mercoledì 20 gennaio 2021

Lussin

La Lussin (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

Trasporto militare (nave trasporto materiali) di 3988, 4050 o 4427 tonnellate di dislocamento, lungo 87,5-91,4 metri, largo 12,5 e pescante 5,18, con velocità di 10,5 nodi. Era armato con un cannone da 120/45 mm ed uno da 76/40 mm ed aveva una nave gemella, la Cherso (ex Amalfi). L’equipaggio era di 125 uomini.
Negli anni Venti e Trenta fu a lungo attiva nelle acque dell’Africa Orientale.
Venne anche modificata per il trasporto di due MAS da 17 metri, con lavori effettuati presso l’Arsenale di Taranto.
 
Breve e parziale cronologia.
 
Novembre 1912
Completato nei cantieri Neptun Werft AG di Rostock (Germania) come piroscafo mercantile tedesco Marsala, di 1753 tsl, per l’armatore Robert Miles Sloman Jr (Sloman Line AG) di Amburgo (numero di costruzione 325).
(Secondo altre fonti, invece, il Marsala sarebbe stato costruito come trasporto militare per l’Imperialregia marina austroungarica: ma sembra trattarsi di un errore).

Il Marsala a Genova nel periodo immediatamente precedente la Grande Guerra (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net)

Agosto 1914
Posto in disarmo a Napoli in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale.
17 giugno 1915
Requisito dal governo italiano in seguito all’ingresso dell’Italia nel conflitto; successivamente confiscato. Registrato a Genova, viene dato in gestione alle Ferrovie dello Stato.
1923
Trasferito definitivamente all’Italia in conto riparazione danni di guerra e ribattezzato Lussin.
4 marzo 1923
Entra in servizio nella Regia Marina come nave trasporto materiali, ma il giorno stesso viene radiato dal quadro del Regio naviglio, nel quale è stato appena iscritto, e ceduto all’Esercizio Navigazione delle Ferrovie dello Stato.
27 marzo 1923
Reiscritto nel quadro del Regio naviglio da guerra.
1926
Riclassificato nave coloniale.
Dicembre 1926-Febbraio 1927
A fine dicembre 1926 la Lussin (capitano di fregata Pietro Starita), dopo uno scalo ad Aden, giunge a Mogadiscio e vi imbarca il governatore della Somalia, Cesare De Vecchi, per portarlo in Migiurtinia; viene poi impiegata come nave appoggio durante la campagna per la sottomissione di tale regione, diretta da De Vecchi, che elegge la Lussin a sua nave comando. Insieme ad essa appoggiano dal mare le operazioni in Migiurtinia le cannoniere Berenice e Generale Arimondi.
All’alba dell’8 gennaio 1927 la Lussin, con a bordo De Vecchi, giunge ad Hafun, dove il governatore visita le opere militari ed i villaggi della zona, recandosi poi a visitare anche le opere militari e civili (tra cui le saline) di Hordio. Ad Hafun, inoltre, De Vecchi, in coordinazione con il maggiore Camillo Bechis ed il colonnello Luigi Bergesio, dispone la partenza per il 12 gennaio di una colonna di armati (500 soldati coloniali regolari del I Battaglione Benadir con otto mitragliatrici e sessanta irregolari delle bande Averghedir, il tutto al comando del maggiore Ernesto Garzena) che dovrà risalire la valle del Dharoor con obiettivo Scusciuban, fungendo da rincalzo ad un’altra colonna già in marcia da diversi giorni.
Il 10 gennaio la Lussin lascia Hafun per Alula, dove giunge all’alba del giorno seguente; da bordo della nave De Vecchi spedisce al Ministero delle Colonie un telegramma sull’andamento delle operazioni in Migiurtinia («…Morale di tutti ufficiali e truppe finora ispezionate elevatissimo per quanto si rilevino molti difetti nei rifornimenti e qualche conseguenza della forzata inazione che appare sempre più dolorosamente deplorevole. Presto conto far muovere altra colonna da Carlin diretta testata Valle Darror. Tutte colonne sono calcolate di forze presumibilmente sufficienti per superare ostacoli ed urti che possano trovare per via, indipendentemente dalla loro azione sincrona e per resistere dopo giunte a destinazione. Durante mia permanenza in Migiurtinia confido di portare a buon punto operazione»). Un altro telegramma di De Vecchi viene trasmesso dalla Lussin alle otto di sera del 19 gennaio («Ho stabilmente occupato Valle Darror. Prima manovra tenaglia con direttrici Eil media Valle Darror e Hafun stessa media valle pienamente riuscita con collegamento colonne Rolle e Garzena. Sono vittoriosamente in corso movimenti manovra seconda tenaglia con direttrici media Valle Darror testata stessa valle e Carin medesima testata valle. Ribelli in fuga disordinata in varie direzioni sembra non abbiano più intenzione combattere, ad ogni modo vengono inseguiti. Morale delle forze di terra regolari, irregolari e di mare e dell'aria elevatissimo. Finora nessuna perdita. Comunicherò fra qualche giorno altre notizie militari e politiche»), seguito da un terzo alle 22.30 del 23 gennaio, da Candalà, dove De Vecchi è giunto con la Lussin, facendosi consegnare le armi dalla popolazione locale («Seconda manovra a tenaglia perfettamente riuscita. Colonna proveniente da Carin ha raggiunto testata Darror rafforzandosi Iredame aIla confluenza torrente Lhut con Arror Dahat e quivi si è congiunta con altra colonna proveniente dalla media valle. Possesso Darror è così completo e definitivo con tutte conseguenze militari e politiche segnate nel mio tel. Giorno 20 corrente Erzi Bogor, che di fronte alla nostra prima avanzata si era dato con padre a precipitosa fuga nel versante sud monti Carcar, ha voluto tentare ancora una volta la sorte delle armi benchè sconsigliato dallo stesso Osman Mahmud. Scusciuban è stata in quel giorno attaccata da cinquecento armati scelti, ma mentre queste forze scelte avanzavano pel combattimento, valoroso capitano Rolle senza attendere urto lanciava i suoi dubat al contrattacco travolgendo avversario dopo un'ora di furioso combattimento. Nostre forze regolari sono lanciate all'inseguimento che viene proseguito coll'intera colonna Rolle. Contati sul terreno quarantuno ribelli morti. Da parte nostra due soli feriti. Situazione politica risente dell'azione militare compiuta e presentasi molto buona. Bechis ad Hafun sta ritirando armi e si serve già dei sottomessi per soluzione problemi logistici che sono insolubili soltanto per chi non sa risolverli. Berti ad Alula ritira continuamente fucili. A Carin oggi hanno iniziato versamento armi a mie mani Alì Soliman che le portano certamente tutte. Ho preso disposizioni necessarie perchè azione proceda a fondo senza interrompersi fino a completo assoggettamento tutte queste popolazioni, che non è lontano. Rimango sul posto mantenendo diretto comando operazioni politico–militari fino a quando non possa considerare chiusa questa dura campagna coloniale e completamente risolto il nodo Migiurtini». Il 28 gennaio, sempre a Candalà, la Lussin trasmette al Ministero delle Colonie un nuovo aggiornamento di De Vecchi: «Dopo fuga Osman Mahmud da Carcar verso sud - ovest, lanciata parte colonna eritrea con due compagnie e bande da Iredame verso sud per tagliare ritirata. Giorno 24 trovato contatto colla colonna bestiame dei fuggiaschi; nostre bande, magnificamente sostenute dal quinto Eritreo, dopo breve combattimento che travolgeva in nuova fuga difensori, conquistavano trentamila ovini e centocinquanta cammelli e settanta asini insieme con qualche centinaio donne, bambini e pochi armati prigionieri. Ribelli quattro morti, nostri nessuna perdita. Osman Mahmud sembra fosse: sfilato da poche ore e sia perciò riuscito sfuggire. Inseguimento non fu potuto continuare perchè non si sarebbe più trovata acqua se non ad ovest 49° meridiano e tenente colonnello Ruggero aveva da me assolutamente ordine evitare anche minimo sconfinamento. Ho avvisato subito Governatore Berbera, che di questi giorni è collegato strettamente con me e dimostra più che mai ogni favorevole premura. Nuclei ostinatamente ribelli, ormai ridotti a poche centinaia, pare vadano riunendosi nello Ahi migiurtino, sulla carta Carcoforo piana di Antara. Colle tre colonne mobili di cui dispongo non darò loro tregua. Continua versamento armi ad Hafun molto rapidamente, a Tohen e Bereda e Alula abbastanza bene da parte di tutte cabile, a Candala e Boriala lentamente. Zona Bender Cassim consolidata».
Il 16 febbraio la Lussin giunge a Bender Beila e vi sbarca una compagnia di marinai, occupando così la località; il giorno seguente De Vecchi spedisce da bordo un altro telegramma: «Governatore Berbera mi ha comunicato suo intendimento preciso respingere Osman Mahmud e suoi armati qualora questi non decida arrendersi nè a lui, nè a me. Osman Mahmud giorno 12 corr. ha scritto lettere al residente Bender Cassin ed al comandante settore bande Iredame incaricandoli manifestare suo intendimento arrendersi a me consegnando le armi. Tali lettere preannunziano intanto immediata venuta Ahmed Tager a Bender Cassim. Ho fatto rispondere che sono bene attesi. Infatti nostre pattuglie stamane avvistavano già qualche movimento. Giorno 3 corrente si arrendeva a me, in Hafun, Jusuf Mahmud, fratello di Osman Mahmud, che fu già uno dei principali capi della rivolta. Egli ha consegnato le armi. Giorno 6 corrente è giunta Ascirà colonna tenente Pecorini colle sue bande di 500 dubat provenienti dal Nogal. Giorno 11 corrente colonna è ripartita diretta verso nord per rastrellare le armi nella zona ad est piana di Antara fra questa e Oceano. Giorno 14 trovata ad Aduò qualche opposizione e resistenza da parte alcuni gruppi, compiva larga razzia ed otteneva immediata ubbidienza. Puntava poi sui monti Gumaio dove sta qualche nucleo ancora armato restìo al disarmo. Entro 20 corrente conto che rastrellamento armi sia finito nella zona di cui trattasi. Giorno 2 corrente colonna del VI battaglione Benadir da Botiala puntava su El Gal e poscia su Gurur per ritornare ad El Gal dove ora trovasi. Scopo movimento impedire ai gruppi esistenti nella zona battuta dalla colonna Pecorini di scivolare e raggiungere nucleo ancora esistente sui margini sud occidentale Ahi migiurtino. Questo gruppo intendo affrontarlo e disarmarlo per ultimo facendolo attaccare da ovest, da sud e da est, dopo di averlo rotto con azione confinaria impedendo così di compiere qualsiasi altro atto di resistenza. Oggi 16 ho saldamente occupato Bender Beila con azione dal mare sbarcando una compagnia dal Lussin e piantando per sempre al suolo il Tricolore. Altra colonna da terra partita da Ascirà giungerà domani. Colonna Rolle da Iredame puntava rapidamente per mio ordine su Gardò, indi divisa in tre colonne leggere batteva la zona compresa fra Darror e Nogal nella quale regione sta rientrando con ingente bottino preso ai fuggiaschi lungo la frontiera del Somaliland fra Gardò ed Alto Nogal. Perdite ribelli tre morti dalla colonna Pecorini e sette dalla colonna Rolle. Nessuna perdita finora da parte nostra. Fucili già ritirati superano i 6oo e afflusso continua ogni giorno. Ho trovato anche sei casse di complessive duemilaquattrocento cartucce nostra fabbrica Avigliana. Giorno 21 occuperò Barga! Soluzione definitiva e completo disarmo sono molto vicini. Presente telegramma risponde anche al 905 di V. E. Continuo a rimanere sul posto e a tentare direzione e diretto comando delle operazioni fino al completo assoggettamento e disarmo ed all'impianto dell'organizzazione civile in tutto il territorio, impianto che è già in via di esecuzione».
La campagna di De Vecchi contro i ribelli migiurtini si concluderà di lì a poco con la completa sottomissione di tali territori; nel corso delle operazioni di “pacificazione” le truppe italiane ritireranno complessivamente 13.700 fucili. Il vecchio sultano Osman Mahamud, sovrano della Migiurtinia da prima ancora che l’Italia muovesse i primi passi nella regione a fine Ottocento, si consegnerà prigioniero agli italiani e sarà imbarcato sulla Lussin e portato da questa a Mogadiscio, dove rimarrà “ospite” di De Vecchi. Quest’ultimo elogerà l’equipaggio della Lussin per il ruolo svolto nel corso della campagna: «In tre mesi di aspra crociera nell'Oceano Indiano sulle coste della Migiurtinia, comandante, ufficiali, equipaggio della R.N. Lussin con pochezza di mezzi, senza sosta, senza riposo e senza risparmio di ogni fatica, davano splendida prova delle qualità marinaresche della razza e di alto spirito di sacrificio, contribuendo mirabilmente alla conquista e all'assoggettamento della Migiurtinia».

Una serie di immagini della Lussin scattate dal fotografo Carlo Pedrini durante la campagna in Somalia del 1926-1927 (da www.internetculturale.it):

Imbarco di merci in Somalia

La Lussin (con sullo sfondo una delle due piccole cannoniere Berenice e Generale Arimondi) in rada ad Alula nel gennaio 1927

Cammelli e dromedari a bordo della Lussin



…e loro sbarco ad Alula nel gennaio 1927
Cesare De Vecchi sulla Lussin

La lancia con a bordo De Vecchi si dirige verso la spiaggia, sullo sfondo la Lussin

De Vecchi entra ad Alula il 27 gennaio 1927, sullo sfondo la Lussin

La Lussin (sullo sfondo) a Bender Cassim nel febbraio 1927


Fine 1927
Il capitano di fregata Starita viene avvicendato nel comando della Lussin dal parigrado Federico Liebe.

Il capitano di fregata Pietro Starita a bordo della Lussin l’11 ottobre 1927, al largo delle coste della Somalia settentrionale (da www.naviearmatori.net)

22 marzo 1928
La Lussin, all’ancora nella baia di Bargal in Somalia, accoglie con delle salve d’onore l’incrociatore corazzato San Giorgio, giunto nella baia con a bordo il principe Umberto di Savoia, in visita in Somalia.

La Lussin ad Hafun nel 1928, nella foto centrale è visibile l’aereo con a bordo il governatore della Somalia Guido Corni (foto Carlo Pedrini, da www.internetculturale.it):




La nave nella baia sud di Hafun, in data imprecisata tra il 1926 ed il 1928 (foto Carlo Pedrini, da www.internetculturale.it)

La Lussin presso Alula nell’ottobre 1928 (da www.farofrancescocrispicapeguardafui.wordpress.com)

La nave al largo di Ras Felec (foto Carlo Pedrini, da www.internetculturale.it)

La Lussin spara delle salve in Somalia, nel 1928 (foto Carlo Pedrini, da www.internetculturale.it)

Sbarco di dromedari in Somalia nel 1928, sullo sfondo la Lussin (foto Carlo Pedrini, da www.internetculturale.it)

Settembre 1935
Alla vigilia della guerra d’Etiopia, la Lussin fa parte delle forze navali italiane di stanza in Mar Rosso, insieme agli incrociatori leggeri Bari e Taranto, agli esploratori Tigre e Pantera, ai cacciatorpediniere Audace, Impavido e Palestro, alla nave appoggio sommergibili Alessandro Volta, ai sommergibili Luigi Settembrini e Ruggiero Settimo, ai posamine Azio ed Ostia, alle cannoniere Giovanni Berta e Porto Corsini ed al rimorchiatore militare Ausonia. (Secondo un rapporto britannico, la Lussin era armata all’epoca con quattro pezzi da 120 mm).
Ottobre 1935
All’inizio della guerra d’Etiopia, la Lussin è sempre dislocata in Mar Rosso, insieme a Bari, Taranto, Tigre, PanteraImpavidoAudacePalestro, Settembrini, Settimo, Alessandro Volta, Azio, Ostia, Giovanni BertaPorto Corsini ed Ausonia.
Le unità formano la Divisione Navale in Africa Orientale, al comando dell’ammiraglio di divisione Guido Vannutelli.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Lussin fa parte del Gruppo Navi Ausiliarie Dipartimentali del Dipartimento Militare Marittimo Ionio e Basso Adriatico (al comando dell’ammiraglio di squadra Antonio Pasetti ed avente sede a Taranto), insieme alla gemella Cherso, alle navi cisterna per acqua Tirso, Sesia e Garigliano, al posamine Vieste, al posamine ausiliario Barletta ed alle cannoniere Otranto e Gallipoli.
 
La Lussin a Napoli nel marzo 1939 (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it)

L’affondamento
 
Alle 10.30 (o 11) del 22 agosto 1941 la Lussin salpò da Palermo alla volta di Tripoli, rimorchiando la piccola nave cisterna d’uso locale Alcione, in avaria e diretta in Libia, ed in convoglio con la pirocisterna Alberto Fassio; le tre navi erano scortate dalle torpediniere Cigno e Pegaso (caposcorta).
Poche ore dopo la partenza, al largo di Capo San Vito siculo, il convoglio venne avvistato alle 15.45 dal sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), la più famosa unità subacquea della Royal Navy: con 93.000 tonnellate di naviglio affondato, tra cui tre transatlantici (il piroscafo Conte Rosso, affondato il 24 maggio 1941, e le motonavi gemelle Neptunia ed Oceania, affondate il 19 settembre dello stesso anno), questo battello avrebbe stabilito un primato, per tonnellaggio nemico affondato, tra i sommergibili di sua maestà.
Salpato da Malta il 15 agosto per una missione – la dodicesima – nelle acque a nord della Sicilia, il 20 luglio l’Upholder aveva colto un primo successo affondando il piccolo piroscafo Enotria al largo di Capo San Vito; ed era ancora in agguato in quelle acque quando, nel pomeriggio del 22, avvistò dapprima un idrovolante in ricognizione, e poi un convoglio di cinque o sei navi.
Wanklyn identificò erroneamente tutti e tre i mercantili del convoglio come navi cisterna a pieno carico (lo erano due su tre, mentre non lo era, ovviamente, la Lussin), dirette verso sud (e questo era invece esatto), e credette che fossero scortate da tre cacciatorpediniere, oltre che da un idrovolante (quest’ultimo era un CANT Z. 501 della Ricognizione Marittima, l’aereo numero 3 della 144a Squadriglia). Attese che le condizioni fossero favorevoli per attaccare: iniziò ad avvicinarsi soltanto quando l’idrovolante si fu allontanato, spostandosi sul lato opposto del convoglio, ed il “cacciatorpediniere” più vicino si fu spostato a poppavia dei mercantili. Scelse come bersaglio la Lussin, che procedeva in testa al convoglio e sembrava la più grande delle tre “navi cisterna” (Wanklyn la scambiò per la ben più grande nave cisterna militare Tarvisio, di 11.000 tonnellate): dipinta con una livrea mimetica cachi e malva, portava in coperta quattro enormi cilindri metallici lunghi una decina di metri per sei di diametro, assicurati al ponte lance.
Stando a quota periscopica, alle 16.29 l’Upholder lanciò una salva di quattro siluri da 3600 metri di distanza contro la vittima prescelta.
La Lussin avvistò tre dei siluri: due riuscì ad evitarli con la manovra, ma il terzo la colpì sotto il castello alle 16.32, provocando l’esplosione del deposito munizioni. Subito dopo, il quarto ed ultimo siluro completò l’opera, centrando la sfortunata nave nella stiva numero 2: in poco più di un minuto, la Lussin si capovolse ed affondò a tre miglia da Capo San Vito (per altra fonte, due miglia a nordovest del Capo; quattro miglia a nord di San Vito lo Capo o del capo stesso, all’estremità nordoccidentale della Sicilia), portando con sé un terzo del suo equipaggio.
 
Cigno e Pegaso, insieme all’idrovolante CANT Z. 501 della scorta aerea, diedero la caccia all’Upholder, che dopo il lancio era sceso a maggior profondità ed aveva iniziato a ritirarsi ad elevata velocità verso nordovest; alcune delle bombe di profondità esplosero piuttosto vicine allo scafo del sommergibile, arrecando soltanto danni leggeri, ma il continuo martellamento delle loro esplosioni – ben sessantuno in tutto – generò un momento di crisi psicologica tra l’equipaggio, che giunse quasi sull’orlo del panico. Wanklyn contò quarantatré esplosioni di bombe di profondità in soli otto minuti, seguite da altre tredici, più lontane, nella successiva ora e mezza; giudicò la caccia subita come pesante ed accurata, ancorché infruttuosa, e ad un certo punto l’Upholder si trovò intrappolato tra le due torpediniere. Wanklyn ritenne che la salvezza del suo battello fosse dovuta al fatto che le torpediniere avevano iniziato i loro attacchi a velocità eccessiva, superando l’Upholder di circa 180 metri prima di lanciare le bombe. (Secondo altra fonte, le torpediniere lanciarono dapprima otto bombe di profondità tra le 16.35 e le 16.43, delle quali le più vicine esplosero circa 180 metri a poppavia dell’Upholder grazie ad un’opportuna manovra di Wanklyn; dopo una pausa in cui effettuarono entrambe ascolto ecogoniometrico, tornarono all’attacco e lanciarono altre 61 bombe di profondità, che esplosero molto vicine e scossero violentemente il sommergibile, causando però soltanto danni di minore entità). Il CANT Z. 501 partecipò alla caccia con il lancio di due bombe di profondità sul punto di origine delle scie dei siluri.
Terminata la caccia, le due torpediniere recuperarono 83 (tre ufficiali, dieci sottufficiali, 70 tra sottocapi e marinai) o 84 superstiti della Lussin; 40 uomini, su un totale di 124 che formavano l’equipaggio, erano affondati con la nave, mentre otto dei superstiti erano rimasti feriti. (Secondo altra fonte, fu la sola Pegaso a condurre il contrattacco, mentre la Cigno provvedeva al salvataggio dei superstiti della Lussin).
 
Completate le operazioni di salvataggio, il convoglietto si divise: la Cigno, presa a rimorchio l’Alcione, diresse per Trapani, mentre Pegaso ed Alberto Fassio fecero ritorno a Palermo, dove giunsero alle 22 del giorno seguente (per altra versione, tutte le navi sarebbero rientrate a Palermo).
 
Morirono con la Lussin:
 
Modesto Accomazzo, capo radiotelegrafista di seconda classe, da Genova (disperso)
Raffaele Amoretti, marinaio fuochista, da Imperia (disperso)
Rosario Averna, capo segnalatore di seconda classe, da Giarre (disperso)
Mario Bencini, marinaio cannoniere, da Livorno (deceduto)
Aldo Bertolini, marinaio fuochista, da Parma (disperso)
Icilio Bettiga, marinaio fuochista, da Colico (disperso)
Vincenzo Bonora, secondo capo furiere, da Bologna (disperso)
Mario Borghesio, marinaio fuochista, da Napoli (disperso)
Pietro Cageggi, marinaio fuochista, da Palermo (disperso)
Tobia De Candia, marinaio, da Molfetta (disperso)
Luigi De Marchi, marinaio fuochista, da Novi Ligure (disperso)
Agostino Della Gatta, capitano C.R.E.M., da La Spezia (disperso)
Silvio Faccio, sottocapo segnalatore, da Vicenza (disperso)
Gerbino Favret, sergente meccanico, da Aviano (disperso)
Alessandro Filosa, marinaio fuochista, da Formia (disperso)
Ciro Fiorentino, marinaio cannoniere, da Napoli (disperso)
Giovanni Fossati, tenente di vascello, da La Spezia (disperso)
Natale Galici, marinaio cannoniere, da Cagliari (deceduto)
Romualdo Ghiani, sottocapo nocchiere, da Guasila (disperso)
Antonio Graziani, guardiamarina, da Nervesa della Battaglia (disperso)
Giovanni La Pira, marinaio, da Pozzallo (disperso)
Nicola Loperfido, capo meccanico di prima classe, da Brindisi (deceduto)
Ignazio Marrone, marinaio, da Trapani (disperso)
Rosolino Musso, marinaio, da Carini (disperso)
Salvatore Nicastro, sergente carpentiere, da Gela (disperso)
Luigi Orengo, marinaio fuochista, da Genova (disperso)
Carlo Palau, sottocapo radiotelegrafista, da Genova (disperso)
Rosario Parisi, marinaio fuochista, da Messina (disperso)
Raimondo Pinzello, marinaio cannoniere, da Porto Empedocle (disperso)
Roberto Rosellini, secondo capo meccanico, da Chianciano Terme (disperso)
Nicola Sardano, marinaio fuochista, da Monopoli (disperso)
Carlo Sequi, sottotenente medico, da Macomer (disperso)
Sebastiano Smargiassi, marinaio, da Termoli (disperso)
Giovanni Sotgiu Meloni, capo cannoniere di prima classe, da Aggius (disperso)
Salvatore Tramparulo, marinaio cannoniere, da Vico Equense (disperso)
Marino Vianello, marinaio fuochista, da Chioggia (disperso)
Amedeo Zucchini, marinaio, da Roma (disperso)
 
Risultano mancanti cinque nomi.
 
L’affondamento della Lussin nel giornale di bordo dell’Upholder (da Uboat.net):
 
1545 hours - Sighted a convoy of three ships. They were all laden tankers. The leading ship appeared to be the fleet oiler Tarvisio of 10915 GRT. She was dazzle painted and four enormous drums were secured to her boat deck. These drums were about 20 feet in diameter and about 30 feet long. Started attack.
1629 hours - Fired a salvo of four torpedoes at the leading ship from 4000 yards.
1632 hours - Two hits were obtained. Upholder retired at speed to the North-West.
1635 hours - A counter attack followed. 48 Depth charges were dropped in the next 8 minutes. Some were quite close causing minor damage. 13 More depth charges were dropped during the next 90 minutes but none were quite close”.
 

 
La Lussin su Wrecksite
Navi trasporto e navi cisterna della Regia Marina
La Lussin sul sito dell’Associazione Navimodellisti Bolognesi
L’affondamento della Lussin nel libro “The History of the British 'U' Class Submarine”
L’affondamento della Lussin nel libro “The Desert VCs: Extraordinary Valour in the North African Campaign in WWII”
L’affondamento della Lussin nel libro “The Fighting Tenth”
Salvatore Tramparulo e la regia nave Lussin
Discussione sulla Lussin su Warsailors
British and Allied Submarine Operations in World War II – Chapter XI – The First Battle of the Convoys in the Mediterranean: June - December 1941
L’HMS Upholder su Uboat.net

domenica 10 gennaio 2021

Ruggiero Settimo

(g.c. STORIA militare)

Sommergibile di media crociera della classe Settembrini (dislocamento di 953 tonnellate in superficie e 1153 in immersione).
Tra il 10 giugno 1940 e l’8 settembre 1943 svolse in tutto 38 missioni di guerra (17 offensive/esplorative, 7 di trasporto, 14 di trasferimento), percorrendo 18.629 miglia nautiche in superficie e 2562 in immersione e trascorrendo 145 giorni in mare, nonché 93 uscita addestrative per la Scuola Sommergibili di Pola. Nelle sette missioni di trasporto, tutte verso la Libia, trasportò complessivamente 146,4 tonnellate di rifornimenti, di cui 136,4 di munizioni e 9,6 di viveri.
Durante la cobelligeranza compì 73 uscite per esercitazioni.
Il suo motto era “Qualunque sacrificio non mi sgomenta”.
 
Breve e parziale cronologia.
 
16 aprile 1928
Impostazione nei cantieri Franco Tosi di Taranto (numero di costruzione 33).
29 marzo 1931
Varo nei cantieri Franco Tosi di Taranto.

Settimo (a destra, parzialmente visibile) e Settembrini (in primo piano, pronto al varo) in costruzione, il 28 settembre 1930 (Naval History and Heritage Command)

Il Settimo pronto al varo, il 29 marzo 1931 (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it)...

…e subito dopo il varo (da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, via www.betasom.it)

Agosto 1931
Durante le prove in mare, il Settimo stabilisce un record di velocità per i sommergibili italiani, e s’immerge fin oltre i 110 metri di profondità.

Il Settimo a Taranto nel 1931-1932, probabilmente in un’uscita in mare prima della consegna (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

25 aprile (o giugno) 1932
Entrata in servizio.
La costruzione e poi l’allestimento e le prove in mare avvengono sotto la supervisione del capitano del Genio Navale Luigi Petrillo, designato (dall’ottobre 1930) quale primo direttore di macchina del nuovo sommergibile.
Così Petrillo ricorderà, nel suo libro di memorie “Tener famiglia”, questo periodo: “Con i tecnici della Tosi io ero in continuo duello per contestare ogni irregolarità e sventare magagne, e in questo mi era di grande aiuto il tenente di complemento che avevo in sottordine, Carmagnini, un toscano fedelissimo alla consegna e che, oltre tutto, aveva anche un fisico atletico. Un giorno a bordo ebbi una vivace discussione con l’ing. S., il tecnico della Tosi che si occupava dei due motori di propulsione costruiti a Legnano, e poiché quegli stava facendo fare ai suoi operai una cosa da imbroglio, io lo minaccia di buttarlo in mare se avesse continuato e Carmagnini gli si avvicinò pronto a farlo davvero. Poiché la ditta usava tutti i trucchi perché le prove risultassero comunque favorevoli, un altro giorno, al ritorno da una importante prova in mare dei motori, che richiedeva accertamenti da eseguire il giorno dopo, io feci mettere i suggelli ai portelli di accesso al smg e lasciai una sentinella armata per tutta la notte in coperta. La stretta e ferrea vigilanza che tenevo sui lavori di approntamento non era certo gradita ai dirigenti della Tosi, tanto che una volta, durante una prova in mare, il direttore del cantiere, ing. Mazzinghi, mi chiese se non volevo essere appoggiato a Roma per un’altra destinazione. Ma la severità di Malagoli [direttore di macchina del Settembrini] e mia fu davvero benefica, perché credo che pochi smg come il Settembrini ed il Settimo furono consegnati alla Marina in così perfetta efficienza e i risultati furono confermati dall’ottimo servizio che essi svolsero per molti anni. Ne ebbi una prova nel 1942, ben dieci anni dopo, quando mi capitò di incontrare il Settimo a Messina in piena guerra. Con quanta emozione lo rivisitai tutto e mi sentii dire che non dava mai il più piccolo fastidio, che tutto funzionava sempre bene. Addirittura mi sentii commosso quando in ogni locale del battello vidi ancora appesi i quadretti delle istruzioni di servizio con la mia firma e che erano ancora rispettate”.
Il primo stato maggiore del Settimo è così descritto da Luigi Petrillo nelle sue memorie: “Il comandante era il cap. di fregata Sansone, un napoletano piccolino e dall’aria guappa ma molto agghindato che, arrivato a bordo con qualche idea tutta sua, dové presto rassegnarsi a lasciarmi fare perché, non ricordo più per quale disposizione da lui data e che io non condividevo, trascrissi nel “giornale” ufficiale di bordo le mie riserve sulle conseguenze di quella disposizione (…) Il “tenente” era il ten. di vascello Ugo Botti, un buono e bravo ufficiale, per quanto trasognato. Durante la seconda guerra mondiale morì al comando del smg. Provana e gli fu decretata la medaglia d’oro alla memoria. I due s.ten. di vascello erano Thorel e Ciliberto, entrambi bravissimi ragazzi: il primo un poco snob e l’altro, piccoletto e siciliano, intelligente e tutto pepe. Come mio sottordine imbarcò il ten. G.N. Alberto Ricci, proveniente dall’Accademia ed elemento molto volenteroso. Anch’egli, purtroppo, lasciò la vita in guerra, in Atlantico, su un smg ove era imbarcato per sostituire temporaneamente un suo collega”.
Aprile-Luglio 1932
Il Settimo è impegnato in continue uscite in mare per addestramento ed esercitazioni.
5 agosto 1932
Il Settimo ed il capoclasse Settembrini, in preparazione alla preparazione per le grandi manovre, escono in Mar Grande a Taranto per effettuare le prove di assetto. Al ritorno in porto, s’imbarca sul Settimo il deputato Di Cinque, che assisterà alle manovre.
6 agosto 1932
Alle quattro del mattino il Settimo (capitano di fregata Gaetano Sansone, 46 anni, da Napoli) esce in mare per partecipare alle grandi manovre. Secondo i ricordi di Luigi Petrillo, “L’on. Di Cinque, bolognese, era un garibaldino di Grecia e cioè aveva combattuto da volontario nella guerra greco-turca del 1912-1913. La sua presenza a bordo era di notevole impaccio perché era di notevole mole e lo si trovava tra i piedi nei momenti meno opportuni. In ogni circostanza non c’era mai per lui un posto adatto e inoltre bisognava avere per lui ogni riguardo. Fu necessario lasciargli a disposizione una cuccetta in quadrato rendendo così ancora più difficile il riposo degli ufficiali subalterni che si alternavano nei turni di servizio e infine bisognava istruirlo e informarlo di tutto, anche perché egli ne avrebbe scritto su non so quale giornale di Bologna. Ovviamente per la sua erudizione fu affidato alle mie cure e non fu cosa facile, sia perché io avevo i miei continui impegni a bordo e sia perché con la sua mentalità terragnola egli credeva che si potessero fare quattro chiacchiere seduti a un tavolo e tra una sigaretta e l’altra. E restava interdetto ogni volta che ad un ordine di bordo, e gli ordini erano continui ed improvvisi, egli si vedeva piantato in asso e trascurato”.
Il Settimo passa a sud della Sicilia per raggiungere la zona designata per lo svolgimento delle grandi manovre, situata ad ovest dell’isola; il primo giorno di navigazione incontra mare avverso, mentre nei giorni seguenti il tempo è bello e la navigazione procede senza intoppi.
Durante la navigazione verso l’area dell’esercitazione, il Settimo procede insieme al Settembrini (capitano di corvetta Enrico Mirti della Valle) ed al più piccolo Serpente (tenente di vascello Carlo Cordero di Montezemolo); caposquadriglia è il comandante Sansone del Settimo.
Il secondo giorno di navigazione, poco dopo aver superato l’estremità meridionale della Sicilia, Sansone ordina un’esercitazione collettiva d’immersione: i tre battelli si distanziano tra loro, s’immergono, compiono una serie di evoluzioni in immersione e poi riemergono dopo circa due ore. Dopo l’emersione, tuttavia, il Serpente comunica al Settimo: “Credo di aver perduto un uomo”. Il caposquadriglia si avvicina immediatamente all’unità dipendente, e richiama sul posto anche il Settembrini; i tre comandanti discutono attraverso i megafoni dai rispettivi sommergibili, e Montezemolo spiega che un membro del suo equipaggio manca all’appello: probabilmente è rimasto chiuso fuori al momento dell’immersione. Inoltre, nelle due ore di manovre subacquee il Serpente si è spostato di parecchio dalla posizione in cui si trovava quando si è immerso.
Il caposquadriglia Sansone organizza le ricerche del disperso: ogni sommergibile dovrà setacciare una determinata area. I tre battelli iniziano dunque a pendolare avanti e indietro nei rispettivi settori di ricerca, ora avvicinandosi ora allontanandosi gli uni dagli altri, mentre dal ponte e dalla torretta tutti scrutano attentamente il mare che, per fortuna, è calmissimo.
Poco prima del tramonto, il Settembrini avvista il naufrago e lo segnala agli altri sommergibili con un fischio della sirena, per poi dirigerglisi incontro ed issarlo a bordo. Settimo e Serpente convergono sul luogo. Dopo essersi ripreso, il marinaio racconterà di essersi attardato in coperta al momento dell’immersione e di essere rimasto chiuso fuori; arrampicatosi sul periscopio d’osservazione, l’ha coperto con la mano per cercare di segnalare la propria presenza, ma all’interno si è ritenuto erroneamente che il periscopio fosse guasto, e lo si è fatto rientrare. Poi, quando il Serpente si è immerso del tutto, il marinaio ha dovuto mollare la presa ed è rimasto alla deriva, attendendo invano che il battello riemergesse per poi, una volta perse le speranze di essere soccorso, mettersi a nuotare verso la costa sicula, visibile in lontananza, fino al momento del suo salvataggio.
Subito dopo il salvataggio, il comandante Sansone chiede al megafono come stia il “disperso” e se sia necessario portarlo a terra, ma è il marinaio stesso a far rispondere di preferire di restare a bordo; Sansone fa allora chiamare in coperta gli equipaggi dei tre sommergibili e fa lanciare tre volte il grido di “Viva il re”. Di Cinque racconterà anche questo episodio nel suo articolo.
Durante la notte il comandante Sansone si fa aggiornare a più riprese sulle condizioni del naufrago; saputo che gli è venuta la febbre, valuta se far proseguire il Serpente o dirottarlo nel porto più vicino, ma successivamente lo stato del redivivo migliora, tanto che potrà partecipare a tutte le esercitazioni.
7-10 agosto 1932
Giunti in zona d’operazioni, Settimo, Settembrini e Serpente svolgono per alcuni giorni intense esercitazioni di allarme, agguato, immersione rapida, senza però avvistare le unità del gruppo “nemico”. Una notte, al largo di Trapani, il Settimo viene informato che la formazione “nemica” si trova nelle vicinanze, e dirige a tutta forza in superficie, a luci spente, per intercettarla; ma finisce con l’infiltrarsi inavvertitamente in un gruppo di pescherecci che navigano a luci spente, evitando di stretta misura di speronarne uno. Luigi Petrillo commenterà: “Purtroppo è un viziaccio dei pescatori quello di navigare senza luci e quelle notte le imprecazioni di Sansone erano ben giustificate”.
10 agosto 1932
Le grandi manovre hanno termine e l’intera flotta raggiunge Taranto, dove viene passata in rivista da Vittorio Emanuele III.
Durante la navigazione verso Taranto, il Settimo attraversa lo stretto di Messina; navigazione tranquilla, con mare calmo e senza inconvenienti. Segue poi la costa della Calabria, incontrando e superando il sommergibile Filippo Corridoni (“…e poiché il Settimo era il smg più veloce di quelli esistenti, col fanale Donath feci lo scherzo a Sirianni [un ufficiale del Corridoni, amico di Petrillo] di chiedergli se aveva bisogno di rimorchio”, scrive Luigi Petrillo).
11 agosto 1932
Il Settimo arriva a Taranto in mattinata, primo dei trentuno sommergibili che qui convergeranno per la rivista navale, ormeggiandosi alla banchina della Casermetta sommergibilisti. Il giorno stesso tutti i sommergibili si trasferiscono in Mar Grande, dove si ancorano su due file davanti alla flotta di superficie.
14 agosto 1932
Il Settimo, insieme al resto della flotta, viene passato in rivista da Vittorio Emanuele III. Ancora dalle memorie di Luigi Petrillo: “…come tutte le cerimonie militari i preparativi iniziarono alle 5 del mattino. Fu una giornata faticosa per tutti perché dovemmo stare allo scoperto per ore e ore sotto una cappa di sole equatoriale. Dapprima era stato deciso che il re avrebbe passato la rivista imbarcato sul Settimo (…), ma poi l’idea fu scartata per evitare particolari interpretazioni internazionali. Il re quindi si imbarcò sul piccolo yacht Aurora e a fine cerimonia ebbe parole di particolare elogio per i smg. A sera, stanchi morti, rientrammo in Mar Piccolo ai nostri soliti ormeggi”.
19 agosto 1932
Il Settimo, il sommergibile Ettore Fieramosca ed un altro sommergibile salpano in mattinata da Taranto per Barletta, dove il Fieramosca dovrà ricevere la bandiera di combattimento.
Entrati in Adriatico, i tre battelli incontrano mare agitato.
20 agosto 1932
Il Settimo e gli altri due sommergibili giungono a Barletta in mattinata. La sera, i notabili del luogo offrono un ricevimento in onore degli ufficiali dei sommergibili sulla terrazza di uno stabilimento balneare.
21 agosto 1932
In mattinata viene celebrata nella cattedrale di Barletta una messa con rito marinaresco da monsignor Antonio Gallucci, cappellano capo della Marina, dopo di che gli ufficiali in congedo di Barletta offrono un banchetto sulla stessa terrazza della sera precedente; nel pomeriggio si svolge la cerimonia di consegna della bandiera al Fieramosca, ed in sera si tiene un ballo di gala sulla solita terrazza, seguita dall’omaggio di una medaglia d’argento commemorativa agli ufficiali.
22 agosto 1932
In mattinata il Settimo lascia Barletta diretto a Fiume.
23 agosto 1932
Dopo una navigazione tranquilla, con mare calmo e cielo sereno, il Settimo giunge a Fiume alle nove del mattino, andandosi ad ormeggiare al centro del porto.
Luigi Petrillo narra nelle sue memorie un episodio che dà un’idea delle tensioni interetniche in quella terra di confine, destinate a sfociare in tragedia di lì a poco più di un decennio: “…noi ufficiali di vari smg ci portammo in vaporetto ad Abbazia, dove cenammo nel migliore hotel del posto fra un grande foggio di sparati bianchi e toilettes da sera. Sulla terrazza dello stesso albergo ci sdraiammo sulle poltrone di vimini per sorbire il caffè ed assistere al ballo chic di tutti quegli stranieri (quasi tutti ungheresi e pochissimi italiani). (…) Tra una portata e l’altra il cameriere tardava a venire e alle nostre sollecitazioni assicurava sempre ma non si faceva vivo. La nostra impazienza fu notata da un tavolo vicino al nostro ove sedevano alcuni stranieri, credo ungheresi, i quali, visto il cameriere presso di loro, gentilmente gli fecero notare che lo stavamo aspettando. Quello rispose loro in tedesco: “Sono ufficiali italiani, possono aspettare”, o una frase simile che fu udita e capita da pochissimi di noi. Io, ad esempio, non udii nemmeno una parola, ma Scroffa, che era il più vicino al cameriere, udì e capì, si alzò di scatto, sollevò il cameriere per la vita e lo depositò al di là della vicina finestra che dava sulle aiuole della terrazza a livello. Tutto si svolse in silenzio, ma il trambusto fu enorme: accorsero altri camerieri ed il maitre, vi fu un po’ di discussione, ricevemmo le scuse del direttore e riprendemmo il pranzo con altro cameriere che ci seguì a puntino. Ma decisamente Abbazia non era italiana”.
A Fiume il Settimo imbarca i siluri ed esce in mare per provarli.
30 agosto 1932
Al largo di Fiume, il Settimo compie un’immersione di sei ore per sperimentare l’equilibratore Rovetto, un congegno ideato da un ex ufficiale del Genio Navale (da cui il nome) per permettere al sommergibile di rimanere immobile in immersione in perfetto assetto; si basa su una colonna di mercurio la cui altezza varia a seconda della pressione esterna, attivando alcuni contatti elettrici che a loro volta fanno aprire una valvola d’acqua (per appesantire il sommergibile) od una d’aria compressa (per alleggerirlo espellendo acqua) generando delle oscillazioni del sommergibile che vanno via via diminuendo fino a giungere alla completa immobilità. Secondo Luigi Petrillo, “questo apparecchio fu esteso a tutti i smg perché la bontà del suo funzionamento teorico era indiscutibile, ma in pratica era molto difficile renderlo efficace perché richiedeva condizioni d’impiego altrettanto teoriche e cioè mare assolutamente calmo e senza correnti, densità e temperature stabili dell’acqua di mare, immobilità assoluta dei carichi di bordo, nessuna entrata o uscita d’acqua per i servizi di bordo. Tutte queste condizioni venivano rispettate quando si svolgevano le prove ufficiali dell’apparecchio, ma nei casi pratici era arduo farlo funzionare, e infatti in guerra non fu mai usato”.
31 agosto 1932
In serata gli ufficiali del Settimo vengono invitati a pranzo dal podestà di Fiume, Riccardo Gigante.
1° settembre 1932
Il Settimo lascia Fiume per trasferirsi a Taranto.
2 settembre 1932
Dopo una navigazione con mare calmo ma cieli temporaleschi, il Settimo giunge a Fiume alle 19.
3 dicembre 1932
Il Settimo compie una prova di profondità immergendosi a 113 metri.

1933
Settimo e Settembrini vanno a formare l’VIII Squadriglia Sommergibili, insieme ai più piccoli Salpa e Serpente.
Febbraio 1933
Il Settimo ed il Settembrini salpano da Taranto per una crociera in Mar Rosso. Si tratta della prima crociera compiuta da sommergibili italiani in quel mare tropicale; servirà a sperimentare le condizioni di vita, navigazione ed operatività a quelle latitudini, ed al contempo riveste anche un significato politico sugli interessi dell’Italia nel Corno d’Africa, tanto più che i due sommergibili faranno scalo ad Aden, una delle principali basi navali britanniche nella regione.
Luigi Petrillo descrive così i preparativi nelle sue memorie: “Per le due unità furono adottati due principali provvedimenti e cioè norme diverse per il governo degli accumulatori (diluizione dell’elettrolito e abolizione del terzo periodo di carica) e uso di olio lubrificante per i motori diesel molto denso. Ricordo che fu un lavoro improbo, dopo aver sbarcato l’olio che avevamo a bordo, pompare nei serbatoi e nei carter un olio tanto denso che sembrava pastoso. Per la vita degli uomini furono approntate le attrezzature per disporre le doppie tende in coperta e fu eseguita a tutti un’accurata visita medica. Poi fummo tutti vaccinati e dotati di una panciera di lana (che io però finii col non indossare). Un medico fu assegnato al Settembrini (il cap. Macri avuto compagno all’Accademia) e un infermiere sul Settimo. Imbarcammo i caschi coloniali per tutti (che ingombro a bordo!) e gli ufficiali e sottufficiali dovettero provvedersi di camiciole a maniche corte con i passanti per le spalline e i calzoncini corti. I marinai avevano già questi ultimi in dotazione, nonché il corpetto a maniche corte. Per il vitto vi erano le solite razioni di guerra, ma le gallette furono sostituite con biscotti antesignani dei moderni “cracker”, di produzione Unica. Fu la cosa più indovinata perché si mantennero sempre friabili e non si infestarono di parassiti. Infine venne sperimentato l’impiego dei succhi di agrumi: imbarcammo una damigiana di succo di limone e un’altra di succo d’arancio: quante preoccupazioni per l’integrità di quelle due damigiane durante la crociera! Imbarcammo anche il munizionamento completo e i siluri con teste di guerra”.
8 febbraio 1933
Settimo e Settembrini vengono visitati dall’ammiraglio Giuseppe Cantù, comandante in capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Ionio.
9 febbraio 1933
Settimo e Settembrini vengono visitati dall’ammiraglio Gino Ducci, capo di Stato Maggiore della Marina, appositamente giunto da Roma insieme al suo aiutante di bandiera, tenente di vascello Michelagnoli.
10 febbraio 1933
Settimo e Settembrini vengono visitati dall’ammiraglio Gustavo Ponza di San Martino, comandante della Divisione Sommergibili.
11 febbraio 1933
Alle 13 Settimo (capitano di fregata Aldo Levi, 43 anni, capo sezione) e Settembrini (capitano di corvetta Stanislao Esposito) mollano gli ormeggi per dare inizio alla crociera, salutati al molo da tutti gli equipaggi della Flottiglia sommergibili. Quando attraversano il canale navigabile per uscire in Mar Grande, un picchetto armato rende gli onori ed una banda della Marina suona, come di consueto per le unità che partono per crociere all’estero. Diversi ammiragli assistono alla partenza dalla palazzina dell’Ammiragliato, mentre una folla di parenti ed amici dei membri degli equipaggi saluta sventolando i fazzoletti.
Una volta in mare aperto, i due sommergibili incontrano mare mosso e tempo avverso; raggiungono la costa della Grecia e la seguono, effettuando un’immersione di prova della durata di due ore al largo di Creta. Al termine dell’immersione, lo stato del mare è peggiorato, ed il cielo è nerissimo.
Durante la prima notte di navigazione i due sommergibili incontrano un transatlantico, forse il Conte Rosso; scriverà Luigi Petrillo: “Era un contrasto stridente: si vedevano i ponti sfarzosamente illuminati e un salone splendente, si indovinavano signori in smoking e donne in abito da sera che ballavano fra luci e musica, mentre noi eravamo un pugno di uomini su un guscio nero, tra gli spruzzi delle onde, attabarrati e sporchi”.
14 febbraio 1933
In mattinata viene avvistata la costa della Libia; delfini accompagnano per un tratto i due sommergibili, i cui equipaggi, poco abituati al mare mosso, soffrono un po’ il mal di mare, ma poi si riprendono.
Accolti da un aereo militare decollato per dar loro il benvenuto, Settimo e Settembrini entrano nella rada di Tobruk, cittadina così descritta da Luigi Petrillo: “da un lato poche case, un accampamento, un minareto, una chiesetta cattolica, un piccolo faro, le antenne della radio, e dall’altro la terra brulla, una scarpata che faceva pensare al deserto retrostante. La guarnigione era composta di quattro ufficiali di marina (con alla testa il ten. di vascello Coppola che io avevo conosciuto a Spezia), quattro o cinque di aviazione, un capitano dei carabinieri, ascari eritrei e libici e 72 marinai. Quattro signore, mogli di ufficiali, cercavano di non far morire in quel “sorgitore” isolato i caratteri di mondanità del vivere civile. La base navale era costituita da un complesso di chalets di pretto tipico coloniale ed in uno di quelli, in una sala tipo circolo, fummo invitati la sera stessa del nostro arrivo. Lontani dal mondo, poveretti, erano attrezzati nel miglior modo: un apparecchio radio, una mensa, un campo da tennis (…) il clima non era molto diverso da quello di Taranto, solo un po’ accentuato il caldo al sole di mezzogiorno, ma alla sera era fresco da soprabito”.
16 febbraio 1933
Alle tre e mezza di notte Settimo e Settembrini salpano da Tobruk incontrando tempo ancor peggiore rispetto a quello della navigazione da Taranto a Tobruk.
17-18 febbraio 1933
Nella notte tra il 17 ed il 18, la violenza del mare asporta dal Settimo la plancia da sbarco fissata in coperta, distrugge il battellino ed anche una porta della cucina di superficie (contenuta nella falsatorre).
Per quasi tre giorni, dalle due del pomeriggio del 17 all’alba del 20, i sommergibili navigano immersi in una fitta nebbia mista a sabbia proveniente dal deserto, che s’infila ovunque. Nelle parole di Luigi Petrillo: “È incredibile come la sabbia fina si introduca nelle cose che sembrano ben chiuse. La trovavamo nelle scatole dei fiammiferi, tra gli indumenti che avevamo addosso e persino all’interno degli strumenti di bordo. Particolare cura si doveva avere per i periscopi e i binocoli di navigazione”.
19 febbraio 1933
Alla foce del Nilo, il mare diventa limaccioso e rende necessario scandagliare di continuo, per evitare di arenarsi; nella nebbia, i due sommergibili superano senza vederla l’imboccatura del Canale di Suez e proseguono ignari verso la costa anatolica. Sul Settimo il direttore di macchina Petrillo, avendolo intuito e temendo un prossimo incaglio, fa allagare la cassa di emersione in modo da far immergere maggiormente il sommergibile: in tal modo, se il battello dovesse arenarsi, basterà espellere l’acqua dalla cassa per liberarsi dalla presa del fondale.
Verso il tramonto, quando lo scandaglio acustico non funziona più perché il fondale è troppo basso, il Settimo avvista terra con palme di prua, la conferma che ha oltrepassato da parecchio Port Said: inverte quindi la rotta e si mette in cerca dell’imboccatura del Canale di Suez, ma non riesce a trovarla prima che cali il buio. Di conseguenza, getta l’ancora e passa la notte a caricare le batterie, notte così descritta da Luigi Petrillo: “Faceva freddo ed era molto umido. Fenomeni di elettricità statica facevano spesso lampeggiare le estremità metalliche dello scafo ed io, chiuso in cappotto di sentinella, attesi l’alba, che finalmente ci portò un po’ di sereno”.
20 febbraio 1933
Sorto il sole, Settimo e Settembrini avvistano delle navi mercantili dirette verso Port Said: seguendole, i due sommergibili entrano finalmente nel Canale di Suez, ed alle dieci del mattino si ormeggiano a Port Said, lato asiatico del canale. “Fummo subito assaliti da una turba di mercanti che ci attorniarono con le loro barche cariche di mercanzie di ogni specie e la giornata trascorse con tutte le necessità dell’arrivo: visita di quarantena, dichiarazioni del carico, controllo della stazza, sulla quale è basata la tariffa del passaggio. A Taranto avevamo fatto redigere i certificati internazionali di stazza, che in generale le navi da guerra non posseggono. I funzionari della Compagnia del Canale furono gentili ma molto scrupolosi nelle loro verifiche e, dal fatto che annotarono accuratamente le immersioni dello scafo, capii che di smg non ne sapevano molto (nei smg l’immersione è costante, qualunque sia il carico utile a bordo). A sera con tutti gli ufficiali andai a prendere alloggio in un albergo dove pranzammo: com’è delizioso fare il bagno in una vasca e dormire in un vero letto quando si vive in un smg! (…) Porto Said era una città mezza europea e mezza orientale che viveva esclusivamente del traffico del Canale, non era che un ammasso di negozi di ogni sorta e di venditori e imbroglioni ambulanti. Ricordo persino i ragazzini neri prestigiatori che per le vie fermavano l’attenzione dei forestieri facendo apparire e sparire tra le mani un pulcino vivo”. Così le memorie di Luigi Petrillo.
22 febbraio 1933
Settimo e Settembrini lasciano Port Said alle sei del mattino ed iniziano la traversata del Canale di Suez verso sud. A bordo è stato imbarcato un pilota locale, poco pratico di sommergibili: pensa che in caso di necessità possano fare subito marcia indietro come tutte le navi, ma non è così; i motori elettrici permetterebbero di farlo, ma non hanno autonomia sufficiente per l’intera lunghezza del canale, così che i due battelli procedono con un motore diesel, che per fare marcia indietro dev’essere prima fermato e disinnestato. Per tutto l’attraversamento, pertanto, l’equipaggio è costretto a rimanere pronto alla manovra; a più riprese i sommergibili si fermano per cedere il passo a navi che procedono in senso opposto (tra di esse l’incrociatore leggero britannico Curacoa, con cui viene scambiato il saluto) o per farsi superare da navi più veloci (tra cui un transatlantico della P&O). Vengono anche incrociati numerosi velieri arabi ed egiziani.
Alle 17 Settimo e Settembrini escono dal canale e sbarcano il pilota; il clima, in precedenza mediterraneo, è adesso divenuto tropicale.
23-27 febbraio 1933
Navigazione nel Mar Rosso, verso Massaua. Il 24 gli ufficiali passano alla giacca bianca e due giorni dopo si inizia ad usare il casco coloniale: la terribile calura del sole non è mitigata nemmeno dal vento generato dalla navigazione. Grazie al mare calmo (eccetto il 26 ed il 27), la vita di bordo si svolge in coperta. Durante la traversata non succede niente di notevole; vengono effettuate due immersioni, prove di tiro con i cannoni e con il moschetto contro squali od oggetti lanciati in mare a bordo. Le temperature sono insostenibili: 40 gradi di giorno, pochi di meno la sera; “lo scafo si arroventava di giorno e di notte non faceva in tempo a smaltire il calore”.
27 febbraio 1933
Nel primo pomeriggio Settimo e Settembrini arrivano a Massaua, dove sono accolti dal posamine Azio, qui dislocato come stazionario. Scrive Luigi Petrillo: “la cittadina [Massaua] mi piacque moltissimo: non aveva nulla di importante ma era costruita in modo molto civettuolo: tutti villini in legno e in muratura, molti in stile arabo e tutto contornato di verde, di palme e di oleandri”. Gli equipaggi vengono alloggiati a terra, agli ufficiali viene assegnato un villino a tre stanze e due terrazze nel quartiere di Taulud. Fa così caldo che i letti non hanno il materasso, che non risulterebbe sopportabile: sulla rete vengono messi invece una stuoia ed un lenzuolo.
Il giorno seguente, gli ufficiali si recano all’Asmara, dove il governatore dell’Eritrea, Riccardo Astuto dei Lucchesi, ha organizzato un ricevimento in loro onore, con tanto di festa danzante. Nei giorni successivi gli ufficiali partecipano a battute di caccia nell’entroterra eritreo, o compiono qualche visita alle sperdute guarnigioni dell’interno.
Il clima di Massaua è sempre torrido: dalle memorie di Luigi Petrillo, “…poiché a bordo c’era sempre qualcosa da sbrigare, facevamo un orario strano per evitare le ore di canicola: dalle 6 alle 10 del mattino e dalle 18 alle 20. Era però una pena, e non si poteva evitare, entrare nelle intercapedini metalliche del smg esposto al sole per eseguire manovre o lavori indispensabili”.
3 marzo 1933
Settimo e Settembrini lasciano Massaua diretti ad Aden, incontrando durante la navigazione tempo estremamente avverso: la data del loro ingresso nell’Oceano Indiano è stata programmata in modo da ricadere nel periodo di calma tra i due monsoni annuali, ma il monsone di nordest si protrae più a lungo del solito, così che i battelli incontrano vento teso e mare sempre più tempestoso di prua fin dalla partenza da Massaua. “Non vi fu mai riparo dall’acqua, nemmeno nell’interno del smg, dove l’acqua entrava a fiotti dall’unico portello della torretta, necessario alla vita di tutti”. Si verificano anche alcune avarie, ma non gravi.
5 marzo 1933
Settimo e Settembrini giungono ad Aden, dove rimangono per quattro giorni, venendo cordialmente accolti dal console italiano, da quello francese (che si mostra particolarmente amichevole, ed invita gli ufficiali dei sommergibili a numerosi eventi, tra cui una partita di tennis: le autorità francesi, infatti, vogliono comprendere quali siano i fini politici della crociera) e dalle autorità militari britanniche.
Durante gli ufficiali visitano Aden, incontrano i lavoratori italiani delle saline, “tutti trapanesi, attivi, benestanti e felici di ricevere altri italiani”, ed assistono al passaggio della motonave Victoria, fiore all’occhiello della Marina Mercantile italiana, diretta in India.
9 marzo 1933
Settimo e Settembrini lasciano Aden per iniziare la navigazione di ritorno verso l’Italia. Durante il tragitto da Aden ad Assab (“un’isola di verde e palmeti in una distesa brulla”) incontrano di nuovo tempo avverso; danno fondo al largo della base eritrea in acque mosse, ed a parte alcuni uomini mandati ad acquistare viveri freschi, nessuno scende a terra, mentre sale sul Settimo il maresciallo a capo della locale di stazione della Marina. Nelle parole di Luigi Petrillo: “Che pena vedere quell’uomo che trascorreva la sua esistenza in quel posto isolato venire a bordo su una motobarca traballante, tutto emozionato per il nostro arrivo, e vederlo ripartire triste nel lasciare con noi un po’ di patria”. Ad Assab si trovano due navi francesi, che poi si recheranno a Massaua precedendovi i sommergibili italiani: anche la loro presenza, con ogni probabilità, è legata all’interessamento francese verso la crociera di Settimo e Settembrini.
10 marzo 1933
Settimo e Settembrini lasciano Assab e fanno ritorno a Massaua.
La seconda permanenza in questo porto è caratterizzata da una serie di pranzi, ricevimenti e visite ufficiali; il comandante Levi del Settimo accompagna l’ammiraglio francese in visita ufficiale al governatore all’Asmara, dopo di che Astuto dei Lucchesi si reca a sua volta in visita a Massaua e chiede di poter fare un’immersione con il Settimo, venendo accontentato. Episodio così narrato da Luigi Petrillo: “…facemmo una giornataccia di lavoro sia per l’accoglienza solenne e sia per rassettare il smg. Inoltre col governatore a bordo non potevamo essere in abbigliamento succinto come usavano in quelle acque e quindi avemmo anche la tortura di badare al candore delle nostre camiciole, dei calzoncini corti e delle scarpe bianche. (…) La breve navigazione fuori del porto e l’immersione ebbero anche aspetti teatrali. Il nostro smg, col governatore e qualche suo funzionario, era scortato dal Settembrini, con a bordo alcuni notabili eritrei, e altri notabili erano su imbarcazioni locali. Ci raccontarono poi che i notabili furono presi da spavento quando videro il Settimo sparire lentamente sott’acqua e qualcuno di essi gridò per il pericolo che correva il governatore! Quando tornammo a galla e questi ricomparve alla luce del sole, ci fu un coro di osanna”.

17 marzo 1933
Settimo e Settembrini lasciano Massaua per fare ritorno in Italia. Nelle prime ore di navigazione il mare è calmissimo, tanto da permettere di pranzare in plancia; a sera, invece, torna ad essere burrascoso, rimanendolo fino al 22 marzo. La violenza del mare causa vari danni al Settimo, asportando persino una lamiera dello scafo esterno; tutti i macchinari, tuttavia, continuano a funzionare regolarmente.
22 marzo 1933
I due sommergibili imboccano il Canale di Suez, ma a causa del ritardo causato dalla tempesta non riescono a completare l’attraversamento di giorno e sostano quindi per la notte ad Ismailia, città situata a metà canale e così descritta da Luigi Petrillo: “una piccola cittadina… tutta giardini, palme e parchi, una vera delizia”.
23 marzo 1933
Lasciata Ismailia alle cinque del mattino, Settimo e Settembrini arrivano a Porto Said alle dieci e qui ricevono la posta dall’Italia. Si ripete la visita dei funzionari del Canale, durante la quale “avvenne l’episodio umoristico, da me previsto, circa le immersioni del smg. Poiché il Settimo non era in “assetto”, e cioè non era dosato per andare sott’acqua, le immersioni erano maggiori di quelle normali e quindi i funzionari della Compagnia rimasero sconcertati riscontrando che denunciavamo un carico di nafta minore pur avendo un dislocamento maggiore. Ciò dipendeva dal fatto che sui smg il consumo di nafta viene automaticamente sostituito dall’acqua di mare, che è più pesante (…) Io mi divertii un mondo a spiegare a quei signori in francese che non li volevamo imbrogliare, mentre avremmo potuto farlo in barba a qualunque certificato di stazza”.
Durante la sosta a Suez vengono anche eseguite le riparazioni dei danni causati dalla tempesta incontrata in Mar Rosso: dal momento che la zona danneggiata del Settimo è sotto la linea di galleggiamento, a prua, il sommergibile assume un appoppamento di 15°-20°, sollevando l’intera prua al di sopra della superficie (fino a scoprire i portelli dei tubi lanciasiluri) ed immergendo la poppa fino al portello di coperta. I lavori, con l’impiego di saldatori e palombaro, vengono eseguiti da una ditta locale, inviata dal console italiano. Scrive Luigi Petrillo: “Il capo saldatore era un maltese che capiva bene l’italiano e lo parlava alquanto, aveva una voce bianca, femminea e ci spiegò che durante la prima guerra mondiale era caduto prigioniero dei turchi ed era stato evirato”.
24 marzo 1933
Settimo e Settembrini ripartono da Porto Said alle 19, diretti ad Alessandria d’Egitto.
25 marzo 1933
Dopo aver trovato mare cattivo, ma non violento, i due sommergibili giungono ad Alessandria alle 15, venendo accolti dal viceconsole italiano (in rappresentanza del console generale) che li attende sul molo in redingote e cilindro: “Quell’abbigliamento, del resto prescritto dal protocollo, andava bene per una grande nave che avrebbe schierato picchetto e tromba per l’accoglienza, ma era un po’ ridicolo per il smg, che poté offrire soltanto i caratteristici fischi del nostromo”.
31 marzo 1933
Settimo e Settembrini lasciano Alessandria per rientrare a Taranto, dove giungeranno pochi giorni dopo, ponendo così fine alla crociera.
Quella compiuta da Settimo e Settembrini tra il febbraio ed il marzo 1933 è la prima delle lunghe crociere che diversi sommergibili italiani intraprenderanno negli anni Trenta, per volere dello Stato Maggiore della Marina e dell’Ispettorato Sommergibili, al fine di far familiarizzare gli equipaggi con le lunghe navigazioni e verificare le capacità operative negli ambienti più diversi, nonché i migliori modi di operare in mari diversi dal Mediterraneo, unico teatro d’impiego, fino a quel momento, dei sommergibili italiani.
25 giugno 1933
Il Settimo lascia Taranto per svolgere delle esercitazioni e trasferirsi a Napoli.
1 o 2 luglio 1933
Dopo uno scalo intermedio a Trapani e varie esercitazioni durante la navigazione, il Settimo giunge a Napoli.
11 settembre 1933-4 aprile 1934
Partito da Taranto l’11 settembre insieme al Settembrini, il Settimo compie un’altra crociera di resistenza in Mar Rosso, facendo scalo a Tobruk, Port Said, Massaua, Aden, Assab, Massaua (di nuovo), Ismailia, Port Said (di nuovo) ed Alessandria d’Egitto, per poi fare ritorno a Taranto il 4 aprile. Le prestazioni messe in evidenza nel periodo in Mar Rosso sono giudicate come ampiamente soddisfacenti (“fornirono buona prova (…) svolgendo un intensa attività nella stagione che imponeva il maggior rischio agli uomini ed ai materiali”), salvo l’inconveniente di una perdita di gas refrigerante dall’impianto di condizionamento, occorsa durante una prova d’immersione statica e dinamica di otto ore. Non ci sono conseguenze, ma è un triste presagio di quanto accadrà tra qualche anno in Mar Rosso, con le morti da cloruro di metile.
1934
Entrano a far parte della VIII Squadriglia Sommergibili anche i sommergibili posamine Marcantonio Bragadin e Filippo Corridoni.
Il Settimo (tenente di vascello Paolo Pesci) compie una crociera addestrativa nel Mediterraneo occidentale, facendo scalo nelle Baleari ed in alcuni porti della costa spagnola.
3 febbraio 1935
Assume il comando del Settimo il capitano di corvetta Ugo Siviero.
Estate 1935
Settimo e Settembrini vengono nuovamente dislocati a Massaua; rimangono in Mar Rosso per un anno, in concomitanza con la guerra d’Etiopia, svolgendo intensa e logorante attività. Al rientro in Italia riceveranno uno specifico elogio ministeriale per l’attività svolta.
30 settembre 1935
All’inizio della guerra d’Etiopia, il Settimo si trova dislocato a Massaua, insieme al Settembrini, ai sommergibili NarvaloTricheco, agli anziani incrociatori leggeri Bari e Taranto, ai cacciatorpediniere TigrePantera, PalestroFrancesco Nullo ed alla torpediniera Audace. Queste unità formano la Divisione Navale in Africa Orientale, al comando dell’ammiraglio di divisione Guido Vannutelli (dal 1936 – rinforzata dalle torpediniere Giacinto Carini e Generale Antonio Cantore, dai sommergibili Tricheco, Narvalo, Salpa e Serpente, dalle navi appoggio sommergibili Antonio Pacinotti ed Alessandro Volta e dalla nave ausiliaria Arborea – dell’ammiraglio di divisione Vittorio Tur).
1937
Per sei mesi il Settimo ha alternativamente base a Tobruk e Lero.
6 agosto 1937
Durante la guerra civile spagnola il Settimo (tenente di vascello Luigi Arcadipane), inquadrato nel IV Gruppo Sommergibili di Taranto, salpa da Tobruk per una missione clandestina in Mar Egeo, a contrasto del traffico che trasporta rifornimenti nei porti della Spagna controllati dai repubblicani.
Subito dopo aver raggiunto la zona d’agguato, tuttavia, subisce un’avaria all’asse dell’elica, che lo costringe ad interrompere la missione e dirigere per Taranto.
13 o 14 agosto 1937
Arriva a Taranto.

Il Settimo in uscita dal Mar Piccolo di Taranto negli anni Trenta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

5 settembre 1937
Il Settimo (tenente di vascello Giuseppe Caridi) salpa da Lero per un’altra missione clandestina in Egeo, sempre nel quadro delle operazioni connesse alla guerra civile spagnola.
Durante la missione il sommergibile inizia alcune manovre d’attacco, ma non le porta a termine, non avendo la certezza di stare attaccando navi al servizio dei repubblicani.
Di nuovo, la missione dev’essere interrotta a causa di un’improvvisa avaria ad un motore.
9 o 10 settembre 1937
Rientra alla base, ponendo fine alla missione.
Queste due missioni rientrano nella seconda campagna subacquea italiana nella guerra civile spagnola, lanciata a partire dall’agosto 1937 (con l’impiego di ben 10 sommergibili in Egeo, 17 nel Canale di Sicilia e 24 nel Mediterraneo occidentale) dietro richiesta di Francisco Franco, preoccupato per l’incremento nell’afflusso di rifornimenti per le forze spagnole repubblicane dopo l’interruzione della prima campagna subacquea italiana, avvenuta nel febbraio 1937, al fine di evitare incidenti con Regno Unito e Francia (la campagna intrapresa dai sommergibili italiani, in mancanza di un formale stato di guerra tra Italia e repubblica spagnola, è clandestina e di fatto illegale).
Mussolini ha ordinato questa campagna sottomarina, abbinata all’istituzione di un servizio di sorveglianza con aerei ed unità di superficie nel Canale di Sicilia, a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei. Il 3 agosto Francisco Franco ha chiesto urgentemente a Mussolini di usare la sua flotta per fermare un grosso “convoglio” sovietico appena partito da Odessa e diretto nei porti repubblicani; sulle prime era previsto il solo impiego di sommergibili, ma Franco è riuscito a convincere Mussolini ad impiegare anche le navi di superficie. Nel suo telegramma Franco afferma: «Tutte le informazioni degli ultimi giorni concordano nell’annunciare un aiuto possente della Russia ai rossi, consistente in carri armati, dei quali 10 pesanti, 500 medi e 2 000 leggeri (sic), 3 000 mitragliatrici motorizzate, 300 aerei e alcune decine di mitragliatrici leggere, il tutto accompagnato da personale e organi del comando rosso. L’informazione sembra esagerata, poiché le cifre devono superare la possibilità di aiuto di una sola nazione. Ma se l’informazione trovasse conferma, bisognerebbe agire d’urgenza e arrestare i trasporti al loro passaggio nello stretto a sud dell’Italia e sbarrare la rotta verso la Spagna. Per far ciò, bisogna, o che la Spagna sia provvista del numero necessario di navi o che la flotta italiana intervenga ella stessa. Un certo numero di cacciatorpediniere operanti davanti ai porti e alle coste dell’Italia potrebbe sbarrare la rotta del Mediterraneo ai rinforzi rossi: la cattura potrebbe essere effettuata da navi battenti apertamente bandiera italiana, aventi a bordo un ufficiale e qualche soldato spagnolo, che isserebbero la bandiera nazionalista spagnola al momento stesso della cattura. Invierò d’urgenza un rappresentante a Roma per negoziare questo importante affare. Nell’intervallo, e per impedire l’invio delle navi che saranno già in rotta per la Spagna, prego il governo italiano di sorvegliare e segnalare la posizione e la rotta delle navi russe e spagnole che lasciano Odessa. Queste navi devono essere sorvegliate e perquisite da cacciatorpediniere italiani che segnaleranno la loro posizione alla nostra flotta. Vogliate trasmettere in tutta urgenza al Duce e a Ciano l’informazione di cui sopra e la nostra richiesta, unita all’assicurazione dell’indefettibile amicizia e della riconoscenza del generalissimo alla nazione italiana».
Il blocco navale, ordinato da Roma il 7 agosto, ha avuto inizio due giorni più tardi; il dispositivo di blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna.
Il blocco si protrae dal 7 agosto al 12 settembre con intensità variabile; ordini tassativi sono emanati per evitare interferenze o incidenti con bastimenti neutrali (il che talvolta obbliga a seguire un mercantile “sospetto” per tutto il giorno al fine di identificarlo, dato che talvolta quelli diretti nei porti repubblicani usano bandiere false), e questo rende piuttosto complessa e delicata la missione delle unità che partecipano al blocco.
Il blocco navale così organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo: sebbene le navi effettivamente affondate o catturate siano numericamente poche, l’elevato rischio comportato dalla traversata a causa del blocco italiano porta in breve tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona col favore della notte. Entro settembre, l’invio di mercantili con rifornimenti per i repubblicani dall’Unione Sovietica attraverso il Bosforo è praticamente cessato, tanto che i comandi italiani si possono ormai permettere di ridurre di molto il numero di navi in mare per la vigilanza, essendo quest’ultima sempre meno necessaria.
Oltre alla grave crisi nei rifornimenti di materiale militare, che si verifica proprio nel momento cruciale della conquista nazionalista dei Paesi Baschi (principale centro di produzione di armi tra le regioni in mano repubblicana), il blocco ha un impatto notevole anche sul morale dei repubblicani, tanto nella popolazione civile (il cui morale va deteriorandosi per la difficoltà di procurarsi beni di prima necessità) quanto nei vertici politico-militari, che si rendono conto di come, mentre i nazionalisti ricevono dall’Italia supporto incondizionato, persino sfacciato, con largo dispiegamento di mezzi, Francia e Regno Unito non sembrano disposte ad appoggiare la causa repubblicana se non a parole (in alcuni centri repubblicani si svolgono anche aperte manifestazioni contro queste due nazioni, da cui i repubblicani si sentono abbandonati).
Il blocco italiano impartisce dunque un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatena anche gravi tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina italiana, ripetute anche da Winston Churchill. Il governo britannico, invece, evita di accusare apertamente l’Italia, dato che il primo ministro Neville Chamberlain intende condurre una politica di “riavvicinamento” verso l’Italia per allontanarla dalla Germania; anche questo fa infuriare i repubblicani, che hanno fornito ai britannici prove del coinvolgimento italiano (prove che i britannici peraltro possiedono già, dato che l’Operational Intelligence Center dell’Ammiragliato intercetta e decifra svariate comunicazioni italiane relative alle missioni “spagnole”), solo per vedere questi ultimi fingere di attribuire gli attacchi ai soli nazionalisti spagnoli.
Nel settembre 1937 Francia e Regno Unito organizzeranno la Conferenza di Nyon per contrastare la “pirateria sottomarina”: gli occhi di tutti sono puntati sull’Italia, anche se questa non viene accusata direttamente (tranne che dall’Unione Sovietica, ragion per cui l’Italia, sebbene invitata, rifiuta di partecipare alla conferenza). Se ufficialmente i britannici non parlano apertamente di coinvolgimento italiano, attraverso i canali diplomatici questi fanno pervenire al ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, l’irritazione per alcuni incidenti che hanno coinvolto proprio navi britanniche (il cacciatorpediniere HMS Havock è stato attaccato, ancorché senza risultato, dal sommergibile italiano Iride), ragion per cui il 12 settembre si decide di sospendere il blocco per non incrinare le relazioni con il Regno Unito. Nel periodo 5 agosto-12 settembre, i sommergibili italiani hanno effettuato complessivamente 59 missioni ed iniziato ben 444 attacchi, portandone però a termine soltanto 24 (a causa delle citate regole restrittive sulla necessità di identificare con assoluta certezza i bersagli prima di lanciare), con il lancio di 43 siluri ed il conseguente affondamento di quattro mercantili e danneggiamento di un cacciatorpediniere.

Spilletta d’argento del Settimo, realizzata a fine anni Trenta (g.c. Carlo Di Nitto, via www.naviearmatori.net)

1938
Settimo e Settembrini vengono assegnati alla XLI Squadriglia Sommergibili (successivamente divenuta XLII Squadriglia), di base a Taranto e formata interamente da sommergibili tipo “Cavallini”.
5 maggio 1938
Al comando del tenente di vascello Giuseppe Caridi (33 anni, da Torino), il Settimo prende parte alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i sette incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli undici incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 "esploratori leggeri" classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie AudaceCastelfidardoCurtatoneFrancesco StoccoNicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro "avvisi scorta" della classe Orsa), ben 85 sommergibili della Squadra Sommergibili al comando dell’ammiraglio Antonio Legnani, e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La Squadra Sommergibili è protagonista di uno dei momenti più spettacolari della parata, nella quale gli 85 battelli effettuano una serie di manovre sincronizzate: dapprima, disposti su due colonne, alle 13.15 passano contromarcia tra le due squadre  navali che procedono su rotte parallele; poi, terminato il defilamento, alle 13.25 tutti i sommergibili effettuano un’immersione simultanea di massa, procedono per un breve tratto in immersione e poi emergono simultaneamente ed eseguono una salva di undici colpi con i rispettivi cannoni.
1939
Settimo e Settembrini vengono posti alle dipendenze della Scuola Comando di Augusta, con la quale resteranno fino all’entrata in guerra.

Il tenente di vascello Mario Baroglio a bordo del Settimo, come comandante in seconda, nel 1940 (da “Beneath the Waves” di A. S. Evans)

6 giugno 1940
Quattro giorni prima della dichiarazione di guerra, il Settimo salpa da Taranto per un pattugliamento a sud del Canale d’Otranto.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, Settimo (tenente di vascello Giovanni Cantù, 33 anni, da Livorno) e Settembrini costituiscono la XLIII Squadriglia Sommergibili (IV Grupsom), di base a Taranto.
È imbarcato sul Settimo il tenente del Genio Navale Antonio Marceglia, futuro protagonista dell’impresa di Alessandria e Medaglia d’Oro al Valor Militare, che parteciperà alle prime tre missioni di guerra del Settimo prima di chiedere, nell’ottobre 1940, di essere trasferito ai mezzi d’assalto.
Giugno 1940
Inviato in pattugliamento in Mar Ionio. Successivamente inviato a nord di Creta, per controllare ed attaccare il traffico nemico diretto a La Canea.
13 giugno 1940
Il Settimo (tenente di vascello Giovanni Cantù) duella con un grosso sommergibile nemico avvistato mentre procedeva in superficie a lento moto al largo di Suda: i due battelli si lanciano reciprocamente dei siluri da ridotta distanza, senza successo, dopo di che rompono il contatto e si allontanano riprendendo ciascuno la propria rotta.
Dalle fonti britanniche risulta che l’unico sommergibile con cui il Settimo possa essersi scontrato fosse il Phoenix, che il 13 giugno si trovava in posizione 35°42’ N e 24°11’ E, compatibile con quella del Settimo; tuttavia, questo battello non avvistò nessun sommergibile, né tantomeno lanciò siluri. È quindi probabile che il Settimo abbia avvistato ed attaccato il Phoenix, ma che quest’ultimo non se ne sia accorto, e che dunque la sua reazione sia stata soltanto un’errata impressione dell’equipaggio del Settimo.
12 luglio 1940
Al largo di Capo Passero, mentre procede in superficie per rientrare ad Augusta, il Settimo viene attaccato con lancio di bombe da un idrovolante britannico Short Sunderland; subisce soltanto lievi danni a poppa.
Il comandante Cantù sarà in seguito decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione “Comandante di sommergibile attaccato in superficie da un aereo nemico, conduceva la manovra difensiva e controffensiva con prontezza di decisione, serenità e coraggio”.
Settembre 1940
Trasferito a Messina ed assegnato al locale Gruppo Sommergibili, unitamente al Settembrini. Passa al comando del tenente di vascello Carlo Fecia di Cossato. Effettua una missione a sud di Creta, tra Gaudo ed Alessandria.
19 settembre 1940
Secondo una fonte di incerta affidabilità il Settimo avrebbe infruttuosamente attaccato in questa data due cacciatorpediniere britannici al largo di Tobruk, insieme ai sommergibili Uarsciek ed Ondina, ma non è stata trovata conferma di questa notizia.
Novembre 1940
È comandante del Settimo il capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti.
5 dicembre 1940
Il tenente di vascello Cantù cede il comando del Settimo al parigrado Mario Spano, di 33 anni, da La Spezia.

Il tenente di vascello, poi capitano di corvetta, Mario Spano (g.c. Giovanni Pinna)

10 gennaio 1941
Alle 14.16 il Settimo (capitano di corvetta Mario Spano), in agguato circa 80 miglia ad est di Malta, rileva all’idrofono rumori di eliche di una forza navale in movimento verso ovest; segue questi rumori fino alle 15.30 manovrando intanto in modo da serrare le distanze, e dalla variazione dei rilevamenti conclude che la forza navale si stia spostando con rotta 110°, passando ad una distanza minima di 8-10 miglia, nonostante le manovre compiute dal Settimo per avvicinarsi. Poco dopo le 15.30 il Settimo si pone in osservazione periscopica per un quarto d’ora, ma non avvista niente; tornato ad immergersi, segue i rumori in allontanamento verso est fino alle 17.24.
Calato il buio, vengono avvistate due unità identificate come incrociatori “tipo Liverpool” in navigazione verso est: si tratta della scorta di un convoglio britannico in navigazione da Gibilterra a Malta ed al Pireo nell’ambito dell’operazione complessa “Excess”, che prevede il transito simultaneo di un totale di quattro convogli (MC. 4, MW. 5, ME. 5 e ME. 6, per un totale di 12 navi da carico e tre navi cisterna) tra Alessandria, Gibilterra, Malta ed il Pireo, con l’appoggio sia della Mediterranean Fleet uscita da Alessandria (corazzate Valiant e Warspite, portaerei Illustrious, 7 cacciatorpediniere) che della Forza H uscita da Gibilterra, il tutto nell’arco di una settimana (tra il 6 ed il 13 gennaio). Manifestatosi il movimento nemico per “Excess”, Supermarina ha schierato dieci sommergibili in agguato tra Malta e la Tunisia, ed altri sette nello Ionio.
Il convoglio in cui si è imbattuto il Settimo è l’MC. 4, salpato da Gibilterra il 6 gennaio e formato da quattro mercantili carichi di rifornimenti (Essex, Empire Song, Clan Cumming e Clan Macdonald) aventi come scorta diretta la Forza F, formata dall’incrociatore leggero Bonaventure e dai cacciatorpediniere Hasty, Hereward, Hero e Jaguar, e la Forza B, formata dagli incrociatori leggeri Southampton e Gloucester e dai cacciatorpediniere Ilex e Janus. Nel primo tratto della navigazione – fino al banco di Skerki – il convoglio godeva inoltre della scorta a distanza della Forza H (incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya, portaerei Ark Royal, incrociatore leggero Sheffield, cacciatorpediniere Duncan, Faulknor, Firedrake, Forester, Fortune, Fury e Foxhound). I due incrociatori avvistati dal Settimo sono il Southampton ed il Gloucester della Forza B, facenti parte del 7th Cruiser Squadron.
Alle 22.10 (per altra fonte, 22.22), stando in superficie in posizione 35°22’ N e 16°15’ E, il Settimo lancia tre siluri (per altra fonte, due) contro l’incrociatore di testa da una distanza di poco più di 1400 metri, immergendosi con la rapida subito dopo ed iniziando ad allontanarsi. Vengono sentite chiaramente due detonazioni (per altra fonte, una), dopo di che viene captata agli idrofoni una sorgente sonora (una singola nave) che si ritiene abbia lanciato bombe di profondità in due passaggi, allontanandosi poi verso Malta. Tuttavia, in realtà i siluri non sono andati a segno, e da parte britannica risulta anzi che non abbiano neanche notato l’attacco.
(Secondo una fonte, il Settimo avrebbe nuovamente attaccato le navi di “Excess” il mattino del 12 gennaio, ma sembra probabile un errore).
21 gennaio 1941
Inviato in pattugliamento ad est di Malta.
19 febbraio-6 marzo 1941
In pattugliamento ad est di Malta.
21-28 aprile 1941
In pattugliamento nelle acque di Malta.

Una serie di immagini dell’equipaggio del Settimo dalla collezione del sottocapo motorista Ennio Bartoli, classe 1915, da Porto Recanati, imbarcato sul sommergibile dal 19 aprile 1941 al 15 dicembre 1942 (da www.grupsom.com):







Maggio 1941
Il Settimo, insieme ai sommergibili Ambra e Santorre Santarosa, viene inviato in agguato negli accessi a Malta per contrastare l’operazione britannica “Tiger”. Quest’ultima è un’operazione complessa il cui obiettivo principale è di inviare da Gibilterra ad Alessandria un convoglio, denominato WS. 8, di cinque mercantili veloci (Clan Lamont, Clan Campbell, Clan Chattan, Empire Song e New Zealand Star) carichi di carri armati (295, più 53 aerei da caccia Hawker Hurricane per la RAF) per l’armata britannica in Egitto, in difficoltà dinanzi all’offensiva scatenata dall’Asse in seguito all’arrivo in Libia dell’Afrika Korps del generale Rommel. Si tratta di una mossa rischiosa: in tutti i tre anni di durata della campagna nordafricana, il convoglio WS. 8 sarà l’unico convoglio a tentare l’attraversamento del Mediterraneo per raggiungere Alessandria da Gibilterra, via di gran lunga più breve, sfidando la minaccia aeronavale italo-tedesca, invece di circumnavigare l’intera Africa come fanno tutti gli altri convogli destinati al rifornimento delle truppe del Commonwealth in Egitto, seguendo una via enormemente più lunga ma molto meno pericolosa. Churchill in persona ha autorizzato questa decisione, ritenendo che la gravità della situazione in Egitto giustifichi il rischio di perdere anche la metà del convoglio. Come di consueto nelle operazioni complesse britanniche, all’operazione principale (la navigazione di WS. 8 da Gibilterra ad Alessandria) è affiancata da una serie di operazioni secondarie: il trasferimento da Gibilterra ad Alessandria di un’aliquota di forze navali, denominata Forza Z (corazzata Queen Elizabeth, incrociatori leggeri Naiad e Fiji, tre cacciatorpediniere), destinata a rinforzare la Mediterranean Fleet; il bombardamento navale di Bengasi da parte dell’incrociatore leggero Ajax e dei cacciatorpediniere Havock, Imperial ed Hotspur; e l’invio a Malta di due convogli (MW7A, formato da quattro navi da carico veloci, e MW7B, formato da due navi cisterna lente, il tutto con la scorta di cinque incrociatori leggeri – che una volta assolto il loro compito dovranno andare a rinforzare la scorta di WS. 8 – e sette cacciatorpediniere) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (quest’ultima sotto-operazione è denominata MD. 4). MW7A è formato dai mercantili Settler, Amerika, Talabot e Thermophylae scortati dagli incrociatori Dido, Calcutta e Phoebe e da quattro cacciatorpediniere; MW7B dalle navi cisterna Svenor e Hoegh Hood scortate dagli incrociatori antiaerei Coventry e Carlisle, da tre cacciatorpediniere, dalla corvetta Gloxinia, dalla baleniera armata Swona e dal rimorchiatore militare St. Issey.
Il convoglio WS. 8 entra in Mediterraneo nella notte tra il 5 ed il 6 maggio, scortato dalla Forza Z e dalla Forza H di Gibilterra (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield e 9 cacciatorpediniere); il 5 maggio salpa da Alessandria per Malta il convoglio MW7B, seguito l’indomani dal più veloce MW7A. Nella notte tra il 5 ed il 6 salpa da Alessandria anche la Mediterranean Fleet, al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham e composta dalle corazzate Valiant, Warspite e Barham, dalla portaerei Formidable, dagli incrociatori leggeri Orion e Perth, dall’incrociatore posamine Abdiel, dai cacciatorpediniere Jervis, Juno, Griffin, Havock, Hero, Hereward, Hotspur, Kandahar, Kingston, Kimberley, Nubian e Nizam e dalla nave cisterna Breconshire; Abdiel e Breconshire devono trasportare rifornimenti urgenti a Malta, mentre il resto della flotta fornirà copertura ai due convogli di MD 4.
Da parte dell’Asse si è notato l’incremento del traffico radio della Mediterranean Fleet, avvisaglia di un’operazione di grande portata, e gli informatori attivi ad Algeciras (in Spagna, davanti a Gibilterra) hanno segnalato i movimenti delle forze britanniche ivi dislocate; il 6 maggio la ricognizione aerea ha rilevato che la Forza H è salpata da Gibilterra, ed alle 10.45 dell’8 il convoglio WS. 8 e la sua scorta vengono avvistati da un idroricognitore CANT Z. 506 a nordovest di Cap de Fer (Algeria).

Un marinaio di vedetta e (in secondo piano) il comandante in seconda Mariotti sulla plancia del Settimo durante una missione di guerra (Coll. Balestrieri, via www.grupsom.com)

8 maggio 1941
Il Settimo attacca infruttuosamente con lancio di siluri, ad ovest di Malta, alcuni cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet uscita in mare a copertura dell’operazione MD. 4.
Nel complesso, le forze britanniche impegnate nell’operazione “Tiger” sono contrastate esclusivamente dall’aviazione dell’Asse, che si concentra esclusivamente sul convoglio WS. 8, in quanto i convogli diretti a Malta e la Mediterranean Fleet sono protetti dal maltempo (solo il mattino dell’8 un ricognitore Ju 88 avvisterà la Mediterranean Fleet), che ostacola fortemente anche gli attacchi aerei contro WS. 8. La flotta da battaglia italiana non interviene, avendo soltanto due corazzate su cinque in condizioni di operatività (Giulio Cesare ed Andrea Doria, a Napoli; delle altre tre, Littorio e Duilio sono in riaddestramento l’una nello Ionio e l’altra nell’alto Tirreno dopo la conclusione delle riparazioni dei danni causati dalla “notte di Taranto” del novembre 1940, e la Vittorio Veneto è in riparazione dopo essere stata seriamente danneggiata nella battaglia di Capo Matapan del marzo 1941). Per giunta, le informazioni della ricognizione aerea sui movimenti della Mediterranean Fleet sono troppo tardive. Il tempo avverso ostacola l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di Sicilia, mentre dei sommergibili inviati tra Malta e l’Algeria soltanto il Settimo riesce a portarsi all’attacco, senza successo.
Tutti i convogli giungeranno a destinazione; le perdite si limiteranno al danneggiamento del New Zealand Star ed all’affondamento dell’Empire Song, entrambi causati da mine di uno sbarramento italiano in cui WS. 8 è incappato, nonché al lieve danneggiamento del cacciatorpediniere Fortune ad opera di bombardieri italiani.
21-22 luglio 1941
Inviato tra Pantelleria e Malta, unitamente ad altri tre sommergibili (Fratelli BandieraLuciano Manara e Dessiè; i battelli sono schierati a venti miglia l’uno dall’altro), a contrasto dell’operazione britannica «Substance», consistente nell’invio a Malta di un convoglio di rifornimenti – sei navi da carico ed un trasporto truppe – scortato dalla corazzata Nelson, dagli incrociatori leggeri EdinburghManchester ed Arethusa e da 11 cacciatorpediniere, e nel contemporaneo rientro da Malta di sei mercantili scarichi e della cisterna militare Breconshire, scortati dal cacciatorpediniere Encounter. La Forza H, uscita in mare con l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal, l’incrociatore leggero Hermione e sei cacciatorpediniere, dà copertura all’operazione, mentre unità della Mediterranean Fleet uscite da Haifa ed Alessandria compiranno azioni diversive.
Supermarina ha inviato i quattro sommergibili ad intercettare la formazione britannica dopo che quest’ultima è stata avvistata e segnalata da un altro sommergibile, il Diaspro.
Il Settimo non avvista il convoglio britannico.
Agosto 1941
Partito da Augusta, il Settimo viene inviato in agguato ad ovest di Malta.

Il Settimo (a sinistra) e l’Otaria a Taranto nel dicembre 1941 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

3 dicembre 1941
Il Settimo (capitano di corvetta Mario Spano) parte da Messina alle undici del mattino diretto a Bardia (per altra fonte, Derna), con un carico di 9,473 tonnellate di viveri (per altra fonte, 20 tonnellate).
La situazione in Nordafrica in generale, e specialmente quella di Bardia, è molto precaria: le forze del Commonwealth, che hanno lanciato l’operazione "Crusader", stanno avanzando in Cirenaica, e la situazione dei rifornimenti per la Libia è giunta al punto più critico dell’intera guerra: nel mese di novembre quasi il 70 % dei rifornimenti inviati via mare è andato perduto (in larga parte per azione della Forza K britannica, che ha distrutto i convogli "Duisburg" e "Maritza" il 9 e 24 novembre), un tasso di perdite mai raggiunto prima di allora e mai più raggiunto in seguito. Dinanzi ad una situazione tanto critica, ed alle pressioni dei comandi tedeschi, Supermarina ha acconsentito ad impiegare per le missioni di trasporto, in aggiunta ai sommergibili posamine (più capienti) ed ai grossi sommergibili della classe Ammiragli già adibiti a questo compito, anche altri sommergibili oceanici, tra quelli da poco rientrati dall’Atlantico e tra quelli delle classi più anziane.
Bardia, a seguito dell’avanzata britannica si è ritrovata accerchiata ed assediata dalle forze del Commonwealth dal 6 dicembre; la sua guarnigione, 7000 uomini tra italiani della 55a Divisione Fanteria "Savona" (i due terzi del totale) e tedeschi, ha l’ordine di resistere il più a lungo possibile. Cibo, acqua e munizioni scarseggiano, e la situazione dei rifornimenti è in continuo peggioramento; è ormai possibile il rifornimento soltanto via mare (o per via aerea, ma gli aerei non possono trasportare che modestissime quantità di rifornimenti), e data la scarsissima capacità ricettiva di tale porto, soltanto sommergibili (che infatti effettueranno tredici missioni per rifornire Bardia nel dicembre 1941) o navicelle di ridottissime dimensioni vi possono approdare.
Sommergibili come il Settimo, dopo i necessari lavori di adattamento, non possono trasportare, in un viaggio, che poche decine di tonnellate di rifornimenti (mentre un mercantile anche piccolo ne può trasportare mille e più), ragion per cui Supermarina è critica sull’impiego dei sommergibili in missione di trasporto, ma decide di provvedervi ugualmente per soddisfare le continue richieste tedesche.
Dei dodici sommergibili impiegati a ritmo serrato in missioni di trasporto nel dicembre 1941 (i quattro nuovi della classe Ammiragli, il battello posamine Pietro Micca, il sommergibile di media crociera Ciro Menotti, i sommergibili di grande crociera Otaria, Dandolo, Mocenigo, Veniero ed Emo, questi ultimi della classe Marcello), il Settimo è in assoluto quello che trasporta il carico più modesto: meno di dieci tonnellate, contro le undici dell’Otaria, le 15-20 dei “Marcello” e del Menotti, le 100-150 degli “Ammiragli” e le 160-180 del Micca.
7 dicembre 1941
Sbarcato il carico, il Settimo riparte da Bardia alle 10.30 e si trasferisce a Derna, da dove poi salpa alle 20.50 per fare ritorno in Italia.
8 dicembre 1941
In mattinata, durante la navigazione di ritorno alla base, il Settimo avvista due cacciatorpediniere che procedono in linea di fila, contro cui lancia senza successo due siluri. Il comandante Spano riceverà per quest’azione la Croce di Guerra al Valor Militare (“Comandante di sommergibile, con sereno coraggio andava all’attacco di una sezione di CC. TT. nemici, lanciando tre siluri a distanza ravvicinata. Dopo l’attacco, restava in superficie e si disimpegnava solo quando le unità accostavano sul sommergibile”).
Secondo l’Historisches Marinearchiv, alle 21.57 il sommergibile britannico Talisman (capitano di corvetta Michael Willmott) avrebbe infruttuosamente lanciato tre siluri contro il Settimo in posizione 38°00’ N e 20°28’ E, attaccandolo anche con il cannone. Secondo Uboat.net, tuttavia, l’unità attaccata dal Talisman sarebbe stata invece la torpediniera Orione, scambiata nel buio per un sommergibile; in effetti, dal giornale di bordo del Talisman risulta che l’unità attaccata si sarebbe poi rivelata essere una torpediniera o cacciatorpediniere, che avrebbe poi contrattaccato con bombe di profondità. Anche la posizione dell’attacco, una decina di miglia a sud di Argostoli, non sembra compatibile con la rotta che il Settimo avrebbe dovuto seguire per rientrare da Derna a Messina.
11 dicembre 1941
Arriva a Messina alle 8.30.
9 gennaio 1942
Il Settimo salpa da Augusta per Tripoli alle 16.30, trasportando venti tonnellate di armi e munizioni e dodici di viveri.
13 gennaio 1942
Arriva a Tripoli alle 14.
19 gennaio 1942
Sbarcato il carico, il Settimo lascia Tripoli alle 14 per fare ritorno ad Augusta.
21 gennaio 1942
Arriva ad Augusta alle dieci del mattino.
Secondo l’Historisches Marinearchiv, alle 7.37 il Settimo sarebbe stato infruttuosamente attaccato col lancio di quattro siluri dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), in posizione 36°55’ N e 15°38’ E (25 miglia a sudest di Augusta). Secondo Uboat.net, invece, fonti italiane attesterebbero che il sommergibile attaccato fosse il Ciro Menotti (che secondo l’Historisches Marinearchiv stava invece “seguendo” il Settimo. Nessuno dei due sommergibili, ad ogni modo, si accorse di essere stato attaccato).

Il Settimo fuori Pola nel 1942 (g.c. STORIA militare)

12 novembre 1942
Il Settimo parte da Taranto per Tripoli alle 12.30 in missione di trasporto, con a bordo 25 tonnellate di munizioni.
15 novembre 1942
Arriva a Tripoli alle 13.30, sbarca le munizioni e riparte per Taranto alle 18.
18 novembre 1942
Arriva a Taranto alle 15.10.
28 novembre 1942
Salpa da Taranto per Tripoli alle 12.50, trasportando 32 tonnellate di munizioni, diretto a Tripoli.
1° dicembre 1942
Arriva a Tripoli alle 9.30, scarica le munizioni e riparte per Taranto alle 13.
4 dicembre 1942
Giunge a Taranto alle 15.20.
16 dicembre 1942
Parte da Taranto per Tripoli alle 12.20, con a bordo 32 tonnellate di munizioni.
19 dicembre 1942
Raggiunge Tripoli alle 8.45, sbarcandovi le munizioni.
Successivamente ritorna a Taranto.
7 gennaio 1943
Parte da Taranto per Tripoli alle 12.50, con a bordo trenta tonnellate di munizioni.
12 gennaio 1943
Arriva a Tripoli alle dieci del mattino, scarica le munizioni e riparte per Taranto alle 15.
15 gennaio 1943
Arriva a Taranto alle 14.30.
1943
Lavori di modifica: la falsatorre viene fortemente ridimensionata.
5 marzo 1943
Dislocato a Pola, assegnato alla Scuola Sommergibili (Mariscuolasom); svolgerà 93 missioni addestrative fino al settembre 1943.

Il Settimo nel 1943 (g.c. Navypedia)

8 settembre 1943
Alla data dell’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, il Settimo (capitano di corvetta Antonio Dotta, 38 anni, da Fossano) si trova a Fiume, sede insieme a Pola della Scuola Sommergibili. Il battello fa parte del XII Gruppo Sommergibili, insieme a Vettor PisaniOtaria e Serpente, tutti adibiti all’addestramento in Alto Adriatico.
La Scuola Sommergibili, insieme alle unità dipendenti, è subordinata al comandante di Marina Fiume, il capitano di vascello richiamato Alfredo Crespi, che ha alle sue dipendenze anche numerose unità di uso locale, della vigilanza foranea, dragamine ed unità assegnate ai trasporti costieri della 2a Armata, dislocata in Dalmazia. A Fiume al momento dell’armistizio si trovano, oltre al Settimo, altri due sommergibili (Ametista ed Otaria), la nave appoggio sommergibili Quarnerolo (assegnata alla Scuola Sommergibili), l’incrociatore ausiliario Lazzaro Mocenigo, dieci navi mercantili (tra cui la nuovissima motonave Leopardi ed i piroscafi IaderaDubrovnik e Scarpanto) e diversi motopescherecci ed imbarcazioni minori (tra cui il grosso piropeschereccio d’altura Lanciotto Padre), oltre a varie unità in allestimento (torpediniere SpicaFiondaBalestra e Stella Polare) od in lunghi lavori di grande manutenzione (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, torpediniere Giuseppe Dezza e T 3) nei Cantieri del Quarnaro.
La difesa della città e del porto è affidata all’Esercito: comandante delle difese di Fiume è il generale Michele Rolla, dipendente dal V Corpo d’Armata del generale Antonio Squero, a sua volta facente parte della 2a Armata del generale Mario Robotti (che però proprio a cavallo dell’armistizio deve cedere il comando al parigrado Gastone Gambara).
Sin dalla sera dell’8 i partigiani jugoslavi iniziano ad interferire con le autorità italiane, dapprima occupando temporaneamente alcuni fortini ed affermando di volersi sostituire alle autorità italiane, quindi assumendo il controllo del sobborgo di Sussak (la cui popolazione è a maggioranza croata) e disarmando le truppe italiane in transito verso Fiume; anche le truppe tedesche, intenzionate ad assumere il controllo della regione, sono in marcia verso Fiume.
Stretto tra i tedeschi da una parte ed i partigiani jugoslavi dall’altra, il comandante Crespi (con l’assistenza del colonnello di porto Corsi, comandante del porto, che sovrintende all’organizzazione delle partenze) fa partire ogni natante in grado di navigare entro l’una di notte dell’11, imbarcando su ognuno quante più persone possibile: il mare è l’unica via possibile per lasciare la città, essendo del tutto interrotti i collegamenti con l’interno (per altra fonte sarebbe stato il generale Gambara, al termine delle trattative intavolate con i tedeschi, ad ordinare a Crespi di allontanare tutte le navi presenti in porto).

Il Settimo in manovra nel porto di Fiume nel 1943; si notano la torretta “alla tedesca” e la colorazione mimetica (g.c. STORIA militare)

9 settembre 1943
Alle 23 il Settimo lascia Fiume diretto a Taranto, per sottrarsi alla cattura da parte delle truppe tedesche che, di lì a pochi giorni, occuperanno la città del Quarnaro. Partono da Fiume, per lo stesso motivo, anche i sommergibili Ametista e Ruggiero Settimo, la nave appoggio sommergibili Quarnerolo (con a bordo il personale della Scuola Sommergibili) e l’incrociatore ausiliario Lazzaro Mocenigo, oltre a sette navi mercantili (tra cui LeopardiDubrovnikIaderaScarpanto e Lanciotto Padre) e varie unità minori: l’ordine per tutti è di trasferirsi a Taranto.
12 settembre 1943
Dopo una breve sosta intermedia ad Ancona, il Settimo giunge a Taranto alle 12.10, e vi rimane.

Il Settimo (sullo sfondo, oltre la banchina) a Taranto nell’ottobre 1943; accanto ad esso alcune corvette classe Gabbiano, mentre in primo piano è riconoscibile il sommergibile tascabile CB 10 e, più lontana, la motosilurante MS 53 (g.c. STORIA militare)

1944-1945
Durante la cobelligeranza il Settimo, con base a Taranto, svolge attività addestrativa per gli allievi di Mariscuolasom e partecipa ad esercitazioni ecogoniometriche antisommergibili a beneficio di unità di superficie. In tutto compie 73 uscite per esercitazione.
5 dicembre 1944
Una “pink list” (lista pubblicata settimanalmente, che indicava la posizione di ciascuna unità della Royal Navy e delle Marine alleate o cobelligeranti) britannica del 5 dicembre 1944 menziona il Settimo come in lavori di raddobbo a Taranto.
8 ottobre 1946 o 23 marzo 1947 o 1° febbraio 1948
Radiato dai quadri del naviglio militare. Successivamente demolito.
 
Il Settimo in navigazione durante la guerra (Coll. Edilio Balestrieri, via www.grupsom.com)

Una missione di trasporto del Settimo nei ricordi del marinaio elettricista Edilio Balestrieri, classe 1922, da Savona (da www.grupsom.com):
 
Il sommergibile Ruggiero Settimo parte da Taranto diretto a Tripoli con un carico di munizioni, tutto procede regolarmente, emersioni notturne per la ricarica delle batterie, puntuale arrivo al porto di destinazione veloce sbarco ed immediato rientro a Taranto. Appena al di fuori del golfo della Sirte un ricognitore inglese Short Sunderland li avvista, immediata immersione rapida ma altrettanto rapidamente incomincia la caccia AS. Il ping dei sonar e lo scoppio delle bombe di profondità si susseguono per ben 72 ore, esplosioni vicinissime che scuotono il battello, assoluta immobilità a bordo ed inizio di scarsità di aria che comporta il fatto di evitare ogni movimento superfluo. Per non essere individuato il smg si posa sul fondo a circa settanta metri di profondità. Dopo tre lunghissimi giorni di tensione non vengono più rilevati rumori sulla superficie, il Comandante dà l'ordine di dare aria alle casse ma il smg non si muove, è completamente ricoperto dal fango sollevato dalle esplosioni che gli impedisce qualunque movimento. Sono attimi di disperazione poi l'intuizione del Comandante, viene data aria alle casse prima a destra e poi a sinistra alternativamente, così facendo dopo ripetuti tentativi il battello si muove e lentamente risale alla superficie. I danni sono estesissimi, il cannone non esiste più rimane il solo basamento, la lancia situata nell'intercapedine tra lo scafo resistente e la sovrastruttura è letteralmente polverizzata. Grandissimi festeggiamenti all'arrivo inaspettato a Taranto dove il battello veniva considerato per disperso non rispondendo alle chiamate avendo tutti gli apparati ricetrasmittenti fuori uso”.
 
“Ercolino”, il simbolo del sommergibile (Coll. Edilio Balestrieri, via www.grupsom.com)


I sommergibili classe Settembrini su Betasom
Regio sommergibile Ruggiero Settimo, su Betasom
Regio sommergibile Ruggiero Settimo, su Grupsom
Il Ruggiero Settimo su U-Historia
Il Ruggiero Settimo su Trentoincina
I sommergibili italiani dal settembre 1943 al dicembre 1945
Ennio Bartoli, marinaio del Settimo
Filmato del varo del Ruggiero Settimo