lunedì 22 aprile 2019

Perseo

La Perseo negli anni Trenta (da www.history.navy.mil)

Torpediniera della classe Spica, dava il nome ad una delle quattro serie in cui tale classe era divisa (Spica, Perseo, Climene ed Alcione), caratterizzate tra loro da lievi differenze in termini di dimensioni e disposizione dell’armamento.
Il tipo Perseo, terza serie della classe Spica (la prima serie era costituita da due sole unità, la Spica stessa e l’Astore, che furono i “prototipi” della classe; la seconda e quarta serie, Climene ed Alcione, contavano rispettivamente sei e sedici unità), era caratterizzato da un dislocamento standard di 642 tonnellate (contro le 630 di Spica e Astore, le 652 delle Climene, e le 679 delle Alcione), 860 o 970 in carico normale (analogamente al tipo Climene, contro le 849 della prima serie e le 975 del tipo Alcione), e 1000 tonnellate a pieno carico (contro le 901 della prima serie, le 1010 del tipo Climene e le 105 del tipo Alcione). Entro il 1942, comunque, in seguito alle modifiche dell’armamento subite durante la guerra, tutte le rimanenti torpediniere classe Spica, Perseo comprese, raggiunsero un dislocamento a pieno carico di circa 1200 tonnellate. (Secondo altra fonte, le Spica tipo Perseo avrebbero avuto un dislocamento standard di 775 tonnellate, contro le 638 della serie iniziale, le 780 delle Climene e le 785 delle Alcione; ed un dislocamento a pieno carico di 1005tonnellate, rispetto alle 885 della prima serie, le 995 del tipo Climene e le 1035 del tipo Alcione. Una fonte ancora differente fornisce i seguenti dati: dislocamento standard di 791 tonnellate per le Perseo, 797 per le Climene, 790 per le Alcione; in carico normale di 860 tonnellate per le serie Perseo e Climene, 975 per la serie Alcione; a pieno carico di 1020 tonnellate per le Perseo, 1010 per le Climene, 1050 per le Alcione. Data la forte differenza rispetto a tutte le altre fonti, però, probabilmente questi dati sono errati).

La Perseo a Taranto, con la colorazione grigio scuro applicata nell’autunno del 1941 (g.c. Marco Ghiglino)

La Perseo e la Sirio furono rispettivamente la quinta e la sesta unità della classe Spica ad essere ordinate, nel 1934 (la loro costruzione fu stata autorizzata nel piano 1933-1934), dopo le due “sperimentali” Spica ed Astore (autorizzate nel piano costruzioni 1931-1932 ed ordinate come prototipi nel 1933 per valutare la possibilità di costruire su larga scala delle torpediniere di dislocamento standard inferiore alle 600 tonnellate per avere dei “piccoli cacciatorpediniere” che, in base alle disposizioni del trattato di Londra del 1930, sotto quel dislocamento potevano essere costruiti senza limiti di numero) e le prime due del tipo Climene (Climene e Centauro), rispetto alle quali Perseo e Sirio rappresentavano un tipo leggermente modificato. In quel momento c’era ancora molta incertezza sulla convenienza di riprodurre il tipo su larga scala; c’era chi – come l’ex capo di Stato Maggiore Ernesto Burzagli – riteneva che per sostituire i vecchi cacciatorpediniere declassati della Grande Guerra (una delle esigenze che avevano portato a progettare le Spica) fosse meglio ricorrere a torpediniere più piccole, di 300 tonnellate, oppure anche ad una versione migliorata e ingrandita dei MAS. Permanevano dubbi, nello Stato Maggiore della Marina, sull’utilità di navi di quel tipo, viste da alcuni (tra cui il capo di Stato Maggiore,  ammiraglio Gino Ducci, ed il suo successore Domenico Cavagnari, mentre era favorevole ad esse il Ministro della Marina, ammiraglio Giuseppe Sirianni) come troppo piccole per essere usate come veri cacciatorpediniere, in impiego di squadra, e troppo grandi per essere impiegate come siluranti notturne.
Tra il 1934 ed il 1935, dato che le prove in mare di Spica ed Astore avevano dato risultati abbastanza soddisfacenti (anche se le qualità nautiche non si erano rivelate eccelse), vennero ordinate le altre sei torpediniere serie Perseo e le altre quattro serie Climene. Pesò su questa decisione soprattutto l’avvicinarsi della guerra d’Etiopia che, esacerbando i contrasti con il Regno Unito, faceva sentire la necessità di incrementare il numero di siluranti a disposizione, in vista di un possibile conflitto con la Royal Navy: fu Mussolini stesso ad autorizzare la costruzione di altre dieci Perseo e Climene, “scavalcando” l’ancora dubbioso ammiraglio Cavagnari. Siccome su Spica ed Astore, per non sforare il limite di 600 tonnellate, si era dovuto eliminare uno dei tre cannoni da 100/47 e si era finiti col superare comunque quel “tetto”, si decise di non considerare il vincolo delle 600 tonnellate standard come troppo “stringente”, e l’osservanza di tale limite fu di conseguenza sempre meno considerata nelle serie successive, che infatti lo superarono tutte di varie decine di tonnellate.
Le navi della serie Perseo avevano dislocamento ed autonomia più ridotti rispetto al tipo Climene (1892 miglia a 15 nodi e 683 miglia a 30 nodi, con una riserva di 207 tonnellate di nafta, contro le 1960 a 15 nodi e le 705 a 30 nodi delle Climene, che avevano una riserva di 211 tonnellate di nafta).

La Perseo (da www.trentoincina.it)

Oltre alla Perseo, formavano questa serie altre sette unità: Vega, Sirio, Sagittario, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran; quattro (Perseo, Sirio, Sagittario e Vega) furono costruite dai Cantieri del Quarnaro di Fiume, le altre quattro dall’Ansaldo di Genova. Altre lievi differenze tra la serie Perseo e le altre erano nella lunghezza (81,95 metri per le Perseo, 81,40 per le Climene, 80,35 per le prime due Spica e 81,42 per le Alcione), nella larghezza (8,20 per le Perseo, le Climene e le prime due Spica, 7,92 per le Alcione) e nel pescaggo a pieno carico (3,01 metri per le Perseo, 3,05 per le Climene, 2,82 per Spica e Astore, 3,09 per le Alcione). L’armamento principale delle Perseo era costituito da tre cannoni OTO 1931 da 100/47 mm, analogamente alle serie Spica e Climene (sulle Alcione fu invece sostituito dal più moderno OTO 1937), e quello contraereo da quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm (lo stesso su tutte le unità della classe, tranne Spica ed Astore che ne avevano solo due). La maggiore differenza era nella disposizione dell’armamento silurante: quattro tubi lanciasiluri da 450 mm su tutte le unità della classe, ma sulle navi tipo Perseo erano in quattro impianti singoli, due per lato (permettendo una salva massima di due siluri per lato), analogamente alla serie Climene, mentre nella successiva serie Alcione furono installati due impianti binati sui lati, e sulle originarie Astore e Spica (nonché su Climene e Centauro, che in questo differivano dal resto della loro sottoclasse) erano in un impianto binato centrale e due impianti singoli laterali. Su questo però esistono delle discordanze; qualche fonte afferma che invece anche le Perseo avrebbero avuto originariamente i tubi lanciasiluri in due impianti binati, come le Alcione.

A partire dal 1939 e fino al 1941 iniziò un periodo di rimodernamento e standardizzazione di tutte le unità della classe; su tutte le navi la disposizione dei tubi lanciasiluri fu modificata per rispecchiare quella, più razionale, del tipo Alcione (due impianti binati), mentre le mitragliere da 13,2 mm, rivelatesi inadeguate, vennero progressivamente sostituite con le più efficaci armi da 20/65 mm. Durante la guerra i due lanciabombe originari per bombe di profondità vennero sostituiti con due o quattro lanciabombe pirici di produzione tedesca, aventi una celerità di tiro molto superiore, e diverse unità (Perseo compresa) ricevettero un ecogoniometro, di produzione italiana o tedesca. Uno dei principali punti deboli delle navi della classe Spica rimase la loro mediocre abitabilità, essendo nate come unità pensate per brevi pattugliamenti notturni ma venendo di fatto impiegate per lunghe missioni di scorta, nelle quali la ristrettezza degli spazi riservati all’equipaggio si fece sentire.

Durante la seconda guerra mondiale la Perseo effettuò 81 missioni di scorta (per altra fonte, effettuò in tutto 81 missioni di tutti i tipi), principalmente in Nordafrica.

Breve e parziale cronologia.

12 novembre 1934
Impostazione presso i Cantieri del Quarnaro di Fiume.
9 ottobre 1935
Varo presso i Cantieri del Quarnaro di Fiume.
1° febbraio 1936
Entrata in servizio.
1937
Compie una crociera di prova fino a Tripoli.
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra civile spagnola, la Perseo partecipa al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio (“contrabbando”) di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai sommergibili, inviati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando DiazAlberto Di GiussanoLuigi CadornaBartolomeo Colleoni). Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere (FrecciaDardoSaetta, StraleFulmineLampoEsperoOstroZeffiro e Borea), 24 torpediniere tra cui la Perseo (le altre sono CignoCanopoCastoreClimeneCentauroCassiopeaAndromedaAntaresAltairAldebaranVegaSagittarioAstoreSirioSpica, Giuseppe La MasaGenerale Carlo MontanariIppolito NievoGiuseppe Cesare AbbaGenerale Achille PapaNicola FabriziGiuseppe MissoriMonfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna. Nei primi giorni del blocco sono molto attivi proprio i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Il blocco navale così organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina italiana, echeggiate anche da Winston Churchill.


La Perseo (sullo sfondo, a destra) in navigazione in formazione insieme ad altre torpediniere classe Spica durante la rivista "H", il 5 maggio 1938; in primo piano si riconosce l’Andromeda e, sullo sfondo a sinistra, la Vega (dalla rivista Interconair "Aviazione e Marina")

5 maggio 1938
La Perseo, insieme al resto della X Squadriglia Torpediniere (Sirio, Sagittario e Vega, al comando del capitano di corvetta Pellegrini), prende parte alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli 11 incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 “esploratori leggeri” classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie Audace, Castelfidardo, Curtatone, Francesco Stocco, Nicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro “avvisi scorta” della classe Orsa), 85 sommergibili e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La X Squadriglia è inquadrata nella Flottiglia Torpediniere (capo flottiglia il capitano di vascello Fontana, sull’esploratore Nicoloso Da Recco) insieme alle Squadriglie IX (Astore, Spica, Canopo e Cassiopea), XI (Castore, Centauro, Cigno, Climene) e XII (Altair, Andromeda, Antares, Aldebaran).



 Torpediniere classe Spica ormeggiate a Napoli in occasione della rivista "H": la Perseo è la quinta da sinistra. Prima di essa, da sinistra verso destra, si riconoscono Altair, Aldebaran, Antares ed Andromeda, mentre dopo la Perseo sono probabilmente ormeggiate Cigno e Vega (Naval History and Heritage Command e Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)


Fine anni Trenta
Temporaneamente dislocata a Lero [notizia incerta].
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale la Perseo forma, insieme alle gemelle Sirio, Vega e Sagittario, la X Squadriglia Torpediniere, di base a La Spezia.
30 luglio 1940
La Perseo, insieme alla gemella Vega ed alle più anziane torpediniere Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa, salpa da Trapani alle 00.30 scortando verso Tripoli i piroscafi Bosforo e Caffaro. Le navi, che procedono a 10 nodi e dovranno seguire le rotte costiere della Tunisia, formano il convoglio numero 3 dell’Operazione "Trasporto Veloce Lento", consistente nell’invio in Libia di tre convogli (il numero 1, "lento", è costituito dalle navi da carico Maria EugeniaGloria StellaBainsizzaMaulyCol di LanaCittà di Bari e Francesco Barbaro, scortati dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere e dalla XIV Squadriglia Torpediniere; il numero 2, "veloce", è formato dai trasporti truppe Città di NapoliCittà di Palermo e Marco Polo scortati dalla II Squadriglia Torpediniere e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere) con la protezione a distanza, nella zona più pericolosa della traversata – per il caso che forze di superficie britanniche escano da Alessandria d’Egitto –, degli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia del comandante superiore in mare, ammiraglio Riccardo Paladini), ZaraFiumeGorizia (I Divisione) e Trento, degli incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di Giussano (IV Divisione), Eugenio di SavoiaMuzio AttendoloRaimondo Montecuccoli e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VII Divisione) e dei cacciatorpediniere delle Squadriglie IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), XII (LanciereCarabiniereAscariCorazziere), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino) e XIV (Antonio PigafettaLanzerotto Malocello e Nicolò Zeno).
1° agosto 1940
Il convoglio giunge a Tripoli a mezzogiorno.
1940-1941
Lavori di modifica dell’armamento: tre delle quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm, di modesta efficacia, vengono rimosse e sostituite con altrettante più efficaci armi da 20/65 mm, anch’esse binate, modello Breda 1935. Vengono inoltre imbarcati due scaricabombe per 40 bombe di profondità complessive (per altra fonte questi sarebbero stati installati nel 1941-1942), e cambiata la disposizione dei tubi lanciasiluri, uniformandola a quella della serie Alcione (due impianti lanciasiluri binati brandeggiabili, sulla mezzeria), che appare la migliore, permettendo di lanciare un maggior numero di siluri su uno stesso lato (lancio di saturazione).
Queste modifiche vengono effettuate su tutte le navi della classe Spica tra il 1939 ed il 1941, durante i normali turni di manutenzione, nel quadro di un piano di ammodernamento e “standardizzazione” del loro armamento.


La Perseo (a destra) in uscita da Napoli insieme ad altre torpediniere classe Spica, tra cui la Vega (sulla sinistra) (da “Le torpediniere italiane 1881-1964” di Paolo Mario Pollina, USMM, 2a edizione, 1974)

10 aprile 1941
La Perseo e le torpediniere Giuseppe Missori e Generale Carlo Montanari (caposcorta) partono da Palermo per Tripoli alle 13.30, scortando un convoglio composto dai piroscafi Bosforo ed Ogaden e dalle navi cisterna Persiano e Superga.
11 aprile 1941
I cacciatorpediniere britannici Jervis (capitano di vascello Mack), JanusNubian e Mohawk lasciano Malta per intercettare il convoglio italiano tra Lampione e le Kerkennah, ma non ricevono un messaggio inviato dal sommergibile Unique che corregge la velocità del convoglio, la cui stima iniziale è errata. Le unità britanniche non riescono così a trovare quelle italiane, e devono rientrare a Malta.
Secondo alcune fonti lo stesso giorno il convoglio viene infruttuosamente attaccato dal sommergibile britannico Upholder al largo di Capo Bon, ma si tratta probabilmente di un errore.
12 aprile 1941
Alle 8.30, quando il convoglio è 50 miglia a nord di Tripoli (per il Tetrarch, la posizione è 37 miglia per 340° dal faro di Tripoli) e la scorta è stata rinforzata da un aereo, le navi vengono avvistate dal sommergibile britannico Tetrarch (capitano di corvetta Richard Micaiah Towgood Peacock) mentre procedono su rotta 150° alla velocità stimata di 10 nodi.
Passato all’attacco, il battello lancia quattro siluri contro la Persiano, dalla distanza di 4115 metri: mentre la Montanari avvista le scie dei siluri e riesce ad evitarli con la manovra, alle 8.50 (per altra versione 10.20) la Persiano viene colpita da un siluro 30 miglia a nordovest del faro di Tripoli. Incendiata a poppa, la petroliera viene assistita dalle torpediniere Polluce e Partenope, uscite da Tripoli, mentre il resto del convoglio prosegue verso il porto, dove entra alle 15.
Il Tetrarch, sceso in profondità subito dopo il lancio, viene sottoposto a caccia antisommergibili per tre ore da parte della Montanari (distaccata con il duplice compito di dare la caccia all’attaccante e poi di recuperare i naufraghi della Persiano), con il lancio di nove bombe di profondità, ma non subisce danni. Più tardi, alle 16.10, inizia un nuovo bombardamento con 15 cariche di profondità, ma anche queste esplodono troppo lontane per poter fare danni.
La Persiano affonderà l’indomani mattina, alle 10.30, nel punto 33°29’ N e 14°01’ E. L’equipaggio, eccetto tre uomini rimasti uccisi, viene tutto recuperato dalle unità della scorta.
16 aprile 1941
La Perseo, insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati, che assume la direzione dei soccorsi), Antonio Da NoliLanzerotto Malocello e Dardo, alle torpediniere ClioCentauro, Partenope e Giuseppe Sirtori, alla nave ospedale Arno, alla nave soccorso Giuseppe Orlando ed ai piroscafi Capacitas ed Antonietta Lauro, partecipa alle operazioni di soccorso ai naufraghi delle navi del convoglio «Tarigo», distrutto nella notte precedente dai cacciatorpediniere britannici JervisJanusNubian e Mohwak (quest’ultimo affondato a sua volta dal Tarigo). I cacciatorpediniere Luca Tarigo e Baleno ed i piroscafi Adana, AeginaIserlohn e Sabaudia sono stati affondati, il cacciatorpediniere Lampo ed il piroscafo Arta sono stati portati all’incaglio con danni gravissimi.
L’operazione di soccorso, organizzata da Marilibia non appena tale Comando ha ricevuto notizia dell’accaduto, vede anche la partecipazione di idrovolanti ed aerei da trasporto. Complessivamente vengono tratti in salvo 1271 naufraghi, mentre le vittime sono circa 700 (altre fonti parlano di 1800 vittime, ma sembrano basate su stime errate).
5 maggio 1941
La Perseo, le gemelle Cigno e Centauro, le torpediniere di scorta Orsa e Procione (caposcorta) ed i cacciatorpediniere Fulmine ed Euro salpano da Tripoli per Palermo (la destinazione finale è Napoli) alle 9.30, scortando la motonave italiana Rialto, il trasporto truppe Marco Polo ed i piroscafi tedeschi ReichenfelsMarburg e Kybfels: il convoglio è denominato «Marco Polo».
Il convoglio segue la rotta ad est di Malta; per proteggere il suo movimento e quello di un altro convoglio (in navigazione da Napoli a Tripoli), essendo state avvistate a Malta delle unità leggere britanniche, esce in mare la VII Divisione Navale dell’ammiraglio Ferdinando Casardi, con gli incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaMuzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta ed i cacciatorpediniere Antonio PigafettaAlvise Da MostoGiovanni Da VerrazzanoNicoloso Da Recco e Nicolò Zeno.
La visibilità è cattiva durante tutta la giornata del 5.
Alle 14.26 la VII Divisione, di scorta indiretta al convoglio diretto a Tripoli, avvista il convoglio «Marco Polo»; l’ammiraglio Casardi manda il Da Verrazzano a segnalare otticamente alla Procione (essendo quest’ultima sprovvista di apparato radio ad onde ultracorte, avente portata abbastanza limitata da non essere radiogoniometrabile) gli ordini di Supermarina sulla rotta da seguire, ed ad impartirgli istruzioni in merito al dispositivo di marcia notturna ed a come il convoglio dovrà manovrare in caso di attacco aereo. Alle 19.50 la VII Divisione si posiziona 4 km a proravia del convoglio.
Al calare del buio, il convoglio si dispone come ordinato dall’ammiraglio Casardi: i mercantili su tre colonne, con scorta laterale, gli incrociatori in linea di fila 3 km a proravia del convoglio, ed i cacciatorpediniere in posizione di scorta avanzata.
La navigazione notturna si svolge senza inconvenienti; il convoglio esegue le accostate senza difficoltà, nonostante la loro ampiezza.
6 maggio 1941
Alle 5.45 la VII Divisione lascia la scorta ravvicinata del convoglio, posizionandosi alla sua sinistra; alle 6.04 viene avvistato il primo velivolo della scorta aerea.
Alle 13.25 il convoglio viene avvistato in posizione 37°36’ N e 15°28’ E, su rilevamento 070°, dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), in pattugliamento a levante della Sicilia (a guardia dell’imboccatura meridionale dello stretto di Messina), ma questi, che dista una decina di miglia dalle navi dell’Asse e non è nella posizione prevista a causa di un errore di navigazione (alle nove del mattino, facendo il punto sulla base dei punti caratteristici della costa, l’equipaggio del sommergibile ha scoperto di essere 25 miglia più a sudest del dovuto), non è in grado di attaccare. Per lo stesso motivo, l’Unique non può attaccare nemmeno la VII Divisione Navale, che ha avvistato alle 12.26 in posizione 37°34' N e 15°27' E, a nove miglia di distanza, su rilevamento 080°.
7 maggio 1941
Il convoglio arriva a Palermo alle 6.30.
24 maggio 1941
Nel pomeriggio, al largo di Messina, la Perseo, la gemella Calliope e la più anziana torpediniera Calatafimi vanno a rinforzare la scorta di un convoglio in navigazione da Napoli (da dov’è partito alle 4.30) a Tripoli, composto dai trasporti truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia e Victoria con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta) e Camicia Nera e delle torpediniere Procione, Orsa e Pegaso, e quella indiretta della III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trieste e Bolzano, cacciatorpediniere Ascari, Lanciere e Corazziere). Le tre torpediniere raggiungono il convoglio dopo che questo ha attraversato lo Stretto di Messina diretto verso sud; nello stesso momento, il convoglio assume la formazione a doppia colonna, con l’Esperia in testa alla colonna di dritta ed il Conte Rosso a quella sinistra. Gli ordini di Marina Messina per Perseo, Calliope e Calatafimi sono di restare con il convoglio fino al parallelo di Riposto.
Alle 19.10, giunte all’altezza del parallelo di Riposto, Perseo, Calliope e Calatafimi lasciano il convoglio e dirigono per rientrare a Messina, come da disposizioni; un’ora e mezza più tardi, il Conte Rosso sarà silurato dal sommergibile britannico Upholder ed affonderà con la morte di 1297 uomini.
La Perseo parteciperà alle operazioni di ricerca e soccorso, durante le quali, il 25 maggio, recupererà due salme che verranno poi trasbordate sulla nave ospedale Arno per provvedere al riconoscimento.
26 maggio 1941
Alle 19.40 la Perseo (tenente di vascello Domenico D’Elia), insieme alle gemelle Circe (caposquadriglia della XIII Squadriglia Torpediniere, capitano di fregata Carlo Unger di Lowenberg), Calliope (tenente di vascello Carmelo Oliva) e Clio (capitano di corvetta Pasquale Giliberto), salpa da Augusta per effettuare la posa degli sbarramenti di mine «M 4» e «M 4 bis», da posare ad est di Malta (in un settore che l’osservazione delle rotte seguite dalle navi britanniche fa presumere piuttosto “trafficato”) per ostacolare il transito di convogli con rifornimenti destinati all’isola, od anche di forze navali che la Royal Navy vi potrebbe dislocare. Ciascuna torpediniera ha a bordo 25 mine tipo P 200 preparate dal Parco Torpedini di Augusta, e dotate di congegno acustico di produzione tedesca (utilizzato per la prima volta nel Mediterraneo). A protezione dell’operazione contro l’eventuale intervento di navi britanniche, è stato disposto che dalle 00.30 del 27 due MAS si posizionino in agguato una decina di miglia a nordest dell’isolotto di Gozo.
Le torpediniere procedono a 20 nodi lungo le rotte costiere fino al punto prestabilito «A» al largo di Capo Passero, dove giungono alle 22.51; assunta poi rotta 187°, sempre a 20 nodi, dirigono per il punto prestabilito «B». Verso le 23.30 si inizia a vedere, in lontananza, il tiro di sbarramento delle batterie contraeree di La Valletta.
27 maggio 1941
Alle 00.54, le torpediniere giungono nel punto «B»; riducono la velocità a 10 nodi (la velocità prevista per la posa) ed accostano per 180°, dividendosi in due sezioni incaricate di posare i due sbarramenti, che devono essere posati simmetricamente uno a nord e l’altro a sud del punto «B»: quello a nord da Perseo e Clio, quello a sud da Circe e Calliope. La sezione formata da Clio e Perseo inverte la rotta sulla sinistra ed accosta per rotta 0°, con analoga velocità. Perseo e Calliope iniziano per prime la posa del primo grappolo di mine, alle 00.57.40; l’operazione dura esattamente un’ora, concludendosi all’1.57.20 con la posa del terzo grappolo da parte di Circe e Clio. La Circe prima, e la Perseo poi, posano lo sbarramento «M 4 bis»; contemporaneamente la Calliope prima, e la Circe poi, posano lo sbarramento «M 4», sul lato opposto rispetto al punto «B». Le 100 mine vengono posate a grappoli, su rotte serpeggianti, con una distanza di 60-80 metri tra le armi di ciascun grappolo (e di 55-60 metri tra le armi di uno stesso grappolo), tutte regolate per una profondità di 20 metri. Grazie alla luce lunare, è possibile eseguire tutte le operazioni per la preparazione e la posa (rimozione delle rizze e dei cappellozzi, spostamento delle mine) senza dover accendere luci in coperta; c’è mare mosso con onda lunga da scirocco, ma alla velocità di posa di 10 nodi questo non crea problemi (a 20 nodi, invece, bagnava le mine a poppa). La stabilità delle navi, anche con tutte le mine a bordo, risulta buona con mare lungo al mascone; non altrettanto con il mare al traverso. L’unico inconveniente durante la posa riguarda proprio la Perseo, che a causa di un momentaneo ingombro di una ferroguida posa tre mine del secondo grappolo con un intervallo maggiore rispetto a quanto previsto.
Unico evento da segnalare, all’1.32, l’avvistamento da parte della Circe (intenta ad ancorare il primo grappolo) di una luce di prora sinistra, subito spenta; si ritiene che sia un’unità britannica della vigilanza foranea, ma la posa prosegue. Si vedono ancora bagliori di tiro contraereo verso La Valletta; all’1.20, all’1.30, all’1.45 ed alle 2.16 si avvertono delle scosse allo scafo che sembrano causate da esplosioni subacquee, ma troppo deboli per essere di mine esplose prematuramente. Le si attribuisce a bombe cadute in mare non vicinissime.
Terminata la posa, tutte e quattro le torpediniere accostano per 035° ed assumono velocità di 20 nodi, riformando le sezioni Circe-Calliope e Clio-Perseo, che procedono senza essere in vista l’una dell’altra. Alle 2.25 le due sezioni, accelerato a 25 nodi, dirigono verso il punto «A» di Capo Passero.
Entro le 5.55 la squadriglia è riunita in linea di fila ad est di Capo Murro di Porco; alle 7.20 le navi entrano ad Augusta. Il comandante e caposquadriglia Unger di Lowenberg, nel suo rapporto, elogia tutto il personale coinvolto nell’operazione (in special modo comandanti, comandanti in seconda e personale addetto alle mine, sia quello facente parte degli equipaggi che quello appositamente imbarcato per l’operazione dal Parco Torpedini di Augusta) per la precisione, perizia ed entusiasmo mostrati.
2 giugno 1941
La Perseo e la gemella Circe (caposcorta) salpano da Palermo per Tripoli alle 19.30, scortando i piroscafi LivNinuccia e Pertusola.
5 giugno 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 16.15.
17 giugno 1941
Alle 14.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a Tripoli i piroscafi Ninfea e Cadamosto ed il motoveliero Unione.
19 giugno 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14.
25 giugno 1941
La Perseo lascia Tripoli per Bengasi alle 7, scortando il Cadamosto, l’Unione ed il motoveliero Aosta.
27 giugno 1941
Il convoglio raggiunge Bengasi a mezzogiorno.
28 giugno 1941
Alle 14 la Perseo riparte da Bengasi per rientrare a Tripoli, di scorta ad Aosta ed Unione.
30 giugno 1941
Le tre navi raggiungono Tripoli alle 15.30.
9 luglio 1941
Alle 18.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a Tripoli i piroscafi Prospero ed Una e la motocisterna Labor.
11 luglio 1941
Il convoglietto giunge a Tripoli alle 15.15.
19 luglio 1941
Alle 9.30 la Perseo raggiunge il piroscafo Bosforo, in arrivo dall’Italia in navigazione isolata, e ne assume la scorta fino a Bengasi, dove le due navi arrivano alle 16 (o 18).
Alle 19.30 la Perseo riparte da Bengasi di scorta ai piroscafi Motia e Cadamosto, diretti a Tripoli.
24 luglio 1941
Perseo, Motia e Cadamosto arrivano a Tripoli alle 21. (Per altra fonte sarebbero giunti a Tripoli il 21 luglio).
2 agosto 1941
La Perseo salpa da Bengasi alle 19 scortando il piroscafo Una, diretto a Tripoli.
4 agosto 1941
Le due navi arrivano a Tripoli alle 22.
10 agosto 1941
Alle 20 la Perseo lascia Tripoli per Bengasi, scortando i motovelieri italiani Aosta ed Anna Maria ed il piroscafo tedesco Brook.
13 agosto 1941
Il convoglio giunge a Bengasi alle 13.30.
Alle 18 la Perseo ne riparte scortando il piroscafetto frigorifero Adua, la motocisterna Labor ed i motovelieri Rita ed Eugenio, diretti a Tripoli. La torpediniera li scorta però solo nel tratto iniziale della navigazione; il 15 agosto il convoglietto, mentre si trova senza scorta nel Golfo della Sirte, verrà attaccato da aerei che, subendo la perdita di due velivoli, affonderanno l’Adua con bombe.
16 agosto 1941
Nel tardo pomeriggio il sommergibile britannico Tetrarch (capitano di corvetta George Henry Greenway), appostato fin dal mattino subito fuori dal porto di Bengasi, avvista la Perseo ancorata nel porto, vicino all’ingresso, e decide di tentare di silurarla: lanciando i suoi siluri su rotta 127°, Greenway spera di riuscire a farli passare attraverso l’apertura nelle ostruzioni presenti all’imboccatura del porto. Alle 18.28, pertanto, il Tetrarch lancia due siluri da 3200 metri di distanza. Entrambi esplodono contro le ostruzioni; la Perseo mette subito in moto e nel giro di dieci minuti esce dal porto, raggiunge la posizione del Tetrarch e gli dà la caccia per mezz’ora, lanciando dodici bombe di profondità. Le ultime tre bombe esplodono piuttosto vicine, ma il sommergibile non viene danneggiato.
17 agosto 1941
Alle 13.30 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a Tripoli Aosta, Anna Maria e Brook.
19 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 16.


La Perseo (seconda da destra) ormeggiata a Napoli insieme a varie gemelle, tra cui Andromeda, Sagittario, Vega, Sirio e Cigno (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

30 agosto 1941
La Perseo assume la scorta, assieme alla torpediniera Giuseppe Dezza, della pirocisterna tedesca Ossag, proveniente da Patrasso (con la scorta, nel primo tratto, della torpediniera San Martino) e diretta a Bengasi.
31 agosto 1941
PerseoOssag e Dezza arrivano a Bengasi alle 13.
13 settembre 1941
Alle 3.33, su ordine di Marina Tripoli, la Perseo viene fatta partire da Zuara per andare incontro ad un convoglio in arrivo dall’Italia (è partito da Napoli il 10 settembre) e diretto a Tripoli (piroscafi Tembien, Caffaro, Nirvo, Bainsizza e Nicolò Odero, motonave Giulia, scortati dai cacciatorpediniere Fulmine ed Alfredo Oriani e dalle torpediniere Orsa, Circe, Procione e Pegaso), allo scopo di rinforzarne la scorta.
La Perseo raggiunge il convoglio mentre questo è sotto attacco da parte di aerei nemici (attacco iniziato alle 3.55; in precedenza il convoglio ha già perso il Caffaro per attacco aereo). Nonostante il tiro di sbarramento e l’emissione di cortine fumogene da parte della scorta, alle quattro del mattino il Nicolò Odero viene colpito da alcune bombe. A prestare assistenza al piroscafo danneggiato è inizialmente la Circe, che alle 4.04 comunica l’accaduto al caposcorta Oriani ed alle 4.30 lo informa che ci sono uomini in mare, richiedendo l’invio di un’altra nave. Il caposcorta invia ad assisterla l’Orsa e la Perseo, perché partecipino all’assistenza del piroscafo danneggiato ed al salvataggio del suo equipaggio, mentre il resto del convoglio prosegue. Alle 5.05 la Circe riferisce che il Nicolò Odero ha un incendio a bordo, ma rimane a galla, e chiede che sia inviato un rimorchiatore.
Perseo, Orsa e Circe provvedono per prima cosa a mettere in salvo tutti i 285 superstiti del piroscafo, che per ore galleggia in fiamme, inutilmente assistito dalle tre torpediniere; all’alba partono da Tripoli i rimorchiatori Pronta e Portolago, che tentano vanamente di domare le fiamme con ogni mezzo disponibile. Risultato futile ogni tentativo, Pronta e Portolago prendono l’Odero a rimorchio e tentano dapprima di portarlo a Tripoli, poi lo portano ad incagliare in costa. Sarà tutto vano, perché alle 15 del 14 le fiamme raggiungeranno una stiva piena di munizioni, ed il Nicolò Odero salterà in aria.
Il resto del convoglio giunge a Tripoli alle 12.30 del 13.
18 settembre 1941
La Perseo, insieme alle gemelle Circe, CentauroClio, viene inviata da Marina Libia sul luogo del siluramento dei grandi trasporti truppe Neptunia ed Oceania, attaccati dal sommergibile britannico Upholder al largo di Tripoli (la Perseo, in previsione del loro arrivo, aveva già avuto ordine da Marina Libia di salpare la notte precedente, tra il 17 ed il 18, per recarsi incontro al convoglio, rinforzarne la scorta e pilotarlo in porto) ed in corso di affondamento. Marina Libia ha ordinato alle torpediniere di recarsi immediatamente sul posto non appena ha avuto notizia del siluramento, avvenuto alle 4.15; la Neptunia affonderà alle 6.15, l’Oceania, mentre se ne sta preparando il rimorchio, affonderà alle 8.57 dopo essere stata silurata una seconda volta. La terza motonave che componeva il convoglio, la Vulcania, è scampata indenne agli attacchi ed è proseguita per Tripoli, scortata dal cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare; alle 7.25 Vulcania ed Usodimare, giunti ormai in prossimità di Tripoli, incontrano la Perseo, appena uscita da quel porto per andare ad assistere le navi silurate (come le è stato ordinato), ed il comandante del cacciatorpediniere ordina alla Perseo di assumere la scorta della Vulcania e di condurla in porto, insieme a due MAS presenti sul posto, mentre l’Usodimare torna indietro per partecipare ai soccorsi ai naufraghi di Neptunia ed Oceania. La Vulcania giunge in porto alle 9.30, e terminato questo compito la Perseo riparte immediatamente per recarsi sul luogo del siluramento e portare aiuto ai naufraghi.
Grazie all’opera di soccorso prestata dai cacciatorpediniere della scorta e, in misura minore, dalle torpediniere, si riesce a salvare 5434 dei 5818 uomini imbarcati sulle due navi. La Perseo salva 131 naufraghi, mentre 2083 sono stati salvati dal cacciatorpediniere Emanuele Pessagno, 1302 dal Nicoloso Da Recco, 683 dall’Antonio Da Noli, 582 dal Vincenzo Gioberti, 485 dall’Usodimare, 163 dalla Clio, tre dalla Circe e tre da idrovolanti di soccorso.
La Perseo, insieme a CirceCentauro nonché ai cacciatorpediniere Da ReccoDa Noli e Gioberti della scorta, giunge a Tripoli alle 21.
19 settembre 1941
Alle 20.30 la Perseo parte da Tripoli per scortare a Palermo il piroscafo Sabbia, danneggiato e rimorchiato dal rimorchiatore di salvataggio Salvatore Primo. “ULTRA” intercetta e decritta delle comunicazioni in codice riguardanti questo viaggio, ma non si verificano comunque attacchi.
23 settembre 1941
Perseo, Sabbia e Salvatore Primo arrivano a Palermo alle 11.
14-15 novembre 1941
La Perseo scorta i piroscafi Ninetto G. e Valsavoia, diretti a La Spezia.
Nel primo pomeriggio il convoglietto incontra al largo di Fiumicino la nave cisterna Iridio Mantovani, proveniente dalla Liguria e diretta verso sud con la scorta della torpediniera Giacinto Carini; i mercantili si scambiano le rispettive torpediniere di scorta, poi proseguono ciascuno per la propria rotta.
Alle 15.30 del 15 novembre, poco prima dello scambio delle scorte, il convoglio formato da Valsavoia (scambiato per una nave cisterna), Ninetto G. e Perseo (scambiata per un cacciatorpediniere classe Lampo, si trova circa 915 metri al traverso a sinistra dei mercantili, che procedono in linea di fila) viene avvistato dal sommergibile olandese O 21 (capitano di corvetta Johannes Frans Van Dulm) mentre procede a 8 nodi su rotta 315°, con la scorta aerea di un idrovolante CANT Z. 501 (avvistato alle 15.35).
Il sommergibile inizia la manovra d’attacco, ma alle 16.05 avvista anche il convoglio formato da Carini e Mantovani, e subito dopo, avendo visto la Perseo issare un segnale e dirigergli incontro, scende in profondità. Alle 16.20 la Carini assume la scorta dei piroscafi, mentre la Perseo fa lo stesso con la Mantovani; alle 16.26, in posizione 41°47’ N e 12°06’ E, l’O 21 lancia due siluri contro il Ninetto G., ma subito dopo il lancio, non essendo riuscito ad eliminare tutta l’aria contenuta nel primo tubo lanciasiluri, viene in affioramento, e deve così rinunciare al lancio di un terzo siluro e poi immergersi precipitosamente a 60 metri di profondità (poi ridotti a 40 metri). I siluri mancano il bersaglio, e dalle 16.36 alle 16.56 l’O 21 viene sottoposto a caccia con bombe di profondità, che esplodono molto vicine ma senza danneggiarlo.
20 novembre 1941
La Perseo (tenente di vascello Alessandro Cavriani) ed il cacciatorpediniere Turbine (capitano di corvetta Mario Rocca) salpano da Napoli alle 20 scortando il primo scaglione del convoglio «C», composto dalle motonavi Napoli e Vettor Pisani.
Il convoglio fa parte di un’operazione di traffico volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica (operazione «Crusader») e dopo che la distruzione del convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad opera della Forza K britannica, ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di rifornimenti diretti in Africa Settentrionale.
Dopo qualche giorno di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con operazione da svolgersi al più presto, al fine di "sfruttare il vantaggio della sorpresa".
Supermarina, d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (Vettor PisaniNapoliMonginevroAnkaraSebastiano Venier ed Iridio Mantovani), lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
L’operazione vede in mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: il secondo scaglione del convoglio «C», partito da Napoli alle 5.30 del 21 (motonave Monginevro, nave cisterna Iridio Mantovani, cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, torpediniera Enrico Cosenz) ed il convoglio «Alfa», salpato da Napoli alle 19 del 20 (motonavi Ankara e Sebastiano Venier e cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti). La III e VIII Divisione Navale dovranno dare loro protezione; dallo stretto di Messina in poi, dovranno navigare ad immediato contatto col convoglio «C», quasi incorporate in esso.
Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di Tunisi cariche di truppe (da Taranto), e verranno fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
Dopo vari rinvii dovuti al maltempo (che impedisce l’utilizzo degli aeroporti della Sicilia), l’operazione prende il via, ma fin da subito molte cose non vanno per il verso giusto. Il convoglio «Alfa» viene avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; quando viene intercettato un messaggio radio britannico dal quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione nell’operazione.
21 novembre 1941
Alle 00.23 la Perseo lascia la scorta del convoglio. Qualche ora dopo, la torpediniera sperona il cacciasommergibili ausiliario AS 84 Fernanda, un motoveliero convertito, al largo di Punta Imperatore, arrecandogli gravi danni.
Tra la tarda serata del 21 novembre e le prime ore del 22, le forze navali in mare per l’operazione che comprendeva il convoglio «C» vengono duramente attaccate da aerei e sommergibili nemici: alle 23.10 l’incrociatore pesante Trieste viene silurato dal sommergibile britannico Utmost, rimanendo immobilizzato con gravissimi danni, e la Perseo viene inviata sul posto per recarsi in suo aiuto.
22 novembre 1941
Alle 00.03 la Perseo giunge nei pressi del Trieste e viene chiamata a portata di voce dal suo comandante, capitano di vascello Umberto Rouselle, il quale col megafono le ordina di girare intorno all’incrociatore per svolgere vigilanza contro eventuali nuovi attacchi di sommergibili.
A poco a poco, il Trieste riesce a rimettere in moto ed a trascinarsi lentamente verso Messina (dove arriverà alle 7.30), ma alle 00.38, durante un attacco aereo, l’incrociatore leggero Duca degli Abruzzi viene colpito da un aerosilurante, rimanendo a sua volta immobilizzato. La Perseo riceve allora ordine di dirigere sul posto per proteggere il Duca degli Abruzzi. Alle 7 del mattino l’incrociatore danneggiato è circondato dai cacciatorpediniere Da NoliVivaldiTurbineGranatiereFuciliereAlpinoCorazziere e Carabiniere oltre che dalla Perseo. Tutte le siluranti evoluiscono intorno al Duca degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo. Alle 8.16 l’incrociatore viene raggiunto da due rimorchiatori (unitamente a due MAS inviati da Marina Messina durante la notte) sotto la costa calabra e viene preso a rimorchio, avanzando a cinque nodi di velocità.
La menomazione della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi. L’incrociatore, assistito dal rimorchiatore Impero e scortato da PerseoVivaldiDa Noli, GranatiereFuciliere ed Alpino nonché da aerei caccia italiani Macchi Mc. 200 del 4° Stormo e da bombardieri Junkers Ju.88C tedeschi del 1° Gruppo del 2° Stormo da Caccia Notturna (I./NJG.2), riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42.
25 novembre 1941
Alle 20.30 la Perseo parte da Trapani scortando le motozattere tedesche (Marinefährprahme) F 146, F 148, F 150 e F 160, provenienti da Palermo e dirette a Tripoli al comando del tenente di vascello Von Forell e del capitano Keil, con a bordo 800 fusti di benzina, 20 tonnellate di cemento per le forze italiane, equipaggiamento per immersioni tipo Draeger, 20 tonnellate di derrate alimentari e 132 tonnellate di altri materiali. Il tempo non è dei migliori per una traversata con mezzi tanto piccoli e tanto poco “marini” come le MFP: mare agitato e forte vento.



La Perseo scorta il primo convoglio di motozattere tedesche in Nordafrica, dicembre 1941 (sopra, da Historisches Marinearchiv, e sotto, da The Crusader Project)


28 novembre 1941
Dopo brevi soste a Pantelleria e Lampedusa, la Perseo e le motozattere tedesche raggiungono Tripoli. Si tratta del primo viaggio compiuto dalle MFP in Nordafrica. Durante il viaggio, i portelloni di F 146, F 148 e F 150 hanno subito alcuni danni a causa delle mare agitato.
1° dicembre 1941
La Perseo riparte da Tripoli alle 12.15 scortando ancora le quattro motozattere tedesche (F 146, F 148, F 150, F 160), sempre al comando del tenente di vascello Von Forell, aventi a bordo ciascuna 80 tonnellate di materiali da trasportare a Bengasi. Il tempo sembra essere migliorato: adesso il mare è calmo.
2 dicembre 1941
Durante la navigazione, il tempo peggiora; il mare torna ad essere agitato con forte vento da est, ed alle 16 il portellone prodiero della F 160 viene danneggiato dalle onde. Alle 23.30, con vento forza 5-6 da est e mare di eguale violenza, la F 160 perde l’intero portellone (nonché diversi pannelli di copertura in lamiera), e lancia una richiesta di aiuto. Tutte le motozattere sono alla deriva, in balia della violenza del mare.
3 dicembre 1941
Alle cinque del mattino le motozattere cercano di dirigersi verso la costa senza andare controvento, ma la F 160 non riesce più a tenere il mare. Alle otto del mattino la F 150 cerca di prendere a rimorchio la F 160, ma il cavo dev’essere mollato, perché il mare è troppo agitato per poter consentire il traino dell’unità danneggiata. Si provvede allora a trasferire sulla F 150 parte dell’equipaggiamento per immersioni a bordo della F 160, perdendo in mare alcune valigie e borsoni; poi è la Perseo a tentare di prendere a rimorchio la motozattera in difficoltà, ma tutti i cavi si spezzano dopo poco tempo. A questo punto la Perseo prende a bordo tutto l’equipaggio della F 160, tranne il comandante Keil e due marinai; alle undici del mattino si giunge alla conclusione che la motozattera è perduta, pertanto la Perseo prende a bordo anche i tre uomini rimasti a bordo, dopo di che, su decisione del tenente di vascello Von Forell, la affonda a cannonate. La F 160 è la prima unità della 2. Landungsflottille ad andare perduta durante la guerra. Con essa si perdono 400 fusti di benzina e dieci tonnellate di cemento, nonché parte dell’attrezzatura per immersioni.

Una sequenza di immagini (da Historisches Marinearchiv e The Crusader Project) ritraenti il salvataggio dell’equipaggio della F 160 da parte della Perseo:





5 dicembre 1941
Le altre tre motozattere riescono a raggiungere Bengasi a mezzogiorno: tutte e tre hanno subito anch’esse seri danni a causa del mare agitato, con crepe lunghe fino a 30 centimetri sulle sovrastrutture, sulle paratie e sui supporti, danni ai portelloni prodieri, perdita di ancore e pannelli di copertura in lamiera. Durante la manovra per entrare in porto, rallentando, la F 146 va fuori controllo e schiaccia una pilotina contro il frangiflutti, uccidendo il pilota e ferendo gravemente un altro marinaio italiano. A causa della collisione, anche la motozattera subisce seri danni alla parte inferiore del portellone prodiero.
Alle 19 dello stesso giorno la Perseo salpa da Bengasi per Tripoli, scortando il piroscafo tedesco Brook.
8 dicembre 1941
Perseo e Brook arrivano a Tripoli a mezzogiorno.
18-19 dicembre 1941
La Perseo e la torpediniera Generale Marcello Prestinari, provenienti da est, si uniscono al convoglio «L» (motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Pessagno, Zeno, Da Recco e Da Noli) in navigazione da Taranto a Tripoli durante l’operazione «M. 42». Perseo e Prestinari raggiungono il convoglio nel tratto finale della navigazione, quando questo si è frazionato, per ordine del caposcorta (contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, sul Vivaldi), in tre sottogruppi, ed ha subito il danneggiamento della motonave Napoli (scortata da Da Noli e Zeno) colpita a poppa estrema da un siluro o da una bomba, che ha causato pochi danni allo scafo ma ha immobilizzato il timone, ed entrata poco dopo in collisione con lo Zeno, rimasto a sua volta danneggiato (ha una falla nello scafo, ma riuscirà a raggiungere Tripoli con i propri mezzi).
Per soccorrere la motonave, Nomis di Pollone ha richiesto l’invio di rimorchiatori dalla ormai vicina Tripoli, e distaccato Pessagno e Malocello dagli altri gruppi inviandoli nella zona in cui si trova la motonave, essendo tale area particolarmente pericolosa perché abitualmente infestata da sommergibili. Perseo e Prestinari vengono appunto inviate anch’esse a rinforzare il gruppo della Napoli; il rimorchiatore Ciclope, inviato da Tripoli, prende a rimorchio la motonave danneggiata (che in precedenza è stata presa a rimorchio dal Da Noli).
A rimorchio del Ciclope, la Napoli a giunge a Tripoli alle 16 del 19, preceduta di due ore da Da NoliPessagnoMalocello e Zeno. L’operazione «M. 42» si conclude in un successo, con l’arrivo a destinazione di tutti i rifornimenti inviati.
20 dicembre 1941
Alle 19 la Perseo salpa da Tripoli scortando i piroscafi Spezia (tedesco) e Cadamosto (italiano), scarichi e diretti a Bengasi. Alle 23 la torpediniera lascia la scorta del convoglio, che proseguirà da solo fino all’una di notte del 22, quando verrà raggiunto dalla cannoniera-cacciasommergibili Zuri. Poco più tardi, entrambi i piroscafi salteranno su mine. (Secondo una fonte, la Perseo sarebbe stata ancora con loro e ne avrebbe soccorso i naufraghi, ma sembra probabile che si tratti di un errore).
22 dicembre 1941
La Perseo lascia Bengasi alle 17.15 insieme alla gemella Partenope, scortando il piroscafo Ercole, diretto a Tripoli con a bordo feriti e personale della Regia Marina da evacuare verso Tripoli nell’ambito dello sgombero di Bengasi, prossima a cadere in mano britannica durante l’offensiva denominata "Operazione Crusader".
24 dicembre 1941
Perseo, Partenope ed Ercole arrivano a Tripoli alle 18.30. Lo stesso giorno, Bengasi viene occupata dai britannici.
21 gennaio 1942
La Perseo e la gemella Circe (caposcorta) partono da Tripoli dirette a Susa, dove si trova il piroscafo tedesco Atlas qui giunto da Napoli (scortato fino a Marettimo dalle torpediniere Sirtori e Cosenz, poi da solo); ne assumono la scorta per l’ultimo tratto di navigazione verso Tripoli.
23 gennaio 1942
PerseoAtlas e Circe arrivano a Tripoli alle 11.
24 gennaio 1942
La Perseo e la gemella Calliope lasciano Tripoli per recarsi incontro al convoglio "T. 18" (motonavi Monviso, Monginevro e Vettor Pisani, scortate dai cacciatorpediniere Ugolino VivaldiAntonio Da Noli, Lanzerotto Malocello, AviereGeniere e Camicia Nera e dalle torpediniere Castore ed Orsa; un’altra motonave, la Ravello, è dovuta tornare indietro per avaria, mentre il trasporto truppe Victoria è stato affondato da aerosiluranti), in arrivo dall’Italia con 15.000 tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati e 271 automezzi. (Secondo una fonte la Perseo avrebbe partecipato al salvataggio dei naufraghi della Victoria, ma sembra trattarsi di un errore).
Perseo e Calliope raggiungono il convoglio alle 7.30; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» (scorta indiretta, la VII Divisione Navale dell’ammiraglio Raffaele De Courten: incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, cacciatorpediniere BersagliereCarabiniereFuciliere ed Alpino) lascia la scorta come previsto, e dopo altri cinque minuti sopraggiunge la scorta aerea con caccia e ricognitori della Regia Aeronautica.
Alle 9 uno dei caccia di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro il mare, segnalando la presenza di un sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio: il contrammiraglio Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza sulla sinistra (che permette alla Monviso di evitare di stretta misura un siluro). CastoreGeniere e Malocello, unitamente a dei ricognitori, contrattaccano con bombe di profondità; al termine della caccia si vedrà sulla superficie una chiazza di nafta, ma nessun sommergibile è stato affondato.
Alle 14.15 il convoglio entra a Tripoli; poco dopo il porto libico subisce un violento bombardamento aereo, ma nessuna unità del convoglio viene danneggiata.
7 febbraio 1942
La Perseo, partita da Tripoli, si reca incontro al piroscafo tedesco Trapani, in arrivo da Palermo, ne assume la scorta e lo accompagna in porto, dove giunge a mezzogiorno.
8-9 febbraio 1942
La Perseo scorta il piroscafo Delia da Tripoli a Sfax, dove questi deve imbarcare fosfati da trasportare in Italia. Nonostante “ULTRA”, sulla scorta di messaggi intercettati e decifrati, ne abbia segnalato la partenza ai comandi britannici, il Delia non subirà attacchi durante la navigazione.
13 febbraio 1942
La Perseo salpa da Tripoli per Bengasi alle 16.30, scortando la cisterna militare Tanaro ed i dragamine ausiliari DM 3 Tenacemente e DM 6 Eritrea.
18 febbraio 1942
Il convoglio arriva a Bengasi alle 11.30.
25 febbraio 1942
Durante una missione della Perseo nel Mediterraneo centrale, un tubo del vapore in sala macchine esplode improvvisamente, ustionando seriamente alcuni uomini. Uno di essi, il fuochista Angelo Pastrello (24 anni, da Favaro Veneto), nonostante le gravi ustioni e l’ordine del capo guardia di evacuare il locale, si trattiene sul posto per soccorrere un compagno anch’esso seriamente ustionato, che ha perso i sensi; Pastrello riesce a portarlo in salvo, ma nel farlo riporta ustioni ancora più gravi, in seguito alle quali morirà in ospedale due mesi più tardi.
Per il suo generoso sacrificio verrà decorato alla memoria con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Imbarcato su torpediniera in missione di guerra, trovandosi di guardia in un locale motrice, veniva violentemente investito e ustionato per lo scoppio di un tubo di vapore. Sopportando con serena forza d’animo e stoicismo il dolore delle ferite, benché il capo guardia avesse ordinato l’evacuazione del locale, si attardava, incurante della propria salvezza, sul luogo del sinistro per soccorrere un camerata che, rimasta anch’egli ustionato, si abbatteva privo di forze. Nel porgere il suo generoso aiuto, mentre riusciva a trarre in salvo il compagno, riportava nuove e più gravi ustioni, in seguito alle quali, ricoverato in ospedale, perdeva la vita che in uno slancio di nobile altruismo e di suprema abnegazione aveva conservato al camerata caduto".


La tomba di Angelo Pastrello (Claudio Genta via www.marinaiditalia.com)

9 marzo 1942
Alle 18 la Perseo salpa da Buerat per scortare a Tripoli il piroscafo tedesco Achaia e la piccola nave frigorifera italiana Amba Aradam.
11 marzo 1942
Il convoglietto arriva a Tripoli alle 9.
17 marzo 1942
La Perseo lascia Tripoli per Palermo alle 21.30, scortando la motonave Reginaldo Giuliani; le due navi viaggiano di conserva con un altro analogo convoglietto formato dalla motonave Gino Allegri, scortata dalla Circe.
Nel Canale di Sicilia il convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei nella notte tra il 17 ed il 18.
18 marzo 1942
In mattinata, al largo di Pantelleria, si aggregano al convoglio i MAS 563 e 564, che poi lo lasciano nel primo pomeriggio, all’altezza di Trapani.
Perseo e Giuliani giungono a Palermo alle 22.
5 aprile 1942
La Perseo parte da Trapani per Tripoli alle 21, scortando il piroscafo tedesco Atlas ed i motodragamine R 9, R 12 e R 14, anch’essi tedeschi. (Per altra fonte risulterebbe che i tre motodragamine si siano uniti alla scorta il 6 aprile, partendo da Lampedusa). È possibile che il convoglio Perseo-Atlas sia stato avvistato in questa data dal sommergibile britannico Thrasher, che non lo attaccò perché vide che il mercantile era scarico, mentre i suoi siluri erano regolati per colpire bastimenti a pieno carico. Il rapporto del Thrasher parla però di due mercantili, non uno solo.
6 aprile 1942
Alle 13.40 il sommergibile britannico P 35 (tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon) rileva rumore di macchine su rilevamento 250°, si porta a quota periscopica e, avendo avvistato degli alberi di navi in quella direzione, accosta per 200° ed accelera al massimo per avvicinarsi. Alle 14.14 il P 35 identifica il bersaglio come un mercantile (l’Atlas) scortato da una torpediniera classe Spica (la Perseo) che lo precede a proravia (non vengono invece avvistati i tre R-Boote tedeschi, probabilmente per il loro basso profilo e ridotte dimensioni, sebbene il P 35 li avesse avvistati due ore, prima diretti verso nordovest, dopo la loro partenza da Lampedusa per rinforzare la scorta dell’Atlas); terminata la breve osservazione al periscopio (molto breve, per la presenza di aerei dell’Asse che lo potrebbero avvistare) il sommergibile accosta per 120° e si avvicina a tutta forza, finché alle 14.30 lancia due siluri da 35°37’ N e 12°12’ E (una ventina di miglia ad ovest-nord-ovest di Lampedusa), da 2930 metri di distanza. I siluri non vanno a segno ed il battello scende in profondità e si ritira verso ovest, avendo avvistato degli aerei.
7 aprile 1942
Le navi giungono a Tripoli alle 11.30.
11 aprile 1942
La Perseo parte da Tripoli alle 14 per scortare a Bengasi, insieme ai motodragamine tedeschi R 10, R 11, R 14 e R 16, il piroscafo italiano Bravo, il tedesco Atlas e l’Amba Aradam.
12 aprile 1942
Alle 8.24 il sommergibile britannico Thrasher (tenente di vascello Hugh Stirling Mackenzie) avvista la Perseo ed i tre piroscafi da essa scortati su rilevamento 210°, a 7-8 miglia di distanza, con rotta 090°. Il sommergibile accosta per avvicinarsi, ma alle 8.50 il convoglio modifica la propria rotta, impedendo al Thrasher di serrare le distanze al di sotto dei 9100 metri, ragion per cui il comandante britannico interrompe l’attacco. Alle 12.07 il Thrasher emerge (in superficie può raggiungere una velocità maggiore) e manovra per sorpassare il convoglio e tentare un nuovo attacco durante la notte. Mackenzie nota che i mercantili sembrano a pieno carico. Alle 12.16 il Thrasher s’immerge per evitare un aereo, per poi riemergere alle 12.35; alle 15.56 avvista alberature e fumaioli su rilevamento 105° e li identifica ben presto come appartenenti alle navi del convoglio, e di conseguenza accosta in modo da portarsi a proravia di esse, ma alle 16.40 le perde di vista. Alle 18, non essendo riuscito a ritrovarle, Mackenzie ipotizza che abbiano virato verso nord; alle 18.25 avvista le sovrastrutture di un cacciatorpediniere diretto verso di lui, su rilevamento 045°, e ripiega immediatamente su rotta 225°, ma alle 18.40 il cacciatorpediniere accosta verso ovest, non avendo notato la presenza del Thrasher. Il sommergibile manovra allora per aggirarlo e riprendere l’inseguimento del convoglio.
13 aprile 1942
Alle 6 il Thrasher s’immerge, ed alle 7.55, in posizione 31°48’ N e 19°17’ E, avvista su rilevamento 270° delle alberature e dei fumaioli che identifica ben presto come appartenenti al convoglio del giorno precedente, scortato – viene notato alle 8.30 – anche da un aereo da caccia e tre piccole unità (gli R-Boote). Alle 9.12, in posizione 31°26’ N e 18°56’ E, il Thrasher lancia tre siluri contro l’Atlas (del quale stima la stazza in 3500 tsl), da 1645 metri di distanza.
Alle 9.15, in posizione 31°28’ N e 18°56’ E (nel Golfo della Sirte, a sudovest di Bengasi), l’Atlas, piroscafo capofila, viene colpito da due dei siluri, ed affonda in fiamme in una decina di minuti. La Perseo prosegue scortando Bravo ed Amba Aradam per allontanarli dalla zona di pericolo, mentre i dragamine tedeschi rimangono sul posto per soccorrere i naufraghi dell’Atlas; nonostante le avverse condizioni del mare, che rendono tale opera molto difficile, gli R-Boote riescono a salvare 47 dei 51 uomini che erano a bordo del piroscafo tedesco. Sono sempre i motodragamine ad occuparsi del contrattacco, lanciando 19 bombe di profondità (a partire dalle 9.15) senza causare alcun danno al Thrasher (che intanto scende a 24 metri e si allontana verso sud) dato che nessuna delle bombe esplode nelle sue vicinanze. Alle 12.02 il Thrasher, dopo aver atteso che anche l’ultimo R-Boot se ne andasse per riunirsi al convoglio, riemerge ed affonda a cannonate il mezzo da sbarco tedesco PiLB 210, facente parte del carico sistemato sul ponte dell’Atlas, che era rimasto alla deriva, galleggiante, deserto ed all’apparenza intatto, dopo l’affondamento del piroscafo.
Raggiunta successivamente Bengasi, la Perseo ne riparte alle 19 dello stesso giorno per scortare a Tripoli l’Amba Aradam.
16 aprile 1942
Perseo ed Amba Aradam arrivano a Tripoli alle 19.
18 aprile 1942
La Perseo parte da Trapani alle 20.10, insieme al motodragamine tedesco R 13, per scortare a Tripoli il motoveliero Egusa, la motocisterna Ennio ed il piroscafo Tripolino.
19 aprile 1942
Il convoglio arriva a Pantelleria alle 7.30 e vi sosta fino alle 19.
20 aprile 1942
Il convoglio arriva a Lampedusa alle otto e vi rimane per tre giorni.
23 aprile 1942
Il convoglio riparte da Lampedusa alle 10, senza più l’R 3 ma con l’aggiunta della torpediniera Pegaso, mandata da Tripoli.
24 aprile 1942
Il convoglietto giunge a Tripoli alle 9.40.
30 aprile 1942
Il marinaio silurista Mario Zimpric (20 anni, da Trieste), della Perseo, muore in territorio metropolitano.
2 maggio 1942
La Perseo parte da Tripoli per Palermo alle 10.15, scortando il rimorchiatore di salvataggio Instancabile, che ha a rimorchio il piroscafo tedesco Sparta.
Il giorno stesso il convoglietto raggiunge Pantelleria, dove sosta fino al giorno seguente.
5 maggio 1942
Perseo, Sparta ed Instancabile arrivano a Palermo alle 17.30.
16 maggio 1942
La Perseo salpa da Napoli per Tripoli all’1.45, scortando la motonave Lerici. Le due navi formano il convoglio «C», uno dei tre diretti in Libia nell’ambito dell’operazione di traffico «Lero».
17 maggio 1942
Alle 7.25 Perseo e Lerici vengono raggiunte dalla torpediniera Clio, inviata da Tripoli.
Alle 8.30, 70 miglia a sud di Capo Spartivento, il convoglio «C» si congiunge con i convogli «R» (motonave Mario Roselli e cacciatorpediniere Nicolò Zeno, provenienti da Brindisi) e «X» (motonave Nino Bixio e cacciatorpediniere Turbine, provenienti da Taranto), già unitisi in precedenza, formando un convoglio unico avente come caposcorta lo Zeno.
Tale convoglio procede sulla rotta a levante di Malta, fino alle 19.45: a quell’ora, giunte le navi a 80 miglia da Tripoli, il convoglio «C» (Perseo, LericiClio) si separa nuovamente dagli altri (che sono diretti invece a Bengasi) e fa rotta per Tripoli.
18 maggio 1942
Perseo, LericiClio entrano a Tripoli all’alba.
20 maggio 1942
La Perseo esce da Tripoli, unitamente ai rimorchiatori Ciclope e Costante, per andare in soccorso della motonave Agostino Bertani, colpita a poppa da un siluro durante un attacco notturno di aerosiluranti (all’una di notte), mentre insieme alla motonave tedesca Reichenfels ed ai cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare e Nicolò Zeno viaggiava in convoglio da Tripoli (da dov’erano salpate alle 21 del 19) a Napoli. All’alba la Bertani, che nell’esplosione del siluro ha subito la distruzione del dritto di poppa e del timone, è stata presa a rimorchio dallo Zeno, che la traina verso Tripoli; alle otto del mattino giunge sul posto la Perseo, seguita mezz’ora più tardi dai due rimorchiatori. A mezzogiorno il rimorchio viene passato dallo Zeno al Ciclope, assistito dal Costante, mentre Perseo e Zeno rimangono a fornire scorta ed assistenza. Alle 16.40 il piccolo convoglio giunge a Tripoli.
29 maggio 1942
Alle 20 la Perseo salpa da Bengasi per scortare a Tripoli il piroscafo tedesco Brook.
31 maggio 1942
Perseo e Brook arrivano a Tripoli alle 15.45.
12 giugno 1942
La Perseo salpa da Bengasi per Tripoli alle 19.30, scortando il piroscafo tedesco Trapani.
14 giugno 1942
Perseo e Trapani arrivano a Tripoli alle 19.
21 giugno 1942
Alle 19 la Perseo (capitano di corvetta Alessandro Cavriani) parte da Tripoli per Bengasi, scortando i piroscafi Sant’Antonio e Regulus ed il motoveliero Maria Gabriella.
22 giugno 1942
Nel pomeriggio il sommergibile britannico Thrasher (tenente di vascello Hugh Stirling Mackenzie) avvista ed insegue il convoglio formato da Perseo, Sant’Antonio, Regulus e Maria Gabriella (quest’ultimo non viene notato), che attacca senza risultato alle 17.15, con lancio di siluri contro il Sant’Antonio. Successivamente, alle 21.45, il Thrasher avvista nuovamente il convoglio, e manovra per un nuovo attacco. Alle 23.50, trovandosi 6 miglia a proravia del convoglio, s’immerge per effettuare un attacco in immersione.
23 giugno 1942
Alle 00.33 il Thrasher lancia tre siluri contro il più grande dei due piroscafi, il Sant’Antonio: colpito da una delle armi, il bastimento affonda rapidamente nel punto 31°53’ N e 16°35’ E, nel Golfo della Sirte, a quattro miglia dalla costa. La Perseo recupera 31 superstiti (su 35 uomini  presenti sul piroscafo) e prosegue con i due mercantili superstiti dopo aver effettuato, secondo Mackenzie, un "modesto e inefficace contrattacco".
Alle 20.55 il sommergibile britannico Turbulent (capitano di fregata John Wallace Linton), appena emerso in posizione 31°20’ N e 18°30’ E, avvista due sagome a cinque miglia di distanza, su rilevamento 340°, e le identifica in breve come un mercantile diretto verso est (il Regulus) ed una torpediniera classe Spica (la Perseo). Inizia quindi la manovra d’attacco, ma alle 21.20 viene localizzato dalla Perseo, che accosta per dirigersi nella sua direzione, ed è così costretto all’immersione; nel corso dei successivi 60 minuti, la Perseo bombarda il Turbulent con 20 bombe di profondità, lanciate singolarmente, una delle quali esplode vicina e rompe alcune lampadine. Poi, il convoglio prosegue; alle 22.45 il sommergibile torna a quota periscopica, vede che non c’è più nessuno e riemerge dopo venti minuti.
24 giugno 1942
Alle 9.30 il Turbulent avvista nuovamente Regulus, Perseo e Maria Gabriella, scortati anche da cinque aerei, in posizione 31°43’ N e 19°49’ E. Questa volta Linton riesce a portarsi all’attacco, ed alle 10.53, in posizione 31°43’ N e 19°51’ E, lancia due siluri da 2740 metri. Il Regulus viene colpito (secondo le fonti italiane, con evidente discrepanza di orario, alle 10.10), quattro o cinque miglia ad ovest di Ghemines; stavolta il piroscafo non affonda, ma viene portato all’incaglio. L’intero equipaggio può così salvarsi e, mentre la nave risulterà perduta, il carico contenuto nelle stive non allagate potrà essere recuperato.
La Perseo ed il Maria Gabriella arrivano a Bengasi alle 16.
25 giugno 1942
Alle 7.45 la Perseo (caposcorta) e la ben più anziana torpediniera Generale Carlo Montanari partono da Bengasi per scortare a Tripoli il piroscafo Anna Maria Gualdi.
26 giugno 1942
Perseo, Gualdi e Montanari arrivano a Tripoli alle 15.30.
25 luglio 1942
Alle 19 la Perseo salpa da Tripoli per scortare a Palermo il piroscafo Armando e la pirocisterna Picci Fassio.
28 luglio 1942
Le tre navi giungono a Palermo alle 8.45.
4-10 agosto 1942
La Perseo si alterna con i cacciasommergibili Selve ed Oriole e con il cacciatorpediniere Freccia nella scorta al piroscafo Istria, in navigazione da Tripoli (da dov’è partito dalle due di notte del 4) a Patrasso (dove arriva alle 22.30 del 10) con soste intermedie a Bengasi (dalle 9.30 alle 15 del 6) ed a Navarino (il mattino del 10). La Perseo scorta l’Istria fino al Pireo, mentre in precedenza il piroscafo è stato scortato fino a Bengasi da Selve ed Oriole e fino a Navarino dal Freccia.
Agosto 1942
Assume il comando della Perseo il tenente di vascello Saverio Marotta, che sarà il suo ultimo comandante. Per le sue azioni al comando della Perseo Marotta riceverà due Medaglie d’Argento ed altrettante di Bronzo al Valor Militare, e sarà citato per tre volte nei bollettini di guerra; vi troverà infine la morte.
5 ottobre 1942
La Perseo parte da Napoli alle 6.15 scortando il piroscafo Amsterdam, diretto a Tripoli. Da Napoli a Messina fanno parte della scorta anche tre cacciasommergibili.
6 ottobre 1942
Il convoglietto giunge a Messina alle due, sostandovi fino all’indomani.
7 ottobre 1942
Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) e Circe (capitano di corvetta Stefanino Palmas, caposcorta) salpano da Messina per Patrasso alle 5, scortando l’Amsterdam. Fino a Capo Rizzuto la scorta è rinforzata da quattro vedette antisommergibili.
Dopo una lunga deviazione sotto le coste della Calabria, il convoglio dirige per Patrasso.
8 ottobre 1942
Le tre navi giungono a Patrasso alle 18.50 (o 18.55). Qui termina il compito della Perseo; l’Amsterdam proseguirà per la Libia con la scorta della Circe e della gemella Lince, ma verrà silurato da aerei.
10 ottobre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta), insieme alle gemelle Libra (capitano di corvetta Carlo Brancia di Apricena) e Lira (tenente di vascello Agostino Caletti), salpa dal Pireo alle 18.30 per scortare a Tobruk il piroscafo Petrarca e la motonave Tergestea, che formano il convoglio «FF».
11 ottobre 1942
Alle 7.20 si unisce alla scorta, quale rinforzo, anche la torpediniera Climene (tenente di vascello Mario Colussi), proveniente da Suda. In mattinata il convoglio passa tra Cerigotto e Creta.
Alle 17.20 (mentre il convoglio è scortato anche da 3-4 aerei in funzione antisommergibili), a 40 miglia per 200° (cioè a sud) da Capo Krio, la Perseo avvista verso nord-nord-est otto bombardieri statunitensi Consolidated B-24 "Liberator", che si avvicinano al convoglio in doppia losanga di quattro, a 4500 metri di quota; la torpediniera apre subito il fuoco, e manovra per portarsi tra gli aerei ed il convoglio, ma alle 17.25 vengono sganciate due salve di bombe, mentre compaiono altri nove "Liberators", in formazione a cuneo di tre gruppi, dalla stessa direzione. Le prime due salve colpiscono entrambi i mercantili; alle 17.27 il secondo gruppo sgancia altre tre salve: due cadono in mare sulla sinistra della Perseo, una a circa 200 metri e l’altra ad un centinaio di metri, ma la terza colpisce il Petrarca. Alle 17.39 il Tergestea colpisce accidentalmente un velivolo tedesco della scorta aerea, che è costretto all’ammaraggio, inabissandosi subito dopo; i superstiti vengono recuperati dalla Perseo.
Mentre il Petrarca, nonostante i danni (è stato colpito sul castello di prua), è in grado di proseguire, la Tergestea, che ha una falla in sala macchine (causata da una bomba esplosa vicinissima allo scafo), deve tornare indietro, scortata da Perseo e Lira.
12 ottobre 1942
Perseo e Lira, giunte in prossimità di Suda, affidano la Tergestea al rimorchiatore Instancabile (che lo condurrà in porto alle otto) e vengono poi dirottate verso il convoglio «Col di Lana» (partito da Tobruk alle 16 dell’11 e formato dalla motonave Col di Lana e dal cacciatorpediniere Saetta con a rimorchio il vecchio sommergibile Millelire, trasformato in bettolina per trasporto nafta), la cui scorta ha “perso” due torpediniere (Antares, gravemente danneggiata da bombe, e Lupo, rimasta ad assisterla) in seguito ad un attacco aereo. Alle 17 il convoglio si divide, e le navi che lo formano dirigono verso le rispettive destinazioni: la Perseo assume la scorta della Col di Lana (diretta a Salonicco) insieme al cacciatorpediniere Freccia, mentre la Lira scorta Saetta e Millelire a Navarino.
13 ottobre 1942
Perseo e Freccia entrano al Pireo alle 14, affidando alla torpediniera Castelfidardo (tenente di vascello Luigi Balduzzi), uscita da quel porto, il compito di scortare la Col di Lana fino a Salonicco, dove questa giungerà l’indomani.
22 ottobre 1942
La Perseo ed il cacciatorpediniere Freccia scortano la nave cisterna Giorgio da Istmia a Suda.
23 ottobre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) salpa da Suda alle 18 scortando la piccola nave cisterna Alfredo, diretta a Tobruk.


Due marinai a bordo della Perseo in una foto scattata a Suda il 23 ottobre 1942: sullo sfondo il relitto dell’incrociatore britannico York (Coll. N. Siracusano, da “The Italian Navy in World War II” di James Sadkovich)

24 ottobre 1942
Dall’alba al tramonto il convoglietto fruisce della scorta aerea di uno Junkers Ju 88 tedesco.
25 ottobre 1942
Durante il giorno Perseo ed Alfredo sono scortate da due Ju 88 tedeschi e da un idrovolante italiano CANT Z. 501 in funzione antisommergibili.
Le due navi subiscono ripetuti attacchi aerei: alle 8.48 (per altra fonte, all’alba), al largo di Sidi Abeida (16 miglia a nordest di Tobruk), sono attaccate da sette caccia pesanti che le sorvolano a volo radente, mitragliando dapprima la Perseo e poi l’Alfredo, per poi abbattere il CANT Z. 501. Ambedue le navi subiscono danni per effetto delle pallottole delle mitragliatrici britanniche, ma di entità non grave; l’Alfredo, colpita all’apparato motore ed al timone, rimane immobilizzata e viene presa a rimorchio dalla Perseo (che vi trasborda anche alcuni uomini per sostituire il personale di plancia, rimasto ucciso o ferito nell’attacco), ma dopo un quarto d’ora riesce a rimettere in moto. Sei membri dell’equipaggio della Perseo – tra cui il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Musmeci – sono rimasti feriti, due in modo grave e quattro in modo lieve; sull’Alfredo è morto il comandante, Enrico Rossi, e sono rimasti feriti altri quattro uomini, tre dei quali gravemente.
Entrambe le navi raggiungono Tobruk alle 14.30.
Diversi membri dell’equipaggio della Perseo verranno decorati per la loro condotta durante l’attacco aereo. Il comandante Marotta sarà insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di silurante in servizio di scorta a petroliera in acque dell’Africa Settentrionale, reagiva bravamente con le armi e la bravura all’attacco simultaneo di numerosi velivoli avversari. Accortosi che la petroliera era rimasta senza governo, essendo caduti sul ponte di comando devastato ed incendiato il comandante, il 1° ufficiale ed il timoniere falciati dalla mitraglia, accostava la sua nave all'unità scortata e vi trasbordava il proprio personale. Riusciva cosi a rimorchiare la petroliera in porto, eludendo con pronta manovra un secondo attacco dal cielo".
Il sottotenente di vascello Giovanni Marangolo (30 anni, da Messina), comandante in seconda, riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Ufficiale in 2a e Direttore del tiro di torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante una missione di scorta in zone particolarmente insidiate, si prodigava prontamente per la messa in opera dei servizi di sicurezza e d’incendio riuscendo, incurante del pericolo, a spegnere un incendio sviluppatosi per lo scoppio di munizioni in una riservetta. Colpita la nave scortata, dirigeva con tempestività e perizia l’efficace opera di assistenza, contribuendo validamente a sottrarla ad ulteriori attacchi e consentendone l’arrivo a destinazione". Il direttore di macchina Musmeci riceverà analoga decorazione, con motivazione "Direttore di macchina di torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante una missione di scorta in zone particolarmente insidiate, benché ferito, dirigeva tempestivamente e con perizia tecnica, le riparazioni dei danni e il tamponamento delle vie d’acqua verificatesi. Animato col suo costante esempio il personale dipendente, riusciva ad evitare qualsiasi menomazione dell’efficienza della nave, e, rendendo possibile un’efficace assistenza alle unita scortate, contribuiva validamente al successo della missione", così come il suo sottordine, sottotenente del Genio Navale Vinicio Gerin (29 anni, da Isola d’Istria): "Imbarcato su torpediniera, attaccata e colpita da aerei nemici, durante
una missione di scorta in zone particolarmente insidiate, si prodigava, conslancio e noncuranza del pericolo, per la pronta riparazione dei danni e per il tamponamento di vie d’acqua verificatesi. Efficacemente contribuiva con la sua opera a mantenere la piena efficienza dell’unità, che poteva così esplicare valida e decisiva assistenza alla nave scortata". Il sottocapo cannoniere Adolfo Zolezzi (22 anni, da Sestri Levante) sarà anch’esso decorato di M.B.V.M., con motivazione "Funzionante capo arma e puntatore di un impianto da 20/65 su torpediniera, in missione di scorta in zone particolarmente insidiate dal nemico, reagiva con prontezza e perizia ad un attacco di aerei nemici che mitragliavano violentemente l’unità. Nonostante l’arma fosse colpita in più parti e un incendio fosse scoppiato nella contigua riservetta munizioni, persisteva con deciso coraggio nella sua intensa azione di fuoco costringendo il nemico a desistere da ulteriori attacchi".
26 ottobre 1942
La Perseo riparte da Tobruk alle 18.30 insieme alle gemelle Lira e Partenope (caposcorta, capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), per scortare al Pireo la motocisterna Rondine ed il piroscafo tedesco Trapani.
Alle 23 il convoglio viene attaccato da aerosiluranti una trentina di miglia a nordovest di Tobruk, ma nessuna nave viene colpita, mentre uno degli aerei nemici viene abbattuto dal fuoco delle torpediniere.
28 ottobre 1942
Alle 18 il convoglio viene attaccato infruttuosamente da bombardieri 15 miglia a nordest di Capo Malea e 50 miglia a nord di Cerigotto.
29 ottobre 1942
Il convoglio giunge al Pireo alle nove (per altra fonte, le sei).
18 novembre 1942
La Perseo salpa da Tunisi alle 17 scortando l’incrociatore ausiliario Barletta, diretto a Palermo, ma dopo un’ora e mezza è costretta a lasciare la scorta e tornare indietro, a causa delle avverse condizioni del mare. Il Barletta prosegue da solo e raggiunge Palermo il giorno seguente.
20 novembre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) e la moderna torpediniera di scorta Groppo (tenente di vascello di complemento Beniamino Farina, caposcorta) partono alle 9.30 da Biserta per scortare le motonavi Puccini e Viminale di ritorno in Italia. Poco dopo le 13.30 (od alle 13.40) il convoglio viene attaccato da quattro cacciabombardieri statunitensi, che mitragliano le navi causando pochi danni ma anche un morto e sei feriti gravi sulla Viminale.
21 novembre 1942
Il convoglio arriva a Palermo alle 8.30.


 Schema della colorazione mimetica applicata alla Perseo a inizio 1943 (g.c. Marco Ghiglino)


1° dicembre 1942
La Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) e la gemella Partenope (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli, capo sezione) escono in mare alle 2.15 per compiere un rastrello antisommergibili sulla rotta Trapani-Biserta. Loro compito è precedere i convogli in navigazione sulla rotta per la Tunisia in quel momento (tre in tutto, con un totale di 10 mercantili e 16 navi scorta) con il duplice scopo di cercare eventuali sommergibili con l’ecogoniometro e di avvistare eventuali navi nemiche, così da permetterne il tempestivo dirottamento in modo da evitare scontri notturni che vedrebbero i britannici in situazione di vantaggio. Perseo e Partenope, in particolare, navigano sulla rotta che dovrà essere percorsa dai convogli "B" ed "H", effettuando dragaggio ed ascolto ecogoniometrico antisommergibili.
Alle 23.30 Perseo e Partenope vengono localizzate dal radar tipo 271 dell’incrociatore britannico Aurora, salpato da Bona insieme al resto della Forza Q (incrociatori leggeri Sirius ed Argonaut, cacciatorpediniere Quiberon e Quentin) per attaccare i convogli italiani nel Canale di Sicilia. Sull’Aurora si ritiene però erroneamente che i due oggetti rilevati dal radar, distanti circa quattro miglia verso sud, siano probabilmente due motosiluranti; giudicando che queste non sarebbero in grado, in quelle condizioni, di attaccare con successo la formazione britannica, la Forza Q prosegue per la sua rotta.
2 dicembre 1942
Durante la notte le torpediniere, trovandosi ancora in mare, vedono dei bagliori oltre l’orizzonte, segno di un combattimento navale in corso: e infatti un convoglio italiano diretto a Biserta, denominato "H", è in quel momento sotto attacco da parte della Forza Q. Nell’impari combattimento il convoglio viene completamente distrutto, con l’affondamento di cinque navi (cacciatorpediniere Folgore, trasporti truppe Aventino e Puccini, traghetto militarizzato Aspromonte, trasporto militare tedesco KT 1) ed il grave danneggiamento di altre due (cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e torpediniera Procione).
Alle 8.30 il comandante della Partenope, avendo intercettato un messaggio con cui il Da Recco riferisce la sua critica situazione, decide di sua iniziativa, dandone notizia a Marina Trapani, di abbandonare il rastrello antisom e dirigersi verso le acque del banco di Skerki, al largo della costa tunisina, dove è stato distrutto il convoglio "H", per portare aiuto alle navi colpite e salvare i naufraghi. La sezionaria Perseo segue la Partenope; parecchie unità vengono inviate sul posto per partecipare ai soccorsi (oltre alle due torpediniere, anche i cacciatorpediniere Lampo, Camicia Nera, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli, la motosilurante MS 32, i MAS 563 e 576 e le navi soccorso Capri e Laurana)
Perseo e Partenope setacciano la zona del disastro dalle 9.10 alle 14, recuperando tutti gli uomini che riescono a trovare; la Perseo, in particolare, recupera 150 naufraghi dell’Aventino, che trasborda poi sulla nave soccorso Capri. Successivamente (verso le 13) si porta presso il relitto galleggiante della motonave Puccini, bruciata durante la notte ma non ancora affondata, per cercare altri naufraghi, insieme al Camicia Nera ed alla Laurana.
3 dicembre 1942
Alle 16.30 la Perseo, la gemella Partenope ed i cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta) e Setta salpano da Messina scortando la motonave tedesca Ankara, lì giunta da Taranto e diretta a Tunisi.
4 dicembre 1942
Nelle prime ore del 4 il convoglio passa per Trapani.
Alle 7.57 il sommergibile britannico P 219 (tenente di vascello Norman Limbury Auchinleck Jewell) avvista del fumo su rilevamento 030°, ed accosta per avvicinarsi; alle 8.13 avvista i velivoli della scorta aerea (un idrovolante e due bombardieri) ed alle 8.45 vede dapprima una nave ospedale e poi, ad una distanza di circa 2750 metri, il convoglio di cui fa parte la Perseo (“una nave mercantile di circa 5000 tsl scortata da due cacciatorpediniere”), che procede a circa 15 nodi su rotta 250°.
Alle 9.18 (fonti italiane parlano delle 9.30), in posizione 37°59’ N e 11°35’ E (una ventina di miglia ad ovest di Marettimo), il P 219 lancia una salva di sei siluri contro l’Ankara. I caccia della Regia Aeronautica di scorta aerea avvistano le scie dei siluri e lanciano l’allarme, permettendo al convoglio di evitare indenne l’attacco (mentre Jewell riterrà, erroneamente, di aver messo un siluro a segno): il Granatiere viene mancato da due siluri che gli passano rispettivamente a proravia ed a poppavia a ridottissima distanza (quello a prua, quindici metri; quello a poppa, appena dieci), e l’Ankara viene anch’essa mancata da un altro siluro.
Alle 16.30 le navi arrivano a Tunisi.
5 dicembre 1942
In mattinata, nel Golfo di Taranto, la Perseo si reca incontro al piroscafo tedesco Süllberg ed alla piccola nave cisterna Jaedjoer, pure tedesca, in navigazione da Napoli a Trapani, da dove poi dovranno proseguire per la Tunisia.
Alle 13.40 il sommergibile britannico P 48 (tenente di vascello Michael Elliot Faber) avvista del fumo su rilevamento 020°, ed alle 14.32 avvista su rilevamento 022° gli alberi ed il fumaiolo di una nave mercatile, gli alberi di un “cacciatorpediniere” e quelli di un’altra piccola imbarcazione: si tratta rispettivamente di Süllberg, Perseo e Jaedjoer. Iniziata la manovra di attacco, alle 15 il comandante britannico identifica correttamente il “cacciatorpediniere” come una torpediniera “classe Partenope” (cioè classe Spica); alle 15.26, in posizione 38°34’ N e 12°40’ E (circa 25 miglia a nord di Capo San Vito siculo), il P 48 lancia quattro siluri contro il Süllberg (che procede a 8 nodi su rotta 225°) da una distanza di 2740 metri, ma nessuna delle armi va a segno. Il piroscafo tedesco avvista le scie di due dei siluri, e la Perseo dà inizio al contrattacco, lanciando ben 64 bombe di profondità tra le 15.50 e le 17.06. Al termine della caccia la Perseo ritiene di aver affondato il sommergibile, ma in realtà il P 48 è riuscito a sottrarsi alla caccia, e riemergerà alle 18.45.
Alcune fonti attribuiscono a questa azione l’affondamento del sommergibile britannico Traveller (scomparso con tutto l’equipaggio, negli stessi giorni, nel Golfo di Taranto), ma si tratta di un errore; il Traveller non fu coinvolto in questo episodio, e saltò probabilmente su un campo minato difensivo italiano della zona.
16 dicembre 1942
Alle 16.30 la Perseo e le gemelle Cigno e Calliope salpano da Trapani per effettuare un rastrello antisommergibili lungo la costa della Tunisia. Arrivate in zona verso le otto di sera, le torpediniere iniziano l’ascolto ecogoniometrico, che proseguono per tutta la notte e parte della giornata seguente. Si verificano alcuni allarmi aerei ed antisommergibili, ma senza che mai si giunga effettivamente allo scontro.
17 dicembre 1942
In mattinata, Perseo e Calliope ricevono via radio la notizia dell’affondamento del cacciatorpediniere Aviere – silurato e affondato alle 11.15 dal sommergibile britannico Splendid in posizione 38°00’ N e 10°05’ E, 35-40 miglia a nord-nord-est di Biserta – ed alle 12.30 interrompono il pattugliamento antisommergibili e si recano a soccorrere i naufraghi di quella nave, mentre la torpediniera di scorta Fortunale viene inviata a rimpiazzarle nel rastrello antisom. Durante la navigazione le due torpediniere incontrano due motosiluranti tedesche in perlustrazione; inizialmente le scambiano per britanniche, ma le due Schnellboote si fanno subito riconoscere.
Perseo e Calliope giungono sul posto alle cinque del pomeriggio, quasi sei ore dopo l’affondamento, ed iniziano subito il salvataggio; su 250 uomini dell’equipaggio dell’Aviere (un centinaio dei quali erano riusciti ad abbandonare la nave), le due torpediniere trovano e recuperano soltanto quindici sopravvissuti (la Perseo ne salva dodici, la Calliope cinque), altri quindici vengono salvati da un idrovolante di soccorso e da una nave ospedale. Gli altri hanno ceduto al freddo e alla nafta che ostacolava i movimenti. Perseo e Calliope raggiungono poi Trapani, dove sbarcano i naufraghi a mezzanotte, per poi rifornirsi sottobordo al cacciatorpediniere Freccia.
18 dicembre 1942
Alle 10 Perseo e Calliope lasciano Trapani per compiere un rastrello antisommergibili nel Canale di Sicilia. Intorno alle 16 l’ecogoniometro della Calliope segnala un’eco, cui entrambe le torpediniere danno subito la caccia, alternandosi, con il lancio di 15 bombe di profondità da 150 kg. Dopo alcuni passaggi vengono avvistate in superficie delle grandi chiazze di olio e di nafta e si ritiene di aver affondato un sommergibile (ma in realtà, ciò non risulta). Le due torpediniere riprendono poi il pattugliamento antisom, ma il mare diviene progressivamente sempre più agitato, ostacolando anche l’ascolto ecogoniometrico, finché non si rende necessario chiedere al Comando il rientro in porto, permesso che viene accordato; Perseo e Calliope arrivano a Trapani alle 23.30, subendo poco dopo un bombardamento aereo.
23 dicembre 1942
La Perseo e la gemella Sirio partono da Napoli per Tunisi alle 10.30, scortando la motonave Col di Lana ed il trasporto militare tedesco KT 2, diretti a Tunisi.
24 dicembre 1942
All’alba il convoglio scortato da Sirio e Perseo si congiunge con un altro, proveniente da Palermo e diretto a Biserta, formato dalla motonave Viminale e dal cacciatorpediniere Lampo. Si forma così un unico convoglio del quale è caposcorta il Lampo; alle 9.57, al largo di Capo Bon, la Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) attacca un sommergibile localizzato all’ecogoniometro (che secondo una fonte avrebbe lanciato dei siluri contro il convoglio e contro la stessa Perseo), ritenendo di averlo probabilmente danneggiato. Qualche fonte attribuisce a questa azione l’affondamento del sommergibile britannico P 48 (che viene talvolta retrodatato al 22 dicembre e/o attribuita all’azione congiunta della Perseo, della torpediniera di scorta Ardente e della vecchia torpediniera Audace, che in realtà si trovava all’epoca in Adriatico), ma in realtà questi non fu coinvolto in tale episodio, essendo la posizione dell’attacco della Perseo (45 miglia a nord di Capo Bon) troppo lontana dall’area d’agguato del sommergibile britannico. In realtà il P 48 fu quasi certamente affondato il giorno seguente dalle bombe di profondità della torpediniera di scorta Ardente.
Le navi procedono insieme per alcune ore, poi i due convogli tornano a dividersi, e dirigono verso le rispettive destinazioni. Alle 19 Perseo, Sirio, Col di Lana e KT 2 arrivano a Biserta (?).
29 dicembre 1942
La Perseo, il cacciatorpediniere Freccia (caposcorta) e le moderne torpediniere di scorta Ardente, Ardito ed Animoso salpano da Napoli per Tunisi alle 7, scortando i piroscafi tedeschi Rhea e Stella.
30 dicembre 1942
Il convoglio sosta a Palermo dalle 7.15 alle 18, poi prosegue con l’aggiunta della motonave tedesca Ruhr.
31 dicembre 1942
Alle 7.35 il Freccia lascia la scorta, ed a mezzogiorno anche la Ruhr si separa dal convoglio. Le altre navi arrivano a Tunisi alle 17.
Alle 9.15 dello stesso giorno (evidente discrepanza di orario) la Perseo e l’Animoso (caposcorta) salpano da Tunisi scortando la motonave Col di Lana, diretta a Palermo.
1° gennaio 1943
Il convoglietto giunge a Palermo alle 13.
Lo stesso giorno, il comandante Marotta viene promosso capitano di corvetta.
11 gennaio 1943
La Perseo parte da Palermo per Susa all’una di notte, scortando il piroscafo Gimma.
12 gennaio 1943
Le due navi giungono a Susa alle 7.15; la Perseo prosegue poi per Tripoli.
13 gennaio 1943
Arriva a Tripoli alle 3.45.


Navi italiane a Tripoli in una foto scattata attorno al 14 gennaio 1943, nove giorni prima della caduta della città: la Perseo è la seconda torpediniera visibile da sinistra, vicino ad un piccolo motoveliero, mentre più a sinistra è riconoscibile la gemella Lince e più a destra, a maggiore distanza, la Calliope. Sono visibili anche un’idroambulanza CANT Z. 506 e, dietro di essa, la cannoniera-cacciasommergibili Eso e la nave cisterna militare Tanaro, entrambe affondate di lì a pochi giorni durante lo sgombero di Tripoli (g.c. STORIA militare)

15 gennaio 1943
La Perseo (tenente di vascello Saverio Marotta) lascia Tripoli alle 17, per scortare a Trapani la motonave D’Annunzio. È in corso l’evacuazione di Tripoli, che di lì a pochi giorni cadrà in mano all’8a Armata britannica: sulla D’Annunzio sono stati imbarcati i detenuti del carcere di Tripoli, sia prigionieri politici (un centinaio) che criminali comuni. La Perseo ha a bordo circa 180 uomini, di cui circa 150 di equipaggio e 30 imbarcati di passaggio per rientrare in Italia. Il mare è burrascoso: Supermarina ha disposto la partenza delle due navi in queste condizioni proprio nella convinzione che il maltempo dovrebbe rendere più difficile la loro individuazione da parte di forze nemiche.
Secondo una fonte, insieme alla Perseo sarebbe inizialmente partita anche la gemella Calliope per scortare la D’Annunzio, ma la burrasca l’avrebbe indotta a tornare a Tripoli 40 minuti dopo la partenza.
16 gennaio 1943
Alle 2.40 Supermarina informa la Perseo di essere stata avvistata da ricognitori avversari (per altra fonte, è la Perseo a comunicare, alle 2.30, che c’è un aereo nemico che pedina il convoglietto).
Alle 3.19, a 50 miglia per 180° (cioè a sud) da Lampedusa, in condizioni di bassa visibilità (la luna è tramontata), la Perseo avvista la sagoma di una nave da guerra a circa quattro chilometri di distanza, al traverso, a sinistra. Subito dopo, la nave avvistata illumina a giorno la Perseo con un proiettore (altra fonte parla di un proiettile illuminante) ed apre il fuoco contro di essa; la prima salva cade corta, sulla sinistra della torpediniera. Alle 3.21 altre navi iniziano a sparare sulla Perseo anche dal lato opposto, quello di dritta; stavolta le loro salve sono troppo lunghe. Da parte italiana si ritiene di essere sotto attacco da parte di almeno tre navi, forse anche quattro, la cui tipologia non è possibile accertare; in realtà gli aggressori sono due cacciatorpediniere britannici: Nubian (capitano di fregata Douglas Eric Holland-Martin) e Kelvin (capitano di fregata Michael Southcote Townsend), appartenenti alla ricostituita Forza K avente base a Malta, da dove sono partiti dopo aver ricevuto la segnalazione dei ricognitori. Il Kelvin, a causa di problemi alle macchine, non può superare i 23 nodi di velocità.
Alle 3.22 la Perseo accosta a dritta, incrementando la velocità, mentre alcune codette di proiettili britannici, sparati dal lato sinistro, sfiorano la sua plancia; alle 3.23 la torpediniera tenta di aprire anch’essa il fuoco, ma la velocità, le condizioni del mare (forza 6 da nordovest: la nave beccheggia violentemente, gli spruzzi delle onde arrivano fino in plancia) e le continue accostate eseguite per impedire al nemico di centrare il suo tiro sballottano qua e là i cannonieri, che devono aggrapparsi ai loro posti per non cadere. Nonostante queste difficoltà, i cannoni poppieri della Perseo riescono ad aprire il fuoco, ma già alle 3.24 la torpediniera viene colpita a poppa, proprio in corrispondenza del pezzo numero 2 da 100 mm, i cui serventi vengono investiti in pieno dall’esplosione, rimanendo uccisi o feriti. Altre cannonate esplodono in mare a poca distanza dallo scafo, investendo la Perseo con schegge che colpiscono la controplancia, mentre una cannonata abbatte gli aerei della radio. Alle 3.25 scoppia un incendio a poppa, vicino al pezzo numero 2, facendo deflagrare le munizioni delle riservette (secondo il ricordo del sottotenente di vascello Romualdo Balzano, l’incendio sarebbe poi stato spento da una grossa ondata che avrebbe spazzato la nave).
Alle 3.26 i cacciatorpediniere britannici convergono verso la D’Annunzio (che al momento dell’attacco si trovava a poppavia della Perseo, e che ha cercato di fuggire verso nordest), illuminandola con i proiettori ed aprendo il fuoco su di essa; alle 3.27 la Perseo inverte la rotta e va al contrattacco, e due minuti dopo anche la D’Annunzio, sebbene già colpita ed in fiamme, reagisce con il suo modesto armamento difensivo (un cannone ed alcune mitragliere). Alle 3.35, da una distanza di circa 2000 metri, la Perseo lancia due siluri contro le navi avversarie, con un beta di 50°. Il mare mosso rende difficile la manovra e la punteria; i siluri non vanno a segno, ed alle 3.36 la Perseo assume rotta di allontanamento.
Alle 3.40 la torpediniera inverte nuovamente la rotta e torna alla carica, avvicinandosi nuovamente alle navi britanniche per tentare un altro attacco con i siluri: stavolta ci si prepara al lancio autonomo con punteria diretta dai tubi di lancio, ed allo scopo il comandante Marotta manda al complesso lanciasiluri l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano, unico altro ufficiale di vascello presente a bordo (gli altri, per vari motivi, sono assenti). Alle 3.45 la Perseo lancia altri due siluri contro Nubian e Kelvin, dopo di che inverte la rotta e si disimpegna a 15 nodi, con rotta nord. Anche questa volta, i siluri mancano il bersaglio (anche se secondo Balzano l’equipaggio avrebbe avuto l’impressione, sul momento, di aver colpito un cacciatorpediniere a poppa con uno o più siluri, avendo sentito un’esplosione poco dopo il lancio, nella direzione in cui si trovano le navi nemiche; impressione riportata nelle sue memorie anche dal giornalista Libero Accini, all’epoca imbarcato sulla Perseo come corrispondente di guerra). Ormai non c’è più nulla da fare per la D’Annunzio, ridotta ad un relitto in fiamme che affonderà poco più tardi, alle quattro del mattino, nel punto 33°44’ N e 11°30’ E (una sessantina di miglia a sud di Lampedusa); seriamente danneggiata, alle 3.50 la Perseo è costretta a disimpegnarsi ed a cercare rifugio a Lampedusa. Per sottrarre la sua nave, malconcia e con parte dell’armamento fuori uso, a nuovi attacchi, Marotta vorrebbe aumentare la velocità, ma l’avverso stato del mare glielo impedisce.
Alle otto del mattino la malridotta Perseo entra nel porticciolo di Lampedusa, dove sbarca 15 feriti ed i corpi di tre uomini rimasti uccisi nel combattimento.
Alle 13, appurato che i seri danni subiti nello scontro mettono la Perseo non in condizione di tornare sul luogo del combattimento per soccorrere i naufraghi della D’Annunzio, ne viene ordinato il trasferimento a Trapani il prima possibile.
Dei trecento uomini a bordo della D’Annunzio, solo in dieci si salveranno (cinque dei quali raccolti da uno dei cacciatorpediniere britannici da un’imbarcazione subito dopo l’affondamento, e due approdati vicino a Zuara dopo aver trascorso dieci giorni su una zattera alla deriva).
Libero Accini, imbarcato sulla Perseo come corrispondente di guerra, ricorda così il combattimento del 16 gennaio nel suo libro “La rotta della morte”: “…il mare spazza la nave da prora a poppa. Lava la coperta, il bastimento balla e su, in plancia, per tenerti ritto, devi aggrapparti alle sovrastrutture. Marotta mi passa il binocolo. «Vuoi dare un’occhiata?» Guardo l’orizzonte limitato dalla bassa nuvolaglia. Creste biancastre si inseguono. «Tu, hai veduto qualche cosa?» Marotta non risponde. In plancia ci sono due o tre ufficiali di coperta, qualche nocchiere e le vedette che continuano a scrutare il mare. Comincia la sera e ognuno di noi sa che non conosceremo un istante di riposo. Il mare infuria, il vento urla. Spruzzi d’acqua ci investono fin sulle ali della plancia. Le vedette indossano lunghi pastrani, che le fanno sembrare monaci, fradici d’acqua. Il bastimento sobbalza continuamente. S’immerge al completo nell’acqua, ne riemerge. (…) Da ieri sera siamo in mare e la nostra aspirazione è un buon sonno in un ambiente riscaldato. (…) Improvvisamente un ufficiale mi passa il giornale. Cosa ne devo fare? Non è certo in plancia che posso leggerlo! Me lo caccio in tasca. Sigarette su sigarette, ogni tanto una sOrsata di cognac. Un ufficiale sta male. Vomita a un’ala di plancia. (…) L’uomo al timone serra fra le mani la ruota e con essa fa corpo unico. «Tieni la rotta…» L’uomo gira a dritta e a sinistra la ruota del timone. Marotta lo osserva. (…) Un uomo sta facendo miracoli di equilibrio, mentre sale in plancia. Ha il bricco del caffè, tazzine, bicchieri. Caffè per tutti. Il caffè è bollente. Le vedette alle ali lo devono come avessero la bocca e l’interno della gola corazzati d’amianto. In coperta non vedi un uomo. La diresti deserta. La gente è a ridosso, dietro qualche fittizio riparo. Si ha l’illusione di essere protetti e questo basta. Vale di più una buona illusione che una grama realtà. La barca va su e giù nel mare. A un certo momento si trova nell’avvallamento prodotto da due onde. La prora ne sfonda una, ne esce grondando acqua e continua la sua rotta. Il mio giaccone è bagnato. Chi non è bagnato? L’acqua salsa ti brucia gli occhi. Andare per mare con questo tempo è da matti. (…) Ho le ossa peste e vorrei dormire. C’è la cabina, è vero (…) ma sarei matto se mi addormentassi. Magari, mentre meno te lo aspetti, una mina alla deriva viene a urtare la barca e precipiti in un sonno senza risvegli. Se non è la mina può darsi sia un siluro. Vale la pena di sopportare la fatica della veglia (…) A far da pasto ai pesci, caso mai, ci andranno gli uomini di macchina. Per loro un qualsiasi incidente ci capiti è sempre un guaio (…) La visibilità è limitata. Siamo in piena notte e con il cielo basso. (…) Marotta sta correggendo la rotta, riporta la nave nella direzione che deve seguire. Improvvisamente in lontananza si profilano tre sagome di navi. (…) Sagome di navi britanniche! Anche gli inglesi sono matti. Non potevano starsene in porto? (…) Il claxon è risuonato in coperta, in tutti i locali (…). «Posto di combattimento!» Ogni uomo è al suo posto. Fermo, immobile come una statua di pietra, aspetta gli ordini. In plancia, l’uomo al timone segue le indicazioni del Comandante. (…) Un colpo di mare ci fa sbandare sulla dritta. La nave riprende dopo un po’ il suo normale equilibrio. (…) Le navi avvistate sono cacciatorpediniere. La Perseo è una torpediniera; ha incontrato i propri nemici naturali. È una situazione che assomiglia a quella del sorcio quando si trova davanti a un gatto, magari affamato. Abbiamo avvistato i britannici e i britannici, per non essere da meno di noi, hanno avvistato la nostra nave. Sulle navi inglesi vengono accesi i proiettori, fasci di luce spazzano il mare che indifferente continua a manifestare la sua collera. (…) Improvvisamente i tuoi pensieri sono spezzati, frantumati da una salva d’artiglieria che esplode sulla sinistra della Perseo. La proiezione delle schegge ferisce alcuni uomini in controplancia. La torpediniera manovra, continua a manovrare. «Tutta la barra a dritta…» Accanto al Comandante è l’ufficiale di rotta. La Perseo è illuminata a giorno dai proiettori delle navi britanniche. Che spreco di luce! Una nuova salva di artiglieria. La Perseo ha uno scossone. Ci hanno colpiti. È stato centrato l’impianto poppiero di artiglieria. Gente che fino a un momento fa pensava chissà a che cosa è stata d’un colpo ammazzata. Forse è morta senza neanche accorgersene. Diversi uomini sono feriti. Se ci fosse un po’ di calma di mare! L’incendio divampa a poppa. I proiettili di una cassa di munizioni deflagrano. Ora i britannici possono esercitarsi al tiro a segno su di noi. (…) «Attacchiamo…» ordina Marotta. «Attacchiamo…» ripetono gli uomini ai pezzi d’artiglieria, alle mitragliere, ai siluri. «Attacchiamo…» ripetono gli uomini di macchina. Gli uomini di macchina sono delle creature bendate che affrontano il nemico senza vederlo. La D’Annunzio combatte anch’essa con le poche armi di cui dispone. Combatte fino a quando le è possibile. Il mare infuria, il vento urla. Colpi di cannone delle unità britanniche. Le ondate spazzano la coperta. Per gli uomini di bordo è finita. È finita anche per i detenuti politici che la nave trasporta. Sono le 00.04. La burrasca continua. Altri colpi di cannone a bordo. La nave affonda. S’inabissa con il suo carico umano nel Mediterraneo senza pace. Un’accostata della Perseo. Il mare ci investe da ogni parte. Il vento urla più alto. Soltanto l’attacco può salvare la nostra nave, può salvarci. Quando un aggressore ti spinge in un angolo e ogni speranza è perduta, ti viene in mente che morire per morire tanto vale azzannarlo più che puoi. «Fuori…» I siluri fanno un sordo tonfo cadendo in acqua, hai l’impressione che non si muovano. Invece filano dritti al proprio destino. Navighiamo con il fuoco a poppa. Non potremo sfuggire ai caccia britannici. (…) La Perseo Saetta fra i marosi, fra i fasci di luce che l’investono da ogni parte. Non c’è che una speranza, l’ultima speranza. Attaccare fin quando una bordata britannica non ci manderà al diavolo. «Fuori…» Un’altra doppietta di siluri. Un colpo di mare ci investe, sale in plancia, spruzza d’acqua salsa gli uomini della controplancia. (…) La Perseo si sgancia a tutta forza. I feriti sono curati. Per gli uccisi non c’è niente da fare, non chiedono niente. Hanno gli occhi aperti, le pupille vitree. È la guerra. Oggi a te, domani a me. Il mare infuria sempre. In plancia si inverte la rotta. A poppa, l’incendio è stato domato. Hai perduto uomini con i quali, qualche ora fa, avevi parlato. Adesso devi navigare, seguire la nuova rotta. (…) Poi [dopo la sosta a Lampedusa] proseguiamo verso la base. La navigazione è aspra, difficile. Abbiamo il mare di prora e di fianco. (…) Entriamo in porto a Trapani (…) Siamo in quadrato, goccioliamo d’acqua. C’è anche Marotta. Adesso, se vuoi, puoi dare libero sfogo al tuo dolore. (…) Marotta parla degli uomini feriti e caduti. I caduti sono stati sepolti a Lampedusa. «Tutti i marinai», mi dice Marotta, «sono eroi». Più tardi è salito a bordo un sottufficiale. Portava una bolgetta con la posta dei morti, dei feriti e dei sopravvissuti. Ha ritirato anche la posta in partenza. Anche quella che la gente uccisa aveva scritto prima di andare per mare. Le lettere in arrivo sono giunte a destinazione. Alcuni uomini che le dovevano ricevere hanno abbandonato la nave, altri che ne avevano scritte «se ne sono andati – dice il cappellano – in grembo a Dio». La vita continua. La gente è scesa in franchigia (…)”.
Il bollettino di guerra del 16 gennaio (numero 966), nel dare notizia dello scontro, attribuirà alla Perseo un successo inesistente, tacendo al contempo la perdita della D’Annunzio: «Nella notte sul 16 la torpediniera Perseo, al comando del tenente di vascello Saverio Marotta, mentre navigava in servizio di protezione del traffico, è stata attaccata da tre grossi cacciatorpediniere nemici. Li ha audacemente affrontati silurandone uno e sebbene colpita e con incendio a bordo, è riuscita a rientrare alla base».
Il numero delle vittime in questo scontro, tra l’equipaggio della Perseo, è però riportato diversamente da varie fonti. Come accennato più sopra, secondo il volume dell’U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", tra il personale imbarcato sulla torpediniera vi sarebbero stati tre morti e quindici feriti; secondo il ricordo del sottotenente di vascello Balzano, citato dal sito Trentoincina (che a sua volta fa riferimento ad un altro libro dell’U.S.M.M., "La battaglia dei convogli", del 1994), i morti sbarcati all’arrivo a Lampedusa sarebbero stati addirittura una ventina.
L’Albo d’Oro dei Caduti e Dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale elenca però i nomi di cinque marinai della Perseo deceduti o dispersi il 16 gennaio 1943: il capo meccanico di terza classe Eugenio Codebo, 34 anni, da La Spezia, disperso; il sottocapo cannoniere Giovanni De Franceschi, 24 anni, da Pianiga, disperso; il marinaio cannoniere Luigi De Rosa, 22 anni, da Torre Annunziata, deceduto; il sottocapo cannoniere Carmelo Raniolo, 20 anni, da Ragusa, deceduto; il marinaio Vincenzo Riccardi, 20 anni, da Villa Literno, deceduto. Un sesto marinaio, il cannoniere Gino Motta di 19 anni, da Donada, risulterebbe deceduto il 22 gennaio, verosimilmente per ferite. Alla memoria di De Rosa, Raniolo, Motta e Riccardi fu conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con motivazione «Imbarcato su torpediniera, in missione di scorta, attaccata nottetempo da preponderanti forze navali nemiche, sosteneva con tenacia e valore, sotto il concentrato fuoco nemico e in avverse condizioni di mare, l’impari combattimento. Colpita l’unità, che audacemente si portava al contrattacco, cadeva da prode sull’arma che aveva fedelmente servito fino alla dedizione suprema». Le vittime sarebbero pertanto state sei, e non tre.
Tra i feriti, il marinaio Domenico La Forgia, nato a Manfredonia il 4 gennaio 1923, il marinaio Francesco Gatto, nato a Sant’Agata Militello l’11 aprile 1918, ed il sottocapo cannoniere puntatore scelto Giuseppe Nicosia, nato a Caltanissetta il 15 settembre 1917, furono anch’essi decorati di Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione «Imbarcato su torpediniera, in missione di scorta, durante un attacco notturno di soverchianti forze navali nemiche, contribuiva tenacemente, sotto il fuoco concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare, all’impari combattimento. Colpita l’unità durante audaci contrattacchi e con incendio a bordo, proseguiva nell’assolvimento dei suoi compiti con ardente spirito combattivo finché, ferito da scheggia, si abbatteva sul pezzo che aveva fedelmente servito fino al limite delle sue possibilità», così come il sergente cannoniere Pietro Angelini, nato a Putignano il 2 aprile 1917 («Imbarcato su torpediniera, in missione di scorta, attaccata nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, sosteneva tenacemente, sotto il fuoco concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare, l’impari combattimento. Colpita l’unità durante audaci contrattacchi e con un incendio a bordo, rimaneva, benché ferito, al suo pezzo che continuava fedelmente a servire con immutato ardore combattivo e spirito di sacrificio»).
Il direttore di macchina Giuseppe Musmeci venne anch’esso insignito di M.B.V.M., con motivazione «Direttore di macchina di torpediniera in servizio di scorta, attaccata, nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, coadiuvava il comandante con perizia e ardimento prestando efcacemente la sua opera sotto il fuoco concentrato del nemico ed in avverse condizioni di mare. Durante gli audaci contrattacchi condotti dall’unità fino all’esaurimento di ogni efcace mezzo di offesa, si adoperava instancabilmente ove più era necessaria la sua opera, e si prodigava nello spegnimento di un incendio presso una riservetta di munizioni colpita. Nella fase di disimpegno assicurava la piena efcienza dell’apparato motore, concorrendo validamente a sottrarre l’unità minorata ad ulteriori offese»; l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano ricevette anch’esso tale decorazione, con motivazione «Ufficiale di rotta su torpediniera, in servizio di scorta, attaccata nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, coadiuvava validamente sotto il fuoco concentrato del nemico e in avverse condizioni di mare, il comandante nella condotta della nave e nella sua tenace reazione. Colpita l’unità e con incendio a bordo, durante audaci contrattacchi condotti fino all’esaurimento di ogni efficace mezzo di oesa, si adoperava instancabilmente, in assenza dell’ufficiale in 2a, ove più era necessaria la sua opera. Dopo aver diretto il lancio autonomo dei siluri, riprendeva il suo servizio alla rotta, concorrendo validamente, nelle precarie condizioni di tempo e di visibilità, a sottrarre l’unità ad ulteriori offese ed a ricondurla alla base». Il sottordine di macchina Vinicio Gerin fu decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione «Sottordine di macchina di torpediniera, in servizio di scorta, attaccata nottetempo da soverchianti forze navali nemiche, coadiuvava con slancio e serenità il proprio Capo Servizio nell’assicurare la piena efficienza dell’apparato motore, durante gli audaci contrattacchi condotti dall’unità. Si prodigava successivamente nello spegnimento di un incendio presso una riservetta di munizioni e concorreva a sottrarre l’unità minorata ad ulteriori offese»; il sergente torpediniere Antonio Pinna (23 anni, da Iglesias), che durante il combattimento aveva sostituito alcuni serventi feriti ad un cannone, venne anch’egli decorato con la C.G.V.M. («Imbarcato su torpediniera, in servizio di scorta, che attaccata nottetempo da soverchianti forze nemiche contrattaccava audacemente, sostituiva ad un pezzo, con pronta iniziativa e abilità, alcuni serventi feriti e concorreva validamente a sottrarre l'unità, colpita e con incendio a bordo, da ulteriori offese»).
23 gennaio 1943
La Perseo parte da Messina per scortare a Taranto la motonave Viminale, che, dopo essere stata danneggiata a Palermo da un attacco di "chariots" britannici (mezzi d’assalto simili ai siluri a lenta corsa italiani, dai quali sono infatti derivati), viene trasferita a Taranto per le riparazioni a rimorchio dei rimorchiatori Luni, Costante e Salvatore.
Alle sette del mattino il sommergibile britannico P 37 (tenente di vascello Edward Talbot Stanley) avvista la Viminale in arrivo dallo stretto di Messina, ed alle 7.15 la identifica come una grossa nave mercantile trainata da due rimorchiatori e scortata da una torpediniera classe Spica (la Perseo), diverse unità minori ed un idrovolante. Iniziata una manovra d’attacco, alle 8.20 il P 37 lancia tre siluri contro la Viminale, da 1830 metri di distanza, in posizione 37°52’ N e 15°45’ E (a sudest di Capo dell’Armi). Vanno tutti a segno: uno colpisce il Luni, che esplode e affonda con la morte di 30 uomini dell’equipaggio, e due centrano la Viminale, che non affonda ma dev’essere portata ad incagliare vicino a Porto Salvo, con parecchie vittime tra l’equipaggio.
La Perseo va al contrattacco ed individua il P 37 con l’ecogoniometro, lanciando cinque minuti più tardi un “pacchetto” di bombe di profondità con notevole precisione, arrecando gravi danni al sommergibile britannico. Questi cerca di avvicinarsi alla costa, dove echi di altra origine dovrebbero contribuire a confondere gli ecogoniometristi della Perseo; alla caccia partecipano anche un cacciasommergibili ausiliario, il Quarnaro, e quattro vedette antisommergibili VAS. Il P 37 subisce ancora altri due attacchi piuttosto accurati con bombe di profondità, dopo di che riesce a sottrarsi alla caccia ed allontanarsi verso sudovest; in tutto ha contato 56 esplosioni di bombe di profondità. A mezzogiorno il sommergibile torna a quota periscopica, non avvistando più nulla ma sentendo ancora le trasmissioni delle navi; alle 18.30 emerge e, siccome la caccia ha provocato la rottura di diverse celle della batteria e la sconnessione di tale sezione, interrompe la missione e dirige per rientrare a Malta per le riparazioni.
1943 ca.
Nuove modifiche all’armamento: viene eliminata l’ultima mitragliera binata da 13,2/76 mm, e vengono installate quattro moderne mitragliere singole Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm.


La Perseo a Taranto nel marzo 1943 (da www.icsm.it)

17 marzo 1943
La Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta) salpa da Messina alle 22 insieme ai cacciatorpediniere Lampo (capitano di corvetta Loris Albanese) e Lubiana (capitano di fregata Luigi Caneschi, caposcorta) ed alle torpediniere Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone), Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini) e Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta), per scortare a Biserta le moderne motonavi Marco Foscarini e Nicolò Tommaseo. Le due motonavi, scortate inizialmente da Lubiana, Antares, Tifone e dal cacciasommergibili VAS 221 (che si ferma a Messina), sono partite da Taranto la notte precedente; il convoglio è giunto a Messina alle 19, vi ha sostato per tre ore e poi è proseguito con il rinforzo di Perseo, Lampo e Cassiopea.
18 marzo 1943
Alle 14 Lubiana e Tifone lasciano la scorta del convoglio, dirigendo per Napoli, dove devono assumere la scorta di altri convogli in partenza per la Tunisia. Anche la Perseo lascia il convoglio, sebbene l’orario non sia specificato.
21 marzo 1943
La Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta) parte da Napoli alle 5.30 per scortare a Biserta, insieme alle torpediniere Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli, caposcorta) e Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini, aggregatasi dopo la partenza), le motonavi Monti ed Ombrina, cariche di carburante e di munizioni. Ci sono anche due squadriglie di MAS italiani ed una di motosiluranti tedesche per fornire protezione antisommergibile a distanza. I due mercantili procedono in linea di fila, con Perseo e Libra rispettivamente a dritta ed a sinistra; arrivata la Tifone, la Perseo le cede il proprio posto in formazione per portarsi in testa al convoglio. Poco dopo appare un ricognitore nemico, che si tiene fuori portata del tiro delle navi ma viene messo in fuga dall’intervento dei caccia tedeschi di scorta; si verificano anche alcuni allarmi per sommergibili, ma la Perseo ordina alla Tifone di proseguire, delle corvette saranno inviate a dar loro la caccia.
22 marzo 1943
Poco dopo mezzogiorno viene avvistata a prora dritta una formazione di bombardieri Consolidated B-24 “Liberator” che volano ad alta quota, ma gli aerei, avendo evidentemente un altro obiettivo, passano lontani dal convoglio senza attaccare. Alle 13.45, già sulle rotte di sicurezza per Biserta (vicino all’isola Plane), l’Ombrina viene investita dallo scoppio di una mina magnetica, riportando gravi danni alla poppa; l’equipaggio civile, da poco imbarcato e ancora non affiatato, abbandona la nave, mentre quello militare, al comando del tenente di vascello Enrico Rossinelli, rimane a bordo.
La Perseo dà protezione ed assistenza alla nave danneggiata ed immobilizzata, mentre la Monti viene fatta proseguire con la scorta di Libra e Tifone, sorvolate dai dodici caccia tedeschi Messerschmitt Bf 109 della scorta aerea, che incrociano nel cielo sopra al convoglio da un orizzonte all’altro, allontanandosi anche parecchio dalle navi prima di tornare indietro. Intorno alle 14, mentre la parte più avanzata del convoglio si trova al largo dell’isola di Plane ed i caccia tedeschi si trovano lontani, dalla parte opposta delle navi, sopraggiungono due formazioni di bombardieri “Liberator” (in tutto una decina di aerei) scortati da parecchi caccia Lockheed P-38 “Lightning”.
Mentre questi ultimi, dopo aver mitragliato le navi, vanno incontro ai Messerschmitt per impegnarli (da parte loro i caccia tedeschi avvistano solo i “Lightning”, senza invece accorgersi dei bombardieri), i bombardieri si dividono per attaccare entrambi i gruppi di navi: MontiLibra e Tifone da una parte; Ombrina (che è ancora immobilizzata) e Perseo dall’altra. Mentre l’Ombrina, pur essendo ferma, viene mancata, quasi subito la Monti viene colpita da un grappolo di bombe: a bordo scoppia un incendio che si estende rapidamente, poi – alle 15.15, a 18 miglia da Biserta – la nave esplode investendo le torpediniere con una folata di aria arroventata e lanciando rottami nel cielo per un centinaio di metri in altezza. Le torpediniere ritengono di aver abbattuto due dei bombardieri (in totale saranno tre gli aerei persi dagli attaccanti). I caccia tedeschi e alleati, ancora in combattimento, spariscono verso ovest (nello scontro i Messerschmitt abbattono un “Lightning” e subiscono a loro volta la perdita di un Me 109): sono le 15.30 e l’attacco è terminato. La Libra viene lasciata sul posto a soccorrere i naufraghi (ne recupererà 102, mentre le vittime saranno 41), mentre la Tifone si riunisce alla Perseo nella scorta alla danneggiata Ombrina, che nel frattempo è riuscita a rimettere in moto alle 14.25. Perseo e Tifone, per tenere il passo con la malconcia motonave, devono procedere alla minima velocità.
Alle 17 le tre unità entrano infine in porto a Biserta.
24 marzo 1943
PerseoLibra (caposcorta) e Tifone ripartono da Biserta all’una di notte scortando la motonave Niccolò Tommaseo ed il piroscafo Saluzzo, carichi di prigionieri di guerra e diretti a Livorno.
Alle 9,25, nel punto 37°52’ N e 11°27’ E (30 miglia ad ovest-sud-ovest di Marettimo; per altra fonte, 40 miglia a ponente di quell’isola), il sommergibile britannico Unseen (tenente di vascello Michael Lindsay Coulton Crawford) avvista il convoglio scortato dalla Perseo, provvisto anche di scorta aerea, mentre naviga a 12-12,5 nodi su rotta 050°. Alle 10.11 l’Unseen lancia quattro siluri contro il Saluzzo (da 4570 metri di distanza), che alle 10.15 ne avvista due e li evita di stretta misura con un’accostata che per poco non lo fa finire in collisione con la TommaseoLibra e Perseo contrattaccano, individuando il sommergibile e ritenendo a torto di averlo danneggiato (lanciano soltanto quattro bombe di profondità, delle quali due esplodono vicine all’Unseen, ma senza causare danni), mentre la Tifone gira intorno ai mercantili tenendosi pronta ad intervenire.
Giunto nel Golfo di Napoli durante un bombardamento, il convoglio viene fatto sostare a ridosso di Capri fino alla notte, gettando di tanto in tanto qualche bomba di profondità intimidatoria (la zona è infatti infestata dai sommergibili). Infine il convoglio rimette in moto e prosegue verso Napoli, tranne la Tifone, che alle 21.40 riceve ordine di effettuare un rastrello antisommergibile al largo di Gaeta.
25 marzo 1943
Perseo, Libra, Saluzzo e Tommaseo arrivano a Livorno alle 13.40.
5 aprile 1943
Alle 3.20 la Perseo (al comando del capitano di corvetta Saverio Marotta e con a bordo anche il comandante superiore in mare, capitano di fregata Ernesto Pellegrini) parte da Napoli per Biserta insieme alle torpediniere Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), Pallade (capitano di corvetta Antonio Giungi) e Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), di scorta ad un convoglio formato dai piroscafi italiani Caserta e Rovereto e dai tedeschi Carbet e San Diego.
Alle 16.15 si uniscono alla scorta anche il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone) e la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), usciti da Messina.
Subito dopo la partenza, il Caserta subisce un’avaria al timone, non riparabile in mare, che lo costringe a tornare in porto.
6 aprile 1943
Alle 2.30 il Carbet, scortato dal Riboty, si separa dal convoglio e fa rotta per Trapani, dove giunge alle 9.30 di quel giorno. Le rimanenti sette navi proseguono verso Biserta.
Già il 5 aprile “ULTRA” ha scoperto, tramite le sue decrittazioni, che RoveretoSan Diego e Caserta dovrebbero giungere a Biserta (i primi due) e Tunisi (il terzo) in breve tempo; questa informazione, di per sé insufficiente a pianificare un attacco, viene però arricchita l’indomani da nuove decrittazioni: i britannici vengono così a sapere che RoveretoSan Diego e Caserta sono partiti dal Golfo di Napoli intorno alle tre di notte del 5 aprile, a dieci nodi di velocità, e che all’1.30 del 6, 15 miglia a nordovest di Trapani, il Caserta si dovrebbe separare da loro per raggiungere tale porto, mentre gli altri due piroscafi dovrebbero raggiungere Biserta alle 15.30 dello stesso giorno.
La maggior parte del viaggio trascorre senza intoppi; quando le navi giungono in vista dell’isola di Zembra, viene avvistata l’anziana torpediniera Enrico Cosenz (tenente di vascello Alessandro Senzi), salpata da Biserta e mandata incontro al convoglio per pilotarlo sulla rotta di sicurezza di Zembra, che il convoglio ha appena imboccato. Poco dopo l’accostata sulla rotta di sicurezza, alle 9.25, sopraggiungono 18 bombardieri angloamericani, che vengono ingaggiati dai caccia della Luftwaffe che costituiscono la scorta aerea del convoglio. Nel combattimento tra gli aerei, uno dei velivoli tedeschi viene abbattuto; le navi del convoglio escono però indenni dalla pioggia di bombe sganciate dagli aerei avversari. Alle 9.54 la Cosenz raggiunge il convoglio.
Alle 11.10 l’attacco viene replicato, da parte di altri 18 bombardieri; la Perseo richiama ripetutamente sul posto i caccia tedeschi, ma questi non possono intervenire, perché a loro volta impegnati contro altri aerei nemici tra Tunisi e Biserta. Anche questo bombardamento viene tuttavia superato senza danni.
Alle 17.17, al largo di Capo Zebib, ha inizio il terzo attacco aereo: il convoglio ha appena accostato in direzione di Biserta – l’ultima accostata da compiere durante la navigazione – quando vengono avvistati 22 quadrimotori che volano in formazione a 3000 metri di quota, con rotta perpendicolare a quella del convoglio. Si tratta di bombardieri statunitensi Boeing B 17, le famose “fortezze volanti”. I sei caccia che formano in quel momento la scorta aerea tentano di intercettare gli aerei Alleati, ma invano.
La prima ondata di bombardieri non fa danni, ma la seconda colpisce sia il Rovereto che il San Diego: mentre quest’ultimo viene colpito a prua, con conseguente incendio a bordo, il Rovereto viene centrato in pieno dalle bombe e, avendo a bordo anche un notevole quantitativo di munizioni, salta in aria otto miglia ad est di Biserta.
La Clio e la Cosenz recuperano i pochi naufraghi del Rovereto (le vittime sono oltre cento), mentre il caposcorta Pellegrini manda l’Orione a Biserta per chiedere mezzi di salvataggio (vi arriverà alle 18.20 e da quel porto usciranno i rimorchiatori Tebessa e Gabes, rispettivamente tedesco e francese, per tentare un rimorchio del San Diego), ed al contempo PerseoPallade e Libra si avvicinano al San Diego per prestare assistenza. Pellegrini vuole valutare la possibilità di prenderlo a rimorchio da poppa, ma il progetto deve essere ben presto abbandonato in quanto l’incendio sviluppatosi nella stiva colpita, piena di benzina, si estende subito alle munizioni caricate a proravia della plancia, che iniziano a deflagrare. I 125 tra marinai e soldati imbarcati sul San Diego si gettano in mare; alle 19.15, dopo averli tratti in salvo, Perseo, Pallade e Libra si allontanano dal piroscafo tedesco, che può esplodere da un momento all’altro. Questo avviene alle 19.27.
Le torpediniere, con a bordo i naufraghi dei piroscafi affondati, raggiungono Biserta tra le 20.10 e le 21.35; i naufraghi vengono sbarcati e portati nei bunker di La Cariere, dove ricevono le prime cure.
15 aprile 1943
Alle sei del mattino la Perseo e la Libra raggiungono la motonave Marco Foscarini, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere Cigno, Cassiopea, Groppo e Sagittario (caposcorta, capitano di fregata Marco Notarbartolo), e sostituiscono Cigno e Cassiopea, che devono rientrare a Trapani.
Il convoglio arriva a Biserta alle 11.08.
16 aprile 1943
La Perseo e le torpediniere Groppo e Sagittario (caposcorta) salpano da Biserta alle 21.30 (o 22) dirette a Napoli, scortando la motonave Monginevro e la nave cisterna Tarn.
17 aprile 1943
Poco dopo la mezzanotte, ricognitori britannici iniziano a sorvolare il convoglio, che si trova ancora sulle rotte di sicurezza. Alle 2.08,  poche miglia a nord di Zembretta, la Sagittario avvista una sagoma scura a proravia, e tutte e tre le torpediniere aprono subito il fuoco contro di essa; poco dopo ne compaiono altre due e si comprende che sono motosiluranti: prese sotto tiro, le unità avversarie si ritirano coprendosi con cortine fumogene, ma intanto hanno già lanciato i siluri, uno dei quali colpisce la Monginevro a poppa alle 2.10. La Perseo tenta di rimorchiare la motonave, rimasta immobilizzata, ma dopo un’ora di traino deve mollare il rimorchio perché la motonave sta per colare a picco: ed infatti alle 3.40 essa affonda, a 9,5 miglia per 13° da Zembretta. Non ci sono perdite tra l’equipaggio.
Il resto del convoglio, che è proseguito per la sua rotta, subisce alle 2.29 un attacco da parte di quattro aerosiluranti: i siluri lanciati passano nello spazio che è rimasto tra le tre navi, due tra Sagittario e Tarn e due tra Tarn e Groppo. Alle 2.43 una salva di bombe manca di poco la Tarn, cadendole a prora dritta.
18 aprile 1943
Il convoglio giunge a Napoli alle 6.45 (o 7.15).

La Perseo (foto Giorgio Soldati, Coll. Roberto Soldati, via www.icsm.it)

"Gli ultimi tizzoni"

Nella primavera del 1943 la campagna di Tunisia, e con essa l’intera campagna nordafricana, volgeva al termine. I resti delle armate italo-tedesche in Africa, martellati dal cielo, sempre più a corto di carburante e munizioni, attaccati ad est dai britannici e ad ovest dagli statunitensi con una superiorità preponderante di uomini e di mezzi, gradualmente perdevano sempre più terreno, arretrando in un perimetro sempre più ristretto, verso Tunisi, Biserta e la penisola di Capo Bon. Sul mare, le forze aeronavali angloamericane intensificavano gli sforzi per dare il colpo di grazia alle ultime forze dell’Asse, colpendo le linee di rifornimento con violenza crescente: ogni giorno aumentavano gli attacchi di aerei, sommergibili, navi da guerra; ogni giorno crescevano le perdite, la "rotta della morte" mostrava sempre più di meritare il suo nome. Il 1° maggio 1943 Supermarina scriveva al Comando Supremo: «Il ferreo blocco dei rifornimenti per la Tunisia, posto in essere negli ultimi giorni dal nemico, con grande spiegamento di imponenti mezzi aereo-navali, va interpretato come conseguenza della valorosa e accanita resistenza delle nostre truppe sul fronte tunisino. Non avendo potuto infrangerla per urto diretto con la sperata facilità e rapidità, il nemico tende ora a venirne a capo mediante il completo taglio dei rifornimenti». Nella stessa nota si ipotizzava già che, caduta la Tunisia, sarebbe stato prevedibile a breve uno sbarco contro una delle isole maggiori italiane.
Nel mese di aprile 1943 erano andate perdute sulla rotta per la Tunisia ben 23 navi mercantili, insieme a cinque siluranti ed altre dieci unità militari; altre 17 navi mercantili, 14 militari e 30 motovelieri erano state affondate nei porti dai bombardamenti, ogni giorno più violenti. In mare od in porto, in quell’infernale mese si erano perdute più di tre navi al giorno, mercantili o militari, grandi o piccole. Parte dei rifornimenti riusciva ancora a passare (nell’aprile 1943 giunse in Tunisia il 58,77 % delle 48.703 tonnellate di rifornimenti partiti), ma la "rotta della morte" inghiottiva un numero ormai insopportabile di navi e di vite.
Anche il numero delle torpediniere di scorta su quella rotta – le “ultime del Canale”, come le chiama l’allora sottocapo Alberto Ferrari che su una di esse era imbarcato – andava sempre più diminuendo: negli ultimi mesi si erano perdute l’Ardente, affondata per collisione il 12 gennaio; la Prestinari, saltata su mine il 31 gennaio; l’Uragano, affondata per mina il 3 febbraio; la Monsone, affondata da bombardamento il 1° marzo; la Ciclone, affondata da mine l’8 marzo; la Cigno, affondata in combattimento contro cacciatorpediniere britannici il 16 aprile; la Climene, silurata da sommergibile il 28 aprile. Altre erano fuori uso per i gravi danni riportati in azione, come la Cassiopea o l’Aretusa, altre ancora erano logorate dall’incessante attività di scorta convogli, che non conosceva soste e costringeva a rimandare continuamente riposo e manutenzione, fino al collasso. Moderne torpediniere di scorta fresche di cantiere, “Spica” ormai veterane, e persino decrepite “tre pipe” navigavano insieme, combattevano insieme, affondavano insieme, in una lotta ormai senza speranza. Sulle loro spalle pesava ormai tutta l’incombenza delle scorte ai convogli: i sempre più sparuti cacciatorpediniere superstiti, infatti, erano ormai usati quasi esclusivamente in missioni veloci di trasporto truppe tra la Sicilia e la Tunisia.
Già l’11 marzo Supermarina, facendo il punto della situazione, aveva tracciato un quadro a tinte alquanto fosche: «Avevamo all’inizio della guerra 95 tra vecchi cacciatorpediniere, torpediniere e avvisi adatti al servizio di scorta. Ne abbiamo perduti 45, ne sono poi entrati in servizio 24 e, pertanto, ne abbiamo oggi 74 (…) Oggi 11 marzo di queste 74 unità sono in moto o pronte a muovere soltanto 32; 42 sono in riparazione o in attesa di riparazione. Delle 32 pronte 15 sono in servizio per l’Africa. Le altre sono destinate ad altri scacchieri (…) Il contrasto contro il nostro traffico marittimo – fatto con tutti i mezzi che la tecnica mette oggi a disposizione: aerei bombardieri e aerei siluranti scortati da forte caccia, appoggiati a un vastissimo servizio di ricognizione diurna e notturna; sommergibili disseminati su tutte le nostre lunghissime coste da Tolone a Rodi; mine posate nel Canale di Sicilia da posamine di superficie, da sommergibili, da motosiluranti, da aerei; navi di superficie veloci, pronte a muovere da Malta e da Bona – costituisce un problema estremamente arduo, che non si risolve solamente scegliendo questa o quella rotta, questa o quell’ora di partenza, facendo i convogli più o meno numerosi, adottando questa o quella formazione…».
In queste condizioni, ci si può chiedere che senso ancora potesse avere inviare ancora navi e uomini incontro a più che probabile distruzione, per rifornire un’armata oltremare che ormai aveva in ogni caso i giorni contati. I giornalisti Vero Roberti – che la guerra sul mare la visse in prima persona, da corrispondente di guerra imbarcato su innumerevoli unità – e Gianni Rocca non sbagliano, quando definiscono questo periodo terminale della guerra dei convogli, con le tante perdite che esso comportò, «un inutile sacrificio».

È in questo cupo contesto che il 29 aprile 1943 la Perseo, al comando del capitano di corvetta Saverio Marotta, salpò da Pozzuoli per scortare a Tunisi il piroscafo Campobasso, partito da Napoli con un carico di carburante, munizioni, bombe d’aereo, veicoli, artiglieria, 58 soldati italiani e tedeschi – mandati ormai senza dubbio alla morte o alla prigionia – oltre ai 45 uomini dell’equipaggio. Erano gli «ultimi tizzoni da gettare nella fornace», come scrisse Alberto Ferrari, sottocapo allora imbarcato sulla torpediniera Tifone. Lo stesso Campobasso era un simbolo dello stato della Marina Mercantile italiana dopo tre anni di guerra di logoramento: una nave ex francese, italiana appena da pochi mesi, come decine di altri piroscafi che solcavano la "rotta della morte". Il fior fiore della flotta mercantile, le grandi, moderne, veloci motonavi di nuova costruzione, era ormai scomparso da tempo, ed ora a trasportare i vitali rifornimenti verso Tunisi e Biserta erano perlopiù vecchi, lenti piroscafi tratti dai teatri più periferici e meno insidiati – le rotte per la Grecia e l’Albania, l’Egeo, le rotte di cabotaggio attorno all’Italia – dove fino ad allora avevano navigato: navi claudicanti, facili bersagli, ma ormai altro non c’era. Alla fine del 1942, con l’occupazione della Francia di Vichy, la Marina Mercantile italiana aveva ricevuto un’ottantina di “nuovi” bastimenti di provenienza francese, confiscati nei porti della Francia mediterranea: sostituito il tricolore francese con quello italiano, con nomi ed equipaggi italiani, molti di essi erano finiti sulle rotte della Tunisia. Non pochi non erano giunti neanche a vedere la fine del loro primo viaggio, anche se non era questo il caso del Campobasso; questi aveva già completato un viaggio di andata e ritorno, e si accingeva con la Perseo a tentare la sorte una seconda volta.
Anche la Perseo aveva a bordo del personale di passaggio diretto in Tunisia: 50 marinai di leva assegnati al Comando Marina di Tunisi, che furono alloggiati nel castello di prua. Quale senso potesse avere l’invio di 50 marinai presso un Comando Marina che di lì a qualche giorno sarebbe cessato di esistere, non è dato sapere.
La Perseo, trasferitasi in tutta fretta da Napoli a Pozzuoli – tanto da lasciare a terra alcuni marinai scesi in franchigia – e fatta poco dopo ripartire da quest’ultimo porto, raggiunse il Campobasso fuori dal Golfo di Napoli e ne assunse la scorta, come previsto; le due navi diressero verso sud.

Dicono alcuni che le navi abbiano un’anima: e quella della Perseo sembrava non voler andare di nuovo in Tunisia, rifare ancora quella rotta che pure aveva già percorso tante volte, portando fino a quel momento a casa la pelle nonostante i mille pericoli, i continui attacchi che avevano decretato la fine di tante altre navi. Sentiva, chissà, che questa volta le cose sarebbero andate diversamente, che il Canale di Sicilia sarebbe divenuto la sua tomba, e cercò di sottrarsi a questa sorte: ebbe un’avaria, dovette interrompere la navigazione e sostare a Pantelleria per le riparazioni, insieme al Campobasso. (Un’altra fonte parla di una sosta a Lampedusa, ma sembra poco probabile).
Qui le due navi attesero in rada per tre giorni “le giuste condizioni” per partire, mentre si rincorrevano ordini e contrordini trasmessi alla Perseo dal locale semaforo: come evidenziava la lettera di Supermarina del 1° maggio, però, le giuste condizioni non c’erano proprio, anzi la situazione peggiorava di giorno in giorno. Partire, ormai, era quasi un suicidio; per giunta, secondo il ricordo del guardiamarina Giorgio Soldati, durante la sosta a Pantelleria Perseo e Campobasso furono anche avvistati da ricognitori nemici (secondo un documento tedesco, venne in seguito riferito che le due navi erano state avvistate da ricognitori nella notte del 2 maggio).
Ma la “fornace africana” reclamava a gran voce i suoi “ultimi tizzoni”: alle due del pomeriggio del 3 maggio 1943 giunse infine l’ordine di partenza per Tunisi.
Come spesso avveniva l’ordine d’operazioni, trasmesso da Supermarina per radio, scendeva fino nei dettagli, lasciando ben poca libertà decisionale al comandante in mare: rotte da tenere, orari, variazioni da apportare alla rotta, persino le diverse velocità da tenere in ogni fase della navigazione. Ciò era legato anche al fatto che la navigazione si dovesse snodare in gran parte attraverso un vero e proprio labirinto di campi minati, che avrebbe obbligato le due navi a compiere un percorso decisamente arzigogolato per arrivare a destinazione.
Come ordinato da Supermarina, furono inviati alla stazione radio a terra il guardiamarina Gerolamo Todisco ed un radiotelegrafista, per dare il ricevuto. L’atmosfera sulla Perseo era lugubre: in sala nautica il guardiamarina Giorgio Soldati, il sottotenente di vascello Romualdo Balzano ed il comandante in seconda si radunarono a discutere la situazione con non poca apprensione. L’esistenza della Forza K britannica, di base a Malta e dotata di radar, era loro nota (era con quelle stesse navi, d’altra parte, che la Perseo si era scontrata pochi mesi prima, quando era stata affondata la D’Annunzio), e temevano che il messaggio radio con l’ordine d’operazioni, appena ricevuto e contenente ogni dettaglio sul loro viaggio, potesse essere stato intercettato. Sopraggiunse il comandante Marotta, visibilmente nervoso; anche lui condivideva le preoccupazioni dei suoi ufficiali, ma li esortò a non parlarne all’equipaggio, per non demoralizzarlo. D’altra parte, la voce a bordo si era sparsa: diversi uomini, tra cui il sottocapo cannoniere Adolfo Zolezzi, il secondo capo torpediniere Antonio Pinna ed il marinaio cannoniere Carlo Fiore, si recarono poi a chiederne conferma al guardiamarina Soldati, e non parvero molto convinti dalle sue rassicurazioni.
Alle 16 la Perseo entrò nel porticciolo di Pantelleria e si rifornì d’acqua; alle 18 venne distribuito l’anice – bevanda molto utile per la sopravvivenza in mare in caso di affondamento – da riporre nei contenitori in dotazione ai salvagente (fu raccomandato di aggiungere acqua per allungarlo).
Alle 19.15 del 3 maggio Perseo e Campobasso lasciarono l’ancoraggio di Pantelleria, facendo rotta per Tunisi alla velocità di otto nodi. Verso il loro destino.
Era questo in assoluto il terzultimo convoglio a partire per la Tunisia: quello stesso giorno partirono da Trapani per Tunisi la motonave Belluno e la torpediniera Tifone; l’indomani sarebbe partito da Napoli il piroscafo tedesco San Antonio, scortato dalle torpediniere Groppo e Calliope; il 7 maggio sarebbero partiti da Trapani i trasporti militari tedeschi KT 5, KT 9 e KT 21. Solo il convoglio Belluno-Tifone sarebbe giunto a destinazione: e le queste navi non avrebbero mai più lasciato la Tunisia. Così commentava l’allora sottocapo Alberto Ferrari, imbarcato sulla Tifone: «Il “carnet” di maggio segnava l’ultima ballata per la Tunisia: (…) Quattro torpediniere, tre piroscafi. Ultimo sospiro di una agonia durata cento giorni. Sarebbe arrivato solo il Belluno con il Tifone. Dopo di noi l’VIII Armata britannica si sarebbe congiunta con quella yankee. Punto d’incontro: le nostre spoglie. Il nove maggio 1936 nasceva l’Impero, e il nove maggio 1943 l’Impero moriva».

La Perseo navigava in testa alla “formazione”, in posizione di scorta prodiera; il Campobasso la seguiva, percorrendo le rotte indicate nell’ordine d’operazione. Alle 19.30 l’ecogoniometro della torpediniera segnalò degli echi sospetti sulla dritta, per cui il piccolo convoglio compì una leggera accostata sulla sinistra. Alle 21.20 il comandante Marotta ordinò il posto di combattimento; vennero avvistate delle ombre sospette verso dritta, ma l’allarme cessò dopo venti minuti, e le navi proseguirono normalmente nella navigazione, senza zigzagare a causa dei campi minati. Venne mantenuto il silenzio radio sulla radio ad onde ultracorte; per comunicare con il Campobasso, in caso di necessità, venne preparato il fanale a trappola azzurro.
Alle 23.20 fu battuto nuovamente il posto di combattimento, in seguito all’avvistamento di luci e sagome sospette a proravia dritta (a ore 2); cinque minuti più tardi fu dato il cessato allarme, ma subito dopo l’apparato "Metox" della Perseo – uno strumento di costruzione tedesca che rilevava le emissioni dei radar – segnalò che la nave era stata individuata da un aereo nemico. Venne dunque comunicato a Supermarina "Sono stato radio localizzato" (per altra fonte, fu Supermarina ad informare il convoglio dell’avvenuta localizzazione, ma sembra probabile un errore); l’alto comando diede il ricevuto, ma non impartì ordini. Alle 23.33 venne comunicato per ultracorte al Campobasso "Aumentate al massimo la velocità – Siamo stati radio localizzati", ma il piroscafo rispose "La velocità massima che riusciremo a tenere, ma non sappiamo per quanto, è di 10 nodi".
Alle 23.40, quando le due navi italiane erano a 22 miglia per 120° da Capo Bon (cioè a sudest del Capo), con rotta su Ras Mustafà, vennero avvistate delle unità nemiche: erano i cacciatorpediniere britannici Nubian (capitano di fregata Douglas Eric Holland-Martin), Petard (capitano di corvetta Rupert Cyril Egan) e Paladin (capitano di corvetta Lawrence St. George Rich), salpati da Malta quel pomeriggio per compiere una scorreria nel Canale di Sicilia.
Il Nubian, la Perseo, lo conosceva bene: si era già scontrata con lui la notte del 16 gennaio, quando la D’Annunzio era stata affondata, e la stessa Perseo era riuscita a stento a salvarsi dopo aver subito gravi danni. Il Paladin, poche settimane prima, aveva affondato in un’azione simile la torpediniera Cigno, di scorta alla motonave Belluno (che grazie alla reazione della scorta si era salvata), subendo per contro la perdita del gemello Pakenham.
Quella scorreria non era stata decisa a caso, bensì in base alle segnalazioni di “ULTRA”, che qualche ora prima avevano permesso ai comandi britannici di apprendere, sulla scorta di messaggi intercettati e decrittati relativi alla partenza del convoglietto, che «Il Campobasso salpa dalla Sicilia per la Tunisia nel pomeriggio del 3 maggio»; alcune fonti britanniche definiscono infatti quella intrapresa dai tre cacciatorpediniere come una missione d’intercettazione, e riferiscono che i cacciatorpediniere, sulla base di informazioni di intelligence (ossia ULTRA), aspettavano le loro vittime al varco, lungo la prevista rotta del convoglio, al largo di Capo Bon.
Dopo la partenza da Malta, Nubian, Paladin e Petard avevano navigato verso ovest ad alta velocità, ed entro le 23.40 erano giunti al largo di Kelibia. La notte era molto buia, con foschia e bassa visibilità in prossimità della costa; i cacciatorpediniere procedevano in linea di fila, con Nubian in testa, Petard al centro e Paladin in coda. Ad un certo punto si accorsero della presenza di una nave (era il Campobasso) a proravia sinistra, a circa tre miglia di distanza; ridussero la velocità a 20 nodi, ed alle 23.47 (secondo fonti britanniche) la avvistarono otticamente.
Complessivamente, le tre navi britanniche contavano 16 cannoni da 120 mm, cui la Perseo poteva opporre soltanto i suoi tre piccoli pezzi da 100 mm.
I britannici aprirono immediatamente il fuoco sul piccolo convoglio italiano, che avevano già localizzato al radar mentre questo si avvicinava alla costa tunisina. Lavorarono di concerto, dividendosi i compiti: il Petard illuminò il Campobasso perché fosse meglio visibile, mentre il Nubian lo martellava con dieci salve dei suoi cannoni. Anche se il tiro fu giudicato non molto efficace dagli stessi britannici, a causa del tempo fosco, lo sventurato piroscafo, sul quale si concentrò inizialmente il tiro delle navi britanniche, fu centrato a prua, a poppa ed in plancia; in breve non fu che un relitto fiammeggiante.
Secondo il ricordo del guardiamarina Giorgio Soldati, le navi britanniche aprirono il fuoco alle 23.35, subito dopo che dalla Perseo erano stati avvistati dei bengala ad ore dieci; il comandante Marotta ordinò "Avanti massima" e lanciò il segnale di scoperta a Supermarina ("4 unità tipo imprecisato. Il nemico ha aperto il fuoco", insieme alle coordinate). Secondo una fonte, le navi britanniche spararono alcuni proiettili illuminanti prima di attaccare il Campobasso.
La Perseo invertì dapprima la rotta allo scopo di portarsi a fianco del Campobasso e nasconderlo con cortine nebbiogene, ma i nebbiogeni non funzionavano (eppure, ricordò poi l’ufficiale di rotta Romualdo Balzano, erano stati provati poco prima): allora la torpediniera invertì nuovamente la rotta e andò al contrattacco, dirigendosi verso i cacciatorpediniere avversari alla massima velocità, facendo fuoco con tutte le sue armi. Le navi britanniche, vistesi attaccate, spostarono le loro attenzioni – e il loro tiro – sulla Perseo.
Da fonte britannica, risulterebbe che fu il Nubian ad accorgersi della presenza di una nave di scorta, identificata come una torpediniera da 650 tonnellate, dopo aver sparato una decina di salve da 120 contro il Campobasso; vedendo che la sua scia era sempre più bianca, Holland-Martin si rese conto che stava aumentando la velocità, perciò accelerò a sua volta a 30 nodi ed aprì il fuoco controdi essa. La torpediniera fu centrata fin dalla prima salva del Nubian, e poi anche del Petard e del Paladin, e si fermò, eruttando fumo e vapore.
Il tenente di vascello G. G. Connell, del Paladin, descrisse in seguito in questi termini l’attacco al piccolo convoglio italiano: “Stavamo pattugliando nottetempo tra Pantelleria e la costa tunisina. Erano le 23 di una sera estremamente buia quando il Nubian avvistò il nemico. [Il Nubian
] aprì subito il fuoco contro la nave carica di munizioni [il Campobasso] e la incendiò. Noi lo imitammo e così fece il Paladin, e la colpimmo tutti. Sparammo anche dei proiettili illuminanti per illuminare il cacciatorpediniere [la Perseo]. [Quest’ultima] non aveva nessuna possibilità. Sparammo tutti e non potemmo semplicemente fare a meno di colpirlo. Sparammo su di esso persino con armi leggere”. Il capo cannoniere del Petard, F. L. Blandford, descrisse la prima salva sparata dal Nubian contro la Perseo come “Il miglior colpo che io abbia mai visto (…) Illuminammo il bersaglio ed il Nubian sparò per primo. La sua salva centrò la plancia del cacciatorpediniere e la portò via [evidentemente un’esagerazione]. Fu un colpo magnifico. Non ne avevo mai visto prima uno simile”.

Mentre cercava di avvicinarsi ulteriormente ai cacciatorpediniere, la nave di Marotta fu colpita più volte: un primo colpo centrò la caldaia di prua, e subito dopo due salve in rapida successione colpirono i cannoni poppieri e la controplancia. Il colpo che giunse in caldaia fece anche incatastare i tubi lanciasiluri; i siluri vennero lanciati ugualmente, ma il lancio risultò ben poco preciso. La cannonata giunta in controplancia troncò un braccio al comandante Marotta, che prima di svenire fece in tempo ad ordinare di mettere in salvo l’equipaggio.
Pochi colpi ben piazzati erano bastati per segnare la sorte della Perseo: con le macchine fuori uso, la torpediniera andò progressivamente rallentando fino a fermarsi del tutto, con il timone immobilizzato sul lato sinistro ed un grosso squarcio causato dalla prima salva giunta nel locale caldaie, dal quale entrava abbondantemente l’acqua. A causa di questo squarcio, la nave assunse in breve uno sbandamento preoccupante sulla dritta; ciononostante continuò a rispondere al fuoco con le mitragliere.
Questo secondo il volume U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia". Il tenente di vascello Romualdo Balzano, da parte sua, affermò in seguito che le cannonate britanniche avessero colpito la Perseo nella caldaia poppiera, nei cannoni poppieri e nella controplancia, mentre dirigeva loro incontro a tutta forza sparando con tutte le artiglierie e preparandosi a lanciare i siluri; un colpo ferì gravemente il comandante Marotta, il timone ed i tubi lanciasiluri rimasero bloccati, la torpediniera compì un giro su sé stessa e poi si arrestò.
Secondo il ricordo del guardiamarina Giorgio Soldati – che scrisse tempo dopo una descrizione dell’azione –, invece, la Perseo serrò le distanze con i cacciatorpediniere fino a meno di 700 metri, accostò a dritta e lanciò i primi due siluri – dai tubi 1 e 2 – alle 23.42, di controbordo, con beta 40°; poi, alle 23.44, lanciò anche i siluri dei tubi 3 e 4, con rotta 310°, su beta 20°. I cacciatorpediniere britannici, avendo avvistato le scie dei siluri alla luce dei bengala, li evitarono con pronta manovra, dopo di che la Perseo, rimasta senza siluri, puntò a tutta forza su Capo Bon, assumendo rotta verso nordovest; ma alle 23.48 la fiammata della prima esplosione verificatasi sul Campobasso illuminò anche la Perseo, rivelando la sua posizione ai cacciatorpediniere britannici. Un ricognitore si portò subito sul cielo della torpediniera e lanciò un bengala, seguito immediatamente da una salva di proiettili illuminanti tirati dalle navi britanniche, che illuminarono a giorno la torpediniera italiana ed alle 23.52 concentrarono tutto il loro tiro su di essa. La Perseo iniziò a manovrare ad alta velocità per evitare le salve nemiche, ma nel corso di un’accostata il suo timone subì un’avaria (per altra fonte, venne colpito da una cannonata), ed alle 23.53, prima che fosse possibile passare al timone di riserva, la nave fu colpita in rapida successione nel locale caldaia n. 1 ed a prua, e subito dopo una terza volta da un colpo che centrò la stazione radio, sotto la plancia e vicino alla segreteria al dettaglio, gettando a terra gli uomini che si trovavano sul ponte di comando. Un altro colpo mise fuori uso il pezzo numero 2 da 100 mm. A causa della diminuzione di pressione nelle caldaie, la nave si fermò; le fiamme ed il vapore surriscaldato, fuoriuscito dalla caldaia numero 1 colpita ed esplosa, fecero strage del personale di macchina e delle reclute destinate a Marina Tunisi – per loro, quello era il primo combattimento –, alloggiate nei locali prodieri poco lontani, a loro volta colpiti ed invasi dal fuoco e dal vapore. Si cercò di contattare Supermarina, ma le antenne radio erano già state distrutte.
Tutte le armi – funzionavano ancora due cannoni da 100 mm e le mitragliere – continuavano a rispondere al fuoco; soprattutto la mitragliera quadrinata situata sulla tuga centrale, dove a fare fuoco era rimasto solo il puntatore Carlo Fiore, essendo morti tutti i serventi. Su di lui, ancora Soldati: “è una furia scatenata. Carica, spara, bestemmia; fa tutto da solo e sarà l'ultimo a mollare”. Quando Fiore venne ucciso da una scheggia, fu l’ufficiale di rotta Balzano a sostituirlo alla mitragliera; con il suo tiro cercò di colpire i proiettori che continuavano ad illuminare la Perseo.
In breve, la gerarchia di comando della Perseo fu decapitata: il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Musmeci, rimase ucciso mentre coi suoi uomini tentava di arginare la falla aperta da uno dei primi colpi in sala macchine; il comandante in seconda, tenente di vascello Levino Ferrara, cadde al suo posto di combattimento presso i cannoni di poppa. Con tutti i suoi superiori uccisi o gravemente feriti, il comando della Perseo ricadde sull’ufficiale di grado più alto rimasto indenne: e cioè proprio il giovane ufficiale di rotta, il sottotenente di vascello Romualdo Balzano, ventiquattrenne, di La Maddalena.
Constatate le condizioni disperate in cui versava la Perseo, Balzano ordinò di abbandonare la nave.
L’equipaggio superstite lo fece ordinatamente, mettendo a mare i pochi galleggianti rimasti intatti (secondo il ricordo del sottotenente del Genio Navale Vinicio Gerin, i cacciatorpediniere britannici sospesero il fuoco per il tempo necessario a mettere in mare le zattere) o gettandosi direttamente in acqua; il comandante Marotta, ancora privo di sensi, venne portato su una imbarcazione. Ripresosi a bordo di quest’ultima, Marotta, sentendo vicina la fine, chiese di essere riportato a bordo per poter morire in mezzo ai suoi uomini rimasti uccisi nel combattimento; mentre l’imbarcazione stava per attraccare sottobordo alla Perseo, però, si capovolse, rovesciando in mare i suoi occupanti.
Secondo il ricordo di Giorgio Soldati, invece, l’ordine di abbandonare la nave fu dato dal comandante Marotta alle 23.55, dato il forte sbandamento a dritta frattanto assunto dalla Perseo immobilizzata; gli uomini iniziarono a gettarsi in mare, ed alle 23.57, mentre Soldati, il guardiamarina Todisco ed il sottotenente di vascello Balzano stavano gettando in mare i documenti segreti e la "carta Mirafiori" (la carta segreta del Canale di Sicilia, nella quale tra l’altro era indicata la posizione dei campi minati), una cannonata centrò il ponte di comando. Sarebbe stato in questo frangente che Marotta sarebbe rimasto ferito gravemente; Soldati, ferito leggermente al pari di altri uomini, avrebbe tentato di fermare l’emorragia dal braccio troncato del comandante con un laccio emostatico d’emergenza. Il guardiamarina si avvide poi – attraverso la porta della sala nautica che metteva in comunicazione con l’aletta di dritta, ormai scardinata – che il centralino telefonico, andato in cortocircuito, aveva preso fuoco e con i bagliori del suo incendio rischiava di tradire la loro posizione, dato che intanto i proiettili illuminanti si erano spenti; soffocò il fuoco battendoci sopra con lo sgabello da carteggio. Soldati e Balzano scesero poi sul castello, vicino all’antiradio; alle 23.58 ricominciò il tiro britannico, con cannoni e mitragliere, da distanza inferiore ai trecento metri, e Soldati si gettò in acqua dall’osteriggio delle cucine, venendo subito trascinato verso poppa dalla corrente. L’acqua era fredda e intorpidiva i muscoli, il mare era mosso, forza 4. I cacciatorpediniere cessarono il fuoco; la Perseo galleggiava ancora, fortemente sbandata.
A bordo del relitto galleggiante della torpediniera era rimasto il sottotenente di vascello Balzano: questi sentì chiamare dal mare e riconobbe la voce del comandante Marotta, che gli disse “sono senza un braccio, portami uno zatterino o un qualche mezzo che mi sostenga”. Balzano si procurò un salvagente e, dopo aver verificato che a bordo non fosse rimasto nessuno ancora in vita, si tuffò in mare. Non trovò più il suo comandante: il mare lo aveva già inghiottito. (Un’altra versione racconta che Balzano, gettatosi in mare con un salvagente per aiutare Marotta, non lo trovò; successivamente, però, mentre si teneva a galla in mezzo a bidoni galleggianti e pezzi di legno, s’imbatté nel corpo del suo comandante, ormai senza vita. Rimase aggrappato per ore ad una tavola di legno sorreggendo la salma di Marotta, prima di lasciarla andare).
Giorgio Soldati, di nuovo, racconta nelle sue memorie una versione leggermente diversa; trovandosi in acqua, raggiunse a nuoto la iole della Perseo, che galleggiava ad una cinquantina di metri dalla poppa, e si arrampicò a bordo, con l’aiuto del contabile di macchina. Sulla iole c’era anche Marotta, che aveva ripreso conoscenza; pur indebolito dalla grave ferita e dal sangue perso, ringraziò Soldati e invitò quelli che pensavano di farcela a tornare sulla nave, per autoaffondarla ed impedire così che potesse cadere in mano nemica. La iole tentò dunque di avvicinarsi alla Perseo, ma fu investita da due colpi di mare al traverso, imbarcò acqua e si rovesciò. Soldati si avvicinò a Marotta, che gli disse di poter nuotare fin sottobordo; tentò di sostenerlo a galla, ma non ci riuscì, ed il comandante scivolò sott’acqua e scomparve.
Alla memoria del comandante Marotta, per la sua disperata difesa del Campobasso contro forze soverchianti, sarebbe stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Qualche tempo prima aveva confidato al corrispondente di guerra Libero Accini: «Continui ad andare sulla rotta della morte. Un giorno o l’altro ci lasci le penne!».

Dopo la scomparsa di Marotta, Giorgio Soldati si mise a nuotare verso la poppa della Perseo, più che altro per non farsi intorpidire dal freddo; vide in acqua il secondo capo segnalatore Michele Vilardi, che indossava ancora il pesante cappotto da navigazione, che lo intralciava nei movimenti, e faticava a tenersi a galla, anche perché era sprovvisto di salvagente. Alla fine annegò anche lui: Soldati venne poi a sapere che non sapeva nuotare.
Giunto in prossimità dello scafo, Soldati vide una cima che penzolava fino in acqua e la afferrò, issandosi fin sul paraeliche di dritta e da lì sul ponte di coperta. Si precipitò in plancia, dove trovò il sottotenente di vascello Balzano, il secondo capo segnalatore Mario Pregliasco ed un altro sottufficiale, capo Di Bella; li aiutò a gettare in mare i codici segreti ma, mentre stavano portando a termine l’operazione, i cacciatorpediniere britannici aprirono il fuoco un’altra volta, centrando al primo colpo il telemetro della centrale di tiro, che prese fuoco. Soldati rimase ferito alla gola ed alla gamba sinistra; si girò per guardare gli altri, frattanto scesi alla mitragliera binata di dritta, e vide capo Pregliasco dire "Ragazzi stavolta mi hanno fregato alla gola", dopo di che il sottufficiale crollò a terra, morto. Soldati andò all’albero di poppa, ammainò la fiamma (la bandiera era già stata spazzata via dalle cannonate), la arrotolò e se la mise in tasca, poi si buttò nuovamente in acqua da poppa, mentre le navi britanniche continuavano il loro martellamento del martoriato relitto della Perseo.
Da parecchie miglia di distanza, assisterono alla fine di Perseo e Campobasso la torpediniera Tifone e la motonave Belluno, in navigazione sulla stessa rotta. Erano salpate da Trapani alle 19. Scrisse Alberto Ferrari, della Tifone, nel suo libro “L’ultima torpediniera per Tunisi”: “Salpammo. Ci precedeva di poche miglia il Perseo col Campobasso (…) Il Perseo proveniva da Pozzuoli, si era dovuto fermare a Pantelleria per un guasto; ora lo avevamo davanti a noi di poche miglia. Procedevamo, entrambi i convogli, cauti nella notte. I britannici col successo a portata di mano si erano fatti più tracotanti, ormai incrociavano tutte le notti sulle nostre rotte. Nubian, Paladin, Petard, CCTT di S. M. Britannica erano da tempo salpati ad alta velocità da Malta. Ora erano quasi al traverso: ci fiutarono col radar. Fu un gioco localizzare il Campobasso e il Perseo. (…) Impiegarono quasi un’ora a far scempio del Campobasso, il quale, con spregiudicata abilità marinaresca, tentava disperatamente di evitare le salve che si susseguivano micidiali. (…) Saverio Marotta, comandante del Perseo, medaglia d’oro alla memoria, quanto intuì le ombre minacciose dei CCTT, capì subito tutto! Contro il radar non servivano i fumogeni, e per di più i suoi erano scassati: un pensiero in meno! Marotta improvvisò tutte le manovre possibili per salvare il piroscafo, tenendo a bada gli avversari con tutte le armi di bordo. Spiegò tutto il suo repertorio personale di manovre ardite e temerarie: controbatté il fuoco avversario e si scagliò all’attacco col siluro, incurante delle mitragliere nemiche che falciavano, unite al coro dei medi calibri di cui erano dotati i CCTT. I colpi, dopo la fine del Campobasso, si concentrarono sulla torpediniera, mirando alla plancia. (…) Marotta, in pieno collasso per la mutilazione che lo stava dissanguando, accostò, utilizzando l’ultima riserva di vapore, per mettere in posizione di lancio e ordinò di scagliare tutti i siluri. Guidati dal sottotenente di vascello Balzano, i superstiti lanciarono, continuando a sparare, come indemoniati. Il pezzo di poppa si sfracellò. Il Perseo era ormai sbandato e in fiamme, ma sparò ancora al CT, che aveva osato avvicinarsi per finirlo. Intimidito o affascinato da quella bolgia dantesca, il nemico accostò per raggiungere gli altri, senza colpire. (…) Quella notte fu, per noi, un incubo. Vedevamo i lampi, udivamo i tuoni e le esplosioni, ma non potevamo intervenire, gettarci nella mischia, come avremmo voluto fare. Quella maledetta benzina che avevamo nei depositi ci avrebbe condotto verso un inutile suicidio. Il Belluno era troppo importante per privarlo della scorta, almeno lui doveva arrivare! Attendemmo gli eventi, per giocare l’ultima carta. Il nostro comandante riuscì, con oculate manovre, a forzare il blocco dei CCTT che ci stavano cercando (…)”.

Ridotti Perseo e Campobasso a relitti galleggianti, intanto, i cacciatorpediniere britannici avevano setacciato le acque verso la costa, distante circa otto miglia, per cercare eventuali altre navi italiane o tedesche. Non avendo trovato nulla il Nubian, insieme a Petard e Paladin, tornò verso la zona in cui ancora galleggiava l’ormai deserta Perseo; i cacciatorpediniere britannici aprirono il fuoco di nuovo, colpendola ancora. Dal momento che la torpediniera non mostrava segno di resa ma non sembrava nemmeno intenzionata ad affondare rapidamente, il comandante britannico distaccò il Paladin per finirla, mentre Nubian e Petard si dirigevano verso il Campobasso – distante diverse miglia ed in fiamme da prora a poppa – con analogo scopo.
Poco dopo, la Perseo fu scossa da un’esplosione e s’inabissò di poppa sette miglia e mezzo ad est di Kelibia, a sud di Capo Bon, in Tunisia (il personale della stazione di segnalazione di Capo Bon osservò, quella notte, tiro d’artiglieria ed esplosioni a sudest del Capo). Era circa l’una di notte del 4 maggio.
L’Ufficio Storico della Marina Militare attribuisce l’esplosione finale ad un siluro, o ad un colpo di cannone che avrebbe colpito un deposito munizioni.
Il guardiamarina Giorgio Soldati assisté a tutta la scena: dopo essersi gettato in mare, nuotò portandosi sul lato sinistro della Perseo e si allontanò di circa trecento metri. Da lì, solo, “assisto (…) in una notte illuminata solo dagli scoppi delle granate e con un mare che va sempre più gonfiandosi, alla fine della mia nave che per oltre due anni è stata la mia casa e con la quale ho condiviso rischi, fatiche e qualche vittoria”. In passato si scherzava, a bordo, sul fatto che la Perseo fosse “corazzata” dallo strato formato dalle tante mani di vernice stese dai nocchieri – ci fu anche chi ebbe la forza di scherzare su questo anche in quelle circostanze: molti anni dopo il marinaio Carmelo Zippitelli avrebbe ricordato che alcuni naufraghi a bordo delle zattere, guardando la nave che, immobilizzata e crivellata di colpi, continuava ostinatamente a galleggiare, dissero che la “corazzatura” data dai tanti strati sovrapposti di vernice accumulatisi nel tempo sembrava funzionare bene – ma adesso la malridotta torpediniera mostrava davvero l’ostinazione di una corazzata nel non voler affondare, pur essendo in fiamme da prora a poppa, sempre sbandata sulla dritta, scossa dagli scoppi delle riservette. “Il tiro degli inglesi (…) è perfetto. Certo che sparano ad un bersaglio immobile, ma le salve sono tutte perfettamente cursorate e solo qualcuna è sfasata di alzo (…) Il fuoco degli inglesi dura dai 40 ai 50 minuti, e non capisco perché non l'abbiano affondato con una coppiola di siluri. Forse gli sarebbe costato meno”. Le onde d’urto provocate dai colpi che cadevano in acqua, nonostante la distanza, lo investivano, provocandogli dolori al ventre. Secondo Soldati, la Perseo esplose dopo essere stata colpita da due bombe sganciate da un aereo a bassissima quota, che sarebbero andate a segno in corrispondenza del pezzo numero 2 da 100 mm e della sala macchine poppiera; ma fu probabilmente una impressione errata, perché da nessuna parte risulta che aerei abbiano sganciato bombe sulla Perseo in questa occasione. “Finalmente è la fine! La Santa Barbara è colpita ed una terribile esplosione sconvolge il mare; il Perseo si impenna come un destriero colpito a morte, si rovescia sulla dritta a chiglia in aria e lentamente di poppa scompare in mare. Un nodo di pianto mi serra la gola”.
Mezz’ora più tardi, prima che Nubian e Petard potessero raggiungerlo (distavano in quel momento tre o quattro miglia), saltò in aria anche il Campobasso, ormai abbandonato dagli uomini che non erano già rimasti uccisi nel combattimento. Il piroscafo colò a picco 22 miglia a sudest di Capo Bon. Giorgio Soldati, in acqua, sentì l’onda d’urto dell’esplosione nonostante la distanza che lo separava dal piroscafo: “Ho la sensazione che mi si squarcino gli intestini”. Rottami del Campobasso, lanciati dall’esplosione a miglia di distanza, caddero in acqua poco lontano da lui.
Prima di andarsene, i cacciatorpediniere britannici recuperarono una decina di naufraghi del Campobasso (altri 16 uomini di questa nave riuscirono a raggiungere Pantelleria su di una scialuppa danneggiata), ma nessuno della Perseo. Il 5 maggio “ULTRA” avrebbe concluso la sua opera annunciando: «Risulta che il Campobasso e la sua scorta, la torpediniera Perseo, sono stati affondati nelle prime ore del 4 da cacciatorpediniere britannici presso Kelibia. La nave trasportava munizioni».

Restavano in mare decine di naufraghi della Perseo, alla deriva nella notte con nulla più che qualche zatterino. I feriti erano stati sistemati sulle zattere, mentre gli uomini illesi – non essendoci posto a sufficienza per tutti – rimasero in acqua, aggrappati alle corde tientibene; di tanto in tanto un’onda rovesciava una zattera, e gli uomini illesi si facevano in quattro per salvare i feriti e rimetterli sulle zattere, ma ogni volta qualcuno spariva. Molti si rassegnarono ben presto alla morte.
Il guardiamarina Giorgio Soldati, dopo l’affondamento della torpediniera, rimase un poco ad osservare il punto in cui era scomparsa; poi si mise a nuotare, cercando una zattera od almeno un altro naufrago. Dopo circa un quarto d’ora che stava nuotando, mentre sentiva che le forze iniziavano a lasciarlo, ci fu l’esplosione del Campobasso; passata anche quella riprese a nuotare. Indossava il giubbotto salvagente, ma doveva nuotare per tenere la testa fuori dall’acqua, altrimenti le continue onde l’avrebbero sommersa. Iniziava anche ad avere dei crampi. A un certo punto sentì delle voci, e nuotò in quella direzione: poco dopo trovò il secondo capo torpediniere Antonio Pinna, il sottocapo radiotelegrafista Giuliano Ceniccola, il marinaio cannoniere Giuseppe D’Andrea ed il marinaio fuochista Giuseppe Fersini, anch’essi stremati. Tentò di incoraggiarli, ma lui stesso faticava a restare sveglio: ad un tratto perse i sensi, scivolò sott’acqua, si lasciò andare; fu svegliato da una sorta di pizzicore, quasi una scossa elettrica, e si accorse di essere finito in mezzo ad un banco di meduse enormi, con ombrelli grandi più di un metro, forse anche due. Alcune delle loro ventose si erano attaccate alla sua gola: ridestandolo con le loro sostanze urticanti, in un certo senso, lo avevano salvato. Guardatosi intorno, Soldati vide che dei quattro uomini che erano con lui era rimasto soltanto Pinna: Ceniccola, Fersini e D’Andrea avevano ceduto al freddo e allo sfinimento, una fine che solo grazie alle meduse non era stata anche la sua. Cercò con lo sguardo una zattera, ma niente appariva nel buio della notte; non sapeva neanche che ora fosse, dato che l’orologio si era fermato quando si era gettato in mare. Ipotizzò, a occhio, che potessero essere le tre e mezza o le quattro del mattino. Poi, finalmente, vide una luce fioca e tremolante dinanzi a sé: distava alcune centinaia di metri. Avvisò Pinna, e insieme nuotarono verso la luce. Giunti sul posto, trovò un altro gruppo di naufraghi aggrappati ad un salvagente a ciambella: tra di essi vi erano due ufficiali della Perseo, Todisco e Balzano, e poi capo Di Bella, l’ufficiale tedesco Gerich, i marinai Tarantino, Massa ed Itri.
Pinna e Soldati afferrarono anch’essi il salvagente con una mano: i naufraghi si raccontarono le rispettive vicissitudini, poi non rimase altro da fare che aspettare i soccorsi. Le forze venivano meno, e con esse la voglia di parlare; tornarono i crampi. Soldati bevette un po’ di anice dalla borraccia in dotazione al salvagente, e ne condivise un po’ con Balzano, che aveva finito la sua. Lo stato del mare intanto peggiorava, raggiungeva forza 5; Pinna e Todisco, esaurite le forze, scomparvero tra le onde. Soldati stava per cedere di nuovo alla sonnolenza, quando vide di nuovo il banco di meduse di prima: questa volta andò loro incontro di proposito, facendosi pungere al preciso scopo di restare sveglio. Passò un’altra mezz’ora, i naufraghi rimasti finirono in una chiazza di nafta; il carburante bruciava gli occhi, parecchi naufraghi finirono con l’inghiottirne un po’. Tentarono di allontanarsi dalla chiazza, mentre albeggiava: i primi raggi del sole illuminarono una zattera Carley, e tutti si buttarono a nuotare verso di essa. Riuscirono quasi tutti a salire; Soldati, che era particolarmente esausto, arrivò quando non c’era più posto, e dovette pertanto restare in acqua, aggrappato alle cime salvavita. Balzano lo aiutava a non mollare la presa, il mare mosso lo strattonava di continuo. I naufraghi si restrinsero un po’ di più, ed anche Soldati poté salire sulla zattera. Il fondo del galleggiante era giallo e rosso, verniciato da poco.
Verso le sei del mattino, gli occupanti della zattera avvistarono il faro di Capo Bon; avendo due remi, iniziarono a remare verso di esso, dandosi il cambio di tanto in tanto quando il rematore diventava troppo stanco. Lo stato del mare continuava a peggiorare; c’era anche un vento freddo che asciugava i naufraghi dalla cintola in su, soltanto perché le onde li ribagnassero poi puntualmente. I superstiti erano intirizziti; nonostante i loro sforzi per tenere la zattera in equilibrio, di tanto in tanto un’onda la rovesciava. Puntualmente la raddrizzavano, ma ogni volta qualcuno non ce la faceva: dei diciotto uomini che originariamente occupavano la zattera, dopo ripetuti rovesciamenti rimasero in undici.

La salvezza per i superstiti della Perseo si materializzò nella forma di una nave ospedale, la Principessa Giovanna (al comando del capitano Cesare Gotelli, militarizzato con il grado di capitano di fregata). Quest’ultima era salpata da Trapani per Tunisi alle 18.40 del 3 maggio, per andare ad imbarcare uno degli ultimi “carichi” di feriti e malati dal fronte tunisino; alle sei del mattino del 4 maggio, quando era in vista di Ras Mustafà, incontrò i tre cacciatorpediniere britannici affondatori di Perseo e Campobasso, i quali provvidero ad informarla che non lontano c’erano in mare dei naufraghi da soccorrere, comunicandone anche la posizione. La Principessa Giovanna si mise allora a cercarli, mentre si levava un vento fresco da maestrale, che iniziava a muovere anche il mare.
Questo secondo il già citato libro dell’U.S.M.M.; secondo qualche fonte britannica i cacciatorpediniere non si sarebbero limitati ad avvisare la nave ospedale, ma l’avrebbero anche condotta sul posto, notizia che sembrerebbe essere confermata dal ricordo del guardiamarina Soldati, che nel suo racconto degli eventi del 3-7 maggio 1943 scrisse che verso le nove del mattino del 4 lui e gli altri occupanti della zattera avvistarono delle navi che riconobbero come britanniche, le stesse che avevano affondato la Perseo. Queste unità si allontanarono ad elevata velocità verso nord, ma fecero ritorno dopo poco tempo, seguite dalla Principessa Giovanna. I cacciatorpediniere passarono a poca distanza dalla zattera su cui era Soldati, rendendo gli onori, ma gli occupanti del piccolo galleggiante si misero a remare verso la costa, temendo di venire presi prigionieri. Il mare mosso, sempre in peggioramento, li spingeva però verso il largo; comunque, dopo poco tempo i cacciatorpediniere se ne andarono, lasciando sul posto la Principessa Giovanna intenta nella sua opera umanitaria.
Nelle ore successive la nave ospedale avvistò e recupero i 67 sopravvissuti della Perseo, nonché altri quattro naufraghi del Campobasso (secondo il sottotenente G.N. Vinicio Gerin, la Principessa Giovanna recuperò per primi i superstiti del piroscafo, essendo il gruppo ad essa più vicino quando arrivò sul posto, e poi quelli della Perseo, che distavano dai primi alcune miglia). I naufraghi sulla zattera di Soldati e Balzano misero la “prua” verso la Principessa Giovanna, che distava un paio di miglia, e presero a remare nella sua direzione; dopo qualche ora, però, la nave ospedale rimise in moto, ed iniziò ad allontanarsi, per la disperazione degli occupanti del Carley. Dopo un po’, però, la nave cambiò rotta e tornò indietro: era stato il nostromo della Perseo a pretendere che il comandante della Principessa Giovanna tornasse indietro, dichiarandosi certo della presenza in mare di altri naufraghi. (Tutto ciò secondo il ricordo di Giovanni Soldati, mentre non si fa menzione di questo nel citato libro U.S.M.M.).
Fu calata una motobarca, che raggiunse le rimanenti zattere prelevandone i superstiti; alla fine anche gli undici uomini sulla zattera di Soldati e Balzano vennero recuperati, portati sottobordo alla nave ospedale, issati a bordo con una rete e poi condotti nei locali adibiti ad ospedale, dove medici, infermieri e crocerossine si prodigarono di cure. Soldati fu poi portato in una cabina con poche cuccette e vi trovò altri naufraghi della Perseo, salvati sei ore prima (erano stati i primi), che gli dissero che altri 130 uomini dell’equipaggio erano morti. Balzano e Soldati si rivolsero anche al comandante della nave ospedale, protestando per il fatto che prima questa se ne fosse quasi andata senza recuperarli; questi rispose di aver temuto di finire nei campi minati.
Alle 12.30, non essendo più visibili altri naufraghi, la Principessa Giovanna riprese il suo viaggio verso Tunisi, piazzaforte dai giorni contati. Dopo essere stata fermata ed ispezionata da dei cacciatorpediniere britannici (forse sempre gli stessi che avevano affondato Perseo e Campobasso), che verificarono il rispetto delle norme internazionali, la nave raggiunse il porto tunisino la sera stessa, alle 22.45; il resto della sera e la notte vennero impiegati per imbarcare 788 malati, che andarono ad aggiungersi ai 71 naufraghi i quali, ovviamente, rimasero a bordo. Secondo Giovanni Soldati, venne anche imbarcato un folto gruppo di civili italiani, perlopiù donne e bambini.
La Principessa Giovanna lasciò per sempre Tunisi alle 13.30 del 5 maggio: due giorni dopo, quella città sarebbe capitolata alle truppe Alleate.

La correttezza mostrata dai cacciatorpediniere britannici, che si erano premurati di informare la Principessa Giovanna della presenza in mare dei naufraghi di Perseo e Campobasso e forse anche di condurla sul posto, non albergava purtroppo in qualche pilota loro connazionale (o forse statunitense o sudafricano: l’esatta identità dei velivoli protagonisti di questo episodio non sembra essere precisata da alcuna fonte, o quelle che lo fanno sono discordanti tra di loro). Alle 14.40, in pieno giorno e dunque in condizioni in cui sarebbe stato impossibile non distinguere la colorazione della nave ospedale e le insegne della Croce Rossa, la Principessa Giovanna fu attaccata e mitragliata da cacciabombardieri angloamericani nei pressi di Zembra, a circa quattro miglia dalla costa tunisina: i danni furono pochi, ma un membro dell’equipaggio rimase ucciso ed altri rimasero feriti. Il comandante Gotelli fece trasmettere il seguente messaggio, breve quanto drammatico: "Nave Ospedale Principessa Giovanna con 800 feriti a bordo uscita golfo Tunisi prossimità isola Zembra attaccata da aerei nemici bombardata e mitragliata ripetutamente. Danni e feriti a bordo. Proseguiamo navigazione propri mezzi".
Molto peggio accadde qualche ora dopo, alle 18.30 – ancora una volta in condizioni di luce che non avrebbero dovuto permettere equivoci sulla natura del bersaglio –, quando la Principessa Giovanna venne addirittura bombardata (sempre da dei cacciabombardieri) oltre che nuovamente mitragliata, per giunta mentre intenta in un’opera di soccorso: si era fermata, infatti, per soccorrere un aereo della Croce Rossa, ammarato con due morti e tre feriti tra il suo equipaggio. Alcune bombe colpirono la nave ospedale, perforando diversi ponti ed esplodendo all’interno provocando danni gravissimi, uccidendo o ferendo decine di uomini e scatenando un violento incendio nella stiva poppiera. Morirono così parecchi soldati infermi provenienti dal fronte tunisino, che ormai si credevano al sicuro, ed anche qualche naufrago della Perseo, che tanto aveva penato per portare in salvo la pelle nel combattimento notturno e nelle lunghe ore trascorse in acqua. Tutto per niente. Il risultato di quello che costituì un palese crimine di guerra fu il seguente: 54 morti e 52 feriti, tra degenti ed equipaggio della Principessa Giovanna. In termini di perdite umane, rimane il più grave attacco mai subito da una nave ospedale italiana.
Al momento dell’attacco, il guardiamarina Soldati si trovava su una sdraio all’aperto, dove l’avevano sistemato Balzano ed il sottocapo cannoniere Adolfo Zolezzi, venuti a prenderlo in cabina perché potesse prendere un po’ d’aria. Quando avevano visto apparire i caccia, che Soldati identificò come Curtiss P-40, i tre uomini della Perseo avevano commentato proprio sul fatto che ormai si trovavano al sicuro, tutelati dalla Croce Rossa, quando improvvisamente i caccia scesero in picchiata sulla nave ospedale, mitragliando e sganciando bombe in più passaggi. Una delle bombe demolì una motrice ed una caldaia, l’altra lesionò gravemente i depositi d’acqua dolce; persero la vita parecchi civili, tra cui diversi bambini, ed anche alcuni uomini della Perseo, tra cui l’aiuto cuoco Udovicich, che fu falciato da una raffica di mitragliatrice mentre tentava di aiutare i civili e domare l’incendio scoppiato a poppa. La nave sbandò sulla sinistra, rallentando, mentre a bordo saltava la corrente e dilagava il caos.
I superstiti della Perseo, dopo le tante prove affrontate nelle precedenti quarantott’ore, furono chiamati ancora una volta a dare una mano: essendo molti marittimi della Principessa Giovanna morti o feriti, ed i restanti disorientati davanti a una situazione che, non essendo mai stati bombardati prima, non erano abituati ad affrontare, una decina di fuochisti della Perseo, rispondendo ad un invito loro rivolto dal sottotenente di vascello Balzano, aiutarono a rimettere in moto le macchine ed a tamponare la falla aperta dalle bombe. Muovendosi, gli uomini della Perseo dovevano fare particolarmente attenzione a dove mettevano i piedi: erano tutti scalzi, infatti, ed i ponti colpiti erano disseminati di vetri rotti.
L’incendio poté essere arginato, ma non estinto fino a quando non si giunse in porto. Scrisse ancora Giorgio Soldati, nel suo racconto degli eventi, che lui e Balzano erano tornati nelle cabine quando si presentò loro il comandante in seconda della Principessa Giovanna, chiedendo la loro collaborazione; i due ufficiali della Perseo salirono in plancia – non prima di essersi fatti dare degli zoccoli e dei cappotti – e qui il comandante Gotelli spiegò loro che lui conosceva la posizione dei campi minati soltanto sulla rotta per Napoli, loro originaria destinazione; ma con la nave così conciata avrebbe dovuto puntare su Trapani, dunque chiese a Balzano e Soldati se potessero condurre la nave in salvo in quel porto. Soldati, andando a memoria (aveva buona memoria fotografica e conosceva bene la "carta Mirafiori" che indicava i campi minati), tracciò una rotta di sicurezza sulla carta nautica; la discusse con Balzano e poi la Principessa Giovanna iniziò a seguirla. I due ufficiali della Perseo si alternarono in plancia a turni di quattro ore, senza neanche concedersi una sosta per i pasti, fino all’arrivo in porto. (Secondo una fonte lo stesso comandante della Principessa Giovanna era rimasto ucciso e Balzano assunse il comando della nave ospedale, ma si tratta evidentemente di un errore).
Quel viaggio da incubo terminò alle 15.30 del 6 maggio, quando finalmente la Principessa Giovanna giunse a Trapani e poté sbarcare il suo dolente carico. Morti, feriti e degenti vennero trasbordati su dei rimorchiatori, che li sbarcarono sul molo. Tutti i naufraghi erano stati rivestiti, ad eccezione di Balzano e Soldati i quali, presi dal loro importante compito in plancia, indossavano ancora il pigiama bianco, sporco di nafta. Non appena furono a terra, i due ufficiali della Perseo si recarono a piedi al locale Comando Marina: lì nessuno sapeva del loro arrivo, e soltanto alle dieci di quella sera poterono avere qualcosa da mangiare, dopo che Balzano ebbe quasi litigato con l’ufficiale di guardia. Non c’era nemmeno posto per dormire, così, dopo quattro giorni passati in mare tra combattimenti, naufragi e attacchi aerei, i superstiti illesi della Perseo (quelli feriti, ovviamente, erano stati portati in ospedale) dovettero arrangiarsi a dormire sulle panche e sui tavoli della mensa, “riposo” intervallato anche da qualche allarme aereo.

Oltre ai 67 uomini recuperati dalla Principessa Giovanna, dei quali non tutti, come si è detto, arrivarono vivi in Sicilia per merito di qualche valoroso pilota “dal grilletto facile”, un’altra ventina di naufraghi della torpediniera riuscirono a salvarsi in altro modo, con mezzi di fortuna. In totale, di 216 uomini imbarcati sulla Perseo nella sua ultima missione (compreso il personale di passaggio diretto in Tunisia) i superstiti furono 83: in 133 avevano perso la vita, uccisi in combattimento, scomparsi in mare o morti sulla Principessa Giovanna bombardata.
Tra le tante vittime vi erano anche due marinai originari proprio della provincia il cui nome era stato dato alla nave difendendo la quale la Perseo era stata affondata: Campobasso. Uno di essi era il giovane marinaio Rino Santopuoli, appena diciottenne, da Riccia: quando il padre Peppino seppe della morte del figlio fu stroncato da un infarto, lasciando una moglie e sei figli pressoché privi di mezzi di sostentamento. Qualche anno dopo la famiglia finì col trasferirsi a Rivarolo, nel Canavese; nel 2018 i resti di Peppino Santopuoli sono stati trasferiti anch’essi a Rivarolo, per “riunirsi” a quelli della moglie e dei figli, che dopo la morte erano stati sepolti nel loro nuovo paese. Sulla sua lapide è stata simbolicamente posta anche una foto di Rinuccio, il cui corpo non era mai stato ritrovato; alla cerimonia ha presenziato anche una delegazione di marinai in congedo.

Le vittime tra l’equipaggio della Perseo:

Vincenzo Agunzo, marinaio torpediniere, disperso
Pasquale Amurri, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Apuzzo, marinaio, disperso
Aldo Ascari, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Baldassarri, marinaio cannoniere, disperso
Armando Baldinelli, marinaio fuochista, disperso
Bruno Barbieri, marinaio silurista, disperso
Carlo Barbieri, marinaio fuochista, disperso
Umberto Barone, marinaio fuochista, disperso
Augusto Baroni, marinaio fuochista, disperso
Gesualdo Barravecchia, marinaio fuochista, disperso
Mario Bertolini, sergente meccanico, disperso
Vittorio Biagi, marinaio, disperso
Giovanni Bianchi, sottocapo fuochista, disperso
Costantino Bianco, marinaio elettricista, disperso
Giulio Binetti, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Boccone, marinaio cannoniere, disperso
Mario Bonollo, marinaio, disperso
Pietro Giulio Alberto Bordes, marinaio fuochista, disperso
Luciano Borella, marinaio S.D.T., disperso
Orlando Calcagno, marinaio, disperso
Angelo Camporeale, marinaio fuochista, disperso
Pietro Canciello, marinaio, disperso
Ciro Carleo, marinaio, deceduto
Antonio Casa, sottocapo cannoniere, disperso
Guerrino Casadei, sergente cannoniere, disperso
Rolando Casini, marinaio cannoniere, disperso
Ilario Casu, sergente segnalatore, disperso
Giampiero Cecchi, marinaio nocchiere, disperso
Giuliano Ceniccola, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Giuseppe Cicero, sottocapo cannoniere, disperso
Luciano Codelupi, sottocapo silurista, disperso
Sesto Corradini, sottocapo meccanico, disperso
Lelio Corsinelli, marinaio fuochista, disperso
Italo Creazza, marinaio furiere, disperso
Vincenzo D’Addio, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Giuseppe D’Andrea, marinaio cannoniere, disperso
Santo D’Arrigo, marinaio, disperso
Tommaso D’Intino, marinaio cannoniere, disperso
Sigfrido Danieli, capo meccanico di terza classe, disperso
Gastone De Maria, marinaio cannoniere, disperso
Biagio Della Ragione, marinaio, disperso
Giovanni Di Francia, marinaio, disperso
Salvatore Di Vincenzo, marinaio, disperso
Dino Drago, sottocapo meccanico, disperso
Antonio Esposito, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Eugenio Fasoletti, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Felice, marinaio cannoniere, disperso
Levino Ferrara, tenente di vascello (comandante in seconda), disperso
Giuseppe Fersini, marinaio fuochista, disperso
Carlo Fiore, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Gatto, marinaio, disperso
Liberato Gatto, sergente cannoniere, disperso
Pietro Giacalone, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Grasso, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Grisanti, sottocapo fuochista, disperso
Domenico Grollino, marinaio nocchiere, disperso
Francesco Ingrassia, marinaio cannoniere, disperso
Tommaso Invernizzi, sottocapo cannoniere, disperso
Umberto La Terza, sottocapo nocchiere, disperso
Leonardo Latini, sottocapo cannoniere, disperso
Salvatore Leone, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Liaci, marinaio cannoniere, disperso
Alfonso Liguori, marinaio cannoniere, disperso
Primo Luzzi, marinaio cannoniere, disperso
Carmine Manna, marinaio nocchiere, disperso
Saverio Marotta, capitano di corvetta (comandante), disperso
Federico Massimino, marinaio, disperso
Mario Mauri, sottocapo torpediniere, disperso
Orfeo Menegali, sergente silurista, deceduto
Luigi Minieri, marinaio fuochista, disperso
Domenico Morabito, marinaio, disperso
Salvatore Motisi, marinaio radiotelegrafista, disperso
Benedetto Munzone, marinaio, disperso
Giuseppe Aurelio Musmeci, capitano del Genio Navale (direttore di macchina), disperso
Pietrino Mazzetto, capo cannoniere di prima classe, disperso
Salvatore Nori, sergente cannoniere, disperso
Gino Nutricato, marinaio cannoniere, disperso
Giusto Ottone, marinaio, disperso
Gualtiero Pallan, capo elettricista di terza classe, disperso
Ettore Pauletto, capo meccanico di prima classe, disperso
Giovanni Penna, sottocapo nocchiere, disperso
Nicola Pepe, marinaio nocchiere, disperso
Antonio Pinna, secondo capo torpediniere, disperso
Italo Pisoni, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Pontecorvo, marinaio fuochista, disperso
Mario Pregliasco, secondo capo segnalatore, deceduto
Duilio Raffin, sottocapo fuochista, disperso
Silvestro Reitano, marinaio fuochista, disperso
Luigi Rigamondi, sottocapo elettricista, disperso
Pellegrino Santopuoli, marinaio silurista, disperso
Salvatore Scuotto, marinaio cannoniere, disperso
Lucio Secoli, sottocapo elettricista, disperso
Rocco Sergi, marinaio fuochista, deceduto
Antonio Stridacchio, secondo capo elettricista, disperso
Angelo Taraschi, marinaio segnalatore, deceduto
Giuliano Tasca, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Tinè, sottocapo cannoniere, disperso
Gaetano Tiso, marinaio silurista, disperso
Gerolamo Todisco, guardiamarina, disperso
Cataldo Tridico, marinaio, disperso
Salvatore Troia, sergente silurista, disperso
Carmelo Vecchio, marinaio cannoniere, deceduto
Giovanni Veronese, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Francesco Vicari, marinaio, disperso
Enzo Vignozzi, marinaio elettricista, disperso
Sergio Vignozzi, sergente S.D.T., disperso
Michele Vilardi, secondo capo segnalatore, disperso
Carlo Zanini, marinaio fuochista, disperso
Loris Zanotti, sergente cannoniere, disperso
Mario Zisi, marinaio torpediniere, disperso

[n.b. Rispetto alle 133 vittime riportate dall’U.S.M.M. nell’affondamento della Perseo, in questo elenco risultano mancanti 22 nomi. Probabilmente si tratta dei marinai destinati a Marina Tunisi ed imbarcati sulla Perseo di passaggio per il solo viaggio del 4 maggio, i quali non facevano parte dell’equipaggio della nave e non sono dunque registrati tra i caduti della Perseo.]


Sopra, Bruno Barbieri e sotto, Pellegrino (Rinuccio) Santopuoli, 19 e 18 anni, due marinai della provincia di Campobasso che morirono nell’affondamento della Perseo. Originari della stessa zona (l’uno da Riccia, l’altro da Ripabottoni), a bordo della Perseo avevano fatto amicizia, tanto che durante una licenza si erano scambiati la valigia. Rinuccio Santopuoli era il marinaio più giovane a bordo della Perseo, considerato come una “mascotte” di bordo. (Si ringrazia Gennaro Ciccagliene, autore del libro "Nave Campobasso. Marinai molisani in guerra")





Secondo fonti tunisine, il relitto della Perseo giacerebbe ad una novantina di metri di profondità, in posizione 36°18’ N e 11°20’ E. Risulterebbe essere stato esplorato per la prima volta da dei subacquei nel 2009.


L’ultima missione della Perseo nel ricordo del guardiamarina Giorgio Soldati, all’epoca neanche diciannovenne (da www.icsm.it):

Dedico queste poche righe di ricordi a mio padre, che amai e stimai come un grande galantuomo. La sua forza interiore e la sua bontà d'animo,fecero si che lo considerai più un amico che un padre. Egli seppe indicarmi con le parole e con l'esempio la via della rettitudine e della franchezza morale.
Egli era un di quegli uomini tutti di un pezzo; quando abbracciava un ideale non era più possibile smuoverlo e per la sua lealtà e per la dedizione alla famiglia ed al lavoro era amato e stimato da tutti.
Quando venne a mancare fu come se intorno a me fosse improvvisamente piombato il buio.
Ciao babbo, il tuo ricordo mi accompagna sempre e sono sicuro che se tu potessi leggere queste righe, ricorderesti con me quei terribili giorni che passasti in cabina radio con il Comandante Pedretti a Pola, attendendo da Supermarina l'elenco dei quarantotto superstiti del "PERSEO". Nell'elenco io ero il quarantasettesimo e, mi raccontano gli amici, che capirono che tutto era andato bene quando ti videro uscire dalla cabina radio con il tuo immancabile toscano acceso ed il pizzo al vento, con il tuo sguardo dolce e luminoso ed il tuo sorriso ironico che faceva capire a tutti la tua grande felicità per aver avuto salvo un figlio che disperavi di poter riabbracciare.
3 MAGGIO 1943.
Da tre giorni eravamo alla fonda nella rada di Pantelleria con il piroscafo Campobasso, in attesa dell'ordine di partenza per Tunisi.
Ordini e contrordini si susseguivano rapidamente in plancia comando attraverso le comunicazioni con il semaforo.
Verso le ore 14 Supermarina comanda la nostra partenza per Tunisi dandoci l'ordine di operazione per radio e richiedendoci il ricevuto. Una cosa assurda perché come noi avevamo i codici inglesi,cosi loro avevano i nostri. Stranamente, date le poche miglia da percorrere, l'ordine era particolareggiatissimo su rotte da seguire ed orari di partenza e di varianti di rotta con indicazioni della velocità da tenere tratto per tratto.
In sala nautica ci guardiamo in faccia comprendendo che quel messaggio voleva dire la nostra fine, ma tutti d'accordo, cercando di salvare il salvabile, mandiamo una R.T. , con il Sig. Todisco a dare il ricevuto della stazione radio di terra.
La missione è difficile e pericolosa in quanto Tunisi sta per cadere in mano agli alleati e noi stiamo scortando un piroscafo di 10.000 T. carico di munizioni e con a bordo 70 marinai di leva per il comando marina di Tunisi; altri 50 li trasportiamo noi dopo averli sistemati nel castello di prora.
Dovrebbero essere gli ultimi rifornimenti per le nostre truppe ed io mi chiedo il perchè, dopo averci fatto spostare segretamente da Napoli a Pozzuoli e partire in tutta fretta, lasciando anche alcuni franchi a terra e raggiungere il Campobasso fuori dal golfo di Napoli, Supermarina ci abbia poi fermato per oltre tre giorni in rada a Pantelleria, riuscendo anche a farci rilevare dalla ricognizione aerea nemica e darci l'ordine di muovere via radio.
Chi è al corrente della situazione, e fortunatamente siamo in pochi, è vivamente preoccupato. Mi trovo a discutere in sala nautica con il secondo Marangolo [sottotenente di vascello Domenico Marangolo; probabilmente un lapsus di Soldati, perché all’epoca dell’ultima missione Marangolo non era più comandante in seconda della Perseo, essendo stato sostituito dal tenente di vascello Levino Ferrara, che morì sulla Perseo] e Balzano ed anche loro condividono le mie apprensioni sullo strano comportamento di Supermarina e su quello a cui possiamo andare in contro, avendo gli inglesi la famosa "FORZA K" dislocata a Malta e munita di radar.
Mentre discutiamo arriva il Comandante Marotta, con il volto teso e molto nervoso. Gli esterniamo i nostri pensieri che anche lui condivide; ci raccomanda di non farne menzione con nessuno dell'equipaggio per non accentuare lo stato di nervosismo, ma radio prora, con i suoi aerofoni ha già captato qualcosa e diversi uomini come Zolezzi, Pinna, Fiore, Noris ed altri vengono a chiedermi conferma, ma le mie assicurazioni che tutto va bene, vengono raccolte da sguardi indicatori che pare vogliano dire che tu sai, ma non puoi parlare.
Da questo istante entro in scrittura cronologica, così come mi ricordo di averla scritta sul brogliaccio di navigazione.
ore 16.00 - Rifornimento acqua, accostandoci verso il porticciolo di Pantelleria. -
ore 18.00 - distribuzione dell'anice da mettere nei contenitori cilindrici dei nostri salvagenti, con la raccomandazione di allungarla con molta acqua. -
ore 19.00 - Salpiamo ed usciamo dalla rada di Pantelleria. Assumiamo scorta prodiera al piroscafo Campobasso e seguendo le rotte di Supermarina, dirigiamo per Tunisi - velocità 8 nodi.
ore 19.30 - Rileviamo con l'ecogoniometro vari echi sospetti sulla dritta ed accostiamo leggermente sulla sinistra. -
ore 21.20 - Viene battuto il posto di combattimento, anche se lo siamo dalla partenza. Ombre sospette e non ben identificate sulla dritta.
ore 21.40 - Cessa allarme. - La navigazione procede regolarmente a 8 nodi. Non possiamo zigzagare per via dei numerosi campi minati. E' mantenuto l'assoluto silenzio alle ultracorte con il Campobasso. E' pronta la trappola azzurrata per eventuali emergenze.
ore 23.20 - Posto di combattimento. Luci ed ombre sospette sulla dritta di prora (circa ore 2). -
ore 23.25 - Cessa allarme. - Il Metox germanico rileva aereo nemico in zona che ci ha radio localizzato.
ore 23.32 - Comunichiamo per principale ed in chiaro a Supermarina " Sono stato radio localizzato ". Ricevuto da Supermarina su onda X che però non da istruzioni.
ore 23.33 - Al Campobasso, comandato dal Capitano di lungo corso Loi di Trieste, comunichiamo per ultra corte: "Aumentate al massimo la velocità - Siamo stati radio localizzati " - Risposta "La velocità massima che riusciremo a tenere, ma non sappiamo per quanto, è di 10 nodi. -
ore 23.35 - Bengala ore 10 - Unità nemiche imprecisate aprono il fuoco contro di noi "AVANTI MASSIMA"-
A Supermarina messaggio di scoperta: "4 unità tipo imprecisato". Il nemico ha aperto il fuoco. Latitudine X Longitudine Y........
ore 23.37 - I cacciatorpediniere inglesi (forza K di Malta come nelle mie previsioni) in numero di 4, dirigono le loro salve sul Campobasso, che centrato in pieno, s'incendia. Memori dello scontro navale del 15 Gennaio 1943, invertiamo la rotta e ci portiamo a tutta forza all'attacco ben consci di quello che ci potrà accadere.
ore 23.42 - Pronti al lancio. Siamo a meno di 700 metri da caccia inglesi. Fuori 1 fuori 2 - Accostiamo a destra - Lancio di contro bordo beta di 40°.
ore 23.44 - Pronti al lancio - Attenti - Fuori 3 e fuori 4 - Rotta 310° - Beta 20 - I siluri sono evitati, con rapida accostata, dai supercaccia, che data la notevole illuminazione prodotta dai bengala, possiamo individuarne le scie. Esauriti i siluri, dirigiamo alla massima verso Capo Bon.
ore 23.48 - Il Campobasso esplode violentemente per la prima volta. La fiammata provocata dalla sua esplosione rivela la nostra posizione agli inglesi. Immediatamente un ricognitore ci è sopra e lancia un bengala. Subito dopo una salva di proiettili illuminanti ci illumina in pieno.
ore 23.52 - Il fuoco nemico è concentrato tutto su di noi.
Durante una accostata facciamo avaria al timone.
ore 23.53. - Non facciamo in tempo a traferirci al timone di riserva, in prossimità della piazzola del pezzo n° 2, che siamo colpiti in caldaia n°1 e subito dopo a prora, dove fra grida disumane periscono i 50 ragazzi destinati al Comando Marina di Tunisi ed al loro primo contatto col fuoco. Immediatamente dopo un'altra salva ci colpisce sotto la plancia, in stazione radio, ma verso la segreteria al dettaglio, buttando per aria anche noi che eravamo in plancia. Il vapore surriscaldato esce dalla caldaia colpita e posso immaginare la terribile fine quei ragazzi. La pressione diminuisce in macchina, con la quale siamo in continuo contatto, ma purtroppo ci dobbiamo fermare e rimanere in balia del nemico, che continua a sparare con tutti i suoi complessi binati da 152 mm e le sue mitragliere di tutti calibri contro di noi. Cerchiamo di dare comunicazione a Supermarina, che però non riceve in quanto le antenne radio sono andate distrutte. Rispondiamo al fuoco nemico con tutti i nostri pezzi e con le mitragliere.
In particolare la mitragliera quadrinata di centro tuga, al comando del sottocapo puntatore fiore di Roma, che è rimasto senza serventi, è una furia scatenata. Carica, spara, bestemmia; fa tutto da solo e sarà l'ultimo a mollare.
Intanto la nostra unità è fortemente sbandata sulla dritta.
ore 23.55 - Si salvi chi può, grida il Comandante Marotta, e la quasi totalità dell'equipaggio si butta a mare.
ore 23.57 - Mentre con Balzano e Todisco cerchiamo di buttare i segreti e la carta Mirafiori in mare, una bordata ci colpisce in plancia. Il Comandante Marotta ha il braccio sinistro asportato dall'esplosione tra gomito e spalla. Con un laccio di emergenza cerco di rallentare l'emorragia.
Altre persone me compreso sono ferite. All'improvviso, attraverso la porta scardinata della sala nautica che da sull'aletta di destra, vedo un forte bagliore rosso. E' il centralino telefonico che è andato in corto e pregiudica la nostra posizione dato che gli illuminanti si sono spenti. Abbranco lo sgabello da carteggio e con quattro botte, ben assestate, spengo tutto.
Con Balzano, visto che non abbiamo più niente da fare, scendiamo sul castello, vicino all'antiradio. Alle 23.58 il nemico riapre il fuoco, da meno di 300 metri, con pezzi e mitragliere. Mi butto a mare dall'osterigio delle cucine. Appena in acqua, la corrente mi fa scadere verso poppa. Il nemico cessa il fuoco e la nostra unità è fortemente sbandata a dritta, ma galleggia ancora.
L'acqua, con mare forza 4, è molto fredda ed irrigidisce i muscoli delle gambe rendendo difficili i movimenti.
Vedo la nostra jole e mi avvicino, a circa 50 metri da poppa.
Il contabile di macchina mi aiuta a salire a bordo dove trovo anche il Comandante che, malgrado la grave mutilazione, mi ringrazia ed invita, a coloro che pensano di farcela di ritornare a bordo per cercare di fare qualche cosa e soprattutto di non fare cadere il relitto in mano al nemico.
Mentre cerchiamo di avvicinarci all'unità, fortemente sbandata a dritta, prendiamo un paio di colpi di mare al traverso, imbarcando acqua e rovesciandoci un attimo dopo.
Mi avvicino al Comandante Marotta che mi dice di poter nuotare fino sottobordo, cerco di sostenerlo ma non ci riesco. Sento un gorgogliare e pio più nulla. Il Comandante è caduto in mare, come è tradizione della REGIA MARINA MILITARE. Pace a lui, chiedendoci come le onde azzurre possano cullare e consolare i morti.
Mentre mi dirigo a forti bracciate verso la poppa del Perseo per vincere il freddo, vedo pure annegare il secondo capo segnalatore Velardi, che senza salvagente e con il cappottone da navigazione che gli impedisce i movimenti, non riesce a rimanere a galla. Mi diranno poi che non sapeva nuotare e mi chiedo come mai non avesse il giubbotto salvagente.
Arrivato vicino all'unità, vedo una cima a penzoloni e riesco ad issarmi sul paraeliche di dritta e di lì in coperta.
Corro subito in plancia dove trovo il signor Balzano, Capo Pregliasco e Capo di Bella. Aiuto loro a buttare i codici ed i segreti in mare e mentre stiamo terminando il nemico riapre il fuoco e colpisce subito il telemetro della centrale di tiro che si incendia. sono ferito alla gola ed alla gamba sinistra.
Mi volto per vedere cosa fanno gli altri, che nel frattempo erano scesi alla mitragliera binata di dritta, e sento Capo Pregliasco che con il suo solito modo di fare scanzonato, dice: "ragazzi stavolta mi hanno fregato alla gola"- con un gorgoglio provocato da un flotto di sangue si abbatte riverso sulla mitragliera di dritta e di lì, rotola sulla coperta del castello verso il pezzo uno.
Vista la situazione, considerato il pericolo del continuo cannoneggiamento e mitragliamento, e l'inutilità di ogni tentativo di salvare l'unità, ormai condannata, mi dirigo verso l'albero di poppa ed ammaino la fiamma, in quanto la bandiera non esiste più. Arrotolo la fiamma, la metto in tasca e mi rituffo in mare da poppa mentre gli inglesi continuano il loro fuoco con lo scopo di centrare la Santa Barbara e di far saltare in aria il Perseo.
Malgrado che noi dicessimo che il Perseo era corazzato dalle continue mani di pittura date dai nocchieri, mi sto accorgendo che tiene duro e non vuol mollare.
Arrivato in acqua, sulla sinistra dell'unità, mi allontano di circa 300 metri ed assito da solo, in una notte illuminata solo dagli scoppi delle granate e con un mare che va sempre più gonfiandosi, alla fine della mia nave che per oltre due anni è stata la mia casa e con la quale ho condiviso rischi, fatiche e qualche vittoria. Dalla posizione in cui mi trovo riesco ad osservare perfettamente il tiro degli inglesi che è perfetto. Certo che sparano ad un bersaglio immobile, ma le salve sono tutte perfettamente cursorate e solo qualcuna è sfasata di alzo. Devo mantenermi a galla in posizione orizzontale, perché se esplode qualche proiettile quando mi trovo in posizione verticale, corro il rischio di farmi spezzare la schiena ed ho la sensazione che il ventre mi si debba squartare.
Il fuoco degli inglesi dura dai 40 ai 50 minuti, e non capisco perché non l'abbiano affondato con una coppiola di siluri. Forse gli sarebbe costato meno.
La mia unità è tutta incendiata, da prora a poppa, ma però resiste e non affonda; è tutta sbandata sulla dritta ed incominciano ad esplodere le riservette delle mitragliere e dei pezzi.
Alla fine un aereo a bassissima quota sgancia due bombe che colpiscono l'unità al pezzo due ed alla macchina di poppa.
Finalmente è la fine! La Santa Barbara è colpita ed una terribile esplosione sconvolge il mare; il Perseo si impenna come un destriero colpito a morte, si rovescia sulla dritta a chiglia in aria e lentamente di poppa scompare in mare.
Un nodo di pianto mi serra la gola. Rimango per un po' in osservazione del punto in cui il Perseo si è inabissato, e poi mi allontano in cerca di una zattera o di qualcuno, solitario come me, per farci compagnia, perché l'essere soli, di notte, al buio, nell'immensità del mare anche se ci si crede degli eroi, è una sensazione tutt'altro che piacevole, perché nessuno di noi è un eroe, ma è solo il dominio della paura che lo fa diventare uomo e perciò in grado di dominare freddamente tutte le sensazioni comprese anche quelle meno gradevoli e più sconcertanti.
Andando per mare, in tempo di guerra si sapeva che doveva finire cosi, ma un conto è il saperlo ed un altro è il provarlo ed esserne coinvolti.
Dopo circa un quarto d'ora che nuoto, sento che le forze cominciano ad abbandonarmi, ma stringo i denti e cerco di resistere, resistere a tutti i costi.
Nel mentre il Campobasso esplode e salta in aria e dei 101 uomini d'equipaggio e di complemento che aveva a bordo non se ne saprà più niente.
Nessuno di loro si è salvato. Lo scoppio di 10.000 ton. di esplosivo è una cosa apocalittica. Ho la sensazione che mi si squarcino gli intestini. anche se sono ad oltre mezzo miglio di distanza e ho la sensazione che l'esplosione non debba più finire.
Ma come Dio vuole anche quello finisce e mi sento cadere vicini oggetti che non riesco ad identificare, ma che a circa 10 metri da me sollevano notevoli spruzzi.
Passata l'emozione dell'esplosione, sento che le forze stanno abbandonandomi; non riesco a trovare niente a cui aggrapparmi e penso che ormai per me sia finita.
Ho il giubbotto salvagente, ma per poter rimanere sempre con la testa fuori dall'acqua, devo muovere continuamente le gambe, perché altrimenti le ondate mi sommergerebbero ed i crampi avrebbero la meglio sui miei muscoli. Lo spirito di conservazione, innato in ognuno di noi, è in me molto forte e mi aiuta a resistere.
Lasciare la pelle a 19 anni, non ancora compiuti, sarebbe una mezza fregatura. Ad un tratto sento vociare e nuoto verso il punto di provenienza delle voci. Giunto sul posto trovo Pinna, Ceniccola, D'Andrea e Feisino che sono allo stremo delle forze. Cerco di rincuorarli e di confortarli, ma non è che io stia meglio di loro. Sono colto da una forte sonnolenza, provocata probabilmente dalle ore di tensione vissute prima durante e dopo il naufragio.
Ad un certo punto, perdendo i sensi, mi abbandono pensando che sarebbe stata la fine. Una fine abbastanza decente, in mare, mezzo rimbambito e magari poi con una medaglia alla memoria. Ma quest'ultima soluzione mi piaceva poco. Mentre ero già sommerso, mi sento come pizzicare, toccare da sostanze urticanti, ed avere il corpo come attraversato da scosse elettriche che mi ridanno un accenno di risveglio e mi fanno riprendere i sensi.
Non riesco a capacitarmi di cosa mi sia accaduto, ma guardando bene mi accorgo di essere andato a finire in un banco di meduse con ombrelli notevolissimi; (da 1 a 2 metri) e capisco che con le loro sostanze urticanti, attaccandosi con le ventose alla gola mi hanno salvato. Porterò poi i segni di queste sostanze urticanti e delle ventose per diversi anni.
Nel frattempo cerco con lo sguardo i miei compagni che avevo incontrato e vedo solo Pinna. Gli altri non sono più, non hanno resistito alla fatica ed al freddo e sono scomparsi. Mi guardo attorno con al speranza di vedere qualche zattera, ma nel buio della notte non riesco a vedere niente. Essendosi fermato l'orologio quando mi sono tuffato, faccio un breve riferimento agli eventi trascorsi e ritengo che possano essere circa le tre e mezzo, quattro del mattino del 4 Maggio.
Ad un tratto vedo una debole luce davanti a me, distante qualche centinaio di metri, tremolante, ma pur sempre un segno di vita che mi rincuora. Avverto Pinna e nuoto con lui in quella direzione. Colà giunto vedo un gruppo di persone, aggrappate, si fa per dire ad un salvagente a ciambella. Riconosco tra queste Balzano, Todisco, Di bella, Tarantino, Massa, Itri, e l'ufficiale tedesco Gerich. Tanto Pinna che io, appoggiamo una mano sulla ciambella e ci raccontiamo con gli altri quello che abbiamo passato e rimaniamo in attesa di soccorsi dei quali sono molto dubbioso, perché Supermarina non ha seguito le fasi del combattimento e può solo presumere che siamo affondati, ma non ne ha la certezza. Forse all'alba manderà il solito farfallone Cant Z 501 ad ispezionare la zona.
Il tempo trascorre lentamente, più nessuno ha voglia di parlare. Le forze mi stanno abbandonando di nuovo ed ho i crampi alle braccia ed alle gambe. Cerco di darmi un po' di forza con la borraccia dell'anice che ho nel salvagente; Balzano che ha finito la sua mi si avvicina per succhiarne un po'.
Nel frattempo Pinna e Todisco dopo aver invocato con grida strazianti la mamma, scompaiono inghiottiti dalle onde che valuto intorno a forza 5.
Mentre sto per abbandonarmi anch'io in preda ad una sonnolenza invincibile, rivedo il banco delle meduse e mi avvicino a loro come ad un'ancora di salvezza. Tra lo schifo della loro sostanza gelatinosa ed i liquidi urticanti, mi risveglio e riprendo un po' di forze. Dopo una mezz'ora circa andiamo a finire in un banco di nafta e ne ingoio un po', mentre gli occhi incominciano a dolermi essendo anch'essi venuti a contatto con la nafta. Cerchiamo di allontanarci da quella maledetta chiazza, quando alle prime luci dell'alba, vediamo un carley e ci lanciamo tutti in quella direzione.
Tutti riescono a salire, ma per me, più sfinito degli altri non c'è più posto e devo rimanere fuori. appeso alle cime salvavita in una posizione scomodissima. Balzano mi da una mano a rimanere attaccato, perché con il mare così forte, gli strattoni che subiscono le mie braccia sono notevoli. Finalmente, nella zattera, a forza di stringersi riescono a farmi un po' di posto e posso salire anch'io a bordo di quella mezza bagnarola, con il fondo in rete che è il carley appena pitturato in giallo e rosso dai soliti nocchieri.
Passato qualche tempo, saranno circa le sei, avvistiamo il faro di Capo Bon e con i soli due remi disponibili voghiamo in quella direzione, dandoci il cambio quando non ne possiamo più.
Il mare è ancora aumentato e tira un vento freddo che ci intirizzisce, perché ci asciuga la parte dei vestiti dalla cintola in su, che poi vengono ribagnati dalle ondate. Sulla zattera siamo in 18 e dobbiamo continuamente lavorare di schiena per mantenere l'equilibrio, ma purtroppo ogni tanto si rovescia, ed ogni volta che risaliamo dopo averla raddrizzata, qualcuno manca all'appello; siamo sempre in meno e quando ci salveranno saremo solo più 11.
Verso le ore 9 vediamo delle navi che riconosciamo per inglesi; sono le unità della forza K che ci hanno affondato. Le unità si allontanano a forte andatura verso Nord, per ritornare poco dopo seguite da una nave ospedale. I caccia passano vicino alla nostra zattera, ci rendono gli onori, ma noi nel timore che ci vogliano farci prigionieri, voghiamo con tutta la forza dataci dalla disperazione verso il litorale, ma il mare che è in continuo aumento, ci è contrario e ci scarroccia spingendoci verso il largo.
Vedendo i caccia allontanarsi cessiamo di vogare verso la terra e mettiamo la prora sulla nave ospedale che ha già iniziato il recupero dei primi naufraghi ed è ad una distanza che stimo in un paio di miglia da noi.
Dopo qualche ora di attesa, perché il ricupero dei naufraghi è molto lento, vediamo l'ospedaliera rimettere in moto ed allontanarsi da noi abbastanza velocemente.
Non riusciamo a capirne il motivo, siamo avviliti e ormai non abbiamo più nessuna speranza e le nostre sofferenze causate dalla sete e dal bruciore agli occhi sono notevoli.
Calcoliamo dal sole che dovrebbero essere circa le ore 16, quando le nostre speranze di essere salvati rifioriscono in quanto vediamo la nave ospedale ridirigersi su di noi. Sapremo poi che fu il nostromo della nostra nave ad imporsi al comandante dell'ospedaliera per farla tornare indietro in quanto era sicuro che in mare c'erano ancora altri naufraghi.
Il comandante dell'ospedaliera temeva i campi minati - questa fu la scusante che addusse alle accuse di Balzano e mie.
Riprendendo, vediamo una motobarca che ricupera i naufraghi da altre zattere e gli ultimi minuti che trascorriamo prima di essere ricuperati sono interminabili. Gli occhi gonfi mi bruciano terribilmente e non riesco a tenerli aperti. Finalmente una motolancia viene verso di noi, ci ricupera e si avvicina alla nave ospedale " Principessa Giovanna" che tutta bianca, con le luci già accese, sembra un' oasi di pace dopo quello che abbiamo passato.
Siamo issati a bordo con una rete come dei pesciolini e scaricati in coperta.
Di lì vengo condotto nei ponti inferiori, dove crocerossine, infermieri e medici si prendono cura di me e degli altri naufraghi.
Vengo portato in una camera con poche cuccette ed i miei compagni salvati per primi da oltre sei ore vengono a trovarmi subito ed apprendo da loro che ben 130 dei nostri compagni sono scomparsi in mare.
Prima di scrivere quello che succederà sulla nave ospedale, voglio citare dal volume " Le torpediniere italiane" edito a Roma nel 1964 dall'ufficio storico della marina militare, l'ultimo paragrafo della pagina dedicata al Perseo.
" La torpediniera andò perduta nella notte del 4 Maggio 1943 presso le coste Tunisine in strenua difesa del piroscafo Campobasso, da essa scortato, che fu attaccato da tre cacciatorpediniere britannici; la Perseo si lanciò subito all'attacco ma fu centrata da una salva che la immobilizzò producendone vie d'acqua; sotto il martellante fuoco avversario la torpediniera continuò a sparare finché non scomparve nei flutti. Il tenace valore della Perseo ebbe immediato riconoscimento da parte avversaria e costituisce uno tra i più eroici episodi della guerra sul mare; alla memoria del comandante di questa intrepida unità fu poi decretata la medaglia d'oro al valore militare."
Chiudo così con questa citazione, la narrazione dell'affondamento della Regia Torpediniera Perseo, elevando commosso ricordo a tutti i compagni caduti ed un abbraccio ai superstiti.
Narrerò quindi della dolorosa storia della Nave Ospedale "Principessa Giovanna", dalle ore 18 del 4 Maggio alle ore 17 del 7 maggio 1943 nell'angiporto di Trapani.
Dopo averci tratto in salvo, la Nave Ospedale, fece rotta su Tunisi che nella notte fra il 4 ed il 5 Maggio 1943 era caduta in mano agli alleati.
Ricordo vagamente, data la prostrazione fisica in cui mi trovavo che a bordo ci fu un sopralluogo di una Commissione alleata per controllare i feriti ed il carico della nave.
Subito dopo fu concesso l'imbarco ad un numeroso gruppo di civili italiani composto per lo più da donne e bambini.
Verso le 7 del mattino salpammo diretti a Napoli. Verso le 9, Zolezzi e Balzano, vennero a prendermi per portarmi sul ponte a prendere un po' d'aria e mi sistemarono su di una sdraio. Ad un tratto vedemmo sbucare all'improvviso due aerei inglesi tipo Curtiss p40 che fecero delle evoluzioni sulla nave ospedale.
Saranno state circa le ore 10, e mi ricordo che stavamo commentando le varie capriole degli aerei dicendo che finalmente eravamo al sicuro, protetti dalla croce rossa della "Principessa Giovanna".
Ad un tratto quei due aerei si buttarono in picchiata su di noi, mitragliando e sganciando delle bombe.
Fecero diversi passaggi e due bombe ci colpirono - una di esse fece fuori una macchina ed una caldaia, mentre l'altra distrusse parzialmente i depositi d'acqua dolce. Molti civili, tra i quali diversi bambini furono uccisi o feriti e tra questi perirono alcuni del Perseo tra i quali mi sovviene solo il nome dell'aiuto cuoco Udovicich, che cercando di prestare aiuto ai civili e di spegnere l'incendio a poppa, venne colpito da una raffica di mitragliera.
Il caos a bordo era indescrivibile; la nave era sbandata sulla sinistra, la velocità era di nemmeno tre nodi, ma in compenso il fuoco era stato spento dai superstiti della Perseo, in quanto l'equipaggio della nave ospedale, non abituato ad azioni di guerra, era completamente disorientato. Mi ricordo che essendo scalzi, avevamo paura di tagliarci perché tutte le vetrate erano saltate.
Dopo la loro splendida e valorosa azione i caccia inglesi si erano dileguati.
Noi ritornammo alle nostre cabine, quando il comandante in seconda dell'ospedaliera venne a chiedere se c'era qualcuno che si intendeva di rotte e di navigazione.
Balzano ed io ci dichiarammo disposti a collaborare purché ci dessero degli zoccoli ed una cappotta.
Fu subito provveduto e ci accompagnarono in plancia. Il comandante ci disse che data la situazione della nave, poteva arrivare a malapena fino a Trapani e che la rotta che lui conosceva, per evitare i campi minati era quella per Napoli. Eravamo noi in condizione di portare la nave a Trapani?
Io, che avevo maggior memoria visiva di Balzano, mi misi al tavolo da carteggio e ricordandomi sia la carta Mirafiori con tutti i campi minati, italiani, tedeschi, inglesi, francesi e americani e memore di aver tracciato le rotte del Perseo in precedenti navigazioni, misi sulla carta nautica la rotta migliore di sicurezza che poi discussi con Balzano che era ancora un po' stordito.
Così, alternandoci in plancia di quattro in quattro ore, Balzano ed io, senza mangiare e bere nel giro di 60 ore,riuscimmo a portare la "Principessa Giovanna" vicino all'imboccatura del porto di Trapani.
Vennero sottobordo dei rimorchiatori che ci portarono in banchina e sbarcarono anche morti e feriti.
Tranne Balzano ed io che eravamo rimasti in pigiama bianco e sporco di nafta, tutti gli altri erano stati vestiti. Questo fu il guadagno che facemmo per aver portato in salvo la "Principessa Giovanna".
Dalla banchina, passo dopo passo, arrivammo al Comando Marina, dove, secondo la nostra organizzazione nessuno li aveva avvisati del nostro arrivo e solo dopo le 22 riuscimmo a fare un pasto decente.
In compenso non c'era posto da dormire e ci sistemammo sulle panche e sui tavoli del refettorio, dove, tra un allarme e l'altro, arrivò il mattino radioso dell'8 Maggio 1943 che doveva segnare l'inizio del nostro meritato riposo.
  
Il capitano di corvetta Saverio Marotta (USMM)

La motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di corvetta Saverio Marotta, nato a Falconara Marittima (Ancona) il 4 settembre 1911:

"Comandante di torpediniera in missione di scorta a nave trasporto, avvistata di notte forza navale soverchiante che muoveva all'attacco della formazione, con fredda determinazione ed indomito ardimento impegnava la sua unità nel contrattacco pur sotto il preponderante, intenso e preciso tiro concentrato delle artiglierie nemiche, tentandone per due volte il siluramento.
Lanciati tutti i siluri, nonostante la sua unità fosse stata irrimediabilmente colpita, rispondeva all'offesa avversaria col fuoco di tutte le armi di bordo fino a che la torpediniera, crivellata dai colpi e ridotta ad informe relitto, veniva affondata. Con un braccio asportato da un obice, quasi dissanguato, trovava - in disperato appello alle residue energie - la forza di impartire ai pochi superstiti l'ordine di abbandonare la nave, e si abbatteva svenuto. Ripresa conoscenza su di un battello su cui era stato trasportato dai suoi uomini, si faceva riportare a bordo - tra i caduti - per dividere con essi la sorte dell'unità che, nuovamente colpita, esplodeva affondando.
Luminoso esempio di indomabile spirito combattivo e di altissime virtù militari.
Mediterraneo Centrale, 4 maggio 1943".


Lapide alla memoria del comandante Marotta apposta nel 1985 nella Caserma "Marotta" di Ancona, sede di Quartgenmarina Ancona (da www.pietredellamemoria.it)

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del cannoniere puntatore mitragliere Carlo Fiore, nato a Paliano (Frosinone) il 16 luglio 1920:

"Puntatore di mitragliera su silurante, in violento scontro navale contro soverchianti forze avversarie di superficie, avendo il fuoco nemico spazzato ed incendiato la coperta e inutilizzato tutte le armi di bordo — meno la sua — con mirabile ardimento continuava imperterrito l’azione riuscendo a centrare ed a spegnere uno dei proiettori nemici. Colpito da scheggia, si abbatteva sulla propria arma offrendo alla Patria il supremo olocausto.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo radiotelegrafista Mario Pregliasco, nato a Novi Ligure (Alessandria) il 12 gennaio 1915:
                                                                                                                 
"Capo radiotelegrafista ed ecogoniometrista di torpediniera, nel corso di rischiosa missione di scorta, malgrado l'intenso fuoco che colpiva ed irrimediabilmente incendiava l'unità, provvedeva a ripristinare con mezzi di fortuna la stazione Rt. Mentre d'iniziativa si recava in plancia per informare l'ufficiale di rotta della riattivazione delle comunicazioni radio, cadeva colpito a morte.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio Navale Giuseppe Musmeci, nato ad Acireale (Catania) il 9 aprile 1912:
                                                                                                                 
"Direttore di macchina di torpediniera, nel corso di rischiosa missione di scorta, colpita ed irrimediabilmente incendiata l’unità dal fuoco concentrato di soverchiante forza navale avversaria, si adoperava, con coraggio e perizia, per il tamponamento di una falla nel locale macchine. Per effetto di altri colpi nemici, cadeva al suo posto di combattimento nell’adempimento del dovere sempre serenamente compiuto.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottotenente di vascello Romualdo Balzano, nato a La Maddalena (Sassari) il 5 febbraio 1919:
                                                                                                                 
"Ufciale di rotta di torpediniera in missione di scorta a nave trasporto, attaccata nottetempo da soverchiante forza navale nemica, coadiuvava validamente il comandame che portava per ben due volte la torpediniera all’attacco. Colpita l’unità dal tire nemico che metteva fuori combattimento la quasi totalità degli ufficiali, ne assumeva il comando e rispondeva all’offesa avversaria fino a quando la nave, crivellata dai colpi, veniva sopraffatta. Abbandonata l’unità, dirigeva con calma e perizia le operazioni di salvataggio dei superstiti.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943".
 
Romualdo Balzano in una foto del dopoguerra, con i gradi di ammiraglio. Durante la seconda guerra mondiale fu decorato in totale con due Medaglie di Bronzo al Valor Militare e tre Croci di Guerra al Valor Militare; dopo il conflitto proseguì la carriera in Marina e raggiunse il grado di ammiraglio di squadra. Fu nominato Padrino del Corso "Perseo" degli Allievi della Scuola Sottufficiali M.M. di La Maddalena. Morì il 5 luglio 1999 nella natia La Maddalena, all’età di 80 anni (da www.guardiavecchia.net).

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina Gerolamo Todisco, nato a Lodi (Milano) l’11 novembre 1920:

"Sottordine all’Ufficiale di rotta di torpediniera, partecipava a numerose azioni di guerra che si concludevano con l’affondamento di due sommergibili nemici. Durante combattimento contro forze navali nemiche soverchianti, durante il quale l’unità affondava, era di esempio all’equipaggio per senso del dovere e noncuranza del pericolo.
Abbandonava la nave fra gli ultimi dopo aver soccorso i superstiti e scompariva fra le onde facendo olocausto della vita alla Patria.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943"

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello Levino Ferrara, nato a Ortona a Mare (Chieti) il 13 marzo 1914:

"Ufficiale in 2a di torpediniera, compiva numerose missioni di guerra che si concludevano con l’affondamento di due sommergibili nemici. Nel corso di difficilissima missione di scorta, scompariva gloriosamente in mare con l’unità colpita irrimediabilmente da preponderanti forze navali
nemiche.
Canale di Sicilia, 4 maggio 1943".

Un’altra foto della Perseo (g.c. Stefano Cioglia)