mercoledì 20 settembre 2023

MZ 783

Profilo delle motozattere tipo MZ-B, cui apparteneva la MZ 783 (Historisches Marinearchiv)

Motozattera della seconda serie della classe MZ, tipo "MZ-B", costruita per trasportare anche carri armati grazie ad una stiva più alta ed al portellone di sbarco rinforzato rispetto alle unità della serie precedenti. Lunga 46,50 metri e larga 6,50, con un pescaggio di 1,18 metri se scarica, dislocava 140 o 174 tonnellate, che salivano a 279 a pieno carico (poteva caricare 65 tonnellate di materiali). Era propulsa da tre motori diesel prodotti dalle Officine Meccaniche di Milano, della potenza complessiva di 450 HP, su altrettante eliche; raggiungeva una velocità di 11-12 nodi, con un’autonomia di 1450 miglia a 8 nodi. L’armamento consisteva in un cannone da 76/40 mm e due mitragliere da 20/70 mm.
 
Breve e parziale cronologia.
 
Novembre 1942
Impostata dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1425).
15 febbraio 1943
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
4 marzo 1943
Entrata in servizio (altra fonte colloca l’entrata in servizio al 1° marzo).
20 marzo 1943
Alle 19 la MZ 783 (guardiamarina Gaetano Luigi Mereu) salpa da Trapani insieme alle gemelle MZ 778 (capoconvoglio, tenente di vascello Giorgio Lupo), MZ 779, MZ 781 e MZ 782, per una missione di trasporto di rifornimenti verso la Tunisia.
Durante la notte, circa a metà della traversata del Canale di Sicilia, si aggrega al convoglio anche la motozattera MZ 786 (guardiamarina Mario Lanfredi), partita da Palermo e carica di benzina e carri armati. Si posiziona sulla sinistra della MZ 778.
21 marzo 1943
Alle 5.28 le motozattere del convoglio vedono un’enorme vampata levarsi dalla MZ 786, che viene subito avvolta dalle fiamme: il suo carico di benzina, pompata nei doppi fondi, ha preso fuoco.
La MZ 783, trovandosi sopravvento, è insieme alla MZ 781 l’unica motozattera del convoglio che non è costretta ad allontanarsi dall’unità incendiata per il rischio di essere raggiunta dal carburante in fiamme, riversatosi in mare e rapidamente sparsosi sulla superficie intorno alla MZ 786. Dopo che la MZ 781 ha compiuto un giro attorno al relitto incendiato della MZ 786 (che continua a girare in tondo spargendo altro carburante in fiamme, avendo il timone incatastato ed il motore ancora in funzione) senza avvistare naufraghi, la MZ 783 rimane nei pressi del relitto e mette a mare un battellino per cercare eventuali sopravvissuti; nel corso delle ore successive l’imbarcazione recupera dal mare il nocchiere Gioacchino Terzo, il sergente cannoniere Antonio Pastore e quattro carristi (che viaggiavano sulla MZ 786 per accompagnare in Africa i loro carri armati), tutti gravemente ustionati e quasi irriconoscibili. Pastore muore poco dopo il salvataggio. Per ultimi vengono tratti in salvo e portati sulla MZ 783 il direttore di macchina della MZ 786, capo Alfonso Ghirardini, ed un sergente nocchiere, che non presentano invece ferite gravi.
Ulteriori ricerche risultano del tutto infruttuose: non ci sono altri sopravvissuti; la MZ 778 finisce a cannonate il relitto in fiamme della 786 in posizione 37°33' N e 10°54' E (a nord di Capo Bon), poi alle 9.30 la flottiglia riprende la navigazione verso Biserta, dove giunge in giornata.
23 marzo 1943
Lascia Biserta per rientrare in Italia, insieme alle altre motozattere.
24 marzo 1943
Arriva a Trapani.
 
Mine
 
L’incredibile storia della MZ 783 mostra come nemmeno le motozattere, a dispetto del ridottissimo pescaggio, potessero considerarsi al sicuro dall’arma più insidiosa della guerra sul mare: la mina.
Il mattino del 24 marzo 1943 un convoglio di quattro cacciatorpediniere, in missione di trasporto truppe verso la Tunisia, incappò in un campo minato posato alcune settimane prima dal posamine britannico Abdiel nel canale di Sicilia: affondarono i cacciatorpediniere Ascari e Lanzerotto Malocello, con i quali scomparvero in mare quasi mille uomini tra membri degli equipaggi e soldati tedeschi diretti in Tunisia. Per soccorrere i naufraghi, dalla Sicilia e dalla Tunisia furono inviate sul luogo del disastro alcune motozattere, che per le loro caratteristiche erano ritenute più adatte ad affrontare i pericoli di una zona minata; il Comando della 4a Flottiglia Motozattere, di stanza a Trapani, dispose che almeno due delle sue unità, rientrate da poche ore da una missione di trasporto in Tunisia, riprendessero subito il mare per andare in soccorso dei naufraghi di Ascari e Malocello. Il tenente di vascello Giorgio Lupo, comandante della MZ 778 ed ufficiale più anziano, scelse per il difficile compito la sua unità e la MZ 783, comandata dal guardiamarina Gaetano Luigi Mereu; inoltre per avere un aiuto fece imbarcare sulla MZ 778 anche il sottotenente di vascello Giorgio Arcangeli, comandante della MZ 724, e sulla MZ 783 il guardiamarina Fioravanti Tartuffo, comandante della MZ 784.
 
Alle 18.30 MZ 783 e MZ 778 salparono dunque da Trapani e si diressero a dieci nodi verso il luogo del disastro, scontrandosi con il mare da scirocco, che andava peggiorando. Alle 2.30 del 25 marzo avvistarono una nave ospedale illuminata e tentarono di avvicinarsi per chiedere maggiori informazioni, ma questa, non avendole viste nell’oscurità, rimise in moto e si allontanò. Alle 3.30 il tenente di vascello Lupo giudicò di essere giunto sul luogo del duplice affondamento ed ordinò di iniziare il rastrello, sottovento rispetto all’area in cui i due cacciatorpediniere dovevano essere affondati, per tener conto dello scarroccio. Nel giro di un’ora, le due motozattere si persero di vista, e proseguirono le ricerche ognuna per conto proprio.
Il mare mosso faceva rollare e beccheggiare fortemente le piccole unità, i cui scafi sprofondavano a volte nel cavo delle onde immergendosi al di sotto del loro normale pescaggio, ed avvicinandosi così alla profondità a cui potevano trovarsi le mine. Alle 6.40 la MZ 783 venne scossa da una violenta esplosione: prima che il comandante Mereu, che con Tartuffo e parte dell’equipaggio si trovava in coperta, potesse rendersi conto di cosa fosse successo, tutta la poppa era scomparsa, troncata di netto ad un paio di metri dalla plancia. Con essa si erano inabissati i nove uomini che si trovavano nel locale equipaggio, situato a poppa estrema. Non c’era stato il tempo di fare niente, probabilmente non avevano nemmeno avuto il tempo di comprendere cosa stesse accadendo.
Di colpo l’equipaggio della MZ 783 era stato dimezzato: su 18 uomini presenti a bordo al momento della partenza da Trapani, ne rimanevano ora nove: Mereu, Tartuffo, i nocchieri Giuseppe Bologna e Giovanni Puma, il mitragliere Davide Manfrini, il radiotelegrafista Mario Calvanese, illesi; il sergente nocchiere Anchise Coli, il sergente cannoniere Luigi Nocera ed il marinaio cannoniere puntatore scelto Damiano Granata, feriti. Granata era grave. Subito gli uomini rimasti indenni prestarono i primi soccorsi ai tre feriti, che si trovavano vicino al cannone, tra i sacchetti di sabbia. Tutt’attorno al cannone si erano sparpagliate le munizioni delle riservette, già spolettate, per fortuna senza esplodere.
 
Mereu ritenne poi che l’esplosione fosse stata causata da una mina magnetica. Un primo esame dei danni mostrò che la poppa era stata asportata a partire dal locale motori, che era andato distrutto; lo scafo, a causa del sollevamento della poppa, aveva subito una flessione al centro con conseguente allagamento dei doppi fondi di dritta, del deposito munizioni e dell’alloggio del comandante, oltre ad infiltrazioni d’acqua nella stiva. Venne verificata la chiusura stagna di tutti gli sfoghi d’aria delle sentine; penetrato nel suo alloggio semiallagato, il comandante Mereu tentò di trasmettere la posizione della sua unità con il radiotelefono, ma l’acqua che aveva allagato lo scomparto delle batterie aveva messo fuori uso il prezioso apparato.
Senza più eliche né timoni, la motozattera era diventata una semplice zattera, ed i suoi occupanti poco più che naufraghi, nemmeno in grado di comunicare a terra la loro critica situazione. Se non altro, per quanto mutilata, la MZ 783 sembrava galleggiare bene; occorreva periodicamente svuotare la stiva dell’acqua che vi si infiltrava, operazione che Mereu ordinò di effettuare ogni tre ore. Per stabilizzare la piccola unità a fronte del mare e del vento in forte aumento, Mereu diede ordine di calare le due ancore di prua, filando tutti i cento metri di cavo da entrambe le parti.
Non rimaneva ora che aspettare e sperare che la MZ 778, o qualche altro mezzo navale od aereo, avvistasse la MZ 783 e si rendesse conto della sua critica situazione. Purché ad avvistarla per prima non fosse il nemico.
Nella stiva era stato rinvenuto un barilotto con una dozzina di litri d’acqua dolce, che Mereu razionò assegnando a ciascuno un terzo di bicchiere al giorno, mentre dalla cambusa, interamente allagata, venne recuperato un sacco di gallette, ormai imbevute di acqua salata e di nafta.
 
Non sarebbe stata la MZ 778 ad andare in soccorso dell’unità gemella: Mereu non lo poteva sapere, ma alle 9.05 la motozattera del tenente di vascello Lupo era stata mitragliata da alcuni caccia P-38 "Lightning", che l’avevano seriamente danneggiata e costretta a rientrare alla base.
Alle undici la MZ 783 avvistò due convogli di aerei, di cui cercò vanamente di attirare l’attenzione; meglio andò alle 16.30, quando due bimotori della Luftwaffe avvistarono la motozattera danneggiata e la sorvolarono a bassa quota a più riprese, segno evidente che si erano accorti della sua situazione. Mezz’ora più tardi sopraggiunsero altri due aerei tedeschi ed un idrovolante anch’esso tedesco, che a dispetto del forte vento sorvolarono ripetutamente a bassa quota la MZ 783, lanciandole un pacco di provviste e diversi battelli pneumatici, che però l’equipaggio della motozattera non riuscì a recuperare a causa del forte vento che li aveva fatti cadere in mare e li spingeva rapidamente lontano. Mare e vento andavano infatti peggiorando, e la motozattera andava accentuando il suo sbandamento sulla dritta. Alle sei di sera Damiano Granata, il ferito grave, esalò l’ultimo respiro: niente si era potuto fare per aiutarlo, in mancanza di personale ed attrezzature mediche adeguate.
 
Il mattino del 26 marzo l’equipaggio della motozattera avvistò un aereo a grande distanza, che da parta sua non sembrò averla vista. Il preoccupante sbandamento sulla dritta, ormai di trenta gradi, indusse a procedere all’allagamento della cala del nostromo a sinistra, al fine di controbilanciarlo; le condizioni meteomarine non accennavano a migliorare. Passò un altro giorno, senza che nessuno giungesse in soccorso. Alle 12.30 del 27 marzo gli uomini della MZ 783 avvistarono un altro aereo e, credendolo amico, sventolarono i salvagente rossi per richiamarne l’attenzione: ma il velivolo, puntando sulla sinistra della motozattera, sganciò da trenta metri di quota una bomba, ad una ventina di metri di distanza sul traverso della motozattera. Fortunatamente, l’ordigno rimbalzò e sorvolò la piccola unità prima di ricadere in mare sulla dritta, senza esplodere; dopo aver lanciato la bomba, l’aereo aprì il fuoco sulla motozattera con la mitragliatrice di coda, indi effettuò un secondo passaggio mitragliando a bassa quota e poi se ne andò. Se non altro, questo attacco causò danni di rilievo solo al di sopra della linea di galleggiamento.
Alle cinque di quel pomeriggio vennero avvistati due trimotori italiani Savoia Marchetti S.M. 81, che tuttavia non si avvicinarono. Unica buona notizia per quel giorno, nel corso del pomeriggio vento e mare andarono gradualmente migliorando.
 
Il mattino del 28 marzo una aereo passò ad alta quota sopra la MZ 783, mentre il vento continuava a soffiare da sudest. Anche questo giorno passò senza che nessuno giungesse in aiuto, ma finalmente, alle sei del mattino del 29 marzo, venne avvistata la terraferma: era la costa della Sardegna. Il vento aveva cambiato direzione e spingeva la motozattera proprio verso la costa; non essendoci abbastanza uomini per salpare le due ancore, il comandante Mereu diede ordine di filarle in mare, e fece preparare una zattera di fortuna con cui raggiungere la terra nel caso il vento fosse nuovamente girato ed avesse nuovamente sospinto il relitto galleggiante della MZ 783 verso il mare aperto. Per tutta la mattina l’equipaggio sparò diversi razzi di segnalazione Very, nella speranza che qualcuno li vedesse dalla riva; alle due del pomeriggio venne avvistato un motoveliero, che alle 14.45 prese la MZ 783 e diresse su Arbatax, dove finalmente giunse alle sei di quella sera. La motozattera di Mereu era andata alla deriva per quattro giorni e mezzo, coprendo una distanza di quasi trecento miglia.
 
Quel che restava della motozattera venne preso in consegna dal capitano di corvetta che comandava il distaccamento di Marina Arbatax, mente gli otto “naufraghi” mangiavano e pernottavano in città. Coli e De Nocera vennero ricoverati nella locale infermeria, mentre il corpo di Granata fu lasciato a bordo della MZ 783.
Il mattino del 30 marzo i superstiti furono condotti in ambulanza a Cagliari, dove vennero presentati all’ammiraglio. Coli e De Nocera vennero poi ricoverati in un ospedale della zona, mentre i sei uomini rimasti indenni furono mandati l’indomani all’Ospedale Militare Marittimo della Maddalena.
 
Le vittime:
 
Antonio Bisaccia, marinaio motorista, da Villa San Giovanni
Luigi De Cicco, marinaio cannoniere, da Napoli
Damiano Granata, marinaio cannoniere, da Gaeta
Firmo Pedretti, marinaio cannoniere, da Villa Carcina
Giuseppe Piccinno, marinaio segnalatore, da Bagnolo del Salento
Wladimiro Sangiorgio, marinaio cannoniere, da Dubino
Bruno Sauri, sergente motorista, da Venezia
Luciano Soldati, marinaio motorista, da Carrara
Mario Valle, marinaio cannoniere, da Recco
Pietro Villani, marinaio cannoniere, da Agerola
 
La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita al guardiamarina Gaetano Luigi Mereu, nato a Nuoro il 29 luglio 1920:
 
"Comandante di motozattera in missione verso una base avanzata per salvataggio di naufraghi, saltata l'unità su mina e avuta asportata la poppa, dimostrava durante 5 giorni in cui la motozattera con mare tempestoso è andata alla deriva, animo virile e sereno coraggio. Ha saputo infondere ai superstiti dell'equipaggio la fiducia e la certezza, prendendo tutte le disposizioni utili per portare a salvataggio il relitto. Bell'esempio di virtù militari, e di sentimento del dovere. (Mediterraneo Centrale, 24 -29 marzo 1943)."
 
La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita al guardiamarina Fioravanti Tartuffo, nato a Pietra Ligure il 28 dicembre 1921:
 
"Comandante di motozattera, appena rientrato da missione verso base avanzata si offriva volontariamente per coadiuvare altro comandante che riusciva immediatamente per salvataggio naufraghi. Saltata l'unità su mina e asportata la poppa, per 5 giorni in mare tempestoso, coadiuvava con fermo coraggio il comandante per cercare con tutti i mezzi il salvataggio del rottame alla deriva. Magnifico esempio di virtù militari e di sentimento del dovere. (Mediterraneo Centrale, 24-29 marzo 1943)."
 
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sergente nocchiere Anchise Coli (nato a Monte Argentario il 7 luglio 1919), al sergente cannoniere Luigi Nocera (nato a Castellammare di Stabia il 3 giugno 1914), ai marinai nocchieri Giovanni Puma (nato a Pozzallo il 4 gennaio 1920) e Giuseppe Bologna (nato a Palermo il 1° gennaio 1919), al marinaio cannoniere puntatore mitragliere Davide Manfrini (nato a Rovereto il 1° dicembre 1922)
 
"Con sereno spirito di abnegazione ed entusiasmo, appena rientrato da una missione verso base avanzata, riprendeva subito il mare per tentare il salvataggio di naufraghi. Sinistrata la nave per esplosione su mina, durante cinque giorni di navigazione alla deriva, con mare tempestoso fra stenti e privazioni, mostrava di possedere forti virtù militari e marinaresche, rendendosi di valido aiuto a bordo. (Mediterraneo Centrale, 24-29 marzo 1943)."
 
Alla memoria dei dieci caduti venne conferita la Croce di Guerra al Valor Militare.
 
 
Nonostante i gravissimi danni, la MZ 783 venne ritenuta ancora riparabile, e da Arbatax fu portata a Livorno, dove entrò in cantiere per i lavori di ricostruzione della poppa. I lavori erano ancora lungi dal completamento quando l’8 settembre 1943 venne annunciato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, e l’indomani Livorno fu occupata dalle truppe tedesche; al pari delle altre unità che vi si trovavano in lavori ed erano impossibilitate a muovere (le corvette Antilope, Artemide e Camoscio, più le corvette Alce, Capriolo, Cervo, Renna, Daino e Stambecco ed i cacciatorpediniere Carrista, Corsaro II, Comandante Margottini, Comandante Borsini e Comandante Baroni, ancora in costruzione od in allestimento), la MZ 783 cadde così in mano tedesca e venne incorporata nella Kriegsmarine con il nuovo nome di F 2783 (per altra fonte, F 4777, ma sembra probabile un errore).
 
Assegnata alla 2. Landungsflottille, se ne perdono le tracce: dalla documentazione tedesca non emerge alcuna notizia sulla sua sorte successiva alla cattura. Con ogni probabilità, i lavori di riparazione non furono mai completati, ed il moncone di motozattera rimase inutilizzato a Livorno finché non fu distrutto da uno degli innumerevoli bombardamenti angloamericani che devastarono la città toscana nel 1943-1944, o venne autoaffondato dai tedeschi come ostruzione prima della loro ritirata nel luglio 1944.
 
 

venerdì 1 settembre 2023

Algerino

L'Algerino (Coll. Giorgio Spazzapan)

Piroscafo da carico di 1370,78 tsl e 792,74 tsn, lungo 68,52-72,8 metri, largo 10,51 e pescante 3,64-3,81, con velocità di 9,53 nodi. Di proprietà della Società Anonima di Navigazione Tripcovich & C. di Trieste, iscritto con matricola 257 al Compartimento Marittimo di Trieste, nominativo di chiamata IJLG.
 
Breve e parziale cronologia.
 
11 ottobre 1920
Varato presso i cantieri Vulcan-Werke A.G. di Amburgo (numero di costruzione 680) come Cairo.
16 febbraio 1921
Completato come Cairo per la Hamburg Amerikanische Packetfahrt Aktien Gesellschaft (HAPAG) di Amburgo, nota anche come Hamburg-Amerika Linie. Porto di registrazione Amburgo, stazza lorda originaria 978 o 987 tsl (in seguito portata a 1414 tsl), netta 530 o 446 tsn, portata lorda 1350 tpl, dislocamento 2475 tonnellate.
In gestione alla Deutsche Levante Linie di Amburgo, una controllata della HAPAG; ha una nave gemella, l'Aleppo, che andrà perduta per collisione dopo soli tre anni di servizio.
1924
Il porto di registrazione viene cambiato da Amburgo a Brema.
28 o 30 maggio 1925
Acquistato dalla Bugsier Reederei und Bergungs A. G. di Amburgo e ribattezzato Holstenau.
4 giugno 1926
Acquistato dall'armatore Danilo Tripcovich di Trieste (o Società Anonima di Navigazione, Rimorchi e Salvataggi D. Tripcovich) e ribattezzato Algerino.
Stazza lorda e netta sono 978 tsl e 446 tsn.
1928
Stazza lorda e netta risultano essere 987 tsl e 530 tsn; l'armatore ha mutato ragione sociale in Compagnia Generale di Navigazione D. Tripcovich. Nominativo di chiamata NCPI.
1932
Altro cambio di ragione sociale dell'armatore, che diviene D. Tripcovich & C. Società Anonima di Navigazione, Rimorchi e Salvataggi.
1935
Il nominativo di chiamata diviene IJLG.
1936
Nuovo cambio di ragione sociale dell’armatore: "Tripcovich" Servizi Marittimi del Mediterraneo.
1938
L'armatore ritorna ad essere D. Tripcovich & C. Società Anonima di Navigazione, Rimorchi e Salvataggi.
22 settembre 1940
L'Algerino ed i piroscafi Silvano e Doris Ursino salpano da Tripoli per Palermo alle 14.30. Li scorta fino al tramonto la torpediniera Orsa, poi rilevata dalla torpediniera Aldebaran.
24 settembre 1940
In seguito ad allarme per sommergibili, alle dieci la scorta viene rinforzata dalle torpediniere Altair e Sagittario.
26 settembre 1940
Il convoglio raggiunge Palermo alle 7.30.
27 luglio 1942
Requisito a Cagliari dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
8 agosto 1942
Verso mezzogiorno l'Algerino viene avvistato dal sommergibile britannico P 42 (poi Unbroken; tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars) mentre è in navigazione senza scorta lungo la costa, a sud di Capo Bonifati ed al largo di Capri (secondo una fonte stava rientrando dall'Africa in zavorra). Mars identifica l'Algerino come una nave da carico costiera (“coastal tramp”) di circa 2000 tsl, in navigazione di conserva con un peschereccio d’altura di moderna costruzione.
Alle 12.23, in posizione 39°23' N e 15°56' E, il P 42 lancia un siluro contro l'Algerino da 915 metri di distanza (gli ordini sono di lanciare una salva di siluri soltanto contro bersagli di medio-grande tonnellaggio), per poi allontanarsi in previsione di un contrattacco che però non si verifica. Il siluro non va a segno.
26 agosto 1942
L'Algerino salpa da Palermo alle 00.00 diretto a Tripoli, da solo e senza scorta. I decrittatori britannici di “ULTRA” intercettano un messaggio in codice da cui apprendono che la nave è attesa a Tripoli, ma la sua navigazione non sarà comunque molestata.
29 agosto 1942
Arriva a Tripoli alle otto, dopo aver percorso le rotte costiere della Tunisia.
4 settembre 1942
Salpa da Tripoli per Suda alle 21, da solo e senza scorta.
7 settembre 1942
Arriva a Suda alle otto.
4 ottobre 1942
L'Algerino lascia Tripoli alle 21 diretto a Napoli via Susa, con la scorta della torpediniera Generale Antonino Cascino. Questa lo accompagna però soltanto fino a Lampedusa.
7 ottobre 1942
Arriva a Susa alle otto del mattino, sostandovi per due giorni.
9 ottobre 1942
Lascia Susa alle tre di notte.
11 ottobre 1942
Arriva a Napoli alle 12.15.
22 ottobre 1942
L'Algerino lascia Trapani per Tripoli alle 15.20, scortato dalle torpediniere Centauro (caposcorta) e Cigno (di pattugliamento).
26 ottobre 1942
Arriva a Tripoli alle tre di notte.
2 novembre 1942
Iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato nella categoria delle navi onerarie, a partire dalle 00.00.
 
L'affondamento
 
Alle otto di sera del 24 novembre 1942 l'Algerino, al comando del sottotenente di vascello militarizzato Ettore Natale, salpò da Tripoli diretto a Buerat el Hsun con un carico di munizioni, scortato dalla cannoniera-cacciasommergibili Eso (tenente di vascello Gian Battista Garrone). In seguito alla sconfitta di El Alamein, il porticciolo di Buerat era il più vicino alla nuova, effimera linea del fronte stabilita dall’armata italo-tedesca in ritirata attraverso la Libia; cadute Tobruk e Bengasi il 13 ed il 20 novembre, il traffico di cabotaggio che per anni, partendo da Tripoli, aveva alimentato le truppe dell'Asse attraverso i porti più avanzati era ormai in via di esaurimento.
Secondo una fonte britannica (il libro "The Armed Rovers" di Roy Conyers Nesbit) avrebbero fatto parte del piccolo convoglio anche due motozattere tipo MZ/MFP, ma di esse non si fa menzione nella storia ufficiale dell'USMM.
 
Intorno alle dieci del mattino del 25 novembre il convoglio, che seguiva la rotta costiera, venne attaccato al largo di Zliten, tra Homs e Misurata, da quelli che da bordo delle navi vennero identificati come sei bombardieri; in realtà gli attaccanti erano otto, cacciabombardieri Bristol Beaufighter del 227th Squadron della Royal Air Force, decollati dalla base maltese di Ta’ Qali e guidati dal tenente colonnello Cedric Masterman. Quattro Beaufighters erano armati con due bombe da 500 libbre (227 kg) ciascuno, gli altri quattro non portavano bombe ed erano incaricati di sopprimere il fuoco contraereo delle navi.
Gli attaccanti abbatterono il solitario aereo di scorta antisommergibili alle navi ed attaccarono queste ultime con lancio di bombe; l'Eso aprì il fuoco sia con l’armamento contraereo che con quello principale, ma il suo fuoco sembrò in parte essere “soppresso” dagli attacchi dei quattro Beaufighter senza bombe, a giudizio dei piloti. Il sergente Casimir Marmaduke “Cas” de Bounevialle si avvicinò con il suo Beaufighter fino a sessanta metri senza notare alcun tiro contraereo, ma dovette invece notarlo il tenente canadese John Archibald Rae, il cui Beaufighter, colpito da schegge di proiettili contraerei, fu costretto ad effettuare un atterraggio d’emergenza a Ta’ Qali.
Nessuno degli ordigni colpì direttamente l'Algerino, ma una salva di bombe, esplose in mare a ridottissima distanza, danneggiarono lo scafo causando infiltrazioni che le pompe non furono in grado di contenere, tanto che in poco tempo l’acqua raggiunse i forni delle caldaie, spegnendoli. (Le bombe erano probabilmente quelle sganciate dal capitano canadese Dallas Wilbur Schmidt, che ritenne erroneamente di aver colpito l'Algerino con una bomba sulla prua; Schmidt era uno dei migliori piloti di Beaufighter di Malta, e nei mesi precedenti aveva già affondato il piroscafo Carbonia e la nave cisterna Sanandrea).
 
In via di lento affondamento, l'Algerino venne preso a rimorchio dall'Eso, che tentò di riportarlo a Tripoli, ma alle 18.30 dovette essere portato all’incaglio su un bassofondale, a 150 metri dalla riva, nel tentativo di scongiurarne l’affondamento. Tutto inutile; la nave affondò nella notte, entro le undici del 26 novembre giaceva completamente sul fondale con il castello a fior d’acqua, in posizione 32°26' N e 14°48' E (a 14 miglia per 104° da Zliten ed una dozzina di miglia ad ovest di Misurata).
Non vi furono vittime, anche se parecchi membri dell’equipaggio rimasero feriti, fortunatamente nessuno in modo grave.
 
Nel diario del Comando Supremo italiano, dopo la notizia della perdita dell'Algerino, è annotata la seguente precisazione: “Bastico aveva espresso al Comando tedesco parere contrario che detto piroscafo fosse impiegato nel cabotaggio libico lungo la Sirtica data esperienza scorso anno in cui erasi dovuto sospendere tale cabotaggio per gravissime perdite subite”.
Alberto Santoni, nel suo libro "Il vero traditore", riferisce che il 22 novembre i decrittatori di “ULTRA” intercettarono messaggi dell'Asse da cui appresero che l'Algerino, al pari di altri piroscafi di simile tonnellaggio (l'Emilio Morandi, il Torquato Gennari ed il tedesco Salona), aveva ricevuto il 18 novembre l’ordine di caricare munizioni e carburante a Tripoli per portarle a Buerat, e che il 25 novembre “ULTRA” aveva decrittato altre comunicazioni sulla base delle quali aveva potuto informare i Comandi britannici che “l'Algerino e due mezzi da sbarco scortati da un cacciasommergibili sono partiti da Tripoli alle 20.00 del 24”. Tuttavia, in considerazione del fatto che quest’ultima decrittazione, l’unica da cui si potessero trarre informazioni utili per pianificare un attacco, venne compiuta soltanto il 25 novembre, e che l'Algerino fu attaccato il mattino di quel giorno, Santoni ritiene improbabile che l’intercettazione del piroscafo sia riconducibile all’operato di “ULTRA”.
 
Il volume USMM "Navi mercantili perdute" attribuisce erroneamente la perdita dell'Algerino al sommergibile britannico Umbra, mentre "La difesa del traffico con l'Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", anch’esso dell'USMM, descrive correttamente la sua perdita per attacco aereo.
 
 

giovedì 10 agosto 2023

Gloriastella

Il Gloriastella sotto il precedente nome di Klipfontein (da www.rdm-archief.nl)

Piroscafo da carico di 5489,98 tsl, 2940,91 tsn e 9570 tpl, lungo 122,45-127,71 metri, largo 17,68-17,79 e pescante 8,05-9,14, con velocità di crociera di 10 nodi e massima di 12-13 nodi. Di proprietà dei Fratelli Rizzuto di Napoli, iscritto con matricola 2137 al Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata radio IBIS.
Aveva tre ponti e le quattro stive per una capacità complessiva di 13.220 metri cubi (13.904 metri cubi di grano, 12.629 metri cubi di balle), sette paratie trasversali di cui sei arrivavano al ponte di coperta. Spesso il suo nome è erroneamente menzionato come "Gloria Stella".
 
Breve e parziale cronologia.
 
23 ottobre 1920
Impostato nei cantieri della Rotterdamsche Droogdok Maatschappij N.V. di Rotterdam (numero di cantiere 79).
8 febbraio 1922
Varato come Klipfontein nei cantieri della Rotterdamsche Droogdok Maatschappij N.V. di Rotterdam.


Sopra, lo scafo del Klipfontein nelle fasi iniziali della costruzione, e sotto, l’invito al varo (da www.rdm-archief.nl)


10 aprile 1922
Completato come piroscafo misto Klipfontein (oltre alle merci, può trasportare anche 38 passeggeri) per la N.V. Nederlandsche Zuid-Afrikaansche Stoomvaart-Maatschappij Holland-Zuid Afrika Lijn (nota internazionalmente come Holland-Africa Line o Holland-South Africa Line), con sede ad Amsterdam (per altra fonte, a Rotterdam). Nominativo di chiamata radio PHKB (per altre fonti PHBK o PBHK, ma i Lloyd’s Register attestano che la sigla corretta era PHKB), porto di registrazione Amsterdam, stazza lorda e netta 5544 tsl e 3088 tsn (stazza “aperta” mentre la stazza lorda e netta “chiuse” risulterebbero essere 7063 tsl e 4423 tsn), portata lorda 8701 tpl.
In servizio sulla linea tra i Paesi Bassi ed il Sudafrica. Insieme al più grosso piroscafo Springfontein, il Klipfontein è stato ordinato dalla Holland-Zuid Afrika Lijn grazie a sussidi concessi dal governo olandese.

Il Klipfontein a Città del Capo a inizio anni Trenta (John H. Marsh Maritime Research Centre – Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net)

1931
In gestione alla Directie en Agentuur Maatschappij Holland-Afrika Lijn N.V., senza cambiare armatore.

Il Klipfontein a Mombasa (da “Shipping Wonders of the World”, via www.wrecksite.eu)

1932
È comandante del Klipfontein il capitano V. Otterloo.

(Coll. D. Pilkes, via www.marhisdata.nl)

1932
Venduto alla N.V. Vereenigde Nederlandsche Scheepvaartmaatschappij (V. N. S.), con sede all’Aia, che gestisce i servizi di linea tra i Paesi Bassi e l’Africa Orientale e che ha acquisito il controllo della Holland-Zuid Afrika Lijn (con la quale aveva un rapporto di stretta collaborazione fin dal 1924), posta in liquidazione a causa della Grande Depressione (ma già da lungo tempo in difficoltà a causa della concorrenza delle più economiche compagnie tedesche attive sulla medesima tratta: per questo, già da tempo la V.N.S. ne aveva di fatto assunto il controllo). Di fatto la V.N.S. assorbe completamente la Holland-Zuid Afrika Lijn, di cui però mantiene attivo il “marchio”, trasferendo direttamente nella propria flotta soltanto una parte delle sue navi, mentre altre continuano a navigare per la Holland-Zuid Afrika Lijn.
Il porto di registrazione del Klipfontein diventa l’Aia, nominativo di chiamata radio TFKC. Rimane in gestione alla Directie en Agentuur Maatschappij Holland-Afrika Lijn N.V.


(Coll. Marien Lindenborn, via www.marhisdata.nl)


1933
Stazza lorda e netta diventano 5551 tsl e 3127 tsn, portata lorda 9420 tpl.

6 marzo 1935
Posto in disarmo ad Amsterdam.

Maggio 1935
Acquistato dai Fratelli Rizzuto (Giuseppe & Salvatore Rizzuto) di Napoli (o Roma) e ribattezzato Gloriastar. Iscritto con matricola 161 al Compartimento Marittimo di Roma.
Il Gloriastar è tra le decine di navi mercantili (48 per un totale di 271.477 tsl, secondo un articolo pubblicato nel gennaio 1936 sul numero 61 della rivista "Trasporti e lavori pubblici") acquistate all’estero da armatori italiani pubblici e privati nel corso del 1935 per far fronte alle esigenze della guerra d’Etiopia senza andare a distogliere il tonnellaggio preesistente dai commerci internazionali e dai servizi di linea. Poco dopo l’acquisto, i Fratelli Rizzuto noleggiano il Gloriastar alla Tirrenia di Navigazione, che lo adibisce al trasporto di mezzi e materiali in Africa Orientale.
Tra l’altro, il Gloriastar trasporta in Africa Orientale velivoli smontati per la Regia Aeronautica, tra cui i nuovissimi bombardieri trimotori Savoia Marchetti S.M. 81: gli aerei, giunti a Napoli in volo ed atterrati alla base di Capodichino, vengono smontati per il trasporto sui piroscafi: ali e timoni vengono imballati in appositi colli, mentre le fusoliere vengono trainate od anche spinte a mano per le strade di Napoli sui loro carrelli fino al molo Angioino, dove sono issate in coperta e coperte con teloni per proteggerle dalla salsedine. All’arrivo a Massaua, gli aerei vengono rimontati dalle Squadre Riparazioni Aeromobili e Motori (SRAM) dell’Aeronautica.

Un’altra immagine della nave come Klipfontein (da www.rdm-archief.nl)

1936
Ribattezzato Gloriastella (probabilmente in ossequio alla campagna lanciata dal regime contro l’utilizzo di termini stranieri nella lingua italiana).
Dopo la fine della guerra d’Etiopia viene noleggiato per qualche tempo al Lloyd Triestino, che lo impiega sulle linee per l’Estremo Oriente.
Settembre 1937
Il Gloriastella trasporta in Perù alcuni aerei da caccia smontati ed una commissione di 40 tra tecnici ed avieri, ufficialmente per presenziare ad una commemorazione organizzata dal governo peruviano in memoria dell’aviatore franco-peruviano Georges Antoine Chavez (morto nel 1910 nello schianto del suo aereo vicino a Domodossola, al termine della prima trasvolata delle Alpi mai compiuta), ma in realtà anche per introdursi nella Prima Conferenza Tecnica Interamericana di Aviazione – promossa dall’Unione Panamericana e tenuta a Lima dal 15 al 25 settembre con la partecipazione di delegazioni nazionali di dodici Paesi delle Americhe nonché di tre Paesi “osservatori” extraamericani (Italia, Germania e Regno Unito) – e reclamizzare in tale occasione gli aerei italiani, nel quadro della crescente penetrazione economica italiana (specie nel settore militare) in Sudamerica (nella fiera di materiale aeronautico allestita nell’ambito della conferenza, l’Italia mette in mostra i prodotti della Caproni – tra cui il nuovo bombardiere Ca. 309 "Ghibli" –, della Savoia Marchetti e della FIAT).
La conferenza finisce così con il trasformarsi in una sorta di competizione tra l’Italia, le cui industrie aeronautiche sono già da qualche tempo tra le principali fornitrici di bombardieri per l’Aeronautica peruviana, e gli Stati Uniti, che hanno mandato in visita a Callao la portaerei Ranger con 78 velivoli in occasione della conferenza. Ne consegue una sorta di manifestazione aerea “promozionale” che contrappone italiani e statunitensi, con due strategie sensibilmente differenti per impressionare il pubblico sudamericano: 66 aerei decollati dalla Ranger sorvolano e manovrano in perfetta formazione sui cieli di Lima, mentre gli aerei italiani – quelli portati smontati dal Gloriastella e montati sul posto, dove poi saranno venduti all’Aeronautica peruviana – si lanciano in acrobazie che destano profonda impressione nei delegati dei vari Paesi latinoamericani. La “vittoria” sembra andare agli italiani, che stando ai resoconti dell’epoca “rubano la scena” agli americani ed a conclusione del tutto stipulano un contratto per la vendita di sei bombardieri al Perù, mentre gli statunitensi non vendono niente.

Il Gloriastella a Montevideo in una foto del 20 novembre 1937 (foto Raul Maya, via Coll. W. A. Schell e www.marhisdata.nl)

Febbraio-Marzo 1938
Il Gloriastella trasporta da Buenos Aires a Napoli, dove arriva il 4 marzo, gli equipaggi (in totale 11 ufficiali, 20 sottufficiali e 14 avieri, più due operai) dei dodici caccia che hanno partecipato a Lima alle onoranze tributate a Georges Chavez. Insieme ad essi arrivano sul Gloriastella anche sei ufficiali piloti uruguaiani ed uno cileno, giunti in visita in Italia.
1938
Il Compartimento Marittimo di iscrizione del Gloriastella diventa Genova.
28 maggio 1940
Requisito dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
29 giugno 1940
Derequisito dalla Regia Marina.
5 luglio 1940
Nuovamente requisito dalla Regia Marina, sempre senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
27 luglio 1940
Il Gloriastella salpa da Napoli alle 5.30 diretto a Tripoli, in convoglio con i piroscafi Maria EugeniaBainsizza  e le motonavi MaulyCol di Lana, Città di Bari e Francesco Barbaro, nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» (T.V.L.), finalizzata all’invio in Libia di truppe e materiali dell’Esercito e dell’Aeronautica con tre convogli fortemente scortati. Le otto navi formano il convoglio lento (numero 1) dell’operazione, avente velocità 7,5 nodi, la cui scorta diretta consiste nelle torpediniere Procione (caposquadriglia), OrsaOrione e Pegaso della IV Squadriglia.
A protezione di questo e di un secondo convoglio diretto a Bengasi (quello veloce, numero 2, partito da Napoli nella notte tra il 28 ed il 29 e che procede a 16 nodi: trasporti truppe Marco PoloCittà di Palermo e Città di Napoli, torpediniere Circe, Climene, Centauro e Clio poi sostituite da AlcioneAironeAretusa ed Ariel) contro un’eventuale sortita della Mediterranean Fleet da Alessandria d’Egitto saranno in mare, dal 30 luglio al 1° agosto (nella parte più pericolosa della traversata), gli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia del comandante della 2a Squadra Navale, ammiraglio Riccardo Paladini, comandante superiore in mare), ZaraFiumeGorizia (I Divisione) e Trento (della III Divisione), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano della IV Divisione e Luigi di Savoia Duca degli AbruzziEugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo della VII Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (AlfieriOrianiGiobertiCarducci), XII (LanciereCorazziereCarabiniereAlpino), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAscari) e XV (PigafettaMalocelloZeno). Sempre a copertura di questi movimenti, viene anche ordinato di potenziare lo schieramento dei sommergibili nei due bacini del Mediterraneo (23 unità in tutto) e vengono disposte capillari ricognizioni con aerei della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea.
Il terzo convoglio dell’operazione T.V.L. (numero 3), partito da Trapani e diretto a Tripoli alla velocità di 10 nodi, è composto dai piroscafi Caffaro e Bosforo scortati dalle torpediniere VegaPerseoCascino e Papa.
28 luglio 1940
A seguito dell’avvistamento di notevoli forze navali britanniche uscite in mare sia da Alessandria (il grosso della Mediterranean Fleet, nel Mediterraneo orientale) che da Gibilterra (l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Valiant e Resolution e le portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette verso il Mediterraneo centrale, i due convogli dell’operazione T.V.L. ricevono ordine da Supermarina di rifugiarsi immediatamente nei porti della Sicilia.
Il convoglio lento viene dirottato su Catania, dove giunge in serata e dove sosta per due giorni.
30 luglio 1940
Passata la minaccia, il convoglio riparte in mattinata da Catania, con il rinforzo della X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco). Al contempo prendono in mare le succitate forze navali dell’ammiraglio Paladini.
Intorno alle 14 il convoglio viene attaccato, una ventina di miglia a sud di Capo dell’Armi (ed a sudovest di Capo Spartivento), dal sommergibile britannico Oswald (capitano di corvetta David Alexander Fraser), che lancia alcuni siluri contro il Grecale e la Col di Lana: il cacciatorpediniere riesce però a schivare le armi, che mancano anche la motonave. (La data dell’attacco è tuttavia visibilmente incongruente con quella della partenza del convoglio da Catania: ad ora l’autore non ha trovato una spiegazione, se non che una delle due date dev’essere errata). L’Oswald lancia via radio un segnale di scoperta relativo al convoglio.
Siccome il convoglio veloce («Marco Polo») ha cambiato destinazione da Tripoli a Bengasi, parte delle forze navali di copertura (gli incrociatori pesanti più la VII Divisione e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere) si portano in posizione idonea a proteggerlo contro minacce provenienti da est. La IV Divisione con i relativi cacciatorpediniere è invece incaricata della protezione del convoglio lento, di cui fa parte il Gloriastella.


Altre due immagini della nave quando si chiamava Klipfontein (sopra: Coll. Marien Lindenborn, via www.marhisdata.nl; sotto: da www.vns-voe.nl)


31 luglio 1940
In serata, essendo ormai i convogli al sicuro da puntate offensive delle forze di superficie britanniche, il gruppo dell’ammiraglio Paladini inverte la rotta e rientra alle basi; lo stesso fa, a mezzanotte, la IV Divisione, che dirige per il rientro ad Augusta, essendo anche il convoglio lento fuori pericolo. La X Squadriglia Cacciatorpediniere viene invece tenuta in crociera protettiva a metà strada tra i convogli 1 e 3 e Malta.
1° agosto 1940
Il convoglio raggiunge indenne Tripoli alle 9.45.
2 agosto 1940
Alle 8.30 Gloriastella, Maria EugeniaMaulyCaffaroCol di Lana e Città di Bari ripartono da Tripoli alla volta di Bengasi, con la scorta della IV Squadriglia Torpediniere (OrsaProcioneOrione e Pegaso).
4 agosto 1940
Il convoglio raggiunge Bengasi a mezzogiorno.
12 agosto 1940
Il Gloriastella salpa da Bengasi per Tripoli alle 19, insieme a Maria Eugenia, Mauly e Col di Lana, con la scorta della torpediniera Pegaso.
15 agosto 1940
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 10.10.
Successivamente il Gloriastella ritorna in Italia.
20 agosto 1940
Gloriastella e Maria Eugenia salpano da Palermo per Tripoli alle due di notte, scortati dalla torpediniera Orsa.
22 agosto 1940
Il convoglio giunge a Tripoli alle 17.
7 settembre 1940
Gloriastella, Maria Eugenia ed il piroscafo Ogaden partono da Napoli per Tripoli alle 7.30, scortati dalla torpediniera Orione in aggiunta alla quale durante il viaggio si alterneranno anche varie unità dei comandi locali. Le navi trasportano truppe, rifornimenti e veicoli per la X Armata, che di lì a pochi giorni lancerà un’offensiva in Egitto.
Qualche ora dopo la partenza, il convoglio viene dirottato a Palermo in seguito ad un allarme nella zona.
8 settembre 1940
Il convoglio arriva a Palermo a mezzogiorno.
9 settembre 1940
Il convoglio riparte da Palermo alle 20.
12 settembre 1940
Arriva a Tripoli alle 11. 
14 settembre 1940
Gloriastella e Maria Eugenia lasciano Tripoli per Bengasi alle 17.30, scortati dalla torpediniera Fratelli Cairoli.
16 settembre 1940
Gloriastella, Maria Eugenia e Fratelli Cairoli giungono a Bengasi alle 19.30; i due piroscafi iniziano subito a scaricarvi i rifornimenti trasportati.
Bombe su Bengasi
 
Il mattino del 15 settembre 1940 un ricognitore Short Sunderland del 230th Squadron della Royal Air Force, in volo di ricognizione di routine nel Golfo della Sirte, avvistò il Gloriastella ed il Maria Eugenia, scortati dalla torpediniera Fratelli Cairoli, in navigazione verso Bengasi. Dopo essere stato informato di questo avvistamento il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, decise di lanciare un attacco aereo contro il porto di Bengasi, per colpire il convoglio avvistato ed altro naviglio italiano che vi si trovava ormeggiato, in modo da ostacolare le operazioni della X Armata italiana, che due giorni prima aveva varcato il confine con l’Egitto occupando Sollum e marciando verso Sidi el Barrani.
Il compito di attaccare Bengasi fu affidato ai biplani Fairey Swordfish della Fleet Air Arm imbarcati sulla portaerei Illustrious (capitano di vascello Denis William Boyd, nave ammiraglia del contrammiraglio Arthur Lumley St. George Lyster, comandante delle portaerei della Mediterranean Fleet e comandante superiore in mare; per altra fonte comandante della forza britannica sarebbe invece stato il viceammiraglio John Cronyn Tovey, comandante della Light Force della Mediterranean Fleet e vicecomandante della stessa Mediterranean Fleet), che alle tre del pomeriggio del 15 settembre lasciò Alessandria d’Egitto insieme alla corazzata Valiant (capitano di vascello Henry Bernard Hughes Rawlings, facente funzioni di contrammiraglio), all’incrociatore leggero Orion ed ai cacciatorpediniere HyperionHastyHeroNubianMohawkWaterhen (australiano) e Decoy. La formazione era suddivisa in due gruppi: la Forza A, incaricata dell’attacco, con IllustriousOrion ed i cacciatorpediniere Hasty, Hero, Nubian e Mohawk, e la Forza B, composta dalla Valiant con i cacciatorpediniere Hyperion, Decoy e Waterhen, con il compito di scortare la Forza A.
Come di consueto per i britannici, l’attacco aereo su Bengasi fu inserito in una più vasta operazione complessa, denominata "MBD. 1", che prevedeva anche un bombardamento navale della piazzaforte cirenaica di Bardia: ad effettuare quest’ultimo sarebbe stata la Forza C, al comando del contrammiraglio Edward de Faye Renouf, partita da Alessandria il 13 settembre per operazioni in Mar Egeo e composta dall’incrociatore pesante Kent (nave ammiraglia di Renouf), dagli incrociatori leggeri Liverpool e Gloucester e dai cacciatorpediniere Jervis ed Hereward. Prima, però, la Forza C era incaricata di posizionarsi 20-25 miglia a sud dell’Illustrious come forza di sostegno per l’attacco su Bengasi: si congunse pertanto alle navi partite da Alessandria alle 14.30 del 16 settembre, ad ovest di Creta.
Dopo il tramonto la Forza B si separò dal gruppo principale per portarsi in posizione di copertura più ad est, mentre le Forze A e C giunsero alle 21 dello stesso giorno nel punto 33°45' N e 20°00' E, cento miglia a nordest di Bengasi, e mezz’ora più tardi i quindici Swordfish iniziarono a decollare dal ponte di volo dell’Illustrious: per primi nove aerei dell’815th Squadron della Fleet Air Arm, seguiti quattro minuti più tardi da sei dell’819th Squadron. Dopo che l’ultimo aereo fu decollato, le navi britanniche assunsero rotta verso sud-sud-est, per rientrare ad Alessandria.
 
Biplani dall’aspetto antiquato, gli Swordfish erano aerei versatili, impiegabili sia come bombardieri che come aerosiluranti, e si erano già rivelati ben più letali di quanto il loro aspetto non avrebbe lasciato supporre: nei precedenti due mesi, in quattro attacchi sui porti di Tobruk ed Augusta e nel Golfo di Bomba, avevano affondato quattro cacciatorpediniere (Nembo, Ostro, Zeffiro e Leone Pancaldo), un sommergibile (l’Iride), una nave ausiliaria (la Monte Gargano) e due mercantili (Manzoni e Sereno) e danneggiato gravemente un altro cacciatorpediniere (l’Euro) e due mercantili (Liguria e Serenitas), senza quasi subire perdite. In queste incursioni gli Swordfish erano stati sempre impiegati come aerosiluranti, ma nessuno degli aerei assegnati all’attacco su Bengasi fu armato di siluro: nove degli Swordfish, appartenenti all’815th Squadron della Fleet Air Arm (capitano di fregata Robert Alexander Kilroy) e suddivisi in due gruppi, furono incaricati di attaccare le navi in porto con bombe dirompenti da 227 e 114 kg ed incendiarie da 45 kg, mentre gli altri sei, dell’819th Squadron (capitano di corvetta John William Hale), di posare ciascuno una mina magnetica Mk I da 680 kg all’imboccatura del porto.
Le condizioni meteorologiche erano favorevoli per un attacco, con buona visibilità fino a 6-7 km (grazie anche alla luna al primo quarto, sorta alle 23.30), mare calmo e vento debole da nordest. La temperatura era di 18° C.
Dopo il decollo dal ponte della Illustrious, gli aerei dell’815th Squadron si divisero in volo nelle due formazioni previste, puntando con rotta diretta su Bengasi.
Alle 21.15 la piazzaforte di Bengasi fu messa in allarme in seguito ad un bombardamento aereo che aveva colpito l’aeroporto di Benina, ad una trentina di chilometri dalla città (si trattava di un’incursione da parte di bombardieri Bristol Blenheim, non legata all’operazione "MBD. 1", che distrusse a terra un trimotore Savoia Marchetti S.M. 81), ma a questo non fece seguito il preallarme della Difesa Contraerea Territoriale, che, non avendo potuto far uscire in mare i motopescherecci assegnati al servizio di vigilanza foranea, non fu in grado di avvistare gli Swordfish che arrivavano da nordest, dal mare.
 
Il porto di Bengasi, quella sera, era pieno come un uovo: in uno specchio d’acqua di 16.000 metri quadri erano all’ormeggio ben 32 navi di ogni tipo e dimensione, 17 mercantili (tra cui Gloriastella, Maria Eugenia, i piroscafi Mira, Santa Chiara e Snia Amba, le motonavi Città di Livorno e Francesco Barbaro ed il rimorchiatore d’altura Salvatore Primo) e 15 militari (tra cui i cacciatorpediniere Turbine, Aquilone e Borea, le torpediniere Abba, Cigno, Cascino e Cairoli e la nave ospedale California), comprese quelle minori e d’uso locale, con saturazione pressoché totale dei posti d’ormeggio, tanto che si rese necessario ormeggiare le navi “di punta” ai moli per occupare il minor spazio possibile. Un bersaglio perfetto: a sganciare in quella folla di navi ferme si era praticamente certi di fare centro, e le navi mercantili e militari erano così vicine le une alle altre che colpendone una c’erano buone probabilità di arrecare danni anche a quelle vicine, come poi avvenne.
Il Gloriastella era ormeggiato al Molo Sottoflutto, insieme alla torpediniera Cigno, al cacciatorpediniere Borea ed alla motonave Città di Livorno: le quattro navi erano ormeggiate di punta, affiancate, nell’ordine da sinistra a destra (cioè da nordovest verso sudest, dato l’orientamento di quel molo) Gloriastella, Cigno, Borea e Città di Livorno. Al Molo Principale erano ormeggiati i cacciatorpediniere Turbine ed Aquilone sul lato orientale, ed il Maria Eugenia, la nave ospedale California ed il rimorchiatore da salvataggio Salvatore Primo sul lato occidentale.
 
Gli Swordfish giunsero sul cielo di Bengasi alle 00.30 del 17 settembre, avvicinandosi al porto volando ad una quota di 2000 metri; una volta giunti sull’obiettivo scesero a 200 metri di quota per poi compiere non visti, con tutta calma, un ampio giro sul porto, allo scopo di localizzare i bersagli con maggior precisione prima di attaccare. Alle 00.57 del 17 settembre (00.55 secondo il volume USMM "Navi mercantili perdute"), senza che nessuno li avesse ancora avvistati (la contraerea aprì poi il fuoco in ritardo, senza riuscire a colpire alcun aereo sebbene «ben diretta per la buona visibilità e l’intensa saturazione di area» secondo lo storico Franco Prosperini), gli aerei britannici passarono all’attacco, in due ondate. Tra le navi in porto, colte di sorpresa, la torpediniera Cigno fu la prima ad aprire il fuoco, prima delle batterie contraeree situate a terra.
Gli aerei della prima ondata sorvolarono il porto da sudovest verso nordest, sorvolando ad una cinquantina di metri la nave ospedale California, ormeggiata al Molo Principale e chiaramente riconoscibile perché illuminata, e sganciarono le loro bombe sulle navi ormeggiate al Molo Sottoflutto. Le bombe andarono a segno con tremenda precisione: il Gloriastella fu colpito in pieno nel primo passaggio, effettuato alle 00.57, insieme alla torpediniera Cigno, che rimase danneggiata gravemente con decine di morti e feriti tra il suo equipaggio (la quasi totalità delle perdite umane causate dal bombardamento si registrarono tra gli uomini della Cigno). Da terra due aerei, provenienti dal mare, furono visti sorvolare la California con rotta parallela al Molo Sottoflutto e poi colpire con le loro bombe il Gloriastella e la Cigno; dopo lo sgancio gli Swordfish si allontanarono verso terra e poi ripeterono la corsa d’attacco.
La seconda ondata attaccò contemporaneamente le navi ormeggiate al Molo Principale: nel primo passaggio fu mancato il Maria Eugenia ma vennero colpiti il rimorchiatore Salvatore Primo ed il pontone a biga Giuliana, nessuno dei quali subì però danni gravi; nel secondo passaggio, all’una di notte, furono colpiti ed affondati il Maria Eugenia ed il cacciatorpediniere Borea, mentre subì lievi danni il cacciatorpediniere Turbine. Una bomba cadde senza fare danni tra il Borea e la Città di Livorno.
In tutto, l’incursione non era durata che quattro minuti.
 
Il Gloriastella fu colpito all’inizio dell’incursione da tre bombe, due dirompenti ed una incendiaria: subito prese fuoco, venendo scosso a più riprese da esplosioni alimentate dagli automezzi ancora presenti in coperta e dalle munizioni di piccolo calibro, che lanciarono schegge, pezzi di lamiera ed altri rottami sulla vicina Cigno (aggravando i danni e le perdite causate dalla bomba che l’aveva colpita, ed appiccando un incendio che poté essere estinto solo dopo diverse ore). Il Salvatore Primo, sebbene danneggiato, partecipò ai tentativi di arginare l’enorme incendio, ma non ci fu niente da fare; in condizioni analoghe, poco distante, si trovava anche il Maria Eugenia. Dopo circa tre ore sembrò che si fosse riusciti a domare gli incendi che ardevano sui due piroscafi, ma poi i focolai si riaccesero. Propagandosi attraverso il carburante incendiato che galleggiava sulla superficie del mare, le fiamme minacciarono seriamente di coinvolgere anche la motonave Francesco Barbaro, ormeggiata sottovento rispetto ai piroscafi colpiti; con pronta ed abile manovra, che gli valse la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, il comandante della Barbaro riuscì a portare la sua nave al di fuori della zona pericolosa, facendola poi ormeggiare in un altro e più sicuro punto del porto.
Alla fine, risultati vani tutti gli sforzi di domare gli incendi, sia il Gloriastella che il Maria Eugenia dovettero essere autoaffondati in mattinata per evitare che le fiamme degli incendi raggiungessero i carichi di munizioni contenuti nelle loro stive, provocandone l’esplosione. Dato il bassofondale, i due piroscafi rimasero al di sopra della superficie dal ponte di coperta in su, circondati da «un vero mare di nafta».
Non si ebbero a lamentare vittime tra l’equipaggio del Gloriastella, ma diversi membri dell’equipaggio riportarono ustioni di varia gravità.
I molti feriti delle navi affondate e danneggiate vennero portati sulla nave ospedale California, presente in porto: le sue sale operatorie furono attive tutta la notte ed il mattino successivo.
 
Le distruzioni causate da quell’attacco non erano però finite: nella confusione del bombardamento, nessuno a terra aveva fatto troppo caso alle sagome scure dei sei Swordfish dell’819th Squadron che mentre i loro colleghi bombardavano le navi in porto, avevano gettato le loro sei mine magnetiche a circa 75 metri dall’imboccatura del porto (solo il 18 settembre, ormai troppo tardi per evitare danni, si seppe che qualcuno aveva visto un aereo abbassarsi a posare una mina nell’avamporto).
I devastanti risultati del bombardamento avevano dimostrato la vulnerabilità di Bengasi, come in precedenza di Tobruk (colpita nel luglio precedente da due attacchi di aerosiluranti Swordfish che avevano affondato o danneggiato gravemente una decina di navi), agli attacchi aerei, spingendo all’immediata decisione di decongestionarne il fin troppo affollato porto trasferendo a Tripoli, ritenuta più sicura (in ragione della sua maggiore distanza dalle basi aeree britanniche), parte delle navi rimaste indenni. Non fu estranea a questa decisione la minaccia costituita dagli incendi che ancora ardevano sul Gloriastella e sul Maria Eugenia, che paralizzarono per qualche tempo le attività portuali, e dal mare di nafta che circondava i due relitti.
Nella mattinata stessa del 17 settembre le navi destinate a trasferirsi a Tripoli iniziarono quindi a lasciare Bengasi, ma nell’uscire dal porto capitarono sulle mine posate dagli Swordfish dell’819th Squadron: per prima, alle 11.38, ne urtò una la Francesco Barbaro, che riportò gravi danni alla prua e dovette essere portata ad incagliare su un bassofondale per scongiurare l’affondamento; il dragaggio delle acque incriminate, eseguito subito dopo il danneggiamento della Barbaro senza riuscire a trovare alcuna mina, non impedì che alle 20.45 di quella sera anche il cacciatorpediniere Aquilone urtasse ben due mine ed affondasse in appena cinque minuti, con la morte di tredici uomini. Il traffico con Bengasi dovette essere sospeso in attesa dell’arrivo di un dragamine magnetico dall’Italia.
In un’incursione di rara efficacia, gli Swordfish avevano così provocato l’affondamento di quattro navi ed il grave danneggiamento di altre due, senza subire alcuna perdita. Non solo, ma nel porto così affollato di navi erano riusciti ad individuare e colpire, con il solo ausilio della luce lunare, il loro obiettivo primario: ossia le due navi segnalate dal Sunderland il giorno precedente, Gloriastella e Maria Eugenia, appena arrivate da Tripoli ed ancora cariche dei rifornimenti della X Armata.
 
Relazione di Marilibia sul bombardamento di Bengasi della notte del 16-17 settembre 1940 (Ufficio Storico della Marina Militare, via Felice Cappellutti e Fabrizio Melotto)

Tutti gli Swordfish che avevano preso parte all’attacco erano appontati sull’Illustrious entro poco più di quattro ore dal decollo, dopo di che, alle 2.45 del 17 settembre, la squadra britannica iniziò la navigazione di rientro verso Alessandria.
La parte dell’operazione "MBD. 1" che non filò liscia, offrendo agli italiani una pur parziale rivincita, fu il bombardamento di Bardia, affidato all’incrociatore Kent scortato da Nubian e Mohawk. Alle 23.55 del 17 settembre, il Kent venne colpito a poppa da un siluro sganciato da un aerosilurante Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" (pilotato dal celebre capitano Carlo Emanuele Buscaglia): 33 uomini rimasero uccisi e l’incrociatore riportò gravi danni, che portarono alla cancellazione del previsto bombardamento di Bardia. Preso a rimorchio dal Nubian ed assistito da parte della Forza C e da altre unità uscite da Alessandria, mentre le Forze A e B rimanevano in zona fino a sera per fornire copertura, il Kent raggiunse a rimorchio Alessandria nel primo pomeriggio del 19 settembre, rimanendo poi fuori combattimento per oltre un anno: la Mediterranean Fleet si ritrovò così privata del suo unico incrociatore pesante.
 
Mentre il carico del Maria Eugenia andò completamente perduto, quello del Gloriastella poté essere in parte recuperato.
Cinque mesi dopo l’incursione aerea che aveva affondato il Gloriastella, il 6 febbraio 1941, Bengasi venne occupata dalle truppe del Commonwealth durante l’operazione "Compass", l’offensiva che portò all’annientamento della X Armata ed alla conquista britannica dell’intera Cirenaica. Il controllo britannico di Bengasi doveva però durare meno di due mesi: passate alla controffensiva dopo l’arrivo di Rommel e del suo Afrika Korps, le truppe dell’Asse riconquistarono Bengasi il 4 aprile 1941, trovando un porto devastato dai bombardamenti e dai sabotaggi e già ingombro di relitti di ogni tipo. L’accesso ad alcuni moli era parzialmente impedito dai relitti delle navi affondate mentre vi erano ormeggiate, e si giudicò che soluzione più pratica ed immediata della completa demolizione di quei relitti potesse essere la loro trasformazione in un’estensione dei moli stessi presso i quali erano affondate: i loro scafi sarebbero divenuti dei pontili cui le navi, non potendo accedere direttamente ai moli, sarebbero andate ad ormeggiare per scaricare i rifornimenti che trasportavano, sperando che non subissero la loro stessa sorte.
Il relitto del Gloriastella, che giaceva all’estremità del Molo Sottoflutto, venne così trasformato in un pontile lungo 160 metri e largo 4,5 dalla neocostituita Sezione Lavori Genio Militare del porto di Bengasi. Lo stesso fu fatto con il relitto del Maria Eugenia; contestualmente vennero rimossi tre tratti (uno della lunghezza di 90 metri e due di 50 metri ciascuno) del muro paraonde del Molo Sottoflutto, in modo da agevolare l’accesso degli automezzi al “pontile” Gloriastella.
Bengasi cambiò ancora di mano a più riprese nel corso della campagna nordafricana: il 24 dicembre 1941 fu nuovamente conquistata dai britannici durante l’offensiva "Crusader", per poi tornare in mano italo-tedesca il 29 gennaio 1942; attraverso tutti questi stravolgimenti il relitto Gloriastella continuò ad essere utilizzato come pontile.
Durante un attacco aereo il 25 novembre 1941 il piroscafo tedesco Tinos fu affondato a fianco del “pontile” Gloriastella, ma fu rimosso nella primavera del 1942 in quando ostacolava l’utilizzo del “pontile”. Nell’ottobre 1942 il relitto del Gloriastella venne puntellato e consolidato (nello scafo) per continuare ad usarlo come pontile, e le sue sovrastrutture vennero demolite; ma poche settimane dopo, il 20 novembre 1942, Bengasi cadde in mano britannica per la terza ed ultima volta in meno di due anni. La campagna nordafricana era giunta ad una svolta, le truppe dell’Asse non avrebbero messo più piede in Cirenaica: ben presto Bengasi, per la prima volta dall’inizio della guerra, si sarebbe trovata ben lontano dalla linea del fronte.
 
Il relitto del Gloriastella (a sinistra) a Bengasi alla fine del 1940, con un piroscafo attraccato (g.c. STORIA militare)

Un’altra immagine del relitto del Gloriastella, presumibilmente durante l’occupazione Alleata di Bengasi (Australian War Memorial)

Il “pontile” Gloriastella in una foto di fonte tedesca risalente probabilmente al 1942: sono state demolite le sovrastrutture (da Forum Marinearchiv, utente whinigo)

La carcassa arrugginita di quello che era stato il Gloriastella languì nel porto di Bengasi ancora per diversi anni dopo la fine del conflitto: soltanto nel 1949, a nove anni dal suo affondamento, il relitto del piroscafo venne finalmente rimesso a galla. Rappezzato a sufficienza per poter sostenere il suo ultimo viaggio, il Gloriastella fu rimorchiato a La Spezia, dove venne demolito nel febbraio 1950.