lunedì 30 novembre 2015

Totonno

Il Totonno (g.c. Mauro Millefiorini)

Piroscafo da carico da 674,14 tsl e 395 tsn, lungo 60,7 m, largo 10 e pescante 3,2, con velocità di 10 nodi. Appartenente all’armatore Umberto D’Amato (poi Borrello & C.) di Torre del Greco ed iscritto con matricola 29 al Compartimento Marittimo di Torre del Greco; nominativo di chiamata IUZP.

Breve e parziale cronologia.

1899
Varato nei cantieri Rijkee & Co. N. V. di Rotterdam (numero di cantiere 94) come piroscafo misto.
Dicembre 1899
Completato come olandese Curaçao, per la N. V. Koninklijke West-Indische Maildienst di Amsterdam. Nominativo di chiamata NLRH; stazza lorda e netta originaria, 728 tsl e 434 tsn.
Impiegato sulla rotta Amsterdam-Paramaribo-Demarara-Trinidad-Curaçao-Port au Prince-New York.
1901
Acquistato dal governo del Suriname e registrato a Paramaribo (mantenendo però bandiera olandese), non cambia nome.
1916
Trasferito al N.V. Bureau Wijsmuller di Ijmuiden e registrato a Rotterdam.
1918
Acquistato dalla Compagnie (o Société) des Cargos Français, con sede a Marsiglia (o Le Havre), registrato a Marsiglia (bandiera francese) e ribattezzato Achille Bayart. Iin gestione a Derose & Foroux di Marsiglia, poi dal 1920 a E. J. Heinz di Marsiglia e dal 1923 alla Union Maritime France-Algerie, sempre con sede a Marsiglia).
1925 o 1926
Acquistato dagli armatori Bartolomeo e Francesco Albanese, Francesco Imparato, Michele Bottiglieri e Salvatore Altieri, di Torre del Greco (formalmente dal solo Bartolomeo Albanese fu Cristoforo, ma di fatto anche dagli altri soci), registrato a Torre del Greco (bandiera italiana) e ribattezzato Francesco Imparato.
1930
Trasferito all’armatore Michele Bottiglieri di Torre del Greco e ribattezzato Totonno.
1938
Acquistato dall’armatore Umberto D’Amato di Torre del Greco.
Dopo il 1940 sarà venduto all’armatore Borelli & C., sempre di Torre del Greco.
7 giugno 1940
Requisito a Venezia dalla Regia Marina (dalle ore 16) ed iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato con sigla V 83; adibito alla vigilanza foranea.
20 febbraio 1941
Derequisito e radiato dal ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
10 luglio 1941
Compie un viaggio da Durazzo a Bari insieme al piroscafo Carmela.
11 agosto 1941
Compie un viaggio da Bari a Durazzo, da solo e senza scorta.
30 gennaio 1942
Compie un viaggio da Durazzo a Bari, di nuovo in navigazione isolata.
18 marzo 1942
Salpa da Durazzo e raggiunge Bari, da solo e senza scorta.
19 aprile 1942
Viaggio da Bari a Durazzo, sempre isolato.
27 aprile 1942
Parte da Valona e raggiunge Porto Edda con un carico di munizioni, scortato dal piccolo incrociatore ausiliario Rovigno.
13 novembre 1942
Viaggio da Durazzo a Bari, da solo e senza scorta.
10 febbraio 1943
Alle 9.20 il sommergibile britannico Thunderbolt (capitano di corvetta Cecil Bernard Crouch) avvista il Totonno – in navigazione da Sebenico a Spalato – in posizione 43°29’ N e 15°58’ E, mentre sta costeggiando l’estremità meridionale di Curzola. Alle 9.33 il sommergibile lancia due siluri da 2290 metri, ma, avendo sbagliato nello stimare la velocità del bersaglio (del quale ha stimato erroneamente anche la stazza, valutandola in 1500 tsl), le due armi mancano il Totonno passandogli a prua ed esplodendo contro la costa.
 

La nave quando portava l’originario nome di Curaçao (www.kroonvarders.nl

L’affondamento

Il 15 febbraio 1943 il Totonno era in navigazione da Gravosa a Durazzo con un carico di rifornimenti militari quando, intorno alle 7.10 – essendosi spinto troppo vicino agli isolotti dei Pettini, vicino a Ragusa Vecchia – entrò accidentalmente in un campo minato italiano ed urtò una mina. Lo scoppio aprì una grossa falla nella stiva prodiera; il comandante tentò di sfruttare l’abbrivio e virò verso l’isolotto dei Pettini, distante solo poche centinaia di metri, per portare la nave ad incagliare sulla vicina isola, ma il danno era troppo grave, ed il Totonno affondò di prua in pochi minuti. Non vi furono vittime.

Il relitto del Totonno (localmente noto anche come “Taranto”) è oggi oggetto d’immersioni: giace nel punto 42˚ 39' 06,84'' N e 18˚ 02' 48,63'' E vicino all’imboccatura del porto di Gravosa (Ragusa), a soli 60 metri dal terzo isolotto dei Pettini/Grebeni (sul quale è situato un faro). Lo scafo si è spezzato in due a proravia della sovrastruttura (presumibilmente nell’adagiarsi sul fondale), e giace su un “gradino” roccioso sottomarino con la prua, appoggiata alla parete rocciosa e puntata verso l’alto, a 24-25 metri di profondità e la poppa, in assetto di navigazione, a 51-54 metri, ancora notevolmente integro. Un trattore Ansaldo è ancora assicurato al ponte di poppa, mentre altri due giacciono nei pressi, sul fondale.
 

Il Totonno a Torre del Greco (da www.gbottiglieri.com 




sabato 28 novembre 2015

Polinice

La nave quando portava l’originario nome di Tempo (da www.searlecanada.org

Piroscafo da carico di 1373 tsl e 738 tsn, lungo 73,1 metri, largo 10,66 e pescante 4,75, con velocità di 11 nodi. Appartenente all’armatore Achille Lauro di Napoli, ed iscritto con matricola 379 al Compartimento Marittimo di Napoli.

Breve e parziale cronologia.

21 novembre 1911
Varato nei cantieri S. P. Austin & Son Ltd. di Wear Dock (Sunderland) come Tempo (numero di cantiere 261).
Dicembre 1911
Completato per la Pelton Steam Ship Company Ltd. di Newcastle (in gestione a R. S. Gardiner & Joseph Reay di Newcastle).
1912-1914
Naviga prevalentemente nelle acque dell’Arcipelago Britannico e nel Canale della Manica.
Novembre 1914
Requisito dall’Ammiragliato per essere impiegato come trasporto per munizioni durante la prima guerra mondiale; entra in servizio con la Royal Fleet Auxiliary.
20 novembre 1914
Giunge a Scapa Flow insieme all’incrociatore leggero HMS Falmouth.


Una foto del Polinice (foto di Umberto Bertolo, per g.c. del figlio Luciano)

Marzo 1919
Finita la guerra, il Tempo viene restituito agli armatori.
31 gennaio 1927
S’incaglia presso Austruweel, vicino ad Anversa, ma viene disincagliato senza danni.
1931
Acquistato da Antonino Pollio di Sorrento (o Napoli) e ribattezzato Polinice. Stazza lorda e netta risultano essere 1379 tsl e 687 tsn.
1936
Acquistato da Achille Lauro di Napoli.
 
Il Polinice a Savona nel 1936 (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net

Malta

Quando l’Italia dichiarò guerra a Gran Bretagna e Francia, il 10 giugno 1940, il Polinice (al comando del capitano Efisio Satta) era in Mediterraneo, in navigazione verso la Bulgaria, ma si trovava nei pressi di una delle più pericolose basi aeronavali britanniche in quel mare: Malta.
Prima di potersi allontanare, il piroscafo venne intercettato da unità britanniche e costretto a dirigere per La Valletta. La sua cattura fu però al centro di un grave episodio di “fuoco amico”: ad intercettare la nave in avvicinamento al Grand Harbour furono tre barche armate da marinai della fortezza di St. Angelo, ma il presidio del vicino forte di St. Rocco non era a conoscenza di quanto stava accadendo, e ritenne che le tre barche fossero italiane, ed intendessero attaccare La Valletta. Così, le batterie del forte aprirono il fuoco, distruggendo due delle tre barche, uccidendo i loro equipaggi e danneggiando anche il Polinice.
Cionondimeno, la nave fu catturata; l’equipaggio italiano riuscì tuttavia ad impedire che essa potesse essere utilizzata dal nemico: quando il Polinice giunse all’imboccatura del porto, l’11 giugno, i suoi marinai lo autoaffondarono. I sei membri dell’equipaggio vennero recuperati e fatti prigionieri; imprigionati in un primo tempo a Malta, vennero successivamente trasferiti a San Giovanni d'Acri (Palestina).
Il piroscafo venne recuperato, ma i britannici non sarebbero mai riusciti a servirsene prima della fine della guerra.
Il 20 giugno 1940 il Maresciallo della Corte Commerciale di Malta annunciò che era cominciato un procedimento per l’espropriazione della nave e del suo carico, ed il 4 luglio il Maresciallo della Corte delle Prede invitò privati a presentare offerte per l’acquisto del Polinice.
Ma la nave era ancora ferma a Malta quando, il 29 aprile 1941, venne gravemente danneggiata da un bombardamento della Luftwaffe mentre si trovava ormeggiata alle boe a Kalkara Creek. Dopo circa dodici ore, il Polinice affondò in sedici metri d’acqua, lasciando emergere soltanto la parte superiore di alberi e fumaiolo.
Ciò non bastò a fermare la Corte delle Prede: il 7 settembre 1943, benché la nave non fosse ancora stata recuperata, ci fu un nuovo invito a presentare offerte per il suo acquisto, ed il 12 febbraio 1944, quando ormai il Polinice giaceva da quasi tre anni sui fondali di Kalkara Creek, il bastimento venne messo all’asta. Questa volta qualcuno si fece avanti e lo acquistò: il maltese Anton Theuma, che tuttavia non procedette ancora al suo recupero.
Bisognò aspettare fino all’ottobre 1946 perché un armatore maltese, Emmanuel Schembri, recuperasse infine il piroscafo (dopo averlo acquistato da Theuma): dopo averlo riparato, Schembri gli diede il significativo nome di Reborn, “rinato”.
Sotto il nuovo nome e bandiera la nave solcò il Mediterraneo ancora per alcuni anni, poi, nel marzo 1950, venne posta in disarmo nel Grand Harbour di Malta.
Qui l’ex Polinice languì per quasi un quindicennio; poi, nel dicembre 1964, venne infine venduto per demolizione alla Dominion & Colonial Trading Company di Luqa (Malta). Lo smantellamento ebbe luogo tra gennaio e febbraio del 1965 in quel di Marsa (Malta).
 
Un’altra immagine del Tempo (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net

martedì 24 novembre 2015

Gemma

Il Gemma in allestimento a Monfalcone (da www.grupsom.com

Sommergibile di piccola crociera della classe Perla (dislocamento di 695 tonnellate in superficie e 855 in immersione). In guerra effettuò 4 missioni offensive/esplorative in Mar Egeo, percorrendo 2509 miglia in superficie e 951 in immersione.

Breve e parziale cronologia.

7 settembre 1935
Impostazione nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1140).
21 maggio 1936
Varo nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
8 luglio 1936
Entrata in servizio. Assegnato alla XXXV Squadriglia Sommergibili (III Grupsom), viene dislocato a Messina. Suo primo comandante è il capitano di corvetta Mario Ciliberto.

Sotto, il comandante Ciliberto durante la cerimonia di consegna della bandiera di combattimento, svoltasi a Crotone il 6 novembre 1936 (la bandiera era offerta dalla locale sezione del PNF). Accanto al Gemma è ormeggiata la torpediniera Ippolito Nievo (g.c. Giovanni Pinna)




1936
Compie una lunga crociera addestrativa nel Dodecaneso.
1937
Altra lunga crociera addestrativa nel Dodecaneso.
27 agosto-5 settembre 1937
Partito da Augusta, effettua una missione segreta di agguato nel Canale di Sicilia durante la guerra civile spagnola (al comando del tenente di vascello Carlo Ferracuti), durante la quale effettua tre manovre d’attacco, senza però portarne a termine nessuna per l’impossibilità di identificare con certezza i bersagli. Torna poi ad Augusta.
1938
Viene inviato insieme al capoclasse Perla a Massaua, in Eritrea (Mar Rosso).
1939
Assume il comando del Gemma il tenente di vascello Vincenzo D'Amato, che lo terrà fino al maggio 1940.
Primavera 1939
Gemma e Perla compiono una crociera nell’Oceano Indiano per testare le prestazioni della classe (in termini di tenuta al mare e capacità operativa) in mari caldi e nella stagione dei monsoni (nel loro caso, durante il monsone di nordest). I risultati sono deludenti: il mare in tempesta, che raggiunge la forza 9, impedisce l’uso dell’armamento e rende molto difficile anche solo restare a quota periscopica; si verificano anche perdite di cloruro di metile, gas usato nell’impianto di condizionamento dell’aria ma altamente tossico e anche mortale.
Fine 1939
Rientra in Mediterraneo e viene assegnato alla XIV Squadriglia Sommergibili del I Grupsom, di base a La Spezia.
10 giugno 1940
L’Italia entra nel secondo conflitto mondiale. Il Gemma (tenente di vascello Guido Lanza Cordero di Montezemolo) è dislocato a Lero, in seno alla XIII Squadriglia Sommergibili.
10-15 giugno 1940
Compie un’infruttuosa missione nelle acque di Chio.
30 giugno-8 luglio 1940
Seconda missione, nuovamente senza risultati, al largo di Sollum.
7-16 agosto 1940
Terza missione, a nord di Creta; di nuovo non coglie successi.
 
Il Gemma (da “I sommergibili in Mediterraneo”, USMM, Roma 1972, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net

Fuoco amico

Il Gemma fu l’unico sommergibile della Regia Marina ad andare perduto in un tragico caso di quello che oggi verrebbe definito “fuoco amico”.
Il 30 settembre 1940 l’unità, al comando del capitano di corvetta Guido Lanza Cordero di Montezemolo, salpò da Lero per raggiungere la propria area d’operazioni, situata nel tratto settentrionale del canale di Caso (a levante di Creta). A sud settore del Gemma, al centro del Canale di Caso, c’era quello del gemello Ametista, a sud del quale (nel tratto meridionale del canale) era ubicato quello di un terzo sommergibile, il Tricheco (capitano di corvetta Alberto Avogadro di Cerrione).
Il Gemma giunse in zona il 1° ottobre; vi sarebbe dovuto restare fino all’8 ottobre, ma la sera del 3 gli fu ordinato di spostarsi più ad est, nel canale tra Rodi e Scarpanto. Avrebbe dovuto pattugliare fino alla sera dell’8 un quadrilatero i cui lati erano costituiti dalle congiungenti isola Saria-Capo Monolito (Rodi)-Capo Prosso (estremità meridionale di Rodi)-Capo Castello (estremità meridionale di Scarpanto).
Il 6 ottobre il Comando di Lero inviò al Gemma un nuovo ordine, quello di rientrare alla base: il cifrato con tale disposizione doveva essere ritrasmesso al sommergibile da Supermarina, ma ciò non fu fatto a causa di un disguido, ed il Gemma rimase al suo posto.
Il 7 ottobre, il Tricheco ebbe un ferito a bordo e dovette rientrare a Lero in anticipo sul previsto. Nella navigazione di ritorno sarebbe dovuto passare vicino alla costa orientale di Scarpanto, così attraversando la nuova area d’agguato del Gemma: per un ritardo nella trasmissione delle comunicazioni, però, non ne venne avvisato (né lo fu il Gemma del passaggio del Tricheco).

All’1.15 dell’8 ottobre, il Tricheco avvistò nel buio la sagoma di un sommergibile in superficie. Non essendo possibile riconoscere di notte un’unità subacquea, era norma considerare come nemici i sommergibili sconosciuti, avvistati in zone dove non era stata comunicata la prevista presenza di altri battelli nazionali: e così, non essendo stato informato della presenza del Gemma, fece il Tricheco.
All’1.21, pertanto, il Tricheco lanciò due siluri da breve distanza contro l’unità “nemica”. Il Gemma fu colpito da entrambe le armi a centro nave, ed affondò immediatamente con l’intero equipaggio, nel punto 35°30’ N e 27°18’ E, a tre miglia per 78° da Kero Panagia (Scarpanto).
Morirono il comandante Cordero di Montezemolo, quattro altri ufficiali, 12 sottufficiali e 27 tra sottocapi e marinai.

Inizialmente la sparizione del Gemma fu attribuita ad unità britanniche – il che diede qualche speranza ad alcune famiglie, dato che i bollettini radiofonici dell’8 ottobre riportavano proprio in quella data la perdita per mano nemica di due sommergibili, con diversi sopravvissuti catturati –, ma non ci volle molto prima di notare la coincidenza tra l’attacco del Tricheco e la scomparsa del Gemma. Alla fine dell’ottobre 1940 l’equipaggio venne dichiarato «come deceduto anziché disperso».

Morirono sul Gemma:

Bruno Alampi, marinaio
Danilo Benedet, sergente
Vittorio Bragoni, sergente
Pietro Camurri, marinaio
Giuseppe Catino, sottocapo
Stelio Coacci, marinaio
Guido Cordero di Montezemolo, capitano di corvetta (comandante)
Guerino Costantini, sergente
Aniello Cozzolino, sottocapo
Oscar Culotta, sottotenente di vascello (comandante in seconda)
Felice Deidda, sottocapo
Giuseppe De Salvo, marinaio
Giuseppe Ferro, guardiamarina
Fabio Fissi, marinaio
Luigi Gattabugi, marinaio
Cesare Ghinamo, secondo capo
Bruno Giordani, sottocapo
Antonino Giustolisi, marinaio
Bruno Graziano, marinaio
Salvatore Iacomino, marinaio
Giuseppe Infantino, marinaio
Fabio Luisi, secondo capo
Francesco Malaspina, marinaio
Narciso Marangoni, marinaio
Pasquale Meola, sottocapo
Pietro Mologni, marinaio
Angelo Monzo, sottocapo
Achille Opulente, secondo capo
Vittorio Pasquini, marinaio
Damiano Peluso, marinaio
Aroldo Pierattini, secondo capo
Oreste Ravecca, marinaio
Stefano Romeo, marinaio
Giacomo Rossi, sergente
Gaetano Rubera, sottocapo
Liborio Savarese, guardiamarina
Antonio Scalco, secondo capo
Francesco Scelzo, capo di terza classe
Giuseppe Sommella, capo di seconda classe
Alfredo Titonel, secondo capo
Egidio Tranfa, sottocapo
Pasquale Vaccari, sottocapo
Luigi Vado (o Vada), tenente del Genio Navale (direttore di macchina)
Fortunato Verma, marinaio

Il marinaio silurista Pietro Mologni, 21 anni, da Albano Sant’Alessandro (BG), morto sul Gemma (da un numero del 1941 della “Rivista di Bergamo”, via Rinaldo Monella e www.combattentibergamaschi.it)

Il Gemma fotografato verosimilmente nell’estate 1940 (g.c. STORIA militare)


domenica 22 novembre 2015

V 12 Maddalena

Il Maddalena (g.c. Mauro Millefiorini)

Motoveliero da carico (goletta) con scafo in acciaio, da 345,10 tsl e 254 tsn, lungo 41,1 metri, largo 8,3 e pescante 3,38. Appartenente all’armatore Giuseppe Roggero & C. di Imperia ed iscritto con matricola 3 al Compartimento Marittimo di Imperia.

Breve e parziale cronologia.

1920
Costruito nei cantieri Van Der Werff G. J. Scheepsbouw di Doesburg (Paesi Bassi) per gli armatori Roth & Olivetti di Trieste, col nome di Istriano. Stazza lorda e netta originarie 327 tsl e 228 tsn.
1930
Acquistato dall’armatore Ettore Giuntini, di Savona, e ribattezzato Arrigo Giuntini.
1934
Acquistato dall’armatore Giuseppe Roggero e ribattezzato Maddalena.
8 giugno 1940
Requisito a Porto Torres dalla Regia Marina (alle ore 11) ed iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato con sigla V 12, adibito alla vigilanza foranea. Di fatto utilizzato anche come trasporto.
13 ottobre 1942
Parte da Trapani alle 7.35 insieme ad un altro motoveliero, il Mirabella.
15 ottobre 1942
Maddalena e Mirabella giungono a Tripoli alle 10.30.
4 novembre 1942
Salpa da Tripoli alle 15 diretto a Bengasi.
8 novembre 1942
Arriva a Bengasi a mezzogiorno.
10 novembre 1942
Lascia Bengasi alle 17 per tornare a Tripoli.
14 novembre 1942
Giunge a Tripoli alle 10.50.

L’ultima nave per Tripoli

Ad un piccolo motoveliero come il Maddalena, una delle migliaia di navicelle naufragate e dimenticate nei mari della Storia, toccò in sorte un posto d’onore nella storia della battaglia dei convogli: fu questa, infatti, l’ultima nave che tentò di rifornire Tripoli.
Nel dicembre 1942, la guerra in Libia volgeva ormai al termine: l’avanzata delle forze britanniche era inarrestabile, le truppe dell’Asse si ritiravano in Tunisia. Già la linea di rifornimento principale si era spostata, avendo ora come capolinea i porti di Tunisi e Biserta: ma ancora qualche nave era fatta partire per Tripoli, nonostante fosse evidente che la città sarebbe caduta nel giro di qualche settimana, e che presto sarebbe stato necessario organizzare l’evacuazione delle navi ancora presenti in quel porto, invece che mandarcene altre. Poche giunsero a destinazione.
Il Maddalena fu l’ultimo a tentare la traversata: al comando del nocchiere militarizzato di prima classe Giacomo Costanzo, lasciò Susa alle 19 del 30 dicembre, carico di carburante (per altra fonte, di grano). Nemmeno la sua sosta nel porto tunisino era stata tranquilla; il giorno precedente, 29 dicembre, era stato danneggiato da un attacco aereo, ed aveva appena finito di riparare i danni alla meglio quando ripartì.
La sua navigazione verso Tripoli durò soltanto poche ore; poi fu avvistato dal sommergibile britannico P 45 (poi Unrivalled), al comando del tenente di vascello Hugh Bentley Turner). Questi ordinò di lanciare due siluri, ma fece in tempo a lanciarne solo uno prima che il sommergibile perdesse improvvisamente e accidentalmente quota. Prima che il P 45 potesse tornare in assetto e lanciare un secondo siluro, il primo centrò il Maddalena, affondandolo subito in posizione 35°18' N e 11°23' E, a sudest di Mehedia. Erano le 6.17 del 31 dicembre.
Degli undici uomini che componevano l’equipaggio del Maddalena, otto rimasero uccisi; solo il comandante Costanzo ed altri due uomini sopravvissero e vennero recuperati dall’Unrivalled, venendo fatti prigionieri.
 
Le vittime:
 
Andrea Colletti Laquidara, marinaio cannoniere, da Milazzo
 Aldo Di Schino, marinaio, da Gaeta
Lino Faccioli, marinaio cannoniere, da Goito
Giuseppe Fanciulli, marinaio furiere, da Monte Argentario
Enzo Generale, marinaio, da Napoli
Domenico Loffredo, marinaio, da Monte Argentario
Giuseppe Pagano, marinaio, da Messina
Alfredo Palombo, sottocapo nocchiere, da Monte Argentario


(N.B. Negli elenchi dei caduti e dispersi della Marina Militare, la nave di appartenenza di questi otto caduti non è identificata per nome. Tuttavia, trattandosi degli unici militari della Regia Marina dispersi su una nave mercantile requisita in data 30 dicembre 1942, ed essendo il Maddalena l'unica nave mercantile requisita perduta in tale data, appare pressoché certo che essi morirono sul Maddalena. Ulteriore conferma è data dal loro numero, otto, che coincide con quello dei membri dell'equipaggio del Maddalena periti nell'affondamento).


venerdì 20 novembre 2015

Enrichetta

L’Enrichetta (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net

Trasporto militare da 4652,23 tsl, 2978,89 tsn e 8500 tpl, lungo 117,66 metri, largo 15,3-15,9 e pescante 7,43, con velocità di 9,5 nodi. Appartenente alla Regia Marina ma in gestione alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione Garibaldi, con sede a Genova; iscritto con matricola 1822 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

29 aprile 1907
Varato nei cantieri Joseph L. Thompson & Sons Ltd. di North Sands (Sunderland) come Kossuth Ferencz (numero di costruzione 459).
Giugno 1907
Completato come Kossuth Ferencz (bandiera austroungarica), per la compagnia ungherese Società Anonima Navigazione Marittima Atlantica, avente sede a Fiume. Stazza lorda originaria 4781 tsl.
1917
Requisito dalla Marina imperiale austro-ungarica durante la prima guerra mondiale.
Gennaio 1918
Restituito agli armatori.
1919-1920
A seguito della fine della prima guerra mondiale e della dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico, il Kossuth Ferencz naviga sotto bandiera interalleata.
1920-1924
La compagnia armatrice continua ad avere sede a Fiume, che frattanto è divenuta «Stato Libero di Fiume». Il Kossuth Ferencz batte bandiera italiana.

Il Kossuth Ferencz (g.c. Horváth József via www.hajoregiszter.hu

1924
A seguito di accordo tra la Società Anonima Navigazione Marittima Atlantica (Atlantica Trust Company Ltd di Budapest) ed il governo italiano, con l’annessione di Fiume all’Italia, viene costituita la Fiumana Società Anonima di Navigazione; il Kossuth Ferencz cambia nome in Alberto Fassini, dal nome del presidente della nuova società. La Navigazione Marittima Atlantica s’impegna inoltre di riscattare la nave dal governo italiano, pagando rate mensili (non ci riuscirà e dovrà infine venderla nel 1930).
1932
Acquistato dall’armatore Salvatore Capiello di Genova, che lo ribattezza Presto. Stazza lorda e netta risultano essere 4560 tsl e 2980 tsn.
Settembre 1932
Due membri dell’equipaggio del Presto vengono processati dal «Tribunale speciale per la difesa dello Stato» per possesso di volantini della Confederazione Generale del Lavoro.
1933
Acquistato dalle Industrie Navali Società Anonima (INSA, armatore Giovanni Gavarone) di Genova e ribattezzato Enrichetta.
1936
Acquistato dalla Regia Marina.
12 maggio 1936
Entra in servizio nella Regia Marina come nave trasporto.
19 dicembre 1936
L’iscrizione nel quadro del Regio Naviglio viene temporaneamente sospesa per permetterne la gestione alla Cooperativa Garibaldi.
10 giugno 1940
Ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale. L’Enrichetta è inquadrato nel naviglio ausiliario autonomo, alle dirette dipendenze di Supermarina.
9 gennaio 1941
Salpa da Brindisi alle quattro insieme al piroscafo Santa Maria, adibito al traffico civile. La scorta è fornita dalla torpediniera Altair; le due navi giungono a Valona alle 13.
26 gennaio 1941
Lascia Valona alle 9.45, in convoglio con il Santa Maria ed il piroscafo cisterna Cesco (tutti e tre sono scarichi) e con la scorta della torpediniera Aretusa. Il convoglio arriva a Brindisi alle 18.45.
6 luglio 1942
Compie un viaggio da Taranto a Navarino, rimorchiando un dragamine, con la scorta delle torpediniere Antonio Mosto e Solferino.
10 agosto 1942
Compie un viaggio da Lero al Pireo, in convoglio con i piroscafi Arsia e Fanny Brunner e con la scorta della torpediniera Lira.
 
La nave sotto il nome di Alberto Fassini (da www.hajoregiszter.hu

L’affondamento

Alle 17.15 dell’8 ottobre 1942 l’Enrichetta salpò da Brindisi diretto a Navarino, con la scorta della vecchia torpediniera Angelo Bassini (tenente di vascello Vaccarezza). A bordo il piroscafo aveva un carico di materiali vari destinati alle basi della Regia Marina in Grecia (tra cui boe, mine e benzina in fusti, sistemati a poppa) e 104 militari di passaggio, oltre ai 47 di equipaggio per un totale di 151 uomini.
Il convoglio, la cui navigazione era ostacolata dal maltempo, procedeva a rilento; il mattino del 10 ottobre le due navi stavano procedendo a sette nodi al largo dell’isola Proti, nel mare agitato con foschia, piovaschi e vento di burrasca. La Bassini precedeva l’Enrichetta di circa un chilometro, compiendo ampi zig zag coi quali passava da un lato all’altro della nave.
Alle 9.40 l’Enrichetta accostò assumendo rotta 158°. Alle 13.30 – mentre la Bassini era sulla dritta del trasporto – si scatenò un forte piovasco, unitamente ad impetuoso vento da nord-nord-est con tuoni e fulmini, che ridusse la visibilità a non più di 300 metri, facendo così perdere il contatto visivo tra le due navi.
Nel frattempo era giunto sul posto il sommergibile britannico P 43 (poi Unison), al comando del tenente di vascello Arthur Connuch Halliday. Questi avvistò l’Enrichetta alle 13.17, senza avvedersi – a causa del piovasco – della presenza della Bassini. Un minuto dopo, identificato il bersaglio come un mercantile di 5000 tsl che distava 1460 metri, il P 43 manovrò per attaccare, ed alle 12.24 lanciò tre siluri da soli 550 metri.
Impossibile mancare: dopo un minuto di corsa, il primo siluro colpì l’Enrichetta sul lato sinistro, nella stiva numero 1, facendo esplodere ed incendiare i fusti di benzina sistemati a poppa; il secondo centrò la nave nella sala macchine; il terzo colpì a poppa, provocando ulteriori esplosioni ed incendi tra i fusti di benzina collocati a poppa. La sventurata nave s’inabissò in appena mezzo minuto, nel punto 37°11’ N e 21°26’ E, una dozzina di miglia ad ovest-sud-ovest di Kyparissia in Grecia.
La benzina in fiamme, sparsa sulla superficie del mare, circondò molti uomini, senza lasciar loro scampo. Il mare agitato ed i piovaschi spensero però le fiamme abbastanza in fretta, e la maggior parte dei naufraghi riuscì così a salvarsi.
Tornando a quota periscopica, Halliday osservò la scena di distruzione che aveva provocato: in mare c’erano rottami e naufraghi aggrappati ad essi. A pochi metri dalla sua visuale, Halliday poté vedere distintamente due naufraghi che scuotevano il pugno in direzione del suo periscopio.
Avvistata la Bassini, scese a 36 metri e si allontanò verso sud.

Il piovasco iniziò a decrescere solo alle 14.10, e quando la visibilità andò gradatamente aumentando il comandante della Bassini si accorse che non riusciva a vedere l’Enrichetta. Alle 14.20, mentre la visibilità continuava ad aumentare, la torpediniera si avvicinò alla posizione in cui si sarebbe dovuto trovare il trasporto (5 miglia per 326° dall’isola di Proti): benché ormai fosse possibile vedere fino ad una distanza di due miglia, in aumento, la nave era scomparsa.
Alle 14.25 la Bassini invertì la rotta ed accelerò a 18 nodi, ed alle 14.50, finalmente, avvistò ad un miglio e mezzo sulla dritta numerosi galleggianti, che Vaccarezza ritenne essere boe. Avvicinandosi, la torpediniera scoprì innumerevoli fusti e rottami a galla nel mare, aggrappati ai quali decine di naufraghi si tenevano faticosamente a galla: c’erano centinaia di fusti di benzina, una mezza dozzina di boe, una cinquantina di mine da blocco e svariati altri rottami di ogni forma e dimensione, sparpagliati su un’area circolare del diametro di un chilometro.
Alle 15.30 la Bassini calò la propria iole e due battellini per recuperare i superstiti. Il mare agitato complicava l’opera di soccorso; i primi naufraghi giunsero sulla torpediniera alle 16, e riferirono al comandante Vaccarezza che l’Enrichetta era stato affondato da un sommergibile. Mentre il salvataggio era in corso, due aerei tipo Macchi sorvolarono il punto dell’affondamento.
Gli ultimi sopravvissuti furono recuperati alle 17.30; la Bassini tentò di riferire immediatamente a Marimorea del salvataggio dei naufraghi, ma le scariche atmosferiche, che disturbavano le trasmissioni radio, lo resero impossibile. I naufraghi vennero rifocillati e rivestiti con quanto era disponibile a bordo, anche con il corredo dell’equipaggio della Bassini.
Alle 17.45, recuperate le proprie imbarcazioni, la torpediniera ispezionò la zona per avere la certezza che non vi fossero altri naufraghi in mare; poi, alle 17.54, diresse a tutta forza verso Navarino. Strada facendo, incontrò due motovedette ed un rimorchiatore, usciti da Navarino e diretti verso il punto dell’affondamento; giunse in porto alle 19.10.
La Bassini aveva recuperato 78 sopravvissuti, 18 dei quali feriti; due di essi erano spirati a bordo prima ancora di arrivare a Navarino.
Nonostante il giro finale della torpediniera, i mezzi inviati dopo di essa trovarono ancora altri dodici sopravvissuti, che recuperarono.
Le vittime dell’Enrichetta furono in tutto 63.

L’affondamento dell’Enrichetta nel giornale di bordo dell’Unison (da Uboat.net):

“1217 hours - In heavy rain sighted a vessel to the northward.
1218 hours - The vessel was seen to be a 5000 tons merchant vessel. Range was 1600 yards. Started attack.
1224 hours - In position 37°11'N, 21°26'E fired three torpedoes from 600 yards. All hit the target.
1225 hours - The ship was seen to be sinking. Due to the bad visibility the escort was not seen. P 43 retired to the south and later to the west at 120 feet.
1335 hours - Weather had improved and upon returning to periscope depth an older type Italian torpedo-boat was sighted at a range of 5000 yards. P 43 went to 180 feet and continued to clear the area.
1645 hours - Returned to periscope depth. Nothing in sight.”
 

Il Kossuth Ferencz in un ex voto (da www.hajoregiszter.hu