venerdì 15 aprile 2022

Antonio Mosto

L’Antonio Mosto (g.c. Anton Shitarev, via www.naviearmatori.net)
 
Torpediniera, già cacciatorpediniere, della classe Rosolino Pilo (dislocamento in carico normale 770 tonnellate, a pieno carico 806 tonnellate), appartenente alla numerosa serie delle “tre pipe”. La Mosto e la gemella Francesco Nullo (poi ribattezzata Fratelli Cairoli), uniche unità della classe ad essere costruite dai cantieri Pattison di Napoli invece che dai cantieri Odero di Sestri Ponente, differivano dalle gemelle per la minore autonomia (14.800 miglia invece che 16.000) e velocità massima (29 nodi invece di 30).
Dopo aver operato intensamente in Adriatico durante la Grande Guerra, nella seconda guerra mondiale la Mosto fu attiva dapprima lungo le rotte di cabotaggio libiche nel 1940-1941, e poi nel Basso Adriatico e nello Ionio nel 1942-1943, scortando convogli tra l’Italia, la Grecia e l’Albania nonché lungo le coste italiane. Durante la cobelligeranza con gli Alleati scortò convogli in Tunisia.
Il suo motto era “A qualunque costo avanti”.
Era nota anche come “Tonino tre pipe”.
 
Breve e parziale cronologia.
 
9 ottobre 1913
Impostazione nei cantieri Pattison di Napoli.
20 maggio 1915
Varo nei cantieri Pattison di Napoli.
7 luglio 1915
Entrata in servizio.
12-13 agosto 1915
Nella notte tra il 12 ed il 13 il Mosto, il gemello Giuseppe Cesare Abba (caposquadriglia) ed il cacciatorpediniere francese Bisson escono da Brindisi per dare la caccia al sommergibile austroungarico U 3 (tenente di vascello Karl Strnad), salpato da Cattaro il 10 agosto per un pattugliamento nel Canale d’Otranto, che a mezzogiorno del 12 ha infruttuosamente attaccato con un siluro l’incrociatore ausiliario Città di Catania, in crociera di blocco ad est di Brindisi. Il Città di Catania, evitato il siluro, ha speronato il sommergibile mentre s’immergeva, riuscendo però soltanto a distruggerne il periscopio; l’U-Boot è stato poi inseguito per ore dalle siluranti di appoggio all’incrociatore ausiliario. Da vari avvistamenti si è dedotto che il sommergibile debba avere un’avaria, pertanto l’ammiraglio Enrico Millo, comandante della Divisione Esploratori, ha disposto l’uscita in mare di Mosto, Abba e Bisson per proseguire la caccia.
I tre cacciatorpediniere, disposti a raggiera, ripercorrono per prima cosa la rotta che dal luogo dell’attacco al Città di Catania porta alla base austroungarica di Cattaro; calata poi la notte, il comandante dell’Abba (caposquadriglia), ritenendo che il sommergibile non debba essere troppo lontano dal luogo del primo avvistamento, ordina una ricerca sistematica a zig zag verso nord, per poi virare e riprendere la ricerca verso sud dopo aver appurato che il sommergibile non si trova su tale rotta. Durante la notte l’U 3, tornato in superficie, viene avvistato dai tre cacciatorpediniere, che aprono un intenso fuoco contro di esso, obbligandolo a tornare ad immergersi; adagiatosi sul fondale, viene sottoposto a caccia con bombe di profondità, subendo danni che lo costringono a riemergere alle 4.52. Qui viene nuovamente cannoneggiato dal Bisson (tenente di vascello Le Sort), affondando con la morte di metà dei quattordici uomini dell’equipaggio, tra cui il comandante, Strnad. I superstiti vengono raccolti dalle unità dell’Intesa. (Altra fonte non menziona il primo cannoneggiamento e l’attacco con bombe di profondità, affermando che durante la ricerca il Bisson, ultimo della fila dei cacciatorpediniere, avvistò l’U 3, che procedeva in superficie a causa di un’avaria, e lo affondò a cannonate).
14 settembre 1915
Mosto ed Abba danno infruttuosamente la caccia ad un sommergibile, avvistato dall’incrociatore britannico Topaze, al largo di Brindisi.
29 dicembre 1915
Il Mosto salpa da Brindisi alle 9.30, insieme ai gemelli Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba e Rosolino Pilo, all’esploratore Nino Bixio (nave di bandiera del contrammiraglio Silvio Belleni, comandante della Divisione Esploratori) ed all’incrociatore leggero britannico Weymouth, per intercettare una formazione navale austroungarica (esploratore Helgoland, cacciatorpediniere Tatra, Triglav, Csepel, Balaton e Lika) che alle 6.30 ha bombardato il porto di Durazzo e le postazioni italiane nei dintorni della città.
Le navi austroungariche sono salpate da Cattaro a mezzanotte del 28 su ordine dell’ammiraglio Anton Haus (comandante in capo della Marina austroungarica), informato da una ricognizione aerea della presenza a Durazzo dei cacciatorpediniere italiani Euro ed Ostro nonché di vari piroscafi ed unità minori. Data la non grande distanza tra Durazzo e Cattaro, Haus ha ritenuto che una formazione navale leggera potrebbe riuscire ad infliggere perdite all’avversario e poi rientrare alla base prima dell’arrivo di forze navali dell’Intesa uscite dalla ben più lontana Brindisi.
Strada facendo, alle 2.30 della notte, l’Helgoland ha speronato il sommergibile francese Monge, che procedeva a quota periscopica, danneggiandolo e costringendolo ad emerger, per poi essere affondato a cannonate dal Balaton; giunte a Durazzo, le navi asburgiche non hanno trovato i cacciatorpediniere italiani, già ripartiti, pertanto hanno diretto il loro tiro contro le uniche navi presenti in rada – il piroscafo greco Mikel e due velieri – affondandole. Dapprima, alle 7.30, sono penetrati in rada Tatra, Csepel, Triglav e Lika, per cannoneggiare i mercantili in porto e le installazioni militari italiane a terra, mentre Helgoland e Balaton attendevano al largo pronti ad intercettare Euro ed Ostro se avessero tentato la fuga (non sapendo che se n’erano già andati); poi anche Helgoland e Balaton sono entrati in rada, aprendo il fuoco contro le installazioni di terra.
Terminato il bombardamento, alle otto del mattino la formazione austroungarica è stata presa di mira dal fuoco delle batterie costiere, e manovrando per portarsi fuori tiro è incappata in un campo minato italiano, perdendo il Lika e subendo il grave danneggiamento del Triglav, che ha dovuto essere preso a rimorchio dapprima dal Csepel e poi (in seguito all’ingarbugliamento del cavo di rimorchio in un’elica del Csepel, che è così rimasta bloccata) dal Tatra. In seguito a queste perdite, il comandante austoungarico (capitano di vascello Heinrich Seitz, dell’Helgoland) ha deciso di fare ritorno a Cattaro, chiedendo rinforzi (allo scopo escono infatti da Cattaro il sommergibile U 15 e poi l’incrociatore corazzato Kaiser Karl III con quattro torpediniere).
La notizia dell’attacco austroungarico a Durazzo è giunta a Brindisi alle sette del mattino, e mezz’ora dopo è uscito in mare per intercettare la formazione nemica (che in quel momento stava ancora bombardando Durazzo) un primo gruppo composto dall’esploratore Quarto (capitano di fregata Francesco Accinni), dall’incrociatore leggero britannico Dartmouth e dai cacciatorpediniere francesi Commandant Bory, Commandant Lucas, Casque, Renaudin, Mameluk e Lansquenet (per altra fonte, Quarto e Dartmouth sarebbero usciti in mare alle 7.45, e sarebbero stati poi raggiunti dai cacciatorpediniere francesi, fatti salpare un’ora dopo); il secondo gruppo, quello di cui fa parte il Mosto, è stato fatto uscire due ore più tardi dall’ammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, comandante della 2a Squadra Navale, con l’ordine di puntare su Cattaro in modo da tagliare la via della ritirata alle unità avversarie (secondo altra fonte, invece, sarebbe stato il gruppo “Dartmouth”, che era più vicino a Cattaro di una ventina di miglia, ad avere l’incarico di tagliare la via della ritirata alle navi austroungariche, spingendole verso sud, in bocca al sopraggiungente gruppo “Bixio”). Alle dieci del mattino la formazione dell’ammiraglio Belleni avvista un sommergibile a proravia sinistra, ed alle 11.50 viene avvistato del fumo verso nordest e due dei cacciatorpediniere vengono mandati in avanscoperta. Alle 11.45 il capitano di vascello Seitz, informato per radio dell’imminente arrivo di unità nemiche, fa passare il rimorchio del Triglav dal Tatra all’Helgoland; secondo i piani austroungarici, il gruppo del Kaiser Karl III avrebbe dovuto raggiungere quello di Seitz prima dell’arrivo delle navi italo-franco-britanniche provenienti da Brindisi, ma queste ultime sono uscite in mare molto prima di quando gli asburgici non avessero preventivato, mandando così all’aria le loro previsioni.
La formazione austroungarica, già impegnata dal gruppo del Dartmouth alle due del pomeriggio, è costretta a procedere a velocità ridotta a causa delle condizioni di Csepel e Triglav, e viene così raggiunta dal gruppo di cui fa parte il Mosto (che durante la navigazione è stato attaccato da idrovolanti austroungarici, abbattendone uno) alle 16 (per altra fonte, alle 15.30): gli austroungarici danno allora attuazione al piano stabilito per questa eventualità, autoaffondando il Triglav e distaccando l’azzoppato Csepel, che non riesce a superare i venti nodi, con l’ordine di raggiungere Cattaro, mentre le rimanenti tre unità vanno incontro alla formazione italo-britannica per coprirne la ritirata.
La formazione dell’ammiraglio Belleni procede con il Bixio in testa, il Weymouth a poppavia sinistra della nave ammiraglia, Mosto e Pilo sulla sinistra del Weymouth, e Nievo ed Abba sul lato opposto del Bixio rispetto al nemico. Avvicinandosi all’Helgoland il comandante del Weymouth, capitano di vascello Denis B. Crampton, avvista lo Csepel verso sud ed alle 15.30 chiede all’ammiraglio Belleni il permesso di distaccare Mosto e Pilo per isolarlo dal resto della formazione avversaria; alle 15.40 Belleni dà il suo assenso, ed i due cacciatorpediniere iniziano a manovrare verso la scia dell’Helgoland. (Alle 14.30 anche il Quarto ha ricevuto ordine di isolare lo Csepel, annullato alle 15.15, ma sembra che il suo comandante non abbia ricevuto il contrordine).
Alle 15.51 il Weymouth apre il fuoco contro l’Helgoland, cessandolo alle 16.08 per poi riprenderlo alle 16.46, interromperlo ancora tre minuti dopo e riaprirlo alle 17.14 (l’Helgoland risponde al fuoco alle 17.18). Sei minuti dopo apre il fuoco anche il Bixio.
Alle 16.40 l’Helgoland viene colpito; il comandante Seitz assume rotta verso sudovest, verso il Gargano, in modo da avvicinarsi alla costa italiana – giungerà, infine, a meno di venti miglia da Brindisi – mantenendo le distanze con i suoi inseguitori (Bixio e Weymouth a dritta, Quarto e Dartmouth a sinistra), mentre Abba e Nievo vengono distaccati per inseguire il Csepel.
La distanza tra l’esploratore austroungarico e le navi di Belleni va però calando, mentre Bixio e Weymouth sottopongono l’Helgoland ad un pericoloso fuoco incrociato: i loro colpi cadono tutt’attorno al bersaglio ed alle 16.45 l’Helgoland viene colpito di nuovo, alla linea di galleggiamento, ma a questo punto la precisione del tiro italo-britannico inizia a calare a causa del sopraggiungere dell’oscurità.
Alle 17.20 Mosto e Pilo, che si trovano al traverso a sinistra del Weymouth (e stanno manovrando fin dalle 15.40, quando hanno ricevuto l’ordine di isolare lo Csepel, per portarsi in posizione), fanno un ultimo tentativo di serrare le distanze con l’Helgoland a sufficienza per lanciare i propri siluri; ma via via che si avvicinano al bersaglio diviene evidente che non potranno portarsi in posizione favorevole per il lancio senza finire sotto il tiro delle stesse navi italo-britanniche, pertanto il tentativo viene abbandonato.
Alle 17.30 è il Bixio, che insieme al Weymouth è giunto a quattromila metri dall’esploratore austroungarico, ad essere colpito, senza subire danni di rilievo. Si tratta dell’unico colpo incassato dalle unità italiane in tutto il combattimento. Abba e Nievo non riescono a raggiungere lo Csepel e lanciano i loro siluri contro l’Helgoland, ma senza successo.
Nell’oscurità l’ammiraglio Belleni crede di vedere il nemico accostare verso nord, e vira di conseguenza con il Bixio; il Weymouth, che è più vicino e non ha notato cambi di rotta, prosegue invece senza variazioni, e finisce così col passare tra il Bixio e l’Helgoland, costringendo l’esploratore italiano a cessare il fuoco.
Verso le sei di sera, calato il buio, viene cessato il fuoco (il Bixio lo fa alle 17.34, il Weymouth alle 17.50) e rotto il contatto; le superstiti unità austroungariche assumono allora rotta nord e raggiungono Cattaro (per altra fonte, Sebenico), quelle italo-franco-britanniche fanno ritorno a Brindisi.

L’Antonio Mosto in una fotografia scattata poco tempo dopo la sua entrata in servizio (da www.gracesguide.co.uk)

1° gennaio 1916
In mattinata il Mosto, in crociera al largo di Durazzo insieme ad altri cacciatorpediniere ed al Weymouth, s’imbatte in un cacciatorpediniere greco (la Grecia è neutrale ma sospettata dall’Intesa di favorire gli imperi centrali). Il Weymouth ordina all’unità ellenica di fermarsi, sparando un colpo d’avvertimento, ma questa cerca invece di allontanarsi; l’incrociatore britannico ordina allora a tutte le unità – sono le 11.15 – di porsi al suo inseguimento, e nel giro di mezz’ora il cacciatorpediniere greco viene raggiunto e costretto a dirigere a Brindisi sotto la scorta di Mosto e Bory.
Gennaio 1916
Il Mosto imbarca a Durazzo re Pietro di Serbia, ritiratosi in Albania con il suo esercito dopo l’invasione del suo Paese da parte delle forze austroungariche, e lo porta a Valona. Da qui il sovrano serbo verrà successivamente trasportato a Brindisi dall’Abba.
14 marzo 1916
Insieme ai gemelli Francesco NulloPilade Bronzetti e Simone Schiaffino ed all’esploratore Marsala, il Mosto partecipa ad una perlustrazione della costa albanese, alla vana ricerca di navi austroungariche o nuclei di soldati distaccati lungo la costa. Non viene trovata alcuna nave a San Giovanni di Medua, e solo pochi velieri albanesi a Durazzo; vengono avvistati due U-Boote, cui viene data la caccia senza risultato.
26 aprile 1916
Il Mosto compie una crociera notturna di perlustrazione nelle acque antistanti Durazzo insieme ad altri cacciatorpediniere, tra cui l’Impavido e l’Abba. Alle cinque del mattino la formazione, senza aver incontrato navi nemiche, dirige per rientrare a Brindisi; alle sette Mosto ed Abba avvistano due mine vaganti e le distruggono a cannonate. La formazione giunge in porto un’ora più tardi.
24-25 maggio 1916
Mosto, Bronzetti, Pilo, Nievo, Schiaffino ed il cacciatorpediniere Ardente, insieme all’incrociatore leggero britannico Dartmouth, compiono una crociera al largo di Cattaro.
13 giugno 1916
Il Mosto (capitano di corvetta Giulio Menini), insieme ai cacciatorpediniere Audace (capitano di corvetta Giuseppe Piazza), Pilade Bronzetti (caposquadriglia, capitano di fregata Pietro Comolli) e Rosolino Pilo (capitano di corvetta Alberto Alessio), salpa da Brindisi e fornisce scorta e supporto ai MAS 5 e 7, i quali, salpati da Brindisi a rimorchio delle torpediniere costiere 35 PN (capitano di fregata Gustavo Vettori) e 37 PN (tenente di vascello Riccardo Carpinacci), attaccano il porto albanese di San Giovanni di Medua (sotto controllo austroungarico), abitualmente frequentato da piroscafi austroungarici. In aggiunta alla scorta diretta di cui fa parte il Mosto, le unità uscite in mare fruiscono dell’appoggio indiretto dell’incrociatore britannico Dartmouth e dei cacciatorpediniere francesi Casque, Fourche, Faulx e Mangini, in crociera di protezione al largo di Cattaro. Inoltre un sommergibile, l’S 2 (tenente di vascello Alessandro Giaccone), è dislocato in agguato al largo di Capo Pali.
A mezzanotte, a tre miglia da San Giovanni di Medua, il rimorchio viene mollato ed i MAS iniziano l’avvicinamento; constatata però l’assenza di naviglio nemico all’ormeggio, viene deciso di abbandonare la missione e rientrare alla base. Mentre i MAS stanno ripiegando, le batterie costiere di San Giovanni di Medua aprono il fuoco, imitate poco dopo da quelle del Drin; le navi italiane reagiscono accelerando e manovrando in modo da portarsi fuori tiro. (Secondo fonti austroungariche, prima delle batterie costiere aprì il fuoco il cacciatorpediniere Wildfang, presente in rada – incaricato inizialmente di scortare due piroscafi da Antivari a Giovanni di Medua, aveva successivamente ricevuto l’ordine di rimandare indietro i mercantili e perlustrare la rada di San Giovanni di Medua – e non visto dagli italiani, che all’1.14 aveva avvistato due cacciatorpediniere nemici ad un paio di miglia dal porto ed un minuto dopo aveva aperto il fuoco contro di essi. Solo all’1.20 anche le batterie costiere aprirono il fuoco; all’1.35, con i bersagli in rapido allontanamento, il Wildfang cessò il fuoco, perdendoli definitivamente di vista cinque minuti più tardi). All’1.32 la formazione si riunisce, alle 2.18 i MAS vengono nuovamente presi a rimorchio dalle torpediniere, ed alle 9.15 tutte le navi entrano indenni a Brindisi.
25-26 giugno 1916
Durante la notte tra il 25 ed il 26 il Mosto (capitano di corvetta Giulio Menini), insieme ai gemelli Abba (capitano di fregata Giobatta Tanca), Pilo (capitano di corvetta Alberto Alessio) e Nievo (capitano di corvetta Ferdinando di Savoia-Genova), fornisce scorta ravvicinata ai MAS 5 e 7 che, rimorchiati rispettivamente dalle torpediniere 36 PN (tenente di vascello Giobatta Gabetti) e 34 PN (tenente di vascello Vincenzo Magliocco), attaccano il naviglio austroungarico alla fonda a Durazzo, dove una ricognizione aerea (piloti Caffarati, Jannello e Rigobello) ha avvistato due piroscafi. È in mare anche un gruppo di protezione, dislocato verso nord, composto dall’esploratore Marsala (capitano di fregata Gino Ducci), e dai cacciatorpediniere Audace, Impavido (capitano di corvetta Filippo Ortalda), Insidioso (capitano di corvetta Marco Amici Grossi) ed Irrequieto (capitano di corvetta Romeo Bernotti).
Alle 00.15 del 26 i due MAS mollano il rimorchio a due miglia e mezzo dall’obiettivo; penetrati in rada, in condizioni di calma assoluta di mare (vi è anzi una marcata opalescenza dell’acqua, che agevola l’avvistamento delle navi), avvistano i due piroscafi, dei quali uno, di stazza valutata in poco meno di 3000 tsl, ha la prua rivolta verso nord, e l’altro, stimato in 5000 tsl, ha la prua orientata verso est.
Giunti a 1500 metri dai bersagli scatta l’allarme, ma i comandanti dei due MAS si fermano e, invece di ritirarsi, rimangono in attesa sperando di poter proseguire l’attacco: ed infatti dopo una decina di minuti, non essendosi manifestati movimenti di siluranti, attaccano il più grande dei due piroscafi con il lancio di tre siluri da trecento metri di distanza. Due delle armi vengono viste esplodere; da terra si scatena un nutrito fuoco di fucileria, ma i MAS persistono nell’attacco e mentre il MAS 5 attira su di sé il tiro nemico lanciandosi attraverso la rada a tutta forza (rimanendo a circa cinquecento metri dalle navi), all’1.45 il MAS 7 lancia l’ultimo siluro rimasto contro il piroscafo più piccolo, da soli duecento metri di distanza. A questo punto i due MAS, sempre sotto il violento fuoco nemico, lasciano la rada, ed alle 2.40 si riuniscono ai cacciatorpediniere ed iniziano la navigazione di rientro.
Questa volta l’attacco è stato coronato da successo: mentre i primi tre siluri sono finiti contro le reti parasiluri, l’ultimo ha colpito ed affondato il piroscafo austroungarico Sarajevo, di 1111 tsl.
2 agosto 1916
Mosto, Pilo, Abba, Ardente ed Indomito, insieme al Bixio ed all’incrociatore leggero britannico Liverpool, intercettano una formazione navale austroungarica (incrociatore protetto Aspern, cacciatorpediniere Wildfang e Warasdiner) che ha bombardato Molfetta; ne scaturisce un combattimento protrattosi per tre quarti d’ora, senza che nessuna unità dei due schieramenti abbia a subire danni.
25 agosto 1916
Mosto e Nievo scortano l’incrociatore leggero britannico Liverpool da Valona a Brindisi.
26 settembre 1916
Mosto, Bronzetti ed i cacciatorpediniere Ardente ed Animoso forniscono appoggio ad un’incursione aerea contro Durazzo.
Novembre 1916
Il Mosto forma la III Squadriglia Cacciatorpediniere di base a Taranto, insieme ai similari Francesco Nullo e Giuseppe Missori.
Dicembre 1916
Il Mosto (che forma una squadriglia con Abba, Pilo, Nievo e Schiaffino) è in lavori a Brindisi.

Un’altra immagine del Mosto nei primi anni di servizio (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)

4-5 maggio 1917
Il Mosto, insieme ad altri sette cacciatorpediniere (Rosolino PiloPilade BronzettiIppolito NievoFrancesco NulloGiuseppe MissoriSimone Schiaffino ed Insidioso) e due torpediniere (Airone e Pegaso), esce in mare per fornire appoggio e guida ad una formazione di aerei inviati a bombardare la base austroungarica di Cattaro. Le unità sono suddivise in sette gruppi: il Mosto, insieme al Missori, forma il terzo, mentre gli altri sei gruppi sono composti da Simone Schiaffino ed Ippolito Nievo (1° Gruppo), Rosolino Pilo e Pilade Bronzetti (2° Gruppo), Insidioso (4° Gruppo), Nullo (5° gruppo), Airone (6° Gruppo) e Pegaso (7° Gruppo). Il 1°, 2°  e 3° Gruppo, composti da due unità ciascuno, sono posizionati più vicini alle coste nemiche. Sono in mare anche gli esploratori Aquila e Carlo Alberto Racchia, per fornire appoggio a distanza alle siluranti.
Queste ultime indicano agli aerei la rotta da seguire puntando i fari verso l’alto e verso le loro scie, ed impiegando fuochi verdi o rossi per indicare ai velivoli se si trovino a sud od a nord del segnalamento. Nonostante il forte scarroccio e la fitta foschia rendano difficile l’avvistamento delle siluranti, dodici aerei (su uno dei quali è imbarcato il poeta Gabriele D’Annunzio; comandante della formazione è invece il maggiore Armando Armani) riescono a raggiungere Cattaro ed a sganciare le bombe sull’obiettivo, per poi rientrare alla base senza subire perdite, dopo un volo di cinque ore e mezza.
15 maggio 1917
Alle 4.50 il Mosto ed il gemello Rosolino Pilo salpano da Brindisi insieme all’incrociatore leggero britannico Bristol ed assumono rotta verso nordest, per intercettare una formazione austroungarica che ha condotto una scorreria nel Canale d’Otranto.
Alle 3.48, infatti, è giunto a Brindisi un messaggio della stazione di vedetta dell’isola albanese di Saseno, che informava che un convoglio italiano in navigazione lungo la costa albanese, formato dai piroscafi BersagliereCarroccio e Verità scortati dal cacciatorpediniere Borea, è stato attaccato da cacciatorpediniere austroungarici (due, lo Csepel ed il Balaton).
Tale attacco – che si protrarrà dalle 3.06 alle 3.45 e porterà all’affondamento di Borea e Carroccio ed al danneggiamento delle altre due navi del convoglio, in modo grave il Verità e più lievemente il Bersagliere – è solo un diversivo per una più importante incursione austroungarica nel canale d’Otranto: sono infatti in mare anche gli esploratori SaidaHelgoland e Novara (al comando del capitano di vascello Miklós Horthy, comandante della formazione austroungarica), che alle 3.30 hanno attaccato i drifters addetti alle reti antisommergibile dello sbarramento del canale d’Otranto – obiettivo principale dell’operazione – affondandone ben quattordici entro le 4.57 (per altra fonte, tra le 4.20 e le 5.47). Quella concepita dagli austroungarici è un’operazione complessa, di gran lunga il più imponente dei diciotto attacchi lanciati dalla Marina asburgica contro lo sbarramento del Canale d’Otranto nel corso del conflitto: oltre alle due azioni navali, principale contro i “drifters” e secondaria contro il convoglio, è infatti prevista anche la partecipazione di sommergibili ed aerei. Dei sommergibili, l’U 4 è schierato davanti a Valona, dove è giunto alle quatto del mattino del 15 maggio, per attaccare eventuali navi maggiori dell’Intesa che dovessero salpare da questa base; l’U 27 è inviato in agguato (dalle 5.30 del mattino del 15) a venticinque miglia da Brindisi, sulla congiungente tra tale porto e Punta d’Ostro; e l’U 89 ha posato all’alba un campo minato davanti a Brindisi, per poi rimanere in agguato nei pressi. Per quanto riguarda gli aerei, da Cattaro e Durazzo sono decollati rispettivamente alle 5.30 ed alle 6 degli idrovolanti con l’incarico di volare verso Brindisi, spingendosi fino a 70 miglia (quelli decollati da Cattaro) e 90 miglia (quelli da Durazzo) dalla costa della Dalmazia, per poi fare rotta su Valona, contattando via radio le navi di Horthy in caso di avvistamento.
Per il caso di un intervento delle forze di superficie dell’Intesa, sono tenuti pronti a muovere dalle cinque del mattino l’incrociatore corazzato Sankt Georg, la corazzata costiera Budapest, il cacciatorpediniere Warasdiner e sette torpediniere (tra cui le TB 84, 88, 99 e 100).
Saida, Helgoland e Novara, camuffati in modo da somigliare a grossi cacciatorpediniere britannici per potersi avvicinare ai loro bersagli senza destare sospetti, sono salpati da Cattaro alle 19.40 del 14 maggio, seguendo rotta verso sud fino all’isola di Fanò/Othoni (la più occidentale delle Diapontie) per poi virare a sinistra, separarsi alle 3.10 ad una decina di miglia da Otranto ed a quel punto, distanziati tra di loro di quattordici miglia (il Novara 14 miglia ad ovest di Fanò, il Saida 28 miglia ad ovest e l’Helgoland 42 miglia ad ovest), rastrellare il mare verso est, affondando tutti i drifter incontrati. La notte dell’attacco si trovano in mare in tutto 52 “drifters”, scaglionati lungo lo sbarramento, in ordine da ovest ad est, nelle divisioni “N” (sei unità), “B” (otto unità), “C” (quattro unità), “T” (otto unità), “E” (sei unità), “A” (otto unità), “O” (sei unità) e “S” (sei unità), sotto il comando del tenente di vascello Robert H. Baunton, imbarcato sul Capella, uno dei pochi “drifters” muniti di radio.
Il Novara risparmia un primo gruppo di drifters che ha avvistato perché è ancora troppo presto, ed Horthy teme di mettere in allarme il nemico aprendo il fuoco su di essi; è quindi il Saida il primo ad attaccare. Per tutti i drifters la procedura seguita è la stessa: le navi di Horthy concedono all’equipaggio il tempo di abbandonarlo, prima di procedere al suo affondamento. Gli equipaggi di alcuni drifters, come il Floandi, il Gowan Lee ed il Morning Star II, non obbediscono all’intimazione ed anzi reagiscono con i loro minuscoli cannoncini: sorprendentemente, riescono ad indurre gli attaccanti a desistere, pur subendo parecchi danni. Ad altri non va altrettanto bene, ed uno dopo l’altro vengono affondati l’Admirable, l’Avondale, il Coral Haven, il Craignowan, il Felicitas, il Girl Rose, l’Helenore, il Quarry Knowe, il Selby, il Serene, il Taits, il Transit, il Young Linnet. Su 47 drifters in servizio sullo sbarramento al momento dell’attacco, quattordici vengono affondati e quattro danneggiati; gli esploratori austroungarici raccolgono 72 naufraghi (i morti tra gli equipaggi dei drifters sono nove) prima di terminare l’azione e fare rotta verso nord. Il piano prevede la loro riunione, a quindici miglia da Capo Linguetta, entro le 7.15 del mattino del 15 maggio, ossia non più di un’ora dopo il passaggio in tale zona di Csepel e Balaton (questo intervallo di un’ora è motivato dalla decisione di mantenere i due cacciatorpediniere, durante la navigazione di rientro, venti miglia a proravia degli esploratori e sulla loro sinistra, in modo da coprirli da eventuali incontri con forze navali dell’Intesa, che in caso di incontro dovranno attirare, facendosi inseguire, verso le bocche di Cattaro). Per tutte le unità è imperativo il silenzio radio; il Novara deve effettuare il suo primo segnale solo dopo l’incontro con gli altri esploratori a Capo Linguetta, per poi fare una segnalazione al semaforo di Castelnuovo dopo aver superato Capo Rodoni.
Csepel (caposquadriglia, capitano di fregata Johannes principe di Liechtenstein) e Balaton (capitano di corvetta Franz Morin) hanno lasciato Cattaro alle 18.20 del 14 maggio, regolandosi in modo da trovarsi a Dulcigno alle 21; poi, mantenendosi a quindici miglia da Saseno, si sono diretti verso la costa albanese (zona di Monte Elia) in formazione a ventaglio verso sudovest, alla ricerca di convogli dell’Intesa provenienti o diretti in Albania, seguendo una rotta che evitasse di incrociarsi con quella degli esploratori. Dovranno poi regolare il rientro in modo da superare Capo Linguetta non oltre le 6.15 del mattino del 15 maggio. Giunti nella zona assegnata per la ricerca alle 2.51 del 15 maggio, si sono messi in cerca di prede navigando di conserva a mezzo miglio dalla costa albanese fino alle 3.05, quando l’U 4 ha segnalato loro quattro navi, che poco dopo hanno a loro volta avvistato alla luce lunare (la luna è sorta alle spalle delle navi italiane, agevolando l’avvistamento agli austroungarici e complicandolo agli italiani): il convoglio formato da Borea (capitano di corvetta Virgilio Franceschi), Bersagliere, Carroccio (il cui carico comprende cinquanta siluri e cinquanta tonnellate di munizioni) e Verità (carico tra l’altro di petrolio e benzina in fusti), partito da Gallipoli – scalo intermedio della sua traversata, iniziata a Taranto il 13 maggio – alle dieci del mattino precedente e diretto a Valona alla velocità di 6,5 nodi, il massimo consentito dalla scarsa velocità del Bersagliere, nave più lenta del convoglio. Le navi italiane si trovano in quel momento a tre miglia dalla costa albanese, con rotta nord/nordest.
Dopo aver avvistato a sua volta delle sagome nell’oscurità ed aver effettuato, nel dubbio, il segnale di riconoscimento, il Borea è divenuto subito bersaglio del tiro concentrato dei due cacciatorpediniere austroungarici, ben più grandi e pesantemente armati, venendo quasi subito immobilizzato. Mentre il Csepel continuava il martellamento dell’unica nave di scorta, il Balaton è passato a cannoneggiare i mercantili, che seguivano il Borea in linea di fila, incendiando dapprima il Carroccio, poi immobilizzando ed incendiando il Verità ed infine colpendo ripetutamente il Bersagliere; gli equipaggi dei tre mercantili abbandonano le rispettive navi mettendosi in salvo sulle lance. Superato il convoglio dopo averne immobilizzato od incendiato tutte le unità, i due cacciatorpediniere invertono la rotta e lo risalgono sul lato opposto, aprendo nuovamente il fuoco per altri cinque minuti e colpendo ancora Carroccio e Borea. Completata l’opera di distruzione alle 3.45, Csepel e Balaton hanno cessato il tiro ed hanno iniziato la navigazione di ritorno alla base, senza raccogliere i naufraghi; a questo provvederanno varie unità italiane subito salpate da Valona e Porto Palermo, allertate dal rumore delle cannonate e dai bagliori degli incendi: troveranno le quattro navi tutte ancora a galla, ma per Borea e Carroccio non c’è più niente da fare, entrambi affonderanno poco dopo (il Borea alle 5.22, dopo che il comandante ed un altro gruppetto di volontari, tornati a bordo, hanno provveduto a distruggere i documenti segreti e mettere in salvo i feriti su delle zattere di fortuna); il Verità, che brucia furiosamente mentre i suoi marinai dirigono verso a terra sulle lance, potrà essere invece essere rimorchiato a Valona, mentre l’equipaggio del Bersagliere, che non ha subito danni gravi, risalirà faticosamente a bordo (all’atto di abbandonare la nave, hanno assicurato la lancia al piroscafo con una cima) e riuscirà a portare la nave in porto con i propri mezzi. Procedendo a 25 nodi, Csepel e Balaton giungono alle 4.45 nel punto stabilito per l’incontro con gli esploratori, quindici miglia a ponente di Saseno, e manovrano in modo tale da trovarsi per le 7.30 venti miglia a proravia e sulla sinistra degli esploratori. L’attacco è stato così fulmineo che sia il Borea che il Carroccio, uniche navi del convoglio ad essere provviste di radio, sono stati messi fuori uso prima di poter segnalare a terra quel che stava accadendo; di conseguenza, il primo segnale che qualcosa sia accaduto al convoglio “Borea” giunge quando alle 3.30 la stazione di vedetta di Saseno sente rumore di cannonate ed avvista verso il largo i bagliori degli incendi delle navi, segnalando il tutto al Comando di Valona. Anche la stazione di vedetta di Porto Palermo, più a sud, avvista e segnala un incendio sul mare alle 3.50; alle 4.40 la torpediniera Albatros prende il mare per scoprire cosa sia successo, preceduta di mezz’ora dal MAS 28 (uscito da Porto Palermo), mentre altre unità mettono le macchine in pressione, preparandosi ad uscire a loro volta. Alle cinque del mattino decolla da Valona un idrovolante FBA, seguito da un altro alle 5.25; nessuno dei due, però, avvista navi nemiche, a causa della foschia mattutina (ammarati vicino alla portaidrovolanti Europa nella baia di Valona, decolleranno nuovamente dopo aver fatto rifornimento e cambiato equipaggio; uno dei due riuscirà a localizzare la formazione avversaria ma sarà colpito ripetutamente da due caccia Hansa Brandenburg giunti in loro appoggio, venendo gravemente danneggiato e costretto ad ammarare: affonderà per i danni subiti, mentre l’equipaggio sarà salvato dal cacciatorpediniere francese Bisson).
Sul luogo dell’attacco al convoglio italiano si sono già diretti, a seguito delle segnalazioni giunte da Saseno (alle 4.10 del mattino: si parla di colpi di cannone avvertiti verso sud/sudovest, e poco dopo è giunta notizia dell’attacco al convoglio “Borea”) e degli ordini impartito alle 4.30 dall’ammiraglio Alfredo Acton (comandante delle forze navali leggere dell’Intesa dislocate a Brindisi), l’esploratore leggero Carlo Mirabello (capitano di fregata Gerardo Vicuna, informato alle 4.35 da Saseno dell’attacco contro i “drifters”) ed i cacciatorpediniere francesi Commandant RivièreBisson e Cimeterre, che si trovavano già in mare nell’ambito del dispositivo interalleato di sorveglianza del canale d’Otranto (in base allo stesso dispositivo il Mosto, come pure Pilo, Acerbi, Schiaffino e Bristol, era tenuto pronto a muovere in mezz’ora). Acton ha ordinato inoltre che tutte le navi pronte in 30, 60 e 90 minuti presenti a Brindisi escano in mare – il che ha portato alle 4.50 alla partenza di Mosto, Pilo e Bristol (che erano con le caldaie già accese e pronti a partire in mezz’ora), che una volta in mare assumono rotta verso nordest per intercettare la formazione nemica –, per poi imbarcarsi a sua volta sull’incrociatore leggero britannico Dartmouth (capitano di vascello Albert Addison) ed uscire alle 5.36, scortato dai cacciatorpediniere Giovanni Acerbi e Simone Schiaffino. Ha così inizio la battaglia del canale d’Otranto.
Essendo il Bristol rallentato dalla propria carena sporca, il suo gruppo finisce con l’essere raggiunto da quello del Dartmouth, pur essendo quest’ultimo uscito in mare quasi cinquanta minuti dopo; alle 6.56 Acton ordina al Bristol di avvicinarsi al gruppo Dartmouth, accostando quindi verso ovest. Le due formazioni guidate da Bristol e Dartmouth si riuniscono tra le 6.56 e le 7.12, quando il Bristol prende posizione al traverso a dritta del Dartmouth (per altra fonte i due gruppi si sarebbero riuniti alle 6.30, venendo poi raggiunti dall’Aquila alle 6.40), poi ricevono l’ordine di accostare per 35° e dirigere a 24 nodi verso il Golfo del Drin; alle 5.55 ed alle 8.20, sempre per ordine di Acton, decollano due coppie di idrovolanti per mettersi alla ricerca del nemico.
Dopo la riunione, l’ammiraglio Acton decide di disporre le sue unità in linea di fronte, con Aquila in testa, seguito da Dartmouth e Bristol in linea di fronte, con Mosto, Pilo, Schiaffino ed Acerbi in posizione di scorta sui lati.
Alle 7.10, intanto, il gruppo «Mirabello» (che, posizionatosi sulla presunta rotta di rientro delle navi nemiche, ha avvistato delle colonne di fumo a dritta alle 6.25: poco dopo è giunta la conferma che si tratta di navi nemiche da un idrovolante della portaidrovolanti Europa, decollato da Valona, che ha infruttuosamente attaccato con bombe il Novara) ha incontrato i tre esploratori austroungarici; Horthy ha a sua volta avvistato le unità franco-italiane alle 7.05, aprendo il fuoco cinque minuti dopo da 8500 metri di distanza. Il Mirabello deve anche accostare per evitare un siluro lanciatogli dall’U 4, ed a causa di questa manovra i cacciatorpediniere francesi rimangono ben presto indietro rispetto alla nave italiana; alla fine lo scambio di colpi cessa per l’aumentare della distanza tra i due gruppi (le navi austroungariche, infatti, avendo completato la missione, stanno rientrando alla propria base di Cattaro, cercando quindi di sfuggire alle forze dell’Intesa). Il Mirabello continua tuttavia a pedinare la formazione nemica, comunicandone continuamente rotta e velocità (dati che permetteranno anche di lanciare nuovi attacchi aerei, uno dei quali danneggerà l’Helgoland; anche il Mirabello sarà a sua volta attaccato da aerei nemici, ma senza subire danni).
Il contrammiraglio Acton, venuto così a sapere della posizione delle navi nemiche, dirige per intercettarle con tutta la formazione al suo comando (BristolDartmouthMosto, Pilo, SchiaffinoAcerbi e l’esploratore Aquila, partito da Brindisi alle 6 ed unitosi alla formazione alle 7.40) procedendo a 24 nodi, il massimo permesso dalla lentezza del Bristol. Alle 7.30 la formazione di Acton viene frattanto avvistata da un idrovolante austroungarico, che ne comunica la posizione; una serie di contrattempi fa però sì che ad Horthy giungano informazioni confuse e contrastanti.
Alle 7.45 le navi del gruppo «Dartmouth» avvistano a poppa dritta (su rilevamento 140°), con rotta 035° e velocità di 24 nodi, i fumi prodotti da due navi nemiche: sono lo Csepel ed il Balaton, che, completato l’attacco al convoglio e sulla via del ritorno, hanno già avvistato da dieci minuti i fumi del gruppo navale italo-franco-britannico (sulla sinistra, verso nordovest, seguiti dall’avvistamento delle alberature e delle sommità dei fumaioli di “tre incrociatori e parecchi cacciatorpediniere”) ed hanno conseguentemente cambiato rotta facendo rotta a 29 nodi verso Dulcigno, segnalando al contempo via radio l’incontro al Novara; quattro minuti dopo il comandante dello Csepel identifica gli inseguitori come “un grande C.T. di circa 1500 tonn. di nazionalità sconosciuta e di profilo simile a quello del Quarto [l’Aquila], 4 Indomito [Pilo, Mosto, Acerbi e Schiaffino, di aspetto molto simile agli Indomito da cui sono derivati] e 2 Liverpool [Bristol e Dartmouth]”. Le unità di Acton, credendo che si tratti degli esploratori austroungarici e che la posizione segnalata dall’idrovolante fosse sbagliata, accostano subito per intercettarli (per altra fonte, avrebbero proseguito per qualche minuto su rotte approssimativamente parallele, con le navi italo-britanniche più verso nord, in posizione tale da tagliare la ritirata verso Cattaro a quelle austroungariche), ma alle 9.01 si rendono conto che si tratta di due cacciatorpediniere classe Tatra. Alle 8.10 l’Aquila, più veloce (procede a 35-36 nodi), viene inviato da Acton in testa alla formazione italiana, all’attacco di Csepel e Balaton (secondo altre fonti tale ordine sarebbe stato impartito alle 7.50 od alle 8), insieme ai cacciatorpediniere, che lo seguono a dritta (Mosto e Schiaffino) ed a sinista (Pilo ed Acerbi; inizialmente le quattro unità formano una sorta di linea di fronte, con l’Aquila al centro, ma l’esploratore, più veloce, si lascia presto alle spalle i quattro cacciatorpediniere); alle 8.15 l’Aquila apre il fuoco da 11.400 metri sulla nave di testa, che ha praticamente al traverso, sparando dodici salve da 152 mm da distanze variabili tra gli 11.000 ed i 9500 metri, inquadrando il Balaton. Entrambi i gruppi procedono a tutta forza, con velocità compresa tra 30 e 35 nodi; i due cacciatorpediniere austroungarici inizialmente non aprono il fuoco, perché la distanza è eccessiva, ma quando le unità italiane serrano le distanze iniziano anch’essi a sparare dalla massima elevazione. Intanto, Bristol e Dartmouth assumono rotta 070°, manovrando in modo da tagliare ai due cacciatorpediniere nemici la via della ritirata verso Cattaro.
Lo scontro prosegue senza risultati (salvo alcuni colpi a segno sul Balaton e danni da schegge allo Csepel) finché, alle 8.30, l’Aquila viene immobilizzato in posizione 41°30’ N e 18°50’ E da un proiettile del Csepel che lo colpisce nella sala macchine, tranciando la conduttura principale del vapore, uccidendo sette fuochisti e scatenando un incendio.
Le due unità austroungariche approfittano dell’accaduto per aumentare le distanze con gli inseguitori, cercando di portarsi sottocosta, sotto la protezione delle batterie costiere. Pilo e Mosto superano a 30 nodi l’immobilizzato Aquila e continuano l’inseguimento aprendo il fuoco alle 8.40 (da una distanza di 10.000 metri), seguiti alle 9 dallo Schiaffino; il tiro di tutti e tre risulta corto, ma quello dello Schiaffino, grazie ai pezzi da 102/35 mm (Pilo e Mosto sono armati con cannoni da 76/40 mm), risulta più centrato. Il Mosto, in posizione più favorevole per l’inseguimento, apre il fuoco da 7500 metri, ma i suoi colpi cadono corti.
Inizialmente il tiro di Csepel e Balaton, ed anche delle batterie costiere di Durazzo (armate con pezzi da 150 mm), che aprono il fuoco alle 9, si concentra sullo Schiaffino; vistosi inquadrato dal tiro avversario, il cacciatorpediniere deve accostare in fuori, e le batterie spostano il loro tiro su Pilo e Mosto – che sono frattanto giunti a 7500 metri da Csepel e Balaton – per poi cessare il fuoco alle 9.10, precedute di cinque minuti da Csepel e Balaton, ormai in salvo. Alle 9.05 il Mosto accosta verso nord e segue la costa albanese per sincerarsi che i cacciatorpediniere nemici non si siano rifugiati nel Golfo del Drin.
Alle 9.18 l’ammiraglio Acton richiama Mosto, Pilo e Schiaffino, tutti indenni, essendo ormai inutile proseguire l’azione; le tre unità dirigono verso l’Aquila ancora fermo, accanto al quale è rimasto l’Acerbi. Alle 13.45 Csepel e Balaton, evitato anche un attacco da parte del sommergibile francese Bernoulli, si ormeggiano a Gjenovich, vicino a Dulcigno.
Nel frattempo, alle 8.35 sono partiti da Brindisi anche l’esploratore Marsala, l’esploratore leggero Carlo Alberto Racchia (capitano di vascello Gino Ducci) ed i cacciatorpediniere ImpavidoIndomito ed Insidioso, che procedono prima a 25 e poi a 26,5 nodi per riunirsi al gruppo «Dartmouth». Tra le 8 e le 9 i tre esploratori austroungarici vengono infruttuosamente bombardati da idrovolanti italiani, ed alle 8.45 il capitano di vascello Horthy avvista del fumo a dritta e, ritenendo essere Csepel e Balaton in avvicinamento, dirige verso di loro. Sono in realtà le navi italiane: alle 9.05 le due formazioni avversarie si avvistano reciprocamente, ed assumono rotta convergente. I propositi dei comandanti sono differenti: Acton intende proteggere l’ancora immobile Aquila, che ritiene essere l’obiettivo delle navi nemiche, mentre Horthy crede di essere riuscito a tagliare fuori un gruppo di unità leggere nemiche nei pressi di una base amica – Cattaro – ed alle 9.06 segnala rotta e posizione, così che l’incrociatore corazzato Sankt Georg, il cacciatorpediniere Warasdiner e le torpediniere TB 848899 e 100, appositamente tenute pronte, escano in mare e taglino la ritirata alle navi dell’Intesa (per altra fonte, invece, Horthy intendeva distogliere le navi dell’Intesa dall’inseguimento di Csepel e Balaton). Il comandante austroungarico identifica le navi nemiche come “due esploratori inglesi tipo Liverpool e Blanche, uno del tipo Quarto e due c.t. del tipo Indomito”: il “tipo Quarto” è in realtà l’Aquila, che Horthy non ha notato essere immobilizzato, e che identifica erroneamente come nave comando della flottiglia avversaria.
Per difendere l’immobilizzato Aquila, intorno alle 9.05 BristolDartmouthAcerbi e Mosto (questi ultimi due si sono portati a poppavia del Bristol) assumono rotta verso sudovest e poi verso nord e si interpongono tra esso e gli esploratori nemici, riducendo le distanze. Pilo e Schiaffino ricevono invece dall’ammiraglio Acton l’ordine di rimanere assieme all’Aquila, per proteggerlo qualora il contrattacco delle altre unità non bastasse, o dovessero sopraggiungere altre minacce. Alle 9.15 Bristol e Dartmouth vengono bombardati da due idrovolanti (i “Brandenburg” K. 205 e K. 206, decollati da Kumbor un’ora prima), senza essere colpiti.
Alle 9.28 le navi dei due schieramenti aprono il fuoco, a una distanza di 8500 metri; anche l’Aquila, benché fermo e danneggiato, si unisce al tiro: è anzi il primo a sparare, in quanto il Novara (il suo bersaglio) si è avvicinato tanto da permettergli di usare le proprie artiglierie. Alle 9.29 inizia il tiro il Dartmouth (contro il Novara) ed alle 9.30 il Bristol (contro il Saida). Alle 9.30 le navi austroungariche iniziano ad emettere fumo, per confondere le unità dell’Intesa ed approfittarne per serrare le distanze per utilizzare anche i calibri secondari; nel farlo, però, Horthy si rende conto che da sud i cacciatorpediniere dell’Intesa si stanno avvicinando, preparandosi a lanciare i siluri. Il comandante austroungarico decide allora di ripiegare verso nordovest, procedendo parallelamente alla costa dalmata (nella manovra, svolta confusamente a causa della nebbia artificiale emessa dalle stesse navi austroungariche, le unità di Horthy rischiano a più riprese la collisione); ha così inzio un lungo inseguimento.
Le navi di Horty dirigono verso nordovest, inseguite da quelle di Acton (che continuano a fare fuoco) ad una distanza compresa tra i 4500 ed i 10.000 metri; in Dartmouth procede in testa alla linea anglo-italiana, il Bristol è più arretrato e sta perdendo terreno, poi viene l’Acerbi ed il Mosto è in coda. L’Acerbi inizia il tiro da 9500 metri, e poi, per iniziativa del comandante Vannutelli, supera il Bristol e si porta a poppavia del Dartmouth. La bassa velocità del Bristol fa però incrementare le distanze tra i gruppi nemici, dai 6000 metri delle 9.45 ai 7400 delle 10, fino agli 8800 delle 10.20; si trovano così ad essere i soli Dartmouth ed Acerbi (quest’ultimo, che ha intanto superato il Bristol, è l’unico cacciatorpediniere a trovarsi in posizione adeguata per fare fuoco) a dover combattere con i tre esploratori nemici.
L’avvicinamento dei cacciatorpediniere italiani, da sinistra, riduce le distanze da 10.000 a 4700 metri, mentre Dartmouth e Bristol procedono parallelamente agli avversari. Gli esploratori austroungarici concentrano il tiro sul Dartmouth, in posizione più avanzata, colpendolo tre volte, mentre il Bristol rimane indietro – la distanza rispetto all’ammiraglia cresce fino a ben 6 km – a causa della carena sporca. Dopo poco tempo, SaidaHelgoland e Novara accostano verso sud, portandosi fuori tiro, ripiegando verso nordovest (verso Cattaro) a 28 nodi e coprendosi con una cortina fumogena che alle 9.40 costringe Bristol (che ha anche infruttuosamente lanciato un siluro) e Dartmouth a cessare il fuoco ancora una volta, non riuscendo più a vedere i bersagli. Proprio in quel momento, però, i tre esploratori vengono attaccati dal Mirabello, che ha tallonato la formazione austroungarica, colpendo il Novara (con un colpo sparato da ottomila metri di distanza) ed inducendo le unità nemiche ad uscire dalla cortina e così permettendo, alle 9.45, a Bristol e Dartmouth – che intanto sono attaccati con bombe e mitragliatrici anche da idrovolanti, gli stessi due delle 9.15, di nuovo senza subire danni – di riaprire il fuoco. Poco dopo le dieci l’idrovolante austroungarico K. 205 attacca con una bomba un inesistente sommergibile avvistato tra i due schieramenti.
Assunta rotta verso nord, le navi di Horthy tornano ad avvicinarsi a Cattaro ed alle navi da lì uscite in loro appoggio (Sankt Georg, Warasdiner e torpediniere), che stanno procedendo verso di loro a tutta forza. L’Helgoland viene colpito alle 9.50 (dal Bristol) ed alle 10.04 (dal Mirabello e dal Bristol), il Novara alle 9.55 (dal Mirabello) ed alle 10.10 (dal Dartmouth), il Dartmouth alle 10 (dal Novara, due volte). Alle 10.10 il capitano di vascello Horthy viene gravemente ferito ed il suo secondo, capitano di corvetta Robert Szuborits, rimane ucciso da un colpo del Dartmouth esploso nel torrione del Novara. Alle 10.15 il Bristol viene attaccato da un idrovolante che pur senza colpire lo costringe a cessare il fuoco (è ancora una volta il K. 206, che sgancia una bomba da 50 kg ed una da 15), ed il Mirabello, che ha colpito il Saida, viene immobilizzato da un’avaria alle caldaie, subito dopo aver ricevuto dall’ammiraglio Acton l’ordine di segnalare la propria posizione ed avvicinarsi al gruppo principale. I tre cacciatorpediniere francesi che lo seguono proseguono da soli per un breve tratto, poi invertono la rotta e tornano indietro.
Rimane così il Dartmouth a fronteggiare i tre esploratori nemici; Mosto ed Acerbi, al di fuori della portata delle artiglierie, sono intenti a cercare lentamente di portarsi a proravia del Dartmouth, mentre Pilo e Schiaffino sono rimasti a difendere l’Aquila, ancora fermo. La distanza tra il Dartmouth e le unità austroungariche, che procedono a più di 29 nodi, sale ancora dagli 8800 metri delle 10.20 ai 9800 delle 10.24; lo scambio di cannonate tra le due parti è intenso, ed il Dartmouth, pur attaccato ancora una volta da idrovolanti alle 10.30 (è ancora il K. 206, che lancia un’altra bomba da 15 kg ed una da 50) ed alle 10.50 (dovendo manovrare per evitare i mitragliamenti, così disturbando il tiro), alle 10.35, prima di cessare momentaneamente il fuoco, colpisce il Novara un’altra volta; poco dopo il Saida, colto da avaria, deve ridurre la velocità a 25 e poi 24 nodi, divenendo il bersaglio del Bristol, che torna a fare fuoco. Essendo Helgoland e Novara troppo lontani – improbabile raggiungerli – alle 10.45 il Dartmouth riduce la velocità a 20 nodi per ricongiungersi con il Bristol, ed affondare il Saida, che viene nuovamente colpito dal Bristol alle 10.50.
Il Novara, tuttavia, è stato colpito in sala macchine e dalle 10.35 inizia a perdere velocità, fino ad arrestarsi del tutto alle 10.55 per mancanza di acqua di alimentazione delle caldaie. Lo prende a rimorchio il Saida, mentre l’Helgoland rimane di retroguardia per coprirli: così facendo rimane in posizione arretrata, e viene preso di mira dal fuoco incrociato di Bristol e Dartmouth.
Alle 11 il Dartmouth accosta a sinistra per tagliare sulla coda la formazione avversaria e riduce le distanze a 7500 metri; in questo frangente i due incrociatori britannici vengono infruttuosamente attaccati da aerei, specialmente il Dartmouth, che viene anche preso sotto il tiro di tutti e tre gli esploratori e colpito. Nella confusione successiva (incendio a bordo, equivoco che porta a fermare le macchine e subito dopo ordine di riprendere l’andatura normale) l’incrociatore britannico deve ridurre la velocità ed infine accostare verso sud (allontanandosi dalle navi nemiche), imitato dal Bristol, così rinunciando ad affondare il Saida che può così allontanarsi. Nel mentre Acton è stato informato che due grosse unità nemiche stanno dirigendoglisi incontro: si tratta di Sankt Georg e Warasdiner, avvistati dalla ricognizione aerea italiana. Alle 11.04 Bristol e Dartmouth cessano il fuoco e dirigono per ricongiungersi con il gruppo «Marsala»: avvistati anche i fumi dei preannunciati rinforzi avversari, e constatato che il Sankt Georg è più potente di qualsiasi unità della flottiglia dell’Intesa, l’ammiraglio Acton ordina a tutte le unità di compattarsi in un’unica formazione. Alle 11.10, però, l’Acerbi, male interpretando il segnale di riunione issato dal Dartmouth – questi segnala di seguirlo, ma, forse per il fumo che occulta parte delle bandiere da segnalazione, l’Acerbi vede solo la prima, che da sola significa «attaccare la formazione nemica» –, si lancia da solo contro il Saida, sparando furiosamente con i cannoni prodieri. Sebbene preso a sua volta sotto violento fuoco nemico, l’Acerbi riduce le distanze fino a 7300 metri, mettendo un segno a colpo sul Saida alle 11.22, pur senza causare molti danni. Dalle 11.24 il cacciatorpediniere viene inquadrato dal tiro di tutti e tre gli esploratori, pur senza essere colpito; colto nello stesso momento da avarie a ben tre dei suoi cannoni, è costretto ad allontanarsi senza essersi potuto avvicinare abbastanza da poter lanciare i siluri.
I gruppi «Dartmouth» e «Marsala» si riuniscono entro le 11.30, e, su ordine dell’ammiraglio Acton, fanno subito rotta verso nord per ritrovare gli esploratori austroungarici, distanti 36 km; alle 11.36 Acton richiama per radio anche l’Acerbi. Frattanto, alle 11.30, le navi di Horty vengono attaccate dal Racchia e dall’Impavido, precedentemente distaccati dal loro gruppo ed inviati in avanscoperta; questo nuovo scambio di colpi, con distanze che si riducono da 11.000 metri iniziali ai 6000 finali, prosegue per mezz’ora senza alcun risultato, tirando entrambi i contendenti troppo corto.
Alle 12.05 il gruppo italo-franco-britannico di Acton dista 17.500 metri dai tre esploratori austroungarici, ma viene avvistato del fumo verso nord: si tratta del Sankt Georg (insieme ai cacciatorpediniere Tatra e Warasdiner), in avvicinamento a 18 nodi, che dista solo 12.000 metri dall’immobilizzato Novara. Dal momento che nessuna delle unità dell’Intesa è in grado di affrontare la potenza di fuoco del Sankt Georg, né di danneggiarlo (per di più, le vedette britanniche credono di avvistare anche una seconda grande nave, che temono essere una corazzata classe Radetzky), e che lo scontro avverrebbe in prossimità di una munita base nemica, Cattaro, alle 12.05 le navi di Acton accostano verso sud per rientrare. Nel frattempo, l’Aquila sta rientrando a Brindisi rimorchiato dallo Schiaffino e scortato da Pilo e Cimeterre, mentre il Mirabello, che è riuscito a rimettere in moto alle undici, ha preso a rimorchio il Commandant Rivière (anch’esso immobilizzato da un’avaria di macchina alle 11.45) e lo porterà anch’esso a Brindisi scortato dal Bisson e da un altro cacciatorpediniere francese, il Commandant Lucas, proveniente da Corfù (il Cimeterre, invece, è stato intanto distaccato per prestare assistenza all’Aquila). Entro le 12.25 italo-franco-britannici ed austroungarici non sono più in vista l’uno dell’altro.
Termina così la battaglia del canale d’Otranto: alle 12.25 Saida, Helgoland e Novara vengono raggiunti dal gruppo Sankt Georg, alle 12.30 assumono rotta verso Cattaro ed alle 14.55 si uniscono al gruppo Budapest, anch’esso uscito in mare in loro appoggio.
Nello scontro finale diverse unità da ambo le parti hanno riportato vari danni: il Novara è stato colpito da undici proiettili, subendo danni piuttosto gravi, l’Helgoland da tre, il Saida da uno, il Dartmouth da quattro ed il Bristol da tre. Le perdite umane di quello che passerà alla storia come la più grande battaglia navale combattuta nel Mediterraneo durante la prima guerra mondiale risulteranno nel complesso piuttosto limitate, assommando in tutto a 37 morti e 35 feriti per le forze dell’Intesa e 15 morti e 54 feriti per gli austroungarici.
Alle 10.15, nel frattempo, il Mirabello si è dovuto fermare a causa dello spegnimento delle caldaie, causato da contaminazione della nafta con acqua di mare; rimesso in moto dopo mezz’ora, non riesce a ricongiungersi col resto della formazione in tempo per prendere parte al combattimento finale.
L’Aquila, sul quale gli incendi sono stati domati, viene intanto preso a rimorchio dallo Schiaffino, che alle 10.30 si mette in navigazione alla volta di Brindisi, con la scorta del Pilo e del Cimeterre, frattanto distaccato dal gruppo Mirabello (per una fonte, anche del Bisson, che il Mirabello avrebbe distaccato insieme al Cimeterre dopo aver avvistato l’Aquila che procede a rimorchio di Pilo e Schiaffino). Durante l’allestimento del rimorchio la formazione viene bombardata da un aereo austroungarico, ma senza subire danni; durante la navigazione verso Brindisi il cavo di rimorchio si spezza, ma viene subito sostituito. Successivamente si uniscono alla formazione anche due torpediniere d’alto mare inviate da Brindisi; Pilo, Schiaffino, Aquila e Cimeterre giungeranno in porto alle 19.55 (20.30 per altra fonte), precedendo di un’ora Mirabello e Commandant Rivière, quest’ultimo a rimorchio del primo a causa di un’avaria che lo ha colpito alle 11.45.
Alle 13.35 il Dartmouth, durante la navigazione di rientro a Brindisi, viene silurato dal sommergibile tedesco UC 25: risultato ingovernabile ed abbandonato in un primo momento dall’equipaggio (che viene subito tratto in salvo dai cacciatorpediniere italiani e francesi, salvo cinque uomini rimasti uccisi nel siluramento), rimane tuttavia a galla, finché un gruppo di volontari torna a bordo e la nave viene presa a rimorchio dal rimorchiatore Marittimo, raggiungendo Brindisi alle tre di notte del 16 maggio con la scorta di Mosto (che un’altra fonte britannica afferma invece aver scortato l’Aquila mentre veniva rimorchiato dallo Schiaffino, ma si tratta probabilmente di un errore), Acerbi, Impavido, Casque, Lucas e della torpediniera Airone. Nel mentre anche l’Indomito ha subito un’avaria in caldaia, che l’ha costretto a lasciare la formazione e rientrare a Brindisi per conto proprio.
Proprio durante i soccorsi al Dartmouth si verifica l’ultima perdita della giornata: il cacciatorpediniere francese Boutefeu, uscito da Brindisi alle 22.55 per rinforzare la scorta dell’incrociatore danneggiato, urta una delle mine posate la notte precedente dall’U 89 ed affonda in un minuto, con la morte di undici degli 84 membri dell’equipaggio.
6-8 agosto 1917
Il Mosto partecipa alle ricerche del sommergibile W 4, scomparso con tutto l’equipaggio durante una missione nelle acque della Dalmazia, insieme ai similari Francesco Nullo, Giuseppe MissoriSimone Schiaffino.
Partito da Brindisi alle 19 del 3 agosto per un agguato al largo di Punta Menders e della foce del Drin, al comando del tenente di vascello Alessandro Giaccone, il W 4 non è rientrato alla base il mattino del 6 agosto, com’era invece previsto (sarebbe dovuto rientrare in porto tra le otto e le undici del mattino). Dopo il mancato rientro ed in mancanza di notizie dal sommergibile, già alle 11.30 del 6 agosto il contrammiraglio Alfredo Acton, comandante superiore navale a Brindisi, invia due idrovolanti a perlustrare le rotte di ritorno dalla zona d’agguato assegnata al W 4, e fa uscire in mare Mosto e Nullo.
Queste prime ricerche non danno risultati; rientrati in porto, alle cinque del mattino del 7 agosto Mosto, Nullo, Missori e Schiaffino vengono nuovamente fatti uscire in mare per ulteriori ricerche in cooperazione con sei aerei. Tutto inutile: del W 4 e del suo equipaggio non si saprà più nulla. In mancanza di notizie, anche da parte avversaria, si presume che la perdita del sommergibile sia stata causata da una mina.
3-4 settembre 1917
Mosto, Nievo, i cacciatorpediniere francesi Bory e Bisson, l’esploratore italiano Nino Bixio e l’incrociatore leggero britannico Weymouth salpano da Otranto per fornire appoggio ad un’incursione contro Cattaro da parte di otto motoscafi e sei idrosiluranti, tutti britannici, nella notte tra il 3 ed il 4 settembre. L’attacco, pianificato in agosto, è stato elaborato dall’ammiraglio Mark Kerr, comandante della squadra navale britannica dell’Adriatico, ed autorizzato il 17 agosto dall’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Marina italiana. Il piano prevede che l’attacco avvenga alle prime luci dell’alba; all’andata gli idrosiluranti saranno rimorchiati dai motoscafi fino a cinquanta miglia a sud della baia di Traste, mentre al ritorno godranno della protezione di due o tre incrociatori leggeri e quattro cacciatorpediniere. Il peggioramento delle condizioni meteomarine, tuttavia, costringe ad abbandonare l’operazione.

(da “Alpini, jo mame”)

19 ottobre 1917
Il Mosto salpa da Brindisi insieme al gemello Giuseppe Missori, al cacciatorpediniere italiano Indomito, ai francesi Commandant RiviéreBory e Bisson, agli esploratori Aquila e Sparviero ed agli incrociatori leggeri britannici Newcastle e Gloucester, parte da Brindisi per unirsi ad altre navi italiane (esploratori Guglielmo Pepe ed Alessandro Poerio, cacciatorpediniere InsidiosoSimone Schiaffino e Pilade Bronzetti, formazione comandata dall’ammiraglio Guido Biscaretti di Ruffia) partite in precedenza per inseguire una formazione austroungarica (esploratore Helgoland, cacciatorpediniere LikaTriglawTatraCsepelOrjen e Balaton) uscita da Cattaro il giorno precedente per attaccare convogli italiani al largo di Valona.
L’Helgoland ed il Lika, non avendo trovato alcun convoglio, si portano al largo di Brindisi allo specifico proposito di farsi inseguire dalle unità italiane ed attirarle così nella bocca dei sommergibili U 32 ed U 40, che attendono in agguato al largo di Valona (il primo) e Saseno (il secondo). Le altre unità nemiche, invece, si sono messe a cercare unità dell’Intesa al largo di San Cataldo, di nuovo senza risultato. Alle 6.30 la stazione di Brindisi ha avvistato quattro unità con rotta nord (si tratta in realtà di due, Helgoland e Lika) ed in seguito all’avvistamento sono subito decollati due aerei mentre uscivano in mare Pepe, Poerio, Insidioso, Bronzetti e Schiaffino; Mosto, Missori, Indomito, Rivière, Bory, Bisson, Aquila, Sparviero, Gloucester e Newcastle hanno al contempo ricevuto ordine di approntarsi alla partenza, per poi uscire a loro volta, mentre un’altra formazione (incrociatore britannico Weymouth scortato da Pilo e Nievo), in navigazione da Valona a Brindisi, ha ricevuto ordine di unirsi al gruppo dell’ammiraglio Biscaretti.
La formazione dell’ammiraglio Biscaretti avvista i sommergibili e ne comunica la presenza, permettendo così che vengano attaccati da idrovolanti provenienti da Brindisi; al contempo le navi austroungariche si sono riunite per poi dividersi di nuovo in due gruppi, di cui uno formato da Csepel e Triglav ha diretto immediatamente per il rientro, mentre l’altro (formato dall’Helgoland e dagli altri cacciatorpediniere) ha assunto rotta verso Punta Menders. Il prolungato inseguimento, nel quale anche degli aerei prendono parte agli attacchi sulle unità austroungariche (l’Helgoland viene lievemente danneggiato da un attacco di idrovolanti, inducendo il suo comandante a decidere per il rientro; al contempo si scatenano anche duelli aerei con idrovolanti austroungarici frattanto sopraggiunti da Kumber, nei quali un FBA4 decollato da Brindisi viene danneggiato), non porta però a nulla; le unità italo-franco-britanniche, giunte sul parallelo delle foci del Drin senza essere riuscite a portarsi a distanza balistica dalle navi nemiche, invertono la rotta e rientrano tutte indenni alla base.
10 marzo 1918
Il Mosto salpa da Brindisi per rimorchiare fino in prossimità di Portorose il MAS 100, che dovrà attaccare il naviglio militare austroungarico che si trova in quel porto insieme al MAS 99, rimorchiato dal Nievo; l’operazione, ordinata il 2 marzo dallo Stato Maggiore della Marina al Comando di Brindisi, godrà inoltre dell’appoggio a metà strada tra Brindisi e Punta d’Ostro degli esploratori Carlo Mirabello, Alessandro Poerio, Augusto Riboty (nave di bandiera del contrammiraglio Guido Biscaretti di Ruffia) e Cesare Rossarol, dei cacciatorpediniere italiani Giacinto Carini e Pilade Bronzetti e della squadriglia cacciatorpediniere francese "Casque-Mangini". L’attacco deve però essere interrotto e rimandato a causa delle avverse condizioni meteorologiche, che costringono i MAS a rientrare a Brindisi, ove rimangono bloccati fino al 13 marzo.

(foto Pozzar e figlio – Trieste, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

16 marzo 1918
L’attacco contro Portorose, spostato in qusta data, viene nuovamente tentato e rimandato all’8 aprile a causa del maltempo.
25-26 marzo 1918
Mosto, Nievo, Bronzetti ed il cacciatorpediniere Giacinto Carini, insieme alle torpediniere d’alto mare Airone e Pallade ed alle torpediniere costiere 3 PN, 4 PN, 33 PN e 35 PN, forniscono appoggio a degli aerei inviati in ricognizione su Cattaro. Successivamente, i quattro cacciatorpediniere più 33 PN e 35 PN si mettono infruttuosamente alla ricerca di U-Boote austroungarici di ritorno in Adriatico.
8 aprile 1918
Nuovo tentativo per l’operazione contro Portorose e nuovo rinvio, perché la ricognizione aerea ha appurato l’assenza di navi nemiche da attaccare. Dato il progressivo accorciamento della notte, si decide di abbandonare, per il momento, ulteriori tentativi di operazioni di MAS contro Portorose.
25 aprile 1918
Mosto, Bronzetti, 33 PN e 37 PN forniscono supporto ad una ricognizione aerea su Durazzo.
2 giugno 1918
Il Mosto ed il gemello Pilade Bronzetti bombardano Lagosta, in cooperazione con quattro aerei decollati da Varano.
28 giugno 1918
Mosto e Bronzetti forniscono appoggio ad un’incursione aerea contro Antivari.
1° novembre 1918
Il Mosto, insieme ai cacciatorpediniere ArdenteAnimosoIppolito NievoAngelo Bassini, Simone SchiaffinoGiacinto Carini e Pilade Bronzetti, fa parte della IV Squadriglia Cacciatorpediniere, inquadrata nella Flottiglia Siluranti di Brindisi.
1919
Lavori di modifica dell’armamento: i sei pezzi Ansaldo Mod. 1916 da 76/30 e 76/40 mm vengono sostituiti con cinque da 102/35 mm Schneider Mod. 1914-1915, e l’armamento contraereo viene potenziato con l’installazione di due mitragliere Vickers-Terni Mod. 1917 da 40/39 mm e due mitragliatrici Colt da 6,5/80 mm. Il dislocamento aumenta di conseguenza a 900 tonnellate.
Febbraio-Marzo 1922
Il Mosto visita Rapallo.

Il Mosto a Venezia nel 1925 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

Dicembre 1925
Il Mosto, insieme ai gemelli Fratelli Cairoli, Simone SchiaffinoRosolino Pilo e Giuseppe Dezza, forma la VI Squadriglia Cacciatorpediniere della 3a Flottiglia della Divisione Siluranti, formata inoltre dall’esploratore Falco e dalla V Squadriglia Cacciatorpediniere (Giuseppe SirtoriGiuseppe MissoriGiovanni Acerbi e Vincenzo Giordano Orsini). La Divisione Siluranti comprende anche l’esploratore Quarto (nave ammiraglia), la 1a Flottiglia Cacciatorpediniere (esploratore Carlo Mirabello; cacciatorpediniere Giuseppe La MasaGiuseppe La FarinaNicola FabriziGiacomo Medici della I Squadriglia; cacciatorpediniere Generale Antonio CantoreGenerale Antonino Cascino, Generale Carlo MontanariGenerale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa della II Squadriglia) e la 2a Flottiglia Cacciatorpediniere (esploratore Aquila; cacciatorpediniere ConfienzaSan MartinoSolferino ed Enrico Cosenz della III Squadriglia; cacciatorpediniere CastelfidardoCurtatoneCalatafimiMonzambano e Giacinto Carini della IV Squadriglia).

Il Mosto con altri “tre pipe” a Palermo nel 1927; sullo sfondo è visibile la nave reale Savoia (Coll. Franco Bargoni, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

1929
Il Mosto, con i gemelli Dezza, Abba, Missori e Cairoli, forma la IX Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla X Squadriglia (Giovanni Acerbi, Giuseppe Sirtori, Francesco Stocco, Ippolito Nievo) ed all'esploratore Aquila, compone la 5a Flottiglia della Divisione Speciale, che comprende anche l'esploratore Brindisi, nave comando.
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera, come tutti i vecchi “tre pipe”.

La Mosto, in primo piano, ormeggiata a Cagliari nel 1936 insieme alle quattro unità della X Squadriglia Esploratori

10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, la Mosto forma la IX Squadriglia Torpediniere, di base a La Maddalena, insieme alla gemella Fratelli Cairoli ed alle più moderne torpediniere Canopo e Cassiopea (caposquadriglia).
21 settembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi a mezzogiorno per scortare a Tripoli i piroscafi Priaruggia ed Ezilda Croce.
23 settembre 1940
Il piccolo convoglio giunge a Tripoli alle 23.
5 ottobre 1940
La Mosto salpa da Ain-el-Gazala alle 20.15 per scortare a Bengasi la motonave Col di Lana.
6 ottobre 1940
Mosto e Col di Lana arrivano a Tripoli alle 18.
12 ottobre 1940
La Mosto salpa da Bengasi alle 18.30 per scortare a Tobruk i piroscafi Maddalena, Ezilda Croce e Goggiam.
13 ottobre 1940
Il convoglio giunge a Tobruk alle 8.15.
6 novembre 1940
La Mosto salpa da Ain-el-Gazala alle otto del mattino per scortare a Bengasi il piroscafo Pallade.
8 novembre 1940
Mosto e Pallade arrivano a Bengasi alle 12.30.
7 novembre 1940
La Mosto salpa da Tobruk alle 18 per scortare a Tripoli i piroscafi Amba Alagi e Priaruggia (evidente discrepanza con le date e gli orari della traversata precedente).
9 novembre 1940
Il convoglio giunge a Bengasi alle 8.30 e vi sosta prima di proseguire per Tripoli.
11 novembre 1940
Il convoglio giunge a Tripoli in mattinata.
13 novembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi per Tripoli alle 15.45, scortando i piroscafi Pallade ed Amba Alagi.
16 novembre 1940
Il convoglio giunge a Tripoli alle 11.15.
29 novembre 1940
La Mosto lascia Tripoli per Bengasi alle 18, scortando il piroscafo Capo Orso.
1° dicembre 1940
Mosto e Capo Orso arrivano a Bengasi alle due del pomeriggio.
13 dicembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi alle sette per scortare a Tobruk i piroscafi Sturla e Costantino.
15 dicembre 1940
Il convoglio giunge a Tobruk alle 16.

La Mosto nel “Jane’s Fighting Ships” del 1933 (da www.olga-tonina.narod.ru)

22 dicembre 1940
La Mosto salpa da Tobruk per Tripoli alle 18, di scorta ai piroscafi Prospero, Sturla e Costantina. Il convoglio è però successivamente costretto a tornare in porto. (Ne ripartirà il 2 gennaio, senza il Costantina, raggiungendo Tripoli alle dieci).
24 dicembre 1940
La Mosto lascia Tripoli alle 14.30 per scortare a Bengasi la motonave Assiria.
25 dicembre 1940
Mosto ed Assiria giungono a Bengasi alle 15.
30 dicembre 1940
Mosto ed Assiria lasciano Bengasi alle otto per raggiungere Tobruk.
31 dicembre 1940
Raggiunto dalla torpediniera Generale Antonio Chinotto, uscita da Tobruk in rinforzo alla scorta, il piccolo convoglio giunge a Tobruk alle 18.
4 gennaio 1941
La Mosto salpa da Bengasi alle 7.30 per scortare a Tripoli il piroscafo Capo Vita.
7 gennaio 1941
Raggiunto dalla torpediniera Centauro, uscita da Tripoli in rinforzo, il piccolo convoglio giunge a destinazione alle dieci.
19 gennaio 1941
La Mosto salpa da Tripoli alle 18.30 per scortare in Italia le motonavi Rialto e Calitea.
21 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Palermo alle otto del mattino. Successivamente prosegue per Napoli.
22 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 13.30.

La Mosto (in primo piano) ormeggiata in Mar Piccolo a Taranto negli anni Trenta. Dietro di essa sono riconoscibili, nell’ordine, la torpediniera Francesco Stocco ed i cacciatorpediniere Folgore, Baleno, Lampo e Fulmine (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

19 marzo 1941
La Mosto salpa da Palermo per Tripoli alle 9, di scorta ai piroscafi Agata e Securitas.
22 marzo 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30.
26 marzo 1941
La Mosto lascia Tripoli a mezzogiorno per scortare a Napoli il piroscafo tedesco Leverkusen.
28 marzo 1941
Raggiunto dalla torpediniera Generale Antonino Cascino, uscita da Napoli in rinforzo alla scorta, il piccolo convoglio giunge a Napoli a mezzogiorno.
18 aprile 1941
Alle 23 la Mosto lascia Palermo insieme alla torpediniera Giuseppe La Farina (caposcorta), per scortare a Tripoli un convoglio composto dai piroscafi IsarcoNicolò Odero e Maddalena Odero.
19 aprile 1941
Si aggregano al convoglio la torpediniera Calliope e le pirocisterne Alberto Fassio, partita da Trapani con la scorta della torpediniera Climene, e Luisiano, scortata dalla torpediniera Orione. Successivamente si unisce alla scorta anche una torpediniera di Marilibia.
21 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli tra le 18 e le 22, senza aver incontrato problemi sul percorso.
30 aprile 1941
La Mosto salpa da Tripoli per Trapani alle 16, di scorta alla pirocisterna Alberto Fassio.
2 maggio 1941
Mosto e Fassio arrivano a Trapani alle 20.30.
12 giugno 1941
Alle undici del mattino la Mosto e la più moderna torpediniera Calliope (caposcorta) salpano da Tripoli per scortare a Napoli la motonave Barbarigo.
Alle 23.20 il sommergibile britannico Regent (capitano di corvetta Hugh Christopher Browne) avvista il convoglio in posizione 36°25’ N e 11°53’ E (venti miglia a sud di Pantelleria).
13 giugno 1941
Alle 2.28 il Regent lancia contro il convoglio italiano un siluro (Browne avrebbe voluto lanciarne due, ma a causa di un disguido ne parte solo uno) che però manca il bersaglio e non viene neanche notato.
14 giugno 1941
Mosto, Calliope e Barbarigo arrivano a Napoli alle sette.
20 giugno 1941
La Mosto salpa da Palermo alle 13.30 per scortare a Tripoli la nave cisterna Ardor.
Una volta in mare aperto, le due navi si aggregano ad un convoglio salpato da Napoli la sera precedente, formato dai piroscafi Preussen (tedesco), Motia, Bainsizza, Nicolò Odero e Maddalena Odero e dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Euro e Saetta.
22 giugno 1941
Dopo aver superato diversi attacchi aerei, il convoglio giunge indenne a Tripoli alle 19.30.
9 luglio 1941
Durante un’incursione aerea britannica su Tripoli, effettuata nel tardo pomeriggio (17.20), un bombardiere Bristol Blenheim del 110th Squadron della RAF (decollato dalla base maltese di Luqa), colpito dal tiro contraereo, precipita sulla coperta della Mosto (tenente di vascello Aldo Crugnola) che si trova all’ormeggio in porto. Schiantatosi a centro nave, l’aereo scatena un incendio che provoca l’esplosione del siluro contenuto nel tubo lanciasiluri prodiero di dritta, aggravando ulteriormente i già pesanti danni provocati dallo schianto. Muore il marinaio Angelo Ravanello, di 22 anni, da Villadose.
La torpediniera dev’essere portata all’incaglio per scongiurarne l’affondamento.
Nel corso della stessa incursione viene danneggiata anche la nave ospedale Virgilio, colpita da bombe che causano quattro morti e dodici feriti.



Tre immagini della Mosto danneggiata a Tripoli dopo l’incursione britannica del 9 luglio 1941 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: foto Pozzar e figlio – Trieste, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)


27 luglio 1941
Rimessa in condizioni di galleggiabilità, la Mosto lascia Tripoli a mezzogiorno a rimorchio della motonave Francesco Barbaro, e con la scorta della torpediniera Clio, per trasferirsi a Napoli per le riparazioni.
28 luglio 1941
Lasciata in sosta temporanea all’imboccatura del porticciolo di Lampedusa alle 18.30.
29 luglio 1941
Alle 21.30 giunge a Napoli, dove hanno inizio i lavori di riparazione, che si protrarranno per diversi mesi.
Durante i lavori viene anche modificato l’armamento: tre dei cinque cannoni da 102/35 mm vengono sbarcati, così come le due vecchie mitragliere Vickers-Terni da 40/39 mm e due dei quattro tubi lanciasiluri da 450 mm, mentre l’armamento contraereo viene potenziato con l’installazione di sei moderne mitragliere singole Breda Mod. 1940 da 20/65 mm, e quello antisommergibili con l’installazione di due lanciabombe per bombe di profondità.

La Mosto nel gennaio 1942 (g.c. STORIA militare)

13 febbraio 1942
La Mosto, la più moderna torpediniera Antares e l’incrociatore ausiliario Città di Genova scortano da Bari a Durazzo un convoglio composto dai piroscafi AventinoItalia e Città di Catania con truppe e materiali. Alle 11.40 un sommergibile lancia due siluri contro le navi italiane, ma nessuna arma va a segno.
15 febbraio 1942
Mosto, Antares e Città di Genova scortano da Durazzo a Bari gli stessi tre piroscafi del viaggio precedente, ora carichi di truppe rimpatrianti.
26 febbraio 1942
La Mosto salpa da Taranto per scortare a Patrasso la nave cisterna Proserpina.
27 febbraio 1942
Alle due di notte il sommergibile britannico Torbay (capitano di fregata Anthony Cecil Capel Miers), preavvisato del passaggio del piccolo convoglio, avvista la Proserpina al largo di Capo Dukato, mentre questa dirige verso il vicino canale, in condizioni di tempo avverso. Il sommergibile, avvistata la petroliera su rilevamento 275° (trovandosi a proravia sinistra rispetto ad essa) e stimatane la stazza in 7000-8000 tsl, si avvicina per attaccare, ma alle 2.07 avvista anche la Mosto: la torpediniera, che si trova circa un miglio a proravia sinistra della Proserpina e che Miers identifica erroneamente come un’unità classe Curtatone, procede a zig zag con una rotta media che la porta proprio verso il Torbay. Il comandante britannico, avendo frattanto smesso di piovere ed essendo uscita la luna dalle nuvole, con conseguente miglioramento della visibilità, ritiene troppo pericoloso – anzi, “suicida” – proseguire l’attacco tagliando la rotta alla torpediniera italiana; è inoltre troppo tardi per portarsi sulla dritta della Proserpina (dove comunque, per quanto può saperne Miers, potrebbe esserci un’altra unità di scorta) e le condizioni meteomarine, pur migliorate, non sono Abbastanza buone per condurre un attacco in immersione, a quota periscopica. Scartata anche l’opzione di attaccare in immersione sulla base dei dati rilevati dal sonar, il comandante del Torbay decide dunque di seguire il bersaglio (la nave procede a velocità piuttosto bassa) ed attaccare più tardi, in superficie, da poppavia. Immersosi alle 2.18 a 2,4 miglia per 282° da Capo Dukato, il Torbay riemerge alle 2.32 e segue il convoglio a tutta forza attraverso il canale, tenendosi a dritta della Proserpina per non essere avvistato dalla Mosto. La visibilità continuamente cangiante rende difficile per Miers l’accertamento della reale distanza, ed ad un certo punto il Torbay deve fermare i motori perché ha sopravanzato eccessivamente il bersaglio, finendo in una posizione sfavorevole per lanciare.
Alle 3.08, a 2,4 miglia per 144° (cioè a sudest) da Capo Dukato, il Torbay lancia un primo siluro da 365 metri, su rotta 270°; a causa del mare lungo, il beccheggio del sommergibile fa sì che la prua si sposti a sinistra proprio nel momento del lancio, così il siluro manca il bersaglio, passando appena quattro o cinque metri a poppavia della Proserpina. La petroliera avvista il siluro, così dà la poppa al Torbay, vanificando ulteriori lanci, e segnala immediatamente il pericolo alla Mosto, che alle 3.12 accosta a sinistra, attraversando la rotta della petroliera; il Torbay accosta a sua volta a sinistra per ridurre al minimo il suo profilo nel tentativo di non essere visto, ma non riesce a virare abbastanza in fretta, ed alle 3.16 la Mosto – distante meno di mille metri – lo avvista e gli dirige incontro, costringendolo ad immergersi precipitosamente. Così precipitosamente che Miers non riesce nemmeno a chiudere ermeticamente il portello esterno della torretta; l’equipaggio è così costretto a chiudere il portello interno e lasciare che la torretta sia inondata dal mare, che manda in cortocircuito i circuiti del clacson e della sirena d’allarme, che si azionano da soli, obbligando l’equipaggio a disattivarli del tutto.
Tra le 3.20 e le 4 la Mosto lancia undici bombe di profondità, ma solo le prime esplodono vicine, senza causare danni al Torbay. Alle 4.48, allontanatesi le navi italiane, il sommergibile riemerge a 4,3 miglia per 232° da Capo Dukato; l’equipaggio scopre così che ad impedire la chiusura del portello della torretta era il cuscino usato da Miers per dormire quando si trova in plancia, dimenticato ed incastratosi nel portello durante la frettolosa manovra d’immersione.
4 marzo 1942
La Mosto, il cacciatorpediniere Turbine e la torpediniera Generale Carlo Montanari scortano i piroscafi Piemonte, Crispi e Galilea e la motonave Viminale, carichi di truppe rimpatrianti dalla Grecia, da Patrasso a Bari, con scalo intermedio a Corfù.
Alle 9.25 il Torbay, sempre in agguato al largo delle Isole Ionie, avvista a 27,2 miglia per 330° da Capo Dukato il convoglio di cui fa parte la Mosto (che Miers identifica come quattro grossi trasporti truppe, scortati da tre cacciatorpediniere e due aerei), in navigazione verso nord. Avendo lasciato la posizione assegnata per il pattugliamento dagli ordini d’operazione per inseguire (senza successo) un altro più piccolo convoglio, il Torbay si trova adesso in posizione inidonea per attaccare; Miers decide allora di seguire il nuovo convoglio fin nella rada di Corfù per poterlo attaccare. La manovra si protrae per tutto il giorno e la notte successiva, e solo all’alba del 5 marzo il Torbay giunge davanti al porto di Corfù: arrivatovi, però, scopre che il convoglio non c’è. Si rifarà silurando un altro piroscafo che si trova in porto, il Maddalena G.
7 marzo 1942
La Mosto scorta da Bari a Valona la nave cisterna Dora C.
15 marzo 1942
La Mosto scorta il piroscafo Sant’Agata da Bari a Patrasso.
19 marzo 1942
Scorta i piroscafi Hermada, Salvatore e Città di Bergamo da Patrasso a Prevesa, via Valona.

La Mosto ormeggiata tra la moderna torpediniera di scorta Tifone (in primo piano) ed il cacciatorpediniere Augusto Riboty in una foto scattata a Brindisi nel 1942 (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

28 marzo 1942
Alle dieci del mattino (per altra fonte, le 13) la Mosto (capitano di corvetta Gerolamo Delfino), insieme alle torpediniere Castelfidardo ed Angelo Bassini ed all’incrociatore ausiliario Città di Napoli (capitano di fregata Luigi Ciani, caposcorta), salpa da Patrasso per scortare a Bari, via Brindisi, un convoglio formato dai trasporti truppe Piemonte (capoconvoglio), Francesco CrispiGalileaViminaleItalia ed Aventino, aventi a bordo in tutto 8300 uomini. Italia ed Aventino trasportano uomini delle guarnigioni del Dodecanso che rientrano in Italia per licenza, mentre le altre navi trasportano truppe della 3a Divisione Alpina "Julia" in trasferimento dalla Grecia all’Italia, dove entrerà a far parte del Corpo d’Armata Alpino destinato al fronte orientale: sul Galilea è imbarcato il battaglione "Gemona", sul Piemonte il battaglione "Tolmezzo", sull’Italia il battaglione "Cividale".
La formazione procede in linea di fila, con il Città di Napoli in testa, seguito nell’ordine da MostoCastelfidardoViminalePiemonteAventinoGalileaCrispiItalia e per ultima la Bassini, che chiude la fila; la velocità è di dieci nodi.
Alle 14, oltrepassato Capo Papas, Mosto e Castelfidardo si portano in posizione protettiva a dritta (Mosto) e sinistra (Castelfidardo) del convoglio.
Alle 17.15 il cacciatorpediniere Sebenico, salpato da Brindisi, si aggrega alla scorta in mare aperto, dopo il traverso di San Nicolò d’Itaca (insieme ad esso giungono anche alcuni dragamine che devono accompagnare il convoglio fin oltre Capo Dukato), posizionandosi sulla sinistra del convoglio. Un ricognitore sorvola intanto la zona.
La torpediniera San Martino, dotata di ecogoniometro e proveniente da Argostoli, passa il pomeriggio effettuando perlustrazione antisommergibile da Capo Dukato per le prime 20 miglia della rotta che il convoglio dovrà percorrere, senza rilevare nulla (la ricerca ha però dovuto essere alquanto sommaria, perché la nave, fatta ripartire in tutta fretta, senza potersi rifornire, poco dopo essere giunta ad Argostoli al termine di una missione di scorta, ha i serbatoi quasi vuoti e deve centellinare il carburante rimasto); alle 19 si unisce anch’essa al convoglio, portandosi in testa e riprendendo la ricerca antisom, sempre con risultato negativo.
Nemmeno la ricognizione aerea (è prevista copertura aerea dalle 15 al tramonto, assicurata da una squadriglia di base a Prevesa) avvista sommergibili. Sempre quale misura antisom, Marimorea ha fatto salpare da Guiscardo (vicino ad Argostoli) la motovedetta Caron della Guardia di Finanza ed il motoveliero Regina Vincitrice affinché effettuino ascolto idrofonico; ma le due minuscole navi, a causa delle pessime condizioni del mare (che peraltro impediscono di usare efficacemente gli idrofoni), devono tornare in porto poco dopo la partenza, senza poter espletare il loro compito.
Per il primo tratto della navigazione il convoglio si trova in una zona di mare relativamente sicura, in quanto racchiusa dalle isole di Zacinto, Argostoli e Santa Maura (Lefkàda); dopo le 20 (per altra fonte, alle 22), doppiato Capo Ducato (all’estremità meridionale di Santa Maura), uscirà invece in mare aperto, dirigerà per il punto 39°11’ N e 20°00’ E, raggiungerà le isole di Paxo ed Antipaxo e da lì dirigerà verso l’Italia, passando per la posizione 39°58’ N e 18°47’30” E, facendo il punto dinanzi a Gagliano del Capo, doppiando Capo d’Otranto verso le otto del mattino del 29 marzo, e seguendo poi la costa fino a Bari.
Verso le 18.30, passato Capo Dukato, il convoglio entra nella zona di pericolo per attacchi subacquei, e le unità della scorta iniziano ad eseguire lanci di bombe di profondità a scopo intimidatorio, dato che non si ottiene alcun reale contatto.
Il tempo, già instabile per tutta la giornata (calma di mare e di vento, ma con cielo coperto, e le previsioni parlano di un peggioramento in arrivo dal secondo quadrante), va via via peggiorando durante la serata: raffiche di vento e di pioggia prendono a sferzare le navi, che procedono tra la foschia a tratti più o meno spessa.
Il convoglio esce dal passo di Capo Dukato senza che si verifichino inconvenienti; alle 19.12, lasciato Capo Dukato di poppa al traverso, si cambia formazione dalla linea di fila a quella su quattro colonne, due interne di trasporti truppe e due esterne di navi scorta. Il Città di Napoli rimane in testa alla formazione, procedendo a proravia rispetto alle due colonne centrali (a distanza più o meno uguale da entrambe), mentre la Bassini la chiude.
La colonna interna di dritta è guidata dal Galilea, seguito dal Crispi al centro e dall’Italia in coda; la colonna interna di sinistra è formata da Viminale (in testa, a circa 600-700 metri di distanza dal Galilea), Piemonte (al centro) ed Aventino (in coda); la colonna esterna di dritta è costituita da Mosto (in testa, sulla dritta del Galilea) e Sebenico (dietro alla Mosto, all’altezza del Crispi), quella di sinistra da San Martino (all’altezza della Viminale) e Castelfidardo (all’altezza del Piemonte). Viene assunta rotta 330°, mantenendo una velocità di 10 nodi. (Per altra fonte, Città di Napoli e Mosto si sarebbero invece posizionati in coda al convoglio, rispettivamente a dritta ed a sinistra, con Sebenico e Castelfidardo in testa e Bassini e San Martino sui lati, quest’ultima a dritta e l’altra a sinistra. Dopo la partenza della San Martino, la Bassini sarebbe passata in coda insieme alla Mosto, mentre il Città di Napoli si sarebbe spostato sul fianco destro del convoglio).
Le navi della scorta procedono a zig zag; sul cielo del convoglio volano aerei da caccia ed antisommergibili, che rimangono in volo fino all’imbrunire. Gli ultimi due velivoli di scorta aerea, due caccia, se ne vanno al tramonto.
Alle 21 la San Martino è costretta a rientrare ad Argostoli, perché ha quasi finito il carburante; ciò comporta alcune modifiche nella formazione del convoglio. Il Città di Napoli torna ad essere la nave di testa; mentre i trasporti non variarono le loro posizioni, la Bassini si porta sul fianco di dritta del convoglio, all’altezza dell’Italia, e la Castelfidardo indietreggia di una posizione, portandosi all’altezza dell’Aventino. Il Sebenico passa dal lato di dritta a quello di sinistra, posizionandosi all’altezza della Viminale. Solo la Mosto mantiene la sua posizione originaria sulla dritta del Galilea.
Durante la serata, Crispi e Piemonte segnalano di essere stati sfiorati da due siluri, determinando un’intensificazione nei lanci “dissuasivi” di bombe di profondità da parte della scorta; probabilmente si è trattato di un falso allarme.
Alle 21.20 il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis) avvista numerose sagome scure in posizione 38°55’ N e 20°21’ E, a cinque miglia di distanza, su rilevamento 200°; virando per avvicinarsi e vedere di che cosa si tratta, Francis vede che le sagome appartengono alle navi di un convoglio di sette navi mercantili, scortate da due o più cacciatorpediniere. C’è troppa luce lunare per poter attaccare in superficie, così alle 22.25 il Proteus s’immerge per continuare l’avvicinamento; alle 22.32 Francis vede cinque navi attraverso il periscopio. Alle 22.42 il Proteus lancia due siluri contro un mercantile distante circa 1830 metri; un minuto dopo il sommergibile lancia altri quattro siluri contro due mercantili distanti rispettivamente 915 e 1830 metri, che appaiono “sovrapposti” nel periscopio. Subito dopo, il battello britannico scende in profondità. In quel momento il convoglio sta passando al largo delle isolette di Paxo ed Antipaxo (a sud di Corfù).
La notte è buia, piove ed il mare è agitato: le navi della scorta non avvistano le scie dei siluri né tanto meno il sommergibile. Verso le 22.45, in posizione 39°03’ N e 20°06’ E (o 39°04’ N e 20°05’ E, nove miglia a sudovest di Antipaxo), il Galilea viene colpito da un siluro a prua ed inizia a rallentare e sbandare sulla sinistra; si arresterà del tutto nel giro di una decina di minuti.
La Mosto, unità più vicina alla nave silurata, reagisce con il lancio di tre bombe di profondità alle 22.53, che però esplodono lontane dal Proteus (mentre sulla Mosto si ritiene di aver danneggiato l’avversario); il sommergibile ne avverte le esplosioni ed anche i rumori di una nave in affondamento.
Dopo il siluramento, tutte le navi del convoglio (per altra fonte, probabilmente erronea, solo quelle della scorta) accostano di 90° a sinistra, verso il lato esterno, ad alta velocità, allontanandosi a tutta forza dal luogo dell’attacco. Alle 23.10 il convoglio, riordinata la formazione, riprende la navigazione verso Capo d’Otranto.
In base agli ordini diramati dal caposcorta prima della partenza, Mosto e Castelfidardo avrebbero l’incarico di restare sul posto per dare assistenza al Galilea, mentre il resto del convoglio deve proseguire: ma alle 23.55 il Città di Napoli ripete tale ordine, via radiosegnalatore (per altra fonte, con i segnali), soltanto alla Mosto (perché il suo comandante è il più anziano tra i due, ergo destinato alla direzione delle operazioni di soccorso), così che il comandante della Castelfidardo, che l’ha intercettato e lo ritiene specificamente diretto alla sola Mosto, crede che le istruzioni impartite alla partenza siano da considerarsi annullate e di non doversi fermare anch’esso, ma di dover proseguire invece con il convoglio, senza chiedere conferma di tale interpretazione al caposcorta. (Risulta dunque erronea la versione, riportata da alcuni siti, secondo cui la Mosto, per prestare soccorso al Galilea, avrebbe contravvenuto ad un ordine di proseguire senza fermarsi in caso di siluramento, ed il comandante Delfino sarebbe stato per questo deferito alla corte marziale, pur venendo prosciolto grazie alla sua azione antisommergibili che ne avrebbe giustificato la “sosta”: in realtà egli aveva ricevuto prima della partenza proprio il compito di prestare soccorso ad eventuali navi silurate, ordine ribadito dal caposcorta dopo il siluramento del Galilea, ed agì pertanto in piena conformità con le disposizioni ricevute).
La Castelfidardo, dopo essersi trattenuta sul luogo del siluramento per pochissimo tempo, si riunisce dunque al convoglio già verso mezzanotte (il Città di Napoli si accorgerà della sua presenza in formazione soltanto alle 6.50, quando ormai il convoglio si è allontanato di ottanta miglia dal luogo dell’attacco), e soltanto la Mosto rimane ad assistere il Galilea. Il Città di Napoli informa il Comando Marina di Brindisi dell’accaduto alle 23.55, dando anche la posizione del piroscafo silurato; Marina Brindisi ritrasmetterà la notizia a Supermarina alle 00.14.
Dopo il siluramento ed un tentativo di dirigere verso la costa, frustrato dall’inutilizzazione del timone, il Galilea, fermate le macchine per ordine del primo ufficiale e rimasto privo di governo, ha ruotato su sé stesso fino a ritrovarsi con il lato sinistro sopravvento; a bordo è scoppiato il caos tra gli alpini, poco o per niente abituati al mare e per niente preparati all’eventualità di un naufragio. Le scialuppe sono prese d’assalto, venendo calate troppo frettolosamente e finendo quasi tutte con il capovolgersi o lo sfasciarsi; molti uomini si gettano in mare senza neanche saper nuotare, venendo risucchiati dalle eliche della nave – prima che le macchine siano fermate – o soccombendo rapidamente all’ipotermia.
Dileguatosi nella notte il resto del convoglio, la Mosto rimane da sola vicino al piroscafo agonizzante, unica spettatrice dell’immane tragedia che si va consumando. Le condizioni meteomarine ostacolano i soccorsi: il mare è molto agitato, piove e c’è foschia; già prima del siluramento il vento era forza 3 in aumento, da est-sudest, e va poi peggiorando, così come il mare (anch’esso forza 3 prima dell’attacco). Verso mezzanotte le condizioni meteorologiche sono descritte come “pessime”, con “mare incrociato da SSE e SSW, piovaschi e forte foschia”. La necessità di zigzagare e non fermarsi troppo a lungo in un punto per il rischio di nuovi attacchi subacquei contribuisce a sua volta ad ostacolare i soccorsi, al pari della notte estremamente buia. Di tanto in tanto vengono lanciate bombe di profondità, per scoraggiare nuovi attacchi.

Il capitano di corvetta Gerolamo Delfino, comandante della Mosto nel 1942 (da www.ponentevarazzino.com)

29 marzo 1942
Mantenendosi vicino al piroscafo in lento affondamento, la Mosto si prodiga nel salvataggio di quanti più naufraghi possibile: dapprima recupera dal mare gli uomini tuffatisi in preda al panico subito dopo il siluramento; poi prende a bordo gli occupanti delle scialuppe, tutte danneggiate e quasi tutte prive di remi, che vengono prese a rimorchio. Verso le 00.30 la Mosto, che fino a quel momento si è tenuta ad una certa distanza dal piroscafo, impegnata, secondo il primo ufficiale del Galilea Licinio Schivitz, “in un continuo andirivieni nell'intento di recuperare i naufraghi allontanatisi a nuoto o con le imbarcazioni” (secondo il tenente degli alpini Antonio Ferrante di Ruffano, la Mosto non poté affiancare il Galilea per trasbordarne le truppe a causa del mare troppo mosso), si avvicina a portata di voce ed informa gli uomini del Galilea di aver lanciato via radio i segnali di soccorso, esortandoli a mantenere la calma; domanda inoltre quale sia lo stato della nave e degli uomini ancora a bordo, e viene risposto che il Galilea ha raggiunto uno sbandamento di 17 gradi e sta inesorabilmente affondando. La Mosto torna ad allontanarsi, mentre lo sbandamento del piroscafo raggiunge i 19 gradi; il comandante del Galilea, Emanuele Stagnaro, data la vicinanza della torpediniera ordina il “Si salvi chi può”, ma quasi nessuno dei soldati esegue l’ordine, ed alcuni ufficiali degli alpini si recano anzi in plancia a chiedergli conto dell’ordine e domandarne l’annullamento. Stagnaro cede, ma all’1.45, con lo sbandamento che ha ormai raggiunto i 22 gradi, ripete nuovamente l’ordine; di nuovo gli alpini esitano a gettarsi in mare, e soltanto l’esempio del primo ufficiale Schivitz, calatosi lungo una cima su ordine di Stagnaro, li induce finalmente ad iniziare l’abbandono della nave. Alle 2.40 Schivitz viene recuperato dalla Mosto: sarà il superstite più alto in grado tra l’equipaggio del piroscafo; così descriverà il suo salvataggio nella relazione stesa in seguito: “Mi imbattei prima, nei Sottotenenti ZANELLI e BONICELLI, filatisi subito da bordo e poi, in uno zatterino sul quale riuscimmo a risalire. Dopo circa una mezz'ora fummo raccolti dalla Torpediniera, prontamente e fraternamente assistiti. Ricordo di aver perso le forze, mi ripresi nella cuccetta del Secondo di bordo, il quale mi prestò pure dei vestiti. Salii in plancia dove fui accolto dal Comandante Sig. DELFINO, il quale mi informò che alle ore 03.40 la GALILEA era affondata. La Torpediniera continuò instancabilmente il recupero dei naufraghi, ed alla fine ne recuperò 150, spesso con manovre difficili per riprendere a bordo uno ad uno. Verso le ore 14.00 fummo raggiunti dall'incrociatore ausiliario ZARA, ma in mare non si vedeva più nessuno. Più tardi in zona sopraggiunsero anche dei M.A.S., dei dragamine e degli idrovolanti”.
Qualcuno tenta anche di organizzare una spola tra Mosto e Galilea con una delle poche scialuppe sane: si tratta del tenente degli alpini Antonio Ferrante di Ruffano, imbarcatosi su una lancia carica di alpini. Incaricato un alpino radiotelegrafista, Angelo Forte, di attirare l’attenzione della Mosto – avvistata dagli occupanti della scialuppa nella foschia poco distante – effettuando segnali luminosi di SOS con la sua torcia, Ferrante ha cercato di dirigere la scialuppa verso la torpediniera con l’unico remo a disposizione; la Mosto ha avvistato l’imbarcazione e gli si è diretta incontro, affiancandola e prendendone a bordo gli alpini. Rimasto solo sulla scialuppa vuota, Ferrante chiede che un volontario lo accompagni con un altro remo nel tentativo di tornare verso il Galilea per cercare di recuperare altri uomini: alla fine si fa avanti un marinaio della Mosto, ed i due lasciano la torpediniera e remano verso il piroscafo, che però non riescono a raggiungere a causa del maltempo e dei crampi che colgono Ferrante. Recuperano invece altri dodici uomini dal mare, trasbordandoli sulla Mosto che intanto li ha seguiti, dopo di che Ferrante sviene per la stanchezza e viene portato nella cuccetta del comandante Delfino.
Solo alle 2.12 il Comando Militare Marittimo della Grecia Occidentale (Marimorea, con sede a Patrasso) apprende dalla Mosto che il Galilea è stato silurato, galleggia ancora e necessita di soccorso; a quel punto ordina a Marina Prevesa di inviare sul posto dragamine ed un MAS (l’unico presente in quel porto) ed a Marina Argostoli di mandare i dragamine ed i cacciasommergibili di base a Fiscardo (questi ultimi, però, saranno costretti a tornare indietro dal maltempo). Vengono anche approntati alla partenza i rimorchiatori Teseo e Tenax, nella speranza che sia ancora possibile prendere a rimorchio il piroscafo danneggiato e portarlo in salvo.
Vana speranza: dopo una lunghissima agonia, il Galilea s’inabissa alle 3.50 nel punto 39°03’ N e 20°06’ E. Nel suo rapporto il comandante Delfino descriverà così gli ultimi atti dello sfortunato bastimento: “Trovandomi nelle vicinanze osservo che nel risucchio dell’affondamento molte persone vengono inghiottite dai vortici”. La Mosto comunica la notizia dell’affondamento a Marimorea, che sospende così l’approntamento di Teseo e Tenax.
L’opera di salvataggio continua, i naufraghi vengono recuperati dalle zattere e dal mare. Alle cinque del mattino il comandante Delfino è costretto a richiamare a bordo la piccola lancia messa a mare per recuperare naufraghi, a casa delle “condizioni del mare in aumento”.
Nel corso della notte, la Mosto trae in salvo complessivamente tra i 187 ed i 210 uomini del Galilea, a seconda delle fonti; le richieste trasmesse alle basi di Corfù e Prevesa per sollecitare l’invio di altre unità di soccorso cadono nel vuoto a causa di fraindentimenti e malfunzionamenti nei mezzi di comunicazione. I piroscafetti Eolo e Mariska, all’ancora a Corfù, vi rimangono assurdamente, mentre a poche miglia la Mosto è sola a dover lottare contro il freddo e l’oscurità per salvare quanti più possibile tra le centinaia di naufraghi che si dibattono tra le onde. I naufraghi semiassiderati, una volta a bordo, vengono avvolti in coperte e portati in sala macchine per scaldarsi, ricevendo inoltre abiti asciutti; alcuni muoiono. Alle 6.58 la Mosto comunica a Marimorea di stare recuperando gli ultimi naufraghi.
Solo alle 7.45 giunge finalmente sul posto una seconda unità: non si tratta che di un minuscolo MAS, il 518 (per altra fonte, 516) della XXI Squadriglia di base a Prevesa, in grado di ospitare soltanto un pugno di naufraghi nei suoi ristrettissimi spazi. Compiendo due viaggi tra Prevesa ed il luogo dell’affondamento, il MAS 518 recupera in tutto 44 (per altra fonte 47) superstiti del Galilea; con le luci del mattino ed il miglioramento del tempo arrivano anche alcuni aerei decollati da Prevesa, che con le loro segnalazioni agevolano il salvataggio degli ultimi superstiti. Alle 8.08 sopraggiunge da Brindisi un idrovolante CANT Z. 506 della Croce Rossa, che però si ribalta tentando di ammarare (l’intero equipaggio può essere tratto in salvo). Alle 9.45 il presunto avvistamento del periscopio di un sommergibile da parte di un altro aereo, poi rivelatosi un falso allarme (dopo che il MAS lo ha bombardato con bombe di profondità), porta ad una momentanea sospensione dell’opera di salvataggio, con nefaste conseguenze per chi ancora è in acqua. (Secondo Antonio Ferrante di Ruffano, all’alba la Mosto avvistò un periscopio e tentò di speronare il presunto sommergibile, salvo accorgersi una volta serrate le distanze che si trattava di una piccola lancia sbandata con a bordo il tenente degli alpini Minini, vestito con una maglietta bianca e delle mutande, che aveva sollevato un remo per farsi avvistare: evitata di stretta misura la collisione, la torpediniera trasse in salvo l’ufficiale).
Alle 10.30, ripresi i soccorsi, arrivano da Prevesa i motopescherecci Antonia Madre ed Avanguardista, requisiti come dragamine ausiliari, cui la Mosto indica la zona in cui si trovano ancora dei naufraghi: le due piccole unità ne recuperano in tutto 33. Tra mezzogiorno e mezzo e l’una viene avvistato l’incrociatore ausiliario Zara (capitano di fregata Luigi Martini), salpato da Patrasso per partecipare ai soccorsi; la Mosto, con numerosi naufraghi visibili in coperta, si avvicina a portata di voce e riferisce di aver recuperato tutti i sopravvissuti, chiedendo se ci siano ordini per lei, e dopo aver ricevuto risposta negativa replica che rientrerà a Prevesa per sbarcare i naufraghi. Il comandante dello Zara domanda quanti siano gli uomini tratti in salvo, e la Mosto risponde che sono 220, inclusi 33 recuperati dai pescherecci, che ha già perlustrato tutta l’area, e che non c’è più nessuno da salvare. MostoAntonia Madre ed Avanguardista dirigono quindi per rientrare in porto (poco prima se n’è andato definitivamente anche il MAS 518, mentre verso le due del pomeriggio giungono in zona altre unità minori, tra cui i dragamine Saetta e Luigi III, che recuperano altri 33 naufraghi e 47 cadaveri), mentre lo Zara rimane sul posto per continuare le ricerche; alle 14.03 avvista quello che sembra un cadavere su uno zatterino ma che si rivela poi essere un naufrago ancora in vita: è l’alpino friulano Ugo Pittin. Si tratta dell’ultimo superstite del Galilea a venire tratto in salvo, nonché dell’unico salvato dallo Zara, che continuerà senza successo le ricerche fino alle sette di sera del 30 marzo (Pittin riferirà poi che verso le 7.30 la Mosto era passata ad una ventina di metri dallo zatterino su cui lui ed un altro naufrago, un ufficiale degli alpini deceduto poco dopo, si trovavano, tanto vicina che aveva potuto leggerne le lettere identificative dipinte sullo scafo, senza però avvistarli né sentire le sue grida di aiuto).
Alla fine, i morti saranno 1050, su 1329 presenti a bordo del piroscafo. La Mosto ha salvato la maggioranza dei sopravvissuti, sbarcandoli a Prevesa alle 17 del 29 marzo; per la sua opera di salvataggio, il comandante Delfino verrà insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare (già la terza concessione, per lui), con motivazione "Comandante di torpediniera, di scorta ad un importante convoglio, attaccato da sommergibile nemico, accorreva prontamente in aiuto di una nave colpita da siluro, dirigendo con slancio, perizia e coraggio le operazioni di recupero dei naufraghi prolungatesi per più ore in acque ancora insidiate dal nemico ed in difficili condizioni atmosferiche e di mare particolarmente difficili. Con ardimento e spirito aggressivo, dava in pari tempo caccia all'unità subacquea avversaria e portava efficace assistenza all'equipaggio di un idrosoccorso infortunatosi nel tentativo di contribuire al recupero dei naufraghi, dando prova di elevate qualità militari e marinaresche".
Le altre navi del convoglio giungono a Bari lo stesso 29 marzo.
Il tenente degli alpini Erasmo Frisacco, tra i pochi ufficiali superstiti (salvato proprio dalla Mosto insieme ad altri due alpini, Onorino Pietrobon e Luigi Borgna: gli unici superstiti di un gruppo di una trentina di uomini arrampicatisi sul loro zatterino), scriverà nella sua relazione “Si ritiene doveroso segnalare il contributo valoroso ed instancabile offerto dai comandanti della torpediniera "Antonio Mosto" e dal MAS inviato in soccorso, nonché l'opera infaticabile prestata dai tenaci equipaggi che si sono prodigati fino al limite delle possibilità anche per un periodo oltre l'affondamento alla ricerca ed al possibile recupero di naufraghi superstiti”. L’alpino friulano Bruno Galet ricorda così il salvataggio da parte della Mosto: “Ci allontanammo dalla nave remando, anche per scaldarci. La torpediniera Antonio Mosto, di scorta al convoglio, invertì la rotta e venne in soccorso dei naufraghi. (…) Noi vedemmo la nave e tutti gridammo per farci notare, ma non ci sentirono, solo al secondo passaggio, finalmente, ci issarono a bordo. Il salvataggio avvenne quando era quasi mattina e durò parecchio tempo perché il mare aveva disperso le varie scialuppe e la nave era costretta a girare intorno. I marinai che ci soccorrevano issandoci a bordo della torpediniera ci facevano coraggio dicendoci: “Bravi alpini, bravi”. Io mi ritenevo ormai salvo, non mi passava per la testa che avremmo potuto essere silurati un’altra volta”. Un altro alpino, il sergente Luciano Papinutto, descrive così il suo salvataggio ed il ricongiungimento, a bordo della Mosto, con il suo tenente, Ferrante di Ruffano: “Me ne stavo a dondolare sullo zatterino, pensando che, se avessi resistito al freddo almeno fino al mattino, qualche aereo o nave mi avrebbe visto, quando mi si stagliò di fronte una grande ombra nera. Era il cacciatorpediniere “Antonio Mosto”. Presi a gridare e l’equipaggio mi individuò. Fecero un “telemax” dopo aver ben capito dove mi trovavo. Ricordo che mi chiesero chi fossi. Fecero mille domande per potermi individuare per mezzo della voce. Alla fine, mi videro e gettarono una corda. Un’onda, però, mi portò a una cinquantina di metri lontano. Il caccia, allora, manovrò di nuovo e la fune mi venne tirata una seconda volta [in un’altra versione, Papinutto parla invece di una rete che sarebbe stata calata dalla Mosto, e che sarebbe riuscito ad aggrappare al terzo tentativo]. Questo giro le onde violente rischiarono di farmi sbattere sulla fiancata della nave. Ricordo le urla dei marinai che mi dicevano di fare attenzione a quel pericolo. Me ne accorsi appena in tempo, tanto da riuscire ad aggrapparmi alla fune con forza. Nel farlo mollai lo zatterino e finii sott’acqua, ma oramai mi stavo tenendo alla fune. Subito fui tirato su e tratto in salvo. Portavo ancora al collo il binocolo di plotone e al fianco il pugnale del Tenente. Mi chiesero chi fossi. Risposi che ero un alpino della “Julia”. Allora mi diedero un maglione pesante, mi trasferirono in punta alla nave e mi fecero scendere in un boccaporto. Dentro vi trovai Forte e quelli della scialuppa. Lì c’era anche un alpino che poi morì a causa del freddo e dello sforzo. Una volta lì, presi a stare male e, siccome il caccia ballava molto, cercai una ritirata muovendomi a gattoni negli stretti corridoi. Trovando un marinaio, chiesi se per caso non vi fossero a bordo dei nostri ufficiali. Mi rispose che uno c’era, in una saletta vicino alla sala macchine. La raggiunsi carponi. Era buia. Sul fondo vidi una brandina su cui giaceva qualcuno. I nostri sguardi si incrociarono. “Ferrante!”, dissi. “Papinutto! Cosa fai qui!?”, rispose lui piacevolmente sorpreso. “Aveva promesso di venire a prendermi…”, risposi canzonatorio, “…non è venuto e, pertanto, m’è toccato raggiungerLa da solo!”. Siccome avevo veramente un aspetto che lasciava intuire di cosa avessi più bisogno in quel momento, indicando con il dito, Ferrante disse: “Papinutto, il gabinetto è da quella parte!”. Fu così che io, Ferrante e Forte godemmo del bene di ritrovarci anche quella volta”.
L’inchiesta sulla perdita del Galilea, condotta dall’ammiraglio di squadra Antonio Pasetti e conclusa dopo due mesi, considererà l’equivoco relativo ai compiti della Castelfidardo conseguenza di una serie di fraintendimenti tra i diversi soggetti che hanno scambiato messaggi dopo l’attacco (ad esempio, alle 22.57 la Mosto aveva informato il Sebenico per radiosegnalatore che il Galilea era fortemente sbandato e bisognoso di soccorso, mentre avrebbe dovuto comunicarlo al caposcorta sul Città di Napoli), e di problemi tecnici verificatisi nelle comunicazioni (ad esempio il Sebenico, alle 23.30, aveva cercato di contattare il Città di Napoli, che però non era stato raggiunto dal segnale rds: si era dovuto ricorrere alla segnalazione ottica, e solo alle 23.50 il caposcorta Ciani era stato reso edotto della situazione). Altro grave problema messo in luce dall’inchiesta, insieme alla mancata effettuazione di alcune comunicazioni, è che le unità di scorta non sapessero chi fosse il caposcorta, confusione alimentata dal comandante del Sebenico che ha adottato iniziative non di sua competenza, come contattare via radio altre unità della scorta per ordinare il lancio di bombe di profondità, inducendo diversi comandanti a ritenere erroneamente che il caposcorta fosse lui.
In riconoscenza per la sua opera di salvataggio, nel dopoguerra il comandante Delfino sarà frequentemente invitato dai reduci del "Gemona" alle commemorazioni tenute in Friuli, terra di origine degli alpini del "Gemona" (e più precisamente a Chions, paese che ebbe il più alto numero di vittime nell’affondamento) nell’anniversario della tragedia (dopo la sua morte, sarà la figlia Caterina ad essere invitata alle commemorazioni, ricordando la figura del padre); considerato quasi un “secondo papà” da molti degli alpini salvati, nel 1982 riceverà dai reduci del "Gemona" una targa commemorativa ed un cappello di un alpino superstite. Varazze, sua città natale, gli dedicherà un molo, mentre il Comune di Gemona gli conferirà la cittadinanza onoraria e gli alpini la qualifica di “alpino onorario”.

Antonio Ferrante ed Angelo Forte, superstiti del Galilea, a bordo della Mosto dopo il salvataggio (da “Mai daur” di Antonio Ferrante)

1° maggio 1942
MostoCittà di Napoli ed il cacciatorpediniere Euro scortano i piroscafi Rosandra e Città di Catania, carichi di truppe e materiali, da Bari a Durazzo.
3 maggio 1942
Mosto e Città di Napoli scortano i piroscafi Italia e Quirinale, carichi di munizioni e materiali vari, da Durazzo a Bari.
4 maggio 1942
La Mosto e l’incrociatore ausiliario Lorenzo Marcello scortano il trasporto truppe Crispi da Brindisi a Corfù.
5 maggio 1942
Mosto e Marcello scortano il Crispi da Corfù a Bari.
9 maggio 1942
La Mosto e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano il piroscafo Città di Catania, carico di truppe e materiali vari, da Bari a Santa Maura, e poi di nuovo a Bari con truppe rimpatrianti.
15 maggio 1942
La Mosto salpa da Patrasso per scortare a Bari, insieme all’incrociatore ausiliario Brioni, il piroscafo Ivorea.
16 maggio 1942
Alle 14.14, in posizione 40°50’ N e 17°40’ E (al largo di Bari), il sommergibile britannico Thrasher (tenente di vascello Hugh Stirling Mackenzie) avvista il convoglio, in avvicinamento da Brindisi a notevole distanza dalla costa: la Mosto procede in testa, seguita dall’Ivorea (di cui Mackenzie valuta correttamente la stazza in 3500 tsl), con il Brioni (la cui stazza è sovrastimata da Mackenzie in 5000 tsl) in coda alla formazione. Il comandante britannico giudica che sia Brioni che Ivorea siano due mercantili carichi per metà, e che la Mosto sia l’unica unità di scorta.
Alle 14.47, in posizione 40°50’ N e 17°40’ E, il Thrasher lancia tre siluri contro il Brioni da 2100 metri di distanza; subito dopo accosta per lanciare anche contro l’Ivorea, ma due minuti più tardi, l’incrociatore ausiliario avvista i siluri e riesce così ad evitarli, dopo di che ne risale la scia, costringendo il Thrasher a scendere a 24 metri di profondità e ritirarsi verso nordovest, abbandonando l’attacco. Portatosi sulla verticale del sommergibile attaccante, il Brioni lancia tre bombe di profondità alle 14.53; anche la Mosto si unisce alla caccia, lanciando tre bombe di profondità qualche minuto più tardi (gli ordigni esplodono però piuttosto lontani dal Thrasher, che non subisce danni).
Alle 15.15 Mosto e Brioni abbandonano la caccia e si riuniscono all’Ivorea, proseguendo la navigazione.
7 giugno 1942
La Mosto e la similare Stocco scortano la nave cisterna Sanandrea da Taranto a Patrasso.
6 luglio 1942
La Mosto e la torpediniera Solferino scortano il trasporto militare Enrichetta, con un dragamine a rimorchio, da Taranto a Navarino.
8-9 luglio 1942
La Mosto scorta a Navarino il trasporto militare Enrichetta, la cisterna militare Po ed i dragamine Magnxet e Persiglia. Alle quattro del mattino del 9 luglio, al largo di Zante, la scorta viene rinforzata dalla torpediniera Calliope, uscita da Navarino, dove il piccolo convoglio giunge a mezzogiorno.
17 luglio 1942
La Mosto scorta il trasporto militare Tripoli da Taranto a Navarino.
25 luglio 1942
Alle quattro del mattino la Mosto, il vecchio cacciatorpediniere Riboty, il più moderno cacciatorpediniere Lampo e l’incrociatore ausiliario Zara partono da Bari per scortare a Patrasso i piroscafi Aventino e Milano, diretti in Nordafrica con 1871 soldati, 15 tra automezzi e rimorchi e 213 tonnellate di munizioni, artiglieria e materiali vari. Fa parte del convoglio anche la motonave Donizetti, che però è diretta a Corfù; quando il convoglio giunge al largo dell’isola, Donizetti e Mosto se ne separano e raggiungono pertanto Corfù.
Da Patrasso i due piroscafi proseguiranno per Bengasi, via il Pireo e Suda, con la scorta di altre unità (cacciatorpediniere Saetta e Bersagliere, torpediniere Lince e Sagittario); giungeranno a destinazione, nonostante ripetuti attacchi aerei che causeranno alcuni danni all’Aventino.
29 luglio 1942
Mosto e Riboty scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Orsolina Bottiglieri e Tagliamento, carichi di materiali vari, e la nave cisterna Arca.
3 agosto 1942
La Mosto scorta la cisterna militare Devoli da Navarino a Valona.
11 agosto 1942
Mosto e Zara scortano il piroscafo Argentina, carico di truppe e materiali, da Taranto a Patrasso.
30 agosto 1942
Mosto e Zara scortano la motonave Puccini, con truppe e materiali, da Bari ad Argostoli.
4 settembre 1942
Mosto e Città di Genova scortano da Bari a Prevesa i piroscafi Aventino ed Ivorea, con truppe e materiali.
Lo stesso giorno la Mosto, insieme ad un rimorchiatore dei pompieri, salpa da Bari per andare in soccorso della torpediniera di scorta Tifone, danneggiata a poppa dall’esplosione di una mina. Mosto e rimorchiatore, procedendo a tutta forza, giungono sul posto, dopo di che la Mosto prende a rimorchio la Tifone e la porta a Brindisi, dove la torpediniera danneggiata sarà immessa in bacino.

Tifone, Mosto e Riboty (da sinistra a destra) a Brindisi nel 1942 (da www.steelnavy.net)

13 settembre 1942
MostoZaraStocco ed il cacciatorpediniere Premuda scortano da Bari a Durazzo i piroscafi RosandraChisone e Quirinale, con truppe e rifornimenti.
4 ottobre 1942
La Mosto viene inviata a dare la caccia al sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin Bryant), che ha infruttuosamente attaccato con quattro siluri e con il cannone il piroscafo Valentino Coda a sud di Vieste, in posizione 41°48’ N e 16°13’ E (il piroscafo ha reagito aprendo a sua volta il fuoco con il suo cannone: né il Safari né il Valentino Coda hanno ottenuto centri nel successivo duello d’artiglieria). Non riesce a trovarlo.
21 ottobre 1942
La Mosto lascia Bari per scortare a Patrasso la motonave Calino. Il piccolo convoglio fruisce inoltre della protezione di due aerei.
22 ottobre 1942
Alle dieci del mattino (ora di bordo del Sahib) Mosto (identificata come un’unità classe Generali) e Calino, insieme a due aerei che le sorvolano, vengono avvistate nel punto 38°46’ N e 20°04’ E, a 25 miglia per 295° da Capo Dukato, dal sommergibile britannico Sahib (tenente di vascello John Henry Bromage), a 5500 metri di distanza. Alle 10.21 (11.20 ora italiana) il Sahib lancia quattro siluri, da 3900 metri, contro la motonave; alle 11.23 (ora italiana) la Mosto viene mancata da un siluro, ed avverte subito la Calino di iniziare manovre evasive: la motonave riesce così ad evitare i quattro siluri, nel punto 38°45’ N e 20°05’ E (posizione indicata dalla Calino; il comandante della Mosto nel rapporto di missione indicherà invece 39°35’ N e 19°13’ E, mentre nel messaggio inviato alla base durante l’azione aveva indicato 38°42’ N e 20°11’ E). Un aereo della scorta, un CANT Z. 506 con a bordo il guardiamarina Paolo Budini, scende in picchiata, mitraglia il punto in cui approssimativamente si trova il sommergibile (per indicarlo alla Mosto) e sgancia due cariche di profondità, ed alle 11.31 la Mosto getta a sua volta due bombe di profondità regolate per esplodere rispettivamente a 50 e 75 metri di profondità, seguite alle 11.36 da altre due regolate per 100 metri. Il Sahib non viene tuttavia danneggiato (le bombe esplodono lontane). La Mosto si riunisce poi alla Calino, che riferisce di essere stata mancata da quattro siluri; una volta ricomposto, il piccolo convoglio riprende la navigazione.
26 ottobre 1942
Scorta il piroscafo Salvatore da Patrasso a Brindisi.
2 novembre 1942
La Mosto salpa da Brindisi alle otto di mattina scortando il piroscafo tedesco Hans Harp, diretto a Bengasi, e l’italiano Goffredo Mameli. All’altezza di Capo Papas l’Hans Harp si separa dal convoglio prosegue da solo (a Suda ne assumerà la scorta la torpediniera Orsa); la Mosto scorta il Mameli fino a Patrasso.
6 novembre 1942
La Mosto e le torpediniere Castore ed Angelo Bassini salpano da Taranto per scortare a Suda la pirocisterna GiorgioMosto e Bassini scortano la Giorgio solo fino a Patrasso, poi è la sola Castore a proseguire con la petroliera.
8 novembre 1942
La Mosto scorta la piccola motonave frigorifera Genepesca I da Patrasso a Brindisi.
15 novembre 1942
La Mosto scorta la motonave Unione da Patrasso a Corfù.
20 novembre 1942
Scorta di nuovo l’Unione, adesso da Corfù a Taranto.
30 novembre 1942
Alle 17.10 la Mosto salpa da Trapani per scortare a Tunisi il piroscafo Valdirosa.
1° dicembre 1942
Mosto e Valdirosa arrivano a Tunisi alle 17.20.


La Mosto con colorazione mimetica nel 1942 (da www.alpinicapolago.it e www.extramuros.it)


3 dicembre 1942
A mezzogiorno la Mosto, salpata da Tunisi per andare a rinforzare la scorta del convoglio “Arlesiana” (o “B”: lo compongono i piroscafi italiani Arlesiana, Achille Lauro e Campania ed i tedeschi Menes e Lisboa, scortati dalle torpediniere Groppo, Orione, Sirio, Uragano ed Animoso), viene avvistata dal sommergibile britannico P 45 (poi ribattezzato Unrivalled; tenente di vascello Hugh Bentley Turner) in posizione 37°16’ N e 10°22’ E (nel Golfo di Tunisi). Identificata la nave italiana come un “cacciatorpediniere classe Odero”, Turner lancia un siluro contro di essa alle 12.21, in posizione 37°14’ N e 10°27’ E; la Mosto avvista la scia ma non riesce ad evitare il siluro, che tuttavia colpisce il suo lato sinistro senza esplodere e causando danni minimi (una falla nel deposito di nafta numero 4 e lo scardinamento di un componente dell’elica sinistra). Alle 12.31 la Mosto reagisce con il lancio di sette bombe di profondità; si unisce poi alla caccia una seconda unità, ed alle 14.30 il P 45 è oggetto di un lancio piuttosto preciso in cui sei bombe di profondità esplodono alquanto vicine, causando alcuni danni sebbene non gravi. Terminata la caccia, il sommergibile riuscirà a tornare a quota periscopica alle 15.45.
15 dicembre 1942
La Mosto scorta da Taranto a Messina la motonave Unione, insieme al rimorchiatore militare Titano. Tra le 11.20 e le 12.20, nei pressi di Taranto, il piccolo convoglio incontra il sommergibile Delfino (capitano di corvetta Alberto Avogadro di Cerrione), di ritorno da una missione di trasporto a Buerat el Hsum, col quale scambia il segnale di riconoscimento.
24 dicembre 1942
La Mosto salpa da Taranto alle 7.30 scortando il piroscafo Iseo ed una motozattera tedesca.
25 dicembre 1942
Il piccolo convoglio giunge a Messina nel pomeriggio.
23 marzo 1943
La Mosto (tenente di vascello di complemento Mario Trisolini) salpa da Taranto insieme alla similare Angelo Bassini (tenente di vascello Beniamino Mancuso, caposcorta) per scortare a Messina la pirocisterna Zeila ed il piroscafo per recuperi Artiglio; alla scorta si uniscono anche i cacciasommergibili tedeschi UJ 2201 e UJ 2204 (salpati da Crotone la sera precedente) e diverse vedette antisommergibili italiane tipo VAS.
Alle 12.45 i fumi del convoglio vengono avvistati su rilevamento 060° dal sommergibile britannico Unison (tenente di vascello Anthony Robert Daniell), che manovra per attaccare. Identificate, alle 13.22, le unità del convoglio come «due navi mercantili scortate da una torpediniera vecchio tipo, due grossi pescherecci armati e due MAS», e notato che nel cielo vi sono diversi aerei che pattugliavano la zona, Daniell lancia quattro siluri dalle 14.09, dalla distanza di 1830 metri. La Zeila viene colpita da due delle armi, ed affonda in un minuto (l’orario riportato dalle fonti italiane sono però le 14.20, discordante rispetto a quello dell’Unison) nel punto 37°57’ N e 16°10’ E, a quattro miglia per 100° da Capo Spartivento Calabro. Dieci uomini perdono la vita, mentre vengono recuperati quattordici superstiti, tra cui sei feriti.
Dopo l’attacco l’Unison scende in profondità (anche troppo: Daniell intendeva scendere a 27 metri, ma il profondimetro viene erroneamente chiuso e quando viene riaperto il battello è sceso a 85 metri di profondità; continua a scendere fino ad urtare il fondale a 105 metri alle 14.12 e “rimbalzare” fino a 30 metri, quando finalmente l’equipaggio riesce a riguadagnare il controllo dell’assetto), e dalle 14.17 alle 17.45 viene sottoposto a pesantissima caccia, con il lancio di ben 133 bombe di profondità da parte dell’UJ 2201 e dell’UJ 2204. Nonostante le impressioni dei due cacciasommergibili tedeschi, che riterranno di aver affondato il sommergibile, quasi nessuna delle bombe esplode particolarmente vicina, così gli unici danni che l’Unison deve lamentare consistono nella la rottura di alcune lampadine.
Lo stesso giorno il convoglio viene anche attaccato da aerosiluranti, che mitragliano la Mosto e lanciano contro di essa dei siluri: la torpediniera non subisce danni di rilievo, ma rimane ucciso il capo meccanico di prima classe Guglielmo Guglielmi, di 41 anni, da Capua. Sarà decorato alla memoria con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione “Imbarcato su torpediniera, attaccata con mitraglia e siluro da aerei nemici, restava Impavido al suo posto di combattimento, assolvendo il compito affidatogli sotto l’intensa azione di fuoco avversaria. Gravemente colpito da una raffica di mitraglia, si Abbatteva in coperta senza un lamento e, solo ad azione ultimata, consentiva di essere trasportato in luogo più ridossato. Decedeva poco dopo, offrendo esempio di elevato attaccamento al dovere e consapevole spirito di sacrificio”.
4 aprile 1943
La Mosto, insieme alle torpediniere Climene ed Angelo Bassini ed al cacciatorpediniere Augusto Riboty, salpa da Brindisi per scortare a Messina la motonave italiana Carbonello A. e la nave cisterna tedesca Regina.
Alle 12.35 dello stesso giorno la Mosto lascia il convoglio per raggiungere Taranto.
13 maggio 1943
La Mosto salpa da Olbia alle 8.45 per scortare a Sant’Antioco il piroscafo Singe, al comando del capitano di lungo corso Vincenzo Palomba, carico di provviste per il presidio militare di Sant’Antioco.
Alle 15.55 lo Sfinge urta un corpo sommerso in posizione 40°24’50” N e 09°49'10” E, con conseguente apertura di una falla dalla quale l’acqua entra ad un ritmo maggiore di quanto le pompe non riescano ad espellere; tuttavia, dal momento che le paratie stagne della stiva reggono alla pressione dell’acqua e gli altri doppi fondi sono intatti, il comandante del piroscafo decide di proseguire, decisione che comunica per megafono alla Mosto.
14 maggio 1943
Alle 14.55, al largo di Capo Malfatano, il piccolo convoglio viene attaccato da aerei angloamericani che effettuano più passaggi di mitragliamento: lo Sfinge viene colpito più volte, con la morte del comandante Palomba e di tre marinai ed il grave ferimento del nostromo, ed i proiettili incendiari appiccano vari principi d’incendio. Il piroscafo dà fondo vicino alla costa per domare le fiamme, dopo di che riprende la navigazione alle 15.40, ormeggiandosi a Sant’Antioco alle 20.45.
28 maggio 1943
La Mosto si trova in porto a Livorno quando la città subisce il primo bombardamento della guerra, effettuato da 92 “Fortezze Volanti” (quadrimotori Boeing B-17) della 12th USAAF, su 100 originariamente decollati dalle basi dell’Algeria.
L’incursione, che ha come obiettivo proprio il porto e le navi ivi ormeggiate, oltre allo scalo ferroviario ed alle raffinerie, si protrae dalle 11.35 alle 12.26, con effetti devastanti: vengono duramente colpiti gli obiettivi prescelti, ma anche il centro cittadino, con immani distruzioni soprattutto nel quartiere Venezia e nelle zone del Voltone, di Piazza Magenta, Via Baiocchi e Via Marrani. Le bombe distruggono 170 edifici, tra cui il Duomo, la grande Sinagoga (la seconda in Europa per dimensioni), i teatri San Marco e Rossini ed il Mercato Centrale. Decine di becolini, piccole imbarcazioni a fondo piatto e vela latina tipiche di Livorno, vengono frantumate dalle bombe nei canali del porto Mediceo; i malsicuri ricoveri antiaerei ricavati nelle cantine dell’Unione Canottieri Livornesi, centrati dalle bombe, crollano seppellendo decine di occupanti (cento persone rimangono sepolte nel crollo di un singolo rifugio, centrato da una bomba in zona Scali d’Azeglio; in un caso, non essendo possibile recuperare i cadaveri, si deciderà di murare il ricovero dopo aver gettato calce viva per evitare epidemie). La seconda ondata di bombardieri coglie i pompieri intenti ai soccorsi dopo la prima ed innumerevoli civili in fuga lungo le vie della città, aumentando le perdite. In tutto muoiono sotto le bombe almeno 212 civili e 13 militari, altri 232 rimangono feriti (entro il 3 giugno, con il decesso di molti feriti, il numero delle vittime salirà a 280). Molte delle vittime sono operai dei cantieri Odero Terni Orlando, nonché abitanti del centro e delle zone limitrofe al porto, alla zona industriale ed all’Accademia Navale.
Decine di migliaia di livornesi abbandoneranno la città nei giorni successivi, rifugiandosi nelle campagne e negli altri centri della costa toscana: nella sola cittadina di Rosignano, che conta circa 20.000 abitanti, piomberanno in un sol giorno ottomila livornesi sfollati.
Tra le navi ormeggiate in porto, mercantili e militari, che rappresentano uno degli obiettivi principali, il bombardamento fa un vero scempio: affondano sotto le bombe le torpediniere Antares ed Angelo Bassini, la corvetta FR 52, i piroscafi Lercara e Tiziano, l’incrociatore ausiliario Caralis, il piroscafetto Maralunga, i motovelieri Alas (vedetta foranea V 84), LucianoMaria Concetta M.Sandro e Sandrina (dragamine ausiliario DM 33), i rimorchiatori AlcioneArtigliere e Francesca Neri (quest’ultimo requisito come dragamine ausiliario B 404); subiscono gravi danni il cacciatorpediniere Velite e la corvetta Antilope, entrambi ai lavori nei cantieri Odero-Terni-Orlando, che subisce esso stesso pesanti distruzioni, rimanendo pressoché paralizzato dalle conseguenze dirette e indirette del bombardamento (la corvetta Stambecco, colpita sullo scalo dove si trova in costruzione, viene danneggiata tanto gravemente che se ne decide la demolizione senza che mai abbia neanche toccato il mare).
Anche la Mosto viene gravemente danneggiata dal bombardamento; un membro del suo equipaggio, il capo silurista di seconda classe Umberto Del Chierico di 32 anni, da Castel Focognano, morirà per le ferite riportate il successivo 30 maggio.
8 settembre 1943
Alla data della proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, la Mosto fa parte del I Gruppo Torpediniere di stanza a La Spezia, alle dipendenze del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno, insieme alle “tre pipe” Generale Antonino CascinoGiacinto Carini e Generale Carlo Montanari (caposquadriglia; le due “Generali” all’atto dell’armistizio sono impossibilitate a muovere perché ai lavori).
Da La Spezia la Mosto, insieme alla ben più moderna torpediniera di scorta Ardimentoso, si trasferisce a Portoferraio, nell’Isola d’Elba; qui convergono infatti tutte le siluranti provenienti dai porti dell’Alto Tirreno: le torpediniere Impavido ed Indomito (la prima delle quali ha a bordo gli ammiragli Aimone di Savoia-Aosta ed Amedeo Nomis di Pollone, rispettivamente ispettore generale dei MAS e comandante superiore delle siluranti) da Lerici, Ardente ed Animoso da Genova, Fortunale, Calliope e Nicola Fabrizi da Pozzuoli, Aliseo, Ardito e Giacinto Carini da Bastia e le corvette Ape (già presente a Portoferraio all’annuncio dell’armistizio), Folaga (da La Spezia), Cormorano (da Bastia), Danaide e Minerva (da La Maddalena), nonché i sommergibili Axum (da Gaeta), Filippo Corridoni (da La Maddalena), H 1, H 2 e H 4 (tutti da Ajaccio), la motosilurante MS 55 (da Gaeta), i MAS 544 (da La Spezia) e 551 (da Lerici), due cannoniere (da La Spezia e da Genova), il rimorchiatore militare Porto Palo (da La Spezia) ed una decina di vedette antisommergibili provenienti da La Spezia. L’ammiraglio Nomis di Pollone, per ordine di Supermarina, assume il comando di questa eterogenea flottiglia, denominata Divisione siluranti.
Da Portoferraio la Divisione siluranti proseguirà poi verso sud, con l’eccezione di Ardito (impossibilitata a proseguire per i danni subiti in un attacco tedesco a Bastia), Impavido (immobilizzata da un’avaria), i due MAS (anch’essi immobilizzati da avarie), il Porto Palo ed alcune VAS.
12 settembre 1943
La flottiglia di cui fa parte la Mosto giunge a Palermo, porto sotto controllo Alleato. Qui le navi italiane sostano per alcuni giorni, risultando un incomodo non da poco per i locali comandi statunitensi; il comandante della locale base della US Navy, capitano di vascello Leonard Doughty, annuncerà ai suoi superiori l’arrivo della flottiglia di Nomis di Pollone parafrasando sarcasticamente il messaggio inviato in precedenza dall’ammiraglio Andrew Browne Cunningham (capo di Stato Maggiore della Royal Navy e comandante in capo della Mediterranean Fleet britannica) relativamente all’arrivo a Malta della flotta da battaglia italiana in seguito all’armistizio (“Mi compiaccio di informare le loro signorie che la flotta italiana è all’ancora sotto i cannoni della fortezza di Malta”): “Mi compiaccio di informare le loro signorie che Palermo è sotto i cannoni di una flotta italiana”.
L’ammiraglio Cunningham ha già deciso di utilizzare le siluranti italiane per la scorta ai convogli Alleati nel Mediterraneo, in modo da liberare un eguale numero di siluranti angloamericane per altri impieghi; non avendo però ancora concordato tale collaborazione con l’ammiraglio Raffaele De Courten (capo di Stato Maggiore della Marina italiana) e non essendo del tutto certo della realizzabilità di un accordo del genere con l’ex nemico, decide per il momento di trasferire le navi di Nomis di Pollone a Malta (dove già è confluito, in base alle disposizioni armistiziali, il grosso della flotta italiana), dove potrà, nel peggiore dei casi, impossessarsene con la forza qualora non risultasse possibile raggiungere un accordo per il loro utilizzo.
Incontrati i due ammiragli italiani a bordo dell’Aliseo, il capitano di vascello Doughty e due suoi sottoposti organizzano il rifornimento delle navi italiane con provviste e medicinali, in modo da consentirne la prosecuzione verso Malta.
19-20 settembre 1943
La flottiglia di Nomis di Pollone inizia a lasciare Palermo all’alba del 19, raggiungendo Malta tra quel giorno ed il 23 settembre. La Mosto arriva a Malta il 20 settembre, insieme alle torpediniere Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Ariete, Indomito, Fortunale e Calliope, alle corvette Minerva, Danaide, Gabbiano, Ape e Cormorano, ai sommergibili Filippo Corridoni, Axum, Nichelio, H 1, H 2 e H 4, al cacciasommergibili ausiliario AS 121 Regina Elena, alle motosiluranti MS 35, MS 55 e MS 64, alle vedette antisommergibili VAS 201, VAS 204, VAS 224, VAS 233, VAS 237, VAS 240, VAS 241, VAS 246 e VAS 248. Le ha precedute, il 19, la corvetta Pellicano, e le seguiranno, nei giorni successivi, le torpediniere Carini e Fabrizi (giunte il 21), il rimorchiatore militare Liscanera e le motosiluranti MS 54, MS 56 e MS 61 (tutte giunte il 23).
La Mosto va ad ormeggiarsi a Marsa Scirocco, insieme alle altre torpediniere e corvette.
Lo stesso giorno (20 settembre) muore in Italia il sottocapo meccanico Marco Luparia, di 21 anni, da Casale Monferrato, facente parte dell’equipaggio della Mosto, in circostanze che non è stato possibile appurare (è possibile che, rimasto a terra forse perché in licenza, abbia perso la vita in conseguenza delle vicende armistiziali nel quadro dell’occupazione tedesca dell’Italia).
5 ottobre 1943
La Mosto lascia Malta e ritorna in Italia, insieme ad Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Indomito, Fortunale, Carini e Fabrizi.
26 ottobre 1943
La Mosto e la similare Nicola Fabrizi scortano un convoglio britannico: si tratta di una delle primissime missioni di scorta svolte da unità italiane nell’ambito della cobelligeranza, in seguito ad accordi tra gli ammiragli De Courten e Cunningham (capo di Stato Maggiore della Royal Navy e già comandante in capo della Mediterranean Fleet) per la cooperazione tra le due Marine in seguito all’armistizio ed allo stato di guerra frattanto sorto tra Italia e Germania.
1943-1945
Durante la cobelligeranza con gli Alleati, la Mosto viene impiegata principalmente nella scorta di convogli nelle acque della Tunisia.
Dicembre 1944
Secondo una “pink list” (lista pubblicata settimanalmente, che indicava la posizione di ciascuna unità della Royal Navy e delle Marine alleate o cobelligeranti) della Royal Navy, in questo periodo la Mosto si sarebbe trovata in riparazione a Taranto.

La Mosto nel 1945 (da “Warships International” n. 2 del 1990, via www.stefsap.wordpress.com)

24 aprile 1945
La Mosto partecipa ad un’esercitazione nelle acque di Taranto (tra le 6.20 e le 13.10) insieme al cacciatorpediniere Fuciliere, alla torpediniera di scorta Animoso, alla corvetta Minerva, al sommergibile Platino ed al cacciasommergibili ausiliario AS 121 Regina Elena.Nel trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10 febbraio, la Mosto viene inclusa nell’"Elenco delle navi che l’Italia potrà conservare" (Allegato XII): rimane così in servizio nella Marina Militare, non più regia.

La Mosto (a sinistra) e la similare Nicola Fabrizi in bacino a Taranto nel 1946-1947. Sullo sfondo sono riconoscibili i cacciatorpediniere Mitragliere e Velite e, in lontananza, lo scafo incompleto del sommergibile R 3 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net


1947
Nel trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10 febbraio, la Mosto viene inclusa nell’"Elenco delle navi che l’Italia potrà conservare" (Allegato XII): rimane così in servizio nella Marina Militare, non più regia.
La Mosto fotografata a Taranto nel 1948 con un’inusuale colorazione a due tonalità di grigio, in pessime condizioni – tanto da poter appena distinguere le lettere identificative “MT” dipinte sulla prua – per via della scarsità di vernice. L’albero a proravia del fumaiolo prodiero è stato ridotto a mezza altezza per consentire di transitare nel canale navigabile senza dover aprire il ponte girevole (Coll. Giorgio Parodi, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

1950
La nave ha base a Taranto.
1952 o 1953
Ormai antiquata ed usurata dalla pluritrentennale carriera che l’ha vista attraversare due conflitti mondiali, la Mosto viene riclassificata dragamine meccanico costiero (o dragamine veloce), con sigla M 5353. L’armamento viene ridotto ad un cannone da 102/35 mm, due (o quattro) mitragliere singole da 20/65 mm e due tubi lanciasiluri da 450 mm. Viene installato anche un radar, oltre ovviamente ad attrezzatura per il dragaggio meccanico.

La Mosto a Taranto nel 1949-1950 (da www.betasom.it)

15 dicembre 1958
Radiata dai quadri del naviglio militare (atto formalizzato con decreto 73436 del presidente della Repubblica del 7 aprile 1959). Successivamente demolita.