lunedì 10 maggio 2021

Tito Speri

Il Tito Speri (da www.marina.difesa.it)

Sommergibile di media crociera, ultima unità della classe Mameli (dislocamento di 830 tonnellate in superficie e 1010 in immersione).
Durante il periodo di guerra contro gli Alleati (giugno 1940-settembre 1943) svolse 13 missioni di guerra (9 offensive/esplorative e quattro di trasferimento), trascorrendo 65 giorni in mare e percorrendo complessivamente 6463 miglia in superficie e 1287 in immersione (per altra fonte, invece, percorse in tutto 3750 miglia nautiche), ed 80 uscite addestrative per la Scuola Sommergibili di Pola. Durante la cobelligeranza (settembre 1943-settembre 1945) svolse 117 missioni addestrative con le forze aeronavali statunitensi nell’Atlantico occidentale.
 
Breve e parziale cronologia.
 
18 o 28 settembre 1925
Impostazione presso i cantieri Franco Tosi di Taranto.
25 maggio 1928
Varo presso i cantieri Franco Tosi di Taranto.
L’allestimento è curato dal capitano del Genio Navale Federico Amodio.

Lo Speri nel 1928 (da “Preparazione e criteri d’impiego dei sommergibili italiani nella seconda guerra mondiale” di Riccardo Nassigh, Rivista Italiana di Difesa n. 1 – gennaio 1984, via www.betasom.it)

20 agosto 1929
Entrata in servizio, ultima unità della sua classe. Suo primo comandante, fin dal 10 febbraio 1929 (prima ancora dell’entrata in servizio), è il capitano di corvetta Romolo Polacchini.
Inizialmente dislocato a Taranto, dove forma la Squadriglia di Media Crociera della locale Flottiglia Sommergibili, insieme ai gemelli Goffredo Mameli, Pier Capponi (caposquadriglia) e Giovanni Da Procida.
10 settembre 1929
Lo Speri lascia Taranto diretto a Napoli, al comando del capitano di corvetta Romolo Polacchini. Comandante in seconda è il tenente di vascello Araldo Fadin, direttore di macchina il capitano del Genio Navale Luigi Petrillo (che deve avvicendare Amodio); quest’ultimo, nelle sue memorie (pubblicate sotto il titolo di "Tener famiglia: gesta, ambizioni e disinganni di un ufficiale di Marina"), tratteggia in poche parole le figure dei suoi colleghi: Polacchini era “intelligente, attivo, ma con due grossi difetti: autoesaltante la sua intraprendenza nel campo femminile (…) e smanioso di fare l’eroe in servizio. Sembrava sempre alla ricerca della medaglia al valore e forse avrebbe voluto una guerra per ottenerla”; Fadin “elemento preparato, coscienzioso, un po’ nevrotico ma schietto, leale e principalmente molto umano. Non erano infrequenti i suoi scontri con Polacchini. Una volta, a bordo e innanzi a diversi inferiori, Fadin disse al suo capo: “ho fatto così perché ho scarsa fiducia nel suo spirito di organizzazione””.
Durante la navigazione da Taranto a Napoli lo Speri deve collaudare tutti gli apparati di bordo, pertanto compie un ampio giro passando a sud della Sicilia e ad ovest della Sardegna, una navigazione della durata di cinque giorni nel corso della quale compie varie prove d’immersione ed esercitazioni. Tali prove mettono in risalto parecchie carenze ed avarie: secondo Luigi Petrillo, “in parte dovute a difetti originali di costruzione e in parte a deficienze specifiche di quel battello. Per essere l’ultimo approntato della serie, lo Speri avrebbe dovuto sommare il meglio dei sommergibili precedenti e invece ne era il peggiore, perché tutto ciò che non andava bene per i primi fu montato sull’ultimo ed Amodio aveva avuto il torto di lasciarsi ingannare durante la costruzione e l’allestimento presso i Cantieri Tosi. Nel verbale delle consegne io citai tutte le manchevolezze, ma i difetti dello Speri me li piansi io per quattro anni”.


Sopra, Romolo Polacchini (Coll. Marcello Polacchini) e sotto, Luigi Petrillo (da “Tener famiglia. Gesta, ambizioni e disinganni di un ufficiale della Regia Marina”)


15 settembre 1929
Lo Speri giunge a Napoli, ormeggiandosi al Molo San Vincenzo, e sbarca il capitano Amodio. Segue un periodo di lavori di messa a punto, sotto la direzione del capitano Petrillo, complicato dalla scarsità di mezzi a disposizione presso l’Arsenale di Napoli e dalla totale incompetenza, in materia di sommergibili, del tenente colonnello del Genio Navale posto alla sua direzione; l’equipaggio è alloggiato sulla nave appoggio Alessandro Volta.
2 ottobre 1929
Lo Speri lascia Napoli per trasferirsi a La Spezia, facendo scalo a Gaeta per rifornirsi di nafta. Durante la notte si verifica un’avaria ai motori, portati ad un andamento eccessivo a per ordine del comandante. Il guasto viene risolto dal direttore di macchina Petrillo.
3 ottobre 1929
Giunge a La Spezia e si ferma fuori dalla diga, per sbarcare le munizioni.
9 ottobre 1929
Entra in bacino a La Spezia, per lavori prima delle prove di profondità.
29 ottobre 1929
Prove di profondità: lo Speri scende fino a 104,5 metri, rimanendovi per venti minuti. Mentre è in immersione, sperimenta un sistema di comunicazione “idrofonico” con il sommergibile Antonio Sciesa, che è rimasto in superficie.
104 metri sono una profondità notevole per i sommergibili dell’epoca, ed i risultati di questa prova vengono riportati anche da giornali esteri.
Nelle settimane successive compie altre uscite ed immersioni; verso fine novembre si verifica una grave avaria, che non risulta riparabile con i mezzi di bordo.

Notizia sul “Manchester Evening Herald” del 30 ottobre 1929 (da www.manchesterhistory.org)

1° dicembre 1929
Riceve a La Spezia la bandiera di combattimento, offerta dal Gruppo degli Universitari Fascisti di Brescia, città natale del patriota eponimo (secondo le memorie di Luigi Petrillo, invece, la bandiera sarebbe stata offerta “dalle donne di Brescia”).
Conclusa la cerimonia, entra in Arsenale per riparare l’avaria che si trascina da giorni; i lavori si protrarranno fino a metà dicembre.

Lo Speri a La Spezia, in occasione della cerimonia di consegna della bandiera di combattimento (g.c. Marcello Polacchini)




Sopra, tre immagini della cerimonia di consegna della bandiera di combattimento allo Speri; sotto, il cofanetto portabandiera (Coll. Romolo Polacchini, per g.c. del nipote Marcello Polacchini)


10 dicembre 1929
Gli ufficiali dello Speri vengono convocati a Roma per un incontro con il segretario del Partito Nazionale Fascista, Augusto Turati, ed il ministro della Marina, ammiraglio Giuseppe Sirianni. L’incontro è stato organizzato da Turati, bresciano d’adozione, desideroso di incontrare gli ufficiali dello Speri dopo aver saputo della consegna della bandiera di combattimento; vengono organizzati due ricevimenti, il primo con Turati presso la sede centrale del PNF (Palazzo Vidoni) ed il secondo con Sirianni presso il Ministero della Marina. Gli ufficiali dello Speri regalano a Turati una fotografia del sommergibile con una cornice d’argento, firmata da tutti.
Pochi giorni dopo lo Speri, terminati i lavori, lascia La Spezia per Napoli, ma è costretto a sostare a Gaeta il 16 dicembre a causa di un’altra avaria.
17 dicembre 1929
Arriva finalmente a Napoli, e subito ne riparte per una crociera fino a Tripoli.
La navigazione è travagliata per via del mare grosso, a tal punto da rendere impossibile anche cucinare: nelle parole di Luigi Petrillo, “eravamo andati avanti col pane prima, poi con ciò che era mangiabile in piedi e a gambe larghe dei viveri di guerra: gallette, tonno, fagiolini in iscatola. L’acqua potabile, per il prolungato sciacquio nei depositi, era divenuta imbevibile e ci dissetavamo col Marsala della razione di guerra. Ma l’alimento continuo fu il tonno in iscatola”.
Il sommergibile passa a ponente della Sicilia, s’immerge davanti a Marettimo, passa dalle Eolie (dove compie una prova d’immersione nella quale rimane sott’acqua per diciotto ore consecutive) e dallo stretto di Messina, s’immerge di nuovo davanti a Lampedusa e poi punta su Tripoli. Al largo di Lampedusa, nell’unico momento in cui lo stato del mare consente all’equipaggio di salire in coperta, il direttore di macchina Petrillo, sposatosi pochi giorni prima, distribuisce i confetti ai marinai.
23 dicembre 1929
Arriva a Tripoli; gli ufficiali alloggiano nel Grand Hotel, dove possono finalmente godere di un bagno caldo e di un pranzo a modo. Scrive Luigi Petrillo: “Il cameriere ci consigliò l’antipasto e noi accettammo con entusiasmo, ma quando per primo intingolo ci presentò il tonno l’avremmo fucilato”.
Il 27 dicembre il governatore, generale Pietro Badoglio, offre agli ufficiali dello Speri una gita ad Homs ed al sito archeologico di Leptis Magna; durante il viaggio, effettuato con un autocarro, gli ufficiali si fermano per il pranzo in una concessione di coloni. “Quei poveri coloni non avevano niente da offrirci: né pane né formaggio, ma soltanto uova, e freschissime”.
31 dicembre 1929
Lasciata a Tripoli, lo Speri giunge a Napoli nel pomeriggio, ormeggiandosi al Molo San Vincenzo, dopo una navigazione a velocità sostenuta con entrambi i motori e scalo per rifornimento nafta a Messina, in modo da essere in porto per i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno.
4 febbraio 1930
Lo Speri (capitano di corvetta Romolo Polacchini) lascia Napoli in mattinata diretto a La Maddalena, dove dovrà incontrarsi con i sommergibili Balilla (capitano di fregata Armando Fumagalli, caposquadriglia) e Vettor Pisani (capitano di corvetta Giuseppe Micheluccini) per effettuare insieme ad essi una crociera di prova in Atlantico. Scopo della crociera è verificare “sul campo” quale tipo di sommergibile di media crociera sia il migliore: il tipo Bernardis a scapo semplice con doppifondi e controcarene esterne, rappresentato dalla classe Pisani; od il tipo Cavallini a doppio scafo parziale, rappresentato dalla classe Mameli (di cui lo Speri fa parte). Il Balilla dovrà accompagnare i due sommergibili più piccoli in una sorta di crociera “comparativa”, nella quale si dovrà verificare quale delle due classi si comporta meglio in acque oceaniche. Il capitano Petrillo scrive in proposito nelle sue memorie: “Già da qualche anno si discuteva in Marina sul miglior tipo di smg di medio dislocamento. A parte quelli di grande crociera tipo Balilla, le preferenze si dibattevano tra i tipo V. Pisani e G. Mameli. L’ambiente ministeriale propendeva per il tipo Pisani su pressione del Comitato Progetti Navi, ove era il gen. Bernardis, progettista di quel tipo, mentre l’ambiente dei naviganti era in massima parte favorevole al tipo Mameli, perché era più marino nella navigazione in superficie e con mare agitato. Poiché era in corso il grande programma di costruzione di una flotta di sommergibili ed erano già in costruzione gli esemplari migliorati di entrambi i tipi, lo Stato Maggiore decise di far eseguire una severa crociera comparativa fuori dal Mediterraneo. Furono scelti il Pisani e lo Speri, accompagnati dal più grande Balilla”.

Lo Speri in partenza da Napoli per la crociera atlantica del 1930 (g.c. Marcello Polacchini)

5 febbraio 1930
Lo Speri giunge a La Maddalena nel pomeriggio.
A bordo dello Speri è imbarcato anche il motorista di garanzia della ditta Tosi, descritto da Petrillo come “molto bravo a parole, restio a sporcarsi le mani e tanto più a soffrire il mare”; all’arrivo a La Maddalena, questi sbarca, dicendo di avere altri incarichi della sua ditta. La navigazione è stata tormentata da mare agitato, tanto che un sottufficiale elettricista, che soffre il mare, sta così male da dare segni di scompenso cardiaco; anche lui, all’arrivo a La Maddalena, viene pertanto sbarcato e sostituito (per combinazione, da un cugino del direttore di macchina, Nino Petrillo).
La sosta dello Speri a La Maddalena dura meno di ventiquattr’ore; il sommergibile rimane alla fonda per il tempo necessario a rifornirsi di nafta (viene riempito in sovraccarico anche un doppio fondo normalmente adibito alle manovre di allagamento, così aumentando l’immersione del sommergibile), mentre il comandante Polacchini ed il direttore di macchina Petrillo si recano sul Balilla, con il battellino dello Speri, per concordare i dettagli della crociera.
Durante l’imbarco della nafta si verifica sullo Speri un incidente dalle conseguenze potenzialmente disastrose. Le valvole di sfogo d’aria del doppio fondo in cui dev’essere stivata la nafta in sovraccarico sono ubicate nel locale cucina di superficie, sito nell’intercapedine della falsatorre; durante l’imbarco nessuno sorveglia i rubinetti spia che devono segnalare il pieno del deposito, così che, una volta riempito quest’ultimo, la nafta trabocca dagli sfoghi d’aria e cola sulla piastra rovente della cucina, scatenando un incendio che minaccia di raggiungere la nafta contenuta negli altri serbatoi, che potrebbe prendere a sua volta fuoco od esplodere coinvolgendo per giunta le munizioni e le testate dei siluri imbarcati per la crociera. Polacchini e Petrillo, tornando dalla riunione sul Balilla, vedono le fiamme che escono dall’intercapedine della torretta e si precipitano a bordo; il personale presente sul posto, intanto, ha già provveduto ad interrompere il carico della nafta e chiudere gli sfoghi d’aria, e si riesce così a domare l’incendio prima che possa causare danni di rilievo.
6 febbraio 1930
Speri, Balilla e Pisani partono da La Maddalena all’una del pomeriggio. Destinazione sono le isole di Capo Verde, da raggiungere senza scali intermedi; si tratta della più lunga traversata eseguita, fino a questo momento, da un sommergibile italiano, con l’eccezione del viaggio di consegna dei sommergibili classe H dal Canada all’Italia durante la prima guerra mondiale (viaggio che però aveva visto scali intermedi e l’appoggio di unità di superficie e rifornitrici).
Poco dopo la partenza, i tre sommergibili incontrano mare grosso, in progressivo peggioramento nei giorni seguenti. Dalle memorie di Luigi Petrillo: “Non potevamo mangiare a tavola, non ci potevamo radere, anche il lavarsi era un problema, sia per economizzare l’acqua e sia perché quel poco che si metteva nella catinella sciabordava e si perdeva. Nei primi due o tre giorni mangiammo un po’ di viveri freschi, ma poi una parte andò a male (i smg non avevano ancora i frigoriferi) e l’altra divenne immangiabile per il sapore che assumeva. L’aria grassa e umida di bordo impregnava di tutti gli odori di nafta, olio, puzzo di motori, e il mare grosso non ci consentiva di aprire gli sportelli e di ricambiarla. Anche quando nei primi giorni riuscimmo a mangiare qualcosa di caldo, venivano fuori piatti che soltanto la fame faceva ingurgitare. La mia ordinanza, Ive, un ragazzo di Pola, era il cosiddetto cuoco e doveva pensare a tutti, ufficiali, sottufficiali e marinai. La piccola cucina di superficie, quella dell’incendio, era impraticabile e quindi, per cuocere o scaldare qualcosa, per tutti esisteva soltanto una piastra elettrica posta in un angolo del locale di prua, soffocata dalla parete circolare del smg. Un giorno che Ive preparò per gli ufficiali delle fette di carne, queste ci giunsero nei piatti nere come il carbone e appena ne portammo un pezzo alla bocca lo sputammo. Avevano un sapore amaro insopportabile e poi scoprimmo che Ive aveva creduto di avere cotto quelle fette con l’olio, ma non s’era accorto che al disopra della padella era un rubinetto spia della nafta che, gocciolando, gli aveva riempito la padella. Un’altra volta ci portò il caffè fatto con l’acqua di mare per un errore di prelievo dalle casse. Chi voglia conoscere il sapore del caffè all’acqua di mare deve soltanto assaggiarlo perché non è descrivibile a parole”.
Nei primi giorni risulta possibile effettuare alcune esercitazioni e prove d’immersione, ma poi lo stato del mare peggiora a tal punto da rendere difficile anche solo proseguire. Il Balilla, grazie alle sue maggiori dimensioni, è dei tre quello che se la cava meglio; Speri e Pisani incontrano maggiori difficoltà. Al largo delle Baleari il mare raggiunge forza 9; i sommergibili avanzano a stento, sballottati dalle onde e sferzati dal vento, a non più di 4-5 nodi. Ancora Luigi Petrillo descrive efficacemente le condizioni a bordo dello Speri: “In quelle condizioni anche il riposo e ancor più il sonno erano impossibili: ci si sdraiava alla meglio dove si poteva e in cuccetta ci si puntellava con le mani e con i piedi per non cadere. Qualche marinaio si incastrava sul ferro nudo tra due macchinari per non essere sballottato. Avvenne così che gli ufficiali di coperta in un certo pomeriggio erano così esausti che non reggevano a tenersi nella guardia in plancia. Io, che mi ero riposato alquanto quel giorno, mi offrii al comandante di sostituirlo in plancia per qualche ora ed egli accettò per andarsi a sdraiare nel suo camerino. Il mio compito non era difficile perché eravamo già “alla cappa” (…) Rimasi quindi solo in plancia col timoniere, entrambi chiusi nel “cappotto di sentinella”, un cappottane pesante di orbace con cappuccio. Ma questo non riparava dal mare che ci accavallava. Vedevo la prua del battello abbassarsi progressivamente nel cavo dell’onda mentre l’onda successiva più innanzi era più alta della mia testa e sembrava che mai il smg sarebbe uscito da quella montagna d’acqua che stava per investirlo. La prua si risollevava lentamente in un taglio d’acqua spumeggiante ma l’onda che veniva non le dava tempo di alzarsi, tanto che si abbatteva sullo scafo che tremava tutto sotto la valanga assordante. E noi ben saldi con mani e piedi, uscivamo grondanti da quel diluvio e tesi a mantenere la direzione contro l’onda successiva che già si profilava innanzi a noi. E ad ogni “incappellata” era uno scroscio d’acqua che si precipitava attraverso il portello della torretta giù in camera di manovra, unico portello che non si poteva chiudere per dare l’aria ai motori e agli uomini di sotto. Passavano le ore e ogni tanto il comandante mandava a chiedere notizie: lo rassicuravo e continuavo la mia guardia. Tentati e riuscii ad accendere qualche sigaretta (l’unico genere che abbondava a bordo), ma non riuscivo mai a fumarla intera, nonostante tutti gli accorgimenti del mestiere per ripararla dall’acqua. Quand’anche non si bagnava la sigaretta, ero io a grondare acqua dal viso e dalle labbra e assaporavo solo qualche boccata di fumo e di salso. A sera tardi il comandante tornò in plancia ed io, stanco e sfinito per la tensione e per il continuo irrigidimento del corpo, andai a buttarmi in cuccetta. Non era nemmeno da pensare di cambiarsi gli indumenti: si rischiava di far sporcare o di far cadere in sentina gli indumenti puliti prima di indossarli e comunque non erano possibili certi movimenti di braccia e di gambe per svestirsi e vestirsi. Così ci sdraiavamo come eravamo, sporchi, abbrutiti, sfiniti e bagnati, e quando ci si metteva in un posto caldo, ad esempio in prossimità dei motori, la tuta si asciugava addosso e diventava rigida per il sale e l’unto rappreso. Chi aveva voglia di mangiare si nutriva con i viveri di guerra o di quelli almeno che si potevano mangiare stando in piedi e barcollando. Anch’io usai il tonno in iscatola, marmellata, burro (pure in iscatola) e galletta frantumata. Nei primi giorni, quando ne disponevamo, vi rompevo dentro anche un uovo o due. Col passare dei giorni le gallette in parte ammuffirono e in parte si infestarono di punteruoli e ricordo che quando finalmente, all’uscita nell’Oceano, gli ufficiali potettero sedersi a tavola per mangiare, era uno spettacolo vedere ciascuno di noi rompere le gallette e poi batterle col dorso del cucchiaio per far cadere i parassiti. Durante quei momenti di tempesta il barometro che ballonzolava nel quadrato ufficiali era sotto continua cura e osservazione da parte di tutti. Scendeva sempre, finché si fermò verso i 740 per poi lentamente risalire. Alla cuffia della nostra radio giungevano SOS e segnalazioni di avarie da più parti: erano quasi tutti navi da carico e grossi pescherecci, ma tutti lontani da noi, e non era del resto da pensare che, nelle nostre condizioni e a circa 4 o 5 nodi di velocità, potessimo recare aiuto a qualcuno. Intanto quel mare d’infermo provocava avarie in continuità e la gente, che già non poteva riposare, era costretta a continui lavori di fortuna”.
Problema particolarmente serio è la continua rottura dei cuscinetti a sfere delle due coppie di pompe acqua ed olio nel locale motori: inconveniente dovuto all’eccessiva lunghezza dell’asse che aziona le due pompe, che non si allinea correttamente sotto le vibrazioni, ed al fatto che esso si trova in posizione verticale, il che fa sì che il rollio ed il beccheggio del sommergibile generino un effetto giroscopico che tende a spezzarlo. Ogni volta che i cuscinetti a sfere si rompono, si rende necessario smontarli, cambiarli e rimontarli, mantenendo almeno un motore in funzione, il tutto con il sommergibile continuamente sballottato dal mare in burrasca. Alla fine vengono esauriti i cuscinetti di riserva, ed il personale di macchina deve costruirne altri due con pezzi di cuscinetti rotti.
Ancora peggio dello Speri, però, se la passa il Pisani, che giunge a chiedere al caposquadriglia il permesso di puggiare in un porto: ma il caposquadriglia Fumagalli risponde seccamente: “La nostra meta è il Capo Verde”, messaggio intercettato anche dallo Speri. Faticando a proseguire, in un momento particolarmente critico, in cui la tempesta raggiunge l’apice della violenza, il Pisani è costretto a scaricare parte della sua nafta in mare per alleggerirsi; Speri e Balilla avrebbero a bordo nafta sufficiente per rifornire anche il Pisani in modo da permettergli di raggiungere Capo Verde, ma le tempestose condizioni meteomarine impediscono un rifornimento in mare aperto, così che, dopo un intenso scambio di messaggi tra i tre battelli, viene deciso di rinunciare a raggiungere le isole di Capo Verde e di puntare invece sulle Canarie, che avrebbero dovuto essere una tappa intermedia nel viaggio di ritorno (questa decisione desterà malumori a Roma, dando vita ad un’inchiesta dopo il rientro dei tre sommergibili, al termine della quale verrà dato un giudizio molto positivo sull’operato dell’equipaggio dello Speri, il cui direttore di macchina riceverà anzi un elogio “per lo zelo e l’attività dimostrata durante una crociera svolta in condizioni particolarmente difficili”).
Una notte, al centro del Mediterraneo, lo Speri avvista una luce intermittente all’orizzonte, sulla sinistra; si decide di cronometrarne i tempi di luce e di eclissi e si rileva una perfetta periodicità, il che indica che la fonte luminosa è un faro, ma la costa africana dista almeno sessanta miglia. Balilla e Pisani non sono più in vista, ed il comandante Polacchini teme di essere finito fuori rotta: insieme al comandante in seconda, tenente di vascello Meneghini, ed all’ufficiale di rotta, ricalcala più volte il punto nave, ma ottiene sempre lo stesso risultato; non volendo chiedere la posizione via radio al Balilla, prosegue per un’ora nell’incertezza, finché ci si accorge che il disegno della rosa dei venti sulla carta nautica nasconde quello dell’isolotto di Alboran, provvisto di faro, che si trova proprio vicino al punto in cui risulta trovarsi lo Speri: è dunque quello di Alboran il faro misterioso in mezzo al mare.
Al traverso di Gibilterra, lo Speri viene contattato da terra con un segnale a lampi luminosi, con cui i britannici chiedono la sua identità; da bordo viene risposto “Italian submarin”, ma gli inglesi vogliono sapere anche il suo nome, che viene quindi fornito.
L’indomani, al tramonto, lo Speri giunge in Atlantico; lo stato del mare migliora, con onde ancora lunghe (durante tutta la crociera non verrà mai incontrato mai mare veramente calmo) e poco vento. Risulta finalmente possibile aprire i portelli e permettere all’equipaggio di salire in coperta per respirare aria pulita e fare un po’ di movimento. Vengono avvistati parecchi pescicani, bersagliati con pistole, moschetti e persino la mitragliera contraerea. Al tramonto dell’unico giorno in cui il mare è abbastanza calmo da poterlo fare, il direttore di macchina Petrillo legge la Preghiera del Marinaio dinanzi all’equipaggio schierato in coperta (“bisogna avere il cuore di pietra per non comprendere come si può piangere in quei momenti fra cielo e mare e tanto lontano dalle case”).
Qualche sera dopo viene avvistato il faro di Capo Las Palomas.
18 febbraio 1930
Speri, Balilla e Pisani entrano nella rada di La Luz, nell’isola di Gran Canaria: prima ancora di giungere alla banchina, si trovano attorniati da barche di venditori indiani, arabi e spagnoli, che offrono cibi, stoffe, pappagalli e canarini. Sulla banchina è in attesa una delegazione della locale comunità italiana, presieduta dal locale console onorario (“un odontotecnico che, poverino, faceva del suo meglio per allietarci la permanenza a Las Palmas e si raccomandò tanto, financo al momento della nostra partenza, di perorare la sua causa per un riconoscimento giuridico della sua professione”), che dà il benvenuto ai sommergibili.
I giorni successivi vengono dedicati al rassetto, manutenzione e pulizia dei sommergibili; gli uomini in franchigia visitano Las Palmas e l’isola, dove nonostante sia febbraio ci sono 28 gradi. Si fanno scorpacciate a base di banane coltivate nell’isola, in vendita a bassissimo prezzo; scrive Luigi Petrillo: “le ordinanze di bordo avevano l’ordine di tenere in quadrato sempre un piatto di banane in vista in modo che anche la sera, prima di metterci in cuccetta, le potessimo gustare”. Gli ufficiali del locale comando della Marina spagnola organizzano un ricevimento in onore dei colleghi italiani.
26 febbraio 1930
Speri, Pisani e Balilla lasciano Las Palmas per fare ritorno in Italia. Il mare è mosso, ma non troppo, anche se solo un giorno è abbastanza calmo da rendere possibile uscire in coperta. Appena fuori da Las Palmas, “su tutti e tre i sommergibili comparvero, appesi a festoni sulle draglie della radio, caschi e caschi di banane che tutti contavano di portare fino in Italia. Un casco enorme, di un centinaio di banane, costava soltanto 5 lire che, anche con la moneta di oggi (circa mille lire), era un prezzo irrisorio. Le banane erano state acquistate ancora un po’ verdi sperando che maturassero nel viaggio, ma la loro sorte fu ineluttabile: marcirono tutte in pochi giorni e finirono tutte in fondo al mare. È un frutto troppo delicato e l’aria di mare non gli si confà”. Si verificano, di nuovo, diverse avarie.
1° marzo 1930
In occasione dell’ultimo sabato di carnevale, l’equipaggio organizza una serata di musica e canti nel locale di prua, nonostante il forte rollio e beccheggio causato dal mare mosso.
4 marzo 1930
Viene raggiunta Gibilterra, dove gli equipaggi ricevono la posta dall’Italia; il giorno successivo all’arrivo il comandante Polacchini raduna in coperta l’equipaggio e rivolge al personale di macchina un elogio solenne per il lavoro svolto.
L’ammiraglio britannico Berwick Curtis, comandante la base di Gibiltera, offre un pranzo in onore degli ufficiali italiani, cui partecipano i tre comandanti dei sommergibili, un altro ufficiale per ciascun sommergibile (per lo Speri, il direttore di macchina Petrillo, essendo anche l’unico ufficiale italiano che conosca l’inglese), il console generale d’Italia ed altri consoli. Sempre dalle memorie di Petrillo: “Al pranzo ci accompagnò in auto il console italiano, il quale, quando si accorse che eravamo in anticipo di circa cinque minuti sull’orario stabilito (…), fece fermare per un po’ le auto prima di avvicinarci all’Ammiragliato. Alcuni di noi, me compreso, avevano lasciato crescere la barba (…) e per quanto ben puliti ed in cappottina (gli ufficiali inglesi erano in frac aperto e le dame in gran sera) avevamo un po’ di aria piratesca. In tono scherzoso, durante il pranzo, si parlò di tagliare quelle barbe che invece noi contavamo di portare fino in Italia. A fine tavola, all’uso inglese, le donne lasciarono la mensa e gli uomini si fermarono a chiacchierare, bere e fumare. Poi l’ammiraglio inglese, Curtis, con vero infantilismo anglosassone, sfidò qualcuno a una partita di tennis da camera (quello con le palline piumate) ed io fui designato contendente quantunque conoscessi quel gioco appena di vista. Si riprese ancora a bere ed io non mi accorsi di essere stato preso particolarmente di mira dalla comitiva. Così mi trovai mezzo brillo nell’alloggio dell’aiutante di bandiera, dove questi, altri ufficiali e la nipote dell’ammiraglio provvidero a immobilizzarmi ed a radermi la barba tra le risate di tutti”.
Il mattino seguente, gli ufficiali britannici invitano gli italiani ad una partita di calcio: viene così formata un’improvvisata squadra – di nuovo sotto la direzione del capitano Petrillo, che in gioventù era stato fondatore di una squadra calcistica studentesca – con elementi prelevati dai tre sommergibili tra gli ufficiali e marinai che dicono di saper giocare a calcio, con scarpe e maglie acquistate sul posto. Prevedibilmente, la partita è vinta dai britannici. La sera, tornando a bordo, il comandante Polacchini sfida gli altri ufficiali ad una gara di corsa sulla strada per un centinaio di metri, durante la quale finisce però con l’inciampare, cadendo e rompendosi l’osso del naso. Recatosi presso il locale ospedale della Royal Navy, viene sottoposto a radiografia e gli viene messa a posto la frattura, senza però che il naso torni perfettamente dritto.
7 marzo 1930
SperiBalilla e Pisani lasciano Gibilterra diretti a Valencia; il mare incontrato in questo tratto è il più “calmo” dell’intera crociera, tanto da permettere di tenere quasi sempre aperti i portelli della torretta.
9 marzo 1930
Giunti all’altezza del meridiano di Greenwich, il caposquadriglia Fumagalli decide di effettuare delle esercitazioni combinate con Speri e Pisani, e comunica loro un punto per l’immersione collettiva. Lo Speri, tuttavia, scambia erroneamente la longitudine indicata dal Balilla come ancora ad ovest di Greenwich, anziché ad est; s’immerge così nel punto sbagliato, lontano da Pisani e Balilla. Resosi conto dell’errore una volta immerso, ed ormai impossibilitato a partecipare all’esercitazione, il comandante Polacchini dà ordine di riemergere e comunica al Balilla la sua posizione via radio, chiedendo l’autorizzazione a restare in immersione per 24 ore per “autopunirsi”. Fumagalli risponde: “Restate sotto a vostro piacimento”. Lo Speri passa così ventiquattr’ore sott’acqua, dalle 14 del 9 marzo alle 14 del 10.
Dopo essersi immerso, il sommergibile mette i motori a lento moto; dalle memorie di Luigi Petrillo: “Le ore passavano lente al solo ronzio dei motori elettrici e al solo scandire degli ordini e delle risposte dei timonieri di direzione e di profondità”. All’ora del rancio serale il comandante Polacchini si ritira per riposare, lasciando il comando al comandante in seconda Meneghini, con poca esperienza di sommergibili; ad un certo punto questi, pur sconsigliato dal direttore di macchina Petrillo, ordina agli uomini della guardia franca di andare tutti nel locale di prua per il rancio, ma così facendo scompagina il delicato assetto del sommergibile, che inizia ad appruarsi dapprima lentamente e poi più bruscamente. Petrillo fa manovrare i timoni orizzontali per contrastare l’appruamento, che nel frattempo è divenuto tale da far cadere Polacchini fuori dalla sua cuccetta: il comandante si precipita in pigiama in camera di manovra per capire cosa stia succedendo, trovando Petrillo intento a fronteggiare la situazione, Meneghini esterrefatto a prua e gli uomini aggrappati un po’ dappertutto per non perdere l’equilibrio. L’assetto viene ripristinato e Polacchini, dopo aver fulminato Meneghini con un’occhiataccia, torna a dormire.
Le ultime ore d’immersione sono le più difficili: l’aria all’interno dello Speri è ormai estremamente viziata, ed il comandante Polacchini non vuole servirsi dell’impianto di rigenerazione dell’aria (che viene filtrata attraverso cassette Boldrocchi piene di soda caustica, che fissa l’anidride carbonica). Di ora in ora diviene più difficile respirare, mentre il vapore condensato sulle paratie genera un continuo sgocciolamento.
10 marzo 1930
Intorno alle dieci del mattino lo Speri fa emergere l’antenna della radio per comunicare con il Balilla, che trasmette un radiomessaggio indirizzato al direttore di macchina Petrillo dalla moglie (“ricevere sott’acqua auguri e parole care credo sia una sensazione da nessuno mai provata”). La situazione a bordo diventa però sempre più insostenibile: “I cerini si spegnevano già all’altezza della testa, tutti i petti ansimavano come mantici e qualcuno cercava aria fresca dove poteva: aprendo ad esempio l’interno dei tubi di lancio e infilandovi la testa. Io presi una boccata d’aria nei cassetti del mio armadietto”. Alle due del pomeriggio, finalmente, lo Speri riemerge: Polacchini, uscito per primo in torretta, viene stordito dall’improvviso ritorno dell’ossigeno e si accascia nelle braccia del timoniere, che lo segue.
11 marzo 1930
I tre sommergibili raggiungono prima Porto Grao (dove ricevono la posta) e poi Valencia, dove trascorrono tre giorni per poi proseguire alla volta di Barcellona.
16 marzo 1930
Speri, Pisani e Balilla giungono a Barcellona, ove vengono accolti con particolare calore dalla locale comunità italiana: vengono organizzati innumerevoli pranzi, balli, tè, gite in auto e spettacoli teatrali; gli ufficiali vengono invitati dal direttore del locale stabilimento della Cinzano a visitare la fabbrica (“…da cui uscimmo quasi sbronzi per gli assaggi dei vari vermouth dolce, secco, bianco, rosso, chinato. In quell’occasione vidi le prime bottigliette usate dopo qualche anno anche in Italia come Cinzanini”, scrive Petrillo), che al momento della partenza manda in regalo agli equipaggi tre casse di bottiglie ed innumerevoli bottigliette di vermouth.
20 marzo 1930
I tre sommergibili lasciano Barcellona diretti inizialmente a La Maddalena, da dove Speri e Pisani proseguiranno per Napoli, mentre il Balilla si recherà a La Spezia. Ogni 6-7 ore la formazione è costretta a soste per permettere a Speri e Pisani, che hanno una sola pompa efficiente, di fare manutenzione alla stessa e farla riposare.
21 marzo 1930
In mattinata, durante la navigazione, tutti e tre i sommergibili ricevono l’ordine di fare rotta su La Spezia invece di La Maddalena.
23 marzo 1930
Speri, Pisani e Balilla arrivano a La Spezia nel primo pomeriggio.
Successivamente lo Speri si trasferisce a Napoli.
Le prestazioni del sommergibile durante la crociera atlantica verranno giudicate molto positivamente, confermando le buone qualità della classe Mameli nella navigazione oceanica e nelle lunghe permanenze in mare lontano dalle basi.
1930
La Squadriglia di Media Crociera diviene IV Squadriglia Sommergibili. 
24 maggio 1930
Il capitano di corvetta Polacchini lascia il comando dello Speri.
24 luglio 1930
Lo Speri lascia Napoli diretto a La Spezia, dove dovrà essere impiegato nella Sperimentazione della vasca di salvataggio e del cappuccio progettati dall’ingegner Angelo Belloni per la fuoriuscita dei superstiti da un sommergibile affondato. Tale apparato, avente lo scopo di stabilire all’interno del sommergibile una pressione uguale a quella esterna per consentire ai superstiti di uscirne in sicurezza, consiste in un tubo di tela collegato in alto con un portello d’uscita ed in basso con una vasca di tela. Per uscire, gli uomini all’interno di un compartimento devono mettere il locale in pressione con l’aria compressa di bordo, riempire d’acqua la vasca, equilibrare la pressione con l’esterno fino a riempire il tubo fino al portello, ed aprire il portello; indi immergersi nella vasca, infilarsi nel tubo e venire a galla, indossando un cappuccio di gomma con occhiali (anch’esso progettato da Belloni), provvisto di sacca d’aria che permette agli uomini di respirare per i minuti necessari a giungere in superficie (è però necessario tenere la testa sempre verticale, sia immergendosi nella vasca sia imboccando il tubo, in quanto inclinando la testa si fa uscire aria dal tubo e ci si ritrova con l’acqua alla bocca).
Poco dopo la partenza si scatena una tempesta di vento ed il mare diventa mosso, costringendo a ridurre la velocità. Ufficiali e sottufficiali non hanno provviste per il 25 luglio, aspettandosi di essere a La Spezia prima di allora, e la sera del 24 la cena già preparata viene trascinata in mare dalle onde penetrate nella cucina di superficie; ufficiali e sottufficiali devono quindi accontentarsi degli avanzi e del cibo offerto dai marinai.
Luglio 1930
Giunto a La Spezia, lo Speri viene impiegato per la Sperimentazione del sistema Belloni, alla presenza di una commissione giudicante e dell’ammiraglio comandante la flotta sommergibilistica; le prove vengono effettuate con immersione simulata, ossia rimanendo in superficie, riempiendo la vasca ed il tubo (quest’ultimo, mediante l’incremento della pressione nel locale di prua) per poi aprire il portello e fare uscire alcuni uomini. Primo a tentare la fuoriuscita è il direttore di macchina Petrillo, che indossa anche il cappuccio Belloni; la prova si svolge senza intoppi, e Petrillo decide di ripeterla senza cappuccio, ritenendolo d’impaccio in quanto un uomo abituato a nuotare sott’acqua sarebbe potuto uscire molto più rapidamente senza di esso (soltanto durante la prova, però; in una situazione reale, con il sommergibile affondato ad una certa profondità e la superficie più distante, l’utilizzo del cappuccio con la sua scorta d’aria sarebbe invece indispensabile). Belloni è molto soddisfatto dagli esiti della prova, dalla quale scaturirà una duratura amicizia tra lui e Petrillo, primo uomo a sperimentare il suo sistema di salvataggio.
22 agosto 1930
Lo Speri lascia La Spezia per La Maddalena, ove dovrà unirsi alla Squadra Navale per le grandi manovre nel mare della Sardegna.
23 agosto 1930
Dopo una navigazione tranquilla e con mare calmo, lo Speri giunge a La Maddalena, dove l’equipaggio viene alloggiato nella locale casermetta sommergibili (“…molto modesta e invasa dalle zanzare. Usavo il Flit per difendermi, ma con scarso risultato perché, dopo le prime ecatombe, quelle bestiacce tornavano alla carica a stormi…”).
25 agosto 1930
Lo Speri esce in mare insieme al gemello Pier Capponi per regolare l’assetto in immersione prima di partecipare alle manovre con la Squadra; durante l’uscita viene riscontrata un’avaria al giunto a frizione di sinistra che collega il motore diesel al motore elettrico di propulsione. Tornato in porto, l’equipaggio dello Speri lavora sul guasto per tutto il giorno e la notte del 26, ma senza riuscire a risolvere il problema.
27 agosto 1930
Lo Speri esce da La Maddalena diretto a Porto Torres con altri sei sommergibili, propulso dal solo motore di dritta; durante la navigazione effettua un’immersione con attacco simulato contro la nave appoggio Antonio Pacinotti. Riemerso, il motore di dritta subisce la stessa avaria che ha colpito quello di sinistra due giorni prima; a stento il personale di macchina riesce a metterlo in moto.
Raggiunta a fatica Porto Torres, lo Speri si ritrova con entrambi i motori fuori uso, con conseguente arrabbiatura sia del caposquadriglia, capitano di fregata Manlio Tarantini, sia dell’ammiraglio Stefano Mellana, che si reca personalmente sullo Speri, s’informa sulla situazione e poi fa accostare il sommergibile alla Pacinotti, che funge anche da sua nave ammiraglia, per fornirgli assistenza ed energia elettrica.
L’equipaggio dello Speri lavora tutta la notte e la mattina seguente per riparare le avarie, ma alle tre del pomeriggio del 28 agosto un sottufficiale, esausto dopo tre giorni e tre notti di lavoro ininterrotto, rompe accidentalmente un pezzo del giunto di sinistra. Dal momento che occorrerà un mese per riceverne uno nuovo dalla ditta costruttrice, viene deciso di eseguire una riparazione provvisoria.
29 agosto 1930
All’alba lo Speri torna a La Maddalena propulso dai motori elettrici; trovato qui un pezzo d’acciaio al nichel, viene lavorato presso la locale officina della Marina e poi montato sulla parte rotta con bulloni d’acciaio. Il pezzo originale non sarà più sostituito: lo Speri tirerà avanti per anni con questa riparazione “provvisoria”.
27 settembre 1930
Lo Speri parte per una crociera nel Mediterraneo Orientale, Grecia e Dodecaneso della durata di oltre tre settimane, insieme a Mameli e Capponi e con l’appoggio della Pacinotti.
12 ottobre 1930
Terminata la crociera, nella notte tra l’11 ed il 12 ottobre lo Speri lascia Salonicco per fare ritorno a Napoli. Poco fuori dal Golfo di Salonicco, al largo di Eubea, iniziano a verificarsi avarie alle pompe di circolazione; entrambe le pompe si guastano più volte, una viene riparata alla meglio e subito dopo l’altra si guasta, e viceversa. Il direttore di macchina Petrillo avverte il comandante Polacchini che è necessario sostare in un porto per effettuare riparazioni più prolungate ed approfondite di quelle realizzabili con i mezzi di bordo durante la navigazione; il comandante respinge tuttavia l’idea, volendo mostrare che il suo sommergibile ce la fa comunque e ritenendo che, procedendo con una pompa alla volta e con continue riparazioni, sia possibile proseguire.
13 ottobre 1930
Nel Golfo di Nauplia, lo Speri sosta accostando alla Pacinotti; Polacchini si reca a bordo della nave appoggio e dice al suo comandante, capitano di fregata Carlo Cattaneo, che il sommergibile alla meglio è in grado di proseguire. Quando il direttore di macchina Petrillo – sfinito da tre giorni di lavoro ed altrettante notti insonni – lo viene a sapere, però, prima dà in escandescenze e poi si reca a sua volta a bordo della Pacinotti, dove descrive al capo servizio Genio Navale della Divisione Sommergibili, tenente colonnello del Genio Navale Luigi Gagnotto, la disastrosa situazione dello Speri. Alla fine viene ordinato agli altri sommergibili di proseguire la crociera, ed allo Speri di mettersi a rimorchio della Pacinotti per essere trainato a Taranto, nonostante le proteste di Polacchini. Insieme al cavo di rimorchio viene steso anche un cavo per rifornire il sommergibile di energia elettrica.
La navigazione di rientro in Italia viene effettuata passando per il Canale di Corinto, ritenuto più sicuro rispetto ad una navigazione in mare aperto con il sommergibile a rimorchio. Scrive Luigi Petrillo: “Si prova una strana sensazione a sfilare per ore e ore tra due altissime pareti a picco, con qualche casa minuscola arrampicata in cima e due ponti tanto alti sopra la propria testa”.
Usciti dal Canale di Corinto, Speri e Pacinotti proseguono fino ad Argostoli, dove viene mollato il rimorchio: il personale di macchina del sommergibile, infatti, è riuscito ad aggiustare sommariamente una pompa, e può così rimettere in moto un motore diesel. Avendo anche ricaricato gli accumulatori delle batterie, il comandante Polacchini chiede alla Pacinotti, per mezzo di bandierine di segnalazione, di raggiungere Napoli, come originariamente previsto, anziché Taranto; ma Cattaneo fa rispondere “Ho l’ordine di accompagnarvi a Taranto”, e qui le due unità si dirigono.
La Pacinotti si separa dallo Speri solo quando questi è ormai abbastanza vicino a Taranto da poterla raggiungere anche con i soli motori elettrici.
19 ottobre 1930
Lo Speri giunge a Taranto, dove il direttore di macchina Petrillo sbarca, venendo avvicendato dal tenente del Genio Navale Ernesto Trenchi. Conclude così Petrillo, nelle sue memorie, la narrazione dell’imbarco sullo Speri: “…e salutai lo Speri, la nave dove più ho penato e che ha tanto amareggiato il mio primo anno di matrimonio. Eppure non provo mai rancore quando il mio pensiero rievoca quel smg: è questa una forma di nostalgia che prende ogni marinaio al ricordo della nave dove ha più sofferto o più goduto”.
1931
Dislocato a Napoli.


Lo Speri a Taranto a metà anni Trenta (da www.grupsom.com e www.sommergibili.com)


Maggio 1933
Compie una crociera addestrativa di una ventina di giorni in Grecia, insieme ai tre gemelli, con scalo a Salonicco, Lero e Rodi. Giunti nelle due isole del Dodecaneso, i sommergibili partecipano ad esercitazioni con aerei e navi di superficie ivi dislocate; la crociera dà risultati molto soddisfacenti.
Crociere come questa e quelle degli anni precedenti rientrano nel potenziamento dell’attività sommergibilistica a lungo raggio voluto dallo Stato Maggiore della Marina e dall’Ispettorato Sommergibili per familiarizzare gli equipaggi con lunghe navigazioni e condizioni ambientali variegate, e per verificare le modalità migliori d’impiego dei sommergibili in acque diverse da quelle metropolitane nelle quali, fino a pochi anni prima, è stata confinata la loro operatività.
1934
La IV Squadriglia Sommergibili, di cui fa parte lo Speri, viene trasferita a Taranto e ribattezzata IX Squadriglia Sommergibili, facente parte della 3a Flottiglia Sommergibili. L’attività espletata si concretizza nel normale addestramento ed in brevi crociere nelle acque italiane ed in quelle del Dodecaneso.
1935
La IX Squadriglia Sommergibili diventa XII Squadriglia Sommergibili.
18 novembre 1935
Assume il comando dello Speri il capitano di corvetta Giovanni Di Gropello.
7 dicembre 1935
In mattinata, durante un’esercitazione nel Golfo di Taranto, lo Speri sperona accidentalmente il sommergibile posamine Marcantonio Bragadin, a causa di un’errata manovra di quest’ultimo. Secondo alcune fonti, il Bragadin si sarebbe quasi rovesciato per la violenza dell’impatto, mentre lo Speri avrebbe subito una falla a prua e si sarebbe adagiato sul bassofondale, con l’equipaggio intrappolato all’interno; l’indomani il sommergibile sarebbe stato imbragato e risollevato dal fondale per mezzo di pontoni, facendo uscire l’equipaggio – debitamente istruito in proposito da dei palombari – da uno dei tubi lanciasiluri poppieri (solo l’estremità della poppa affiorava in superficie), dopo aver rimosso il siluro ivi contenuto. Nel complesso, l’incidente causa soltanto alcuni feriti leggeri, e lo Speri può essere rimorchiato a Taranto e riparato in breve tempo, al pari del Bragadin.


Speri
e Bragadin dopo la collisione (sopra: Coll. Paolo Carbonaio, via www.naviearmatori.net; sotto: da www.sommergibili.com)


Lo Speri in bacino a Taranto per i lavori di riparazione dei danni subiti nella collisione (da “I sommergibili italiani tra le due guerre mondiali” di Alessandro Turrini, MariStat, 1990, via www.betasom.it)

23 gennaio 1937
Al comando del capitano di corvetta Mario Canò, lo Speri, inquadrato nel IV Gruppo Sommergibili di Taranto, salpa da Cagliari per effettuare una missione clandestina di undici giorni al largo di Alicante e Cartagena, a contrasto del traffico spagnolo repubblicano nel quadro della guerra civile spagnola.
Tra fine gennaio ed inizio febbraio 1937 sono ben diciassette i sommergibili italiani – Speri compreso – schierati in agguato nelle acque tra Almeria e Barcellona, con il compito di insidare i porti spagnoli in mano alla fazione repubblicana e tagliare i flussi di rifornimenti ivi diretti. Nella seconda metà di gennaio l’attività subacquea italiana è stata fortemente incrementata per volere di Mussolini, che in una riunione svoltasi il 15 gennaio ha sottolineato la necessità di troncare i rifornimenti verso i porti della Spagna repubblicana.
Durante la missione lo Speri avvista quattro navi ma, causa il mare grosso e l’impossibilità di identificare con certezza i bersagli, non riesce a portare a termine gli attacchi iniziati.
2 febbraio 1937
Conclude la missione rientrando a Napoli.
Ottobre 1937
L’Agence Espagne, agenzia stampa ufficiale del governo repubblicano spagnolo, afferma che lo Speri sarebbe rientrato seriamente danneggiato a Napoli il precedente 10 settembre. Si tratta però di una notizia falsa.
1938
La XII Squadriglia Sommergibili diventa XLI Squadriglia.
Giugno 1938
Al comando del tenente di vascello Cesare Girosi, lo Speri viene impiegato nel Golfo di Taranto per Sperimentare l’apparato lanciafiamme “Girosi”, progettato l’anno precedente dallo stesso comandante Girosi. Tale apparato consente al sommergibile, rimanendo è immerso a quota periscopica, di rilasciare della nafta per creare una vasta chiazza in superficie e poi incendiarla, creando una barriera di fiamme avente lo scopo di ostruire temporaneamente ingressi di porti o passaggi obbligati (alternativamente, un primo sommergibile può rilasciare la nafta, che viene poi incendiata da un secondo sommergibile) e/o di danneggiare le navi nemiche che transitano in tali passaggi. Nelle prove effettuate al largo di Taranto, lo Speri incendia con il suo apparato una zona di mare coperta dalla nafta espulsa in precedenza dal Giovanni Da Procida mentre questi si trovava in affioramento (dopo aver esplusa la nafta, il Da Procida si è allontanato con una manovra d’immersione rapida subito prima dell’arrivo dello Speri, che incendia immediatamente la nafta con il suo apparecchio). Successivamente lo Speri verrà impiegato in ulteriori prove dell’apparato lanciafiamme a Tobruk.
I risultati di queste sperimentazioni verranno giudicati soddisfacenti, tanto che nel 1939 l’apparato “Girosi” verrà installato su altri 23 sommergibili (e se ne pianificherà l’installazione su ulteriori 24); tuttavia, questo peculiare lanciafiamme sottomarino non vedrà mai un effettivo impiego bellico.
Sull’apparato “Girosi” una relazione di Maricosom (il Comando Squadra Sommergibili) a Maristat (lo Stato Maggiore della Marina) del 4 febbraio 1939 riferisce: «1) Nel mese di ottobre 1937 il T. V. Girosi Cesare, comandante del Smg. Speri presentava a questo comando il progetto di un apparecchio da sistemare su Smgg., ed atto a provocare con smg. immerso, l’incendio di nafta precedentemente emessa ed estesa su ampia zona di mare, allo scopo di impedire, mediante incendio l’attraversamento di passaggi obbligati o passi di uscita da un porto. 2) In seguito agli ordini di S. E. il S.S.S. [sottosegretario di Stato] veniva costruito e sistemato sullo Speri un primo esemplare dell’apparecchio incendiario che dopo un periodo Sperimentale, nel giugno 1938 veniva provato in impiego effettivo nel Golfo di Taranto con le seguenti modalità: il Smg. Da Procida in affioramento con periscopi ammainati a 150 metri di prua allo Speri, emetteva nafta dando aria ad un doppio fondo e subito dopo effettuava l’immersione rapida allontanandosi dalla zona; lo Speri, immerso, iniziava allora il getto di fiamma. Allorquando lo Speri ha attraversato la zona nella quale il Da Procida aveva effettuata la chiazza di nafta, questa, investita dal getto, si è incendiata ed il fuoco ha continuato a propagarsi. 3) La prova eseguita dava risultati pienamente soddisfacenti, dimostrando come l’apparecchio rispondeva ai requisiti richiesti per il funzionamento (…) Dato il risultato delle prove eseguite, S. E. il S.S.S. ordinava la costruzione di altri esemplari mentre che il Smg. Speri, nel frattempo inviato a Tobruk, continuava le eSperienze per ricavare dati utili per l’impiego. 7) Condivido il parere espresso dal T. V. Girosi sulla opportunità di eseguire studi ed esperienze in sede conveniente, per ricercare una miscela a base nafta, atta a diminuire la velocità di combustione della nafta galleggiante per ottenere una maggior persistenza delle fiamme nella zona incendiata. 8) Ad oggi sono stati costruiti e sistemati esemplari dell’apparecchio incendiario sui seguenti Smgg.: Micca – Speri – Capponi – Rubino – Topazio – Malachite – Ambra. 9) È in corso la sistemazione sui seguenti Sommergibili: Diamante – Smeraldo – Uarsciek – Topazio – Uebi Scebeli. 10) Prima della partenza per Lero sono stati consegnati gli apparecchi incendiari ai seguenti Smgg.: Iride – Macallè – Jalea – Jantina – Gondar – Scirè – Ascianghi – Neghelli. 11) È in corso la sistemazione di altri 4 apparecchi già pronti sui Smgg.: Foca – Zoea – Atropo. 12) Sono quindi 23 Smgg. che hanno già a bordo o in corso di sistemazione l’apparecchio incendiario. 13) Maricost in Sede è stata inoltre interessata per la costruzione di altri 24 esemplari dell’apparecchio; a programma ultimato, 47 Smgg. saranno provvisti dell’apparecchio incendiario. Mentre si provvede all’espletamento del programma stabilito, saranno concretati i concetti d’impiego del nuovo sistema di offesa, attraverso esperimenti che di massima saranno svolti dai Smgg. dislocati a Tobruk che sono provvisti dell’apparecchio incendiario».

Lo Speri sperimenta il lanciafiamme “Girosi” al largo di Taranto, giugno 1938 (da “Uomini sul fondo” di Giorgio Giorgerini)


1939
La XLI Squadriglia diviene XXXI Squadriglia Sommergibili e viene trasferita a Messina, alle dipendenze del III Gruppo Sommergibili.
Aprile 1939
Lo Speri partecipa alle operazioni per l’occupazione dell’Albania.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, lo Speri (tenente di vascello Carlo Girosi) forma insieme ai gemelli Mameli, Capponi e Da Procida la XXXIV Squadriglia Sommergibili, inquadrata nel III Grupsom e di base a Messina.
La sua prima missione di guerra è un agguato 120 miglia a nord di Alessandria d’Egitto; seguono altre nel Canale d’Otranto.
Giugno 1940
Poco dopo l’entrata in guerra, il capitano di corvetta Mario Vannutelli assume il comando dello Speri al posto del tenente di vascello Girosi.
Tra il giugno 1940 ed il marzo 1941 lo Speri svolgerà in tutto nove agguati offensivi al largo di Alessandria d’Egitto, nel Canale d’Otranto, al largo di Creta e di Corfù e nel Golfo di Taranto, senza mai avvistare unità nemiche.
Luglio-Agosto 1940
A cavallo tra luglio ed agosto, pattuglia le acque tra Creta ed Alessandria.
19 settembre 1940
Il capitano di corvetta Vannutelli lascia il comando dello Speri.
15-21 ottobre 1940
Inviato in pattugliamento tra Creta ed Alessandria d’Egitto; forma uno sbarramento a sud di Creta insieme ai sommergibili Ascianghi, AnfitriteTopazioFratelli BandieraSantorre Santarosa.
Novembre 1940
Assume il comando dello Speri il capitano di corvetta Alberto Galeazzi.
11-22 gennaio 1941
Inviato in pattugliamento all’imbocco del Canale d’Otranto, a protezione dei convogli da e per l’Albania contro eventuali scorrerie di forze di superficie britanniche, non incontra navi nemiche.
Successivamente forma uno sbarramento tra il Basso Adriatico e l’alto Ionio, insieme ai sommergibili Ambra, Turchese, Filippo Corridoni, Ciro Menotti, Domenico Millelire, Jalea e Dessiè.
11-23 febbraio 1941
Altro pattugliamento al largo della costa greco-albanese, nei pressi del Canale d’Otranto, a protezione del traffico con l’Albania; non avvista unità avversarie.
Maggio 1941-Gennaio 1942
Ormai troppo usurato (specialmente nell’apparato motore ed in alcune altre strumentazioni) per l’impiego “di prima linea”, viene assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola (XII Gruppo Sommergibili) con compiti addestrativi, al comando dapprima del capitano di corvetta Enzo Grossi (dal maggio all’agosto 1941), quindi del parigrado Paolo Vagliasindi (dall’agosto 1941) e da ultimo del parigrado Rino Erler. Effettua 65 o 80 uscite addestrative e quattro pattugliamenti antisommergibili in Alto Adriatico.
Secondo una fonte, alla Scuola Sommergibili di Pola allo Sperierano assegnati gli ufficiali freschi di accademia, per acquisire l’esperienza e le doti di comando in altri sommergibili”.


Sopra, il capitano di corvetta Enzo Grossi (da Wikipedia); sotto, il capitano di corvetta Rino Erler (da Pinterest)


Febbraio 1942-Estate 1943
Logorato negli impianti dall’età ormai avanzata e dal servizio, ma giudicato ancora valido nelle strutture dello scafo, lo Speri viene posto in «riserva potenziale» (cessando cioè di essere operativo, ma senza essere posto in disarmo) ed inviato a Taranto per essere sottoposto ad un radicale rimodernamento finalizzato a prolungarne la vita operativa: l’interno viene sostanzialmente “svuotato” e vengono sostituiti i motori diesel, rimpiazzati da altri di maggiore potenza (Tosi da 4000 HP, che portano ad un aumento della velocità in superficie: 17 nodi), ed installate nuove apparecchiature di ultima generazione in luogo di quelle risalenti agli anni Venti; le sistemazioni interne vengono aggiornate secondo gli insegnamenti dell’esperienza bellica.
Settembre 1943
Lo Speri completa i lavori di rimodernamento presso l’Arsenale di Taranto e viene inquadrato nel IV Gruppo Sommergibili, di base in quella città.
2 settembre 1943
Ultimati i lavori, lo Speri (capitano di corvetta Rino Erler) compie un’uscita di prova da Taranto.
7 settembre 1943
Seconda uscita di prova da Taranto.
8 settembre 1943
L’armistizio tra l’Italia e gli Alleati coglie lo Speri (capitano di corvetta Rino Erler) a Taranto.
Dicembre 1943
Assume il comando dello Speri il tenente di vascello Claudio Celli.

Il tenente di vascello Claudio Celli (Naval History and Heritage Command)

3 gennaio 1944
Completati i lavori di rimodernamento, lo Speri (tenente di vascello Claudio Celli) lascia Taranto diretto in Atlantico, per essere impiegato nell’addestramento delle unità antisommergibili statunitensi presso la stazione di addestramento antisommergibili di Bermuda; dovrà fungere da “bersaglio” nelle esercitazioni di tali unità (solitamente appartenenti al Destroyer-Destroyer Escort Shakedown Group, formato dalle unità appena entrate in servizio, che con esso svolgono l’addestramento iniziale). Fa parte del primo gruppo di sommergibili italiani inviati in Atlantico a questo scopo, insieme al Mameli, al Dandolo, al Vortice ed al Marea, cui se ne aggiungeranno altri (Da Procida, Atropo ed Onice) nella seconda metà del 1944.
9 gennaio 1944
In mattinata, al largo di Algeri, il sommergibile tedesco U 616 (tenente di vascello Siegfried Koitschka) avvista Speri, Mameli, Dandolo, Vortice e Marea in navigazione di trasferimento con la scorta del cacciatorpediniere Grecale, e lancia contro Speri e Mameli sommergibili una salva di quattro siluri, due dei quali del tipo Zaunkönig a guida acustica. Uno di essi esplode prematuramente, permettendo alle unità italiane di rendersi conto di essere sotto attacco; il comandante del Grecale, ritenendo erroneamente che sia in corso un attacco aereo, ordina ai due sommergibili di rifugiarsi ad Algeri, dove giungono poco dopo. L’U 616 ritiene erroneamente di aver affondato entrambi i bersagli, identificati altrettanto erroneamente come sommergibili britannici.
Qualche mese più tardi, dopo l’affondamento dell’U 616 ad opera di unità statunitensi, l’interrogatorio dei prigionieri darà il seguente quadro della prospettiva tedesca di questo attacco: “Il 9 gennaio 1944, mentre era al largo di Algeri, l’U 616 stava procedendo a quota periscopica quando vennero avvistati quattro sommergibili, presumibilmente britannici, che procedevano in linea di fila scortati da un cacciatorpediniere. Quattro siluri vennero lanciati alle 14.40 e tre o quattro detonazioni vennero udite. Due dei sommergibili effettuarono immersione rapida, ma si ritenne che gli altri due fossero stati colpiti ed affondati. (Nota dell’O.N.I. [Office of Naval Intelligence]: questa rivendicazione non è stata suffragata da prove)”.
11 gennaio 1944
Speri e Mameli lasciano Algeri alla volta di Gibilterra.
13 gennaio 1944
I due sommergibili giungono a Gibilterra, ove sostano fino a fine mese.
29 gennaio 1944
Speri e Mameli lasciano Gibilterra diretti alle Bermuda, con la scorta del cacciatorpediniere statunitense Neunzer.
13 febbraio 1944
Speri e Mameli raggiungono le Bermuda, dove insieme a Dandolo, Vortice e Marea costituiscono la Flottiglia Sommergibili dell’Atlantico Occidentale, al comando del capitano di fregata Emilio Berengan. Gli statunitensi, da parte loro, denominano tale formazione Italian Submarine Squadron One, Royal Italian Navy, inquadrato nella 72nd Submarine Division (capitano di vascello Michael Peter Russillo) del Submarine Squadron 7 della Marina statunitense (capitano di vascello Waldemar Nicholas Christensen), il tutto alle dipendenze della Naval Operating Base Bermuda (contrammiraglio Ingram C. Sowell).
Dopo il loro arrivo, i sommergibili italiani ricevono tutti il sonar; lo Speri, tuttavia, ha subito delle avarie durante la navigazione, anche ai motori, ragion per cui dopo il suo arrivo rimane inattivo, in attesa di lavori. Dopo lunghe trattative, viene ottenuto di poterlo mandare nell’arsenale statunitense di Portsmouth (New Hampshire), specializzato nei lavori sui sommergibili.
(Per altra fonte, dal febbraio 1944 lo Speri sarebbe stato dislocato alle Bermuda per sei mesi, partecipando ad esercitazioni aeronavali a beneficio delle unità antisommergibili angloamericane).
3 luglio 1944
Lascia Port Royal (Bermuda) diretto a Portsmouth.
7 luglio 1944
Arriva a Portsmouth, dove rimane ai lavori per due mesi.
19 (o 21) settembre 1944
Conclusi i lavori e compiute alcune prove, lo Speri lascia Portsmouth per fare ritorno alle Bermuda.

Lo Speri durante la guerra (da www.sommergibili.com)

24 settembre 1944
Giunge a Port Royal (Bermuda), dove rimane fino al gennaio 1945, svolgendo un totale di 67 uscite per esercitazione da Port Royal, St. George e Great Sound.
Le esercitazioni vengono solitamente svolte nelle acque di Porto Royal, St. George, King’s Point, Great Sound, Ordnance Island e Malabar, a nordovest delle Bermuda; vengono effettuate per cinque giorni alla settimana, dalle 6 alle 18, con la partecipazione di un sommergibile ed una o più unità di superficie. Metà dell’equipaggio è imbarcato per le esercitazioni, l’altra metà è in franchigia, a giorni alterni; di solito i sommergibili sono ormeggiati a King’s Bay ed impiegano circa un’ora e mezza per giungere in mare aperto, procedendo alla velocità di quattro nodi come da disposizioni ricevute. Una volta al largo, impiegano un altro paio d’ore per raggiungere i settori operativi più lontani; raggiunto il settore assegnato, il sommergibile s’immerge ed aspetta per due ore di essere localizzato e contattato dalle unità in addestramento. Se le due ore trascorrono senza che il contatto avvenga, il sommergibile viene in superficie per farsi vedere, poi torna ad immergersi; in generale si trattiene in zona per circa quattro ore.
Nelle missioni addestrative di maggior lunghezza e complessità, i sommergibili trascorrono 7-10 giorni in mare ed operano insieme ad una Task Force composta da una portaerei di scorta, una nave ausiliaria ed otto unità di scorta alla portaerei (il suo gruppo di cacciatorpediniere), metà delle quali incaricate della protezione ravvicinata e l’altra metà di formare uno schermo protettivo a largo raggio. La zona operativa per tali esercitazioni misura ottanta miglia di lato; il sommergibile la raggiunge due ore prima dell’ingresso in zona della Task Force, ed attende in superficie di essere localizzato (solitamente dagli aerei, che eseguono attacchi simulati: la portaerei mantiene due velivoli costantemente in volo) per poi effettuare un’immersione rapida e tentare di disimpegnarsi, avendo però cura di non uscire dalla zona operativa. Gli aerei utilizzano anche le boe sonar nella loro ricerca; l’esercitazione termina quando il sommergibile viene individuato e messo sotto caccia, dopo di che emerge e si trasferisce in un altro punto della zona operativa per proseguire le esercitazioni, che continuano anche nottetempo. Il periodo di addestramento dura solitamente un mese.
Il sito del COMSUBPAC statunitense (il Comando della forza sommergibilista del Pacifico, di cui oggi fa parte il ricostituito Submarine Squadron 7), nel descrivere la storia del Submarine Squadron 7, afferma che “i sommergibili italiani e francesi [anche dei sommergibili della Francia Libera furono destinati a questo impiego] erano eccellenti per gli scopi addestrativi, grazie alla loro robusta costruzione dello scafo, e furono dei buoni sostituti per i sommergibili della Marina statunitense da poco entrati in servizio, trasferiti nel Pacifico per essere impiegati in combattimento”.
27 febbraio 1945
Speri e Da Procida lasciano Port Royal diretti a Guantanamo Bay (Cuba) per proseguire l’attività di addestramento antisommergibili delle unità Alleate in acque più vicine agli ormeggi rispetto a quelle delle Bermuda. Li scorta la fregata statunitense Lorain, appena entrata in servizio.
3 marzo 1945
Speri e Lorain arrivano a Guantanamo Bay.
Marzo-Maggio 1945
Lo Speri effettua 27 uscite per esercitazioni da Guantanamo.
14 maggio 1945
Lo Speri lascia Guantanamo diretto a Key West, in Florida, per un periodo di lavori di riparazione.
16 maggio 1945
Giunge a Key West.
24 giugno 1945
Terminati i lavori, lascia Key West per fare ritorno a Guantanamo Bay.
26 giugno 1945
Arriva a Guantanamo Bay.

Giugno-Agosto 1945
Effettua 23 uscite per esercitazioni con partenza da Guantanamo.
Agosto 1945
Fine della seconda guerra mondiale, ed anche dell’attività addestrativa espletata dallo Speri per le unità antisom Alleate.
Tra il febbraio 1944 e l’agosto 1945, con base dapprima alle Bermuda, successivamente a Portsmouth, indi a Casco Bay (Golfo del Maine) e da ultimo a Guantanamo, lo Speri ha svolto complessivamente 117 (o 120) uscite per esercitazioni nell’arco di diciotto mesi, ricevendo per l’intensa attività svolta l’elogio dell’ammiraglio Ernest J. King, comandante della flotta statunitense.
Dal 1° gennaio 1944 al 30 agosto 1945 lo Speri ha percorso complessivamente 15.641 miglia in superficie (1681,04 ore di moto) e 1358 in immersione (535,02 ore di moto).
29 settembre 1945
Lo Speri lascia Guantanamo diretto a Bermuda.
30 settembre 1945
Arriva a Bermuda.
5 ottobre 1945
Lo Speri salpa da Bermuda a mezzogiorno insieme ai sommergibili AtropoDandoloMareaDa ProcidaVortice ed Onice, scortati dal rimorchiatore di salvataggio statunitense Chain (ARS-20).
16 ottobre 1945
I sommergibili giungono a Punta Delgada (Azzorre) in mattinata.
18 ottobre 1945
Sommergibili e Chain lasciano Punta Delgada a mezzogiorno, diretti a Gibilterra.
26 ottobre 1945
I sommergibili giungono a Gibilterra in mattinata.
28 ottobre 1945
Sommergibili e Chain lasciano Gibilterra intorno alle 3.
3 novembre 1945
Lo Speri, gli altri sommergibili ed il Chain arrivano a Taranto: finalmente, la guerra è finita anche per loro.
1° febbraio 1948
Radiato dai quadri del naviglio militare, come disposto dal trattato di pace di Parigi.
Originariamente tale trattato impone che i sommergibili italiani non assegnati ai vincitori vengano affondati in alti fondali, ma dopo lunghe trattative il governo De Gasperi ottiene invece di poterli demolire, in modo da impiegarne il metallo nella ricostruzione dell’Italia (viene precisato che i sommergibili dovranno essere demoliti “in pezzi di peso non superiore a 10 tonnellate”). È questa la sorte anche dello Speri.
 
Taranto, febbraio 1947: Speri, Mameli e Da Procida, in primo piano, languono in disarmo in attesa del loro destino. Dietro di essi sono visibili anche i sommergibili Atropo, CM 1, Alagi, Diaspro, Platino, Vortice, Nichelio, Cagni, e, sulla destra, nella darsena antistante la Caserma Farinati, Onice, Turchese, H 2 e Brin. Sullo sfondo, a destra, si riconosce la portaidrovolanti Giuseppe Miraglia (g.c. STORIA militare)

Un episodio del tempo di pace (forse la collisione con il Bragadin) narrato dal figlio del sottocapo Raffaello Zanardo, imbarcato sullo Speri (da www.betasom.it):
 
Il Tito Speri era un addestratore. In quel sommergibile ci andavano gli ufficiali freschi di accademia per acquisire l'esperienza e le doti di comando in altri sommergibili. Raffaello Zanardo era un semplice caporale [sottocapo], ma con delle doti e una spiccata predisposizione a dare anima a tutto ciò che era meccanico. Il suo compito nel sommergibile era il funzionamento e la manutenzione dei motori elettrici. La guerra d'Africa non era ancora iniziata e il Tito Speri andava in mare per gli addestramenti con le camere dei siluri vuote. Un giorno, nel mare piccolo vicino alla Libia, ci fu un incidente con un'altra imbarcazione, non ho ben capito la dinamica, ma il sommergibile, collaudato fino a 100 metri di profondità, si trovò a sprofondare inesorabilmente fino a raggiungere la profondità di ben 190 m. Tutte le normali manovre per l'emersione non avevano prodotto nessun cambiamento; il sommergibile non voleva saperne di tornare in superficie, anzi, lentamente, molto lentamente continuava a scendere. Sembrava non esserci più alcuna speranza, ed è proprio in questi momenti che vengono in mente altre situazioni analoghe, che riaffiorano nella memoria come a schernire, le funeree storie di sommergibili con settanta e più persone a bordo schiacciati dalla pressione come una nocciolina. C'erano marinai con lo sguardo rassegnato, c'era un ufficiale che piangeva; era Natale ragazzi! e sua moglie aveva appena dato alla luce il suo secondo figlio; quella sera sarebbe dovuto tornare dalla sua famiglia. Forse fu questo il motivo, o forse tutte le cose insieme, che fecero scattare la molla in quel caporale. E fu così che con la spavalderia dei suoi ventiquattro anni dichiarò che in quindici minuti avrebbe risolto il problema. Era conosciuto a bordo per le sue doti meccaniche e quindi, al solo sentire questa dichiarazione così decisa, il morale si sollevò un poco. Fortunatamente, come dicevo, il sommergibile non era armato e le camere dei siluri se svuotate, potevano alleggerire il peso di qualche tonnellata. Sufficiente? L'unica era provare. C'era un motore (che non ho ben capito a cosa servisse perdonatemi ma purtroppo non ho le stesse doti), che non veniva mai messo in moto e infatti si era dovuto faticare non poco nel rimetterlo in funzione, ma con l'ausilio di questo motore si riuscì a svuotare dall'acqua le camere dei siluri. Il manometro cominciò lentamente, tacca dopo tacca a muoversi in senso inverso. Stavano risalendo! Piano piano ma risalivano. Raggiunsero poco dopo la superficie ma solo la poppa era fuori dall'acqua, il sommergibile era inclinato di circa 25° ma furono salvi. Arrivarono i soccorsi e con loro salì a bordo del sommergibile un Ammiraglio. Buona parte dell'equipaggio venne trasferito a terra, solo il caporale e altri tre marinai rimasero a bordo. Iniziarono subito i lavori di manutenzione per riparare il danno e dopo due giorni di lavoro il sommergibile era nuovamente in linea. Si diresse quindi verso la base di Taranto. Arrivati in porto, l'Ammiraglio comunicò che avrebbe chiamato un rimorchiatore fino all'attracco, ma il caporale disse che non era necessario e che se avesse acconsentito sarebbero entrati in porto con i loro mezzi. Questa parte dell'episodio me lo raccontò con tutto l'orgoglio che aveva, perchè il comandante in seconda disse: Ammiraglio, se lo dice quel ragazzo, ci creda perchè vuol dire che è vero.
Ebbene, a Taranto le persone sono piuttosto guardinghe e schive, ma ai marinai volevano molto bene. La notizia dell'incidente aveva fatto il giro della città e fu così che sopra il ponte di Taranto si trovava una moltitudine di persone che sventolavano delle bandierine, mentre la banda della marina suonava l'inno dei sommergibilisti.
Potete immaginare, non è riuscito a dirmi altro perchè l'acqua delle camere dei siluri gli è rimasta dentro per settant' anni e prima o poi doveva pur uscire. Questa è una storia del caporale Raffaello Zanardo”.
 

L’inclinometro orizzontale del Tito Speri (g.c. Marcello Polacchini)



 
Il Tito Speri su Sommergibili.com
Il Tito Speri su Uboat.net
Il Tito Speri sul sito della Marina Militare
I sommergibili classe Mameli su Betasom
Regio Sommergibile Speri, su Grupsom
Lo Speri su Trentoincina
Il Tito Speri su U-Historia
La partecipazione della Marina alla Guerra di Liberazione
I sommergibili italiani dal settembre 1943 al dicembre 1945
Discussione sulla collisione tra Speri e Bragadin su Betasom
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Filmato dell’Istituto Luce ritraente la consegna della bandiera di combattimento allo Speri