Il Timavo (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net)
|
Piroscafo da carico
da 7549 tsl, 4781 tsn e 9960 (o 10.650) tpl, lungo 141,5 metri e largo 17,5, con pescaggio
di 8,17 metri e velocità 12-13 nodi. Appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Lloyd Triestino (con sede a Trieste), matricola 416 al
Compartimento Marittimo di Trieste.
Il Timavo fotografato verosimilmente nel 1939-1940, durante il periodo
della “non belligeranza” (foto Alex Duncan, da “The World’s Merchant Fleet”)
|
Breve e parziale cronologia.
Dicembre 1917
Varato nel cantiere
San Rocco di Trieste (numero di cantiere 35) per la Navigazione Libera
Triestina, compagnia ancora austroungarica. Inizialmente è stato impostato con
il nome di Ombla, ossia un altro
torrente carsico della Dalmazia, sfociante a nord di Ragusa, ma verrà infine
completata come Timavo.
Agosto 1920
Completato nel
cantiere San Rocco di Trieste per la Navigazione Libera Triestina (ora divenuta
italiana) insieme ai gemelli Monte Grappa,
Duchessa d’Aosta, Piave e Rosandra. Caratteristiche originarie 7434 tsl, 4662 tsn e 10.670
tpl, velocità massima (scarico) 14 nodi. Oltre al carico, la nave può
trasportare una trentina di passeggeri di prima classe e qualche passeggero
“ponte”.
Passerà
tutta la sua vita sulla linea che fa il periplo dell’Africa.
20 novembre 1920
Lascia Trieste al comando
del capitano O. Olivetti, e con equipaggio misto italo-jugoslavo, per il
viaggio inaugurale, diretto a Sydney, dove caricherà grano da trasportare poi
in Europa.
Dicembre 1920
Durante il viaggio
inaugurale, nel corso della navigazione da Porto Said a Fremantle, ha luogo un
singolare episodio, che si colloca nella confusa e turbolenta situazione
dell’Italia (e dell’Europa) del primo dopoguerra: a causa di nuove norme da
poco emanate, la nave lascia l’Egitto con una scorta di carne fresca di manzo
inferiore a quella promessa all’equipaggio, cui viene invece dato del montone.
Di conseguenza, mentre la nave si trova nei pressi dell’Equatore, i fuochisti,
senza preavvisare il comandante o gli ufficiali, rallentano la nave e poi
entrano in sciopero, rifiutando di mangiare montone o carne conservata (di cui
la nave ha invece una sufficiente provvista) e richiedendo invece di mangiare
pollame (che è conservato a bordo per gli ufficiali, in vista della
celebrazione del Natale) due volte a settimana. Dato che gli uomini minacciano,
in caso di rifiuto, di proseguire nello sciopero, la richiesta viene accolta,
ma alcuni uomini rimangono turbolenti, ed il giorno di Natale, quando il Timavo si ormeggia alle boe a Fremantle,
un addetto alla mensa minaccia il comandante Olivetti e tenta di danneggiare
gli interni della nave: intervengono due commissari di polizia, e l’uomo viene
arrestato ed incarcerato con l’accusa d’insubordinazione al comandante.
L’indomani, il 26 dicembre, anche un marinaio minaccia il comandante e viene
arrestato ed imprigionato per insubordinazione.
Dell’episodio viene
incolpata la componente jugoslava dell’equipaggio, accusata di essere
l’elemento turbolento, anche perché molti degli uomini portano sulle braccia il
simbolo comunista (falce e martello) ed hanno appeso nelle mense ritratti di
Lenin e Trotzkji: il capitano Olivetti si dichiara anzi convinto che i
bolscevichi abbiano pagato i marinai per creare problemi.
1930-1931
Il Timavo ed i suoi tre gemelli, adibiti
alla linea tra l’Italia ed il Sudafrica, vengono modificati per poter
trasportare passeggeri, subendo un totale rifacimento degli interni per questa
nuova esigenza: l’artista Anselmo Bucci viene chiamato ad ideare l’allestimento
dei lussuosi interni dei quattro piroscafi. Il numero di passeggeri
trasportabili viene portato a 58.
Il Timavo con i colori della Navigazione Libera Triestina (foto John
H. Marsh, via Histarmar)
|
Ottobre 1935
Il Timavo trasporta munizioni in Eritrea
durante la guerra d’Etiopia. La nave, dato che al contempo continua ad
esercitare servizio di trasporto merci e passeggeri, fa scalo anche a Capetown,
ma, in conseguenza del boicottaggio delle attività italiane da parte del
Sudafrica, imbarca solo 380 tonnellate di carico, e nessun passeggero.
1937
Con l’assorbimento
della Navigazione Libera Triestina da parte del Lloyd Triestino, il Timavo, insieme ai gemelli ed al resto
della flotta NLT, passa al Lloyd Triestino (che in passato aveva già noleggiato
la nave per qualche tempo, durante un periodo di crisi della NLT).
Il piroscafo durante la non
belligeranza, con le bandiere di neutralità dipinte sulle murate (g.c. Mauro
Millefiorini via www.naviearmatori.net)
|
La perdita
Anche il Timavo, al pari di tante altre navi del
Lloyd Triestino (compresi i gemelli Piave
e Duchessa d’Aosta), fu tra le
vittime della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, le oltre duecento
navi mercantili sorprese da tale annuncio al di fuori del Mediterraneo ed
abbandonate al loro triste destino.
Il 10 giugno stesso,
poche ore prima della dichiarazione di guerra dell’Italia (per altra versione
il 9 giugno), il Timavo ed un altro
piroscafo della compagnia, il Gerusalemme,
si trovavano ormeggiati nel porto di Durban, in Sudafrica, quando ricevettero
un messaggio radio in codice che li avvertiva di quanto stava per accadere. (Secondo
una versione, temendo che, all’atto della dichiarazione di guerra, le due navi
si sarebbero autoaffondate ostruendo il porto, i cannoni da 150 mm della
fortezza del Bluff di Durban vennero tenuti pronti ad entrare in azione, anche
se alla fine non ce ne fu bisogno). Le autorità sudafricane, non potendo usare
la forza perché la guerra non era ancora stata dichiarata, tentarono con tutti
i mezzi consentiti di ritardare la partenza delle due navi, ma alla fine
dovettero permettere loro di salpare: a mezzogiorno (per altra versione nella
notte tra il 9 ed il 10 giugno) Timavo
e Gerusalemme lasciarono
frettolosamente Durban con documenti falsi secondo i quali avrebbero dovuto
raggiungere Capetown, e difatti il Timavo
fece rotta verso sud, ma, non appena furono scomparsi oltre la linea
dell’orizzonte, i due piroscafi si separarono ed invertirono la rotta,
dirigendo verso nord, verso il porto neutrale di Lourenco Marques, in
Mozambico, colonia portoghese (così era stato loro ordinato).
La dichiarazione di
guerra sorprese il Timavo in
navigazione da Durban a Lourenco Marques: era notte quando l’annuncio della
guerra giunse a Durban, e quasi subito gli aerei della South African Air Force,
in attesa negli aeroporti della costa, decollarono per mettersi alla ricerca
delle due navi fuggitive.
Per un giorno la
navigazione del Timavo proseguì senza
incidenti, sebbene carica di tensione: tutti temevano di veder comparire da
momento all’altro navi od aerei nemici, tutti aguzzavano la vista in spasmodica
attesa mescolata a tenue speranza di riuscire a sfuggire. La nave, dall’aspetto
particolarmente appariscente (per via degli enormi alberi a traliccio) e
pertanto facilmente individuabile e riconoscibile, avanzava nel mare sempre più
burrascoso, le cui onde si riversavano in coperta con crescente violenza. L’11
giugno, al largo di Capo Vidal (Natal), 160 miglia a nordest di Durban, l’annuncio
delle vedette confermò la peggiore delle previsioni: aerei a ore nove (al
traverso a sinistra), velivoli sudafricani, che avevano avvistato il Timavo. Secondo una versione, i velivoli
si avvicinarono e scesero di quota, poi segnalarono più volte alla nave
italiana di dirigere immediatamente su Durman, minacciando, in caso di
disobbedienza, di bombardarla. Il comandante del Timavo segnalò in risposta “Well” (bene) e la nave cambiò
docilmente rotta dirigendo su Durban come ordinato, ma al contempo venne dato
ordine di prepararsi all’autoaffondamento: il piroscafo non sarebbe caduto in
mano nemica. Il Timavo proseguì nella
navigazione, “come un condannato a morte che si avvia al patibolo”, come ebbe a
scrivere Dobrillo Dupuis nel suo libro “Forzate il blocco!”, seguito e tenuto
sotto controllo dagli aerei.
Giunto in prossimità
di Capo Vidal, a nordest di Durban, l’equipaggio calò rapidamente le lance,
sulle quali furono imbarcati i passeggeri e gran parte dell’equipaggio, poi portò
la nave ad incagliare in costa ed avviò le manovre di autoaffondamento.
Secondo un’altra
versione, invece, gli aerei, dopo aver trovato nella notte il Timavo circa 150 miglia a nordest di
Durban, al largo di Leven Point (Capo Vidal), segnalarono alla nave di
fermarsi, ma, in mancanza di risposta, sganciarono una bomba e spararono delle
raffiche di avvertimento a proravia del Timavo,
dopo di che il piroscafo cambiò improvvisamente rotta, diresse a tutta velocità
verso la costa dello Zululand e si portò all’incaglio a tutta forza circa
cinque miglia a nord della baia di St. Lucia, appena a nord di Leven Point, nel
punto 27°49’ S e 32°36’ E.
(Una terza versione
afferma che la nave venne mitragliata e costretta ad incagliarsi dagli aerei
sudafricani).
Alle 9.55 dello
stesso 11 giugno il relitto del Timavo
venne avvistato in posizione 27°50’ S e 32°40’ E dall’incrociatore ausiliario
britannico Ranchi, partito da Durban
il giorno precedente, che alle 10.54 inviò un’imbarcazione con un equipaggio di
preda (per catturarlo), per poi proseguire nel suo pattugliamento. L’equipaggio
di preda abbordò il Timavo e ne fece
prigioniero l’equipaggio ma dovette constatare che la nave non poteva essere
disincagliata, così che, quando il 13 giugno il Ranchi tornò sul posto, dovette riprendere a bordo sia il proprio
equipaggio di preda che i 60 (o 50) uomini dell’equipaggio del Timavo, ora prigionieri. Gli uomini del Timavo furono trasbordati sul Ranchi con quattro viaggi: la lancia con
il primo gruppo di prigionieri giunse sottobordo al Ranchi alle 12.43, quella con il secondo alle 12.59, quella con il
terzo alle 13.06 ed infine gli ultimi prigionieri e la guardia armata
raggiunsero il Ranchi alle 13.17.
Alle 00.40 del 14 giugno il Ranchi si
ormeggiò a Durban, dove venti minuti più tardi sbarcò i prigionieri. (Per altra
versione, l’equipaggio del Timavo
giunse a terra e si mise in marcia verso nord nel tentativo di raggiungere il
confine con il Mozambico, ma venne raggiunto e catturato).
Da Durban venne
inviato sul luogo dell’incaglio un rimorchiatore, che non poté però far altro
che constatare che la nave era irrecuperabile.
Pochi giorni dopo,
una mareggiata spezzò in due il Timavo
incagliato, sancendone definitivamente la perdita. Parte del carico venne
recuperato dalle autorità sudafricane (una squadra addetta al recupero si
accampò e visse per qualche tempo sulla vicina spiaggia); alcune porte
recuperate dal relitto del Timavo
finirono ad arredare la casa vacanze “Lidiko Lodge” di Saint Lucia, all’epoca
in costruzione, dove si trovano ancor oggi.
L’equipaggio del Timavo venne successivamente internato in
uno dei sei campi d’internamento per cittadini italiani istituiti in territorio
sudafricano.
Per loro, la guerra
trascorse dietro i reticolati.
Solo il 30 gennaio
1947 gli uomini del Timavo, insieme a
quelli del Sistiana (altro piroscafo
del Lloyd Triestino catturato a Capetown nel giugno 1940) ed ai fascisti più
irriducibili tra i soldati italiani prigionieri in Sudafrica, poterono
imbarcarsi a Durban sul piroscafo Chitral,
che li avrebbe riportati in patria. Giunsero a Napoli il 10 febbraio 1947:
erano trascorsi quasi sette anni da quando avevano lasciato l’Italia sulla loro
nave.
La loro nave, invece,
l’Italia non l’avrebbe mai più rivista. Oggi del Timavo non resta che un ammasso di ferro divorato dalla ruggine e
dall’erosione del mare (la nave giace infatti nella «surf zone», dove le onde
s’infrangono e l’effetto distruttivo dei frangenti è maggiore) e ricoperto di
vegetazione marina, pochi chilometri a nord di Leven Point nello Zululand, nel
punto 27°52,00 S e 32°36,50 E. I resti della nave giacciono a duecento metri
dalla spiaggia: sul fondale giace lo scheletro dell’enorme scafo, talvolta
ricoperto dalla sabbia, e con la bassa marea si possono vedere i resti delle
caldaie, che emergono dall’acqua. Sulla vicina spiaggia c’è ancora oggi
l’argano che fu eretto nel lontano 1940 per recuperarne il carico.
Dal 2004, un divieto
di accesso alla spiaggia (essendo un’area marina protetta) impedisce a
chiunque, eccetto ricercatori e funzionari del parco, di avvicinarsi al relitto
del Timavo.
Tre fotografie del relitto
del Timavo (la prima del John H.
Marsh Maritime Research Centre di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net, le altre due di
George Young via Casper Du Plessis. Nella seconda si notano, sulla vicina
spiaggia, le tende della squadra addetta al recupero del carico.)
Un verricello allestito per
il recupero del carico della nave (Coll. John H. Marsh, via http://rapidttp.co.za/waratsea/timavo.html)
|
“New Steamer Timavo”
Estremamente interessante. E' possibile trovare la lista dell'equipaggio internato a Koffiefontein insieme ai Missionari della Consolata di Nairobi? per il sito prigionieriinkenia.org. Grazie
RispondiEliminaSinceramente non saprei: penso che la strada migliore sarebbe di tentare di contattare la Croce Rossa Internazionale, che potrebbe avere l'elenco nei suoi archivi...
Elimina