martedì 25 aprile 2017

Giove

La Giove a La Spezia nel primo dopoguerra (g.c. STORIA militare)

Nave cisterna per nafta della classe Nettuno (10.313 tonnellate di dislocamento, 5211 tonnellate di stazza lorda e 2857 tonnellate di stazza netta), lunga 121,6 metri, larga 15,5 e pescante 8,6, con velocità di 14,5 nodi. Armata con 6 cannoni da 57/43 mm (per altra fonte, due da 120/45 mm).
Appartenente alla Regia Marina, ma in gestione alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione Garibaldi, con sede a Genova, ed iscritta con matricola 2172 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

7 maggio 1914
Impostata nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo per la Regia Marina.
23 dicembre 1916
Varata nei Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
1916
Viene radiata, con decreto legge, dal quadro del Regio Naviglio, e trasferita al servizio delle Ferrovie dello Stato.
Gennaio 1917
Entrata in servizio; appartiene alla Regia Marina, ma inizialmente (ed almeno fino al luglio 1918) presta servizio per le Ferrovie dello Stato. In origine la stazza lorda e netta sono rispettivamente 5088 (o 5037) tsl e 2614 tsn.
Durante la prima guerra mondiale, la Giove viene impiegata con altre navi (la gemella Nettuno; Bronte e Sterope, di costruzione prebellica; Prometeo, sequestrata; Margaretha, noleggiata; Girolamo Ulloa e Luciano Manara, ex austroungariche catturate), nell’approvvigionamento dei carburanti per la Regia Marina. Non essendo più possibile rifornirsi di nafta dalla Romania, come invece in tempo di pace, a seguito della chiusura dello stretto dei Dardanelli (l’Impero Ottomano è ora nazione nemica), la Giove e le altre petroliere fanno la spola tra l’Italia e le Americhe, imbarcando il carburante oltreoceano per poi portarlo in patria.
13 luglio 1918
La Giove viene silurata e danneggiata dal sommergibile tedesco UC 20 (tenente di vascello Heinrich Kukat) al largo di Capo Colonne. Il sommergibile la colpisce con un singolo siluro, durante un’azione eseguita in superficie; la petroliera rimane però a galla.
Le riparazioni verranno effettuate nell’Arsenale di Taranto; l’inutilizzazione della Giove, insieme alla perdita di Sterope e Prometeo, affondate nello stesso periodo da U-Boote tedeschi (la Prometeo il 18 marzo 1918 e la Sterope il 7 aprile, entrambe dall’U 155), causerà una temporanea crisi negli approvvigionamenti di carburante della Regia Marina, provocando una riduzione nelle scorte e rendendo necessaria la cessione di nafta da parte della Royal Navy.
1926
Affidata in gestione alla Cooperativa Garibaldi di Genova, società che gestisce buona parte del naviglio ausiliario della Marina. La maggior parte dell’equipaggio è composta da marittimi civili.
17 ottobre 1930
Temporanea sospensione dell’iscrizione della Giove nei quadri del Regio Naviglio, con regio decreto.
15 dicembre 1930
Reiscrizione della Giove nei quadri del Regio Naviglio, con regio decreto.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, la Giove si trova a Massaua, in Eritrea (Africa Orientale Italiana), sul Mar Rosso. Formalmente, essa fa parte del naviglio ausiliario autonomo, alle dirette dipendenze di Supermarina; nei fatti, seguirà la sorte delle navi del Comando Superiore Navale Africa Orientale.

Autoaffondamento, recupero, epilogo

Le sorti del naviglio italiano in Africa Orientale sono già state diffusamente descritte nelle pagine riguardanti altre navi perdute in Eritrea. Dopo gli iniziali successi del luglio-agosto 1940 (conquista della Somalia britannica, di Moyale e Buna in Kenya e di Cassala in Sudan) le truppe italiane in Africa Orientale, a corto di risorse e nell’impossibilità di ricevere rifornimenti, dovettero passare sulla difensiva; agli inizi del 1941 le truppe del Commonwealth passarono all’offensiva, mentre si scatenava anche l’insurrezione dei guerriglieri etiopi (“Arbegnoch”, cioè “patrioti”). Riconquistato in breve tempo il terreno perso in Kenya e Sudan, i britannici occuparono la Somalia italiana nel febbraio 1941 ed avanzarono nell’Etiopia meridionale; le sorti dell’Eritrea si decisero nella lunga battaglia di Cheren (2 febbraio-27 marzo 1941), che vide infine i britannici vincitori.
Superate l’ultima resistenza italiana a Cheren, all’inizio di aprile la 5a Divisione Indiana puntò su Massaua. Comandante della piazzaforte era il contrammiraglio Mario Bonetti, che aveva ai suoi ordini 10.000 uomini ed un centinaio di carri armati (nella quasi totalità, i mediocri M11/39 o gli ancor peggiori L3); era evidente che la resistenza della base navale, ormai del tutto isolata, sarebbe potuta durare soltanto qualche giorno, e che la sorte delle navi che vi fossero rimaste sarebbe stata la cattura o l’autoaffondamento.
Le navi dotate di autonomia sufficiente per affrontare una traversata oceanica erano state fatte partire tra febbraio e marzo (quattro sommergibili, la nave coloniale Eritrea, gli incrociatori ausiliari RAMB I e RAMB II ed otto mercantili), dirette in Francia od in Giappone; il 2 aprile i residui cinque cacciatorpediniere della III e V Squadriglia partirono per una missione senza ritorno contro Porto Sudan. Uno di essi, il Daniele Manin, aveva a bordo come mezzo di salvataggio supplementare la lancia di salvataggio IA 46326, appartenente alla Giove e ceduta al Manin prima della partenza: tanto, alla Giove non sarebbe più servita, mentre era prevedibile che l’equipaggio del Manin avrebbe terminato la sua navigazione sui mezzi di salvataggio. Su questa scialuppa, dopo l’affondamento del Manin ad opera di aerei britannici, si sarebbero infatti salvati 42 naufraghi del cacciatorpediniere (tra di essi anche Eugenio Tealdi, ex primo ufficiale civile della Giove, che allo scoppio della guerra era stato richiamato in Marina col grado di guardiamarina ed imbarcato sul Manin), raggiungendo la costa araba dopo sette estenuanti giorni di navigazione.
Tutte le altre navi, non in grado di raggiungere terre amiche o neutrali (perché sprovviste di autonomia sufficiente, oppure perché in cattive condizioni dopo mesi e mesi di sosta nel porto di Massaua) né di arrecare danno al nemico, si sarebbero dovute autoaffondare per non cadere intatte in mano nemica, e per bloccare al contempo il porto. Tra queste era anche la Giove.

Il generale britannico Lewis Heath, comandante della 5a Divisione Indiana, telefonò all’ammiraglio Bonetti per mandargli un ultimatum: doveva arrendersi ed astenersi dal bloccare il porto mediante l’autoaffondamento di navi; in caso contrario, i britannici non avrebbero fornito alcuna assistenza o protezione ai cittadini italiani in Eritrea ed Etiopia, una volta terminata la campagna.
Bonetti rifiutò, e mise in atto il suo piano per rendere il porto di Massaua inutilizzabile il più a lungo possibile: fece disporre le navi lungo le tre imboccature del porto, e qui le fece autoaffondare, creando altrettante barriere con i loro relitti. Ricevettero ordine di autoaffondarsi all’imboccatura del porto militare i mercantili italiani Moncalieri e XXIII Marzo, il piroscafetto Impero, il mercantile tedesco Oliva, due bacini galleggianti ed il relitto devastato della vecchia torpediniera Giovanni Acerbi; si dovettero autoaffondare all’imbocco del porto commerciale il mercantile italiano Adua, il posamine Ostia, un pontone gru, i mercantili tedeschi Gera e Crefeld; all’accesso del porto meridionale si autoaffondarono i piroscafi italiani Brenta, Vesuvio ed Alberto Treves, la cisterna militare Niobe, i piroscafi tedeschi Liebenfels e Frauenfels, il transatlantico italiano Colombo.
Gli italiani, che avevano trasformato da Massaua da piccolo porto dedito al commercio di schiavi in una delle maggiori basi navali del Mar Rosso, si sfogarono ora su di essa in una vera e propria frenesia distruttiva, cercando di rendere inservibile qualsiasi cosa che sarebbe potuta tornare utile ai britannici. Oltre alle navi destinate a bloccare gli accessi del porto, si autoaffondarono qua e là, per bloccare le banchine, anche la torpediniera Vincenzo Giordano Orsini (dopo aver sparato contro le colonne britanniche in avanzata fino all’esaurimento delle munizioni), le piccole cannoniere Giuseppe Biglieri e Porto Corsini, i vecchi MAS 204, 206, 210, 213 (che aveva appena silurato l’incrociatore leggero HMS Capetown) e 216, i rimorchiatori militari Formia, San Giorgio e San Paolo; e, appunto, la Giove. Su alcune delle navi, per complicarne il recupero, vennero collocate anche delle trappole esplosive, mentre altre vennero collocate a terra. Attrezzature ed installazioni portuali vennero sabotate, ed ingenti quantità di equipaggiamento militare e persino diversi carri armati vennero gettati nelle acque del porto per impedirne la cattura.
Un altro gruppo di navi mercantili ed ausiliarie, trasferitosi nel vicino arcipelago delle Dahlak, si autoaffondò tra quelle isole, in acque più profondo; solo le cisterne per acqua Sile, Sebeto e Bacchiglione vennero risparmiate dall’autodistruzione, perché potessero continuare a servire ai bisogni della popolazione civile anche dopo l’occupazione britannica.
Le prime navi italiane iniziarono ad autoaffondarsi il 3 aprile 1941; il 5 aprile la 7a Brigata Indiana si congiunse con la Briggs Force, proveniente da Port Sudan, fuori Massaua. I britannici inviarono a Bonetti una nuova intimazione di resa, che venne nuovamente respinta; l’8 aprile un primo attacco contro la piazzaforte da parte della 7a Brigata Indiana venne respinto, ma un contemporaneo attacco della 10a Brigata Indiana, supportato da carri armati del 4th Royal Tank Regiment, riuscì a sfondare le difese italiane sul lato occidentale del perimetro. Attacchi da parte di reparti della Francia Libera sopraffecero le posizioni italiane sul lato sudoccidentale, mentre gli aerei britannici – che avevano ormai il dominio incontrastato dei cieli – bombardavano le postazioni d’artiglieria italiane.
Nel pomeriggio dell’8 aprile, Massaua si arrese, ed i britannici entrarono nel porto, in uno scenario di devastazione caratterizzato da relitti di navi (e carri armati) disseminati ovunque.
È da rilevare che secondo alcune fonti (compreso “Navi mercantili perdute” dell’USMM, non sempre corretto) la Giove non si sarebbe autoaffondata a Massaua, bensì nelle isole Dahlak (precisamente, nel Golfo del Gubbet o presso l’isola di Nocra); ma a fugare ogni dubbio in proposito è un filmato propagandistico della British Pathé, girato da cineoperatori britannici poco dopo la presa di Massaua. Nel filmato la Giove appare chiaramente tra le navi autoaffondate in tale porto, ormeggiata lungo il molo principale in assetto di navigazione, apparentemente non molto danneggiata e ben alta sull’acqua, tanto non sembrare neanche affondata (presumibilmente perché adagiata su un fondale poco profondo). L’autoaffondamento sarebbe avvenuto, a seconda delle fonti, il 4 o l’8 aprile 1941.
 
La Giove autoaffondata all’ormeggio, ma ancora alta sull’acqua per via del basso fondale, in un filmato britannico girato dopo la presa di Massaua (British Pathé – Youtube).
Il relitto della Giove dopo la caduta di Massaua. L’unità in secondo piano è probabilmente la motonave Arabia (Imperial War Museum)

Gli equipaggi delle navi autoaffondate vennero inizialmente internati dai britannici in Eritrea, ma molti di essi incontrarono successivamente un tragico destino: il 16 novembre 1942 molti dei marittimi, insieme ad altri civili italiani internati in Africa Orientale ed ad alcuni prigionieri di guerra pure italiani, furono imbarcati sul piroscafo britannico Nova Scotia, che avrebbe dovuto trasportarli in Sudafrica, verso nuovi campi di prigionia. Il 28 novembre, il Nova Scotia venne silurato dal sommergibile tedesco U 177 ed affondò in soli dieci minuti a sudest di Lourenço Marques. Molti affondarono con la nave, molti altri scomparvero nell’oceano, annegati, periti di stenti, o divorati dagli squali; le salme di oltre 120 uomini furono portate dalle onde sulle spiagge del Sudafrica, e sepolte in fosse comuni. L’U 177, pur avendo scoperto di aver affondato una nave carica di italiani (alleati della Germania), dovette allontanarsi senza soccorrere nessuno (tranne due marittimi italiani) in ottemperanza alle disposizioni da poco impartite (di non prestare soccorso ai naufraghi) a seguito di un attacco aereo subito due mesi prima dall’U 156 mentre era intento al salvataggio dei superstiti del piroscafo Laconia, anch’esso carico di prigionieri italiani.
Solo il 30 novembre giunse sul posto l’avviso portoghese Alfonso De Albuquerque, che trasse in salvo 181 o 194 superstiti, tra cui 117 o 130 internati italiani, che sbarcò in Mozambico. Non ebbero la stessa fortuna altri 655 internati italiani, che scomparvero in mare insieme a 88 guardie sudafricane, 107 membri dell’equipaggio britannico e tredici passeggeri (cinque civili ed otto militari).
Tra le vittime del Nova Scotia vi furono anche due marinai della Giove. Oltre a loro, almeno altri due membri dell’equipaggio della Giove non fecero più ritorno dalla prigionia: il marinaio civile Umberto Mattei, di La Spezia, rimasto in Africa Orientale, vi morì il 18 luglio 1943; l’ufficiale di macchina Mattia Viola, di Usini (Sassari), anch’egli un marittimo civile, morì in prigionia in Algeria il 26 aprile 1944.

Trovandosi adagiata in acque particolarmente basse, la Giove fu una delle prime navi a divenire oggetto delle attenzioni dei recuperati britannici incaricati di rimettere a galla le navi e sgombrare il porto per renderlo nuovamente utilizzabile. Di tale lavoro fu inizialmente incaricato Joseph Russel Stenhouse, ufficiale della Royal Navy che aveva all’attivo la partecipazione, nel 1915-1916, alla spedizione antartica di Ernest Shackleton (durante la quale aveva comandato il panfilo di supporto Aurora, rimasto intrappolato tra i ghiacci per dieci mesi) e poi alla prima guerra mondiale, durante la quale era stato più volte decorato. Congedato nel 1931, era tornato in servizio attivo allo scoppio della seconda guerra mondiale; avendo già esperienza di recuperi navali, effettuati durante gli anni Venti, Stenhouse fu chiamato a Massaua subito dopo la presa del porto, e lasciò l’Inghilterra all’inizio di aprile.
Giunto a Massaua, Stenhouse si mise subito all’opera sulla Giove, che venne rimessa in condizioni di galleggiamento, a seconda delle fonti, il 20 giugno 1941 od all’inizio di settembre dello stesso anno. La Giove fu la prima nave recuperata da Stenhouse a Massaua, ed anche l’ultima: il 12 settembre 1941, infatti, Stenhouse trovò la morte in Mar Rosso nell’affondamento del rimorchiatore Tai Koo, saltato su una mina.
Quanto alla Giove, venne riparata e trasferita, nel 1942, al Ministry of War Transport britannico, che le diede il nuovo nome di Empire Trophy, la registrò a Londra e la diede in gestione alla British Tanker Company Ltd.

Sotto il nuovo nome, la nave riprese a navigare con bandiera britannica, prendendo parte a numerosi convogli: il BP 68 (Bombay-Bandar Abbas, febbraio 1943), il PA 27 (Bandar Abbas-Aden, 3-10 marzo 1943), l’AP 24 (Aden-Bandar Abbas, 13-19 marzo 1943), il PB 34 (Bandar Abbas-Bombay, 4-10 aprile 1943), il BP 76 (Bombay-Bandar Abbas, aprile 1943), il PA 37 (Bandar Abbas-Aden, 4-11 maggio 1943), l’AP 31 (Aden-Bandar Abbas, 18-25 maggio 1943), il PB 44 (Bandar Abbas-Bombay, 12-18 giugno 1943), il BM 54A (Bombay-Colombo, 20-25 giugno 1943), l’MB 39 (Colombo-Bomvay, 28 giugno-2 luglio 1943), il BP 86 (Bombay-Bandar Abbas, 5-10 luglio 1943), il PB 49 (Bandar Abbas-Bombay, 22-28 luglio 1943), il BM 58 (Bombay-Colombo, 30 luglio-4 agosto 1943), l’MB 43 (Colombo-Bombay, 5-10 agosto 1943), il BP 91 (Bombay-Bandar Abbas, 14-19 agosto 1943), il PB 55 (Bandar Abbas-Bombay, 8-14 settembre 1943), il BP 95 (Bombay-Bandar Abbas, 16-23 settembre 1943), il PB 58 (Bandar Abbas-Bombay, 2-8 ottobre 1943), il BP 101 (Bombay-Bandar Abbas, 1-6 novembre 1943), il PB 64 (Bandar Abbas-Bombay, 19-26 novembre 1943), il BM 76 (Bombay Colombo, 27 novembre-2 dicembre 1943), il JC 28 (Colombo Calcutta, 3-12 dicembre 1943), il CJ 15 (Calcutta Colombo, 4-12 febbraio 1944), l’MB 65 (Colombo-Bombay, 13-18 febbraio 1944), il PA 72 (Bandar Abbas-Aden, 10-16 marzo 1944), l’AP 66 (Aden-Bandar Abbas, 29 marzo-5 aprile 1944), il PB 76 (Bandar Abbas-Bombay, 20-25 aprile 1944).
Il 2 settembre 1944 l’Empire Trophy giunse a Bombay dal Golfo Persico con problemi alle caldaie, e venne messa in disarmo. Non tornò più in mare: dopo due anni e mezzo di disarmo, nel marzo 1947 la nave venne portata ad incagliare e spogliata di ogni materiale che potesse tornare utile, poi venne demolita a Bombay. La Marina italiana l’aveva radiata ufficialmente dai propri quadri solo il 18 ottobre 1946.
 
Un’altra immagine del relitto della Giove a Massaua, dal medesimo filmato (British Pathé – Youtube).


mercoledì 19 aprile 2017

Onice

L’Onice, in primo piano, insieme ad altri sommergibili (da www.xmasgrupsom.com)

Sommergibile di piccola crociera della classe Perla (dislocamento di 680 tonnellate in superficie, 844 in immersione).
Durante il periodo di guerra contro gli Alleati (10 giugno 1940-8 settembre 1943) effettuò 36 missioni (20 offensive, 14 di trasferimento e 2 di agguato protettivo), percorrendo in tutto 22.693 miglia in superficie e 5206 in immersione, e trascorrendo 251 giorni in mare; nel periodo della cobelligeranza con gli Alleati (settembre 1943-settembre 1945) svolse 128 missioni addestrative.

Breve e parziale cronologia.

27 agosto 1935
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
15 giugno 1936
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano.

Il varo dell’Onice (da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, Roma 1999, via www.betasom.it

1° settembre 1936
Entrata in servizio. Assegnato alla XXXIV Squadriglia Sommergibili, con base a Messina; inizia un periodo di addestramento a ritmo serrato.


Onice, Ambra, Iride e Malachite durante l’allestimento al Muggiano (sopra: da “Gli squali dell’Adriatico” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999; sotto: da “OTO 1939” via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net). In entrambe le foto l’Onice è il terzo sommergibile da sinistra.



1937
Compie una lunga crociera d’addestramento in Mar Tirreno, Mar Ionio e Dodecaneso.
12 agosto 1937
Salpa da Napoli, al comando del tenente di vascello Mario Ricci, per effettuare una missione clandestina al largo di Tarragona, nell’ambito della guerra civile spagnola.
Durante la missione lancia infruttuosamente due siluri contro una petroliera.
27 agosto 1937
Termina la missione rientrando a Napoli.
Settembre 1937
Scoppia la "crisi dei sommergibili fantasma": si scatenano a livello internazionale – non solo dalla Spagna repubblicana, ma anche dal Comitato di Non Intervento e dalla Società delle Nazioni – violente proteste per gli attacchi illegali da parte di sommergibili italiani (ufficialmente "non identificati", perché operano clandestinamente e senza segni di riconoscimento, ma tutti ne intuiscono la vera identità) contro il naviglio spagnolo repubblicano ed anche il naviglio mercantile di altri Paesi (specialmente quello sovietico, che trasporta rifornimenti per i repubblicani). Il 10 settembre i rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, URSS, Bulgaria, Jugoslavia, Egitto, Grecia, Turchia e Romania danno il via alla conferenza di Nyon, tenuta nell’omonima località della Svizzera e durata quattro giorni: al termine della conferenza, viene stabilito che le Marine francesi e britannica pattuglieranno le acque internazionali del Mediterraneo con un totale di 60 cacciatorpediniere nonché forze aeree, e che ogni sommergibile "pirata" (non si menziona esplicitamente l’Italia) che attaccherà naviglio neutrale dovrà essere attaccato e distrutto. All’Italia, che ha rifiutato di partecipare per via di una controversia in corso con l’Unione Sovietica, viene offerta la possibilità di pattugliare il Mar Tirreno.
I comandi italiani decidono allora di sospendere l’offensiva subacquea in corso (effettuata clandestinamente, ed illegalmente, dato che l’Italia non è un Paese belligerante). Dietro pressione della Marina franchista, che chiede insistentemente che la campagna riprenda o che altri sommergibili (in aggiunta ai due, Archimede e Torricelli, già ceduti ai falangisti) siano ceduti alla loro Marina, si decide una soluzione di compromesso: "prestare" alcune unità subacquee alla Marina nazionalista spagnola.
Per questo motivo, si decide di trasferire temporaneamente quattro sommergibili italiani alla Legione Spagnola (Legión Española o Tercio de Extranjeros), la legione straniera dell’Esercito spagnolo, schieratasi con i nazionalisti di Francisco Franco: l’Onice è uno dei quattro battelli scelti.
17 settembre 1937
Lascia La Maddalena diretto a Soller (Maiorca).
23 settembre 1937
Arriva a Soller. Qui, posto alle dirette dipendenze dell’ammiraglio spagnolo Francisco Moreno (comandante in capo della Marina franchista), viene ribattezzato Aguilar Tablada, con sigla L. 4 ("L" indica appunto "legionario"; per altre fonti, l’Onice avrebbe assunto dapprima il nome di Aguilar Tablada e poi quello di L. 4); mantiene tuttavia comandante (tenente di vascello Mario Ricci), stato maggiore ed equipaggio italiano, ma con uniformi, gradi ed insegne spagnole (formalmente gli equipaggi risultano arruolati nel "Tercio") e "consulenti" spagnoli a bordo (sull’Onice, solo un ufficiale di collegamento). La convivenza con gli spagnoli, inizialmente, non è delle più amichevoli, con incomprensioni che si riuscirà poi a superare.
Gli altri tre sommergibili italiani trasferiti al "Tercio" sono Iride/Gonzalez Lopez, Galileo Galilei/General Mola II e Galileo Ferraris/General Sanjurio II. Tutti e quattro sono dislocati a Soller; tra di essi, l’Onice/Aguilar Tablada sarà il primo a divenire operativo, prestando servizio nel "Tercio" per quattro mesi, con tre missioni svolte.
Gli accordi presi tra Marina italiana e Marina spagnola franchista prevedono che ciascun sommergibile "legionario" effettui mediamente una missione ogni 24 giorni, con agguati di 8 giorni; cause contingenti impediranno di attenersi strettamente a tale decisione.
Le regole per le missioni dei sommergibili "legionari" sono molto restrittive, per evitare incidenti: non attaccare nessuna nave non spagnola repubblicana al di fuori delle acque territoriali spagnole; non attaccare nessuna nave di bandiera straniera al di fuori delle acque territoriali; non attaccare mai, nemmeno dentro le acque territoriali, navi britanniche, francesi, statunitensi e giapponesi.
8-18 ottobre 1937
Prima missione sotto bandiera "legionaria", al comando del tenente di vascello Ricci (ufficiale di collegamento spagnolo è il tenente di vascello Alvarez-Osorio), dapprima tra Benidorm ed Alicante (fino al 12 ottobre) e poi al largo di Cartagena. La mancanza di risultati (si sono presentate varie occasioni per attaccare, tutte sfumate per vari motivi, con spreco di siluri lanciati a vuoto) porta il comandante del gruppo dei sommergibili legionari, Francesco Baslini, ed il capo della missione navale italiana in Spagna, Ferretti, a criticare la condotta del comandante Ricci, mettendone in dubbio la perizia.

Un’immagine dell’Onice con colorazione mimetica (da www.marina.difesa.it, via Marcello Risolo e www.betasom.it)

2-11 novembre 1937
Seconda missione "legionaria", nelle acque di Tarragona; lo comanda ora il capitano di corvetta Alfredo Criscuolo. Lancia infruttuosamente un siluro contro un piroscafo; avarie all’ecoscandaglio ed agli idrofoni lo costringono a raggiungere Cagliari per le riparazioni.
Successivamente, terminate le riparazioni, lascia Cagliari e torna al servizio del "Tercio".
31 gennaio-4 febbraio 1938
Terza ed ultima missione "legionaria", al comando del tenente di vascello Manlio Petroni, al largo di Tarragona.
Il 21 gennaio il sommergibile franchista General Sanjurjo (ex italiano Torricelli) ha affondato il piroscafo britannico Endymion, sollevando una nuova ondata di proteste internazionali; in conseguenza di ciò, la Marina italiana decide di aderire alfine agli accordi di Nyon, e di riappropriarsi dei sommergibili "legionari".
5 febbraio 1938
Lascia Soller e torna in Italia.
Finisce così la sua carriera di sommergibile "legionario"; restituito alla Regia Marina, riassume il nome di Onice.
1939
Dislocato a La Spezia, e più tardi nello stesso anno a Massaua in Mar Rosso (Eritrea, Africa Orientale Italiana) insieme ai gemelli Iride e Berillo.
1940
Rientra in Italia; dislocato a Messina.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Onice fa parte della XIII Squadriglia Sommergibili (I Grupsom di La Spezia), insieme ai gemelli Gemma e Berillo. Lo comanda il capitano di corvetta Gustavo Lovatelli, che rimarrà al comando dell’Onice fino all’ottobre 1942.
Nella fase iniziale del conflitto effettua alcune infruttuose missioni esplorative nel Canale di Sicilia, senza mai avvistare unità nemiche.
28 settembre 1940
In manovra nel porto di Messina, entra in collisione con l’avviso veloce Diana, restando danneggiato; le riparazioni vengono compiute nei Cantieri del Quarnaro di Fiume.
Terminate le riparazioni, verrà dislocato a Lero, nel Dodecaneso.
25 ottobre 1940
Decrittatori britannici di “ULTRA” intercettano e decifrano alcuni messaggi inviati da Rodi a Roma circa la dislocazione dei sommergibili in mare, compreso l’Onice (che «dovrebbe usare la rotta A»), ma non riescono a trarne alcun vantaggio, perché non sono in grado di identificare le zone e rotte assegnate ai vari battelli, che sono indicate nei messaggi mediante lettere convenzionali riservate ai singoli battelli e solo per limitati periodi temporali.
Novembre 1940
Pattugliamento a nordovest di Alessandria d’Egitto.
21 dicembre 1940-1° gennaio 1941
Pattugliamento in Mar Egeo.
7 marzo 1941
Inviato a nord di Creta, al comando del capitano di corvetta Gustavo Lovatelli, per pattugliare la zona ed attaccare i convogli britannici in navigazione tra l’Egitto alla Grecia (Operazione "Lustre": trasferimento di 58.000 soldati britannici in Grecia, a rinforzo delle truppe elleniche, in previsione di una imminente invasione tedesca, con un convoglio ogni tre giorni per un mese sulla rotta Alessandria-Pireo).
8 marzo 1941
Nella notte dell’8 l’Onice avvista alcune navi da guerra, tra cui un incrociatore, in navigazione in formazione nel Canale di Caso; lancia due siluri contro l’incrociatore, ma senza successo.
9 marzo 1941
Ritorna alla base.

L’Onice (in primo piano) ed il sommergibile Adua a Pola nel marzo 1941, dopo l’applicazione di schemi mimetici sperimentali (g.c. STORIA militare)

21 maggio 1941
Trovandosi in agguato già da dieci giorni a sud del Canale di Caso, durante la notte del 21 l’Onice riceve ordine di assumere una nuova posizione per supportare l’operazione "Merkur", l’invasione tedesca di Creta.
Secondo una fonte (USMM), l’Onice non avvista navi nemiche; secondo altra fonte, nel pomeriggio del 21 avvista e segnala l’incrociatore Cleopatra ed altre unità di scorta ad un convoglio di rifornimenti per Malta.
Per fonte ancora differente, invece, proprio all’1.15 del 21 maggio l’Onice avvista tre cacciatorpediniere otto miglia a sud del canale di Caso e lancia tre siluri contro uno di essi, il Nizam (appartenente alla Forza E britannica; per altra fonte il bersaglio dell’attacco è la Forza C dell’ammiraglio King, composta dagli incrociatori Naiad e Perth e dai cacciatorpediniere Juno, Nubian, Kandahar e Kingston), ma senza successo (a bordo si ritiene invece di aver messo un siluro a segno, dopo 1 minuto e 42 secondi dal lancio).
25 settembre 1941
L’Onice, in pattugliamento antisommergibili al largo di Bengasi insieme ai cacciasommergibili Zuri e Zirona, avvista alle 00.45 una sagoma in posizione 32°25’ N e 19°45’ E, e poco dopo sente rumori di motori diesel; ritiene di aver avvistato un sommergibile (e con ogni probabilità ha ragione: è quasi certamente il sommergibile britannico Thrasher, attivo nella zona) e pertanto emerge all’1.50 ed allerta Zuri e Zirona. Le tre unità si mettono alla ricerca del sommergibile nemico, ma perdono il contatto; avvistate due torpediniere dirette incontro ad un convoglio in arrivo a Bengasi (piroscafi Iseo e Capo Faro, torpediniera Orione), l’Onice e le altre unità dirigono a loro volta incontro al convoglio e lo avvertono, alle 2.40, della presenza del sommergibile. In realtà il Thrasher, nel frattempo, ha già attaccato il convoglio; fortunatamente, nessuna nave è stata colpita.
28 settembre 1941
Dislocato a Bengasi per svolgere uscite esplorative giornaliere nelle acque dove maggiore è il traffico di naviglio italiano (convogli da e per la Libia e naviglio militare).
1-2 ottobre 1941
Durante la notte, l’Onice perlustra attentamente, eseguendo ascolto idrofonico, le acque nelle quali la mattina del 2 ottobre dovrà passare un convoglio (piroscafi tedeschi Savona e Castellon, torpediniere Calliope e Pegaso) proveniente da Napoli e diretto a Bengasi. Insieme all’Onice sono destinati ad analogo compito i cacciasommergibili Zuri e Selve; tale perlustrazione è stata disposta dal Comando Marina di Bengasi, per localizzare ed attaccare eventuali sommergibili britannici che si ritiene possano trovarsi in agguato poco fuori del porto di Bengasi.
L’Onice lascia la zona poco dopo le tre di notte del 2 ottobre, mentre Zuri e Selve proseguono la ricerca sino all’arrivo del convoglio, per poi unirsi alla sua scorta: ciononostante, il sommergibile Perseus riuscirà ad eludere la sorveglianza ed a silurare, alle 10.12 di quel mattino, il Castellon, provocandone il rapido affondamento.
10 ottobre 1941
Si scontra in superficie, col cannone e coi siluri, con un sommergibile britannico; il combattimento risulta inconclusivo.
14 ottobre 1941
Dislocato a Messina. Nei mesi successivi svolge alcune missioni esplorative nel Canale di Sicilia.
3 gennaio 1942
Inviato in agguato a sud/sudest di Malta (l’agguato ha inizio a mezzogiorno del 3 gennaio), nell’area compresa tra i meridiani 15°40’ E e 16°20’ E ed i paralleli 35°10’ N e 35°30’ N, col compito di avvistare ed attaccare eventuali forze navali britanniche che dovessero prendere il mare per contrastare l’operazione «M. 43», consistente nell’invio di un grosso convoglio di rifornimenti in Libia. Tale minaccia non si manifesterà.
11 marzo 1942
Inviato in pattugliamento nel Mediterraneo Orientale, vi resterà fino al 27.

L’Onice, in primo piano, ed il sommergibile ex jugoslavo Antonio Bajamonti nel 1942 (g.c. STORIA militare)

16 marzo 1942
L’Onice (capitano di corvetta Bruno Zelik), in missione esplorativa a sudovest di Capo dell’Armi, viene attaccato dal sommergibile britannico P 36 (tenente di vascello Harry Noel Edmonds), che gli lancia due siluri; il battello italiano evita le armi e passa al contrattacco, lanciando anch’esso dei siluri ed aprendo immediatamente il fuoco col cannone (per altra fonte reagisce solo col cannone), obbligando il sommergibile avversario ad immergersi e ritirarsi.
21 marzo 1942
Alle 17.45 l’Onice (capitano di corvetta Bruno Zelik), in agguato a sudovest di Capo Krio, avvista in posizione 34°18’ N e 22°36’ E (a 82 miglia per 246° da Gaudo) un gruppo di navi sconosciute aventi rotta stimata 305° (nord-nord-ovest) e velocità imprecisata. L’Onice fatica a tenersi a quota periscopica, a causa del vento forte e del mare grosso da grecale, che complicano l’osservazione (non risulta nemmeno possibile identificare la tipologia delle navi avvistate); non è così in grado di fornire ulteriori particolari quando, alle 17.47 (18.30 per altra fonte), lancia all’aria il segnale di scoperta, che viene ricevuto da Supermarina alle 20 (per altra fonte, 22).
Le navi avvistate dall’Onice sono quelle del convoglio "MW10", in navigazione da Alessandria d’Egitto a Malta con rifornimenti urgenti per la guarnigione dell’isola: lo formano tre navi da carico (Clan Campbell, Pampas e Talabot) e la cisterna militare Breconshire con la scorta della Forza B dell’ammiraglio Philip L. Vian, con quattro incrociatori leggeri (Cleopatra, Penelope, Dido ed Euryalus), un incrociatore antiaerei (Carlisle) e 12 cacciatorpediniere (Jervis, Kipling, Kelvin, Kingston, Avon Vale, Legion, Zulu, Hasty, Sikh, Lively, Havock ed Hero). Una nutrita squadra navale italiana prenderà il mare per attaccare il convoglio, ma nel successivo combattimento – seconda battaglia della Sirte – riuscirà solo a danneggiare alcune unità della scorta, senza riuscire a raggiungere il convoglio; maggior successo avrà l’aviazione dell’Asse, che affonderà uno dei mercantili (Clan Campbell) il giorno seguente e distruggerà gli altri tre dopo il loro arrivo a Malta, provocando la distruzione di 21.000 delle 26.000 tonnellate di rifornimenti trasportati dalle quattro navi.
23 marzo 1942
Alle 13.42 l’Onice rileva all’idrofono, verso sud, i rumori prodotti dalla Forza B britannica (le unità sopra elencate – 15th Cruiser Division –, meno Penelope, Carlisle, Havock e Legion, rimasti col convoglio, nonché il Kingston, rimasto a Malta per riparare i gravi danni subiti) che sta rientrando ad Alessandria dopo la battaglia. 
Regolandosi sugli idrofoni, il sommergibile mette in moto ed alle 14.15 avvista la Forza B, che stima essere composta da 3 o 4 incrociatori, più alcuni cacciatorpediniere di prua e sui lati; il mare grosso impedisce di vedere con maggiore chiarezza e completezza. Alle 14.33 l’Onice, in posizione 34°14’ N e 22°26’ E (a sudovest di Gaudo e circa 70 miglia a nord di Derna), lancia due siluri dai tubi prodieri da tre chilometri di distanza: dopo tre minuti viene avvertita una duplice esplosione seguita da quattro forti scoppi che paiono di bombe di profondità (a bordo dell’Onice si ritiene di aver colpito ed affondato uno degli incrociatori), ma in realtà i siluri non sono andati a segno, e la formazione britannica non si è neanche accorta dell’attacco.
28 aprile 1942
In agguato ad est di Capo Bon, l’Onice (capitano di corvetta Bruno Zelik) avvista quello che ritiene essere un grosso sommergibile alle prime luci dell’alba e gli lancia due siluri, ma questi riesce ad evitarli. In realtà, non risulta che vi fossero sommergibili britannici nella data e zona in questione: è possibile che l’Onice, nella poca luce dell’alba, abbia scambiato un peschereccio per un sommergibile (altra possibilità è che abbia attaccato per errore il sommergibile Corallo, sempre senza risultato, ma il Corallo si trovava troppo lontano dalla sua zona d’agguato, a meno che la posizione indicata non sia errata).
9 maggio 1942
Alle 21.15 l’Onice avvista il posamine veloce britannico Welshman, in navigazione isolata verso Malta, camuffato da cacciatorpediniere francese Léopard, con un carico urgente di provviste, 100 motori d’aereo Rolls-Royce Merlin e personale della RAF. Il sommergibile manovra per attaccare, ma prima di lanciare i siluri s’interrompe perché attaccato, secondo l’apprezzamento del comandante, da caccia notturni di scorta al Welshman: in realtà non vi erano aerei britannici presenti, dunque si è trattato di un’impressione errata.
11 giugno 1942
Il battello viene inviato, assieme ad altri quattro sommergibili (Ascianghi, Aradam, Dessiè e Corallo) in agguato nel triangolo compreso tra Malta, Pantelleria e Lampedusa a contrasto dell’operazione britannica «Harpoon» (convoglio fortemente scortato da Gibilterra a Malta), nell’ambito della battaglia di Mezzo Giugno. Non avvista navi nemiche.

L’Onice, a destra, ed il sommergibile ex jugoslavo Francesco Rismondo ormeggiati a Fiume il 16 ottobre 1942 (da www.betasom.it

1943
Ha base a Lero.
Estate 1943
A seguito dell’invasione Alleata della Sicilia, l’Onice viene trasferito a Taranto. Svolge pattugliamenti in Mar Ionio.
3 settembre 1943
Nell’ambito del «Piano Zeta», lo schieramento di sommergibili per difendere le coste di Calabria e Campania dagli sbarchi angloamericani (le truppe britanniche dell’VIII Armata stanno infatti sbarcato tra Villa San Giovanni e Reggio Calabria), l’Onice viene inviato in agguato nello Ionio occidentale (costa ionica della Calabria), tra il Golfo di Squillace e lo Stretto di Messina. In tutto altri dieci sommergibili vengono inviati in agguato nello Ionio e nel Basso Tirreno, ma quando diviene chiaro che lo sbarco in atto riguarda solo la Calabria (operazione «Baytown») viene disposto il rientro di tutti i battelli tranne Onice, SettembriniZoea e Vortice.
8 settembre 1943
La dichiarazione dell’armistizio lo sorprende ancora in Mar Ionio, alle 18.30. In base alle disposizioni ricevute, raggiunge Augusta, dove si consegna agli Alleati.
16 settembre 1943
Lascia Augusta al tramonto, insieme ad altri cinque sommergibili (SettembriniSqualoVorticeZoea, Marcantonio Bragadin), per raggiungere Malta. Subito fuori dal porto di Augusta i sommergibili si immergono, per evitare il rischio di essere scambiati per nemici, ed attaccati, da navi od aerei angloamericani; sono state comunicate loro istruzioni sulle rotte di avvicinamento presumibilmente sgombre da mine.
17 settembre 1943
Riemerge a sudest di Malta nel pomeriggio, e raggiunge l’isola.
21 settembre 1943
Viene temporaneamente dislocato nell’ormeggio di San Paolo/Sliema (Malta), insieme ad altri dieci sommergibili, alle "dipendenze" della nave appoggio Giuseppe Miraglia.
6 ottobre 1943
Lascia Malta insieme a diverse altre unità (i sommergibili Giada, Marea, Nichelio, Platino e Vortice, le torpediniere Ariete ed Orione, il cacciatorpediniere Augusto Riboty, i cacciasommergibili ausiliari Luana e Regina Elena) per tornare in Italia.
Insieme a Platino e Vortice, l’Onice fa rotta per Napoli, dove dovrà rifornire di energia elettrica, generata dalle sue batterie, la disastrata città, liberata da pochi giorni.
7 ottobre 1943
Arriva a Napoli; insieme a Platino, Vortice, Goffredo Mameli (da Brindisi), Otaria e Vettor Pisani (da Taranto), viene adibito alla produzione di energia elettrica per le strutture portuali.
In seguito si trasferisce ad Augusta e poi a Taranto, dove viene sottoposto ad un periodo di lavori.


Due immagini dei sommergibili impiegati come generatori di energia elettrica nella martoriata Napoli, ottobre 1943: da sinistra a destra, Pisani, Onice, Vortice e Platino. (Foto sopra: g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net; foto sotto: g.c. STORIA militare)


10 giugno 1944
L’Onice (capitano di corvetta Ferdinando Boggetti), insieme al sommergibile Jalea, lascia Taranto diretto ad Augusta, per iniziare il viaggio di trasferimento verso l’Atlantico Occidentale.
Già da alcuni mesi, vari sommergibili italiani hanno base nelle Isole Bermuda e svolgono attività addestrativa a favore dei mezzi antisommergibili della Marina statunitense (per conto del Destroyer and Destroyer Escort Shakedown Group, ossia Gruppo di Prova dei Cacciatorpediniere e Cacciatorpediniere di Scorta). L’espansione delle esigenze operative, unitamente alla crescente usura dei sommergibili adibiti a questa attività (che abbisognano di lavori di manutenzione), fa sì che occorra aumentare il numero dei sommergibili dislocati alle Bermuda: l’Onice è tra i battelli scelti per andare ad ingrossare tale numero.
12 giugno 1944
Onice e Jalea arrivano ad Augusta.
13 giugno 1944
Onice e Jalea ripartono da Augusta, diretti a Gibilterra.
19 giugno 1944
I due sommergibili giungono a Gibilterra alle 20.20.
30 giugno 1944
Onice e Jalea lasciano Gibilterra per le Bermuda, scortati dal cacciatorpediniere di scorta statunitense Fessenden: lo Jalea, tuttavia, è colto da avarie ai motori e deve rientrare, accompagnato dal Fessenden. Quest’ultimo torna poi ad assumere la scorta dell’Onice.
16 luglio 1944
Onice e Fessenden arrivano a Bermuda, sede della Flottiglia Sommergibili dell’Atlantico Occidentale (per gli americani, Italian Submarine Squadron One, Royal Italian Navy), al comando del capitano di fregata Emilio Berengan. Tale flottiglia è posta alle dipendenze della Submarine Division 72 dell’US Navy (contrammiraglio I. C. Sowell, poi capitano di vascello Michael P. Russillo) e del Submarine Squadron 7 (capitano di vascello W. N. Christensen).


Due immagini dell’Onice (a destra) e del sommergibile Marea ormeggiati alle Isole Bermuda (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: USMM)


Agosto 1944
Con l’inizio del mese, l’Onice comincia a disimpegnare intensa attività di addestramento al largo delle Bermuda, con più di 50 esercitazioni.
Usualmente le esercitazioni occupano cinque giorni a settimana, dalle 6 alle 18, e si svolgono a nordovest delle Bermude, a Port Royal, St. George, Great Sound, King’s Point, Ordinance Island e Malabar; vi partecipano un sommergibile ed una o più navi, e quando a prendervi parte è una Task Force (con una portaerei di scorta, un gruppo di cacciatorpediniere ed una nave ausiliaria) durano 7-10 giorni. Complessivamente il periodo d’addestramento è di un mese circa; i sommergibili, ormeggiati a King’s Bay, salpano ogni giorno con metà dell’equipaggio (l’altra metà è in franchigia, a giorni alterni), procedono a 4 nodi (la velocità loro consentita) e giungono in mare aperto in un’ora e mezza, impiegando poi altre due ore per raggiungere le aree operative più periferiche. Arrivati nella zona assegnata, s’immergono ed aspettano il contatto da parte delle unità in addestramento, emergendo – per farsi vedere – e poi reimmergendosi se, due ore dopo l’immersione iniziale, non è successo niente. Di solito trascorrono quattro ore nella zona assegnata.
Nell’addestramento delle Task Force (l’Onice, appunto, partecipa a diverse esercitazioni con gruppi di portaerei di scorta), l’area operativa è un quadrato avente lato di 80 miglia, nel quale il sommergibile arriva due ore prima della Task Force, aspettando in superficie; viene poi localizzato dai velivoli della portaerei (due devono essere costantemente in volo) ed attaccato, dopo di che s’immerge con la rapida e tenta di disimpegnarsi, vincolato solo dall’obbligo di restare nell’area operativa. Dopo l’immersione gli aerei utilizzano anche boe sonar; l’esercitazione si conclude quando il sommergibile viene individuato e messo sotto caccia. A questo punto il sommergibile emerge e si trasferisce in un’altra zona del settore operativo; le esercitazioni continuano anche durante la notte.
I sommergibili italiani svolgono un utile servizio: di robusta costruzione, sono in grado d’immergersi a profondità maggiori rispetto ai sommergibili statunitensi delle classi più anziane, adibiti all’addestramento, ed al contempo permettono di "liberare" sommergibili di nuova costruzione per il servizio attivo nel Pacifico.
Tutti i sommergibili, dopo alcune riparazioni, vengono dotati di sonar, per la prima volta nella Marina italiana.
23-25 agosto 1944
Partecipa ad un’esercitazione nelle acque di Great Sound, con la portaerei di scorta USS Croatan, i cacciatorpediniere Frost, Huse, Ink, Snowden e Swasey ed il dragamine Indicative.
21-23 settembre 1944
Altra esercitazione, a Port Royal, insieme ad una portaerei e quattro cacciatorpediniere.
12-14 novembre 1944
Esercitazione, al largo di Ordinance Island, con una portaerei e sei cacciatorpediniere.
13-15 dicembre 1944
Esercitazione a St. George, con la partecipazione della portaerei di scorta USS Card, dei cacciatorpediniere di scorta Thomas, Bostwick, Breeman, Bronstein, Baker e Coffman, e del dragamine Mirth.

Sopra, il marinaio Pierino “Gino” Venturini (Nave, 15 giugno 1923-30 gennaio 1997). Dopo aver frequentato la Scuola Sommergibilisti a Pola e Fiume nell’aprile-maggio del 1943, imbarcò sull’Onice a Taranto nel giugno dello stesso anno, e vi prestò servizio fino alla fine della guerra, facendo ritorno in Italia nel novembre 1945. Sotto, una serie di immagini scattate da Gino Venturini a bordo dell’Onice, probabilmente in Atlantico durante la cobelligeranza, ed alcune pagine del suo “Service Album” dei Marines, ricevuto in regalo dagli statunitensi ed usato come diario (Archivio Venturini Ilario, Nave, via Gino Comini)





















20 gennaio 1945
Lascia Bermuda per New London.
23 gennaio 1945
Arriva a New London, dove viene dislocato e svolge altre 18 esercitazioni.
10 marzo 1945
Lascia New London diretto a Casco Bay.
11 marzo 1945
Si trasferisce a Portland, dove effettua altre 36 esercitazioni.
13 maggio 1945
Giunge a Portsmouth per un periodo di lavori; vi resterà fino al 20 settembre.
20 settembre 1945
Lascia Portsmouth diretto a Bermuda, dove giunge dopo qualche giorno.
5 ottobre 1945
L’Onice salpa da Bermuda insieme ai sommergibili Atropo, Dandolo, Marea, Speri, Da Procida e Vortice, con la scorta del rimorchiatore di salvataggio statunitense Chain (ARS 20).
16 ottobre 1945
I sommergibili giungono a Punta Delgada (Azzorre) in mattinata.
18 ottobre 1945
Sommergibili e Chain lasciano Punta Delgada a mezzogiorno, diretti a Gibilterra.
26 ottobre 1945
I sommergibili giungono a Gibilterra in mattinata.
28 ottobre 1945
Sommergibili e Chain lasciano Gibilterra intorno alle 3.
3 novembre 1945
L’Onice, gli altri sommergibili ed il Chain arrivano a Taranto: finalmente, la guerra è finita anche per loro.

 I residui della flotta subacquea italiana in riserva a Taranto nel 1946, in attesa del loro destino: sopra, in una foto risalente al luglio 1946, l’Onice è il battello in primo piano (si riconoscono anche il Marea, dietro l’Onice, e più dietro l’Ammiraglio Cagni, il più grande di tutti); sotto, lo si vede in terza posizione (il sommergibile in primo piano è il Dandolo, quello in secondo piano il Brin, quello dietro l’Onice il Marea) (g.c. STORIA militare).


23 marzo 1947 o 1° febbraio 1948
In ottemperanza delle clausole del trattato di pace di Parigi, che stabiliscono il totale smantellamento della superstite flotta subacquea italiana (in origine era prescritto l’affondamento dei sommergibili in alti fondali, poi commutato – su richiesta dell’Italia – in demolizione per ricavarne il prezioso metallo, utile nella ricostruzione del Paese), l’Onice viene radiato.
1949
Demolito.

Il crepuscolo di una flotta subacquea: l’Onice, in primo piano, ed i sommergibili JaleaDiaspro e H 2 in disarmo a Taranto nel 1947. Vennero tutti demoliti per disposizione del trattato di pace (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net