aereo dovrà condurre esplorazione avanzata per allertare tempestivamente gli incrociatori in caso di arrivo di forze navali nemiche). Il vento va intanto crescendo d’intensità e girando da scirocco a mezzogiorno; il mare è leggermente mosso, il cielo coperto con larghi squarci soprattutto verso nord, dove la visibilità è ottima, mentre è da mediocre a cattiva – causa nubi temporalesche e fitta foschia – in direzione opposta, cioè proprio dove si trova la squadra britannica. La visibilità verso sudovest è così ridotta che la III Divisione risulta a malapena visibile dalla IX, nonostante la distanza sia di soli 10 km. Viceversa, la III Divisione vede molto bene la IX, mentre riferisce a sua volta visibilità cattiva verso sud: ne consegue che in caso di incontro i britannici avvisterebbero le navi italiane ben prima che queste abbiano la possibilità di fare altrettanto.
Alle 13.40 viene intercettata una comunicazione che rivela che la squadra italiana è stata avvistata da un aereo britannico decollato da Malta: questi, senza mai apparire alla vista, pedina la flotta italiana fino alle 15.30, inviando periodicamente aggiornamenti sui suoi spostamenti. Dopo le 15.30 verrà rilevato da un altro aereo anch’esso decollato da Malta, che continuerà il pedinamento fino alle 16.49 (dalle 15.15 alle 17.50 le navi italiane saranno pedinate anche da aerei dell’Ark Royal).
Alle 14 Iachino ordina il posto di combattimento, e le corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico. Alle 14.30 il comandante italiano stima che le sue navi distino una quarantina di miglia dal primo gruppo britannico (in realtà, la distanza è di circa 55) ed oltre 85 miglia da Elmas; gli aerei da caccia richiesti per la scorta aerea non sono ancora arrivati, e col crescere della distanza dalle coste sarde diventerà per essi sempre più difficile rintracciare la squadra italiana, oltre a diminuire il tempo in cui potranno rimanere sul loro cielo (mentre le direttive in vigore nella Regia Marina prescrivono che è indispensabile fruire di scorta aerea quando si entra nel raggio d’azione di una portaerei).
Dalle 14.30 alle 15.30 Iachino riceve poche ed incomplete informazioni sulle forze avversarie; alle 15 Marina Cagliari comunica che due ore prima sono state avvistate 23 navi nemiche con rotta 90°, ed alle 15.16 l’aereo catapultato dal Duca degli Abruzzi trasmette un messaggio, ricevuto solo in parte, con cui riferisce di aver avvistato alle 14.25 una portaerei e sei cacciatorpediniere in navigazione verso sud ad alta velocità. Iachino ritiene che la portaerei abbia assunto rotta sud per mettee la prua al vento per lanciare degli aerosiluranti.
Alle 15.30 vengono ricevuti due telegrammi da Cagliari ed un messaggio lanciato dal ricognitore del Trento: i telegrammi da Cagliari riferiscono che alle 13 ed alle 13.50 sono stati avvistati due distinti gruppi di navi britanniche, disposti approssimativamente per meridiano, distanti tra loro una ventina di miglia; il primo gruppo composto da due corazzate, una portaerei, sei incrociatori ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere; il secondo da una corazzata, una portaerei, tre incrociatori di cui uno da 3000 tonnellate, dodici cacciatorpediniere ed otto mercantili. Il messaggio dell’aereo del Trento annuncia invece che alle 15.10 sono stati avvistati due corazzate, una portaerei, due incrociatori da 7000 tonnellate, dieci mercantili ed un numero imprecisato di cacciatorpediniere, con rotta 90° e velocità 16 nodi.
Da questi messaggi Iachino apprezza correttamente che si trovino in mare tre corazzate britanniche, il che pone la squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica. Alle 14.30, considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza di copertura aerea (soltanto sei caccia, con autonomia dalle basi non superiore a 100 km) contro possibili attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei, la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici.
Mentre non si concretizza nessun attacco aereo nemico, si verificano diversi falsi allarmi a causa dell’avvistamento di aerei italiani, scambiati per nemici: una formazione di bombardieri avvistati in lontananza viene inizialmente ritenuta essere composta da Bristol Blenheim britannici, ma si rivela poi essere formata in realtà da Savoia Marchetti S.M. 79 italiani.
Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, i primi ad arrivare sul cielo della formazione, ma per via della loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia con una raffica di mitragliera, mentre gli altri due si allontanano. Il pilota dell’aereo, fortunatamente, rimane illeso e può paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere.
Alle 16.35 sopraggiungono altri caccia della Regia Aeronautica, che permangono sul cielo delle navi per mezz’ora prima di rientrare alla base. Altri velivoli della scorta aerea arrivano verso le 18.
Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e due incrociatori silurati e danneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino del 28 le navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi.
29 settembre 1941
La XIII Squadriglia e la IX Divisione arrivano a Napoli in mattinata.
8 ottobre 1941
Alle 22.20 (o 22.30) il Fuciliere, insieme a Granatiere (caposquadriglia e caposcorta, capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere ed Alpino, salpa da Napoli per scortare a Tripoli il convoglio «Giulia», formato dai piroscafi ZenaBainsizza e Casaregis, dalla motonave Giulia e dalla nave cisterna Proserpina.
Da Trapani dovrebbero unirsi al convoglio anche il piroscafo Nirvo e l’anziana torpediniera Generale Antonino Cascino, ma il Nirvo è colto da un’avaria di macchina subito dopo la partenza da Trapani, e deve così rientrare alle 2.30 del 10 (mentre la Cascino, al contrario, raggiunge il convoglio). Poco più tardi anche il Bainsizza subisce un’avaria di macchina e deve lasciare il convoglio e raggiungere Trapani alle 16 del 10, riducendo così i mercantili a quattro.
Il resto del convoglio imbocca la rotta del canale di Sicilia alla velocità di 9 nodi.
La navigazione del controllo è attentamente monitorata da "ULTRA", l’organizzazione britannica per la decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, che lo stesso 8 ottobre, annuncia ai comandi britannici, sulla scorta di messaggi decrittati, che «Il convoglio Casaregis, comprendente il Casaregis (6485 tsl), lo Zena (5219), il Giulia (5921), il Bainsizza (7933) ed il Proserpina (?) parte da Napoli alle 21.30 del giorno 8, transitando ad occidente (di Malta) diretto a Tripoli alla velocità di 9 nodi. Orario di arrivo ore 18.00 del giorno 11. Scorta 4 cacciatorpediniere. Il Nirvo (5164) ed il ct Cascino si uniranno al convoglio al largo di Trapani». Il giorno seguente "ULTRA" annuncerà l’avvenuta partenza del convoglio, confermando le informazioni del giorno precedente ed aggiungendone altre sull’entità della scorta e sul previsto orario di arrivo a Tripoli: «Casaregis, Zena, Giulia, Bainsizza, Proserpina, Nirvo, scortati da 5 Ct, sono salpati da Napoli alle 21.30 del giorno 8, velocità 9 nodi, per giungere a Tripoli alle 18.00 del giorno 11». Ulteriori decrittazioni seguiranno ancora l’11 ed il 12 ottobre, ma ormai a cose fatte.
9 ottobre 1941
Salpa da Malta per intercettare il convoglio a sud di Lampione il sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta Borys Karnicki), che tuttavia non riuscirà a trovarlo.
10 ottobre 1941
Sulla base delle informazioni di "ULTRA" vengono fatti decollare da Malta dei ricognitori, che trovano il convoglio alle 12.45 circa 35 miglia a sud di Pantelleria.
Per tutta la giornata del 10 ottobre, le navi del convoglio «Giulia» vengono sorvolate da aerei da caccia ed antisommergibile dell’Aeronautica della Sicilia (che per la scorta aerea del convoglio mobilita in tutto venti caccia e dodici bombardieri, questi ultimi dei Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero"), che tengono lontani gli aerei britannici di base a Malta, nonostante la notevole vicinanza dell’isola e la scarsa velocità del convoglio (ma non riescono ad impedire, come detto, il suo avvistamento da parte dei ricognitori).
Al tramonto, come al solito, la scorta aerea lascia il convoglio. Le navi assumono allora la formazione per la navigazione notturna, con i mercantili in doppia linea di fila ed i cacciatorpediniere (eccetto l’Alpino, che si posiziona in coda al convoglio) tutt’intorno.
Il cielo è sereno con ottima visibilità, il mare calmo.
Alle 22.45, dopo un paio d’ore di navigazione indisturbata, i primi aerei britannici fanno la loro comparsa nelle vicinanze del convoglio «Giulia», e presto si scatenano gli attacchi aerei, che proseguono fino all’alba. Mercantili e scorta reagiscono con la manovra e con cortine nebbiogene, sparando qualche raffica di mitragliera quando c’è speranza di colpire qualcosa. Per un’ora è possibile contenere gli attacchi, ed i trasporti evitano alcuni siluri, ma alle 23.45, durante un attacco da parte di sette aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm (sono decollati da Malta in dieci, al comando del capitano di corvetta Hunt: tre sono dovuti rientrare per problemi meccanici), si ha la prima vittima: lo Zena, colpito da un siluro all’altezza della sala macchine. L’Alpino viene distaccato per fornire assistenza alla nave colpita.
11 ottobre 1941
Dato che gli aerei britannici si accaniscono sullo Zena, alle 00.15 anche il Granatiere inverte la rotta per recarsi in suo soccorso. Il resto del convoglio prosegue sotto la guida del Bersagliere, cui alle 00.20 il caposcorta delega la direzione del convoglio fino al suo ritorno.
All’1.05 il Granatiere, informato dall’Alpino circa la situazione dello Zena, torna verso il convoglio, accelerando a 18 nodi per raggiungerlo più in fretta. L’Alpino tenta di prendere lo Zena a rimorchio, ma alle tre di notte il piroscafo s’inabissa in posizione 34°52’ N e 12°22’ E, una quarantina di miglia a sud di Lampedusa.
Nel frattempo, il tempo è cambiato: il cielo è andato coprendosi di nuvolaglia, e si è anche alzato un po’ di vento e di mare da Libeccio.
Il Granatiere torna ad assumere la sua posizione in formazione, ed il suo ruolo di caposcorta, alle 2.20. Di quando in quando i piroscafi, che proseguono su rotta 164°, sparano qualche raffica di mitragliera contro sagome di aerei veri o presunti, apparsi nella notte.
Alle 4.15 Supermarina comunica al caposcorta che è probabile un ulteriore attacco di aerosiluranti, ed alle 5.45, puntualmente, vengono avvistati degli aerei (sono ancora Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. di Malta): viene subito lanciato l’allarme, mentre i primi bengala si accendono nel cielo. Tutte le navi del convoglio iniziano il tiro contraereo, e manovrano per diradarsi ed ridurre quindi la probabilità che i siluri vadano a segno.
Varie esplosioni subacquee, di bombe o siluri, si susseguono alle 5.51, alle 5.56 ed alle 5.58; alle 6.10 il Granatiere vede uno Swordfish che vola molto basso sul mare, sulla sua dritta. Il biplano dirige per lanciare nella direzione del cacciatorpediniere; il caposcorta Capponi riesce a vedere il momento del lancio del siluro, e lo spruzzo d’acqua sollevato dall’impatto dell’arma con la superficie del mare. Il Granatiere accelera e mette tutta la barra a sinistra per evitare il siluro, che dopo pochi secondi centra il Casaregis. Alle 6.30 il caposcorta ordina al Bersagliere di recuperare l’equipaggio del piroscafo silurato; trovandosi già nei pressi, anche il Granatiere rimane per fornire assistenza. Mentre il Casaregis affonda lentamente di prua, Granatiere e Bersagliere recuperano i naufraghi; alle 6.47, intanto, l’Alpino riferisce di aver abbattuto un aereo, precipitato nelle sue vicinanze.
Fallito un tentativo di rimorchio a causa del deterioramento delle condizioni della nave e di un incendio scoppiato a bordo, il Casaregis dev’essere finito a cannonate dal Bersagliere a mezzogiorno, su ordine del caposcorta, in posizione 34°02’ N e 12°42’ E (per altra fonte 34°10’ N e 12°38’ E; circa ottanta miglia a nord-nord-ovest di Tripoli).
Giulia, Proserpina e scorta raggiungono Tripoli alle 16.30.
12 ottobre 1941
Fuciliere, Granatiere (caposcorta), Bersagliere ed Alpino lasciano Tripoli per Napoli alle 20.45, scortando le motonavi Ankara, Reichenfels (tedesche), Vettor Pisani, Fabio Filzi e Sebastiano Venier che ritornano scariche in Italia.
14 ottobre 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 22.

Il Fuciliere (secondo da sinistra) a Messina nel 1941, insieme al resto della XIII Squadriglia (da Francsco Mattesini/www.academia.edu)

7 novembre 1941
All’alba il Fuciliere, insieme a Granatiere (caposquadriglia, capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere ed Alpino, lascia Napoli seguendo a distanza il convoglio «Beta» (poi divenuto meglio noto come "Duisburg"), diretto a Tripoli e formato inizialmente dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), dall’italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani) e dalla grande e moderna nave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati), con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano).
Alle nove del mattino, giunto il convoglio nelle acque della Sicilia, MaestraleEuro e Fulmine ricevono ordine dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Napoli di lasciare il convoglio ed entrare a Messina per rifornirsi, venendo temporaneamente sostituiti nella scorta diretta dalla XIII Squadriglia.
8 novembre 1941
Nelle prime ore della notte MaestraleEuro e Fulmine, una volta rifornitisi, lasciano Messina e tornano ad assumere la loro posizione di scorta, mentre è la XIII Squadriglia ad entrare a Messina per rifornirsi di acqua e di nafta, rimanendo poi a disposizione della III Divisione.
Alle 3.30 escono da Messina le altre navi che dovranno far parte del convoglio «Beta»: il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso Guglielmo Schettini) e la pirocisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco), scortati dai cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò).
La riunione tra i due gruppi del convoglio avviene alle 4.30, a sud dello stretto di Messina; si forma un unico convoglio di sette mercantili scortati da MaestraleLibeccio,  GrecaleOrianiFulmine ed Euro, mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a Messina, escono in mare alle 12.35 (per altra fonte, a mezzogiorno) insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), per fornire scorta indiretta al convoglio.
Il convoglio, il cui carico assomma in totale a 34.473 tonnellate di materiali, 389 autoveicoli e 243 soldati, è stato organizzato per consentire una maggior sicurezza a fronte della dislocazione a Malta di una formazione navale, la Forza K, destinata ad attaccare i convogli italiani per la Libia; inizialmente si era deciso di far seguire alle navi la rotta canale di Sicilia-Pantelleria-Tripoli (passando ad ovest di Malta) con la scorta dell’VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi), ma successivamente si è stabilito che la rotta che transita ad est di Malta sia più sicura, e si è assegnata alla scorta indiretta la più potente III Divisione.
La III Divisione con la XIII Squadriglia si riunisce al convoglio a sud dello Stretto di Messina, ponendosi a poppa dei trasporti e della loro scorta diretta, ed alle 16.30 la formazione è completa; la III Divisione ha l’ordine di tenersi cinque miglia a poppavia del convoglio nelle ore diurne, ed in contatto visivo con esso nelle ore notturne: giunta la sera, le navi di Brivonesi, pertanto, per via della bassa velocità del convoglio (9 nodi), per non perderlo di vista ed al contempo mantenere una velocità adeguata a lasciare una manovrabilità accettabile, devono pendolare lungo la sua rotta sul lato verso Malta, procedendo alternativamente su rotta sud-sud-est e nord-nord-ovest (con gli incrociatori in linea di fila, due cacciatorpediniere a proravia e due a poppavia), a 12 nodi, invertendo la rotta ogni volta che la distanza dal convoglio giunge a cinque miglia. Queste manovre provocheranno però confusione con i cacciatorpediniere della scorta diretta, come l’Euro, per il quale il fatto di aver visto due volte la III Divisione al proprio traverso a dritta durante la serata sarà cruciale in un errore di identificazione che pregiudicherà il suo ruolo nel successivo scontro. Per la scorta aerea (nelle sole ore diurne) vengono utilizzati in tutto 64 aerei, mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio.
Superato lo stretto di Messina, il convoglio dirige verso est e poi accosta a sud, seguendo la rotta che passa ad est di Malta, transitando al largo della costa occidentale greca (in modo da tenersi fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta, stimato in 190 miglia). Nonostante questo (e nonostante l’esecuzione, durante la navigazione verso est, di diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotta), nel pomeriggio, alle 16.45, il convoglio viene egualmente individuato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (una quarantina di miglia ad est di Capo Spartivento), da un ricognitore Martin Maryland della Royal Air Force (69th Reconnaissance Squadron), decollato da Malta e pilotato dal tenente colonnello J. N. Dowland. Nonostante le segnalazioni luminose da parte dei cacciatorpediniere della scorta diretta, la scorta aerea non interviene per attaccare il ricognitore nemico. (Contrariamente a molte altre occasioni, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ha alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»). Il ricognitore non ha, tuttavia, avvistato la III Divisione, della cui presenza gli inglesi saranno all’oscuro per l’intera durata dell’operazine.
Alle 17.30 parte pertanto da Malta la Forza K britannica, composta dagli incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dai cacciatorpediniere Lance e Lively e destinata specificamente all’intercettazione dei convogli italiani diretti in Libia. Una forza nettamente inferiore alla III Divisione, ma appositamente preparata al combattimento notturno, a differenza degli incrociatori italiani, sprovvisti di adeguati telemetri, binocoli a grande luminosità e granate a vampa ridotta, e con equipaggi non specificamente addestrati per combattere di notte.
Le navi italiane, ignare di tutto questo, procedono regolarmente per la loro rotta, con buon tempo (mare calmo, solo nubi leggere nel cielo ed un debole vento forza 3). La visibilità è scarsa quando le nuvole nascondono la luna, mentre torna ad essere eccellente quando le nuvole si allontanano da essa. La scorta aerea viene ritirata al tramonto, ed alle 19.30, dopo aver sino ad allora navigato con rotta 090°, il convoglio «Beta» accosta per 122°, ed alle 19.55 accosta per 161°, sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
La III Divisione, dalla sua posizione a poppa dritta del convoglio, rimonta il convoglio stesso sul suo lato di dritta tra le 22 e le 24, poi accosta ad un tempo e defila di controbordo ai trasporti.
9 novembre 1941
Alle 00.30 la III Divisione accosta a dritta, per riassumere rotta di conserva al convoglio (che ha rotta sud) ed iniziare un altro pendolamento, restando sulla dritta, probabile direzione di provenienza di eventuali attacchi nemici. Il Trieste, nave ammiraglia, dista 4000 metri dall’ultimo cacciatorpediniere della scorta diretta.
Alle 00.39 il convoglio viene avvistato otticamente (il radar non avrà alcun ruolo di rilievo, se non nel puntamento dei cannoni durante il combattimento: le navi italiane – non la III Divisione – vengono avvistate perché illuminate dalla luce lunare) dalla Forza K in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), da una distanza di 5 miglia e su rilevamento 30°. Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvista anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritiene si tratti della III Divisione.
Nel frattempo, pochi minuti dopo l’ultima accostata a dritta delle 00.30, il Trieste intercetta dei segnali radio sconosciuti, trasmessi all’aria e privi di nominativo, che dicono solo “NO30-NO30-NO30-NO30”, la cui intensità sta aumentando rapidamente, indicando il rapido avvicinamento della loro sorgente. Ciò allarma l’ammiraglio Brivonesi, che compila ed ordina di lanciare un messaggio d’allerta a tutte le unità. Ma è troppo tardi.
Dopo aver ridotto la velocità da 28 a 20 nodi ed aver aggirato il convoglio con una manovra che richiede 17 minuti, portandosi a poppa dritta rispetto ad esso (in modo che i bersagli si stagliassero contro la luce lunare), alle 00.57 la Forza K, giunta circa 5 km a sudest del convoglio, apre il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284. La scorta su quel lato del convoglio viene immediatamente scompaginata: il Fulmine affonda dopo pochi minuti, il Grecale viene immobilizzato e messo fuori combattimento, l’Euro – che ha tentato di contrattaccare con i siluri per poi interrompere il contrattacco nel timore di stare per lanciare contro la III Divisione – viene colpito, pur senza riportare danni gravi. Poi, fino alle 2.06, la Forza K gira intorno al convoglio in senso antiorario, facendo fuoco contro i trasporti: uno dopo l’altro, tutti e sette i mercantili vengono ridotti a dei relitti in fiamme, alcuni dei quali affondano subito, mentre altri bruceranno per ore (la Minatitlan affonderà solo il mattino successivo).
La III Divisione e la XIII Squadriglia al momento dell’attacco stanno pendolando alla velocità di dodici nodi a poppavia e ad est (sulla dritta) del convoglio, sulla stessa rotta ed ad una distanza di tre miglia (4-5 km); Trento e Trieste procedono in linea di fila, distanziati di circa ottocento metri l’uno dall’altro, preceduti da Granatiere (a sinistra) e Bersagliere (a dritta), che precedono di 2000 metri il Trieste sul rilevamento 30° dalla prua, e seguiti da Fuciliere ed Alpino, rispettivamente a dritta ed a sinistra, a poppavia del Trento.
Il Trieste sta per lanciare il suo messaggio d’allerta, quando alle 00.59 la III Divisione avvista quasi di prora delle vampe di artiglierie ed identifica le unità la Forza K, a 7000 metri di distanza e su rilevamento 155°. Il Bersagliere ha avvistato gli incrociatori nemici appena prima che questi aprano il fuoco, ma il suo segnale di scoperta arriverà nelle mani di Brivonesi ad attacco già in corso. Trieste e Trento aprono il fuoco all’1.03 (negli stessi minuti anche il Bersagliere va all’attacco senza risultato); entro questo momento, però, i mercantili del convoglio sono già stati pressoché tutti colpiti e ridotti a dei relitti.
All’1.01 la III Divisione, su ordine di Brivonesi, invece che dirigere verso sudest (ove si trova la Forza K) per ridurre le distanze ed attaccare subito il nemico impegnando anche nella mischia i cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, accosta (allarga) a dritta in modo da dispiegare la formazione in linea di combattimento e permettere agli incrociatori di puntare sul nemico tutti i cannoni del calibro principale; ma così si perdono diversi minuti, e si rinuncia all’impiego dei quattro cacciatorpediniere, che si spostano sul lato opposto della formazione per lasciare libero il campo di tiro degli incrociatori.
Si tenta di guadagnare velocità, ma con fatica, anche perché gli apparati motori dei “Trento”, ormai anziani, non rispondono abbastanza rapidamente. L’accostata del Trieste è superiore a 50°, onde permettere miglior visione della situazione e lasciare il campo di tiro del Trento libero dai cacciatorpediniere di scorta, ma ciò fa prolungare ulteriormente la manovra, che porta le navi di Brivonesi ad assumere una rotta verso sud che le allontana dalla Forza K, dopo di che la III Divisione assume per poco tempo rotta 240° e subito dopo Brivonesi ordina di accostare di sinistra, poi – l’apertura del fuoco da parte della III Divisione avviene tra l’1.03 e l’1.05, contro un incrociatore della Forza K, ma le unità britanniche hanno buon gioco ad occultarsi nelle cortine fumogene e dietro i mercantili in fiamme –, all’1.08-1.09 i due incrociatori accostano a dritta, assumono rotta 180° e ricostituiscono la linea di fila, avvistando la Forza K a proravia del traverso a sinistra. Mentre la Forza K procede verso sud a 20 nodi, Trento e Trieste procedono a soli 15-16 nodi, nonostante siano i più veloci incrociatori pesanti italiani, capaci di sviluppare una velocità più che doppia. Ne consegue che la distanza con il nemico aumenta.
All’1.12 la velocità viene portata a 18 nodi ed all’1.25 la III Divisione raggiunge una velocità di 24 nodi, ma proprio a quest’ora il Trieste cessa il fuoco, avendo i cannoni alzo per 17.000 metri, dal momento che il tiro illuminante è ormai divenuto inutile a fronte dell’enorme distanza venutasi a creare con il nemico.
All’1.26 la Forza K appare nascosta dal fumo dei mercantili in fiamme, ed all’1.29 (1.26 per altra fonte) la III Divisione inverte la rotta ad un tempo verso nord, a 24 nodi. L’ammiraglio Brivonesi, infatti, ha correttamente intuito che la Forza K sta circumnavigando il convoglio in senso antiorario, verso est e poi verso nord, e con l’accostata verso nord intende intercettare le navi britanniche a poppavia del convoglio stesso, tagliando loro la rotta, quando queste, finito di aggirare e distruggere il convoglio ormai perduto, dirigeranno per rientrare a Malta. L’idea non è sbagliata, dato che tra la III Divisione e la Forza K c’è il convoglio, ma per tutta la durata dell’azione la III Divisione – a dispetto della grande velocità che Trento e Trieste sono stati concepiti per avere – mantiene un’insufficiente velocità che varia tra i 16 ed i 20 nodi, ben al di sotto di quella che si potrebbe sviluppare; per giunta, all’1.13 Brivonesi viene informato da Supermarina – sulla base di intercettazioni radiogoniometriche – del rischio di un attacco di aerosiluranti, per quanto si sia al di fuori del raggio d’azione di quelli di base a Malta, e di conseguenza l’ammiraglio pensa, erroneamente, che sia in mare nelle vicinanze una portaerei britannica (tipo di nave di cui la Mediterranean Fleet, al contrario, non dispone più da sei mesi); al contempo, vedendo le sue navi illuminate dagli incendi dei mercantili in fiamme, l’ammiraglio teme anche di essere divenuto troppo facimente avvistabile da eventuali sommergibili oltre che dagli aerosiluranti. Il risultato è che, tre minuti dopo l’inversione di rotta verso nord, la III Divisione cessa il fuoco e si allontana sia dal convoglio che dal previsto punto d’incontro con la Forza K, mentre quest’ultima prosegue nel suo tiro contro il convoglio ormai indifeso per altri 37 minuti.
La III Divisione e la Forza K si sono essenzialmente scambiate di posizione rispetto al convoglio, con la III Divisione che finisce a sudovest e la Forza K a nordest. La Forza K non solo non è stata colpita da nessun proiettile sparato dalle navi di Brivonesi, ma nemmeno si è accorta di essere sotto tiro da parte di incrociatori nemici: solo alle 00.52, infatti, prima ancora di iniziare l’attacco, le unità britanniche hanno avvistato la III Divisione nel buio, ma hanno pensato che si trattasse di un secondo convoglio che seguisse il primo, forse una sua sezione in ritardo sul grosso, e che hanno stimato essere formato da due mercantili e due cacciatorpediniere. Durante tutta l’azione contro il convoglio la Forza K non noterà traccia alcuna del blando contrattacco della III Divisione, ed alla fine riterrà di aver affondato anche i due “mercantili” del “secondo” convoglio, indicando nel rapporto in nove, anziché in sette, il numero dei trasporti affondati. (Per altra versione, il contrattacco fu notato ma si ritenne che si trattasse proiettili da 120, invece che da 203, sparati da altri due cacciatorpediniere, avvistati verso nord, cui rispose solo l’Aurora con i cannoni secondari da 102 mm, senza ovviamente colpire data la grande distanza).
All’1.35, come l’ammiraglio Brivonesi comunica a Supermarina (aggiungendo che il convoglio è stato distrutto), la III Divisione assume rotta d’evasione verso nordovest, allontanandosi rapidamente e rinunciando definitivamente ad intercettare la Forza K, per porsi, all’alba, sotto la protezione della caccia aerea di base in Sicilia.
Terminata la distruzione del convoglio, la III Divisione ritorna sul posto per proteggere le operazioni di soccorso, e FuciliereBersagliere ed Alpino vengono distaccati per recuperare i 764 naufraghi insieme a MaestraleOrianiEuro e Libeccio. In mattinata, alle 6.40, il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) silura e danneggia gravemente il Libeccio impegnato nel recupero dei naufraghi: l’esplosione del siluro asporta la poppa del cacciatorpediniere, che però sembra inizialmente resistere. L’Euro, inizialmente affiancatosi all’unità danneggiata per recuperarne l’equipaggio, tenta di prenderla a rimorchio, ma gli allagamenti continuano ad estendersi nonostante gli sforzi dell’equipaggio del Libeccio: alle 11.15, infine, il cacciatorpediniere silurato si abbatte sulla dritta, impenna la prua ed affonda. Fuciliere, Maestrale ed Euro recuperano i superstiti, compresi numerosi naufraghi del Fulmine che erano stati in precedenza tratti in salvo dal Libeccio, solo per subire un secondo affondamento.
In tutto il Fuciliere recupera 20 naufraghi.
Mentre sono in corso i tentativi di salvare il Libeccio, alle 10.26, l’Upholder torna a quota periscopica ed avvista Trento e Trieste, che però sono troppo lontani per tentare un attacco. Alle 10.55 l’Upholder li avvista di nuovo, stavolta in avvicinamento, ed alle 10.55 lancia i suoi ultimi tre siluri contro il Trento, da 2300 metri. Uno inizia a girare in tondo a causa di un’avaria alla girobussola, passando due volte sulla verticale del sommergibile, che intanto è sceso in profondità; gli altri due mancano il bersaglio.
La III Divisione rientra a Messina alle 22.30.
12 novembre 1941
Il marinaio cannoniere Antonio Maio, di 22 anni, da Bagnara Calabra, muore a bordo del Fuciliere nel Mediterraneo centrale.
21 novembre 1941
Alle 8.10 (7.30 per altra fonte) il Fuciliere (capitano di fregata Giovanni Cerrina Feroni) parte da Napoli unitamente a Granatiere (caposquadriglia, capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere (capitano di fregata Giuseppe De Angioy) ed Alpino (capitano di fregata Agostino Calosi) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di vascello Vittorio De Pace) e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni; nave di bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due convogli partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi poi riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani e la motonave cisterna Iridio Mantovani, scortate dai cacciatorpediniere VivaldiPessagnoDa Noli e Turbine e dalla torpediniera Perseo) e l’«Alfa» (salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano Venier scortate dai cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti).
Entrambi dovranno seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
Sono in mare anche due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto e l’altro (nave cisterna Berbera e torpediniera Pegaso) salpato da Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Infine, l’incrociatore leggero Luigi Cadorna è partito da Brindisi per trasportare a Bengasi un carico di benzina, e da Tripoli prendono il mare le navi qui rimaste bloccate a inizio novembre, per rientrare in Italia.
Si tratta di una grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio “Duisburg”, i rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica “Crusader”, con la quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa Settentrionale.
La VIII Divisione, insieme alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori pesanti TrentoTrieste e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dovranno fornire protezione all’intera operazione.
Per evitare che il nuovo convoglio faccia la stessa fine del “Duisburg”, distrutto dalla Forza K britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Sette sommergibili vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola per vigilare su eventuali sortite delle forze navali ivi basate, con compito esplorativo ed offensivo.
L’VIII Divisione, che parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco aereo scatenatosi sul porto partenopeo proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli ormeggi (il che ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto), assume rotta sud a 18 nodi e dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In mattinata l’VIII Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come pianificato: idrovolanti antisommergibili e 41 pattuglie di caccia Macchi Mc 200 del 21° Gruppo Caccia della 3a Squadra Aerea.
Alle 10.24 sopraggiungono anche tre aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” e un Caproni Ca. 313 della Scuola Aerosiluranti di Capodichino che effettuano esercitazioni di attacco con lancio simulato contro il Duca degli Abruzzi
Il convoglio «Alfa» è stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione nell’operazione.
Il convoglio «C», invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i relativi cacciatorpediniere. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia, anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode, sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche modificare la rotta.
Alle 19.50 il convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona, scortata dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia e Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia.
La VIII Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera contro tali velivoli.
I ricognitori non perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia notturna, con l’VIII Divisione e la XIII Squadriglia in posizione difensiva sul fianco dritto del convoglio, a protezione contro le provenienze da Malta, e la III con la XI e XII Squadriglia su quello sinistro. Tale cambiamento di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da parte di aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron e Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm e da bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a Malta); ed anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 21.45 un gruppo di crittografi di Maristat imbarcati sul Gorizia intercetta una comunicazione radiofonica poco distante, di cui non riesce tuttavia a decifrare le parole; alle 22 viene intercettato e stavolta decifrato un messaggio di un bombardiere, identificato con la sigla RPP, che comunica al Comando della RAF di Malta “Ho avvistato il nemico a … miglia per 230° da Reggio. Rotta nemico per 210°, velocità 9”. Tale messaggio viene intercettato e decifrato anche a Roma, alle 22.30, e Supermarina dirama di conseguenza un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) con cui si avverte “Posizione del nemico a miglia 10-15 (gruppo dubbio) per 230 da Reggio – rotta 210 – velocità 9”.
Alle 22.34 la formazione italiana viene sorvolata da un aereo proveniente da sud, che viene avvistato dal Fuciliere, e poi illuminata da un bengala lanciato da un Wellington del 69th Squadron della RAF. Alcune delle navi aprono il fuoco contro gli aerei (di cui si vedono i fanali verdi accesi nell’oscurità), violando gli ordini dell’ammiraglio Lombardi di non aprire il fuoco per non permettere all’avversario di meglio identificare posizione e direttrice di marcia del convoglio.
Alle 22.45, per ordine dell’ammiraglio Lombardi, i mercantili del convoglio si dispongono su due colonne parallele; l’VIII Divisione si posiziona sulla dritta del convoglio, con la XIII Squadriglia in posizione di scorta avanzata di prora all’VIII Divisione, mentre la III Divisione fa lo stesso sul lato sinistro.
Alle 23.12 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°, stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e lancia quattro siluri contro il Trieste, il quale alle 23.12 viene colpito da una delle armi in corrispondenza della caldaia numero 3, che esplode: l’incrociatore subisce danni gravissimi, rimanendo immobilizzato, senza corrente elettrica e con diversi compartimenti allagati.
Corazziere, Carabiniere e la torpediniera Perseo rimangono ad assistere l’incrociatore danneggiato, mentre il resto della formazione prosegue (il Trieste riuscirà a rimettere in moto alle 00.38 e raggiungerà Messina alle 7.30).
22 novembre 1941
Alle 00.30 diverse unità comunicano di sentire rumore di aerei, e poco dopo numerosi bengala si accendono nel cielo a nord del convoglio, su rotta approssimativamente parallela alla sua. Il Duca degli Abruzzi accosta a dritta accelerando a 18 nodi, e l’ammiraglio Lombardi ordina a tutte le unità di accostare ad un tempo di 90° verso sud, dando la poppa ai bengala. Alle 00.38, quando l’accostata è quasi completa, il Duca degli Abruzzi viene colpito a poppa dritta da un siluro lanciato da un aerosilurante Swordfish dell’830th Squadron – un altro aereo dello stesso tipo viene abbattuto, con la morte del pilota e la cattura del navigatore –, fermando le macchine ma continuando l’accostata a causa dell’abbrivio e del timone rimasto bloccato alla banda (per altra fonte, il comandante del Duca degli Abruzzi avrebbe fatto mettere le macchine a 30 giri per evitare di fermarsi del tutto, dato che l’accensione di altri bengala nel cielo della formazione indicava che il rischio di ulteriori attacchi persisteva; l’incrociatore avrebbe di conseguenza iniziato a compiere giri sulla dritta per via del timone bloccato).
La conseguente menomazione della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia, cui successivamente si aggiunge anche il cacciatorpediniere Turbine, rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi: quest’ultimo rimette in moto già alle 00.40, non avendo subito danni nei locali dell’apparato motore; gli allagamenti vengono anch’essi agevolmente contenuti, ma il siluro, che ha colpito a poppa, ha causato seri danni al timone, il che impedisce all’incrociatore di governare.
A partire dalle 00.40 l’ammiraglio Lombardi ordina ai cacciatorpediniere di fare nebbia (inizialmente rimangono a prestare assistenza all’incrociatore silurato Fuciliere e Granatiere, che tentano di occultarlo con la continua emissione di cortine nebbiogene), comunica di essere stato silurato, ordina alla XIII Squadriglia di dargli assistenza ed all’una di notte ordina anche al Garibaldi di rimanere sul posto, per contrastare eventuali attacchi di forze navali nemiche contro il Duca degli Abruzzi ed il Trieste.
Per quasi tre ore il Duca degli Abruzzi gira in tondo – pur di non restare fermo, bersaglio immobile e fin troppo facile per gli attaccanti – mentre l’equipaggio ripara i danni agli apparati di governo, sotto la protezione di Garibaldi e XIII Squadriglia che lo occultano con cortine nebbiogene e sparano intensamente con le Mitragliere contro bombardieri ed aerosiluranti che seguitano ad attaccare. All’1.40 l’Alpino tenta di prendere a rimorchio l’incrociatore, che non riesce a governare, ma all’1.54, quando viene messo in forza il rimorchio, il cavo dev’essere mollato per la rottura del maniglione della braga dell’Alpino, ed il tentativo viene così abbandonato.
Alle 3.23, finalmente, il timone è riparato ed il Duca degli Abruzzi è in grado di fare rotta per le coste della Calabria, alla velocità di 6 nodi.
Successivamente arrivano sul posto anche altre siluranti, che rinforzano la scorta dell’incrociatore silurato; alle 7 del mattino l’incrociatore danneggiato è circondato dai cacciatorpediniere GranatiereFuciliere,Alpino, CorazziereCarabiniereVivaldiDa NoliTurbine e dalla torpediniera Perseo. Tutte le siluranti evoluiscono intorno al Duca degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo.
L’incrociatore, assistito dal rimorchiatore Impero (per altra fonte, trainato a cinque nodi da due rimorchiatori che l’hanno raggiunto alle 8.16 insieme a due MAS inviati da Marina Messina) e scortato da GranatiereFuciliereAlpinoVivaldiDa Noli e Perseo, riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42, mentre CorazziereCarabiniere e Turbine dirigono per Reggio Calabria.
29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed il 30 novembre sono partiti, o devono partire, quattro convogli e cinque unità militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico, da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi; cacciatorpediniere Nicolò Zeno, da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori britannici, una consistente forza di protezione consistente nella corazzata Duilio (comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), nella VII Divisione (AttendoloMontecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereGeniereCamicia Nera) e nella VIII Divisione (il solo incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi, più due cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, mentre il resto di tale squadriglia accompagna la Duilio).
La XIII Squadriglia (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino) salpa da Taranto insieme alla Duilio alle 19.30 del 29, per fornire sostegno alla VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) uscita dallo stesso porto a mezzogiorno insieme alla XI Squadriglia, quale punta avanzata della formazione italiana, per posizionarsi a metà strada tra Taranto e Bengasi. Il mattino del 30 la XIII Squadriglia e la Duilio si congiungono con Garibaldi, Carabiniere e Corazziere, usciti da Messina alle 22.20; il gruppo così formato dovrebbe congiungersi con la VII Divisione per fronteggiare la minaccia posta dagli incrociatori britannici di base a Malta, ma il Garibaldi è colto da una grave avaria di macchina che limita la sua velocità massima a 15 nodi, costringendolo a rientrare in porto assieme alla Duilio che gli fornisce assistenza. Duilio, Garibaldi ed i relativi cacciatorpediniere raggiungono Taranto alle 11.20 del 1° dicembre.
1° dicembre 1941
Fuciliere, Bersagliere, Aviere, Geniere, Granatiere, Montecuccoli, Attendolo e Duca d’Aosta, in navigazione nel Golfo di Taranto, vengono avvistati alle 4.37, in posizione 39°08’ N e 17°31’ E, dal sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn). Stimata la rotta delle navi come 030°, l’Upholder si avvicina per attaccare; alle 4.45 la formazione italiana accosta proprio verso il sommergibile britannico, che due minuti dopo s’immerge per continuare la manovra d’attacco al periscopio, ed alle 5.01 lancia quattro siluri contro l’incrociatore di coda da 915 metri di distanza. Nessuno dei siluri va a segno; alle 5.45 l’Upholder riemerge per lanciare il segnale di scoperta, ma non riesce a mettersi in contatto con Malta.
9 dicembre 1941
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere ed Alpino, in navigazione di trasferimento da Taranto a Napoli, vengono avvistati alle 5.39 dal sommergibile britannico Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward), dopo che alle 5.30 questi ne ha captati i rumori all’idrofono in posizione 37°42’ N e 15°49’ E. L’Unbeaten avvista solo tre dei quattro cacciatorpediniere, identificandoli erroneamente come unità classe Dardo; pur avendo preparato i siluri, Woodward avvista i cacciatorpediniere, diretti proprio verso il suo battello, quando sono già troppo vicini, con il rischio che passino sotto i loro scafi senza esplodere. Decide pertanto di non attaccare.
13 dicembre 1941
Alle 17.40 (o 17.52) il Fuciliere salpa da Napoli insieme a Bersagliere, Granatiere ed Alpino scortando la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), formata da Littorio e Vittorio Veneto, in trasferimento a Taranto per partecipare all’operazione di traffico «M. 41».
L’operazione è stata concepita per rifornire le forze italo-tedesche in Nordafrica, che si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti in seguito alle gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader».
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Oltre alla copertura fornita dalla IX Divisione, che deve posizionarsi nel Mediterraneo centrale per tutelare i convogli in mare contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi, pronto all’intervento. 
Il convoglio «N» deve fruire della protezione della corazzata Andrea Doria, degli incrociatori leggeri Attendolo e Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione) e dei cacciatorpediniere Geniere, CarabiniereCorazziereAviereAscari e Camicia Nera, mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
La partenza da Napoli della IX Divisione avviene nel massimo segreto: per ingannare eventuali agenti britannici, inducendoli a credere che le corazzate debbano restare in porto, è stato concesso anche un (limitato) numero di licenze a marinai dei loro equipaggi.
Dopo aver lasciato il porto le due corazzate, precedute dai cacciatorpediniere della XIII Squadriglia che procedono in linea di fila, seguono la rotta di sicurezza fino al passaggio della Bocca piccola, tra Capri e Punta Campanella, per poi dirigere a 18 nodi verso lo stretto di Messina, in condizioni di mare calmo e bel tempo. Le vedette sono all’erta, essendo la zona teatro di frequenti agguati dei sommergibili britannici. I cacciatorpediniere si dispongono a proravia della Littorio in posizione di scorta ravvicinata.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a Supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare; alle 23 la IX Divisione riceve ordine di dirigere per Taranto, regolando la navigazione in modo tale da attraversare lo stretto di Messina dopo l’alba: in seguito al siluramento di Trieste e Duca degli Abruzzi tre settimane prima, infatti, si vuole evitare attraversare quella zona di notte.
Ciò non basterà ad evitare danni.
14 dicembre 1941
Alle 8.40 il sommergibile britannico Urge (capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), portatosi a quota periscopica dopo aver rilevato rumore di navi, avvista Littorio e Vittorio Veneto (che identifica erroneamente come corazzate classe Cavour) in navigazione attraverso lo stretto di Messina con rotta sud, a 17 nodi, scortate da quattro cacciatorpediniere. Portatosi in posizione d’attacco, alle 8.58 l’Urge lancia quattro siluri da 2700 metri contro la Vittorio Veneto, la corazzata di coda; tre minuti dopo uno dei siluri va a segno, danneggiando gravemente la corazzata, che si trova in quel momento in posizione 37°52’ N e 15°30’ E (secondo l’Urge; 37°53’ N e 15°29’ E per le fonti italiane), una decina di miglia ad ovest-sud-ovest di Capo dell’Armi.
La nave rallenta e sbanda a sinistra, imbarcando in breve tempo tremila tonnellate d’acqua (l’Urge viene poi sottoposto a contrattacco per mezz’ora da parte della scorta, con il lancio di 40 bombe di profondità); inizialmente l’ammiraglio Iachino, sopravvalutando la gravità del danno, ordina alla Vittorio Veneto – che riesce a sviluppare una velocità di 21 nodi – di dirigere per Messina e distacca il Fuciliere e le torpediniere Clio e Centauro per scortarla, ma alle 9.12 la Vittorio Veneto riesce ad assumere rotta 150° ed a seguire la Littorio verso Taranto; alle 9.24 la corazzata danneggiata incrementa la velocità a 23,5 nodi, ed alle 12.45 si ricongiunge con la Littorio.
Nelle ore seguenti si verificano altri allarmi per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione che un gruppo di aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non alla fine non succede niente.
Durante la navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti della X Squadriglia ed il Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere, il Camicia Nera (XI Squadriglia), il Vivaldi ed il Da Noli (XIV Squadriglia) sempre da Taranto e le torpediniere Aretusa e Lince, mentre le torpediniere Centauro e Clio lasciano la scorta e raggiungono Messina. Alle 11.45 ed alle 14.30 la Littorio lancia i suoi due idroricognitori per esplorare il mare in direzione di Malta.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
16 dicembre 1941
Alle 20 il Fuciliere lascia Taranto insieme ai cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere, Alpino (coi quali forma la XIII Squadriglia), Oriani, Gioberti, Maestrale (X Squadriglia), CorazziereCarabiniere ed Usodimare (XII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione, ammiraglio Angelo Parona) ed alle corazzate Giulio CesareAndrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor PisaniMonginevroNapoli ed Ankara, che trasportano 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (SaettaVivaldiMalocelloDa ReccoDa NoliPessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (AnkaraSaetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come convoglio "L"). In tutto i mercantili trasportano 6869 tonnellate di materiali vari, 2738 tonnellate di munizioni, 859 tonnellate di nafta e 103 tonnellate di olio per le forze italiane, e 3540 tonnellate di materiali, 761 tonnellate di carburante e 312 automezzi per le forze tedesche.
L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, sia con funzioni di ricognizione che di protezione antiaerea ed antisommergibili, e di una forza navale di copertura ravvicinata (corazzata Duilio, con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri Duca d’Aosta – con a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere AscariAviere e Camicia Nera). Inoltre, sei sommergibili sono schierati con compiti esplorativi-offensivi nel Mediterraneo centro-orientale, e vengono posati nuovi campi minati al largo della Tripolitania. Prima dell’uscita in mare del convoglio e dei gruppi di scorta, tutti i mezzi antisommergibili disponibili hanno condotto un approfondito rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto, per sventare paventati agguati subacquei come quelli che hanno mandato a monte l’operazione «M. 41».
In base all’ordine d’operazioni, la XIII Squadriglia deve salpare da Napoli alle 10.30 per portarsi nel punto convenzionale "A2", indi compiere a 18 nodi un rastrello di quattro miglia per parte sulla rotta del convoglio fino a 30 miglia a sud del punto "A2", rientrando in porto dopo che il convoglio è passato dal punto "A2" ed ormeggiandosi al pontile Chiapparo per rifornirsi al completo e poi uscire nuovamente in mare alle 20, insieme alla XII Squadriglia, precedendo la Littorio. Poi le corazzate e la III Divisione (che è salpata un’ora prima), intervallate di dieci miglia, procederanno direttamente verso il punto 36°54’ N e 19°00’ E, per fornire appoggio strategico contro un’eventuale uscita da Alessandria del grosso della Mediterranean Fleet.
Una volta in franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Fuciliere assume rotta 156° e velocità 20 nodi; la III Divisione e la X Squadriglia si portano dieci miglia a proravia della Littorio, con la quale invece rimangono i cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia. La formazione regola la navigazione in modo da trovarsi per le 7.30 del 17 nel punto 36°54’ N e 19°00’ E, da dove assumerà rotta sudest fino a mezzogiorno; poi, in base all’ordine d’operazione (e salvo diverse necessità operative), dovrà proseguire verso sud, con ampi zigzagamenti intorno a tale direttrice, mantenendosi ad est dei convogli, in modo da trovarsi in posizione approssimata 32°40’ N e 16°40’ E il mattino del 18, per eventuale azione di appoggio.
Alle 22.10 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle 22.34 l’Utmost lancia quattro siluri da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile britannico Unbeaten, che ne comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna militare Breconshire, con 5000 tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori leggeri Naiad (nave ammiraglia di Vian) ed Euryalus, dall’incrociatore antiaerei Carlisle e dai cacciatorpediniere JervisHavockHastyHiramKimberleyKingstonKipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (SikhLegionMaoriLanceLivelyLegion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle otto del mattino, dopo una navigazione notturna priva di eventi, il gruppo «Littorio» dirige per sudest, in attesa di eventuali avvistamenti di navi nemiche provenienti da est. La Littorio procede in testa, seguita in linea di fila da Doria e Cesare, mentre i cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia sono disposti in scorta ravvicinata di prora e sui lati. Sopraggiungono i primi velivoli della scorta aerea: prima due Junkers Ju 88 della Luftwaffe di base in Sicilia, poi Savoia Marchetti S.M. 79 e CANT Z. 1007 bis italiani.
Alle 9 la formazione britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e soprattutto la Breconshire è stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico persisteranno nello scambiare la Breconshire per una corazzata.
In seguito a tale comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima (Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza della Breconshire diretta a Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio, sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un erroneo avvistamento di fumo all’orizzonte su rilevamento 195° da parte dell’Oriani alle 15.43, smentito tuttavia dallo stesso Oriani dopo due minuti) l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X Squadriglia Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per 200° dalla Littorio, mentre la XII e XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ricevono ordie di assumere posizione di scorta ravvicinata) e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso il nemico.
Alle 17.40, mentre il sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio adeguato.
Alle 17.52 l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso sud con la scorta di Havock e Decoy, poi dirige verso la squadra italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare la Breconshire con cortine fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante, indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi di Vian, da 29.000 metri di distanza, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori leggeri AuroraPenelopeNaiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche.
Calato poi il buio, alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12 Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa). Lo scontro, che prenderà il nome di prima battaglia della Sirte, ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est della formazione.
Durante la sera e la notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°, tenendosi ad est del convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del mattino, Granatiere e Corazziere entrano in collisione, distruggendosi a vicenda la prua. Alle 7.12 la III Divisione e la X Squadriglia ricevono ordine di dare loro assistenza; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto.
OrianiMaestrale e Gioberti, cui più tardi si unisce lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a raggiungere Navarino.
Alle 15 del 18 dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a destinazione l’indomani (pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
19 dicembre 1941
A mezzogiorno il gruppo «Littorio»  viene avvistato in posizione 39°14’ N e 17°49’ E, su rilevamento 235°, dal sommergibile polacco Sokol (capitano di corvetta Borys Karnicki), che dieci minuti prima ha rilevato rumore di motrici di navi su rilevamento 220°. Karnicki identifica la flotta avversaria come composta da due corazzate (in realtà sono tre: Littorio, Cesare, Doria), due incrociatori (Trento e Gorizia) e dieci cacciatorpediniere (Fuciliere, Granatiere, Bersagliere, Alpino, Corazziere, Carabiniere, Maestrale, Oriani, Gioberti, Usodimare), con un “ombrello” di dieci aerei nel loro cielo; le navi italiane hanno rotta 295° e velocità 20 nodi, la distanza dall’incrociatore più vicino è di oltre 9 km. Alle 12.15 la flotta italiana vira verso nord e scompare alla vista del Sokol, passando tra quest’ultimo ed il sommergibile britannico Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward), che forma uno sbarramento al largo del Golfo di Taranto insieme al Sokol ed al P 31 (tenente di vascello John Bertram de Betham Kershaw). L’Unbeaten avvista fumo su rilevamento 040°, ma poco dopo viene avvolto da un piovasco, che gli impedisce di avvistare le navi italiane,
Il gruppo «Littorio» arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
23 dicembre 1941
Fuciliere e Bersagliere (capo sezione) salpano da Augusta alle 10.30 per trasportare a Tripoli cento (per altra fonte 122) tonnellate di benzina tedesca in fusti (od in lattine).
24 dicembre 1941
Arrivati a Tripoli alle 12.30, i due cacciatorpediniere vi scaricano la benzina per poi ripartire dalle 18.30, con a bordo un gruppo di prigionieri da portare in Italia. In uscita da Tripoli, mentre è in corso un pesante attacco aereo, Fuciliere e Bersagliere si accodano ad un altro gruppo di cacciatorpediniere anch’essi di ritorno in Italia con prigionieri a bordo, ossia Vivaldi, Da Recco ed Usodimare. In tutto i cinque cacciatorpediniere hanno a bordo 870 prigionieri (460 europei e 410 di colore) scortati da 45 soldati e tre ufficiali.
Le cinque unità, costituendo un’unica formazione su due colonne (il cui comando va al capitano di vascello Giovanni Galati del Vivaldi), seguono a 27 nodi una rotta che passa ad est di Malta anziché, come prescritto dagli ordini ricevuti in precedenza, ad ovest dell’isola: tale variazione è stata decisa dal comandante Galati di propria iniziativa, alle ore 21 del 24, sulla base del fatto che i suoi cacciatorpediniere sono stati attaccati da bombardieri britannici dopo aver assunto la rotta definitiva per Lampione, il che dà motivo di credere che ormai i britannici conoscano con certezza gli elementi della navigazione delle navi italiane, cosa che renderebbe estremamente facile, per il nemico, organizzare la loro intercettazione nelle acque di Lampedusa. Considerato anche che le sue navi, avendo a bordo ciascuna circa 300 tra prigionieri, operai e militari di scorta e di passaggio, sono in condizioni tutt’altro che ottimali per un combattimento notturno, Galati decide di cambiare radicalmente il percorso da seguire, e pertanto cambia rotta in modo da passare 100 miglia ad est di Malta, invece di percorrere il Canale di Sicilia come previsto. La velocità viene portata a 25 nodi, in modo da essere al traverso di Malta non più tardi delle prime luci dell’alba.
25 dicembre 1941
I cacciatorpediniere giungono a Napoli a mezzanotte.
Inizio 1942
In seguito alla collisione che ha messo fuori uso Granatiere e Corazziere per diversi mesi, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere viene sciolta e le sue unità vengono assegnate alle altre due squadriglie composte da unità classe Soldati: la XIII Squadriglia viene così ad essere composta da Fuciliere, Bersagliere, Alpino, Lanciere e Carabiniere.
3 gennaio 1942
Il Fuciliere lascia Messina per Tripoli alle 10.15, insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, comandante dei cacciatorpediniere della scorta diretta), Nicoloso Da ReccoAntoniotto UsodimareBersagliere, scortando le motonavi Nino BixioLerici e Monginevro, nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». Il Fuciliere e gli altri cacciatorpediniere del suo gruppo si sono trasferiti da Napoli a Messina il giorno precedente, rifornendosi nel porto siciliano prima di prendere il mare per la missione.
Le tre motonavi formano il convoglio n. 1 di tale operazione; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di «scorta diretta incorporata nel convoglio» (gruppo «Duilio», al comando dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia di Bergamini) con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), Raimondo MontecuccoliMuzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere MaestraleSciroccoAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (gruppo «Littorio», al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio (nave di ammiraglia di Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e dai cacciatorpediniere AviereGeniereCarabiniereAlpinoCamicia NeraAscariAntonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 7 e le 11, come previsto, il convoglio n. 1 si unisce ai convogli 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere OrsaAretusaCastore ed Antares) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da Taranto e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Nomis di Pollone. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Poco dopo le tre di notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito alcun attacco. Complessivamente, con questo convoglio giungono in Libia oltre 15.000 tonnellate di carburante, 12.500 di munizioni, 650 veicoli e 900 soldati.
Il Fuciliere si unisce poi al gruppo «Littorio» di ritorno in Italia. Alle 14.53 tale gruppo viene avvistato dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett) in posizione 40°07’ N e 17°07’ E: dapprima l’Unique rileva rumore distante di navi su rilevamento 140°, poi (alle 14.56) avvista le alberature di una nave su rilevamento 130°, indi (14.58) avvista altre navi ed alle 15 si ritrova davanti una corazzata (la Littorio), un incrociatore e cinque cacciatorpediniere. Portandosi a quota periscopica, alle 15.05 il sommergibile perde momentaneamente il controllo dell’assetto prima di poter osservare i suoi bersagli, ed alle 15.10 rileva i rumori di un cacciatorpediniere vicinissimo, il che lo induce a scendere a 15 metri; tornato a quota periscopica alle 15.24, Collett scopre che la Littorio ha intanto cambiato rotta, ma alle 15.30, pur essendo in una posizione poco favorevole per attaccare, decide di lanciare lo stesso quattro siluri. Nessuna delle armi va a segno, nonostante a bordo dell’Unique sia avvertita una forte esplosione dieci minuti dopo i lanci.
22 gennaio 1942
Alle 11 il Fuciliere salpa da Taranto insieme a BersagliereCarabiniere ed Alpino (coi quali forma la XIII Squadriglia, al comando del capitano di vascello Ferrante Capponi sull’Alpino) ed agli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’AostaMuzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli della VII Divisione, con cui forma il gruppo «Aosta» (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten sul Duca d’Aosta) incaricato di per fornire protezione ravvicinata all’operazione «T. 18», che prevede l’invio a Tripoli di un convoglio formato dalla motonave passeggeri Victoria, salpata da Taranto con 1125 soldati a bordo, e dalle moderne motonavi da carico RavelloMonvisoMonginevro e Vettor Pisani, partite da Messina con circa 15.000 tonnellate di rifornimenti (nonché 271 automezzi e 97 carri armati), il tutto con la scorta diretta di VivaldiMalocelloDa NoliAviereGeniere e Camicia Nera nonché delle torpediniere Castore ed Orsa. Sei ore dopo prende il mare anche un secondo gruppo di copertura, denominato «Duilio» (al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Bergamini imbarcato sulla corazzata omonima, comandante superiore in mare) e formato appunto dalla corazzata Duilio e dai cacciatorpediniere SciroccoOriani, Ascari e Pigafetta (XV Squadriglia Cacciatorpediniere, al comando del capitano di vascello Enrico Mirti della Valle sul Pigafetta).
La Victoria salpa insieme al gruppo «Duilio», che con essa forma il convoglio numero 2 (del quale è capo scorta il Pigafetta: la XV Squadriglia ne è la scorta diretta), mentre il convoglio 1 si forma in mare con l’Unione delle quattro motonavi da carico, salpate in precedenza da Napoli e Messina, scortate dal gruppo «Vivaldi» (contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) che conta sui cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia di Nomis di Pollone), Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia, Aviere (caposquadriglia), Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia (capitano di vascello Luciano Bigi sull’Aviere), sulla torpediniera Castore (capitano di corvetta Alfonso Congedo) e sulla torpediniera di scorta Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke).
Nove sommergibili sono stati inviati in agguato ad est di Malta e tra Creta e l’Egitto occidentale, mentre la Regia Aeronautica e la Luftwaffe forniscono copertura aerea con ricognitori, aerei antisommergibili e soprattutto caccia, i quali di giorno saranno sempre presenti sopra le navi italiane.
I convogli numero 1 (privato della Ravello, rientrata a Messina per problemi al timone, ed unitosi al gruppo «Aosta» nel pomeriggio del 22) e 2 (che procede a 19 nodi) seguono rotte che, prima e dopo la riunione, li fanno passare a 190 miglia da Malta, dieci miglia in più di quello che si ritiene essere il massimo raggio operativo degli aerosiluranti basati in quell’isola e nella Cirenaica (stime che però si riveleranno inesatte, causa l’avanzata britannica in quei territori); si prevede che la sera del 23 le navi, riunite in un unico convoglio, accosteranno per Tripoli, sempre mantenendosi ai margini del cerchio di 190 miglia di raggio con centro su Malta.
La Royal Navy, informata dai decrittatori di “ULTRA” che «un importante convoglio diretto a Tripoli dall’Italia e coperto dalla flotta sarà in mare oggi [22 gennaio], così come il 23 e il 24 gennaio» (il giorno seguente “ULTRA” riesce a fornire ai comandi britannici informazioni più dettagliate, sebbene meno del solito, indicando che un «importante convoglio» è partito dall’Italia per Tripoli con probabile arrivo il giorno 24, e che, sebbene la sua esatta composizione non sia nota, probabilmente esso comprende la Victoria con mille soldati e la motonave Vettor Pisani partita da Messina il 22 mattina, il tutto coperto «da un certo numero delle principali unità della Marina italiana»), ha disposto numerosi sommergibili in agguato nel Golfo di Taranto; nel primo pomeriggio del 22 la VII Divisione viene avvistata da due o tre sommergibili britannici, che segnalano l’avvistamento ai rispettivi comandi. Uno di essi, il Torbay (capitano di fregata Anthony Cecil Capel Miers), alle 13.47 (orario britannico; le 13.55 secondo le fonti italiane) lancia anche sei siluri contro la formazione italiana (di cui ha apprezzato la composizione in tre incrociatori e sei cacciatorpediniere, in navigazione a 20 nodi su rotta 140°), da 7300 metri di distanza, in posizione 39°40’ N e 17°27’ E, ma senza riuscire a colpire nessuna delle navi. Le basi britanniche a Malta ed in Egitto e Cirenaica sono poste in allarme, e vengono inviati dei ricognitori per appurare rotta, velocità e composizione delle forze italiane.
Il gruppo «Duilio» viene avvistato il 22 sera dal ricognitore «B6KT»: i suoi messaggi vengono però subito intercettati e decifrati dai decrittatori imbarcati sulla Duilio, permettendo all’ammiraglio Bergamini di apprendere che il suo gruppo era stato avvistato. Il ricognitore britannico rimane in contatto con il gruppo di Bergamini in modo da poter raccogliere informazioni più precise e dettagliate, e poco dopo mezzanotte invia un secondo segnale più particolareggiato, anch’esso intercettato e decifrato dalla Duilio; alle 00.47 lancia una cortina di bengala su uno dei lati del gruppo «Duilio», poi si porta sul lato opposto in modo da poter contare una per una le navi che lo compongono, le cui sagome sono ora chiaramente visibili nel controluce generato dai bengala; solo a questo punto, inviato a Malta un ulteriore messaggio ancora più ricco di dettagli, il ricognitore si allontana.
23 gennaio 1942
In mattinata, mentre sul cielo della formazione giungono i primi bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 della scorta aerea, compaiono nuovamente i ricognitori britannici: restando molto lontani sia dalle navi italiane che dagli aerei tedeschi, non vengono attaccati ed inviano alle loro basi ulteriori informazioni, con crescente precisione, sulle navi del convoglio, senza che né le ripetute variazioni di rotta da parte di Victoria e Duilio, né la doppia inversione di marcia del gruppo «Aosta» possano trarli in inganno.
Alle 15 i convogli 1 e 2, in ritardo piuttosto considerevole rispetto al previsto, si riuniscono in una posizione prossima a quella prestabilita; le motonavi si dispongono su due colonne di due navi ciascuna (con la Victoria, capoconvoglio, in testa alla colonna sinistra). La XI e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si posizionano a scorta diretta intorno ai mercantili, mentre la Duilio e la VII Divisione si portarono ai lati del convoglio; il complesso navale assume una velocità di 14 nodi, sempre pedinato dai ricognitori nemici (uno dei quali appare alle 15.55 volando a bassissima quota, procedendo ad est delle navi italiane e mantenendo il contatto da circa 20 km di distanza). Sia l’ammiraglio Bergamini che l’ammiraglio De Courten hanno l’impressione che gli aerei provengano dalla Cirenaica.
Alle 16.16 cominciano gli attacchi aerei: dapprima alcune bombe di piccolo calibro mancano di poco la Victoria, che non subisce danni, poi la VII Divisione viene bombardata con ordigni di maggiore calibro, ma la sua reazione contraerea respinge l’attacco senza danni. Ritenendo insufficiente la scorta aerea di nove bombardieri tedeschi Ju 88 presente sopra il convoglio, l’ammiraglio Bergamini chiede via radio al comando della Luftwaffe della Sicilia – primo caso di comunicazione radio diretta effettuata con successo tra i comandi navali ed aerei italo-tedeschi – l’invio di altri aerei in rinforzo alla scorta; giungono perciò altri tre Ju 88, che rafforzarono la scorta aerea.
Alle 17.25 vengono avvistati altri tre velivoli britannici: provenienti dalla direzione del sole ormai prossimo a tramontare, si avvicinano con decisione al convoglio volando bassi, divenendo presto oggetto di violento fuoco contraereo da parte delle torpediniere che si trovano su quel lato del convoglio; poi, giunti a più di un chilometro dalle siluranti ed ad oltre tre dalla Victoria, cabrano ed invertirono la rotta, gettando in mare il carico offensivo, senza che gli Ju 88 riescano ad evitarlo.
Agli uomini a bordo delle siluranti della scorta, che hanno negli occhi la luce del sole basso che impedisce di vedere bene, i tre aerei attaccanti sono sembrati dapprincipio dei bombardieri, e si pensa che abbiano rinunciato ad attaccare, gettando in mare per alleggerirsi quelle che sembrano bombe; ma in realtà sono aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, decollati da Berka (Bengasi), e dopo 60-90 secondi, il Vivaldi avvista le scie di due siluri, che evita passandoci in mezzo, ordinado al contempo ai mercantili di accostare d’urgenza di 90° a dritta, ma non tutti comprendono bene l’ordine. Quelli che erano stati scambiati per bombardieri, erano in realtà aerosiluranti.
Alle 17.30 un siluro colpisce a poppa la Victoria, sul lato dritto, lasciandola immobilizzata e leggermente appoppata, mentre a dritta del convoglio, gli Ju 88 attaccano ed abbattono uno degli aerei britannici.
Ad assistere la Victoria vengono distaccati AviereAscari e Camicia Nera, mentre il resto del convoglio prosegue per non esporsi inutilmente ad ulteriori attacchi. La Victoria sarà affondata da un nuovo attacco aerosilurante alle 19, con la perdita di 409 uomini, mentre 1046 potranno essere tratti in salvo.
Alle 19.15 la Duilio e la XV Squadriglia Cacciatorpediniere, come previsto, si posizionano a nord del 36° parallelo ed ad est del 19° meridiano, per difendere il convoglio da eventuali navi da guerra britanniche provenienti dal Mediterraneo orientale, ma tale minaccia non si concretizza; le motonavi proseguono invece per Tripoli scortate dai gruppi «Vivaldi» e «Aosta».
24 gennaio 1942
Il convoglio, dopo aver superato indenne altri attacchi aerei e subacquei, giunge a destinazione alle 14.
25 gennaio 1942
Il gruppo «Aosta» raggiunge Taranto alle 15.30.
Febbraio 1942
Il capitano di fregata Umberto Del Grande, quarantunenne, avvicenda il parigrado Cerrina Feroni nel comando del Fuciliere.
14 febbraio 1942
In serata il Fuciliere, insieme a Carabiniere, Bersagliere, Alpino (coi quali forma la XIII Squadriglia), alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (FrecciaFolgore, Saetta), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Montecuccoli e Duca d’Aosta, al comando dell’ammiraglio Raffaele De Courten) ed alla corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini), salpa da Taranto per partecipare all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un convoglio britannico (convoglio «M.W. 9», formato dai piroscafi Clan ChattanClan Campbell e Rowallan Castle scortati dall’incrociatore leggero Penelope e da sei cacciatorpediniere della Forza K) da Alessandria a Malta.
Il gruppo salpato da Taranto deve congiungersi alle otto del mattino seguente con un altro proveniente da Messina e formato dalla III Divisione (ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia) e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari, Camicia Nera) in un punto situato 70 miglia ad est di Malta (successivamente spostato 40 miglia più a sud, a seguito di ordine delle 20.20). III e VIII Divisione, riunite in un unico gruppo, procederanno in posizione avanzata, seguite a dieci miglia dalla Duilio con l’VIII Squadriglia. La formazione, che gode della scorta aerea di velivoli da caccia della Luftwaffe, dovrà intercettare ed attaccare il convoglio britannico in navigazione verso Malta; è prevista un’estesa e precisa ricognizione aerea per guidare la formazione navale, nonché crociere d’interdizione di caccia Reggiane Re 2000 dell’Aeronautica della Sicilia dirette contro le provenienze da Malta verso est, ed intensificazione dei bombardamenti su Malta, a copertura dell’operazione.
Già alle 19.55, tuttavia, la Duilio e la VIII Squadriglia ricevono ordine di rientrare in porto. Supermarina, infatti, ha appurato che non ci sono corazzate britanniche in mare (difatti la Mediterranean Fleet non ha più una sola corazzata efficiente da dicembre, quando le ultime due sono state poste fuori uso ad Alessandria dagli incursori della X MAS), pertanto l’impiego della Duilio è ritenuto superfluo. La III e VIII Divisione, invece, vengono fatte proseguire.
15 febbraio 1942
III e VII Divisione si riuniscono verso le 9.20, formando un’unica formazione sotto il comando dell’ammiraglio De Courten, che dirige su rotta 180° a 20 nodi di velocità.
I primi velivoli della scorta aerea sono arrivati alle 7.15, e resteranno sul cielo delle navi, senza interruzioni, fino alle 16.
Supermarina ritiene che siano in mare non uno ma due convogli diretti verso Malta: uno, in posizione più avanzata, di due piroscafi con 1-2 incrociatori e 5-6 cacciatorpediniere, ed un altro più arretrato con tre piroscafi (uno dei quali in avaria) e cinque navi di scorta, compresi forse due incrociatori. In realtà soltanto il convoglio «M.W. 9» è diretto a Malta: non esiste un secondo convoglio.
Verso le otto del mattino Supermarina, sulla base degli avvistamenti da parte di un gruppo di S-Boote tedesche in agguato ad est di Malta, giunge alla conclusione che il convoglio più avanzato non sia più intercettabile, perché ormai quasi arrivato a destinazione (non è così); il secondo convoglio, benché intensamente cercato dai ricognitori, non viene trovato (perché non esiste).
In realtà, il convoglio «M.W. 9» ha già cessato di esistere a causa dei ripetuti attacchi aerei italo-tedeschi: dei tre mercantili del convoglio, il Clan Campbell, troppo danneggiato per proseguire, si è dovuto rifugiare a Tobruk, mentre Clan Chattan e Rowallan Castle sono stati affondati.
Alle 18.30 la formazione comprendente la III e VII Divisione riceve ordine di rientrare alla base, seguendo rotte che la tengano sempre ad almeno 180 miglia da Malta.
16 febbraio 1942
Alle 4.44 l’accensione di alcuni bengala annuncia l’arrivo di un attacco aereo diretto contro la formazione di De Courten, comunque già preannunciato da intercettazioni di comunicazioni radio britanniche; viene subito iniziata l’emissione di cortine nebbiogene. Alle 5.30 ha luogo un attacco di aerosiluranti; grazie alle cortine nebbiogene ed alle pronte manovre di tutte le navi della formazione, che impediscono ai piloti nemici di determinare correttamente i dati necessari al lancio, nessuna nave viene colpita. Alle 5.57 si spengono gli ultimi bengala.
Alle 7 sopraggiungono i primi aerei tedeschi per ricominciare la scorta aerea; alle 7.25 le due Divisioni si separano, scambiandosi le squadriglie di cacciatorpediniere: Fuciliere e XIII Squadriglia si trovano così ad accompagnare la III Divisione, anziché la VIII.
Alle 7.47 la III Divisione avvista un bombardiere britannico Vickers Wellington, che viene abbattuto verso le otto dagli Junkers Ju 88 della scorta aerea: l’ammiraglio Parona distacca il Fuciliere per recuperarne i superstiti, e verso le 8.30 il cacciatorpediniere trae in salvo tre dei sei uomini dell’equipaggio del bombardiere, mentre gli altri tre sono rimasti uccisi. Due dei prigionieri sono gravemente feriti e spirano a bordo del Fuciliere poco dopo il salvataggio, nonostante le cure prestate dall’equipaggio; il terzo, tenente John W. W. Richards, ha invece riportato soltanto ferite leggere, e racconta che il suo aereo proveniva direttamente dall’Inghilterra e che sarebbe dovuto atterrare a Malta: smarritosi durante la notte a causa del maltempo, si era messo in cerca dell’isola e si era avvicinato alle navi italiane avendole scambiate per britanniche.
Alle 11.30, essendo la formazione in procinto di entrare in acque abitualmente infestate da sommergibili britannici (gli approcci meridionali dello Stretto di Messina), l’ammiraglio Parona ordina di incrementare la velocità a 24 nodi; per rafforzare la protezione della formazione contro gli attacchi subacquei, si uniscono ad essa la torpediniera Giuseppe Dezza e due MAS usciti da Messina, nonché due idrovolanti antisommergibili CANT Z. 501, tre Junkers Ju 88 e due caccia Messerschmitt Bf 109. Nonostante questo dispiegamento di forze, alle 13.45 il Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Sicco) viene colpito da un siluro che gli asporta la prua, senza che nessuna nave od aereo abbia avvistato un periscopio.
L’attaccante è il sommergibile britannico P 36 (tenente di vascello Harry Noel Edmonds), che ha avvistato la formazione italiana alle 13.01 – ventuno minuti dopo aver rilevato rumore di motrici di cacciatorpediniere su rilevamento 110° – mentre si trovava a quota periscopica a sud dello stretto di Messina. Dopo aver inizialmente manovrato per attaccare l’incrociatore di testa, correttamente identificato come il Trento, alle 13.07 Edmonds ha cambiato bersaglio e deciso invece di attaccare il Gorizia; alle 13.15 (evidente la discrepanza con le fonti italiane), in posizione 37°42’ N e 15°35’ E, il P 36 ha lanciato quattro siluri da 915 metri, per poi scendere in profondità (verrà poi sottoposto a caccia a partire dalle 13.18, con il lancio di 105 bombe di profondità nei primi 45 minuti, nessuna delle quali esplosa particolarmente vicina).
Venti uomini del Carabiniere sono rimasti uccisi; i feriti, quaranta, vengono trasbordati sull’Alpino, sul Bersagliere e sui MAS (questi ultimi prelevano i più gravi, per portarli rapidamente a terra), dopo di che il cacciatorpediniere mutilato viene preso a rimorchio dapprima dalla Dezza e successivamente dal rimorchiatore Instancabile, con la scorta della torpediniera Generale Marcello Prestinari.
Solo il Fuciliere rimane con Trento e Gorizia, che entrano a Messina alle 15. I MAS con i feriti giungono in porto mezz’ora più tardi, l’Alpino ed il Bersagliere alle 19, mentre il Carabiniere riuscirà a raggiungere Messina solamente il mattino successivo.
7 marzo 1942
Il Fuciliere, insieme al cacciatorpediniere Vivaldi ed alla torpediniera Castore, si unisce alla scorta del convoglio numero 3 (motonave Monreale e torpediniera Circe, partite da Napoli all’1.30) dell’operazione di traffico «V. 5», che prevede l’invio di tre convogli da Brindisi, Messina e Napoli a Tripoli, per un totale di quattro moderne motonavi scortate complessivamente da cinque cacciatorpediniere e tre torpediniere.
8 marzo 1942
Alle 7.30 il convoglio numero 3 si aggrega ai convogli 1 (motonavi Nino Bixio e Reginaldo Giuliani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Scirocco) e 2 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Antonio Da Noli e Bersagliere), partiti rispettivamente da Brindisi e Messina e riunitisi già il giorno precedente.
Entro le 8.30, a 190 miglia da Leuca, si forma così un unico convoglio sotto il comando del capitano di vascello Enrico Mirti della Valle, imbarcato sul Pigafetta. Poco dopo, alle 9.45, sopraggiunge anche il gruppo di scorta, al comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, formato dagli incrociatori Eugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai cacciatorpediniere Alfredo OrianiAviereAscari e Geniere; tale gruppo zigzaga a 16-18 nodi di velocità mantenendosi poco a poppavia del convoglio, che procede a 15 nodi verso sud passando a 190 miglia da Malta. La scorta aerea, mantenuta pressoché senza interruzione durante tutte le ore diurne, è fornita da due bombardieri medi CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica e (in media) da sei tra bombardieri Junkers Ju 88 e caccia pesanti Messerschmitt Me 110 della Luftwaffe; comunque non si concretizza alcuna minaccia da parte degli aerei di Malta, a causa di un equivoco commesso dai piloti britannici (vedi 9 marzo). Al tramonto il gruppo di scorta dell’ammiraglio De Courten viene “incorporato” nel convoglio.
9 marzo 1942
Sulla base delle informazioni di “ULTRA”, decolla da Malta un ricognitore Martin Maryland del 69th Squadron R.A.F. con il compito di intercettare il convoglio formato da BixioAllegriGiuliani e Monreale, per guidare sul posto gli aerosiluranti incaricati di attaccarlo. Il ricognitore trova (e segnala) effettivamente un convoglio formato da quattro moderne motonavi, tre cacciatorpediniere e tre torpediniere, circa 200 miglia a sudest di Malta: si tratta però del convoglio sbagliato, anche se l’equipaggio dell’aereo non può saperlo. Il convoglio trovato dal Maryland è composto dalla motonave cisterna Giulio Giordani e dalle motonavi da carico UnioneLerici e Ravello, scortate dai cacciatorpediniere SciroccoPigafetta e Strale e dalle torpediniere Cigno e Procione; ma queste navi sono dirette verso nord, in viaggio di ritorno da Tripoli verso l’Italia, mentre il convoglio che comprende il Vivaldi, quello che i comandi di Malta vogliono attaccare (essendo questo formato da navi cariche di rifornimenti per il fronte nordafricano, mentre le altre stanno tornando scariche), procede in direzione opposta, verso sud.
Poco più tardi un altro ricognitore, un Maryland del 203rd Squadron, avvista il convoglio “giusto” (quello del Vivaldi): in seguito a questo avvistamento, i comandi britannici fanno decollare dalla base libica di Bu Amud (vicino a Tobruk) una formazione di otto aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron R.A.F. (guidati dal capitano C. S. Taylor), nonché una di bombardieri Boeing B-17 Flying Fortress del 220th Squadron. I Beaufort dovrebbero essere scortati da dei caccia Bristol Beaufighter, ma questi ultimi non si presentano al punto d’incontro; gli aerosiluranti proseguono ugualmente senza scorta, ed alle 16.40 avvistano un convoglio 170 miglia a nord di Tripoli, passando dunque all’attacco. Ma il convoglio che i Beaufort hanno trovato e attaccato è quello sbagliato; si tratta infatti di quello di ritorno dalla Libia, formato da GiordaniUnioneLerici e Ravello. La composizione molto simile dei due convogli e delle relative scorte trae in inganno gli equipaggi dei Beaufort: siccome il convoglio da essi trovato è formato da quattro moderne motonavi scortate da una mezza dozzina di siluranti, il che corrisponde grosso modo alla descrizione del convoglio segnalato loro dai comandi sulla base delle notizie dei ricognitori, i piloti britannici ritengono di aver trovato il convoglio loro assegnato come obiettivo, senza apparentemente notare, o badare, al fatto che esso stia seguendo rotta opposta a quella che dovrebbe seguire. L’attacco, ad ogni modo, è del tutto infruttuoso: nessuno dei siluri lanciati dai Beaufort va a segno, così come nessuno degli aerei britannici viene danneggiato dal tiro contraereo delle navi (uno viene invece danneggiato dai caccia tedeschi postisi al loro inseguimento, ma in modo non grave).
Nel frattempo, ignaro di tutto ciò, il convoglio che include il Fuciliere prosegue tranquillo verso la propria rotta. Neanche i B-17 riescono a trovarlo, e la sua navigazione non viene così molestata durante tutta la navigazione.
Al largo di Ras Cara (punto d’atterraggio), in mattinata, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si posiziona in modo da coprirlo da eventuali attacchi di navi britanniche, che però non hanno luogo. Alle 7.30 Scirocco e Pigafetta lasciano anch’essi il convoglio per rinforzare la scorta di un altro partito da Tripoli per tornare in Italia (e che ha in quel momento incrociato quello proveniente dall’Italia); il convoglio entra nel porto di Tripoli tra le 17.30 e le 18.
22 marzo 1942
All’una di notte il Fuciliere salpa da Messina insieme a Bersagliere, Alpino e Lanciere (temporaneamente aggregato alla XIII Squadriglia) ed alla III Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia, più l’incrociatore leggero Bande Nere, per partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10», diretto a Malta. Tale convoglio, partito da Alessandria alle 7 del mattino del 20 marzo, è formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan CampbellPampas e Talbot, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon ValeDulvertonBeaufortEridgeSouthwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più pericoloso dagli incrociatori leggeri DidoEuryalus e Cleopatra e dai cacciatorpediniere HastyHavockHeroSikhZuluLivelyJervisKelvinKingston e Kipling. Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L. Vian. Da Malta si uniscono ad essa, nella giornata del 22 marzo, anche l’incrociatore leggero Penelope ed il cacciatorpediniere Legion.
La XIII Squadriglia e la III Divisione formano il gruppo «Gorizia» (al comando dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante la III Divisione, con bandiera sul Gorizia), uno dei due usciti in mare per tale missione; l’altro gruppo, denominato «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere AscariAviereOriani e Grecale, più Geniere e Scirocco che però partiranno in ritardo e di fatto non riusciranno a riunirsi al resto della formazione), parte invece da Taranto. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, imbarcato sulla corazzata Littorio.
Il primo sentore di una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean Fleet, ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo è stato intercettato un telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò è derivata l’impressione che le navi britanniche siano in movimento da Alessandria verso Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps tedesco ha avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro cacciatorpediniere con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato che il convoglio dirige verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del 20-21 marzo, confermano l’esistenza di importante traffico nemico al largo dell’Egitto, anche se si è ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju 88 fosse diretto a Tobruk e non a Malta (per quanto anche questa possibilità non venga categoricamente esclusa), il che appare anche dalle comunicazioni intercettate, nelle quali il convoglio riferisce ad Alessandria i propri movimenti.
Lo stesso giorno un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani, con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal sommergibile italiano Platino (tenente di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un incrociatore leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si trovavano a 48 miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di grandi dimensioni. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio, dei ricognitori tedeschi hanno avvistato in quel porto delle bettoline di rifornimento affiancate ad un incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso di intervenire con la flotta da battaglia, ossia la Littorio e la III Divisione Navale, più le relative squadriglie di cacciatorpediniere. Per la III Divisione l’ordine operativo è: «Terza Divisione con BANDE NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni».
Durante la manovra di partenza, il Gorizia ha problemi a lasciare gli ormeggi per via del vento fortissimo, il che causa un ritardo di un’ora rispetto al previsto: a causa di tale ritardo, Supermarina posticipa di un’ora il previsto arrivo della III Divisione nel punto convenzionale «Beta».
Lasciata Messina, il gruppo «Gorizia» procede lungo la costa calabrese sino a Capo Spartivento, poi, alle 2.52, accosta assumendo rotta 150° verso il punto prestabilito «B» (a 160 miglia per 95° da Malta), a 25 nodi. Le navi vengono poi raggiunte da bombardieri Junkers Ju 88 tedeschi del I./NJG.2, che ne assumono la scorta. Alle 7.30 il Gorizia catapulta un idrovolante da ricognizione, che deve però rientrare subito a Siracusa per guasto al motore; alle 8.16, pertanto, il Bande Nere catapulta il suo idroricognitore, che compie esplorazione verso sudest per un centinaio di miglia, ma non avvista alcunché, dopo di che dirige per Augusta. Ad avvistare le navi britanniche sono invece aerei del II Corpo Aereo Tedesco (bombardieri ed aerosiluranti) ed un altro ricognitore, catapultato dal Trento.
Passato all’altezza del punto «B» alle 9.11, la formazione prosegue con rotta 150°, riducendo la velocità a 20 nodi, fino alle 9.48, dopo di che inverte la rotta, come ordinato da Supermarina, ed inizia ad incrociare nella zona del punto «B», aspettando che giungano notizie sul nemico (poco dopo le 10, il gruppo ha rotta 330° e velocità 20 nodi).
Alle 10.40, per ordine dell’ammiraglio Iachino, la III Divisione accosta per 160° (più tardi per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze britanniche, quindi la XIII Squadriglia si porta in posizione di scorta avanzata e poi la formazione assume una velocità di 30 nodi.
A causa del mare sempre più agitato da sudest, alle 12.12 la velocità deve essere ridotta a 28 nodi per non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere, ed alle 13.32, per gli stessi motivi, deve essere ulteriormente ridotta a 26 nodi e le navi accostano per 180°. Alle 13.40 la formazione assume rotta 210°. Alle 13.42 il gruppo «Gorizia» si dispone perpendicolarmente alla probabile direzione di avvistamento dei britannici, con il Gorizia al centro, Trento e Bande Nere alla sua sinistra su rilevamento 90° e la XIII Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad una distanza di 4000 metri.
Gli ordini per la III Divisione sono di prendere contatto visivo con il nemico senza impegnarsi prima della riunione con il gruppo «Littorio». La direzione di probabile avvistamento del nemico, determinata in base alle informazioni comunicate dagli aerei (non sempre concordi in merito alla posizione degli avvistamenti), si rivela poi essere esatta: le navi nemiche vengono avvistate verso le 14.20, su rilevamento 185° (a 23.000 m)-170°-160°.
Le navi britanniche, dal canto loro, avvistano prima dei fumi alle 14.17 (l’Euryalus) e poi (Euryalus e Legion) le navi italiane alle 14.27; l’ammiraglio Vian identifica erroneamente i tre incrociatori italiani, alle 14.34, per altrettante corazzate, distanti 12 miglia.
Dopo l’avvistamento, le navi di Parona accostano per 250° (per sudovest), come prestabilito, allo scopo di assumere rotta convergente a quella delle navi britanniche, ma restando al contempo in grado di fare fuoco con tutte le artiglierie principali. Ha così inizio l’avvicinamento al nemico; le condizioni di visibilità sono altalenanti, il cielo è parzialmente coperto da nuvole basse.
L’Avon Vale, il Carlisle e le navi della "Strike Force" di Vian iniziano ad emettere fumo. Alle 14.44, mentre il convoglio viene rapidamente nascosto da cortine nebbiogene (dopo soli 40 secondi dall’avvistamento, le navi britanniche sono completamente avvolte dalla cortina fumogena, che offusca anche una vasta zona di mare tutt’intorno; il vento spinge il fumo verso le navi italiane) ed accosta per 210° in modo da allontanarsi verso ovest-sud-ovest (scortato dal Carlisle e dai cacciatorpediniere della scorta diretta), gli incrociatori britannici – disposti in colonne, per divisione, e guidati dal Cleopatra –, dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, assumendo rotta ovest-nord-ovest.
La III Divisione, come precedentemente stabilito, fa rotta verso nord per attirarli verso il gruppo «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere AscariAviereOriani e Grecale). Il piano dell’ammiraglio Iachino, che si aspetta che le navi britanniche inseguano quelle italiane, è di attirare il nemico tra il gruppo «Gorizia» da una parte ed il gruppo «Littorio» dall’altra.
Avvicinandosi, gli incrociatori di Vian escono dalla cortina nebbiogena che i cacciatorpediniere britannici hanno steso sulla formazione, e risulta così possibile stabilire il contatto balistico: alle 14.35, mentre corrono verso nord, gli incrociatori di Parona aprono il fuoco con le torri poppiere, da 21.700 metri di distanza. Il tiro italiano risulta piuttosto intermittente, perché la visibilità dei bersagli è altalenante: le navi nemiche vengono impegnate ogni volta che escono dalla nebbia, ma questo accade solo di quando in quando; inoltre, il mare mosso fa rollare e beccheggiare fortemente le navi ed il vento soffia schiuma contro i telemetri, rendendo pressoché impossibile – insieme al fumo ed alle grandi distanze – una mira accurata. Alle 14.43 le navi di Parona interrompono il tiro per poi riprenderlo dieci minuti dopo, mentre gli incrociatori britannici descrivono un ampio semicerchio, virando a nordest alle 14.33 per diffondere ulteriormente il fumo, e poi a nordovest alle 14.56, ora in cui il Cleopatra e l’Euryalus iniziano a rispondere al fuoco (per la prima volta dall’inizio dello scontro) da una distanza di 19.000 metri. Le salve sparate dalle navi di Vian risultano ben presto assai centrate, ma nessuna di esse va a segno. A causa del fumo, poche navi britanniche, eccetto Cleopatra ed Euryalus, avvistano quelle italiane; e di esse soltanto il cacciatorpediniere Lively spara qualche colpo.
Alle 15.06 Vian si rende conto di avere di fronte degli incrociatori, e non delle corazzate (anche se sbaglia ancora a quantificarne il tipo ed il numero, credendo trattarsi di un incrociatore pesante e tre incrociatori leggeri), che navigano in linea di fronte su uno schieramento ampio circa due miglia e rotta stimata 200°; i primi colpi italiani, che cadono molto corti, sono stati visti alle 14.36. Le navi britanniche accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le asseconda, mantenendo il contatto balistico e variando la distanza in base alla visibilità ed agli ordini di tenere il nemico agganciato, ma senza impegnarsi a fondo. Alle 15.10 la III Divisione, che ha ridotto la velocità a 25 nodi, viene inquadrata da numerose salve d’artiglieria, molto rapide, sparate da circa 20.000 metri di distanza; di nuovo, però, nessuna nave viene colpita.
Tra le 15.09 e le 15.15 uno degli incrociatori italiani inizia a centrare le sue salve su Cleopatra ed Euryalus, anche dopo che questi si sono ritirati dietro la cortina nebbiogena; il Cleopatra reagisce sparando anch’esso alcune salve contro la nave italiana, ed alle 15.15 le unità avversarie accostano entrambe in fuori. Alle 15.13 gli incrociatori italiani cessano il tiro; quando le unità nemiche accostano di nuovo verso nord, il gruppo «Gorizia» cerca di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio», ormai vicino, che avvista alle 15.23 ad una distanza di 15 km. La III Divisione riduce pertanto la velocità a 20 nodi ed accosta per assumere la posizione assegnata in formazione, cioè a sinistra della Littorio. La riunione avviene alle 15.30.
Mentre le unità di Parona e di Vian sono impegnate in questo primo scambio di colpi, il convoglio viene attaccato da bombardieri tedeschi Junkers Ju 88, che vengono respinti dal furioso tiro contraereo del Carlisle e dell’Avon Vale (che durante tale azione entrano in collisione tra di loro, ma senza riportare danni gravi).
Alle 15.20 gli incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud (o sudovest) per riunirsi al convoglio (alla stessa ora, il Gorizia avvista la Littorio verso nord), e la prima fase dello scontro volge al termine. Il convoglio torna ad assumere l’originaria rotta verso ovest. Vian, non a conoscenza della manovra italiana, ritiene di aver respinto il nemico e così comunica al suo superiore, ammiraglio Cunnignham, alle 15.35. Le navi di Vian si ricongiungono col convoglio alle 16.30; dato che i cacciatorpediniere classe “Hunt” della scorta diretta hanno già consumato gran parte del proprio munizionamento contraereo, Vian ordina a due dei suoi gruppi (il primo e quello incaricato di emettere fumo) di unirsi alla scorta diretta.
Il tempo va intanto peggiorando: il vento sta aumentando, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde genera una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i due gruppi, la flotta italiana si dispone con la III Divisione in linea di fronte a sinistra (ad est) della Littorio, così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione viene lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore scioltezza. Successivamente, la III Divisione passa alla formazione in linea di fila nell’ordine Gorizia (in testa), Trento (al centro), Bande Nere (in coda).
L’ammiraglio Iachino, cui risulta che gli incrociatori nemici stiano navigando verso sud ad alta velocità, ritenne che il convoglio abbia deviato per sudovest, e decide di manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunge una comunicazione di un aereo che riferisce che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di prora a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordina di accostare per 230° per intercettarlo.
Alle 16.31 la squadra italiana avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210° (circa dieci miglia più ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei); contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvista il convoglio a 10 miglia per 240° dagli incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In base a queste informazioni, Iachino ordina di accostare a dritta e poi di dirigere verso ponente.
Le prime navi britanniche ad avvistare quelle italiane sono lo Zulu (che vede quattro navi di tipo imprecisato a 9 miglia di distanza, verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus (che avvista tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di distanza), alle 16.37 ed alle 16.40; la III Divisione avvista a sua volta il nemico alle 16.40, di prora. La squadra italiana si dispiega subito sulla dritta, accostando in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 viene aperto il fuoco da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la formazione britannica dirige incontro a quella italiana per affrontarla (eccetto i cacciatorpediniere JervisKiplingKingston e Kelvin, che invece stendono un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il convoglio), assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità sono già di per sé pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emettono di nuovo copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico appare estremamente confuso; delle navi britanniche si vedono soltanto i fumi e occasionalmente qualche scafo, che appare parzialmente di quando in quando.
L’azione di fuoco delle navi italiane si svolge in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16, prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergono dalla cortina nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze calano da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentra sugli incrociatori DidoPenelopeCleopatra ed Euryalus e sul cacciatorpediniere Legion. Il tiro delle navi italiane è molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli appaiono e scompaiono nella nebbia artificiale.
Alle 16.44 un colpo del Bande Nere danneggia l’incrociatore britannico Cleopatra (nave ammiraglia di Vian), che ripiega coperto da cortine nebbiogene e cessa temporaneamente il fuoco. Le navi italiane sospendono il fuoco alle 16.52 e lo riprendono alle 17.03, dopo una pausa di undici minuti; il tiro italiano risulta diretto contro sagome che appaiono molto vaghe, delle quali s’intravedono in mezzo alla nebbia artificiale le vampe dei cannoni. La distanza delle navi britanniche è stimata in 10.000 metri. Alle 17.11 viene nuovamente cessato il fuoco, dato che le navi di Vian sono interamente avvolte dalla nebbia e non si riesce più a vedere niente. Da parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra ed Euryalus impegnano le navi italiane, che riescono a vedere piuttosto vagamente, a distanza di circa 14.000 metri; tra le 17.03 e le 17.10 anche DidoLegion e Penelope aprono il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore italiano più ad ovest. Diverse salve britanniche cadono vicinissime alla III Divisione, ma nessuna va a segno. Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo erroneamente di aver avvistato delle scie di siluri (in realtà, non risulta che siano stati lanciati siluri da parte britannica in questa fase, anche se i cacciatorpediniere HeroHavockLively e Sikh manovrano per portarsi in posizione favorevole al lancio), accostano per 290°, ma poco dopo tornano ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene continuamente emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente dalle 14.42 alle 19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio complicano molto il puntamento per le navi italiane. Il vento, che spira a 25 nodi, spinge la nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la formazione italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le unità britanniche si trovano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei (protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane hanno sentore sia perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passano non lontano da loro, sia perché si nota il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che nasconde le navi), Iachino decide alle 17.31 di approfittarne e tagliare verso sud, assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian hanno ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprende il fuoco, ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock viene colpito ed immobilizzato (riuscirà poi a rimettere in moto a 16 nodi, e Vian gli ordinerà di unirsi al convoglio, non essendo più in grado di partecipare al combattimento); il tiro viene più volte sospeso e ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal maltempo e della nebbia artificiale che ormai aleggia un po’ ovunque. Alcuni cacciatorpediniere britannici (LivelySikhHero) tentano di portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri, ma rinunciano poco dopo. La battaglia si frammenta in molti episodi minori, in cui entrambe le parti commettono errori di valutazione, si avvicinano e si allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla cisterna Breconshire, vuole proseguire verso Malta ed alle 17.20 fa accostare verso ovest con tale proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mira ad aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordina che il convoglio diriga nuovamente verso sud. Il tira e molla continua: il capoconvoglio accosta di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fa tornare verso sud alle 18.
Prosegue, intanto, il combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane, ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprono il fuoco sugli incrociatori britannici (i quali governano alternativamente verso est e verso ovest, emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che appaiono di quando in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro serrato. Alle 17.52, anche se la distanza è calata a 13.000 metri, da parte italiana viene sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da parte britannica si continua a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza colpire. Un minuto dopo, la formazione italiana accosta per 220°. Lo stato del mare va sempre peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria tempesta: avendo il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollano in media di 10°-12°, ed il Bande Nere di ben 24°-27°. Alle 17.56 le navi italiane, per ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di modificare l’orientamento dello schieramento rispetto al nemico (che si trova a circa 13 km di distanza per 160°), accostano ad un tempo per 250°, ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche (che verso le 18 vengono attaccate da aerosiluranti, visti passare nelle vicinanze dalle navi italiane), che cessano così il fuoco.
Le unità britanniche si avvicinarono ed attaccano, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lancia infruttuosamente tre siluri contro la LittorioDidoPenelopeLegionHasty e Zulu tentano anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci riescono per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del vento e del mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegano verso est, allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra italiana, i cui due gruppi procedono a poca distanza l’uno dall’altro, assume rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui è divisa la squadra britannica, intanto, si riuniscono verso ovest/nordovest per concentrare l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio torna a dirigere verso ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprono di nuovo il fuoco da 15.000 metri verso il nemico, che si trova poco a proravia del loro traverso a sinistra; le navi britanniche reagiscono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia. Nello stesso momento tutti i gruppi britannici convergono in un punto situato 15 miglia a sudest della Littorio, tra quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento è 23 miglia a sudest della corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco, deciso e ordinato fin dalle 17.59, ha inizio alle 18.27 e si conclude alle 18.41; i cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrano le distanze, alcuni fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i cacciatorpediniere con le sue artiglierie, si avvicina fino a 9000 metri), e lanciano i loro siluri, intensamente controbattuti dal tiro delle navi italiane. Nessuno dei siluri lanciati va a segno; durante l’attacco, alle 18.41, il tiro del Trento colpisce il cacciatorpediniere Kingston, che viene immobilizzato con gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52 il Lively subisce danni e allagamenti per schegge di una salva della Littorio caduta vicinissima. Il combattimento è accanito; le navi italiane sparano con tutte le artiglierie, compresi i pezzi secondari da 100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco dei cacciatorpediniere, la flotta italiana prosegue a 22 nodi sulla rotta 180°; alle 18.45 tutte le unità accostano a un tempo per 295°, per evitare i siluri, riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passa poco a proravia della Littorio, altri cinque o sei passano in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordina a tutte le navi di accostare per 330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente dalla zona degli attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più ridotta causa la nebbia in aumento (il vento di scirocco la spinge verso le navi italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante l’accostata, si verifica l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel corso della battaglia: un proiettile da 120 mm, sparato da uno dei cacciatorpediniere, colpisce la Littorio a poppa, causando qualche danno di modesta entità. Più o meno in questa fase, mentre la battaglia navale volge al termine, le navi britanniche vengono attaccate senza successo da dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, decollati da Catania, tre dei quali vengono abbattuti, e da alcuni bombardieri tedeschi.
Il fuoco viene cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perde il contatto, mentre cala il buio: termina così, in modo inconcludente, la seconda battaglia della Sirte.
Calata l’oscurità, infatti, la flotta italiana, piagata dalla scarsa preparazione al combattimento notturno (nel quale i britannici sono invece esperti), non è più in grado di dare battaglia, e per giunta i cacciatorpediniere sono ormai a corto di carburante: Iachino decide dunque di rientrare alle basi, ordine che viene confermato da Supermarina alle 20.
Durante il combattimento, le navi maggiori italiane hanno sparato complessivamente 1511 colpi di grosso e medio calibro; gli incrociatori britannici hanno sparato tra i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa 1300. Da parte britannica sono stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere KingstonHavock e Lively, ed in modo leggero l’incrociatore Euryalus ed i cacciatorpediniere SikhLance e Legion, mentre da parte italiana non si sono avuti danni tranne quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio.
Questi danni contribuiscono ad indebolire seriamente la Mediterranean Fleet (già rimasta priva di corazzate, dopo l’impresa di Alessandria), almeno temporaneamente, per quanto concerne il numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti durante la battaglia e le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli stessi giorni, ben tredici cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si ritrovano danneggiati in modo più o meno grave), ma dati i rapporti di forza nella battaglia sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte italiana, un risultato più favorevole. Il convoglio, obiettivo dell’attacco, è scampato indenne alle navi italiane, anche se la perdita di tempo causata dalle deviazioni di rotta imposte dalla battaglia facilita gli attacchi aerei che porteranno, nelle ore successive, alla sua distruzione.
Alle 19.06 la formazione italiana accosta verso nord, e poco dopo si dispone in un’unica linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi, ed alle 19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI Squadriglia si posizionano a poppavia delle navi maggiori in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto, le navi britanniche cessano l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la forza italiana non si ripresenterà: il convoglio viene finalmente autorizzato a procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più difficile il lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le navi di Vian fanno ritorno ad Alessandria (tranne Havock e Kingston, mandati a Malta con il convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso motivo). Il convoglio britannico subirà gravi perdite l’indomani, ormai praticamente sulla porta di casa: gli attacchi aerei dell’Asse affonderanno la Breconshire ed il piroscafo Clan Cambpell e metteranno fuori uso il cacciatorpediniere Legion (portato all’incaglio, e poi distrutto durante le riparazioni da altri bombardamenti su Malta, come pure il Kingston), mentre il cacciatorpediniere Southwold affonderà per urto contro una mina; i due piroscafi superstiti, Pampas e Talabot, verranno affondati in porto dai bombardamenti, così che di 25.000 tonnellate di rifornimenti portati dal convoglio meno di 5000 giungeranno a destinazione.
Il maltempo, frattanto, è ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso al traverso, le navi rollano fortemente, alcune di esse con sbandate paurose. Di conseguenza, l’ammiraglio Iachino ordina a tutta la squadra, per fronteggiare meglio il mare grosso, di accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00 (avendo il mare grosso in poppa, per contenere il forte rollio che può portare ad oscillazioni di ampiezza pericolosa, è opportuno navigare a bassa velocità), ed alle 20.26 ordina di assumere rotta 10°. Alle 20.34 Supermarina ordina a Iachino di rientrare in porto. Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16, sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere, ma la situazione va peggiorando. La flotta italiana, che nel combattimento appena concluso non ha praticamente subito danni, doovrà subire due dolorose perdite durante la navigazione di rientro, non per azione nemica ma per la furia del mare.
Sono i cacciatorpediniere, più piccoli e fragili, e in gran parte usurati dalle frequenti missioni di scorta convogli (i cicli operativi troppo prolungati cui sono sottoposti hanno effetti negativi soprattutto in termini di logorio dell’apparato motore), a risentire di più delle condizioni del mare. Molti di essi iniziano a manifestare avarie: per primo il Lanciere, poi anche l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere e l’Alpino comunicano tutti problemi ed avarie più o meno gravi, restando arretrati o perdendo il contatto con le altre unità.
Un poco per volta, la formazione viene dispersa dalla tempesta, e le unità proseguono da sole od a piccoli gruppi, lottando contro la violenza del mare.
23 marzo 1942
La violenza del mare disperde la formazione; il Fuciliere rimane per diverse ore molto di prora alla Littorio, ma alle 3.55 il Fuciliere deve fermare una macchina, proseguendo a dodici nodi con una sola elica in moto, e finisce così con lo scadere di poppa; alle otto del mattino l’Alpino, che a sua volta ha problemi al timone, riceve ordine dall’ammiraglio Parona di scortarlo a Messina. Anche il sistema di trasmissione del timone viene messo fuori uso, costringendo a manovrare manualmente dal locale timoni.
All’alba del 23, su un totale di dieci cacciatorpediniere, soltanto uno è rimasto assieme alle navi maggiori della forza navale: altri cinque sono rimasti indietro, mentre quattro sono finiti col trovarsi in posizione molto più avanzata rispetto alla Littorio. Il mare è ormai diventato forza 8 ed investe le navi nei settori poppieri, causando gravi avarie e danni alle sovrastrutture.
Il Fuciliere, assistito da un rimorchiatore a causa del timone immobilizzato, e l’Alpino riescono finalmente a raggiungere Messina alle 15.45, preceduti dal Gorizia.
1° aprile 1942
Alle sei del mattino il Fuciliere salpa da Messina insieme all’Aviere ed alla torpediniera Libra, per scortare a La Spezia l’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere (capitano di vascello Ludovico Sitta), diretto nell’arsenale di quella base per essere sottoposto a lavori di grande manutenzione e riparazione dei danni subiti in una tempesta pochi giorni prima, al rientro dalla seconda battaglia della Sirte. Le navi fruiscono anche della scorta aerea di un idrovolante CANT Z. 501, con compiti antisommergibili. Fuciliere ed Aviere dovranno scortare il Bande Nere fino a Ponza (dove verranno rilevati dall’avviso Diana, uscito da Portoferraio), per poi raggiungere Napoli.
Appena superate le ostruzioni, tuttavia, iniziano i problemi: l’ecogoniometro della Libra si guasta, e subito dopo che la torpediniera ha comunicato il problema, anche il Fuciliere riferisce di un’avaria, alla motrice di dritta. Il comandante del Bande Nere autorizza allora il Fuciliere a tornare in porto, ordinando invece alla Libra di rimanere di scorta fino a Napoli.
Alcune ore più tardi, il Bande Nere sarà silurato ed affondato dal sommergibile britannico Urge al largo di Stomboli, con la morte di 381 dei 772 uomini a bordo.
Aprile-Agosto 1942
Dopo riparazioni provvisorie a Messina, il Fuciliere si trasferisce a Napoli e da lì a La Spezia per un periodo di riparazioni più approfondite e manutenzione, che si protrae fino al 10 agosto.
11 agosto 1942
Alle 20 il Fuciliere (capitano di fregata Umberto Del Grande) salpa da Cagliari aggregato alla X Squadriglia (Oriani, capitano di fregata Paolo Pesci; Gioberti, capitano di fregata Vittorio Prato; Maestrale, caposquadriglia, capitano di vascello Riccardo Pontremoli) scortando gli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, comandante della VII Divisione), per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato da attacchi da parte di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
L’intercettazione dovrebbe avvenire sud di Pantelleria, quando la forza “pesante” di scorta (Forza Z), che include due corazzate e tre portaerei, avrà lasciato il convoglio, affidandolo ad una forza leggera formata da pochi incrociatori leggeri e da un decina di cacciatorpediniere (Forza X). Nel corso delle successive ventiquattr’ore, inoltre, convoglio e scorta saranno sottoposti ad incessanti attacchi di aerei, sommergibili e motosiluranti, che infliggeranno loro gravi perdite.
Sulle prime si è pensato di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea era stata scartata per vari motivi: la Luftwaffe non intende fornire copertura alla flotta italiana (si ritiene più utile mandare gli aerei ad attaccare il convoglio); c’è poco carburante; si crede che ci siano 12-15 sommergibili britannici in agguato lungo le rotte che dalle basi italiane portano al luogo del probabile scontro (in realtà sono poco più della metà). La conclusione, non errata, è che una forza di soli incrociatori correrebbe meno rischi e sarebbe egualmente in grado di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si replicherebbe l’attacco portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di sfuggire insieme con la loro scorta.
Memore delle perdite subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti di Malta (siluramento della corazzata Littorio e dell’incrociatore pesante Trento, quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordina l’intervento degli incrociatori alla disponibilità di aerei da caccia, per la scorta aerea; nel Mediterraneo, però, non vi sono che cinque gruppi di caccia moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare 400 bombardieri ed aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio dalle basi siciliane e sarde. Il comando del Corpo Aereo Tedesco, che dispone soltanto di 40 caccia, si rifiuta di assegnarli alla scorta delle navi, ritenendoli necessari alla scorta degli aerei inviati contro il convoglio; Superarereo offre maggiore collaborazione, ma assegna i caccia migliori alla scorta di bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più vecchi come i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani FIAT CR. 42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta delle navi. L’11 ed il 12 agosto si discute a lungo sia al Comando Supremo che a Palazzo Venezia, finché il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore generale delle forze armate italiane, convince il generale di squadra aerea Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il 13 agosto un buon numero di aerei da caccia, che si dovrebbero alternare in turni di sei per volta, alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sono ritenuti sufficienti 45.
1942
Lavori di modifica: vengono sbarcati l’obice illuminante da 120/15 mm e le dodici mitragliere da 13,2/76 mm, mentre vengono installate quattro mitragliere contraeree Breda 1935 da 20/65 mm (una binata al posto dell’obice illuminante sulla tuga centrale e due singole a puntamento libero a poppa; altra fonte parla di otto mitragliere, in impianti binati), un ecogoniometro e due lanciabombe per bombe di profondità.
12 agosto 1942
Poco dopo le 14, si unisce alla VII Divisione anche l’incrociatore leggero Muzio Attendolo, salpato da Napoli.
Alle 19 le navi salpate da Cagliari si congiungono, nel Basso Tirreno (sessanta miglia a nord di Ustica), con la III Divisione (incrociatori pesanti TriesteGorizia e Bolzano, più i cacciatorpediniere GrecaleCorsaroLegionarioAviereGeniereAscari e Camicia Nera), partita da Messina alle 9.40. (Secondo altra fonte, il Fuciliere sarebbe salpato da Genova nelle prime ore del 12 agosto insieme al Trieste ed alla torpediniera di scorta Ardito, per poi raggiungere Napoli ed unirsi alla III Divisione).
Le due Divisioni dovrebbero intercettare i resti del convoglio, dispersi e danneggiati, per ultimarne la distruzione, verosimilmente nella mattina del 13, a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia. Insieme, le due Divisioni potranno agevolmente distruggere quanto che restava del convoglio, i cui pochi mercantili superstiti arrancano in disordine verso Malta con la sola scorta di sette cacciatorpediniere e due incrociatori leggeri, uno dei quali danneggiato, sotto continui attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.
Alle 22 Supermarina ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20 nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a nord dell’estremità occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un ricognitore Vickers Wellington (che viene a sua volta localizzato dal radar del Legionario). Il comandante delle forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un neozelandese che è stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra), resosi conto del rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti del convoglio, ordina prima al Wellington che li ha avvistati, e poi anche ad un secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli spostamenti della formazione italiana (entrambi appartengono al 69th Squadron e sono dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguono le lettere identificative "O" e "Z"), di sganciare bombe e bengala, per indurre le unità italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare l’inganno, Parks si spinge ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24 “Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistono (questo è il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il suo equipaggio, non informato dello stratagemma: «Report result your attack, latest enemy position for Liberators, most immediate»).
Ci sono invece a Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort (quindici aerei), che si tengono pronti – insieme a quindici caccia Bristol Beaufighter – ad attaccare le navi italiane in caso di estrema necessità; ma per il momento, vengono tenuti a terra. (Per altra fonte, Parks avrebbe ordinato un attacco da parte di due aerosiluranti Fairey Albacore e di uno Swordfish munito di radar, ed avrebbe inviato cinque Wellington a cercare la formazione italiana).
Supermarina cade nell’inganno. A Roma infuriano discussioni sul da farsi: l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, richiede al feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della Luftwaffe per fornire copertura aerea alle navi, che presto – si ritiene – verranno attaccate dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre prudentissima, non intende inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria senza adeguata scorta aerea); l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento con la Marina tedesca a Roma, appoggia il suo collega italiano nella richiesta a Kesselring, ed anche il maresciallo Cavallero insiste in questo senso, temendo che l’operazione britannica possa comprendere anche uno sbarco sulle coste della Libia. Ma Kesselring risponde che non ha abbastanza caccia disponibili: quelli che ci sono bastano solo per la scorta ai bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi italiane. In considerazione anche delle deludenti prove date in precedenza dalle forze da battaglia italiane negli attacchi ai convogli britannici – il fallimento della seconda Sirte ed il successo solo parziale a Mezzo Giugno contro il convoglio «Harpoon» – Kesselring, poco convinto delle probabilità di successo degli incrociatori italiani, preferisce impiegare tutti gli aerei a sua disposizione negli attacchi diretti contro il convoglio, e quindi assegnare i caccia alla scorta dei bombardieri. (Kesselring ha ragione di essere deluso per i precedenti attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il caso di notare che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei della Luftwaffe si riveleranno poi in grado di annientare il convoglio «Pedestal»).
Il comando della Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supporta con tutti gli argomenti disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo l’opinione che, in caso contrario, si perderebbe l’occasione di distruggere il più grande convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in condizioni di superiorità numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spetta la decisione finale, non condivide tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsente a destinare 40 caccia Macchi Mc 202 alla scorta delle navi; si tratta di un grosso sacrificio per le sue forze, che in Sicilia dispongono già di caccia appena sufficienti a scortare solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non li ritengono comunque adeguati; i sempre ansiosi vertici di Supermarina temono inoltre, sulla base dell’interpretazione di alcuni segnali di scoperta (quelli dei sommergibili Bronzo ed Axum, che hanno avvistato unità navali dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello di un idroricognitore CANT Z. 506, che ha segnalato “tre grandi navi” – in realtà, l’incrociatore leggero Charybdis ed i cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguono il convoglio, al largo dell’Isola dei Cani), che porebbe esserci anche una corazzata, o forse più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose, il sommergibile tedesco U 83 segnala di aver avvistato quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta. È un altro inganno: si tratta di un convoglio “fittizio” (MG. 3, composto in realtà da due incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) che i britannici hanno inviato verso Malta al preciso scopo di distogliere l’attenzione dei comandi italiani dal vero convoglio.
Le discussioni finiscono col giungere ad un punto morto, pertanto gli alti ufficiali deliberano di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore, Cavallero gli spiega per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – è d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli incrociatori: Cavallero dice a Mussolini che Riccardi ritiene la missione “troppo pericolosa per la Marina” e per giunta, giudizio più che discutibile, “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”), che senza copertura aerea verrebbero attaccati dai bombardieri di Malta subendo gravi danni, aggiungendo anche la notizia dell’avvistamento di navi britanniche nel Mediterraneo orientale; asserisce che incaricherà l’Aeronautica di massimizzare gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini viene convinto da tanto eloquio: dice a Cavallero che non intende rischiare le sue navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiara convinto che gli aerei e le motosiluranti italiane riusciranno comunque a distruggere il convoglio prima che raggiungesse Malta. Di conseguenza, la missione degli incrociatori viene annullata: la più grande occasione che si sia mai presentata alla Regia Marina per trasformare un ottimo successo tattico (colto nelle ore precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in uno strepitoso successo strategico va così in fumo, per l’eccessivo timore di perdite che si verificheranno lo stesso, ma in condizioni ben più umilianti.
13 agosto 1942
Alle 00.30 Supermarina ordina alla III e VII Divisione, che in quel momento sono ad una ventina di miglia da Capo San Vito (ad ovest di Trapani), di virare verso est per tornare alle basi, paventando attacchi aerei nemici sulla base dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri ricognitori. Tre minuti più tardi, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide poi di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare le navi avvistate dall’U 83 nel Mediterraneo orientale, mentre la VII Divisione dovrà tornare in porto.
I finti attacchi aerei e messaggi continuano ad ogni modo anche nelle ore successive, per evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
Per buona parte della navigazione, “ULTRA” tiene sotto controllo gli spostamenti degli incrociatori italiani, decrittando le trasmissioni radio compilate con la macchina cifrante Enigma: dapprima apprende della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno (La Spezia) nella notte tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le 8.40 e le 11 del 12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere, sono partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere sono partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelano che una forza navale italiana, di consistenza sconosciuta, ha ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine di assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e poi (19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria. Supermarina avvisa anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) sono in pattugliamento a ponente della longitudine 11°40’ E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA” intercetta l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) delle 23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso sudest viene confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington "O", subito riconfermato dal Wellington "Z".
Alle 00.30, in esecuzione dell’ordine di Supermarina, la III Divisione (cui per ordine di Supermarina vengono aggregati Fuciliere, Attendolo e Grecale, distaccati dalla VII Divisione) fa rotta su Messina, mentre la VII Divisione dirige per Napoli. L’Attendolo avvista la III Divisione alle 2.55, ma riesce ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in quanto tutte le navi hanno preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla luce di bengala lanciati dagli aerei britannici.
Procedendo a 22 nodi, la III Divisione supera Alicudi, dopo di che passa dalla linea di fila alla doppia linea, con Trieste e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro. Due degli otto cacciatorpediniere di scorta sono dotati di ecogoniometro; nel cielo della formazione volano due idrovolanti CANT Z. 506 quale scorta aerea. Il mare è calmo, la visibilità ottimale; una radiosa giornata estiva.
Tra gli equipaggi regna una certa frustrazione, a causa dell’ordine di ritirarsi senza nemmeno aver tentato di attaccare un nemico che già si trova alle strette.
A nord di Palermo, il sommergibile britannico Safari avvista la III Divisione, ma non è in grado di attaccare.
Diversamente vanno le cose per un secondo sommergibile, l’Unbroken (tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), che già alle quattro del mattino è stato informato da Malta che degli incrociatori italiani si stanno dirigendo verso di lui. Alle 7.30, mentre si trova in posizione 38°43’ N e 14°57’ E (al largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest dell’imbocco dello Stretto di Messina), il sommergibile britannico avverte rumori prodotti dagli apparati motori di navi, su rilevamento 230°; alle 7.43 avvista sullo stesso rilevamento numerose navi italiane, che gli stanno proprio venendo incontro. Mars identifica correttamente la colonna centrale come composta da due incrociatori pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri, che procedono in linea di fila; li scortano otto cacciatorpediniere di tipo moderno. La distanza è di 11.000 metri, e Mars stima la velocità delle navi italiane in circa 25 nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi stanno passando tra Filicudi e Panarea; sono al traverso di Salina, Stromboli è otto miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè a sudovest).
Iniziata la manovra d’attacco, e penetrato lo schermo dei cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di essi passano vicinissimi al periscopio del sommergibile, ma senza notarlo), alle 8.04 l’Unbroken lancia quattro siluri contro il più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di questa nave ci sono i due incrociatori “leggeri”, e Mars ritiene – a ragione – che se i siluri dovessero mancare il bersaglio designato, avrebbero una buona possibilità di colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della formazione italiana a due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si prepara ad attaccare), i bersagli si “sovrappongono” nel periscopio di Mars; l’incrociatore più vicino è a 25° di prora dritta, distanza 2740 metri.
Subito dopo il lancio, l’Unbroken scende a 24 e poi a 37 metri di profondità, vira di 90° a dritta ed aumenta la velocità per cinque minuti. Quando sente le detonazioni, Mars stima che due siluri abbiano centrato l’incrociatore pesante, e che forse gli altri abbiano colpito uno degli altri.
Il comandante britannico ha apprezzato correttamente gli esiti del proprio lancio: alle 8.05, mentre l’Unbroken sta lanciando i siluri, gli incrociatori italiani hanno ridotto la velocità a 18 nodi, per consentire al Gorizia di lanciare un idrovolante; poco dopo, il Fuciliere ha avvistato un sommergibile sulla sinistra, ed ha aperto il fuoco con una mitragliera contro il periscopio, distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano avvistano le scie dei siluri; il Gorizia li evita con una brusca accostata, ma il Bolzano non fa in tempo, e viene centrato da un siluro proprio mentre sta iniziando a virare. Poco dopo anche l’Attendolo, che non ha avvistato scie né ricevuto l’allarme lanciato dal Fuciliere, viene colpito, subendo l’asportazione della prua.
Mentre gli equipaggi dei due incrociatori lottano per tenere le loro navi a galla, i cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare loro assistenza e protezione, iniziano a stendere cortine fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di profondità: dalle 8.09 alle 16.40 vengono lanciate ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente alla profondità di 39 metri in assetto di navigazione silenziosa, riesce a far perdere le proprie tracce già alle nove. Sono il Fuciliere (munito di ecogoniometro) ed il Camicia Nera a condurre la caccia, rallentando e localizzando l’Unbroken alle 8.45; la caccia vera e propria dura tre quarti d’ora, dopo di che – dopo il lancio della quarantesima bomba di profondità – i cacciatorpediniere si limitano a gettare bombe di profondità di tanto in tanto, a scopo precauzionale, e le esplosioni si fanno sempre più sporadiche e lontane. Il sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti durante i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata (per altra fonte, le bombe sono state lanciate con buona precisione, ma regolate per esplodere a quota troppo ridotta).
Aviere e Geniere cercano di prestare assistenza al Bolzano (che ha quattro comportamenti allagati ed un violento incendio a centro nave) e di prenderlo a rimorchio; per tre volte uno di essi lancia all’incrociatore colpito un sacchetto con cui recuperare lo spesso cavo d’acciaio che passa al Bolzano per rimorchiarlo, ma ogni volta il cavo si spezza. La nave è fortemente appruata, e l’incendio divampa furioso: tra l’acqua che entra dalla grossa falla aperta dal siluro sotto il torrione, e quella giocoforza immessa nei depositi munizioni per scongiurarne l’esplosione, la galleggiabilità del Bolzano appare sempre più compromessa.
Verso le dieci del mattino, Aviere e Geniere riescono finalmente a prendere il Bolzano a rimorchio: l’Aviere da prua, il Geniere da poppa. La nave continua progressivamente ad appruarsi e sbandare sulla sinistra, ormai in serio pericolo di affondamento, inducendo il suo comandante, capitano di vascello Mario Mezzadra, a decidere di tentare di raggiungere un basso fondale e qui portarla ad adagiarsi.
Nel tentativo di far accostare il Bolzano, uno dei cavi di rimorchio si spezza, e lo sbandamento dell’incrociatore aumenta ancora di più (circa 15°): sembra allora che il Bolzano, sempre più basso sull’acqua, stia per affondare da un momento all’altro. Alle 10.55 il comandante Mezzadra ordina di abbandonare la nave.
Mentre l’Aviere recupera gli uomini che si gettano in mare, il Geniere si avvicina e – per ordine di Mezzadra – manovra per affiancarsi al Bolzano sul lato di dritta e trasbordare il personale che è ancora a bordo: in questo modo, la maggior parte dell’equipaggio dell’incrociatore può essere ordinatamente trasferita sul Geniere. Tra di essi vi sono il comandante Mezzadra (ultimo a trasbordare), il comandante in seconda Andrea Fe’ d’Ostiani ed il direttore di macchina Luigi Petrillo.
Il Bolzano, intanto, arresta il suo apparentemente affondamento, e si stabilizza, al punto che risulta nuovamente possibile, per il Geniere, tentare di prenderlo a rimorchio. Un ufficiale del Bolzano, il capitano del Genio Navale Armando Traetta, chiede ed ottiene il permesso di tornare sull’incrociatore con una decina di volontari, per filare a mare i cavi di rimorchio, in precedenza preparati a poppa, in modo da poterli poi recuperare dal Geniere e prendere così a rimorchio il Bolzano, per portarlo all’incaglio. Tornato sul Bolzano con una lancia, il gruppetto guidato da Traetta risale a bordo, dove riesce finalmente a tendere il cavo di rimorchio. Il cavo però cade in mare; a questo punto alcuni uomini del Bolzano che si trovano sul Geniere – il guardiamarina Pier Giacomo Vianello, il secondo nocchiere Vieno Posa, il capo elettricista Giuseppe Chiricozzi, il nocchiere Catello Pulzella ed il marinaio Luigi Avellino – si tuffano in mare per recuperarlo e ristabilire il rimorchio, il che viene fatto. L’operazione di rimorchio è diretta da Mezzadra.
Il Geniere rimorchia allora l’incrociatore, sbandato di circa 5°-6°, verso la vicinissima isola di Panarea, dove lo porta ad incagliare su un banco sabbioso dinanzi alla spiaggia Lisca Bianca, presso Punta Peppemaria (sulla costa settentrionale dell’isola), alle 13.30. Qui l’acqua è profonda solo dodici metri; quando la carena del Bolzano tocca il fondale per la prima volta, l’incrociatore sbanda paurosamente di ben 45° sulla sinistra: sembrando che la nave stia per rovesciarsi da un momento all’altro, i volontari saliti a bordo la devono di nuovo abbandonare. Successivamente, però, lo sbandamento torna a diminuire, e ci si può finalmente mettere all’opera per domare l’incendio. (Il Bolzano potrà essere rimesso a galla nel giro di un mese e rimorchiato prima a Napoli e poi a La Spezia, ma le riparazioni non verranno mai ultimate.)
Anche sull’Attendolo, intanto, si lavora alacremente per salvare la nave; le lamiere contorte della prua (le strutture dell’estrema prua sono collassate, ma parte di esse sino rimaste “appese” allo scafo), piegate verso l’esterno specialmente sulla dritta, facenno da “timone”, e rendono così la nave ingovernabile. Si decide di tentare il rimorchio; viene teso un cavo tra l’Attendolo e l’Ascari, ma pochi minuti dopo le 10 il cavo si spezza, lasciando l’incrociatore nuovamente fermo in mezzo al mare, con un lieve abbrivio.
Alle 10.12 le vedette dell’Attendolo segnalano un periscopio a circa 2000 metri a sinistra; probabilmente si tratta un’illusione ottica. Ad ogni moto, si decide di risolvere drasticamente il problema delle lamiere sporgenti collocando e facendo detonare delle piccole cariche esplosive, su misura, in modo da provocare il distacco delle lamiere. Fatto ciò, l’Attendolo accosta a lento moto per rivolgere la poppa verso il pericolo. Poco dopo, due scie di siluri vengono viste passare vicinissime e parallele, sulla dritta: in realtà deve trattarsi di un’altra illusione ottica, dovuta alla “psicosi” che spesso si sviluppa dopo un siluramento, dato che in quel momento l’Unbroken si sta allontanando sotto caccia, e nessun altro sommergibile britannico risulta aver attaccato l’Attendolo in quella data e zona.
Alle 10.24 un bombardiere Bristol Blenheim lancia alcune bombe che caddero intorno all’Attendolo, poi si allontana, bersagliato dal tiro contraereo della nave, che poi riesce finalmente a fare rotta su Messina. Procedendo a cinque nodi, l’Attendolo passa tra Panarea e gli scogli delle Formiche, con rotta su Capo Milazzo; lo scortano l’Ascari ed il Geniere, rinforzati tra le 14.30 e le 17.15 dai cacciatorpediniere FrecciaCorsaro e Legionario. Alle 18.45, arrivato nei pressi di Messina, l’Attendolo viene raggiunto dai rimorchiatori, che lo conducono in porto.
6 settembre 1942
Il Fuciliere salpa da Taranto alle due di notte, insieme ai cacciatorpediniere Freccia, Geniere, Bombardiere, Corsaro e Camicia Nera ed alla torpediniera Pallade, scortando il convoglio «N», formato dalle motonavi Luciano Manara e Ravello, con destinazione Bengasi.
Alle 10.40, al largo di Capo Santa Maria di Leuca, il convoglio «N» si unisce al convoglio «P», proveniente da Brindisi (motonavi Ankara e Sestriere, scortate dai cacciatorpediniere AviereLampo e Legionario e dalle torpediniere Partenope e Pegaso), formando un unico convoglio denominato «Lambda», che fruisce anche di nutrita scorta aerea da parte di velivoli italiani e tedeschi. Caposcorta è il capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni, dell’Aviere.
In base alle disposizioni impartite, il convoglio segue la costa della Grecia, ma viene ben presto individuato da un ricognitore Martin Baltimore del 69th Squadron della RAF (capitano R. C. Mackay), che ne identifica la composizione come quattro mercantili ed undici cacciatorpediniere, su due colonne.
Alle 12.30 decollano pertanto da Malta per attaccare il convoglio tredici aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron RAF, guidati dal capitano canadese Hank Sharman; li scortano una dozzina di caccia Bristol Beaufighter del 227th Squadron RAF, sei dei quali muniti di bombe per condurre anche un’azione diversiva. Una serie di avarie, tuttavia, costringe ben quattro Beaufort e tre Beaufighter a rientrare alla base, di fatto riducendo di un quarto la consistenza della forza d’attacco britannica prima ancora di giungere in vista del nemico. Altri quattro Beaufighter, dell’89th Squadron, sono incaricati della scorta a lungo raggio e ad alta quota dell’intera formazione.
Verso le 15.30, al largo di Corfù ed una trentina di miglia a sud di Capo Santa Maria di Leuca, gli aerosiluranti raggiungono il convoglio, che in quel momento è dotato di una scorta aerea composta da sei Junkers Ju 88 tedeschi, un idrovolante antisommergibili ed alcuni caccia italiani identificati dai britannici come Macchi Mc 200 (in realtà si tratta di FIAT G. 50bis del 24° e 161° Gruppo della Regia Aeronautica e Messerschmiff Bf 109 tedeschi del II./JG 53). Primi ad attaccare sono i Beaufighter muniti di bombe, accolti da un intenso tiro contraereo: nessuna delle bombe va a segno, ma l’attacco ha l’effetto di scompaginare la formazione del convoglio, che zigzaga e si disperde. Viene poi il turno dei Beaufort, che attaccano provenendo dalla dritta, divisi in tre gruppi di tre: i caccia della scorta aerea si avventano su di essi, e nella conseguente battaglia aerea i britannici rivendicheranno l’abbattimento di uno Ju 88 (ad opera sottotenente Neville Reeves) e di due Macchi 200 (ad opera del tenente colonnello Ross Shore e del sottotenente Milson) ed il danneggiamento dell’idrovolante (ad opera del maggiore P. M. J. Evans, che lo identifica come un Dornier Do 24), di uno Ju 88 (ad opera del sergente R. J. Dawson) e di due Macchi 200 (ad opera del sottotenente A. F. Izzard e del sergente R. J. Dawson), visto poi ammarare vicino ad uno dei cacciatorpediniere della scorta, mentre i caccia italiani rivendicano l’abbattimento di tre Beaufort ed il danneggiamento di altri due (ad opera del tenente Giuseppe Marazio e del sottotenente Iolando Suprami della 164a Squadriglia del 161° Gruppo Autonomo Caccia Terrestre, e dei tenenti Francesco Pantanella e Giuseppe Bentivoglio della 355a Squadriglia del 24° Gruppo Caccia Terrestre), ed un caccia tedesco del 6. Staffel (tenente Günther Hess) rivendica l’abbattimento di un quarto Beaufort.
Le effettive perdite britanniche ammontano a due Beaufighter (il T4666 "Y" del tenente D. M. Partridge e l’X8085 "A" del tenente F. C. Noone, entrambi del 227th Squadron, abbattuti con la morte di entrambi gli equipaggi) ed altrettanti Beaufort abbattuti, nonché tre Beaufort danneggiati; quelle italo-tedesche all’abbattimento di uno Ju 88 (pilotato dal tenente Siegfried Philipp) ed al danneggiamento di due FIAT G. 50 del 161° Gruppo Autonomo Caccia Terrestre.
Il Beaufort del capitano Sharman, capo formazione (AW385 "Q"), viene abbattuto dal tiro della scorta con la morte dell’intero equipaggio, così come quello (AW280 "R") pilotato dal tenente sudafricano R. C. B. Evans; altri tre Beaufort vengono danneggiati dai caccia e dal tiro delle navi (l’AW291 del sottotenente Marshall, con un ferito lieve; l’AW381 del sergente G. E. Sanderson, con un morto; l’AW302 del sergente Watlington, con due feriti). Dopo la morte di Sharman, assume al suo posto la guida della formazione il tenente Les Wordell, che alle 15.40 colpisce la Manara a poppa con un siluro.
Presa a rimorchio dal Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello), la Manara può essere portata all’incaglio nella baia di Arilla (Corfù). Il resto del convoglio prosegue; al tramonto si scinde nuovamente nei due gruppi originari (meno Freccia e Manara) che navigano separati per tutta la notte, pur seguendo entrambi la medesima rotta lungo la costa ellenica.
7 settembre 1942
All’alba i due gruppi si riuniscono di nuovo, assumendo una formazione con le motonavi disposte a triangolo (Ravello a dritta, Ankara a sinistra, Sestriere di poppa) e le navi scorta disposte tutt’intorno, oltre alla scorta aerea di 7 Junkers Ju 88 tedeschi, 5 caccia italiani Macchi Mc 200 ed un idrovolante CANT Z. 506.
Alle 8.35 il sommergibile britannico P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison), preavvisato del prossimo arrivo del convoglio, avvista su rilevamento 305° le alberature ed i fumaioli delle navi italiane. Iniziata la manovra d’attacco alle 8.40, il P 34 lancia quattro siluri alle 9.21, da 6400 metri, in posizione 36°17’ N e 21°03’ E (45 miglia a sudovest dell’isola greca di Schiza); Sestriere e Ravello, avvistati i siluri, li evitano con la manovra. Il Lampo (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti) viene temporaneamente distaccato per dargli la caccia, lanciando bombe di profondità a scopo intimidatorio, per poi riunirsi al convoglio; anche l’Aviere, che ha avvistato le scie dei siluri, effettua un attacco con bombe di profondità. Il contrattacco contro il P 34 si protrae dalle 9.36 alle 13 circa (con una pausa di circa un’ora), con il lancio in tutto di 83 bombe di profondità; gli scoppi delle bombe, oltre ad indurre il sommergibile a restare immerso in profondità per tutto il pomeriggio, arrecano seri danni al suo motore di sinistra (quando si cerca di metterlo in moto, scoppia un incendio), costringendolo ad interrompere la missione e rientrare a Malta per le riparazioni.
Per tutta la giornata del 7, e nella notte successiva, le navi vengono ripetutamente attaccate da bombardieri (di giorno si tratta di Consolidated B-24 “Liberator” statunitensi) ed aerosiluranti.
Alle 19.40 il convoglio «Lambda» si scinde nuovamente in due gruppi: Fuciliere, GeniereLampoAnkara e Partenope dirigono per Tobruk, mentre PegasoPalladeCamicia NeraAviereCorsaroLegionarioRavello e Sestriere fanno rotta per Bengasi (dove arriveranno alle 11 dell’indomani).
8 settembre 1942
Il gruppo che comprende il Fuciliere, durante la notte, viene sottoposto ad ulteriori e pesanti attacchi di bombardieri; mentre l’Ankara rimane indenne, alle 2.14, durante un attacco da parte di sette “Liberator” del 159th Squadron decollati da basi in Nordafrica, il Fuciliere (capitano di fregata Umberto Del Grande) viene investito dall’esplosione di alcune bombe cadute vicinissime allo scafo, che causano danni alle sovrastrutture nonché vie d’acqua ed allagamenti parziali di alcuni locali, uccidendo due uomini – il sottocapo radiotelegrafista Carlo Barozzi, di 22 anni, da Villafranca di Verona, ed il sergente elettricista Giuseppe Masillo, di 25 anni, da Roma – e mettendo fuori uso la motrice di poppa. Due ore dopo l’attacco il Fuciliere deve pertanto lasciare la scorta e raggiungere Creta, scortato dal Bombardiere; alle 19.55 getta l’ancora a Sfakia, nella rada di Capo Krio (Creta).
Alla memoria del sergente Masillo e del sottocapo Barozzi verrà conferita la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione: “Imbarcato su C.T. di scorta a convoglio, attaccato da aerosiluranti e bombardieri nemici, dava prova di sereno coraggio. Durante un successivo attacco notturno, travolto dalle colonne d’acqua, provocate da grosse bombe sganciate a bassa quota, scompariva in mare nell’adempimento del proprio dovere”.
Il tenente del Genio Navale Direzione Macchine Antonino Emmi, 40 anni, da Linguaglossa, rimasto ferito, verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione “Imbarcato su cacciatorpediniere, di scorta a convoglio, attaccato da aerosiluranti e bombardieri nemici, dava prova di sereno spirito e noncuranza del pericolo. Durante un successivo attacco notturno, travolto dalle colonne d’acqua provocate da grosse bombe sganciate a bassa quota, riportava la frattura di una gamba e dimostrava fermezza di carattere, rifiutando le cure finché non fossero stati soccorsi gli altri feriti. Nella lunga e difficile navigazione di rientro alla base dell’unità danneggiata, rimaneva volontariamente, incurante della ferita, al centralino macchina e, mantenendosi in contatto col proprio personale apportava il suo contributo alle operazioni di emergenza”.
9 settembre 1942
Si trasferisce da Creta a Navarino, in parte con i propri mezzi ed in parte a rimorchio del Bombardiere; strada facendo viene rifornito d’acqua dai cacciatorpediniere Geniere e Zeno.
Rimane poi a Navarino fino a fine mese, per riparazioni provvisorie effettuate dalla nave officina Quarnaro.
30 settembre 1942
Arriva a La Spezia per essere sottoposto a lavori di riparazione più approfonditi.
10 novembre 1942
Fuciliere, Granatiere, Bersagliere, Alpino e Camicia Nera scortano gli incrociatori Giuseppe Garibaldi, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta da Navarino ad Augusta.
Alle 6.10 ed alle 6.11 la formazione viene avvistata in posizione 37°11’ N e 15°30’ E (una quindicina di miglia ad est di Augusta), quasi simultaneamente, da due sommergibili britannici: l’Una (tenente di vascello Compton Patrick Norman), già preavvisato via radio del suo arrivo, e l’Utmost (tenente di vascello John Walter David Coombe): entrambi sono stati schierati in zona in seguito all’avvistamento della formazione italiana, in navigazione da Navarino verso ovest, da parte di un ricognitore.
Norman avvista le navi italiane da cinque miglia di distanza, su rilevamento 100°; ne stima la velocità in 25 nodi ed apprezza la composizione della formazione come tre incrociatori leggeri scortati da sei cacciatorpediniere, tre per lato. Non essendo riuscito a virare abbastanza rapidamente da poter attaccare i primi due incrociatori, alle 6.18 l’Una sceglie come bersaglio il terzo della fila, ed alle 6.25 gli lancia una salva di quattro siluri da 3650 metri, per poi scendere a 24 metri e ritirarsi verso est-nord-est. Nessuna delle armi va a segno.
Senza successo è anche l’attacco dell’Utmost, che sceglie come bersaglio l’incrociatore di coda, il più vicino: alle 6.37, in posizione 37°16’ N e 15°31’ E, gli lancia contro quattro siluri da 6400 metri, per poi scendere in profondità; nessuna delle armi raggiunge il bersaglio.
Gennaio 1943
Nel corso di lavori effettuati a La Spezia, viene installato sul Fuciliere un radar modello EC.3/ter "Gufo", sistemato sulla sommità della torretta telemetrica.
Il Fuciliere è una delle primissime unità a ricevere il radar "Gufo" (inizialmente era stato deciso che avrebbe dovuto imbarcare un modello De.Te. tedesco, ma successivamente questo era stato destinato ad un’altra nave), la cui sperimentazione dà però esiti poco soddisfacenti: non riesce a rilevare gli aerei a distanze superiori ai 4-5 km e dimostra in generale prestazioni inferiori a quelle del De.Te. tedesco; il 29 maggio 1943 l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle Forze Navali da Battaglia, riferisce a Supermarina che i problemi riscontrati sono dovuti alla “scarsissima istruzione e addestramento del personale” ed alle “frequenti avarie agli apparecchi stessi”. Bergamini scrive che “Come è noto a codesto S.M., il personale (Capi impianto ed operatori) che è stato imbarcato sui cacciatorpediniere CARABINIERE, FUCILIERE e PANCALDO per l’impiego dei GUFO, ha seguito il primo corso RARI in maniera molto affrettata ed incompleta. Ne consegue di ciò, detto personale è [stato] imbarcato che non aveva raggiunto né la preparazione tecnica né il sufficiente addestramento necessari per adempiere bene al proprio compito. (…) La preparazione raggiunta dal personale è molto scadente né si ritiene che possa rapidamente migliorare perché la poca conoscenza che il personale stesso ha dell’apparato rende poco proficue le esercitazioni che vengono fatte a bordo (…) L’esperienza fatta in questi primi mesi con gli apparati GUFO del FUCILIERE, del CARABINIERE e del PANCALDO, ha dimostrato che, nelle attuali condizioni degli apparati e del personale, il rendimento dei GUFO è molto scarso. Sino ad ora,  mentre nella radiolocalizzazione di unità navali si è avuto, sebbene sporadicamente, qualche risultato favorevole, nella radiolocalizzazione degli aerei non si è avuto, in pratica, nessun risultato utile. Recentemente sono state eseguite dal CARABINIERE e dal FUCILIERE, alla fonda vicino alla diga di La Spezia, ed in navigazione, varie esercitazioni con l’intervento di aerei di vario tipo, grandi e piccoli, e tutto ciò che si è riusciti ad ottenere è stato, un paio di volte, qualche eco a distanza non superiore a 4000-4500 metri, per brevissimo tempo e subito scomparso. Il cattivo rendimento dei GUFO dipende da due cause: 1. – scarsissima istruzione ed addestramento del personale; 2. – frequenti avaria agli apparati. Ciò, naturalmente, oltre alle intrinseche possibilità dell’apparato (quando in perfetta efficienza ed impiegato da personale addestrato), sulle quali non si è ancora in grado e esprimere una fondata opinione, dato che in conseguenza dei due motivi suddetti non è stato possibile eseguire, sino ad ora, una serie esauriente di prove. Tuttavia ci si va formando l’opinione che le possibilità del GUFO nella radiolocalizzazione di aerei siano effettivamente inferiori a quelle dei DETE e che ciò possa dipendere in parte, dalla forma del diagramma di irradiazione delle trombe. 3°) Nei riguardi del personale, si è riferito in merito con il foglio 05665 in data 11 aprile c.a. diretto a Maristat I.T.E.. Riassumendo, il personale, che sino ad ora è stato proposto all’impiego del GUFO, non è sufficientemente addestrato all’impiego dell’apparato, né ha la preparazione tecnica, non solo per riparare le avarie, ma neppure, nella maggior parte dei casi, per localizzarle”.

Il radar "Gufo" installato sul Fuciliere (da “La storia del radar in Italia prima e durante la guerra 1940-1945”, di Francesco Mattesini)

Federico Brando, uno dei tecnici che lavorarono all’installazione del "Gufo" sul Fuciliere, ricorderà così quei giorni nelle sue memorie: “Gli apparati dovevano funzionare in condizioni ostili: clima salino, vibrazioni e notevoli sbalzi termici. Ogni parte doveva essere sempre accessibile e non si potevano portare a bordo molti strumenti; uno dei punti critici era la connessione delle antenne montate sulla torretta girevole ed il resto del sistema. Già in darsena, sui cacciatorpediniere, a circa 15 metri di altezza le oscillazioni della nave complicavano le operazioni; molto più rischiosa la situazione in navigazione. Una delle installazioni realizzate anche da chi scrive venne effettuata nei primi mesi del 1943 a bordo del cacciatorpediniere Fuciliere, reduce, un po’ malconcio, dalla seconda battaglia del golfo della Sirte. Stavano potenziando l’armamento prodiero e la torretta della Galileo era stata sistemata nel punto più alto al posto del faro.
Quando la squadra dei montatori e collaudatori salì a bordo fu accolta con un saluto: “Ormai il brutto è passato, ora verrà il peggio”. Frase profetica
Quando la squadra dei montatori e collaudatori salì a bordo fu accolta con un saluto: “Ormai il brutto è passato, ora verrà il peggio”. Frase profetica”.
Durante i lavori vengono anche eliminati la mitragliera binata centrale da 20/65 mm e l’impianto lanciasiluri poppiero, al cui posto vengono installate due mitragliere singole Breda Mod. 39 da 37/54 mm (altra fonte afferma che una delle due mitragliere da 37/54 mm sarebbe stata installata al posto dell’obice illuminante, che sarebbe stato sbarcato solo in questa circostanza, oppure che in tale posizione ne sarebbe stata installata una terza; l’altra sarebbe stata collocata sulla sovrastruttura centrale) e quattro o cinque mitragliere singole Breda 1940 da 20/65 mm. Viene anche eliminato l’albero poppiero.
23 gennaio 1943
Inizia le prove in mare al termine dei lavori.
 
Il Fuciliere a La Spezia nel gennaio-febbraio 1943 (Coll. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

31 gennaio 1943
Ritorna in servizio, assegnato dapprima alla XII e poi alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere.
1° marzo 1943
Fuciliere ed Alpino salpano da Palermo per Tunisi alle 4.20, in missione di trasporto truppe. Dopo le Egadi i due cacciatorpediniere si uniscono ad un secondo gruppo partito da Trapani e formato dai cacciatorpediniere Premuda, Pigafetta e Malocello: in tutto le cinque unità trasportano 1930 soldati.
Giunti a Tunisi alle 13.25, i cacciatorpediniere sbarcano rapidamente le truppe e poi ripartono già alle 14.30: Fuciliere ed Alpino diretti a Palermo, gli altri tre a Trapani.
2 marzo 1943
Fuciliere ed Alpino arrivano a Palermo alle 5.30.
15 marzo 1943
Fuciliere ed Alpino salpano da Trapani per La Goletta all’1.15, in missione di trasporto truppe. Giunti a La Goletta alle 9.55, sbarcano le truppe e ripartono alle 11.20 diretti a Palermo, dove giungono alle 21.30.
16 aprile 1943
Il Fuciliere esce da La Spezia insieme ai cacciatorpediniere Alpino ed Oriani (con cui forma la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere), alle tre corazzate della IX Divisione (Roma – nave ammiraglia –, LittorioVittorio Veneto) ed alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (GiobertiLegionarioCamicia Nera) per effettuare esercitazioni di tiro e di cooperazione aeronavale, le prime tenute dall’autunno del 1942. Aerei da caccia ed idrovolanti antisom inviati decollati da La Spezia completano la formazione, con funzioni di scorta aerea sia ad alta che a bassa quota; partecipano all’esercitazione sommergibili, mezzi antisommergibili ed il rimorchiatore Portoferraio, incaricato di rimorchiare i bersagli.
Le esercitazioni, che consistono in prove di tiro delle corazzate (con i pezzi principali da 381 mm, quelli secondari da 152 mm, quelli contraerei da 90 mm e con le mitragliere da 37 e 20 mm) contro aerei e bersagli navali rimorchiati, manovre in formazione ed un attacco simulato da parte di aerosiluranti (quattro Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” del Gruppo aerosiluranti di base a Pisa), si tengono durante il mattino ed il pomeriggio, in condizioni di mare calmo e scarsa visibilità.
Vengono eseguiti tre attacchi simulati di aerosiluranti, con lancio di siluri da distanze variabili tra 800 a 1500 metri; gli aerei volano a circa cinquanta metri di quota e, a causa della scarsa visibilità, vengono avvistati soltanto quando sono a 7-8 km di distanza. Tutti e tre gli attacchi vengono condotti in formazione serrata, con provenienza da poppa; i primi due sono eseguiti da quattro aerosiluranti, il terzo da tre. I caccia della scorta aerea intervengono tre volte, due prima del lancio dei siluri ed una durante la successiva manovra di allontanamento.


Il Fuciliere in arrivo a Biserta durante una missione di trasporto truppe nei primi mesi del 1943 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Erminio Bagnasco/Coll. Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)


30 aprile 1943
Fuciliere e Carabiniere dovrebbero salpare per un’altra missione di trasporto truppe verso la Tunisia, ma questa viene annullata all’ultimo momento in seguito alla perdita nelle ore precedenti, sotto pesanti attacchi aerei angloamericani, dei cacciatorpediniere Lampo, Leone Pancaldo ed Hermes (i primi due affondati, il terzo reso inutilizzabile) impegnati in analoghi compiti.
Nessun cacciatorpediniere partirà più per la Tunisia: il dominio Alleato dei cieli è ormai schiacciante, tale da rendere suicida ogni ulteriore tentativo. Le ultime truppe dell’Asse in terra africana si arrenderanno il 13 maggio.
7 giugno 1943
Il Fuciliere salpa da La Maddalena, insieme a Legionario e Gioberti, per una missione di scorta ad un convoglio composto dai piroscafi Melfi, Canosa e Cassino. Alle 5.50 i fumi del convoglio vengono avvistati dal sommergibile britannico Safari (tenente di vascello Richard Barkie Lakin), che alle 6.34 avvista il convoglio in avvicinamento, diretto verso sud, a sette miglia di distanza. Il Safari si avvicina per 25 minuti ad alta velocità, poi, alle 7.19 (in posizione 41°46’ N e 09°30’ E) lancia quattro siluri da 6400 metri di distanza, contro due dei mercantili; nessuna delle armi va a segno, ed esse esplodono anzi contro la costa, avvertendo la scorta del pericolo. Alle 7.26 il Gioberti contrattacca con 14 bombe di profondità, che scoppiano tutte piuttosto vicine al sommergibile, causando però soltanto danni leggeri. Alle 8.23 il battello britannico torna a quota periscopica ed avvista il Gioberti quasi 3660 metri a poppavia; il comandante britannico decide di avvicinarsi e preparare due tubi al lancio per attaccarlo, ma abbandona ogni proposito offensivo quando, alle 9, il Gioberti accelera e gli si dirige incontro.
Il Safari scende in profondità, ed alle 9.04 il cacciatorpediniere lancia altre tre bombe di profondità, che esplodono vicine; seguono, alle 9.36, altri due pacchetti di 3 e 4 cariche di profondità, anch’esse esplose vicine al bersaglio.
Il Gioberti, a ragione, ritiene di aver solo danneggiato l’attaccante; le corvette Danaide e Folaga ricevono ordine di recarsi sul posto per proseguire la caccia, ma non riusciranno a trovare il Safari, che si ritira lentamente verso il largo alla quota di 91 metri.
10 giugno 1943
Assume il comando del Fuciliere il capitano di fregata Uguccione Scroffa, 43 anni, da Ferrara.
16 giugno 1943
Durante la notte il Fuciliere, insieme ai gemelli Carabiniere, Mitragliere e Legionario (coi quali forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere), scorta da La Spezia a Genova la Vittorio Veneto, diretta nel capoluogo ligure per riparare in bacino di carenaggio i danni subiti durante un bombardamento aereo sulla base spezzina.
18 luglio 1943
Durante un’esercitazione al largo di La Spezia, nella notte tra il 18 ed il 19 luglio, il marinaio fuochista Francesco Fiorilli del Fuciliere, di 21 anni, da Termoli, cade in mare e non viene più ritrovato. Verrà considerato disperso.
28 luglio 1943
Il Fuciliere, insieme a Carabiniere, Legionario, Oriani, Littorio, Vittorio Veneto e diversi VAS, partecipa ad un’esercitazione notturna di tiro notturno ed attacco simulato da parte di motosiluranti (“impersonate” dalle VAS) alla squadra da battaglia.

Particolare della sovrastruttura prodiera del Fuciliere con visibile l’antenna del radar "Gufo" (da “The Owls and the Gufo. Birth of Italian radar”)

11 agosto 1943
Sette membri dell’equipaggio del Fuciliere perdono la vita nel Mediterraneo centrale: i marinai cannonieri Enrico Bonizzoni, 23 anni, da Castellanza, Mario Rambaldi, 19 anni, da Castel del Rio, Orfeo Giorgini, 19 anni, da Montemarciano, ed Agostino Calamo, 23 anni, da Ostuni; il marinaio nocchiere Giuseppe Curatolo, 19 anni, da Trapani; il marinaio Aldo Ronconi, 21 anni, da Codigoro; ed il sottocapo cannoniere Salvatore Legname, 20 anni, da Gela. Non è stato finora possibile risalire all’evento che causò questa perdita di vite; a quanto risulta, l’11 agosto 1943 il Fuciliere si trovava a Genova.
13 agosto 1943
Fuciliere, Mitragliere e Carabiniere scortano da Genova a La Spezia la corazzata Roma, al termine di un periodo di riparazioni in bacino dei danni causati da un’altra incursione aerea. Durante la navigazione di trasferimento sono previste delle esercitazioni di tiro, che vengono tuttavia cancellate in quanto il rimorchiatore che deve trainare il bersaglio galleggiante non è in grado di reggere il mare burrascoso.
8 settembre 1943
L’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati trova il Fuciliere a La Spezia, dove forma la XI Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Mitragliere e Carabiniere. La XII Squadriglia fa parte del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, avente l’incrociatore leggero Attilio Regolo come nave ammiraglia e comprendente anche le Squadriglie Cacciatorpediniere X (Grecale e Velite), XIV (Artigliere, Legionario, Alfredo Oriani), XVI (Ugolino VivaldiAntonio Da NoliNicolò ZenoDardo) e XXI (FR 21FR 22).
Come il resto della flotta da battaglia stanziata a La Spezia, il Fuciliere, nei giorni precedenti, ha caricato carburante e munizioni per quella che si prevede essere l’ultima battaglia: gira notizia dell’avvistamento di una flotta angloamericana di ben 450 navi, diretta verso le coste della Campania; gli Alleati stanno per sbarcare a Salerno, e la squadra da battaglia, dopo mesi di immobilità nelle basi liguri, si prepara a salpare per contrastare la flotta d’invasione in un ultimo scontro che si concluderà nel suo totale annientamento.
Il mattino ed il pomeriggio dell’8 settembre sono trascorsi tranquilli, ma intorno alle 18 l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle da battaglia, convoca gli ammiragli ed i comandanti a questi subordinati a rapporto sulla sua nave ammiraglia, la corazzata Roma.
Il giorno precedente, Bergamini ha partecipato a Roma, presso il quartier generale della Marina, ad una riunione indetta dal Ministro della Marina nonché capo di Stato Maggiore della forza armata, ammiraglio Raffaele De Courten. Durante tale riunione, cui hanno partecipato in tutto dieci ammiragli che detengono le posizioni chiave all’interno della Marina, De Courten ha disposto che naviglio ed installazioni a terra vengano posti in stato di difesa, la sorveglianza venga rafforzata ovunque, ci si prepari a reagire ad eventuali atti di ostilità da parte tedesca (tenendosi pronti ad impedire l’occupazione di installazioni militari e la cattura di navi da parte tedesca, ad interrompere i collegamenti delle forze tedesche, ad eliminare reparti e navi tedesche che dovessero compiere atti ostili) ed a far partire le navi in condizioni di efficienza per Sardegna, Corsica, Elba, Sebenico e Cattaro, nonché ad autoaffondare le navi non in grado di muovere; in caso di attacco tedesco, i prigionieri Alleati dovranno essere liberati, ed in caso di attacco tedesco si dovranno considerare come nemici i velivoli tedeschi che dovessero sorvolare le navi italiane, mentre non si dovrà aprire il fuoco contro quelli Alleati. Tutte questi provvedimenti dovranno essere presi in seguito a ricezione di un ordine convenzionale inviato da Supermarina, oppure dai Comandi in Capo nel caso di un attacco da parte tedesca. De Courten non ha rivelato ai presenti che sono in corso le trattative per un armistizio tra l’Italia e gli Alleati, ma ai più non è sfuggito il significato di quelle istruzioni.
Un altro ordine dato nel corso della riunione è stato quello di rifornire al completo le navi in grado di partire con provviste, acqua e nafta; quest’ordine, eseguito nel pomeriggio dell’8 settembre, desta non pochi dubbi, dato che i marinai non capiscono come mai, se la flotta dovrà partire a breve per l’ultima battaglia nel Basso Tirreno, si imbarchino rifornimenti che paiono destinati ad una lunga navigazione.
Agli ammiragli e comandanti riuniti sulla Roma, Bergamini annuncia di non poter riferire tutto quello che De Courten gli ha detto, ma che sono imminenti gravissime decisioni da parte del governo, e che solo la Marina, tra le forze armate italiane, si può ritenere ancora integra ed ordinata.
Qualsiasi cosa dovesse accadere, fa presente Bergamini, nessuna nave dovrà cadere in mano straniera, né britannica né tedesca; piuttosto, verrebbe trasmesso il messaggio in codice «Raccomando massimo riserbo» ricevuto il quale le navi si dovranno autoaffondare. Qualora il comando centrale fosse impossibilitato a trasmettere tale messaggio, i comandanti dovranno agire di propria iniziativa, in relazione alla situazione che si dovesse presentare, ricordando la direttiva di non consegnare nessuna nave in mani straniere. Nel caso di un autoaffondamento, questo dovrà avvenire per quanto possibile in acque profonde, ma a distanza dalla costa tale da permettere agli equipaggi di mettersi in salvo (per ordine del re, gli uomini non devono sacrificarsi); se ciò non fosse possibile, le navi si dovranno autodistruggere.
In caso di ricezione del telegramma convenzionale «Attuare misure ordine pubblico Promemoria n. 1 Comando Supremo», si dovrà procedere alla cattura del personale tedesco presente a bordo per i collegamenti ed attuare l’allarme speciale, cioè preparare le navi a respingere qualsiasi colpo di mano proveniente dall’esterno.
Bergamini spiega che la flotta potrebbe salpare da un momento all’altro, e che gli obiettivi potranno essere tre, radicalmente differenti: andare incontro alla flotta britannica che deve appoggiare lo sbarco, presumibilmente nel Golfo di Salerno, ed ingaggiarla in battaglia; raggiungere La Maddalena per sottrarsi ad eventuali azioni ostili da parte tedesca; oppure autoaffondarsi. Risulta evidente, tra gli ufficiali presenti, che qualcosa di grave è nell’aria; paventando una resa ed una consegna delle loro navi agli Alleati, molti propongono l’autoaffondamento immediato, ma vengono riportati all’ordine da Bergamini.
Non molto tempo dopo la conclusione della riunione, alle otto di sera, la radio dà l’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.
Alle 22 l’ammiraglio Bergamini, dopo una telefonata da parte dell’ammiraglio De Courten (l’ordine di partire per La Maddalena è stato trasmesso da Supermarina alle 21.45), convoca di nuovo gli ammiragli e comandanti dipendenti e dice loro che il personale tedesco presente sulle navi è stato sbarcato, conferma le disposizioni date quattro ore prima e dice di non sapere se alla squadra da battaglia verrà ordinato di restare in porto oppure di trasferirsi in Sardegna od in altra località; gli ordini a questo proposito, dice, verranno probabilmente impartiti dopo un colloquio tra l’ammiraglio De Courten ed il maresciallo Badoglio, che deve svolgersi proprio in quei momenti. Nuovi ordini verranno emanati l’indomani mattina.
Terminata la riunione, ammiragli e comandanti ritornano sulle rispettive unità.
9 settembre 1943
Alle 00.21 il Comando delle Forze Navali da Battaglia dirama l’ordine  "Da CC.FF.NN.BB. a Tutti: Attivate. Passate pronti a muovere"; all’1.38, "Da CC.FF.NN.BB. a Tutti: Nave Roma passerà ostruzioni ore 03.00 giorno 9 preceduta dai CC. TT. e 7a Divisione seguita Nave Italia Nave V. Veneto"; alle 3.13, "Dal CC.FF.NA.BB. a tutti: Salpate".
Alle due di notte (le prime navi iniziano a muovere all’1.45, ma ci vorranno due ore prima che tutta la flotta – ultima nave ad uscire è la Vittorio Veneto, alle 3.40 – sia uscita dal porto) la squadra da battaglia salpa da La Spezia: ne fanno parte il Fuciliere (capitano di fregata Uguccione Scroffa) con il resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, al comando del capitano di fregata Gian Maria Bongiovanni, e Mitragliere, al comando del capitano di vascello Giuseppe Marini, caposquadriglia); le tre moderne corazzate dell’ammiraglio Bergamini, Roma (nave ammiraglia di Bergamini), Italia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Enrico Accorretti, comandante della IX Divisione) e Vittorio Veneto; gli incrociatori leggeri Raimondo MontecuccoliAttilio Regolo (capitano di fregata Marco Notarbarcolo di Sciara; il Regolo ricopre al contempo anche il ruolo di conduttore di flottiglia del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, formato dalle Squadriglie X, XIV e XIV e comandato dal capitano di vascello Franco Garofalo: quest’ultimo, però, si è imbarcato sull’Italia invece che sul Regolo) ed Eugenio di Savoia della VII Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di divisione Romeo Oliva, con bandiera sull’Eugenio di Savoia); i cacciatorpediniere Artigliere (capitano di fregata Mario Tabucchi), Grecale (capitano di fregata Benedetto Ponza di San Martino), Legionario (caposquadriglia, capitano di vascello Amleto Baldo) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Pietro Scammacca) della XIV Squadriglia. Un’ora prima, alle 00.52, ha preso il mare il Gruppo Torpediniere del capitano di fregata Riccardo Imperiali, composto dalle torpediniere Pegaso (caposquadriglia), Impetuoso (capitano di fregata Giuseppe Cigala Fulgosi), Orsa (capitano di corvetta Azzo Gino del Pin) ed Orione (capitano di corvetta Emanuele Bertetti), aventi compiti di esplorazione avanzata per la squadra da battaglia durante la navigazione.
Una volta in mare (le ultime navi escono alle 3.40), la flotta assume rotta 218° e velocità 24 nodi. Il mare è calmo, la notte è rischiarata dalla luna. La flotta procede in linea di fila, con la XII Squadriglia Cacciatorpediniere in testa, seguita nell’ordine dalla XIV Squadriglia, dalla VII Divisione e dalla IX Divisione. Alle 4.11 l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte le unità dipendenti "Disponetevi secondo il dispositivo di marcia n. 11", pertanto la VII Divisione passa in testa, seguita dalla IX Divisione, con le due squadriglie in posizione di scorta ravvicinata, XIV a dritta e XII a sinistra. Non cambiano, invece, rotta e velocità.
Più o meno nello stesso momento salpano da Genova anche la torpediniera Libra ed i tre incrociatori leggeri dell’VIII Divisione (Luigi di Savoia Duca degli AbruzziGiuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), al comando dell’ammiraglio di divisione Luigi Biancheri.
La destinazione per tutte le navi è la base di La Maddalena, in Sardegna, dove la flotta dovrà inizialmente trasferirsi (come De Courten ha spiegato a Bergamini la sera prima, ordine poi ufficializzato da un fonogramma di Supermarina delle 23.45) per poi ricevere ulteriori istruzioni sul da farsi: nella base sarda, l’ammiraglio Bruno Brivonesi dovrà consegnare all’ammiraglio Bergamini i documenti relativi all’armistizio (i cui dettagli non sono noti a Bergamini) e gli ordini conseguenti (nelle intenzioni di De Courten, la squadra dovrebbe sostare a La Maddalena nel pomeriggio del 9 e ripartire nella notte, in modo da incontrarsi all’alba del 10 con la Forza H britannica e la scorta aerea angloamericana al largo di Bona). Inizialmente, era previsto anche che il re ed il governo si sarebbero dovuti trasferire da Roma a La Maddalena (così ha detto a De Courten, il 6 settembre, il capo di Stato Maggiore generale, generale Vittorio Ambrosio), ma poi gli eventi prenderanno una piega diversa.
Il Gruppo Torpediniere procede in posizione di scorta avanzata, seguito nell’ordine dai tre incrociatori della VII Divisione (EugenioMontecuccoli e Regolo) e dalle tre corazzate della IX Divisione (RomaItalia e Vittorio Veneto) con LegionarioGrecaleOriani e Velite sul lato di dritta e MitragliereFuciliereArtigliere e Carabiniere su quello di sinistra.
I gruppi partiti da Genova e La Spezia si riuniscono alle 6.15 (o 6.30) a nord di Capo Corso, per poi proseguire in un unico gruppo lungo una rotta ad ovest della Corsica, procedendo a 22 nodi e tenendosi ad una quarantina di miglia dalla costa corsa; la Libra si aggrega temporaneamente alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, mentre la VII e la VIII Divisione si scambiano Regolo e Duca d’Aosta per ottenere una maggiore omogeneità delle due formazioni.
Alle 6.30 Supermarina trasmette a tutte le unità un breve messaggio dell’ammiraglio De Courten: "Supermarina 18475: Truppe tedesche marciano su Roma (alt) Fra poco Supermarina potrà non poter comunicare (alt) Per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio (alt) Con questa leale esecuzione la Marina renderà altissimo servizio al Paese". Alla stessa ora l’ammiraglio Bergamini ordina "Da CC.FF.NN.BB. a tutti: Disponetevi secondo dispositivo di marcia G.E. 12, 5a colonna", e la squadra si dispone con la Libra in avanguardia ravvicinata, la IX Divisione in posizione centrale, la VII Divisione a proravia sinistra di quest’ultima e con la XII Squadriglia sul lato esterno e l’VIII Divisione a proravia dritta della IX Divisione e con la XIV Squadriglia sul lato esterno. Rotta 220°, la velocità viene portata a 22 nodi.
Alle 8.40 le navi di Bergamini avvistano le torpediniere del comandante Imperiali, che si mantengono in avanguardia lontana come scorta avanzata. Già alle 4.13 l’ammiraglio Bergamini ha comunicato a tutte le unità «Attenzione agli aerosiluranti all’alba», ed alle 7.07 ribadisce «Massima attenzione attacchi aerei». In testa alla formazione procede la Libra, seguita dalle due divisioni di incrociatori che navigano su due colonne parallele, con Duca degli AbruzziGaribaldi e Regolo a dritta ed Eugenio, Duca d’Aosta e Montecuccoli a sinistra; le tre corazzate procedono in linea di fila a poppavia degli incrociatori. La XII Squadriglia Cacciatorpediniere è in posizione di scorta laterale sulla sinistra della formazione, in linea di fila (in testa è il Mitragliere, con il Fuciliere in seconda posizione, seguito dal Carabiniere, dietro al quale procede il Velite), mentre la XIV Squadriglia ha analoga posizione sul lato opposto.
Alle nove del mattino le navi, arrivate nel punto di atterraggio previsto per fare rotta verso il Golfo dell’Asinara, accostano a sinistra, riducono la velocità a 20 nodi ed assumono rotta 180° (verso sud), procedendo a zig zag.
I movimenti della squadra italiana non sono passati inosservati; le navi italiane vengono avvistate e seguite da alcuni ricognitori britannici (il primo, alle 9.45, è un Martin Marauder, che dopo l’avvistamento prende a girare intorno alla flotta) ed alle 9.41 sono localizzate anche da un ricognitore della Luftwaffe, uno Junkers Ju 88, che allerta immediatamente il proprio comando.
Alle 10.29 viene avvistato un altro aereo, anch’esso tedesco, con conseguente allarme aereo; la velocità della squadra viene portata a 27 nodi, ed anche le torpediniere si ricongiungono con il resto della squadra, dispiegandosi in formazione di battaglia. Temendo un prossimo attacco aereo, che avverrebbe senza la minima copertura aerea nazionale, le navi iniziano a zigzagare. Alle 10.46 viene avvistato un terzo aereo, identificato come Alleato, e viene dato ancora l’allarme aereo; alle 10.56 viene avvistato un ulteriore ricognitore, riconosciuto come britannico. Alle 11, dato che alcune navi hanno aperto il fuoco col proprio armamento contraereo, l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte le unità di non aprire il fuoco contro aerei riconosciuti come britannici o statunitensi.
In tutto, tra le 9.45 e le 10.56, sono quattro gli allarmi aerei causati dall’avvistamento di ricognitori che si tengono fuori tiro; l’ultimo allarme aereo cessa alle 11, quando viene accertato che gli aerei avvistati sono britannici.
A mezzogiorno, ormai in prossimità delle coste della Sardegna, l’ammiraglio Bergamini ordina alla Libra di unirsi alle torpediniere del Gruppo Pegaso, ed a quest’ultimo di passare in scorta ravvicinata; alle 12.04 ordina di assumere il dispositivo di marcia GE11, ossia una formazione in linea di fila con il Gruppo torpediniere in testa, seguito nell’ordine dalla VII, VIII e IX Divisione, con i cacciatorpediniere in scorta ravvicinata sui lati. Viene cessato lo zigzagamento. Alle 12.05 la squadra italiana, giunta nei pressi dell’imboccatura occidentale delle Bocche di Bonifacio, aggira un’ampia zona di mare minata (al largo di Golfo di Porto, in Corsica) per poi raggiungere La Maddalena. Alle 12.10, avvistata l’Asinara, la formazione accosta di 45° a sinistra per imboccare la rotta di sicurezza verso l’ingresso occidentale dell’estuario della Maddalena; le due squadriglie di cacciatorpediniere vengono disposte di poppa alle navi maggiori, con la XII Squadriglia che segue la IX Divisione e precede la XIV Squadriglia, mentre la direzione della navigazione passa all’Eugenio di Savoia. L’ordine della linea di fila è Gruppo torpediniere-Eugenio-Duca d’Aosta-Montecuccoli-Duca degli Abruzzi-Garibaldi-Regolo-Roma-Italia-Vittorio Veneto-Mitragliere-Fuciliere-Carabiniere-Velite-Legionario-Oriani-Artigliere-Grecale.
Le torpediniere sono tornate in testa alla formazione, e sono prossime a giungere a destinazione, quando vengono avvistati da bordo numerosi incendi sulla vicina costa della Sardegna. Poco dopo (secondo una fonte, alle 13.30, ma le 12.30 sembrano orario più verosimile) il semaforo di Capo Testa inizia ad eseguire una sequenza di segnali luminosi, comunicando in codice morse che il presidio della Maddalena sta per essere sopraffatto dalle forze tedesche, che hanno attaccato gli ex alleati, e dissuadendo le navi italiane dall’entrare a La Maddalena ("Fermate! I tedeschi hanno occupato la base!"). Il comandante del Gruppo Torpediniere, capitano di fregata Riccardo Imperiali sulla Pegaso, decide allora di invertire la rotta d’iniziativa. Mentre comunica la notizia all’ammiraglio Bergamini, vede che il resto della flotta, a dieci miglia di distanza, sta a sua volta invertendo la rotta.
Ciò che è successo è che il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della 90a Divisione tedesca di stanza in Sardegna, ha concordato con il comandante militare dell’isola, generale Antonio Basso, la pacifica evacuazione delle sue truppe (32.000 uomini) verso la Corsica, attraverso il porto di La Maddalena, ed il capitano di fregata Helmut Hunäus, sottoposto di Lungerhausen ed ufficiale di collegamento tedesco presso Marisardegna, ha a sua volta preso accordi con l’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante militare marittimo della Sardegna, affinché il passaggio delle truppe tedesche attraverso La Maddalena avvenga senza atti di ostilità (ed in questo senso, d’altro canto, andavano gli ordini impartiti dal generale Basso all’ammiraglio Brivonesi); ma alle 11.25 di quel 9 settembre Hunäus ha tradito l’accordo preso, attuando un colpo di mano con le sue truppe ed assumendo così il controllo di diverse posizioni chiave all’interno del perimetro della base. Le truppe tedesche hanno circondato anche il Comando Marina di La Maddalena; l’ammiraglio Brivonesi, prima di essere catturato, ha però fatto in tempo ad avvertire Supermarina di quanto sta accadendo, ed alle 13.16 Supermarina ne informa a sua volta Bergamini, ordinandogli di fare rotta per Bona, in Algeria (messaggio ricevuto sulla Roma alle 14.24).
Alle 13.21 viene avvistato un altro aereo, riconosciuto per tedesco, e viene dato l’allarme aereo; le navi accostano a sinistra per 120°.
Alle 13.29, per attraversare in sicurezza una zona di campi minati, viene assunta una formazione in linea di fila con in testa il Gruppo torpediniere seguito, nell’ordine, dalla VII, VIII e IX Divisione e dalla XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere. La velocità viene ridotta a 20 nodi, e la squadra accosta a sinista, assumendo rotta 110°.
Secondo il volume dell’USMM relativo agli eventi seguiti all’armistizio, alle 13.16 Supermarina, saputo verso le 13 dell’occupazione di La Maddalena, ordina alla squadra di Bergamini di cambiare rotta e dirigere per Bona; tale messaggio viene ricevuto sulla Roma alle 14.24 (secondo altra fonte, alle 14.37), ed alle 14.45 la formazione inverte la rotta ad un tempo di 180° sulla sinistra (accostata eseguita alla velocità di 24 nodi), puntando in direzione dell’Asinara, finendo con l’invertire l’ordine di marcia precedentemente assunto: ora in testa è la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, seguita nell’ordine dalla XII Squadriglia, dalla Libra, dalla IX Divisione, dall’VIII Divisione e dalla VII Divisione, con le navi ammiraglie o caposquadriglia che precedevano in coda alle rispettive Divisioni e Squadriglie (ordine: GrecaleArtigliereOrianiLegionarioVeliteCarabiniereFuciliereMitragliereVittorio VenetoItaliaRomaRegoloGaribaldiDuca degli AbruzziMontecuccoliDuca d’AostaEugenio). In coda alla formazione è il Gruppo Torpediniere.
Alle 13.30 viene assunta rotta 65°, per dirigere verso le Bocche di Bonifacio; alle 14.41 l’ammiraglio Bergamini ordina per ultracorte a tutte le unità dipendenti "Accostate ad un tempo di 180° a sinistra", in modo da ridurre il raggio di evoluzione delle navi ed evitare così di finire sui campi minati. Alle 14.46 il Comando Forze Navali da Battaglia ordina di ridurre la velocità a 18 nodi ed assumere rotta 285°, la rotta di sicurezza che dovrà condurre le navi fuori dal Golfo dell’Asinara, dove poi accosteranno verso sud per raggiungere Bona.
Un ricognitore tedesco, tuttavia, osserva la squadra italiana durante la manovra d’inversione della rotta; apprezzati i dati relativi alla nuova rotta e velocità, alle 14.47 li riferisce al Comando della II. Luftflotte, retto dal feldmaresciallo Wolfram von Richtofen. Quest’ultimo, avuta così la certezza che la flotta italiana sia ora diretta in un porto Alleato, ordina al Kampfgeschwader 100 (100° Stormo da Bombardamento) di inviare i bombardieri ad attaccarla: dall’aeroporto di Istres (nei pressi di Marsiglia), pertanto, decollano in tre ondate 28 bombardieri bimotori Dornier Do 217K, undici dei quali appartenenti al 2° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (sono stati trasferiti da Cognac e li comanda il capitano Franz Hollweck) e 17 al 3° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (maggiore Bernhard Jope). (Per altra fonte, l’avvistamento da parte del ricognitore tedesco sarebbe avvenuto alle 13.23, ed i bombardieri sarebbero decollati alle 14).
Intanto, la flotta di Bergamini si sta dirigendo a nord dell’Asinara; all’ammiraglio giungono le drammatiche notizie degli scontri in corso in tutti i porti italiani, che si concludono invariabilmente con la loro caduta in mano tedesca. Di tornare in Italia, ormai, non c’è più la possibilità: non rimane altro da fare che dirigere su Bona, come ordinato.
Proprio in questi confusi e critici momenti, alle 15.15 (quando la flotta si trova 14 miglia a sudovest di Capo Testa), si verifica un nuovo allarme aereo, con l’avvistamento verso ponente di un gruppo di aerei che si avvicinano: dopo un minuto questi vengono identificati dalle navi come “Junkers” tedeschi, e la Roma alza a riva il segnale "Posto di combattimento pronti ad aprire il fuoco".
Gli aerei avvistati sono gli undici Dornier Do 217 K2 del III. Gruppe del Kampfgeschwader 100, decollati da Istres ed armati con innovative bombe plananti radioguidate FX 1400, meglio note come “Fritz X”, precorritrici dei moderni missili antinave radiocomandati. Un’arma rivoluzionaria, che vede qui uno dei suoi primi impieghi in combattimento: a differenza delle normali bombe “a caduta”, questi ordigni possono essere sganciati da un’angolazione di oltre 80 gradi rispetto all’obiettivo (quelle normali non possono essere invece sganciate da un’angolazione superiore ai 60 gradi), e poi guidati a distanza da un operatore che si trova sull’aereo che li ha sganciati, mediante impulsi radio; la loro velocità di caduta è di 300 metri al secondo, molto superiore rispetto alle bombe “tradizionali”.
Alle 15.37 i primi cinque Do 217K (guidati dal maggiore Bernhard Jope), volando a 5000-6000 metri di quota, hanno già oltrepassato il punto di angolo massimo previsto per lo sgancio di bombe a caduta (60 gradi, come sopra detto: a bordo si ignora l’esistenza delle “Fritz X”) senza aver sganciato alcunché: sulle navi italiane, pertanto, si pensa che ormai i bombardieri siano in allontanamento, dato che non possono più sganciare bombe con un angolo tanto elevato. Non avendo gli aerei manifestato “definite azioni ostili”, non è possibile aprire preventivamente il fuoco contraereo, nell’incertezza sulle intenzioni degli ex alleati.
Pochi attimi dopo, però, gli aerei iniziano a sganciare le loro bombe, mirando soprattutto a colpire le corazzate. La codetta luminosa della prima bomba viene inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento, ma subito dopo si comprende che è invece una bomba; viene allora ordinata l’apertura del fuoco. Alle 15.36 la prima FX-1400, mancato il bersaglio, cade in mare vicino alla poppa dell’Italia, sollevando un’immensa colonna d’acqua e mettendone momentaneamente fuori uso il timone.
Subito la formazione si dirada, manovrando in modo da ostacolare la punteria dei bombardieri, e viene aperto il fuoco con tutte le armi a disposizione, alla massima elevazione; ma il pur violento fuoco contraereo delle navi italiane risulta inutile, dato che gli aerei sganciano le loro bombe tenendosi fuori tiro, a quota troppo elevata per le armi contraeree delle navi italiane.
Alle 15.42 (o 15.50) la Roma, nave ammiraglia di Bergamini, viene colpita da una prima bomba: l’ordigno la raggiunge a poppavia dritta, trapassandone lo scafo ed esplodendo sotto di esso, aprendo una falla che causa l’allagamento delle motrici poppiere. Ciò riduce la velocità e manovrabilità della corazzata, che dieci minuti dopo viene centrata da una seconda bomba, questa volta a proravia sinistra: nell’esplosione sono coinvolti i depositi munizioni delle torri prodiere da 381 mm, che erompono in una catastrofica deflagrazione, proiettando in aria la torre numero 2 da 381 ed investendo il torrione prodiero con un’enorme fiammata che uccide l’ammiraglio Bergamini e tutto il suo stato maggiore. Nel giro di meno di venti minuti, la Roma si capovolge, si spezza in due ed affonda, portando con sé 1393 dei 2021 uomini dell’equipaggio.
In seguito alla morte dell’ammiraglio Bergamini, il comando della squadra passa all’ammiraglio Oliva, comandante della VII Divisione, essendo questi il più anziano tra i tre ammiragli di divisione (Oliva, Biancheri, Accorretti): questi comunica di aver assunto il comando alle 16.12.
I primi a dirigersi sul luogo dell’affondamento della Roma sono Mitragliere e Carabiniere, che hanno invertito subito la rotta, senza attendere ordini; poco dopo Fuciliere e Regolo fanno lo stesso, e più tardi arrivano anche le torpediniere Orsa, Pegaso ed Impetuoso. L’iniziativa è confermata da un ordine impartito dall’ammiraglio Biancheri alle 16.07, che distacca la XII Squadriglia per “dare soccorso al CC.FF.NN.BB.”, ordine reiterato due minuti dopo dall’ammiraglio Oliva che incarica dell’opera di soccorso la XII Squadriglia, le torpediniere ed il Regolo.
Le unità della XII Squadriglia, trovandosi subito a proravia della IX Divisione, sono le prime a giungere sul luogo del disastro, con la Roma ancora galleggiante; quasi contemporaneamente sopraggiunge anche il Regolo, mentre per ultime arrivano le torpediniere. Il Fuciliere recupera 108 naufraghi, il Carabiniere 112, il Mitragliere 277, il Regolo 23, le torpediniere 102; molti sono ustionati, nove moriranno a bordo delle navi, altri sedici dopo lo sbarco alle Baleari.
Guido Bellocci, naufrago della Roma, ricorda così nelle sue memorie il salvataggio ad opera del Fuciliere: “Dopo quattro ore dal disastro, alle 20.30, fui finalmente avvistato da una lancia del cacciatorpediniere FUCILIERE che insieme ad altre navi della flotta incrociava nella zona per le operazioni di soccorso. I marinai della lancia mi tirarono a bordo e mi trovai disteso su un groviglio di corpi, molti feriti, altri morti, ma non era certo il caso quello di guardare a tante sottigliezze. A bordo del FUCILIERE non c’erano medicinali adatti a curare tanta gente ridotta in quelle condizioni, per cui le medicazioni furono molto sommarie. Ma l’equipaggio fu ammirevole e si prodigò in ogni maniera per aiutarci. Molti feriti comunque morirono di lì a poco e fra questi, mi dissero, c’era anche Domenico Lucchiari. La notte successiva, verso le due, ci fu un allarme aereo e il cielo si illuminò di bengala. Erano i tedeschi che ci cercavano. Ci fu anche un allarme sommergibili, ma fortunatamente tutto filò liscio e senza conseguenze. Sbarcammo a Port-Mahon, nell’isola di Minorca, il mattino del 10 settembre 1943. Una motolancia della Marina spagnola ci portò sull’isolotto del Rej, dove c’era l’ospedale militare. L’ospedale aveva soltanto sessanta posti letto e i sanitari quando videro arrivare tutti quei feriti restarono sbalorditi e preoccupati non sapendo come fare a ricoverarli”.
Gli ultimi superstiti vengono recuperati poco prima delle 18. Terminata la loro opera di salvataggio le unità soccorritrici, avendo perso di vista il resto della flotta e non avendo disposizioni sul da farsi, tentano di contattare il resto della squadra per chiedere istruzioni, ma non ricevono risposta (da parte sua l’ammiraglio Oliva, che ha assunto il comando della squadra dopo la morte dell’ammiraglio Bergamini, ha tentato a sua volta di contattare le navi lasciate sul posto a soccorere i naufraghi, senza riuscirci: alle 19.45 chiede a Supermarina se queste possano raggiungere Bastia od altro porto della Corsica, invitando tale Comando a dare esso stesso ordini diretti non riuscendo lui a contattarle); essendoci tra i naufraghi molti feriti gravi che devono essere sbarcati al più presto, il caposquadriglia Marini chiede al Regolo – nave di bandiera del comandante del Gruppo cacciatorpediniere di squadra, contrammiraglio Franco Garofalo – l’autorizzazione a dirigere a tutta forza verso Livorno, ma si sente rispondere dal comandante dell’incrociatore, capitano di fregata Marco Notarbartolo di Sciara, che l’ammiraglio Garofalo non è a bordo, essendosi imbarcato sull’Italia per un ritardo nell’approntamento del Regolo, sul quale è tuttavia rimasta la sua insegna. Ciò significa che Marini, in quanto ufficiale più alto in grado, è il comandante del gruppo delle sette navi che hanno partecipato ai soccorsi. Assunto dunque il comando della formazione alle 18.15, Marini non riesce a contattare né la VII Divisione né Supermarina, ed intercetta varie comunicazioni da cui emerge che le basi navali italiane sono sotto attacco od in corso di occupazione da parte delle forze tedesche; alla fine, concessa libertà di manovra alle più lente torpediniere di Imperiali, che non potrebbero mantenere la stessa velocità dei suoi cacciatorpediniere, Marini dirige verso nord con la XII Squadriglia ed il Regolo, procedendo in formazione a triangolo con il Mitragliere in testa seguito dal Regolo, il Fuciliere sulla dritta ed il Carabiniere sulla sinistra.
Alle 18.54 il Mitragliere comunica alla VII Divisione ed a Supermarina di aver completato il recupero dei naufraghi e che Mitragliere, Fuciliere, Regolo e Carabiniere si trovano in posizione approssimata 41°26’ N e 07°48’ E (circa 25 miglia a nordovest dell’estremità settentrionale dell’Asinara) ed hanno assunto rotta 10° e velocità 22 nodi: tale rotta porta verso l’Alto Tirreno risalendo la costa occidentale della Corsica, in quanto Marini ha intercettato una comunicazione dell’ammiraglio Biancheri all’ammiraglio Oliva, in cui il primo proponeva al secondo di tornare a La Spezia, e pensa dunque di poter così sbarcare i naufraghi il prima possibile e riunirsi al resto della flotta.
Alle 19.15 le quattro navi avvistano in lontananza il cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, gravemente danneggiato da batterie costiere tedesche nelle Bocche di Bonifacio alcune ore prima: questi cerca di contattare la XII Squadriglia per chiedere assistenza per sé e soccorso per i naufraghi del gemello Antonio Da Noli, affondato su mine nelle Bocche di Bonifacio, ma la ricezione solo parziale dei messaggi del Vivaldi fa sì che il gruppo di Marini sottostimi la gravità della situazione a bordo del Vivaldi, proseguendo senza fermarsi per assisterlo. Alle 19.45 viene avvistato un aereo e le navi iniziano a zigzagare; l’allarme cessa dopo dieci minuti, mentre lo zigzagamento prosegue fino alle 20.45.
Alle 19.20 Marini comunica via radio che per “diradamento unità” (in modo, cioè, da non affollare eccessivamente il porto di La Spezia, dove Marini ancora crede che sia diretta la squadra) e sbarco dei feriti dirigerebbe a Livorno, ma dopo qualche tempo (durante il quale ha fatto ridurre la velocità a 15 nodi, per ridurre il consumo di nafta e per avere più tempo per decidere), iniziando ad intuire che il silenzio sui canali radio sia dovuto a gravi avvenimenti in corso in Italia, cambia idea ed alle 21.30 propone agli altri comandanti del suo gruppo di dirigere per Portoferraio, chiedendo il loro parere ed ottenendo da tutti e tre risposta positiva. Poco più tardi, tuttavia, il Mitragliere intercetta una comunicazione da Supermarina alla Pegaso in cui si afferma che le forze tedesche stanno entrando a Roma, e che tra poco Supermarina potrebbe non essere più in grado di esercitare il comando: questo messaggio apre gli occhi a Marini sulla reale gravità della situazione in Italia, tanto da fargli dubitare della decisione di raggiungere un porto italiano. Ignorando del tutto le condizioni dell’armistizio, e sapendo solo che l’ammiraglio Bergamini aveva ordinato di non consegnare le navi né agli Alleati né ai tedeschi (e non sapendo chi troverebbe dirigendo in qualche porto italiano), il caposquadriglia della XII Squadriglia decide infine di dirigere verso la neutrale Spagna, e più precisamente verso Port Mahon, nelle Baleari. Dopo aver consultato in proposito gli altri tre comandanti a mezzo radiotelefonia (tutti, di nuovo, si dichiarano d’accordo), pertanto, alle 22.50 Marini ordina di invertire la rotta di 180° e dirigere per le Baleari a 28 nodi, velocità che consentirà di giungere a destinazione all’alba, al riparo da attacchi aerei nemici.
Alle 23.30 si verifica un nuovo allarme aereo, e le navi emettono cortine nebbiogene con gli apparati a cloridrina per circa cinque minuti.
10 settembre 1943
All’1.20 si verifica un ennesimo allarme aereo, cui segue emissione di nebbia artificiale per dieci minuti.
All’1.45 il Mitragliere intercetta un nuovo messaggio di Supermarina che comunica che una nave ospedale italiana sta dirigendosi verso Bona ed ammonisce di non approdare in Corsica o Sardegna; temendo però che il messaggio – sprovvisto della parola convenzionale “Milano”, che dev’essere inclusa per confermare l’autenticità delle comunicazioni – sia falso, Marini lo ignora e prosegue verso le Baleari. Durante la notte la formazione è seguita da dei ricognitori, che all’alba vengono riconosciuti come britannici (per altra fonte, si sarebbe trattato di un solo aereo britannico che sarebbe comparso poco dopo le sei del mattino e le avrebbe seguite per oltre un’ora, sorvolandole poco dopo le sette, per poi allontanarsi quando Minorca era ormai in vista). Verso le sei del mattino il Carabiniere subisce un’avaria di macchina, ma riesce a ripararla in mezz’ora; alle 7.10 il caposquadriglia Marini comunicato alla VII Divisione di essere diretto a Mahon per sbarcare i feriti gravi (non ha voluto comunicarlo prima nel timore di essere radiogoniometrato od intercettato dai tedeschi). Prima delle otto le quattro navi gettano in mare i documenti segreti e scaricano e disarmano mitragliere e siluri; poco dopo le otto imboccano il canale d’ingresso a Porto Mahon, ed il Mitragliere imbarca un pilota spagnolo.
Alle 8.30, dopo lunghe manovre, il Fuciliere e le altre navi gettano l’ancora a Porto Mahon, tra le bitte 4 e 5 del porto militare, nel seno della Plana. Un ufficiale spagnolo sale a bordo del Mitragliere, e Marini gli chiede il permesso di sbarcare naufraghi, feriti e cadaveri e di rifornirsi di acqua e nafta; la prima richiesta viene accontentata, anche se gli spagnoli non forniscono alcun mezzo per il trasbordo, così sono le navi italiane a mettere in mare le loro imbarcazioni per traghettare i naufraghi, i morti ed i feriti (questi ultimi sono 133, compresi molti ustionati) nella vicina Isla del Rey. Viene concesso anche il rifornimento di acqua, mentre per la nafta le autorità locali rispondono che non ve n’è e che verrà inviata richiesta a Palma di Maiorca perché sia mandato; siccome la convenzione dell’Aja del 1907 stabilisce che le navi da guerra di Paesi belligeranti possono sostare in un porto neutrale per non più di ventiquattr’ore (salvo che per impossibilità di salpare dovuta ad avarie o condizioni del mare) pena l’internamento, Marini asserisce che il termine di ventiquattr’ore decorrerà dal momento in cui sarà concesso il carburante necessario a ripartire, che quantifica in 750 tonnellate. Il comandante della locale base spagnola risponde che la richiesta verrà trasmessa all’ammiraglio Garcés de los Fayos, comandante delle Baleari, che sta per giungere di persona a Mahon. In realtà, i tre cacciatorpediniere dispongono tra loro ancora di circa 310 tonnellate di nafta, mentre il Regolo ne ha solo 90 ed è per giunta piagato da avarie a macchine e caldaie. Travasando la nafta tra di loro, Fuciliere, Mitragliere e Carabiniere potrebbero ancora raggiungere La Maddalena, Bona o Tolone: ma Marini non è ancora riuscito a farsi un quadro completo di quanto stia avvenendo in Italia, e non sa in che porto dovrebbe andare; per questo cerca di prendere tempo con la richiesta di carburante.
Marini si mette quindi in contatto con il viceconsole d’Italia a Palma di Maiorca, Storich, e l’addetto navale italiano a Madrid, capitano di vascello Antonio Muffone, chiedendo ad entrambi lumi sulla situazione politico-militare ed eventuali disposizioni; il secondo risponde di essere anch’esso all’oscuro della situazione in Italia e suggerisce di rimanere a Mahon ed eventualmente farvisi internare, cercando di prendere tempo denunciando avarie.
Sulle navi, intanto, regna la confusione: chi pensa di tornare in Italia, chi di farsi internare; il comandante Scroffa del Fuciliere, sentendo alla radio che Vittorio Emanuele III ed il principe Umberto sono fuggiti da Roma abbandonando la capitale ai tedeschi, sfonda l’apparecchio con un pugno gridando “Non è possibile! Non è possibile!”.
In serata arriva l’ammiraglio Garcés de los Fayos, che parla con Marini e gli altri comandanti italiani e promette che l’obiezione di Marini sul vincolo della decorrenza delle ventiquattr’ore per l’internamento al rifornimento di carburante sarà sottoposta alle autorità di Madrid; spiega però che se saranno ancora in porto l’indomani mattina si dovranno spostare in fondo al porto stesso, ammonendoli a non autoaffondare le loro navi in porto. Marini chiede anche che gli venga fornita subito l’acqua, in modo da poter salpare durante la notte se decidesse in tal senso; la richiesta viene accontentata appunto durante la notte, ed al rientro a bordo delle rispettive unità i comandanti ordinano di accendere una caldaia per poter cambiare d’ormeggio il mattino successivo.

Fuciliere, Carabiniere, Mitragliere e Regolo a Porto Mahon il 10 settembre 1943 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

11 settembre 1943
In mattinata, come richiesto dall’ammiraglio Garcés de los Fayos, le quattro navi si spostano in fondo al budello della rada di Porto Mahon, ormeggiandosi fianco a fianco, con Fuciliere e Regolo sui lati esterni e Carabiniere e Mitragliere in mezzo.
Alle due del pomeriggio il capitano di corvetta José Ramirez, comandante in seconda della base di Porto Mahon, sale a bordo del Mitragliere ed annuncia che per ordine del governo spagnolo le navi sono state internate, con decorrenza già dalle otto del mattino, essendo passate le ventiquatt’ore prescritte dalla XIII Convenzione dell’Aja (pur non essendo stato dato il preavviso prescritto dall’articolo 24 della stessa convenzione). Marini obietta ancora una volta che l’internamento è illegittimo perché alle navi non è stato concesso di rifornirsi di carburante, ma la risposta è che gli ordini impartiti da Madrid sono precisi. I comandanti italiani non possono che accettare il fatto compiuto, facendo registrare la loro contrarietà nel verbale d’internamento: "I comandanti si sottomettono alla decisione (…) pur manifestando il loro disaccordo sulla decisione di internamento, ritenendo essi che si debba applicare alle loro navi il disposto dell'art. 19 (della XIII Convenzione dell'Aja) circa la proroga del periodo di permanenza".
12 settembre 1943
L’atto d’internamento delle navi italiane viene formalmente firmato presso il Comando della base navale di Mahon. Il comandante Ramirez chiede che tutti gli ufficiali italiani firmino una dichiarazione, da allegare all’atto d’internamento, con cui forniscano la loro parola d’onore per potersi liberamente recare a terra e consentire agli equipaggi di andare in franchigia; Marini respinge la richiesta, per sottolineare la sua contrarietà alla decisione d’internamento, ritenuta illegittima. Gli ufficiali rinunciano così alla possibilità di scendere a terra.
Ci si organizza dunque per l’internamento. Viene istituito un Comando Gruppo Regie Navi in Spagna, al comando di Marini, con una cassa unica, mentre gli equipaggi vengono mantenuti separati, per mantenerne l’affiatamento interno nonché l’autorità e le responsabilità dei rispettivi comandanti ed ufficiali. Il comandante Scroffa del Fuciliere viene nominato vice di Marini nonché responsabile dell’accampamento a terra nel quale sono alloggiati i superstiti della Roma, cui deve fare visita ogni mattino.
Proprio Scroffa, però, è il comandante che si trova a fronteggiare i problemi più gravi sulla propria nave, insieme a Notarbartolo del Regolo (unità che paga lo scarso affiatamento di un equipaggio ancora relativamente nuovo, e su cui si verificano atti di sabotaggio): mentre su Mitragliere e Carabiniere la situazione è tranquilla, diversi ufficiali del Fuciliere in posizioni chiave, a partire dal direttore di macchina, capitano del Genio Navale Alberto Fedele, e dal comandante in seconda, sono di tendenze filofasciste e contrari ad una futura partenza delle navi verso l’Italia del Sud controllata dal governo regio e dagli Alleati, che è invece nelle intenzioni di Marini e degli altri comandanti.

Fuciliere, Carabiniere, Mitragliere e Regolo internati a Port Mahon (g.c. Stefano Cioglia, via www.naviearmatori.net)

Ottobre 1943
La situazione sia sul Fuciliere che nel campo dei naufraghi della Roma va peggiorando, tanto che il comandante Scroffa invia a Marini, recatosi a Madrid nel tentativo di ottenere il rilascio delle navi, il seguente messaggio: “Situazione disciplinare campo naufraghi nave Roma in peggioramento. Prospetto netta ostilità mio direttore di macchina noto trasferimento. Egli personalmente mediante ufficiali et specialmente sottufficiali dipendenti svolge bordo altre unità opera propaganda contro partenza. Riterrei necessario sua sostituzione et se è possibile quella subalterni et alcuni sottufficiali. Scroffa”.
Rientrato a Mahon nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre, Marini convoca una riunione generale degli equipaggi e spiega a tutti la situazione dell’Italia, lasciando intendere – pur senza dichiararlo apertamente, anche per evitare reazioni da parte delle autorità spagnole, filofasciste – che la sua intenzione è quella di raggiungere l’Italia del Sud; ammonisce inoltre contro atti di sabotaggio come quelli verificatisi sul Regolo e spiega il funzionamento dei servizi relativi alla corrispondenza, alle paghe, al vitto ed alla franchigia.
A questa riunione generale ne segue poi un’altra più ristretta, cui partecipano soltanto i comandanti, comandanti in seconda e direttori di macchina di ogni nave; Marini dichiara che sabotaggi come quelli verificatisi sul Regolo non saranno più tollerati, ogni ufficiale risponderà subito ed integralmente in base al codice penale di guerra di sabotaggi e disordini che dovessero verificarsi a bordo, anche ad opera di propri subordinati. Principale destinatario di questi ammonimenti, pur se non esplicitamente, è il direttore di macchina del Fuciliere, capitano G.N. Fedele. Marini ricorda ai comandanti, e specialmente a Scroffa, il dovere di vigilare attentamente sul comportamento degli equipaggi.
11 novembre 1943
Mentre il caposquadriglia Marini si trova a Palma, a Mahon, in occasione delle abituali celebrazioni per il compleanno di Vittorio Emanuele III, si acuiscono le tensioni tra gli ufficiali rimasti fedeli al re e quelli che sempre più apertamente mostrano simpatie filofasciste. L’episodo più grave si verifica proprio sul Fuciliere, dove il comandante in seconda (che Marini definirà “privo di qualsiasi intelligenza”, marionetta nelle mani del direttore di macchina Fedele) dice al comandante Scroffa che la sua presenza in quadrato alla colazione dell’11 novembre potrebbe creare seri incidenti, perché qualche ufficiale si rifiuterà di bere alla salute del re. Analogo ammonimento viene rivolto a Scroffa da padre Bisio, sacerdote inviato dall’addetto Muffone – il cui atteggiamento appare sempre più ambiguo e che di lì a poco aderirà alla Repubblica Sociale Italiana – ufficialmente per fornire assistenza spirituale agli equipaggi delle navi internate, ma che di fatto svolge attività propagandistica filofascista (“poco intelligente, fascista sfegatato e subdolo”, padre Bisio si rivela elemento di notevole disturbo, con un ruolo non secondario nei “disordini” che si verificano sul Fuciliere e più in generale nelle tensioni tra gli equipaggi ed i naufraghi della Roma).
Subito viene disposta un’inchiesta che porta all’identificazione di due ufficiali del Fuciliere che, dichiaratisi antimonarchici, vengono messi agli arresti in cabina in attesa di avviare un procedimento contro di loro; nella questione s’inseriscono però le autorità spagnole, che vietano a Marini di intervenire contro un reato a carattere politico, nonostante le proteste del caposquadriglia che vede così sminuita la sua autorità. Alla fine Marini ottiene di punire non i sentimenti antimonarchici mostrati dai due ufficiali, ma la grave indisciplina del loro atteggiamento, facendoli imprigionare sull’Isola Plana, un’isoletta nella rada di Mahon adibita a prigione sotto sorveglianza spagnola; l’ammiraglio Garcès, tuttavia, interviene e stabilisce invece che il periodo di detenzione debba essere scontato presso la base spagnola di Mahon, dove la “punizione” si trasforma per i due in un vero trionfo: gli ufficiali franchisti, infatti, mostrano la massima simpatia verso gli italiani di tendenze fasciste, data la vicinanza ideologica tra i due regimi e l’aiuto ricevuto anni prima da Franco da parte di Mussolini, ed i due ufficiali del Fuciliere vengono trattati come ospiti d’onore e quasi da eroi dai loro colleghi della fanteria di Marina spagnola, invitati a banchetti ed esortati anzi a proclamare ancor più apertamente la loro fede fascista, oltre che autorizzati ad andare regolarmente in franchigia, dove riscuotono non poco successo tra le ragazze del posto. Il tutto in piena vista degli altri militari internati, i naufraghi della Roma che sono alloggiati presso la base ed il personale delle navi che vi si reca di continuo per la manutenzione delle armi.
La situazione sul Fuciliere non migliora, anche perché tra i due ufficiali sbarcati non è il direttore di macchina Fedele, l’elemento più pericoloso in assoluto, “anima nera che si teneva nel buio sobillando e mandando avanti gli altri”: “intelligente ed energico, aveva in pugno tutto il suo reparto”, nelle parole di Giuliano Marenco, autore di un saggio sull’internamento delle navi italiane alle Baleari. Finché Fedele rimane al suo posto, permane il rischio di un sabotaggio volto ad impedire un futuro rientro nell’Italia controllata dal governo regio.
Marini decide quindi di intervenire ulteriormente per cercare di disinnescare la situazione sul Fuciliere: rimpiazza il comandante in seconda del cacciatorpediniere con il suo assistente di squadriglia, capitano di corvetta Enrico Laj, valido ufficiale che aiuterà il comandante Scroffa a ristabilire l’ordine a bordo della sua nave, designando al contempo l’ex secondo del Fuciliere come suo nuovo assistente di squadriglia per poterlo meglio tenere sotto controllo. Il capitano Fedele cerca di neutralizzare questa mossa suggerendo all’ormai ex comandante in seconda del Fuciliere di evitare l’incarico di assistente di squadriglia presentando un certificato redatto dal medico di bordo del Fuciliere – anch’egli parte dei “dissidenti” – con cui si attesta un esaurimento nervoso; ma così offre a Marini proprio l’appiglio che questi cerca per farlo sbarcare, una scusa “pratica” e non politica. Resosi conto del passo falso, l’ex secondo cerca dalla mattina alla sera di ritrattare dichiarando di stare benissimo, ma ormai la frittata è fatta; sbarcato dal Fuciliere, rimane per qualche mese presso la base spagnola di Mahon, per poi essere trasferito a Cartagena nel marzo 1944.
Quanto a Fedele, Marini non può intervenire preventivamente contro di lui per motivi politici, data l’opposizione delle autorità spagnole, ed il direttore di macchina del Fuciliere è troppo accorto per dargli scuse non politiche per intervenire; il caposquadriglia cerca di a più riprese di riportarlo all’ordine con frequenti colloqui, ma senza risultato.

Fuciliere (dietro) e Carabiniere internati a Porto Mahon (da www.piombino-storia.blogspot.com)

Gennaio 1944
Il capitano del Genio Navale Fedele chiede ed ottiene un permesso di venti giorni a Madrid insieme al tenente di vascello Mario Ducci, direttore del tiro del Regolo, altro elemento filofascista. Sia il comandante Scroffa del Fuciliere che Notarbartolo del Regolo hanno avvisato Marini che con ogni probabilità i loro subordinati non hanno nessuna intenzione di rientrare dal permesso, ma Marini non se ne dà pena: ormai non chiede di meglio che Fedele e Ducci si tolgano di mezzo. Come previsto, una volta a Madrid i due ufficiali si mettono in contatto con l’addetto navale Muffone, ormai passato alla RSI, e raggiungono l’Italia del Nord, dove si arruolano nelle forze della Repubblica Sociale Italiana.
Febbraio 1944
Ad inizio febbraio iniziano a circolare voci su un tentativo di fuga in corso di organizzazione sul Fuciliere, con l’obiettivo di raggiungere l’Italia settentrionale; prima che venga aperta un’inchiesta a riguardo, tuttavia, si verifica a sorpresa un altro tentativo di fuga da parte invece di dieci uomini del Regolo, che s’impadroniscono di un motopeschereccio spagnolo, il Gaspar 2°, per tentare di raggiungere il Norditalia. Il tentativo finisce in tragedia, con la scomparsa del peschereccio e dei dieci marinai nel mare in burrasca; i comandanti approfittano del drammatico episodio, che lascia una profonda impressione sugli equipaggi, per ammonire severamente contro ulteriori tentativi del genere, ed in effetti da questo momento in poi non ce ne saranno altri.
Questo non significa che i problemi interni siano finiti. Il 9 febbraio, due giorni dopo la scomparsa dei dieci uomini del Regolo, alcuni membri dell’equipaggio del Fuciliere prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana in una cerimonia segreta, tenuta a bordo della nave nello stesso giorno in cui le forze armate della RSI prestano il loro giuramento nell’Italia settentrionale. Questo episodio è per il caposquadriglia Marini la goccia che fa traboccare il vaso: se fino a quel momento ha preferito essere relativamente tollerante nei confronti dei “dissidenti”, cercando di persuaderli con la discussione invece che ricorrendo a severi provvedimenti disciplinari (che rischierebbero di alienare troppi uomini oltre che di incorrere nell’opposizione delle autorità franchiste), adesso la priorità diviene stroncare il male alla radice, prima che si possa estendere ulteriormente. Marini avvia dunque trattative con i locali comandanti spagnoli per ottenere lo sbarco degli elementi inaffidabili, che proseguiranno il loro internamento a terra, nella località di Ciudadela, separati dal resto degli equipaggi. La determinazione del caposquadriglia viene ulteriormente esacerbata quando due comandanti dipendenti (probabilmente Scroffa e Notarbartolo, i comandanti delle due navi sulle quali la situazione è più turbolenta) criticano duramente la sua eccessiva “morbidezza” in presenza dell’addetto navale aggiunto, capitano di fregata Luigi Filiasi, recatosi in visita a Mahon. Il 19 febbraio, pertanto, Marini invia al Comando spagnolo una lettera in cui sollecita lo sbarco del personale il cui comportamento compromette la disciplina a bordo delle navi, da allontanare definitivamente per impedire ogni contatto con il resto degli uomini; l’ammiraglio Garcès, tuttavia, respinge la richiesta, proponendo invece di sbarcare gli equipaggi nella loro interezza. Marini reagisce scrivendo all’ambasciata italiana a Madrid ed accusando le autorità spagnole di fomentare deliberatamente il disordine a bordo delle sue navi; l’ambasciata contatta il Ministero della Marina spagnolo, che dapprima si oppone a sua volta allo sbarco dei “dissidenti” e prospetta invece il disarmo delle navi e lo sbarco integrale degli equipaggi, ma successivamente finisce con l’accettare la proposta italiana di sbarcare i disubbidienti.

Un’altra foto delle navi durante l’internamento (da La Voce del Marinaio)

15 marzo 1944
Arriva a Mahon la cannoniera spagnola Canovas del Castillo, incaricata di prelevare il personale da sbarcare per condurlo all’arsenale di Cartagena, dove i “riottosi” proseguiranno il loro internamento separatamente dal resto degli equipaggi. Per evitare allarme ed atti inconsulti da parte dei “dissidenti”, gli uomini di cui è stato deciso l’allontanamento vengono chiamati a poppa uno per volta e poi fatti scendere nell’imbarcazione per essere trasbordati sulla Canovas del Castillo. Marini spiega loro che il loro gruppo comprende “disorientati politici”, autori di atti di sabotaggio o rivolta, “attendisti” che svolgono attività di propaganda ed “incorreggibili” di vario genere; egli ha personalmente esaminato la posizione di ciascuno assieme ai rispettivi comandanti (che hanno provveduto all’individuazione degli elementi da rimuovere) e nessuno dei partenti chiede un riesame della sua posizione.
In totale vengono sbarcati 58 dei 1211 uomini che compongono gli equipaggi delle navi internate, e proprio il Fuciliere è l’unità che perde di gran lunga più uomini in rapporto al suo equipaggio: 27, oltre un decimo del suo equipaggio, a fronte dei 29 sbarcati dal Regolo (che però ha un equipaggio quasi doppio) e dei due sbarcati da Mitragliere e Carabiniere (uno per nave). Tra gli sbarcati sono ben undici ufficiali.
Subito dopo che Marini è tornato sul Mitragliere dopo aver preso commiato dagli “insubordinati” sulla Canovas del Castillo, altri tre uomini del Fuciliere, Boccalaro, Franchina ed Esposito, si presentano in coperta dichiarando di essere fascisti, di non intendere obbedire al Comando italiano e di volversi unire al gruppo in partenza per Cartagena. Vengono subito portati a terra per essere trasbordati sulla Canovas del Castillo, ma non essendo stati inclusi nell’elenco precedentemente presentato dalle autorità spagnole, queste rifiutano di aggiungerli al gruppo dei partenti. Vengono quindi internati provvisoriamente nell’Isola Plana.
L’allontanamento in blocco degli elementi “indesiderati” sortisce finalmente il desiderato effetto di migliorare il morale a bordo di Fuciliere e Regolo, le due unità sulle quali la situazione era diventata più difficile da gestire. Da Cartagena i “dissidenti” continuano a svolgere attività sobillatoria mandando lettere in cui esaltano la loro vita ed attività laggiù, ma nessuno dà più loro retta.
Il Fuciliere ha però perso molti dei suoi ufficiali, tanto che il Mitragliere gli deve “cedere” il suo direttore di macchina ed altri due suoi ufficiali, i migliori, per coprire i posti rimasti vacanti; grazie all’operato dei nuovi arrivati e del capitano di corvetta Laj, l’equipaggio del Fuciliere tornerà in breve tempo ad essere pienamente operativo. Comunque, la situazione degli ufficiali di macchina sulle quattro navi è divenuta particolarmente precaria, essendo stati particolarmente interessati da defezioni ed allontanamenti: sono rimasti in così pochi che nessuno può più permettersi di ammalarsi.
Qualche tempo dopo alcuni funzionari dell’ambasciata britannica a Madrid, ufficiali in congedo della Royal Navy, prospettano al comandante Scroffa, recatosi a Madrid, la possibilità di organizzare un’azione di forza – vera oppure simulata, nel secondo caso con il tacito consenso della Spagna – per riportare le navi in Italia, operazione battezzata estemporaneamente “Carmen”. Dopo aver chiesto a Scroffa, nel corso di una cena offerta dall’addetto navale Filiasi, dello stato d’animo degli equipaggi e della loro volontà di tornare in Italia per combattere a fianco degli Alleati, i funzionari britannici discutono della situazione relativa ad ormeggi, sbarramenti, batterie, sentinelle, rifornimenti, rimorchi ed acque territoriali, parlando della possibilità di un’accensione fittizia delle caldaie per prove ed ipotizzando di far rifornire le navi da sommergibili una volta in mare aperto, o persino di farle prendere a rimorchio da sommergibili appositamente entrati in porto. Alla fine della conversione, pur avendo Scroffa fatto presente che un’operazione del genere non è realisticamente realizzabile, viene chiesto che il caposquadriglia Marini ne venga informato e precisi i particolari dell’operazione.
Al rientro a Mahon, Scroffa ne informa Marini, che tiene allora una riunione con gli altri comandanti: teme che il rifiuto di considerare un’azione del genere possa indurre i diplomatici britannici – che hanno un ruolo fondamentale nella trattativa per il rimpatrio delle sue navi – a credere che ci sia scarso interesse a tornare in Italia. Pertanto mette a punto una controproposta, che chiama “operazione Tago”, relativa all’organizzazione della partenza delle navi in ventiquattr’ore, se le autorità spagnole accettassero di far riprendere la decorrenza del termine previsto dalla Convenzione dell’Aja come aveva chiesto già nel settembre precedente; proposta che trasmette a Madrid.

Fuciliere (primo a destra), Mitragliere, Carabiniere e Regolo a Porto Mahon durante l’internamento, nella primavera del 1944 (da “Orizzonte mare”, via Coll. Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

16 aprile 1944
Il sottocapo cannoniere Angelo Dell’Aira del Fuciliere, di 19 anni, muore per tubercolosi all’ospedale di Mahon. Verrà sepolto nel cimitero del luogo, accanto ai naufraghi della Roma deceduti per le ferite.
Aprile-Giugno 1944
Il 29 aprile 1944 Spagna ed Alleati stringono un accordo con cui questi ultimi pongono fine all’embargo di petrolio verso il Paese iberico, mentre le autorità spagnole si impegnano a ridurre l’esportazione di volframio verso la Germania, a rilasciare le navi mercantili italiane internate dall’inizio della guerra, a chiudere il consolato tedesco a Tangeri e ad espellere spie e sabotatori tedeschi. Il successivo 2 maggio viene poi stabilito che il problema dell’internamento delle navi da guerra italiane verrà risolto per mezzo di un arbitrato. Dopo lunghe trattative l’arbitrato verrà affidato a José de Yanguas Messia, professore di diritto internazionale all’Università di Madrid e membro dell’Istituto di diritto internazionale, giungendo ad un accordo il 29 dicembre 1944.
Intanto, in seguito al diffondersi di voci circa un possibile colpo di mano tedesco volto ad impadronirsi delle navi internate, o ad affondarle (l’ambasciata italiana a Madrid, per conto di quella britannica, comunica che "sarebbero in preparazione colpi di mano tedeschi contro nostre navi rifugiate in Spagna per sabotaggi aut per impadronirsene scopo partenza nord. Regio ambasciatore prega darne comunicazione ai soli Comandanti compresa Orsa a Palma"), il caposquadriglia Marini rinnova le pressioni sulle autorità spagnole per chiedere di spostare l’ormeggio delle sue navi all’interno della base spagnola di Porto Mahon, richiesta che aveva già avanzato nell’ottobre 1943. Il timore di un’incursione di mezzi d’assalto contro le navi italiane è rafforzato dalla notizia che il capitano G.N. Fedele, l’ex direttore di macchina del Fuciliere, dopo il suo rientro in Norditalia si è arruolato nella X Flottiglia MAS, oltre che dall’irritazione mostrata dalle autorità tedesche in seguito al raggiungimento dell’accordo del 29 aprile tra spagnoli ed Alleati.
Proprio il timore di un’azione tedesca quando ormai le navi italiane sono in procinto di partire, la cui responsabilità ricadrebbe almeno in parte sulla Spagna, spinge finalmente le autorità spagnole ad agire; il 10 giugno il Ministero della Marina spagnolo ordina che le navi italiane vengano subito trasferite all’interno della base navale di Mahon, e che vengano attuate tutte le misure di protezione contro incursioni da parte di mezzi d’assalto.
Il 12 giugno Fuciliere, Mitragliere e Carabiniere si spostano dunque alla base muovendo con le proprie macchine; il Regolo, dopo attività di scandagliamento volta a garantire che possa accedervi a sua volta (in considerazione del maggiore pescaggio), fa lo stesso il 28 giugno. È stato il caposquadriglia Marini a chiedere ed ottenere di effettuare lo spostamento usando le macchine delle navi, al fine – sottaciuto – di verificare che queste funzionino ancora adeguatamente dopo dieci mesi di immobilità forzata; la prova dà esito positivo, tutto funziona come dovrebbe.
Una volta spostate nella base, le navi italiane iniziano ad osservare le regole dell’oscuramento ed altre misure contro la protezione da mezzi d’assalto.
Agosto 1944
Ritorna attuale il problema dei tre marinai del Fuciliere, Boccalaro, Esposito e Franchina, sbarcati su loro richiesta in marzo ed internati all’Isola Plana dopo aver dichiarato la loro fede fascista: durante la loro permanenza nell’isola, le autorità spagnole hanno concesso loro ripetuti contatti con i falangisti locali e con il console tedesco, ed a fine agosto l’ammiraglio Garcès ordina che vengano reintegrati negli equipaggi delle navi. Il 31 agosto i tre tornano a bordo del Fuciliere, dove dichiarano immediatamente di continuare a non riconoscere l’autorità del comando italiano; Marini li fa allora riportare al Comando della base, dove alla presenza del locale comandante spagnolo, capitano di vascello Francisco Benito, nonché di Scroffa e Laj, i tre dichiarano di riconoscere solo l’autorità spagnola e chiedono di rimanere sotto la sua protezione. Benito ordina loro di tornare a bordo e di obbedire senza riserve al comando italiano, e quando i tre chiedono di poter prima parlare con il console tedesco, respinge la richiesta e minaccia di farli riportare a bordo legati e sotto guardia armata spagnola. Gli “insubordinati” accettano e tornano sul Fuciliere, dove rimarranno per qualche tempo, finché le autorità spagnole non prenderanno atto dell’insensatezza della situazione e li faranno nuovamente sbarcare e trasferire a Cartagena, dove si uniranno agli altri “dissidenti” espulsi in marzo con la Canovas del Castillo.
Ottobre 1944
Sorge un nuovo problema: stavolta riguarda un aspetto pratico, quello dei cavi d’ormeggio, completamente logoratisi durante i nove mesi di ormeggio al mandracchio. Una serie di temporali scatenatisi nel corso del mese di ottobre mettono in evidenza il problema: durante un temporale perdurato dal pomeriggio del 25 a tutta la notte del 26, il Regolo rischia seriamente di andare a sbattere contro la banchina, mentre il Fuciliere schioda completamente i due bittoni di poppa, a dritta ed a sinistra, che alla fine risultano piegati in due. Con il progredire dell’autunno e l’arrivo del maltempo, non è più possibile mantenere Fuciliere e Regolo con la prua rivolta verso l’esterno, esposta alla violenza delle raffiche di vento; Marini ha già chiesto che si ponga rimedio a questa situazione, ma tutto langue in attesa dell’autorizzazione da Palma di Maiorca e da Madrid. Dopo l’episodio del 26 ottobre, finalmente gli spagnoli si smuovono ed ormeggiano Fuciliere e Regolo con la prua verso terra, ben dentro fra i pontili fin quasi ad incagliare, ormeggiati con le loro catene. I cavi d’ormeggio, richiesti alla Marina spagnola che tuttavia ha tergiversato per mesi sulla questione, vengono infine comprati dai britannici, che li portano da Gibilterra al prezzo di 15.000 pesetas, contro le 120.000 richieste a Barcellona.
I danni subiti dal Fuciliere vengono prontamente riparati con l’assistenza della base navale, per la quale Marini ringrazierà il 29 ottobre, per lettera, il suo omologo spagnolo Benito.
Le reti parasiluri vengono messe e tolte a più riprese durante la permanenza nella base; varie volte, durante le tempeste di vento, occorre sganciarle e lasciarle affondare per evitare che il Regolo lavori con la sua mole sugli ormeggi dei cacciatorpediniere, per poi recuperarle dal fondale e rimetterle a posto. Marini, ritenendole un inutile intralcio, chiede più volte di poterle togliere del tutto, senza risultato; infine gli spagnoli lo concederanno il 19 novembre, dopo che il caposquadriglia avrà rilasciato una dichiarazione scritta in cui si assume la piena responsabilità in caso di attacchi di mezzi d’assalto.
15 dicembre 1944
L’Orsa si trasferisce da Palma di Maiorca a Porto Mahon, andandosi ad aggregare alle navi italiane già presenti.
Gennaio 1945
Il contenzioso tra Italia e Spagna circa l’internamento viene finalmente risolto con un lodo arbitrale, permettendo così alle navi italiane di tornare in patria.
15 gennaio 1945
Fuciliere, Mitragliere, Carabiniere, Regolo ed Orsa lasciano Port Mahon per Algeri, prima tappa del loro agognato viaggio di ritorno in Italia.
Il Fuciliere è la prima nave a mollare gli ormeggi, alle quattro del pomeriggio, seguito nell’ordine da Regolo, Mitragliere, Carabiniere ed Orsa; una gran folla di abitanti di Mahon assiste alla partenza, salutando i marinai italiani con cui per tanti mesi hanno convissuto. Le navi si spostano nel budello della rada e qui danno fondo in attesa della notte; quando gli abitanti di Mahon si rendono conto che non stanno ancora partendo, si portano sottobordo con le barche per un ultimo saluto. Calata l’oscurità, le navi italiane salpano da Mahon, navigando oscurate.
In mare aperto, le cinque unità trovano mare in burrasca, mentre iniziano ad emergere gli effetti di quasi un anno e mezzo di sosta forzata: si manifestano diverse avarie, si scopre che le bussole non funzionano; ma la navigazione può proseguire.
19 gennaio 1945
Il Fuciliere e le altre navi giungono ad Algeri, dove vengono poi raggiunte da tre motozattere (una da Mahon e due da Barcellona) e da un motoscafo RAMA dell’Aeronautica, anch’esse internate in Spagna dopo l’armistizio, salpate a loro volta per il rimpatrio dopo la fine della burrasca. Ad Algeri le navi aspettano l’arrivo della torpediniera Sirio, che dovrà poi guidarle fino a Taranto.
23 gennaio 1945
In mattinata le navi arrivano a Taranto, dove il Fuciliere entra in cantiere per un periodo di lavori che si protraggono fino a tutta la primavera.

Il rientro a Taranto delle navi internate alle Baleari, 23 gennaio 1945: in testa il Regolo, mentre il Fuciliere è la terza unità della fila, preceduto dal Mitragliere e seguito dal Carabiniere (da www.marina.difesa.it)

14 aprile 1945
Viene fucilato a Camporgiano Aldo Pedri, di 28 anni, originario di Piazza al Serchio, già sottocapo cannoniere del Fuciliere prima dell’armistizio. Rimasto a terra (forse perché in licenza al paese natale) in seguito alla partenza della nave dopo l’8 settembre, Pedri è entrato nella Resistenza con il nome di battaglia di “Baffo”, diventando comandante del Gruppo Arditi “Marco” di Borsigliana; catturato il 13 aprile 1945 dalle truppe della Repubblica Sociale Italiana, viene condannato a morte e fucilato il giorno seguente.
24 aprile 1945
Il Fuciliere partecipa ad esercitazioni nel Golfo di Taranto insieme alle torpediniere Animoso ed Antonio Mosto, alla corvetta Minerva, al sommergibile Platino ed al cacciasommergibili ausiliario AS 121 Regina Elena.
9 maggio 1945
Il marinaio elettricista Silvio De Felice, 22 anni, da Agropoli, muore a bordo del Fuciliere nel Mediterraneo centrale.
Inizio 1946
Posto in riserva a La Spezia.

Il Fuciliere in disarmo a La Spezia nel giugno 1946 (g.c. STORIA militare)

29 marzo 1946
Il secondo capo radiotelegrafista Salvatore Fois del Fuciliere, di 25 anni, da Bosa, muore in territorio metropolitano.
10 febbraio 1947
Assegnato dal trattato di pace firmato a Parigi all’Unione Sovietica, in conto riparazione danni di guerra.
Sono in tutto 45 le unità italiane assegnate all’URSS dal trattato di pace: una corazzata (la Giulio Cesare), un incrociatore leggero (l’Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), tre cacciatorpediniere (Fuciliere, Artigliere, Augusto Riboty), tre torpediniere (Animoso, Ardimentoso e Fortunale), due sommergibili (Nichelio e Marea), dieci tra MAS e motosiluranti (MS 52, MS 53, MS 61, MS 62, MS 75, MAS 516, MAS 519, MAS 520, MAS 521, ME 40 ex MAS 440), tre cacciasommergibili (VAS 245, VAS 246 e VAS 248), tre motozattere (MZ 778, MZ 780, MZ 781), un trasporto militare (Monte Cucco), una nave cisterna per nafta (Stige), quattro navi cisterna per acqua (Istria, Liri, Basento, Polcevera), dodici rimorchiatori (Talamone, Capodistria, Sant’Angelo, Porto Adriano, Tifeo, Rapallo, Lampedusa, Vigoroso, N 35, N 37, N 80 e N 94) e la nave scuola Cristoforo Colombo. Nel febbraio 1947, subito dopo la firma del trattato di pace, lo Stato Maggiore della Marina sovietica ordina al Comando della Flotta del Mar Nero di preparare gli equipaggi per una corazzata, un incrociatore, un sommergibile, quattro cacciatorpediniere, una nave scuola ed otto rimorchiatori, a quello della Flotta del Nord di fare lo stesso per due cacciatorpediniere, un sommergibile, una torpediniera e quattro navi cisterna per acqua, a quello della Flotta del Baltico quelli per un cacciatorpediniere, tre torpediniere, cinque motosiluranti e quattro rimorchiatori, a quello della flottiglia del Mar Caspio quelli per una nave trasporto e tre navi da sbarco, ed a quello della flottiglia del Danubio quelli per tre motovedette.

Il Fuciliere (dietro) e l’Artigliere a La Spezia nel settembre 1948, in attesa della consegna all’Unione Sovietica (g.c. STORIA militare)

1948
Il Fuciliere, insieme alle altre navi assegnate all’URSS dal trattato di pace, viene visitato da una commissione navale sovietica incaricata di verificare lo stato delle unità e scartare quelle troppo usurate od obsolete. In tutto circa duecento specialisti della Marina sovietica si recano in Italia per appurare le condizioni delle navi destinate alla cessione; quasi tutte le navi, essendo in disarmo da periodi più o meno lunghi, richiedono per poter riprendere il mare lavori di manutenzione di durata variabile dai 40 giorni ai 18 mesi, il che – complice le distruzioni subite dall’industria cantieristica italiana ma anche i tentativi da parte italiana di dilazionare il più possibile la consegna delle navi – fa slittare l’effettiva cessione delle navi al 1949-1950. Undici unità –  il cacciatorpediniere Augusto Riboty, la nave cisterna Stige, i MAS 520 e 521, la motosilurante MS 53 ed i rimorchiatori Rapallo, Lampedusa, N 35, N 37, N 80 e N 94 – verranno rifiutate dai sovietici perché troppo vecchie o logorate; una dodicesima, la VAS 246, andrà distrutta per incendio prima della consegna.
10 o 17 o 31 gennaio 1950
Radiato dai quadri della Marina Militare in vista della cessione all’Unione Sovietica, che dovrà avvenire nel porto di Odessa, sul Mar Nero (da parte italiana si era proposto, senza successo, il porto di Valona). La navigazione di trasferimento dovrà pertanto avvenire sotto bandiera della Marina Mercantile, con equipaggio formato da personale civile italiano sotto il controllo di rappresentanti sovietici. Il governo italiano è responsabile della nave fino all’arrivo ad Odessa; per evitare sabotaggi, il trasferimento avviene senza munizioni a bordo (queste saranno consegnate in un secondo momento per mezzo di navi mercantili).
1° febbraio 1950
Consegnato alla Marina sovietica ad Odessa (altre fonti datano il trasferimento al 10 gennaio, al 17 gennaio od al 31 gennaio). Riceve il codice identificativo provvisorio Z 20; successivamente verrà ribattezzato dapprima Nastoitchivyi (Настойчивый), poi Byedovyi (Бедовый) ed infine Legkij o Lyogkiy (Легкий), nome definitivo (menzionato anche come Legkii o Legky). È in assoluto l’ultima delle navi italiane a giungere in Unione Sovietica (tutte le altre sono state trasferite nel corso del 1949), in ritardo rispetto ai tempi inizialmente previsti (secondo una fonte, avrebbe lasciato l’Italia il 14 novembre 1949, ma sembra probabile un errore).


L’ormai ex Fuciliere sotto bandiera sovietica (Coll. Wladimir Zablocky e www.navyworld.narod.ru)


13 febbraio (o marzo) 1950
Dopo un periodo di collaudi ed addestramento, entra in servizio nella Flotta del Mar Nero, al comando del capitano di 2° rango Kostantin Staricyn.
Come le altre unità ex italiane cedute ai sovietici, il suo impiego sarà limitato dalla scarsa disponibilità di parti di ricambio, nonché di munizioni adatte al suo armamento, che costringeranno a relegarlo perlopiù a compiti addestrativi e ne accorceranno la vita operativa.
Nel corso dell’anno successivo all’entrata in servizio l’armamento contraereo del Legkij viene completamente sostituito: le mitragliere di produzione italiane vengono rimpiazzate da armi di fabbricazione sovietica; in particolare, una mitragliera binata B-11 da 37 mm viene installata sulla sovrastruttura centrale, quattro mitragliere singole 70-K dello stesso calibro vengono installate sulle alette di plancia ed in due piattaforme a poppavia del fumaiolo, e due mitragliere singole DShK da 12,7 mm vengono sistemate sul castello di prua.
1951-1952
Nuovo periodo di lavori, avviati ad un anno e mezzo dall’entrata in servizio sotto bandiera sovietica: gli apparati radio, gli strumenti di navigazione, i generatori diesel e vari apparati ausiliari vengono sostituiti con altri di produzione sovietica, e vengono installati un radar per scoperta aerea Gyuys-1M4 ed un apparato identificativo Fakel-M. Vengono inoltre isolati termicamente gli alloggi dell’equipaggio, installati armadietti e cuccette fisse nei medesimi locali ed installati una caldaia ausiliaria ed un sistema di riscaldamento del vapore nelle cucine. In tutto i lavori costano circa tre milioni di rubli.

Il Legkiy a Odessa (da www.naviearmatori.net, utente Zelikov)

30 novembre 1954
Privato dell’armamento, il Legkij viene declassato a nave bersaglio e denominato, dal 30 dicembre, CL 57 (o TSL 57); stessa sorte tocca, nella stessa data, agli altri cacciatorpediniere italiani ceduti ai sovietici.
Marzo 1958
Designato nave per addestramento statico, viene assegnato alla 78a Brigata di addestramento, insieme a Lovkiy (ex Artigliere), Ladnyi (ex Animoso), Letnyi (ex Fortunale), Lutyi (ex Ardimentoso) e Dunaj (ex Cristoforo Colombo).
21 gennaio 1960
Radiato dai quadri della Marina sovietica.
12 febbraio 1960
Ha inizio la demolizione.
 
Il cofano portabandiera del Fuciliere, lo stesso già usato dal precedente cacciatorpediniere dello stesso nome (in servizio dal 1910 al 1932), è oggi conservato al Sacrario delle bandiere del Vittoriano, a Roma.
 
Il cofano portabandiera del Fuciliere, conservato al Vittoriano (da www.commons.wikimedia.org)