lunedì 30 luglio 2018

Corazziere

Il Corazziere in transito nel canale navigabile di Taranto (da “Cacciatorpediniere classe Soldati” di Erminio Bagnasco, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate, in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate). Durante il conflitto svolse complessivamente 135 missioni di guerra (tra cui 24 di scorta convogli), percorrendo in tutto 45.782 miglia nautiche (per altra fonte, 53.000).

Breve e parziale cronologia.

7 ottobre 1937
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
22 maggio 1938
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
4 marzo 1939
Entrata in servizio.
11 maggio 1939
Partecipa alla rivista navale "I", tenuta in onore del reggente Paolo di Jugoslavia.
Giugno 1939
Il Corazziere e gli undici gemelli ricevono, a Livorno, le rispettive bandiere di combattimento, offerte dalle Associazioni d’Arma delle diverse Armi di cui i vari cacciatorpediniere portano il nome.
1939
Il Corazziere forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli LanciereAscari e Carabiniere. Tale Squadriglia viene assegnata alla scorta dell’incrociatore pesante Pola, nave ammiraglia della 1a Squadra Navale (per altra fonte la XII Squadriglia sarebbe stata assegnata alla scorta della III Divisione Navale – incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano –, ma in realtà questo risulterebbe essere il ruolo assegnato alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere).
Durante il breve periodo prebellico, il Corazziere svolge principalmente attività addestrativa.
Luglio 1939
Compie una crociera da Gaeta a Malaga e Barcellona.
23 maggio 1940
In mattinata il Corazziere ed il gemello Lanciere salpano da La Spezia per scortare a Taranto la nuovissima corazzata Littorio, appena completata. Corazziere e Lanciere scortano la Littorio fino a Messina, poi vengono sostituiti dai cacciatorpediniere Freccia e Saetta per il tratto finale del viaggio.
8 giugno 1940
Il Corazziere (capitano di fregata Carlo Avegno), il Lanciere (capitano di vascello Carmine D’Arienzo), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano (capitano di vascello Mario Azzi, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo) e Luigi Cadorna (capitano di vascello Romolo Polacchini) e le torpediniere Polluce (tenente di vascello Ener Bettica) e Calipso (tenente di vascello Giuseppe Zambardi), dopo aver imbarcato (in rada gli incrociatori, a Punta Cugno le altre unità) in tutto 428 mine tipo Wickers Elia (146 sul Da Barbiano, 118 sul Cadorna, 54 su ciascun cacciatorpediniere e 28 su ogni torpediniera), lasciano Augusta per effettuare nella notte successiva la posa dello sbarramento offensivo «L K» (Lampedusa-Kerkennah) nel Canale di Sicilia (tale sbarramento è inteso soprattutto ad evitare azioni offensive, nelle acque della Tripolitania, da parte di navi francesi provenienti dalla Tunisia), composto da quattro segmenti paralleli orientati per 233° («A» di 146 mine, «B» di 118 mine, «C» di 108 mine e «D» di 56 mine) ma all’ultimo momento si decide di rimandare la missione di ventiquattr’ore, dunque le navi vengono fatte tornare in porto.
9 giugno 1940
CorazziereLanciere, Da BarbianoCadornaPolluce e Calipso partono di nuovo da Augusta alle 16. Alle 16.45 i due incrociatori, preceduti di 3000 metri da Corazziere e Lanciere, superano le ostruzioni a 26 nodi, poi seguono le rotte costiere di sicurezza, scortati da due idrovolanti antisommergibile CANT Z decollati da Augusta. Alle 17.50 si uniscono al gruppo anche le due torpediniere. Alle 19.30 le navi lasciano le rotte di sicurezza, ed i cacciatorpediniere si accodano agli incrociatori mentre cessa la scorta aerea antisommergibile. Alle 20.30 le navi accostano per 222° facendo rotta su Lampedusa.
10 giugno 1940
Alle 00.03 viene data libertà di manovra per la posa delle mine, compiuta con rotta 223° e velocità 16 nodi. Corazziere e Lanciere posano le 108 mine del tratto assegnato, il «D» (lunghezza 10.700 metri, iniziando nel punto 35°03’ N e 11°57’40” E e terminando nel punto 34°59’ N e 11°51’40” E, il tratto più meridionale dello sbarramento «L K»), tra l’1.49 e le 2.12.
Nel frattempo, le torpediniere posano il tratto «A» (56 mine) tra l’1.25 e l’1.37, il Da Barbiano posa il tratto «B» (146 mine) tra l’1.03 e l’1.39, ed il Cadorna posa il tratto «C» (118 mine) tra l’1.25 e l’1.49. La profondità a cui sono posate le mine è di quattro metri, la distanza tra ogni ordigno di cento metri.
Alle 4.20 le navi del gruppo si avvistano a vicenda ed iniziano la riunione, conclusa la quale, alle 4.42, comincia la navigazione di rientro verso Augusta, a 25 nodi, con le siluranti in scorta ravvicinata. Alle 10.15 viene avvistato un idrovolante quadrimotore francese, proveniente da Malta e diretto verso ovest. Alle 12.25 la formazione (con le torpediniere a proravia degli incrociatori ed i cacciatorpediniere a poppavia di questi ultimi) imbocca le rotte costiere di sicurezza della Sicilia, nuovamente sotto la scorta di due idrovolanti CANT Z antisommergibile inviati da Augusta. Alle 15.45 le navi superano le ostruzioni ed entrano nel porto di Augusta.
Proprio su una mina della spezzata «D» dello sbarramento «L K», quella posata da Corazziere e Lanciere, affonderà senza superstiti, tra il 13 ed il 16 dicembre 1940, il sommergibile della Francia Libera Narval (capitano di vascello François Drogou). Il ritrovamento, nel novembre 1957, del suo relitto, a 9 miglia per 68° dalla boa numero 3 delle secche di Kerkennah (cioè proprio nella posizione in cui sono state posate le mine della spezzata «D»; coordinate 35°03’ N e 11°53’ E), con la prua distrutta da un’esplosione, confermerà tali circostanze.
10 giugno 1940
Poche ore dopo l’ultimazione della posa dello sbarramento «L K», l’Italia entra nella seconda guerra mondiale.
Il Corazziere (capitano di fregata Carlo Avegno), insieme ai gemelli Ascari, Lanciere (caposquadriglia, capitano di vascello Carmine D’Arienzo) e Carabiniere, forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Lo stesso 10 giugno, alle 19.10, il Corazziere ed il resto della XII Squadriglia (AscariCarabiniereLanciere) salpano da Napoli insieme alla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta) per fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
In mattinata, la VII Divisione e la XII Squadriglia si uniscono ad un altro gruppo partito da Messina e composto dagli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III Divisione Navale) e dai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera).
Le navi procedono poi nel Canale di Sicilia fino a nord di Favignana, a protezione sia della X Squadriglia che di un gruppo di unità che rientrano alla base dopo aver posato un campo minato.
Tutte le navi rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle 00.20 il Corazziere, insieme al resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, caposquadriglia, Ascari e Carabiniere), alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), all’incrociatore pesante Pola ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano), salpa da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano).
(Per altra fonte le navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico, segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest; segnalazione che si rivela poi errata, con conseguente ordine di rientrare alle basi).
Al contempo salpano da Taranto, per fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci) e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche, tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il sommergibile britannico Orpheus (capitano di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di Malta, avvista il Pola, la III Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo lontano, il sommergibile non attacca.
22-24 giugno 1940
La XII Squadriglia Cacciatorpediniere prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e X ed alle Divisioni incrociatori I (ZaraFiumeGorizia), II (Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni) e III (Trento e Bolzano) nonché all’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra Navale, più la I Divisione), per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale.
Le forze della 2a Squadra, partite da Messina (Pola e III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21 ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto dello stesso giorno a nord di Palermo.
L’operazione non porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
7 luglio 1940
Il Corazziere, insieme al resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, caposquadriglia, Ascari e Carabiniere), salpa da Augusta unitamente all’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra), alla I Divisione Incrociatori (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia) ed alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), mentre da Messina e Palermo prendono il mare le Divisioni Incrociatori III (Trento, Bolzano) e VII (Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo, Raimondo Monteucccoli) e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che – insieme alle unità salpate da Augusta – compongono la 2a Squadra Navale.
Loro compito è scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da carico Marco FoscariniFrancesco Barbaro (salpata da Catania alle 12 del 7) e Vettor Pisani e le navi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori
La XII Squadriglia Cacciatorpediniere è assegnata alla scorta del Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra.
La 1a Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
La 2a Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle 14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la 2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare, al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate (Warspite, Malaya e Royal Sovereign), una portaerei (la Eagle), cinque incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940

Per ordine dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del 9 sulla dritta di Pola e I Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina, alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8, però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»; l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento, che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi “nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di interrompere l’attacco e chiarire l’equivoco.
Alle 6.40 la III Divisione si ricongiunge con Pola e I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta, ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la XII Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione, va a formare la seconda colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Tra le 13.15 e le 13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di cui la XII Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici, decollati dalla Eagle alle 11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno trovato, provengono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30 metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860 metri a proravia della corazzata Cesare, nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15 (incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm) facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche. Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni degli incrociatori pesanti italiani, dei quali solo il Trento spara tre salve contro di esse.
Nella seconda fase, la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (OrionNeptuneSydneyLiverpool e Gloucester), che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco efficace.
Alle 15.59, però, la Cesare, la nave ammiraglia, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XII Squadriglia va all’attacco alle 16.07, partendo da una posizione un poco più arretrata rispetto alla XI Squadriglia e passando a poppavia del Pola. I quattro cacciatorpediniere dirigono immediatamente in modo da ridurre le distanze con la testa della flotta britannica e stringere il beta del nemico, ma si ritrovano immersi nelle cortine nebbiogene emesse dalle unità della XI Squadriglia, che li precedono; l’atmosfera nebbiosa e fumosa che li circonda complica notevolmente l’attacco dei caccia della XII Squadriglia, che riescono a vedere i bersagli soltanto a tratti, in modo saltuario (tale atmosfera fosca, insieme alle forti rollate, rende anche molto difficile la rilevazione dei dati cinematici).
Alle 16.12 il caposquadriglia D’Arienzo, sul Lanciere, stima che il grosso della flotta britannica (probabilmente le navi da lui viste sono gli incrociatori della 7th Cruiser Division) stia accostando verso i cacciatorpediniere da una distanza di circa 19.000 metri (con Rb. 300°), pertanto accosta verso sinistra in modo da riaprire il beta e mantenerlo favorevole, manovrando per farsi scadere sul beta mentre le distanze calano fino a 15.000 metri; un aereo solitario, un idrovolante Short Sunderland, attacca le unità della XII Squadriglia, che sono al contempo fatte oggetto del tiro di due gruppi di incrociatori nemici.
Alle 16.22, giunto a 14.000 metri dalle corazzate nemiche e con un beta 30° da esse, il caposquadriglia Lanciere – che sta per ordinare di lanciare – stima che le navi nemiche abbiano invertito la rotta, pertanto decide di rinunciare momentaneamente al lancio ed ordina di accostare a sinistra. Alcuni secondi prima, tuttavia, il Corazziere ha già lanciato tre siluri contro quello che stima essere il gruppo delle corazzate britanniche, che stanno in quel momento irrompendo nella zona della “mischia” tra i cacciatorpediniere; al contempo anche l’Ascari ha lanciato un siluro contro un incrociatore, tutti senza risultato (due di essi, probabilmente, sono i siluri che mancano a poppa il cacciatorpediniere britannico Nubian). Subito dopo, la XII Squadriglia inverte la rotta sulla sinistra, assumendo rotta sudovest; su tale rotta i cacciatorpediniere si trovano per circa mezz’ora ad essere violentemente cannoneggiati da pezzi di medio calibro (120 e 152 mm) delle corazzate e degli incrociatori nemici, rispondendo a loro volta vivacemente con i pezzi da 120 mm (in tutto le unità della XII Squadriglia sparano 347 colpi di tale calibro, entrando ed uscendo dalla cortina fumogena per una dozzina di volte mentre navigano, sostanzialmente, di conserva con la flotta britannica). Alle 16.45 il Lanciere lancia a sua volta tre siluri, in ritirata, contro due incrociatori, senza colpire. Si tratta in assoluto dell’ultimo lancio di siluri nella battaglia di Punta Stilo; dopo di esso, le squadre italiana e britannica si perderanno definitivamente di vista.
Tra le 16.19 e le 16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da 11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna unità sia stata colpita.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20 e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica. Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti, apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia (XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
Il grosso della flotta italiana dirige su Augusta, eccetto la III Divisione e la danneggiata Cesare, che fanno rotta per Messina, dove giungono alle 21 del 9 luglio. (Apparentemente la XII Squadriglia non risulterebbe tra le squadriglie inviate ad Augusta, pertanto è probabile che abbia accompagnato la III Divisione a Messina).
30 luglio-1° agosto 1940
Il Corazziere prende il mare, insieme al resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Carabiniere, Ascari, Lanciere, quest’ultimo caposquadriglia), alla IX Squadriglia (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci) ed alla I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), nonché alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i cacciatorpediniere Antonio PigafettaLanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia), alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaLuigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Muzio AttendoloRaimondo Montecuccoli con i cacciatorpediniere GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante superiore in mare) e Trento, per fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento».
Tali convogli sono tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità) è formato dalle navi da carico Maria EugeniaGloria Stella, MaulyBainsizzaBarbaro e Col di Lana e dall’incrociatore ausiliario Città di Bari (qui usato come trasporto) scortati dalle torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti truppe Marco PoloCittà di Napoli Città di Palermo, scortati fino alla Sicilia dalle torpediniere Circe, Calipso, Calliope e Clio e poi dalle torpediniere AlcioneAretusaAirone ed Ariel; il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro, scortati dalle torpediniere VegaPerseoGenerale Antonino Cascino Generale Achille Papa.
Sempre a protezione dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del 28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende il Corazziere. Quest’ultimo, insieme al resto della XII Squadriglia, viene inviato a rinforzare la scorta del convoglio n. 2 nel primo tratto della navigazione tra Sicilia e Libia.
La I e VII Divisione, insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere che ad essi si è unita, si portano in posizione idonea a proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e rientra alle basi.
Tutti i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
4 agosto 1940
Corazziere ed Ascari, insieme alle torpediniere Curtatone e Castelfidardo (che lasciano la scorta nel pomeriggio), salpano da La Spezia in mattinata per scortare a Messina l’incrociatore pesante Bolzano, che ha completato le riparazioni dei danni subiti a Punta Stilo. Durante il giorno le navi sono protette anche da aerei antisommergibili.
5 agosto 1940
Corazziere, Ascari e Bolzano giungono a Messina in tarda mattinata.

Il Corazziere nel 1940 (Coll. Aldo Fraccaroli via Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

31 agosto 1940
Alle 6 del mattino la XII Squadriglia (Corazziere, Ascari, Lanciere e Carabiniere) salpa da Taranto scortando l’incrociatore pesante Pola per partecipare, insieme al grosso della flotta da battaglia, al contrasto all’operazione britannica «Hats» (consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo). Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
(Secondo un’altra versione, invece, la XII Squadriglia sarebbe salpata da Messina lo stesso giorno insieme alla III Divisione ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, unendosi con esse al grosso della flotta in un secondo momento).
Complessivamente, all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate delle Divisioni V (CesareDuilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto), 12 incrociatori delle Divisioni I (ZaraFiumeGorizia), III (Trento, Trieste, Bolzano), VII (Eugenio di SavoiaDuca d’AostaMontecuccoli ed Attendolo) e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) più l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia della 2a Squadra, ammiraglio Angelo Iachino) e 39 cacciatorpediniere (FrecciaDardoSaetta e Strale della VII Squadriglia; FolgoreFulmineLampo e Baleno dell’VIII Squadriglia; MaestraleGrecaleLibeccioScirocco della X Squadriglia; AviereArtigliereGeniere e Camicia Nera della XI Squadriglia; LanciereCarabiniereAscari e Corazziere della XII Squadriglia; GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia; Alvise Da MostoGiovanni Da VerrazzanoAntonio Pigafetta e Nicolò Zeno della XV Squadriglia; Nicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare della XVI Squadriglia). La III Divisione si riunisce al grosso della squadra italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
I e III Divisione Divisione formano la 2a Squadra (che precede il grosso delle forze italiane).
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite sotto il comando dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche. L’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto alle 16.20 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate da ricognitori alle 15.35 a 120 miglia di distanza dalla 2a Squadra. Campioni gli ha dato l’autorizzazione alle 16.31, ma revoca l’autorizzazione alle 16.50 (comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie), ed alle 17.27 ordina alla 2a Squadra di invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di portarsi per le sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20 nodi, in un punto 36 miglia ad ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante; dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante.
1° settembre 1940
Durante il mattino il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
7 settembre 1940
Corazziere, Ascari e Carabiniere, che formano la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, lasciano Taranto alle 16, insieme al cacciatorpediniere Vittorio Alfieri della IX Squadriglia, al Geniere della XI Squadriglia, all’incrociatore pesante Pola ed alla I (incrociatori pesanti Zara e Gorizia) e III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano), cioè alla 2a Squadra Navale, nonché alla 1a Squadra con la IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaDardoSaetta), VIII (Folgore, Fulmine, Baleno), X (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino).
La flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H, dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale (Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III Divisione rispettivamente).
9 settembre 1940
Le navi rientrano alle rispettive basi, si riforniscono di carburante e rimangono pronte  a muovere, ma non ci sono novità sul nemico.
5 ottobre 1940
Il Corazziere ed il resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciere – caposquadriglia – e Carabiniere) partono da Taranto in serata scortando le due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano Venier, dirette a Lero e cariche di rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso. L’invio di questo convoglio è denominato Operazione «C.V.».
6 ottobre 1940
In mattinata prendono il mare due gruppi di incrociatori pesanti incaricati di fornire protezione al convoglio: da Messina parte la III Divisione (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano) con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereArtigliereGeniere e Camicia Nera), mentre da Taranto salpano la I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia della 2a Squadra Navale) e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (AlfieriOrianiGioberti e Carducci).
L’operazione viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11-12 novembre 1940
Il Corazziere si trova ormeggiato in Mar Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, ai cacciatorpediniere FrecciaStraleDardoSaettaMaestraleLibeccioGrecaleSciroccoGeniere, Camicia NeraCarabiniereLanciereAscariDa ReccoPessagno ed Usodimare, alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, al posamine Vieste ed al rimorchiatore di salvataggio Teseo), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Tra le 14.30 e le 16.45 del 12 novembre la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (di cui è sempre caposquadriglia il Lanciere), insieme alla III Divisione, lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi a Messina. Il Corazziere esce dal Mar Piccolo alle 11.30, ed il suo equipaggio può così vedere gli effetti dell’attacco della notte precedente: la Cavour affondata, la Duilio incagliata per evitare la stessa fine, la Littorio con il ponte di prua semisommerso.
16 novembre 1940
La XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, LanciereAscariCarabiniere) salpa da Messina alle 10.30, insieme alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), per partecipare all’intercettazione di un gruppo navale britannico diretto verso est. Una formazione britannica (la Forza H dell’ammiraglio James Somerville, con le portaerei Argus e Ark Royal, l’incrociatore da battaglia Renown, gli incrociatori leggeri SheffieldDespatch e Newcastle ed otto cacciatorpediniere), salpata da Gibilterra e con rotta verso levante, è stata infatti avvistata nel Mediterraneo occidentale: è in corso l’operazione britannica «White», consistente nel lancio, da parte della portaerei Argus della Forza H, di 14 aerei destinati a rinforzare le modeste forze aeree di base a Malta, nonché un’azione di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente alla partenza da Messina di III Divisione e XII Squadriglia, da Taranto prendono il mare le corazzate Vittorio Veneto (nave di bandiera del comandante della 1a Squadra, ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare) e Cesare, il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra) e la I Divisione con Fiume e Gorizia (da Napoli) nonché le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (GiobertiAlfieriOriani,  Carducci), XIII (Bersagliere, GranatiereFuciliereAlpino); da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (VivaldiDa NoliTarigoMalocello).
La III Divisione e la XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si uniscono al grosso della squadra, partito da Napoli, nel pomeriggio del 16.
La forza così riunita sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 la squadra britannica viene avvistata da ricognitori, che però non ne precisano né la rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sebbene non vi sia stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»: l’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta, infatti, ha indotto Somerville a far decollare gli aerei dall’Argus in anticipo, tenendo la portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a Malta: gli altri nove esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso Siracusa, venendo catturato.
26 novembre 1940
Alle 12.30 il Corazziere lascia Messina insieme al resto della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere – caposquadriglia –, AscariCarabiniere, quest’ultimo temporaneamente sostituito dal Libeccio) ed alla III Divisione (Bolzano, Trento e Trieste, nave ammiraglia dell’ammiraglio Luigi Sansonetti, comandante la III Divisione), mentre da Napoli escono le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione Navale (Fiume e Gorizia) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Saetta e Dardo), IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
La formazione italiana si riunisce nel punto 39°20’ N e 14°20’ E, 70 miglia a sud di Capri, alle 18.00, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione "Collar". Tale convoglio, entrato in Mediterraneo il 24 novembre, è composto dai mercantili New Zealand Star, Clan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Despatch, l’incrociatore antiaerei Coventry, i cacciatorpediniere Duncan, Wishart ed Hotspur e le corvette Hyacinth, Peony, Salvia e Gloxinia. La Forza F di protezione ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende l’incrociatore pesante Berwick e gli incrociatori leggeri Manchester, Newcastle, Sheffield e Southampton, mentre come forza di copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H (ammiraglio James Somerville) con la corazzata Ramillies, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal e undici cacciatorpediniere (Kelvin, Jaguar, Encounter, Faulknor, Firedrake, Fury, Forester, Gallant, Greyhound, Griffin e Hereward).
27 novembre 1940
Alle otto del mattino la III Divisione e la XII Squadriglia si trovano a cinque miglia per 180° dal Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III Divisione; il tutto sotto il comando dell’ammiraglio Iachino), con rotta 250° e velocità 16 nodi, mentre la I Divisione è insieme al Pola e la 1a Squadra (le due corazzate ed i cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia; ammiraglio Campioni) è più a poppavia.
La formazione italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene avvistato alle 9.45 da un idroricognitore lanciato dal Bolzano alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90° e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05 dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche; continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico e tagliargli la rotta.
Alle 11.01 la III Divisione riceve ordine da Iachino di portarsi a poppavia (a tre miglia per 270°) del resto della 2a Squadra, ed alle 11.28 l’intera formazione assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da quella prevista.
Durante l’inversione di rotta conseguente all’ordine delle 11.01, tuttavia, si verifica una certa confusione causata dall’errata interpretazione di un segnale da parte del Trento (che per invertire la rotta vira di contromarcia, mentre gli altri due incrociatori virano ad un tempo), così che il Trieste, nave ammiraglia, finisce al centro della formazione, invece che in testa, e la III Divisione si ritrova arretrata rispetto al resto della 2a Squadra: ultima della formazione, 8 km a poppavia della I Divisione.
Alle 11.35 la 2a Squadra riceve dall’ammiraglio Campioni di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla sua nave ammiraglia (la Vittorio Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile direzione d’avvicinamento della squadra britannica.
A mezzogiorno il Lanciere viene colto da un’avaria di macchina, restando fermo per un breve lasso di tempo; in conseguenza di ciò, la XII Squadriglia rimane un po’ arretrata.
Alle 12.07, in seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità), essendosi i due gruppi riuniti, l’ammiraglio Campioni ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e tre minuti dopo ordina alla 2a Squadra di aumentare la velocità per riunirsi alle corazzate, pertanto la 2a Squadra accelera a 25 nodi, poi a 28.
Alle 12.15, tuttavia, le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta, ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori, corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), SheffieldSouthamptonNewcastle e Manchester (leggeri), oltre a numerosi cacciatorpediniere. In questo momento la III Divisione si trova in linea di fila 8 km a poppa della I Divisione, con rotta 90° e velocità 25 nodi, in aumento (le corazzate sono invece a proravia della I Divisione). A seguito dell’avvistamento delle forze nemiche, l’ammiraglio Campioni ordina di incrementare ancora la velocità. Inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi, gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione dal Pola e da quelli della III Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una distanza di 21.500 metri (Pola e I Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori britannici (uno, il Manchester, viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento, scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; BerwickManchesterSheffield e Newcastle concentrano il loro tiro contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro, le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di 18.000 metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione (che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in ritardo rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno ancora raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35, l’incrociatore pesante britannico Berwick: la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali e locali adiacenti, ma il Berwick continua a fare fuoco.
Proprio mentre il Berwick viene colpito, tuttavia, anche da parte italiana si registrano gli unici colpi a segno della giornata. Durante lo scontro tra gli incrociatori, la XII Squadriglia – scadendo sulla dritta a causa delle avarie che avevano in precedenza afflitto il Lanciere – si viene a trovare ad est della III Divisione, e dunque in posizione più prossima al nemico rispetto a quest’ultima; diverse salve britanniche da 152 mm cadono nei suoi pressi, ed intorno alle 12.33 una granata da 152 (forse sparata dall’incrociatore leggero Southampton) colpisce il Lanciere, fermandone la motrice poppiera. La nave riesce a proseguire a 23 nodi, ordinando ad Ascari e Carabiniere di coprirla con cortine fumogene; ma alle 12.40, mentre si sta spostando verso ovest passando a poppavia della III Divisione, il Lanciere viene colpito altre due volte. Sebbene gravemente danneggiato, esso mantiene buone condizioni di galleggiabilità e riesce a sottrarsi al tiro nemico grazie alle cortine nebbiogene; grazie ad esse, infatti, l’incrociatore Southampton, che l’aveva tenuto sotto il suo fuoco per undici minuti, lo perde di vista e cambia bersaglio. A causa dell’esaurimento dell’acqua per alimentare le caldaie (causato dalla rottura delle tubolature dell’acqua, provocata dal secondo colpo a segno), tuttavia, il Lanciere è costretto a spegnerle ed a fermare le macchine, restando immobilizzato intorno alle ore 13.
Fino alle 12.40 le navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane); in questa fase la III Divisione, mentre la velocità aumenta progressivamente fino a 34 nodi, aumentando le distanze con le navi nemiche, di quando in quando accosta in modo da sparare con tutte le artiglierie invece che con le sole torri poppiere. Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente, trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire nulla.
Nel frattempo anche la 1a Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10.
Alle 13.15, dopo la rottura del contatto balistico tra le due flotte, il Lanciere comunica di essere rimasto immobilizzato per mancanza d’acqua; alle 13.16, pertanto, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di dare assistenza al cacciatorpediniere colpito. Dopo alcune discussioni tra Iachino e Sansonetti (che non nutre dubbi sull’utilità di tornare indietro con tutta la divisione per assistere un solo cacciatorpediniere), la III Divisione ritorna nel punto in cui si trova l’immobilizzato Lanciere, che alle 14.40 – per ordine di Sansonetti – viene preso a rimorchio dal gemello Ascari.
Alle 15.35, mentre i due cacciatorpediniere iniziano a mettersi in moto, la III Divisione viene violentemente attaccata da sette bombardieri britannici Blackburn Skua (appartenenti all’800th Squadron della Fleet Air Arm, e guidati dal tenente di vascello R. M. Smeeton), decollati alle 15 dalla portaerei Ark Royal. Gli Skua, senza attaccare i due cacciatorpediniere intenti nella delicata manovra di rimorchio (che non sembrano avere avvistato), bombardano in picchiata (con bombe da 227 kg) gli incrociatori di Sansonetti, che reagiscono con pronte manovre e con intenso tiro contraereo (pur senza colpire alcun velivolo). L’Ascari molla il rimorchio per avere maggior libertà di manovra sotto l’attacco, ma per fortuna i bombardieri si concentrano sugli incrociatori della III Divisione anziché sul Lanciere, bersaglio lentissimo e molto più facile. Nessuna nave viene colpita, sebbene cinque delle bombe da 500 libbre cadano molto vicine al Bolzano ed al Trento.
Concluso l’attacco, l’Ascari torna a prendere a rimorchio il Lanciere e dirige verso Cagliari a lento moto (velocità di 6-7 nodi), scortato a distanza dalla III Divisione sino al tramonto. Anche il Corazziere scorta il gemello danneggiato; Lanciere ed Ascari, protetti fino alle 18 da una scorta aerea di caccia FIAT CR. 42, raggiungono Cagliari senza ulteriori inconvenienti.


Sopra, una foto scattata dal Corazziere durante la battaglia di Capo Teulada; sotto, altre immagini scattate forse nella medesima circostanza (g.c. Mario Mandina)







9 gennaio 1941
Durante il pomeriggio il Corazziere, insieme ad Ascari, Carabiniere ed Alpino, bombarda con le sue artiglierie le posizioni greche nella zona di Grieseraci e Pikerasi (Piqeras), sulla costa albanese, in appoggio alle truppe di terra italiane, impegnate in duri combattimenti contro le forze greche le quali, invaso l’Epiro con la propria controffensiva, minacciano Valona. Siffatte azioni di bombardamento avvengono in seguito a richiesta da parte del Comando Superiore delle Forze Armate in Albania.
Mentre sono impegnati nel bombardamento, il Corazziere e gli altri cacciatorpediniere godono della protezione a distanda delle Divisioni Navali VII (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli) e VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) nonché di un quinto incrociatore leggero, l’Armando Diaz.
Da parte greca si reagisce col fuoco di artiglierie di medio calibro, ma nessuno dei cacciatorpediniere viene colpito. Quella compiuta da Corazziere e gemelli è l’ultima di una serie di azioni di bombardamento costiero eseguite da siluranti italiane per contribuire a fermare l’offensiva greca che ha per obiettivo Valona; il giorno seguente, 10 gennaio, l’offensiva ellenica si esaurisce, senza aver conquistato Valona.
25 gennaio 1941
Nel pomeriggio il Corazziere (caposquadriglia, capitano di vascello Carmine D’Arienzo) esegue, insieme ai gemelli Ascari e Carabiniere, un’altra azione di bombardamento navale contro le posizioni greche sulla costa albanese, nella zona di Pikerasi (Piqeras), Kieparò (Qeparo), Porto Palermo e San Demetrio, per appoggiare le truppe di terra italiane nei combattimenti in corso nell’Albania meridionale.
Il 14 gennaio, pochi giorni dopo il fallimento della loro offensiva contro Valona, le truppe greche hanno lanciato un nuovo attacco sul fronte a mare, lungo la strada costiera Himara-Vunoj-Ducati-Valona; dopo dieci giorni di attacchi e contrattacchi da ambo le parti, il 25 gennaio le forze greche hanno costretto quelle italiane ad arretrare, e proprio in seguito a ciò è stato disposto il bombardamento del settore costiero da parte di Corazziere, Ascari e Carabiniere. L’azione di cannoneggiamento eseguita dalla XII Squadriglia, e diretta dal comandante D’Arienzo del Corazziere, risulta piuttosto efficace: grazie anche all’intervento delle artiglierie navali, infatti, la sera stessa del 25 gennaio la 6a Divisione Fanteria "Cuneo" può compiere un’azione di alleggerimento a sudest di Vunoj, ed il giorno seguente si sviluppa un contrattacco italiano che porterà, entro inizio febbraio, a riconquistare tutto il terreno perso nei giorni precedenti.
8 febbraio 1941
Alle 7 del mattino Corazziere e Carabiniere, insieme alla III Divisione (TrentoTriesteBolzano) dell’ammiraglio Luigi Sansonetti (imbarcato sul Trieste), salpano da Messina alla volta di La Spezia, a seguito di un ordine di Supermarina impartito alle 19.30 del 7 febbraio. L’ordine è stato dato a seguito della segnalazione di una nutrita formazione navale nemica al largo delle Baleari (per altra versione la partenza della III Divisione sarebbe stata disposta da Supermarina quale misura precauzionale, in vista dell’incontro tra Benito Mussolini e Francisco Franco fissato per l’11 febbraio, per l’eventualità che la Royal Navy volesse compiere un’azione spettacolare, con finalità principalmente psicologiche, contro le coste italiane).
Al contempo, da La Spezia escono in mare le corazzate Vittorio Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria e la X (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco) e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereFuciliereAlpino). L’invio a La Spezia della III Divisione con relativa scorta è motivato dal proposito, da parte di Supermarina, di costituirvi una forza navale razionalmente composta insieme alle altre unità salpate dalla base ligure: scopo dell’uscita è l’intercettazione dell’aliquota della Forza H britannica (incrociatore da battaglia Renown, corazzata Malaya, portaerei Ark Royal, incrociatore leggero Sheffield, cacciatorpediniere FuryFoxhoundForesightFearlessEncounterJerseyJupiterIsisDuncan e Firedrake), che si sa essere uscita da Gibilterra. La Forza H sta facendo rotta su Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (operazione «Grog»); ma l’obiettivo della Forza H non è noto ai comandi italiani, che pensano potrebbe invece trattarsi di un nuovo convoglio verso Malta o di un’azione diretta contro obiettivi della Sardegna occidentale (come già accaduto il 2 febbraio, quando aerei dell’Ark Royal hanno infruttuosamente attaccato la diga del Tirso). 
Alle 11.45, al largo di Napoli, anche un terzo cacciatorpediniere, il Camicia Nera, si unisce, come da ordini, alla scorta della III Divisione.

Il Corazziere nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

9 febbraio 1941
Poco dopo le otto del mattino, come da disposizioni, la III Divisione si riunisce, 40 miglia ad ovest di Capo Testa sardo (a nord dell’Asinara), alle forze navali uscite da La Spezia, ed alle 8.25 l’intera formazione (sotto il comando dell’ammiraglio Iachino) assume rotta 230°, dirigendo per quella che è ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione sia diretta contro la Sardegna.
Tale rotta, controvento, permette anche di catapultare gli idroricognitori: per ordine dell’ammiraglio Iachino, il Bolzano catapulta il suo IMAM Ro. 43 alle 8.55, seguito dal Trento alle 9.35; i due aerei hanno il compito di cercare il nemico verso sud e sud-ovest, ma in realtà la Forza H si trova 170 miglia più a nord dell’aerea oggetto della ricerca.
La squadra italiana non riesce a raggiungere la Forza H prima che il bombardamento di Genova si compia (questo avviene dalle 8.14 alle 8.54, mentre la squadra italiana, del tutto ignara di quanto sta accadendo, si sta radunando al largo dell’Asinara, e la ricognizione aerea sta cercando inutilmente il nemico ad ovest della Sardegna: le navi britanniche sparano 273 colpi da 381 mm, 782 da 152 mm e 405 da 114 mm, distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici, uccidendo 144 civili e ferendone 272 ed affondando due mercantili), e viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle informazioni pervenute con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord, con la III Divisione in posizione avanzata 10 km a proravia delle corazzate. Procedendo verso nord la visibilità (20.000 metri) e le condizioni meteomarine vanno migliorando, sebbene il cielo rimanga coperto da nuvole alte. Alle 12.35 il Trieste catapulta il suo idrovolante con l’ordine che questi segua la rotta 330° fino a 20 miglia dalla costa francese, per poi dirigere verso Genova ed infine ammarare a La Spezia. Alle 12.44, dopo vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche ed in mancanza di notizie fresche, la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle intercettare nel caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte costiere, ma alle 13.07, dopo aver ricevuto nuovi messaggi (che fanno pensare a Iachino che le forze britanniche si siano riuniti poco dopo mezzogiorno a sud di Capo Corso e stiano ripiegando verso sud intenzionati a passare vicino alle coste occidentali della Corsica), Iachino ordina che la III Divisione accosti per 50° (le corazzate assumono invece rotta 30° alle 13.16), dopo di che, quando le navi di Sansonetti si vengono a trovare 15 km a proravia delle corazzate a seguito di tale manovra, Iachino dispone che la III Divisione assuma rotta 30° e porti la velocità a 24 nodi. Alle 13.21 viene diramato l’ordine a tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro con il nemico (anche perché alle 13.27 l’aereo del Trieste ha comunicato di essere 20 miglia a sudest di Capo Camarat e di non aver incontrato navi nemiche, apparentemente confermando che queste non stiano seguendo le rotte costiere, bensì fuggendo verso sud costeggiando la Corsica occidentale: in realtà, si saprà solo in seguito che era passato prima a 40 e poi a 20 miglia dalla Forza H, senza vederla a causa della scarsa visibilità), ed alle 15.24 il Trieste (la III Divisione si trova 15 km a proravia delle corazzate) avvista delle alberature e segnala di aver avvistato il nemico su rilevamento 50°: viene ordinato il posto di combattimento su tutte le unità, ma alle 15.32 il Trieste annulla il segnale di avvistamento, spiegando che la nave avvistata è in realtà una petroliera. Alle 15.38 Trieste annuncia di nuovo navi sospette su rilevamento 50°, ed alle 15.40 anche dalle corazzate vengono avvistate le loro alberature: certe di aver finalmente trovato la formazione britannica, le navi italiane si preparano al fuoco, ma alle 15.48 un’osservazione più attenta rivela che le alberature sono quelle di sette mercantili francesi che navigano in convoglio verso sudest (un convoglio di cui le autorità italiane, come da clausole di armistizio con la Francia, erano state preavvertite).
Iachino comprende che la sua supposizione era errata, ed alle 15.50 la squadra italiana accosta verso ovest (la III Divisione, su ordine di Iachino, accelera a 30 nodi per portarsi prima possibile nella nuova direzione di probabile avvistamento del nemico) per intercettare la Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa francese, ma alle 17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di combattimento.
10 febbraio 1941
Durante la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del 10, al centro del quadratino 19-61, come ordinato (la III Divisione è in quel momento 10 km a proravia delle corazzate). Alle 9.07 viene ricevuto l’ordine di rientrare alle basi, e la III Divisione fa pertanto rotta su Messina, dove giunge in giornata.

Il Corazziere in bacino di carenaggio nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

24 febbraio 1941
Alle 5.45 Corazziere ed Ascari lasciano Palermo insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (nave di bandiera del comandante della IV Divisione Navale, ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo) ed Armando Diaz (capitano di vascello Francesco Mazzola), per una missione di scorta a distanza ai convogli che trasportano in Libia truppe e materiali dell’Afrika Korps. Sono infatti in mare tre convogli diretti in Libia: uno (partito da Napoli alle 19 del 23 facendo tappa a Palermo il 24, e diretto a Tripoli a 14 nodi) formato dalle motonavi tedesche MarburgReichenfelsAnkara e Kybfels, scortate dai cacciatorpediniere AviereGeniere e Da Noli e dalla torpediniera Castore; un secondo (salpato da Napoli a mezzogiorno del 25) composto dai trasporti tedeschi LeverkusenArcturusWachtfels ed Alikante e dall’italiano Giulia, scortati dal cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e dalle torpediniere ProcioneOrsa e Calliope; ed un convoglio veloce (partito da Napoli alle 20 del 24 febbraio) formato dai trasporti truppe Conte RossoEsperiaMarco Polo e Victoria, scortati dai cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera e dalle torpediniere Orione ed Aldebaran. Sono inoltre in mare anche i piroscafi ArtaNirvo e Giovinezza di ritorno da Tripoli (che avevano lasciato alle 5.30 del 24) con la scorta della torpediniera Generale Achille Papa, ed i piroscafi Santa Paola e Honor partiti da Palermo il 25.
La IV Divisione ha avuto ordine di portarsi nel Canale di Sicilia per proteggere, tra il 25 ed il 27 febbraio, i convogli «Esperia», «Marburg» e «Alikante» in navigazione da Napoli a Tripoli, tenendosi pronta a qualsiasi evenienza.
Alle 11.30 la IV Divisione prende contatto con il convoglio «Marburg» (avente una velocità di 14 nodi), del quale, secondo gli ordini, dovrebbe mantenersi a proravia per fornirgli, durante la notte, scorta ravvicinata.
Sino al tramonto la IV Divisione si tiene tra gli 8.000 ed i 12.000 metri a proravia del convoglio «Marburg», procedendo a zig zag, con Corazziere ed Ascari  in posizione di scorta ravvicinata (il Corazziere di prora al Bande Nere, l’Ascari 45° sulla sinistra dello stesso incrociatore). Tramontato il sole, i due incrociatori mantengono la velocità a 14,5 nodi sino alla boa n. 4 di Kerkennah.
25 febbraio 1941
La notte è senza luna, l’oscurità profonda; ciò induce l’ammiraglio Marenco di Moriondo, intorno alle due di notte, dopo aver scapolato la zona obbligata della boa n. 4 di Kerkennah, ad interrompere lo zigzagamento ed a procedere con Bande Nere e Diaz in linea di fila, preceduti dal Corazziere e seguiti dall’Ascari, per eventuale reazione antisommergibili e per fornire scorta agli incrociatori se la IV Divisione dovesse eseguire marcate ed improvvise accostate. Alle 2.10 la formazione, un miglio ad ovest della boa n. 4 di Kerkennah, assume rotta 180°, ed intorno alle tre, per non allontanarsi dal convoglio, viene ridotta la velocità a 13,5 nodi, sempre mantenendo la linea di fila Corazziere-Bande Nere-Diaz-Ascari. Via via che le navi procedono verso sud, in direzione di Zuara, la già scarsa visibilità va progressivamente calando. Il mare è calmo, senza vento.
Alle 3.22 il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista le navi da guerra italiane su rilevamento 315°, a circa due miglia e mezzo. L’Upright, restando in emersione, accelera e descrive parzialmente un semicerchio, manovrando per avvicinarsi ed attaccare.
Il Corazziere e l’Ascari procedono rispettamene a proravia ed a poppavia dei due incrociatori, in linea di fila; il Diaz naviga nella scia del Bande Nere, ed al comandante dell’Upright sembra la nave più grossa: perciò è contro di esso che, alle 3.40, l’Upright lancia quattro siluri, immergendosi subito dopo.
Alle 3.43, quando il Diaz si trova a poche miglia dalla boa numero 4 delle secche di Kerkennah, due dei siluri lo colpiscono sul lato dritto, nei pressi del deposito munizioni prodiero, provocandone la devastante esplosione. Alle detonazioni dei due siluri segue una fiammata sulla dritta e poi un’esplosione molto più rovinosa, con una colossale fiammata generata dalla combustione delle polveri: gli uomini del Corazziere e dell’Ascari notano un ampio squarcio sul lato di dritta del Diaz, all’altezza del fumaiolo prodiero, dal quale escono le fiamme, e vedono anche che le sovrastrutture prodiere dell’incrociatore sono completamente avvolte dalle fiamme.
Nel giro di soli sei minuti il Diaz affonda di prua, fortemente sbandato sulla sinistra, in posizione 34°33’ N e 11°45’ E (al largo di Sfax, a 20 miglia e mezzo per 190° dalla boa n. 4 di Kerkennah), trascinando con sé i tre quarti dell’equipaggio.
L’Ascari (che è stato mancato da uno dei due siluri non andati a segno) contrattacca per primo, ed anche il Corazziere, subito dopo aver visto le esplosioni sul Diaz, riceve ordine d’invertire la rotta per partecipare alla caccia contro il sommergibile attaccante; portatosi nella zona in cui si presume essere il battello nemico, il Corazziere esegue una ricerca per nord-sud circa 2 km ad ovest del punto in cui è affondato il Diaz. La caccia da parte dei due cacciatorpediniere, che vede l’infruttuoso lancio di dieci o dodici bombe di profondità, si protrae dalle 3.45 alle 4.25, mentre il Bande Nere, dopo l’attacco, prosegue a maggiore velocità e con rotta a zig zag, scortando il convoglio a destinazione.
Alle 4.25 l’Ascari conclude la caccia e si dirige sul punto in cui si è inabissato il Diaz per iniziare a soccorrere i superstiti, dispersi in un’area abbastanza vasta, mentre il Corazziere,
prosegue nella vigilanza antisommergibili. Solo alle 7.30 anche il Corazziere si unisce ai soccorsi. All’alba, intanto, sopraggiungono anche aerei inviati da Marina Libia e da Trapani. Molti uomini scompaiono in mare prima di poter essere soccorsi, per ipotermia nella fredda acqua di febbraio, o per soffocamento causato dalla nafta che galleggia copiosa sulla superficie del mare.
L’Upright, che ha passato il contrattacco a 6 o 7 metri dal fondale, non subisce danni e ritorna a quota periscopica alle 7.15, osservando l’orizzonte tutt’intorno e vedendo che l’incrociatore attaccato non c’è più: solo due cacciatorpediniere intenti al recupero dei naufraghi laddove si era trovata la nave attaccata, su rilevamento 270°. Il sommergibile si avvia poi sulla rotta di rientro a Malta.
Il Corazziere, pur setacciando il mare per quattro ore, raccoglie solo tre sopravvissuti, mentre l’Ascari recupera 150 uomini ancora vivi, tra cui 31 feriti, e nove cadaveri. Due dei naufraghi muoiono poco dopo.
Alle 8.44 i due cacciatorpediniere, una volta appurato che non vi siano più naufraghi in mare, rimettono in moto dirigendo verso nordovest, per ricongiungersi col Bande Nere.
26 febbraio 1941
Corazziere, Ascari e Bande Nere giungono a Palermo, dove vengono sbarcati i naufraghi.
Dell’equipaggio del Diaz sono morti 464 uomini, su un totale di 605 imbarcati.
12-13 marzo 1941
Il Corazziere esce in mare quale parte della forza di scorta a distanza (incrociatori pesanti TrentoTriesteBolzano della III Divisione, cacciatorpediniere AviereCarabiniere, torpediniera Giuseppe Dezza, tre MAS) di un convoglio composto dai trasporti truppe VictoriaConte Rosso e Marco Polo, aventi la scorta diretta dei cacciatorpediniere FolgoreGeniere e Camicia Nera. Il convoglio, partito da Napoli all’1.30 del 12 marzo, giunge a Tripoli alle 15.30 del 13; la forza di cui fa parte il Corazziere procede a qualche miglio di distanza per fornire protezione strategica.
27 marzo 1941
Il Corazziere (caposquadriglia, capitano di vascello Carmine D’Arienzo) salpa da Messina alle 5.30 ad Ascari (capitano di fregata Marco Calami) e Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Sicco), che con esso formano la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, ed alla III Divisione (TrentoTrieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti con bandiera sul Trieste), per partecipare, insieme alla corazzata Vittorio Veneto, alla I Divisione (ZaraPolaFiume), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), XIII (GranatiereFuciliereBersagliereAlpino) e XVI (Nicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno), all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Verso le 6.15, nello stretto di Messina, la III Divisione con la XII Squadriglia si pone 7 miglia a proravia della Vittorio Veneto, scortata dalla XIII Squadriglia: queste unità formano il gruppo «Vittorio Veneto» al comando dell’ammiraglio Iachino.
La navigazione prosegue senza incidenti sino alle 12.25, quando il Trieste comunica a Iachino la presenza di un ricognitore britannico Short Sunderland a sud della III Divisione (e che continuerà a tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a questo – alle 12.20 il Sunderland ha comunicato l’avvistamento di tre incrociatori ed un cacciatorpediniere a cinque miglia per 270°, al largo di Capo Passero, per poi precisare alle 12.35 che le navi avvistate hanno rotta 120° e velocità 15 nodi: entrambi i messaggi vengono intercettati dalla Vittorio Veneto –, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo (il cui messaggio rischia di rivelare la destinazione, e dunque le intenzioni, della squadra italiana), e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.

Il Corazziere nel 1941 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri OrionAjaxPerth e Gloucester e dai cacciatorpediniere VendettaHastyHereward ed Ilex, il tutto sotto il comando del viceammiraglio Henry Daniel Pridham-Wippell), in navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la Vittorio Veneto (nonché il sopraggiungente gruppo «Zara», composto da I e VIII Divisione, che si riunisce al resto della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo Spartivento Calabro) aumenta la velocità a 28 nodi, la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi: Iachino intende far raggiungere alla divisione di Sansonetti gli incrociatori britannici, poi farla dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III Divisione di ripiegare verso la Vittorio Veneto dopo aver avvistato le forze britanniche. A quell’ora le navi di Sansonetti aumentano la velocità cercando il nemico, non ancora visibile, che secondo le informazioni del ricognitore dovrebbe trovarsi a sudest, cioè all’incirca di prora a dritta. Pochi minuti dopo, alle 7.39, la III Divisione viene avvistata da un ricognitore decollato dalla portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III Divisione inizia a scorgere su rilevamento 205° i primi segni della sopraggiungente Forza B, comunicandolo a Iachino, e nel giro di qualche minuto tutta la formazione di Pridham-Wippell è in vista.
Anche la Forza B, tuttavia, ha l’ordine di attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet, uscita in mare con le corazzate BarhamValiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare i comandi italiani sono totalmente all’oscuro: di conseguenza, le navi di Pridham-Wippell ripiegano verso Alessandria, costringendo la III Divisione ad inseguirle e facendo fallire la trappola pianificata dall’ammiraglio Iachino. Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 le navi di Sansonetti aprono il fuoco sulla Forza B da 22.000 (fonti italiane)-23.000 (fonti britanniche) metri, mentre le unità britanniche, i cui cannoni da 152 mm (essendo tutti incrociatori leggeri) hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”, non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a quelle italiane, spara tre salve, che cadono corte, a partire dalle 8.27-8.29, da 21.000 metri di distanza. È proprio il Gloucester, per via della sua posizione, a costituire il bersaglio principale dei cannoni della III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per evitare di essere colpito dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti, che poco dopo accostano in fuori di 25°, passando da rotta 160° a rotta 135° (così portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B), per poi riassumere, verso le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della Forza B.
Alle 8.36 Iachino ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed interrompere il combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche, ritenendo, a ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il controllo dei cieli è in mano britannica.
La III Divisione continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a colpire nessuna nave: tutte le salve cadono corte tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion Perth subiscono solo lievi danni da schegge. A quell’ora gli incrociatori di Sansonetti (al pari della Vittorio Veneto) accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, venendo seguiti a distanza dalla Forza B, che si mantiene fuori tiro e tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane.
Essendosene reso conto, alle 10.17 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al combattimento (spiegando anche le sue intenzioni), mentre la Vittorio Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B, incerta se le navi avvistate siano amiche o nemiche, effettua il segnale di riconoscimento, ma alle 10.56, mentre la Vittorio Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, Iachino ordina alla III Divisione di invertire la rotta e riprendere il combattimento. La Forza B subito accosta verso sud e si ritira inseguita dalle navi italiane (la III Divisione cerca di serrare le distanze ma non fa in tempo ad intervenire), coprendosi con cortine fumogene, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace.
Alle 11.18, a causa delle distanze in aumento e dell’arrivo di aerosiluranti britannici che attaccano la Vittorio Veneto, la III Divisione riceve l’ordine di riassumere rotta 300°.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30 la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 12.07 anche la III Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti britannici, che lanciano contro il Bolzano, ma riesce a sventare l’attacco contromanovrando ed aprendo un intenso tiro contraereo.
Alle 13.23 la III Divisione si trova a 57 miglia per 214° da Gaudo; alle 15.20 ed alle 16.58 tale divisione viene attaccata da bombardieri in quota britannici: nessuna nave viene colpita, ma alcune bombe cadono molto vicine a Trento e Bolzano.
Alle 15.19 tre aerosiluranti attaccano la Vittorio Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia che la scortano, in cooperazione con bombardieri in quota partecipano: l’aereo del capitano di corvetta John Dalyell-Stead, prima di essere abbattuto, riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di 19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, lascia libera l’VIII Divisione per il rientro a Brindisi ed ordina che le altre unità si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (nell’ordine, CorazziereCarabiniereAscari), la III Divisione (TriesteTrento,Bolzano), la Vittorio Veneto preceduta da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in coda), la I Divisione (ZaraPolaFiume) e la IX Squadriglia (Vittorio AlfieriVincenzo GiobertiGiosuè CarducciAlfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza, alle 18.51 tramonta il sole, ed alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo da essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed alle 19.24 i cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori –, alle 19.30 vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°) e sei minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di portarsi 5 km a proravia della Vittorio Veneto, alla XIII Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata ed alla I Divisione di posizionarsi 5 km a poppavia della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, molto discussa in seguito, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre raggiunge il Pola dalle corazzate britanniche BarhamValiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di ZaraPolaFiumeAlfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti (alle 21.35 Iachino fa trasmettere al Trieste una richiesta d’intervento della caccia aerea per l’alba dell’indomani, a 60 miglia per 140° da Capo Colonne, per non congestionare la stazione radiotelegrafica della Vittorio Veneto) sino alle 22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane assistono alla fine della I Divisione. Il tiro che si osserva a distanza si svolge in più fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori delle ultime esplosioni vengono visti alle 23.55.
29 marzo 1941
Il resto della formazione italiana, inutilmente cercato fin dopo mezzanotte dalla Forza B (che invece trova il Pola immobilizzato, scambiandolo per la Vittorio Veneto) e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del capitano di vascello Philip Mack, viene raggiunto dall’VIII Divisione (frattanto richiamata) alle otto del 29 marzo, a 60 miglia per 139° da Capo Colonne; la III Divisione si pone quindi a dritta della Vittorio Veneto, con la VIII Divisione a sinistra della corazzata (e la X Squadriglia Cacciatorpediniere, anch’essa inviata di rinforzo, a sinistra della VIII Divisione). A partire dalle 6.23 giungono sul cielo della formazione, per scortarla nella navigazione di rientro, aerei tedeschi ed italiani: la scorta aerea, mancata – elemento cruciale – durante tutta l’operazione, arriva solo ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 la formazione italiana assume rotta 343°, mettendo la prua su Taranto, ed arriva a Taranto poco dopo le 15.30. La III Divisione non viene fatta rientrare subito a Messina, ma viene bensì trattenuta per qualche tempo a Taranto.
24 maggio 1941
Alle 16 del 24 maggio Corazziere (caposquadriglia della XII Squadriglia), Ascari e Lanciere salpano da Messina insieme alla III Divisione (Bolzano e Trieste), di cui ha da poco assunto il comando l’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi (imbarcato sul Trieste), per fornire scorta a distanza ad un convoglio per la Libia composto dai trasporti truppe Conte Rosso (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzoneri), EsperiaVictoria e Marco Polo scortati dal cacciatorpediniere Freccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè) e dalle torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso, salpato da Napoli alle 4.40 e che ha appena superato lo stretto di Messina. III Divisione e XII Squadriglia prendono posizione circa 3 km a poppavia del convoglio.
Subito dopo l’attraversamento dello stretto, la scorta diretta viene temporaneamente rinforzata dalle torpediniere Calliope, Perseo e Calatafimi, che lasciano il convoglio alle 19.10; c’è anche una scorta aerea con velivoli da caccia, bombardieri ed idrovolanti (83° Gruppo della Regia Aeronautica) costituiscono invece la scorta aerea, presente dalle 13.56 fino al tramonto (gli ultimi aerei, due idrovolanti CANT Z. 501, se ne vanno alle 20.15 per tornare alle basi di Augusta e Taranto).
Nel frattempo – subito dopo aver attraversato lo stretto (il che avviene tra le 15.15 e le 17.30) – il convoglio assume la formazione in colonna doppia; Esperia e Conte Rosso sono i capi colonna, rispettivamente a dritta ed a sinistra (l’Esperia è seguito dalla Victoria, il Conte Rosso dal Marco Polo). L’Orsa precede il convoglio e lancia bombe di profondità a scopo intimidatorio dopo aver superato Reggio Calabria; alle 16.34 e 16.53 anche il Freccia lancia due bombe. Poi Procione ed Orsa si dispongono in colonna sul lato di dritta del convoglio (Orsa più avanti, all’altezza dell’Esperia; Procione più indietro, a poppavia della Victoria), Freccia e Pegaso sul lato sinistro (il Freccia in posizione più avanzata, all’altezza del Conte Rosso, e la Pegaso più indietro, appena a poppavia del Marco Polo). Trieste e Bolzano seguono incolonnati a tre chilometri, preceduti da Ascari (a dritta), Corazziere (al centro) e Lanciere (a sinistra) che procedono in linea di fronte. Il convoglio procede quindi a zig zag su quattro colonne (due di trasporti e due di siluranti, con due navi in ogni colonna), con rotta 171° e velocità 18 nodi.
Il mare è calmo, forza 1-2 senza cresta d’onda, non un alito di vento; il tramonto, particolarmente luminoso, rende le sagome delle navi molto visibili da ovest.
Alle 20.30 il convoglio viene avvistato nel punto 36°48’ N e 15°42’ E (una decina di miglia ad est di Siracusa e a 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco) dal sommergibile britannico Upholder (tenente di vascello Malcolm David Wanklyn). Wankyn stima che il convoglio abbia una rotta di 215°, e si avvicina per attaccare. Proprio alle 20.40, le navi smettono di zigzagare, per fare il punto.
Alle 20.43, prima di scendere a 45 metri e ripiegare verso est, l’Upholder lancia due siluri contro il Conte Rosso, la nave più grande del convoglio. Dopo una breve corsa, i siluri mancano il Freccia e colpiscono il bersaglio prescelto.
Subito dopo il siluramento, il Freccia lancia un razzo Very verde, segnale convenzionale d’allarme; i tre trasporti illesi eseguono la prescritta manovra di disimpegno, Esperia e Victoria accostando di 90° a dritta, Marco Polo a sinistra.
Il Conte Rosso s’inabissa in poco più di dieci minuti, una decina di miglia ad est di Capo Murro di Porco.
Al momento dell’attacco, la III Divisione si trova 3000 metri a poppa del convoglio (Trieste e Bolzano in linea di fila, con l’ammiraglia in testa), mentre la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, che sta assumendo in quel mentre la posizione di scorta avanzata notturna, si trova in posizione avanzata a proravia dei due incrociatori, in linea di fronte, a circa 1500 metri di distanza. Avvenuto il siluramento, Corazziere e Lanciere accostano subito a sinistra e si dirigono verso il punto dal quale sono stati lanciati i siluri, gettandovi bombe di profondità.
Alle 20.55 l’ammiraglio Brivonesi ordina a Corazziere e Lanciere di dare subito la caccia al sommergibile e poi di soccorrere i naufraghi.
Intanto, il Freccia ha iniziato per primo il contrattacco con bombe di profondità, distaccando Procione e Pegaso per il recupero dei superstiti del Conte Rosso. Gli altri tre trasporti truppe proseguono per Tripoli con la scorta dell’Orsa e la protezione a distanza di Trieste, Bolzano ed Ascari; alle 21 anche il Freccia si ricongiunge al convoglio, lasciando sul posto Corazziere, Lanciere, Procione e Pegaso. Quale ufficiale più alto in grado rimasto sul posto, assume la direzione dei soccorsi il comandante del Corazziere, caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere. Più tardi giungeranno sul posto anche le torpediniere CignoPallade e Clio, inviate da Messina, e le navi ospedale Arno e Sicilia.
L’Upholder, sceso a 45 metri, viene bombardato con 37 cariche di profondità dalle 20.47 alle 21.07 da FrecciaCorazziere e Lanciere, ma non subisce danni, sebbene le ultime quattro bombe, lanciate alle 21.07, esplodano molto vicine.
Il buio della notte rende particolarmente difficile il recupero dei naufraghi; le navi si aiutano nelle ricerche con i proiettori, ma dei 2729 uomini imbarcati sul Conte Rosso, 1297 affondano con la nave o muoiono in mare dopo l’affondamento.
Corazziere e Lanciere recuperano complessivamente circa 540 naufraghi, mentre Procione e Pegaso ne salvano rispettivamente 270 e 445.
L’operato delle siluranti impegnate nei soccorsi viene giudicato encomiabile dal capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzonieri, naufrago anch’egli del Conte Rosso (e salvato dalla Procione).
25 maggio 1941
Corazziere e Lanciere, con i 540 naufraghi recuperati, entrano ad Augusta alle 5.30.
Il resto del convoglio entra a Tripoli alle 17.30; le navi di Brivonesi rientrano a Messina alle 20 (ma ciò sembra poco compatibile con la scorta del 27-28 maggio, vedi sotto).
27 maggio 1941
Sbarcate le truppe, Esperia, Victoria e Marco Polo ripartono da Tripoli per Napoli a mezzogiorno, scortati da Freccia, Orsa, Procione e Pegaso, seguendo ancora la rotta di levante che passa per lo stretto di Messina.
Nella parte centrale della navigazione, il convoglio fruisce nuovamente della scorta a distanza di III Divisione e XII Squadriglia.
29 maggio 1941
Il convoglio giunge a Napoli all’1.30.
8 giugno 1941
CorazziereAscari e Lanciere, insieme a Trieste e Bolzano (III Divisione), salpano da Messina alle 15 per fornire scorta a distanza al convoglio «Esperia» (trasporti truppe EsperiaMarco Polo e Victoria, con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta, Strale e Gioberti), salpato da Napoli alle 2.50 e diretto a Tripoli.
9 giugno 1941
La III Divisone torna a Messina alle sei del mattino. Il convoglio «Esperia» giunge a Tripoli alle 15.

Il Corazziere nel 1941 (Museo Storico Navale di Venezia, via www.associazione-venus.it)

25 giugno 1941
Il Corazziere, insieme al resto della XII Squadriglia (Ascari, Lanciere e Carabiniere), va a rinforzare la scorta di un convoglio veloce composto dai trasporti truppe Esperia (capoconvoglio, contrammiraglio Luigi Aiello), Marco PoloNeptunia ed Oceania, scortati dai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta, capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere, Antonio Da Noli e Vincenzo Gioberti e dalla torpediniera Calliope. Il convoglio, partito da Napoli e diretto a Tripoli, segue la rotta di levante, passando nello stretto di Messina e poi ad est di Malta; la XII Squadriglia lo raggiunge appunto dopo l’attraversamento dello stretto di Messina. Al tramonto sopraggiunge anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), partita da Messina alle 19, quale scorta indiretta.
Alle 18.25, mentre le navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di Porco (precisamente, a 32 miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da Siracusa), il convoglio viene avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco dopo che la scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e quattro caccia Macchi MC. 200) se ne è andata, ad eccezione di un singolo caccia che è ancora sul cielo del convoglio, vengono avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland che volano a 2500 metri di quota, proprio sopra il convoglio. Viene dato l’allarme; sia i mercantili che i cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con le mitragliere. Gli aerei sganciano cinque bombe, ma nessuna va a segno; si ritiene che uno degli attaccanti, colpito, sia caduto in mare in fiamme.
Alle 20.30, terminato il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco dopo un altro aereo avversario si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri; fatto oggetto del violento tiro di tutte le navi del convoglio, rinuncia all’attacco e si allontana prima di poter giungere sulla verticale del convoglio. Da poppa sopraggiunge un altro bombardiere, ma è seguito dall’unico caccia rimasto della scorta aerea, e lascia dietro di sé una scia di fumo; due membri del suo equipaggio si lanciano col paracadute, poi il bombardiere precipita in mare. Alle 20.40 vengono avvistati altri due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi accolti dal tiro delle navi della scorta: uno dei due spara raffiche di mitragliera, poi accosta a sinistra e si allontana senza sganciare bombe; l’altro giunge sul cielo del convoglio e sgancia una bomba, che cade in mare senza fare danni. Alle 21, Supermarina “informa” il convoglio che alle 18.35 questo è stato avvistato da un ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala si accende a proravia del convoglio, a circa 3000 metri di quota (resta acceso 8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente insegna che questo è il preludio ad un attacco di aerosiluranti, le navi della scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, per occultare le navi del convoglio. Le cortine stese dalle varie siluranti si distendono e prendono consistenza, occultando sui due lati i bastimenti del convoglio; unica eccezione sono quelle cortine stese da Ascari e Lanciere, che si trovano circa 1500 metri a proravia del convoglio, le quali risultano troppo deboli. Di conseguenza, il caposcorta ordina ai due cacciatorpediniere di lasciarsi scadere, in modo da avvicinarsi al convoglio.
Alle 21.29 gli aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron della Fleet Air Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in formazione, si portano a proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro, indi si separano ed attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco con le mitragliere; vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali va a segno. Uno degli aerei entra nella formazione passando tra Ascari e Lanciere, attraversando la cortina nel punto in cui è meno densa per le circostanze sopra citate; ma nemmeno questo riesce a colpire qualcosa.
Mentre ancora non si è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle 21.37, vengono lanciati in mezzo al convoglio tre bengala che galleggiano sul mare (si tratta di fuochi al cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo primo impiego nella battaglia dei convogli): due si spengono quasi subito, ma il terzo resta acceso per un paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio con la sua fortissima luce gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul loro cielo i fanalini di navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con tutte le mitragliere. Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro; nessuna va a segno, ma una esplode a pochi metri dall’Esperia, che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle mitragliere; uno di essi, un Fairey Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. (sottotenente D. A. R. Holmes, aviere J. R. Smith), viene abbattuto.
Tanto accanimento non è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti il dubbio onore di essere stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla base delle informazioni fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica dedita alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno, due giorni prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio formato da NeptuniaOceaniaMarco Polo ed Esperia (in realtà, inizialmente, i britannici commettono un errore ed identificano la quarta nave come Victoria, ma questo viene prontamente corretto il 24 giugno), scortato da cinque cacciatorpediniere, deve partire da Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con arrivo previsto per le 16.30 del 27, navigando ad una velocità di 17,5 nodi. Ulteriori intercettazioni, sempre compiute il 23 giugno, permettono ai britannici di apprendere anche che il convoglio deve attraversare il parallelo 34°30’ N alle sette del mattino del 26, che sarà scortato anche da aerei, e che dopo aver scaricato i materiali dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi debbano proseguire per il resto della notte ed anche la mattina successiva – mentre il convoglio è al di fuori del raggio operativo della caccia italiana –, oltre che in seguito alla notizia dell’avvistamento di un sommergibile in agguato lungo la rotta del convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo della ricognizione marittima), Supermarina ordina sia al convoglio che alla III Divisione di dirottare su Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta ed indiretta invariate, seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile lontano da Malta. Anche questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi messaggi, ma stavolta la reazione britannica sarà assai meno violenta e tempestiva. I sommergibili Urge, Unbeaten ed Upholder ricevono l’ordine di intercettare il convoglio, ma soltanto il primo riuscirà a rintracciarlo.
28 giugno 1941
In mattinata il convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; il segnale di scoperta da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da Supermarina, che ne informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente la rotta, ma nel pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però attacchi aerei durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai lasciato dalla III Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma raggiunto dalla scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due idrovolanti CANT Z. 501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali sganciano poche bombe che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
Alle 8.56 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), in agguato a levante della Sicilia nel punto 37°55’ N e 15°35’ E, avvista Trieste e Gorizia, scortati da Corazziere, Ascari e Carabiniere, a 6 miglia di distanza per 195°. Tomkinson stima la rotta e velocità degli incrociatori come 360° e 24 nodi, ed alle 9.14 lancia quattro siluri contro l’incrociatore di testa, da una distanza di 1520 metri.
A bordo dell’Urge vengono sentiti due scoppi e si ritiene di aver colpito ed affondato l’incrociatore, ma in realtà nessuno dei siluri è andato a segno: il Trieste viene mancato da tre delle armi, e segnala l’accaduto, scatenando la reazione della scorta. I cacciatorpediniere lanciano 64 bombe di profondità tra le 9.21 e le 11.30, ma nessuna di esse esplode particolarmente vicina all’Urge, che così non subisce danni.
16 luglio 1941
Corazziere, Ascari e Carabiniere, insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Bolzano), prendono il mare per fornire scorta a distanza al convoglio «Marco Polo», salpato da Taranto alle 16 e composto dai trasporti truppe Marco Polo (capoconvoglio, contrammiraglio Luigi Ajello), Neptunia ed Oceania, con la scorta diretta dei cacciatorpediniere LanciereGeniere (caposcorta), Oriani e Gioberti e della torpediniera Centauro. Il convoglio segue la rotta di levante.
Secondo alcune fonti il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14.30.
23 agosto 1941
Alle 9.50 Corazziere, Lanciere, Ascari e Carabiniere, che formano la XII Squadriglia, partono da Messina insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia), per partecipare al contrasto all’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore leggero Hermione e cinque cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine veloce Manxman) e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Alle 18 si uniscono alla formazione anche i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco, inviati da Palermo.
24 agosto 1941
Alle cinque del mattino la III Divisione si unisce al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio» (corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia e GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia), salpata da Taranto alle 16; poco dopo la formazione viene rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino VivaldiNicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello, provenienti da Napoli, ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano, inviati da Trapani.
Le navi italiane assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le 6.40 LittorioVittorio Veneto e Trieste catapultano i loro idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle 11.15 è il Bolzano a catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata, una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo Teulada.
Intorno alle cinque del mattino del 24, gli aerei dell’Ark Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle 7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30 miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara, per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali; alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate, probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Nel corso dell’operazione, per due volte la III Divisione ha avvistato sommergibili nemici.
26 agosto 1941
Alle 5.54 il sommergibile britannico Triumph (capitano di fregata Wilfrid John Wentworth Woods), in agguato a nord di Messina, avverte rumori piuttosto forti di scoppi di bombe di profondità, che sembrano avvicinarsi; sei minuti dopo, in posizione 38°22’ N e 15°38’ E, il Triumph avvista verso nordovest un folto gruppo di navi italiane: essendo la luce ancora insufficiente, ed il periscopio d’osservazione fuori uso, Woods ci mette qualche minuto prima di riuscire a discernere la tipologia di navi nel periscopio, “tre corazzate od incrociatori, scortati da circa dieci cacciatorpediniere”. Si tratta della III Divisione e dei relativi cacciatorpediniere, che si apprestano ad imboccare lo stretto di Messina, di rientro dalla missione.
Il Triumph inizia la manovra di attacco alle 6.11, ed alle 6.38, poco a nord dello stretto, lancia due siluri da 4850 metri di distanza, contro il Bolzano, per poi scendere a 24 metri di profondità ed assumere rotta nord, per allontanarsi dalla posizione del lancio.
Uno dei siluri, circa tre minuti dopo il lancio, raggiunge il bersaglio, colpendo il Bolzano a poppa dritta; 8 uomini rimangono uccisi e 22 sono feriti, e l’incrociatore imbarca 2000 tonnellate d’acqua, restando fortemente appoppato.
Assistito da due rimorchiatori, il Bolzano riuscirà faticosamente a raggiungere Messina alle 10.55, mentre il cacciasommergibili Albatros e la vecchia torpediniera Giuseppe Missori vengono inviati a dare la caccia al sommergibile, senza risultato.
Il resto della III Divisione giunge anch’esso a Messina il 26 mattina.


Questa fotografia, solitamente attribuita al Corazziere, ritrae in realtà il gemello Camicia Nera, la cui sigla identificativa (CN) è stata alterata in CR (quella del Corazziere) con un intervento di fotoritocco. Era questa una pratica piuttosto diffusa, all’epoca, presso i fotografi professionisti, i quali, allo scopo di realizzare cartoline da rivendere ai marinai, fotografavano un cacciatorpediniere di una determinata classe e poi ne ritoccavano la sigla identificativa in modo da ottenere, a partire da tale fotografia, immagini che ritraessero anche altre unità della stessa classe (foto g.c. Antonio Angelo Caria, via Wikipedia; si ringrazia Dante Flore per la corretta identificazione)


22 settembre 1941
Alle 18 il Corazziere (capitano di vascello Paolo Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia) lascia Augusta insieme ai gemelli Aviere (capitano di vascello Luciano Bigi), Ascari (capitano di fregata Marco Calamai), Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Sicco), Lanciere (capitano di fregata Giulio Di Gropello) e Camicia Nera (capitano di fregata Silvio Garino).
Le quattro unità della XII Squadriglia (Corazziere, Ascari, Carabiniere, Lanciere) devono posare le mine dei campi minati offensivi «M 6» e «M 6 bis» (per i quali è previsto in tutto l’impiego di 100 mine P 200 con dispositivo acustico ed altrettante P 200 ad antenna) a sudest di Malta, mentre Aviere e Camicia Nera devono scortarli nell’operazione di posa. Ciascuno dei cacciatorpediniere della XII Squadriglia ha imbarcato, prima di partire, 25 mine tipo P 200 con dispositivo acustico (da regolare per una profondità di 20 metri) e 25 mine tipo P 200 con antenna (da regolare per una profondità di tre metri).
Sul Corazziere, come sulle altre navi, vige l’ordine di silenzio assoluto e coprifuoco completo: anche fiammiferi e sigarette devono essere lasciati nei dormitori, per evitare che qualcuno possa inavvertitamente accendere una pur piccola luce che potrebbe rivelare la posizione della nave.
23 settembre 1941
All’1.20 il sommergibile britannico Thrasher (capitano di corvetta Patrick James Cowell) avvista delle navi oscurate su rilevamento 335° in posizione 32°01’ N e 19°21’ E (al largo di Bengasi); le unità procedono in linea di fila, a 9 nodi, su rotta 105°, con un intervallo di 0,6 miglia tra una nave e l’altra. Dopo aver accostato per avvicinarsi ad elevata velocità, all’1.32 il Thrasher nota che la seconda e la terza nave della fila hanno accostato, l’una verso di esso e l’altra per allontanarsi, avendolo probabilmente avvistato. All’1.34 il Thrasher lancia tre siluri contro la nave di testa, che è la più grande, ma nel farlo Cowell si rende conto che non si tratta di un nave mercantile, bensì di “qualcos’altro”. Tutti e tre i siluri mancano il bersaglio; il primo gli passa a proravia, il secondo gli passa sotto senza esplodere, ed il terzo affiora in superficie e si perde verso sinistra. A questo punto il Thrasher accosta a sinistra per lanciare contro un’altra delle navi, ma a questo punto Cowell scopre di essere molto più vicino di quanto pensava: e il bersaglio viene identificato come un cacciatorpediniere, che vira verso di lui. All’1.35, pertanto, il Thrasher s’immerge; l’equipaggio del sommergibile sente all’1.36 un cacciatorpediniere che accelera, all’1.37 un’esplosione attribuita (erroneamente) ad un possibile siluro a segno sulla terza nave della fila, all’1.39 due bombe di profondità esplode piuttosto vicine, all’1.40 un cacciatorpediniere che passa sopra il sommergibile, all’1.41 altre esplosioni di bombe di profondità, il cacciatorpediniere che esegue dei cerchi e poi, alle 2, il cacciatorpediniere che si allontana. Alle 2.29 il Thrasher emerge e vede che il convoglio è composto da una torpediniera “classe Partenope” e due piccoli mercantili di circa 500 tsl.
Una fonte ipotizza che le navi attaccate dal Thrasher possano essere in realtà il gruppo di cacciatorpediniere di cui fa parte il Corazziere, ma ciò appare improbabile, data anche la discrepanza degli orari ed il fatto che “La guerra di mine” dell’U.S.M.M., che descrive in dettaglio la missione, non fa menzione di alcun attacco di sommergibili.
Tra l’una di notte e l’1.30 Corazziere, Carabiniere, Ascari, Aviere, Lanciere e Camicia Nera giungono nel punto convenzionale «M» designato per l’inizio della posa, dopo aver ridotto la velocità a 10 nodi; a questo punto la formazione si divide, con Corazziere e Carabiniere che si dirigono verso la zona dello sbarramento M 6, mentre Ascari e Lanciere fanno rotta verso la zona dello sbarramento M 6 bis.
All’1.24 il Lanciere è il primo ad iniziare la posa delle sue 50 mine, che termina all’1.52. L’Ascari, che lo segue, inizia all’1.55 e conclude alle 2.23; contestualmente, nell’altra zona, il Carabiniere inizia all’1.35 e finisce alle 2.02, dopo di che il Corazziere, ultimo a posare le mine, comincia alle 2.07 e termina alle 2.34. La posa avviene con rotte serpeggianti, a grappoli, a cominciare dal cacciatorpediniere poppiero; le mine vengono lanciate con intervalli di 18 secondi tra l’una e l’altra (corrispondenti ad uno spazio di 90 metri), tra un grappolo e l’altro viene lasciato un intervallo di 5 minuti e 15 secondi (corrispondenti a 1600 metri). Il primo ed il terzo grappolo posato da ogni nave sono composti da 12 mine, il secondo ed il quarto da 13. Durante la posa si verificano in tutto sette esplosioni accidentali di mine: tre all’1.55, due alle 2.17, due alle 2.27.
Terminata la posa, i due gruppi si disimpegnano dal lato esterno rispetto a Malta, e fanno rotta verso il punto di riunione, situato 20 miglia a sud-sud-est di Capo Passero, avvistandosi vicendevolmente alle 6.59 al largo di Capo Murro di Porco.
Una volta riuniti in un’unica formazione, i cacciatorpediniere proseguono verso nord; durante la navigazione di rientro ricevono ordine di dirigere verso Taranto, dove arrivano alle 17.25.
26 settembre 1941
Corazziere, Carabiniere, Ascari e Lanciere (la XII Squadriglia), insieme a Trento (nave ammiraglia dell’ammiraglio Bruno Brivonesi), Trieste e Gorizia (la III Divisione), partono alle 22 da Messina per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta (cisterna militare Breconshire e mercantili AjaxCity of CalcuttaCity of LincolnClan FergusonClan MacDonaldImperial StarDunedin Star e Rowallan Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti) e scortato dalla Forza H britannica con tre corazzate (NelsonRodney e Prince of Wales) ed una portaerei (Ark Royal), oltre a cinque incrociatori (KenyaEdinburghSheffieldHermione ed Euryalus) e 18 cacciatorpediniere (i britannici CossackDuncanFarndaleFuryForesterForesightGurkhaHeythropLaforeyLanceLegionLivelyLightningOribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers) nell’ambito dell’operazione britannica «Halberd». Da parte italiana, però, si ignora del vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che la ricognizione ha avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i britannici intendano lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste italiane, e al contempo rifornire Malta di aerei.
III Divisione e XII Squadriglia, dopo la partenza, fanno rotta dapprima verso nord e poi verso ovest. L’ordine per le forze italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva, e di non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Partono anche la VIII (Attendolo, Duca degli Abruzzi) e la IX Divisione (LittorioVittorio Veneto) rispettivamente da Palermo e Napoli, accompagnate rispettivamente dalla X (Maestrale, Grecale, Scirocco) e dalla XIII (GranatiereBersagliereFuciliere e Gioberti) e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (FolgoreDa ReccoPessagno).
Alle 14.35 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), inviato a “coprire” l’accesso settentrionale dello stretto di Messina durante l’operazione «Halberd», avvista a 6 miglia di distanza, in posizione 38°18’ N e 15°41’ E, una forza di tre incrociatori ed otto cacciatorpediniere, diretti verso nord. L’Utmost si avvicina fino ad una distanza di 2300 metri e sta per lanciare quattro siluri contro l’incrociatore di coda, quando – verso le 15 – si ritrova quasi in collisione con uno dei cacciatorpediniere, il che lo costringe ad interrompere ed abbandonare l’attacco. Le navi che l’Utmost ha cercato di attaccare sono la III Divisione e la XII Squadriglia, appena salpate da Messina.
27 settembre 1941
A mezzogiorno la III, la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a 24 nodi (altra fonte: rotta 244°, velocità 22 nodi; poi 210° per dirigere incontro al nemico, alle 12.30 e 180° alle 13, per tagliare la rotta alle forze britanniche, aumentando la velocità a 24 nodi) per l’intercettazione, con gli incrociatori che precedono di 10.000 metri le corazzate. La III Divisione viene posizionata a 10.000 metri per 210° dalla IX Divisione (dalla quale, a causa della scarsa visibilità verso sudovest, risulta appena visibile, mentre la III Divisione vede bene le corazzate di Iachino, riferendo però che la visibilità verso sud è cattiva, dunque in caso d’incontro la Forza H vedrà la squadra italiana prima che quest’ultima la possa vedere a sua volta), mentre l’VIII prende posto a 10.000 metri per 240 da quest’ultima. 
A mezzogiorno, dato che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a silurare e danneggiare la Nelson), la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di combattimento, e le corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico. Quando però il contatto appare imminente, in seguito a nuove segnalazioni dei ricognitori viene appreso che le forze britanniche ammontano in realtà a due corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei incrociatori, il che pone la squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica, e per giunta la prima è sprovvista di copertura aerea (soltanto sei caccia, con autonomia dalle basi non superiore a 100 km), mentre le navi italiane sono tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e più tardi, dalle 15.15 alle 17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei. Alle 14.30, considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti nemici.
Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della loro somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia (il pilota sarà tratto in salvo dal Granatiere), mentre gli altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e due incrociatori silurati e daneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima del tramonto.
28 settembre 1941
Alle otto del mattino le navi italiane attraversano il canale di Sardegna e, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo Carbonara, poi fanno rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi. La III Divisione viene fatta dirigere su La Maddalena, dove giunge il mattino del 29, per poi successivamente tornare a Messina.

Ancora nel 1941 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

21 novembre 1941
Alle 8.10 il Corazziere (capitano di vascello Paolo Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere) parte da Napoli unitamente a Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Siccio, unica altra unità della XII Squadriglia coinvolta nell’operazione), Aviere (capitano di vascello Luciano Bigi, caposquadriglia della XI Squadriglia, che include Geniere, Aviere e Camicia Nera), Geniere (capitano di fregata Francesco Baslini) e Camicia Nera (capitano di fregata Silvio Garino) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di vascello Vittorio De Pace) e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni; nave di bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due convogli partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi poi riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani e la motonave cisterna Iridio Mantovani, scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi, Pessagno, Da Noli e Turbine e dalla torpediniera Perseo) e l’«Alfa» (salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano Venier scortate dai cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti).
Entrambi dovranno seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
Sono in mare anche due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto e l’altro (nave cisterna Berbera e torpediniera Pegaso) salpato da Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Infine, l’incrociatore leggero Luigi Cadorna è partito da Brindisi per trasportare a Bengasi un carico di benzina, e da Tripoli prendono il mare le navi qui rimaste bloccate a inizio novembre, per rientrare in Italia.
Si tratta di una grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio “Duisburg” (9 novembre 1941), i rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica “Crusader”, con la quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa Settentrionale.
La VIII Divisione, insieme alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dovranno fornire protezione all’intera operazione.
Per evitare che il nuovo convoglio faccia la stessa fine del “Duisburg”, distrutto dalla Forza K britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
L’VIII Divisione, che parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli ormeggi (il che ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto), dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In mattinata l’VIII Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come pianificato.
Il convoglio «Alfa» è stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione nell’operazione.
Il convoglio «C», invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i relativi cacciatorpediniere, Corazziere compreso. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia, anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode, sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche modificare la rotta.
Alle 19.50 il convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. (Secondo un’altra versione, Corazziere, Geniere, Aviere e Camicia Nera non sarebbero partiti da Napoli con l’VIII Divisione, bensì da Messina insieme alla III Divisione ed ad un altro cacciatorpediniere, il Bersagliere).
La VIII Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera contro tali velivoli.
I ricognitori non perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da parte di aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron e Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm e da bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a Malta); ed anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°, stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e lancia quattro siluri contro il Trieste, il quale alle 23.12 viene colpito da una delle armi in corrispondenza della caldaia numero 3, che esplode: l’incrociatore subisce danni gravissimi, rimanendo immobilizzato, senza corrente elettrica e con diversi compartimenti allagati.
L’Utmost, mentre scoppiano le prime due bombe di profondità, si allontana verso sudest; successivamente vengono gettate altre 84 bombe di profondità, ma ormai il sommergibile si è allontanato.
Mentre il resto della formazione prosegue, il Corazziere si avvicina a poppa dell’immobilizzato Trieste e, alle 00.07 del 22 novembre, effettua il segnale di riconoscimento. Il comandante del Trieste, capitano di vascello Umberto Rouselle, ordina al Corazziere di girare intorno al suo incrociatore a velocità non eccessiva, per fare vigilanza antisommergibili (la torpediniera Perseo sta già girando attorno al Trieste per impedire nuovi attacchi subacquei).
22 novembre 1941
Alle 00.13 il Corazziere chiede al Trieste, a mezzo di megafono, se quest’ultimo necessiti di rimorchio; dall’incrociatore viene risposto di sperare di riuscire, a breve, a rimettere in moto a bassa velocità con rotta nordovest. Intanto, alle 00.15, sopraggiunge anche il Carabiniere, parimenti rimasto ad assistere il Trieste.
Alle 00.38 il Trieste riesce a rimettere in moto e dirige lentamente per Messina, scortato da Corazziere e Carabiniere. L’incrociatore giungerà a Messina alle 7.30 di quello stesso mattino, ma prima ancora di arrivare in porto Corazziere e Carabiniere vengono richiamati dall’ammiraglio Lombardi e mettono di nuovo la prua a sud: sono infatti chiamati ad assistere il Duca degli Abruzzi, che nel frattempo è stato anch’esso silurato.
Il siluramento del Duca degli Abruzzi, per mano non di sommergibili ma di aerosiluranti, è avvenuto alle 00.38, proprio all’ora in cui il Trieste rimetteva in moto.
La conseguente menomazione della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia della presenza in mare di forze di superficie britanniche, hanno indotto l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi: quest’ultimo rimette in moto già alle 00.40, non avendo subito danni nei locali dell’apparato motore; gli allagamenti vengono anch’essi agevolmente contenuti, ma il siluro, che ha colpito a poppa, ha causato seri danni al timone, il che impedisce all’incrociatore di governare. Per quasi tre ore il Duca degli Abruzzi gira in tondo – pur di non restare fermo, bersaglio immobile e fin troppo facile per gli attaccanti – mentre l’equipaggio ripara i danni agli apparati di governo, sotto la protezione di Garibaldi e XIII Squadriglia che lo occultano con cortine nebbiogene e sparano intensamente contro bombardieri ed aerosiluranti che seguitano ad attaccare.
Alle 3.23, finalmente, il timone è riparato ed il Duca degli Abruzzi è in grado di fare rotta per le coste della Calabria, alla velocità di 6 nodi.
Successivamente arrivano sul posto anche Corazziere e Carabiniere; alle 7 del mattino l’incrociatore danneggiato è circondato dai cacciatorpediniere Corazziere, Carabiniere, Vivaldi, Da Noli, Turbine, Granatiere, Fuciliere e Alpino, e dalla torpediniera Perseo. Tutte le siluranti evoluiscono intorno al Duca degli Abruzzi, emettendo cortine fumogene per occultarlo.
L’incrociatore, assistito dal rimorchiatore Impero e scortato da Granatiere, Fuciliere, Alpino, Vivaldi, Da Noli e Perseo, riuscirà faticosamente a rientrare a Messina alle 11.42; Corazziere, Carabiniere e Turbine dirigono per Reggio Calabria, dove arrivano alle 12.40.

Il Corazziere in una cartolina dipinta dal pittore di Marina Rodolfo Claudus (g.c. Mario Mandina)

29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed il 30 novembre sono partiti, o devono partire, ben quattro convogli e cinque unità militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico, da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi; cacciatorpediniere Nicolò Zeno, da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori britannici, una consistente forza di protezione con varie navi maggiori.
Alle 22.20 del 29 Corazziere e Carabiniere partono pertanto da Messina insieme all’incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), unica unità residua dell’VIII Divisione dopo il siluramento del Duca degli Abruzzi. Da Taranto sono invece uscite, alcune ore prima, la corazzata Duilio (comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) con la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e la VII Divisione (incrociatori leggeri AttendoloMontecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereGeniereCamicia Nera).
La VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) e la XI Squadriglia (Geniere compreso), punta avanzata della formazione italiana, salpano da Taranto a mezzogiorno del 29, e si dislocano a metà strada tra Taranto e Bengasi, mentre DuilioGaribaldi e relativi cacciatorpediniere prendono il mare in serata, a sostegno della VII Divisione.
Nel pomeriggio dello stesso 29 novembre la VII Divisione viene avvistata dal sommergibile britannico P 31 (poi Uproar), che l’attacca senza successo; tuttavia la formazione italiana, diretta a sud, è stata così scoperta dai britannici. Questi ultimi, d’altra parte, apprendono del cospicuo traffico navale italiano anche mediante decrittazioni di “ULTRA” relative ai convogli in partenza.
Da Malta, pertanto, il mattino del 30 novembre prendono il mare con l’obiettivo di intercettare i convogli italiani (nonostante l’avvistamento della squadra di protezione formata da Duilio, Garibaldi e VII Divisione), l’ormai famigerata Forza K (capitano di vascello William Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del comandante Agnew) e Penelope e dal cacciatorpediniere Lively, e la Forza B (contrammiraglio Henry Bernard Hughes Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley. Per tutta la giornata del 30, aerei britannici tengono sott’occhio sia i mercantili diretti a Bengasi che le navi da guerra italiane, nonostante la scorta aerea con caccia della Regia Aeronautica.
Nemmeno l’uscita in mare delle navi britanniche sfugge alle forze italiane, grazie al loro avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, pertanto Supermarna ordina alla VII Divisione di tenersi ad immediato contatto con la motonave Venier, la più importante tra quelle in mare ad est di Malta ed esposte al pericolo dell’incursione navale britannica. Alle 15.15 del 30 il gruppo «Garibaldi» ed il gruppo «Duilio» si riuniscono, e dirigono poi verso la posizione stimata del gruppo «Aosta», col quale devono congiungersi per fronteggiare la minaccia degli incrociatori partiti da Malta.
Ma la sfortuna si accanisce contro i piani italiani: nel pomeriggio del 30 il Garibaldi viene colto da una grave avaria alle caldaie, che lo lascia immobilizzato. Cacciatorpediniere e Duilio incrociano in zona mentre sul Garibaldi, che alle 16.22 comunica di avere tutte le caldaie spente, si cerca di comprendere quali siano le cause dell’avaria; alle 16.51 l’incrociatore comunica che l’avaria non è ancora chiarita, che può muovere con una sola macchina e che ritiene opportuno imboccare la rotta di rientro. Alle 16.30, dato che il problema non è ancora risolto (il Garibaldi ha rimesso in moto, ma senza riuscire a superare i 15 nodi di velocità), che la VII Divisione è ancora troppo lontana per poterlesi riunire in ore diurne, che le navi si trovano vicine al punto in cui alle 13.38 è stato avvistato un sommergibile nemico, che alle 12.57 è stato avvistato un aereo sospetto, e che c’è rischio di un attacco contro l’incrociatore in difficoltà, l’ammiraglio Porzio Giovanola comunica a Supermarina che salvo contrordine dirigerà verso nord. Successivamente, pertanto, Duilio, Garibaldi e cacciatorpediniere ripiegano in formazione verso nordest per allontanarsi dalla zona in cui è stato avvistato il sommergibile, dopo di che dirigono verso nord.
Gli ordini emanati prima dell’operazione prevedono che la forza di copertura dovrebbe rientrare a Taranto al tramonto del 30 solamente qualora non giungesse notizia della presenza di forze di superficie britanniche nel Mediterraneo centro-orientale; la presenza di tali forze appare ora del tutto evidente, ma per proteggere l’avariato Garibaldi nel ritorno alla base occorre la protezione della Duilio, e ciò lascerebbe in mare la sola VII Divisione, che si troverebbe in condizioni di inferiorità numerica alle Forze B e K qualora si dovessero riunire (per non parlare del caso, più che probabile, di un attacco notturno delle forze britanniche, che vedrebbe gli incrociatori italiani in netto svantaggio). Alle 17.45, pertanto, Supermarina ordina a tutta la forza di copertura di rientrare a Taranto. Qui le navi giungeranno alle 11.20 del 1° dicembre.
La Forza K intercetterà ed affonderà l’Adriatico, il Da Mosto e la Mantovani.
13 dicembre 1941
Il Corazziere salpa da Taranto alle 19.40 insieme ai gemelli Carabiniere, Aviere, Geniere,  Ascari e Camicia Nera (per altra versione Corazziere, Geniere e Carabiniere sarebbero partiti più tardi, separatamente dal resto del gruppo), agli incrociatori leggeri Attendolo e Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione) ed alla corazzata Andrea Doria, nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. AttendoloDuca d’Aosta e Doria, più i relativi cacciatorpediniere, sono assegnati alla protezione del convoglio «N», mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni.

Un’altra immagine del Corazziere (g.c. Mario Mandina)

14 dicembre 1941
Alle nove del mattino, il sommergibile britannico Urge silura la Vittorio Veneto, danneggiandola gravemente. Durante la navigazione si verificano altri allarmi per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione che un gruppo di aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non alla fine non succede niente.
Durante la navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti della X Squadriglia e Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere, il Camicia Nera, il Vivaldi ed il Da Noli, mentre le torpediniere Centauro e Clio lasciano la scorta e raggiungono Messina.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
16 dicembre 1941
Il 16 dicembre, alle 20, il Corazziere (caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere) lascia Taranto insieme ai cacciatorpediniere CarabiniereUsodimare (coi quali forma la XII Squadriglia), Maestrale, Oriani, Gioberti (X Squadriglia), GranatiereBersagliereFuciliereAlpino (XIII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione) ed alle corazzate Giulio CesareAndrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) formando la forza di sostegno a distanza all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor PisaniMonginevroNapoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (SaettaVivaldiMalocelloDa ReccoDa NoliPessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (AnkaraSaetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura ravvicinata (corazzata Duilio, con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri Duca d’Aosta – con a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere AscariAviere e Camicia Nera).
Una volta in franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte il Corazziere assume rotta 156° e velocità 20 nodi; III Divisione (ammiraglio di divisione Angelo Parona, imbarcato sul Gorizia) e X Squadriglia si portano 10 miglia a proravia della Littorio, mentre XII e XIII Squadriglia, Corazziere compreso, rimangono con le corazzate (gruppo «Littorio»).
Poco prima di mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile britannico Unbeaten, che ne comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna militare Breconshire, con 5000 tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori leggeri Naiad (nave ammiraglia di Vian) ed Euryalus, dall’incrociatore antiaerei Carlisle e dai cacciatorpediniere JervisHavockHastyNizamKimberleyKingstonKipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (SikhLegionMaoriLanceLivelyLegion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle 7.30 il gruppo «Littorio», come da ordini, si trova nel punto 36°54’ N e 19°00’ E.
Alle 9 la formazione britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e soprattutto la Breconshire è stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico persisteranno nello scambiare la Breconshire per una corazzata.
In seguito a tale comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima (Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza della Breconshire diretta a Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio, sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un avvistamento di fumo all’orizzonte da parte dell’Oriani, poi risultato errato, alle 15.43), l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la XII e XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere posizione di scorta ravvicinata) e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso il nemico.
Alle 17.40, mentre il sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio adeguato.
Alle 17.52 l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso sud con la scorta di Havock e Decoy, poi dirige verso la squadra italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare la Breconshire con cortine fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante, indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi di Vian, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori leggeri AuroraPenelopeNaiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche. In questo frangente uno dei cacciatorpediniere nemici, l’australiano Nizam, subisce alcuni danni per dei colpi di cannone (forse del Maestrale) caduti molto vicini.
Calato poi il buio, alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12 Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa). Lo scontro ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est della formazione.
Durante la sera e la notte, il gruppo «Littorio» segue alternativamente rotte 40° e 220° a 18 nodi di velocità, tenendosi ad est del convoglio in posizione idonea a poterlo proteggere da eventuali attacchi da parte delle navi britanniche con le quali ci si è scontrati poco prima. Il gruppo viene sorvolato da aerei nemici, illuminato con un piccolo proiettore da uno di essi e probabilmente anche localizzato anche dal radar di un’unità britannica, le cui trasmissioni radio vengono intercettate; tuttavia, non si concretizza alcun attacco britannico.
18 dicembre 1941
Verso le sei del mattino (poco prima dell’alba), a sudest della Sicilia, durante una manovra intrapresa dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere per cambiare posizione passando da un lato all’altro della formazione, Corazziere (appartenente alla XII Squadriglia) e Granatiere (della XIII Squadriglia) entrano in collisione a causa di un errore di manovra, distruggendosi a vicenda la prua. La collisione avviene mentre i due cacciatorpediniere procedono quasi di controbordo, ad alta velocità, con effetti disastrosi; è il Corazziere a speronare il Granatiere a prora sinistra, appena a poppavia del complesso prodiero da 120/50 mm. Di conseguenza, il Granatiere riporta i danni più gravi, con l’asportazione dell’intera prua fin quasi alla sovrastruttura della plancia; il Corazziere, da parte sua, si ritrova a sua volta seriamente danneggiato, con buona parte della prua (fino a subito prima del complesso prodiero da 120/50, che a differenza di quello del Granatiere è stato “risparmiato”) schiacciata e accartocciata, anche se il danno è meno catastrofico di quello subito dal Granatiere. Nonostante la gravità dei danni, comunque, le paratie trasversali reggono su entrambi i cacciatorpediniere, che rimangono così a galla, per quanto mutilati. Tra l’equipaggio del Corazziere vi è una vittima: il sottocapo cannoniere Mario Paris, da Senigallia (Ancona), di 21 anni.
Alle 7.12 Maestrale, Oriani e Gioberti, insieme alla III Divisione, ricevono ordine di dare assistenza ai due cacciatorpediniere lesionati; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto. Maestrale, Oriani e Gioberti, cui più tardi si unisce lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere. Il Corazziere viene preso a rimorchio dal Gioberti, che lo porta ad Argostoli (Cefalonia), mentre l’Oriani fa lo stesso con il Granatiere, rimorchiandolo a Navarino.
Nel frattempo, alle 15 del 18 dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza hanno lasciato la scorta dei due convogli, che arrivano a destinazione l’indomani (pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
I britannici, grazie alle intercettazioni di “ULTRA”, vengono a sapere anche della collisione tra Corazziere e Granatiere.
19 dicembre 1941
Il gruppo «Littorio» arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
Il Corazziere raggiunge Argostoli lo stesso giorno, mentre il Granatiere viene preso a rimorchio alle 10.30 del 20 dicembre dal rimorchiatore tedesco Max Barendt, inviato appositamente da Bengasi, che lo porta a Navarino, dove giungerà alle due di notte del 21. (Altra fonte inverte i porti di destinazione: il Corazziere sarebbe stato rimorchiato a Navarino, ed il Granatiere ad Argostoli).
Ad Argostoli, il Corazziere si ormeggia al centro della baia, ad un centinaio di metri dal molo, con l’ancora di poppa; la maggior parte dell’equipaggio viene sbarcato, lasciando a bordo una trentina di uomini.


Due immagini del Corazziere, con la prua distrutta, alla fonda nella rada di Argostoli nel dicembre 1941 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: Coll. N. Siracusano via M. Brescia e www.associazione-venus.it)


Dicembre 1941
Durante la sosta forzata ad Argostoli, nell’attesa dell’invio dall’Italia dei mezzi necessari a riparare la nave a sufficienza da permetterle di affrontare la navigazione fino a Taranto, gli uomini rimasti sul Corazziere si ritrovano a vivere in condizioni a dir poco spartane: il dormitorio dell’equipaggio si trovava a prua, proprio nella parte di nave distrutta dalla collisione, e di conseguenza gli uomini non hanno più un locale dove dormire ed hanno perso tutto il vestiario, le coperte, le amache, i materasssini e gli effetti personali, restando soltanto con quello che indossavano al momento della collisione. La perdita di coperte e vestiti si fa particolarmente sentire, date le rigide temperature di dicembre; gli uomini devono arrangiarsi a dormire in qualsiasi angolo di nave riparato dalle intemperie, senza nulla con cui coprirsi, mentre col passare dei giorni il clima si fa sempre più freddo. Di giorno, per scaldarsi, ci si mette a correre tra la poppa ed il dormitorio sottufficiali.
Questa situazione, insieme alla totale inattività ed al ritardo nell’arrivo dei soccorsi dall’Italia, ha l’effetto di demoralizzare gli uomini rimasti sul Corazziere; un giorno, finalmente, arriva un idrovolante con viveri e posta, e le cose parvero migliorare almeno un po’. Ma la situazione rimaneva grama: non era nemmeno possibile lavarsi, o cambiare la biancheria (essendo andata perduta quella di ricambio).
Secondo il ricordo del reduce Bruno Taglieri, all’epoca sottocapo silurista sul Corazziere, dopo alcuni giorni gli uomini rimasti sul Corazziere avrebbero escogitato un singolare espediente per migliorare la loro condizione. Notando un deposito di materiali da costruzione sulla vicina spiaggia, Taglieri propose di costruire muro provvisorio in cemento armato, per isolare i compartimenti prodieri dal mare; l’idea venne accettata dagli ufficiali, e tutto il personale rimasto sul Corazziere si mise al lavoro. Le ferroguide montate per la posa delle mine vennero utilizzate per formare l’“intelaiatura” metallica del muro; quest’ultima venne realizzata dallo stesso Taglieri e dall’unico altro silurista rimasto a bordo, che era uno specialista della saldatura ad ossigeno, mentre altri membri dell’equipaggio reperirono presso la popolazione locale sabbia, cemento, ghiaia ed altro materiale occorrente per realizzare il muro. Il materiale così procurato venne caricato su un barcone, anch’esso prestato dai greci, che il mattino del 24 dicembre lo portò sottobordo al Corazziere; ci si mise quindi alacremente al lavoro per innalzare il muro ed il lavoro venne ultimato proprio nella notte di Natale, poco dopo la mezzanotte.
Per quanto strana, la storia raccontata da Taglieri sembra confermata dai ricordi del maggiore del Genio Navale Mario Mandina, all’epoca direttore di macchina del Corazziere, che avrebbe in seguito raccontato ai familiari, nel dopoguerra, la storia del muro costruito per rimettere la nave in condizione di prendere il mare almeno temporaneamente.
Il muro permise in primo luogo agli uomini del Corazziere di “recuperare”, isolandolo dal mare, un locale che poté essere utilizzato per riunirsi e mangiare con un po’ più di comodità, sempre in attesa dell’arrivo di aiuto dall’Italia. A turbare gli animi giunse la notizia della presenza in zona di un sommergibile nemico, ma gli uomini rimasti sul Corazziere decisero, nonostante tutte le avversità del momento, di festeggiare egualmente Capodanno. Con i soldi rimasti in tasca venne acquistato da un contadino greco un maialino, nonché alcune bottiglie di vino e di spumante; e la sera del 31 dicembre 1941, quei pochi uomini rimasti bloccati su una nave mutilata ferma in un porto straniero trovarono il modo di festeggiare lo stesso l’anno nuovo.


Il capitano del Genio Navale Mario Mandina, direttore di macchina del Corazziere, e sotto, le decorazioni conferitegli per il suo servizio (per g.c. del nipote Mario Mandina)




Alcune immagini scattate da Mario Mandina, forse a bordo del Corazziere (g.c. Mario Mandina)



Gennaio 1942
Qualche giorno dopo l’inizio del 1942, finalmente, arrivano ad Argostoli i mezzi di soccorso; dopo alcune riparazioni provvisorie eseguite in loco, il Corazziere viene trasferito a Taranto per i lavori di ricostruzione della prua, che si protrarranno per cinque mesi. Tali lavori sono effettuati nell’Arsenale della base pugliese, a cura della Direzione Costruzioni Navali di Taranto (Maricost Taranto). Parte dell’equipaggio viene alloggiato a bordo della corazzata Giulio Cesare; gli uomini che erano rimasti con la nave durante la difficile sosta ad Argostoli possono, finalmente, fruire di un periodo di licenza.
A seguito della collisione tra Granatiere e Corazziere, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere viene sciolta, e le sue unità vengono suddivise tra la XI e la XIII Squadriglia: al suo rientro in servizio, il Corazziere verrà assegnato alla XI Squadriglia insieme ad Aviere, Geniere e Camicia Nera.
È probabilmente durante questi lavori che il Corazziere riceve anche le modifiche all’armamento apportate su tutte le unità della classe Soldati nel 1941-1942: l’obice illuminante da 120/15 mm viene eliminato e sostituito con un quinto cannone da 120/50 mm mod. Ansaldo 1940. Vengono inoltre eliminate 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti singoli ed otto in impianti binati) ed installate invece quattro mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm (per altra fonte due, in impianti singoli laterali a ridosso della torretta telemetrica) e due scaricabombe per bombe di profondità.

Il Corazziere in riparazione a Taranto il 3 febbraio 1942; in secondo piano il cacciatorpediniere Grecale, anch’esso in riparazione dopo i gravi danni subiti il 9 novembre 1941 nello scontro del convoglio “Duisburg” (g.c. Mario Mandina)

8 maggio 1942
Completati i lavori di ricostruzione della prua, il Corazziere torna in servizio, al comando del capitano di fregata Antonio Monaco di Longano. Nel corso dei lavori è stato anche dotato di ecogoniometro: è il primo a riceverlo, tra le navi della classe Soldati.
14 giugno 1942
Alle 10 del mattino il Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano) accende le caldaie e successivamente lascia Taranto insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Camicia Nera), alla VII Squadriglia (Freccia, FolgoreLegionario), alla XIII Squadriglia (MitragliereBersagliere ed Alpino), alla III Divisione (Trento e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), alla VIII Divisione (Garibaldi, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, e Duca d’Aosta) ed alla IX Divisione (Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare, e Vittorio Veneto, nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo), per contrastare l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un convoglio di rifornimenti da Alessandria a Malta, con undici mercantili scortati da otto incrociatori e 26 cacciatorpediniere oltre a naviglio minore ed ausiliario) nel corso della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. La XI Squadriglia è assegnata alla scorta degli incrociatori della III e VIII Divisione.
La formazione italiana (le cui unità sono tenute pronte ad uscire in mare entro tre ore già dalle 18 del 13 giugno) parte da Taranto nel primo pomeriggio del 14 (la III e la VIII Divisione oltrepassano le ostruzioni alle 13.02, la IX Divisione alle 13.49), poi (a 20 nodi) segue le rotte costiere orientali del golfo di Taranto sino al largo di Vela di Santa Maria di Leuca (dove si uniscono ad essa i cacciatorpediniere Saetta, che viene aggregato alla VII Squadriglia, e Pigafetta, che viene aggregato alla XIII), dopo di che, alle 18.06, assume rotta 180° e dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’ E) per intercettare il convoglio britannico. Alle 20.20 un aereo sospetto viene segnalato in prossimità del gruppo degli incrociatori.
Calata la notte, i quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia si dispongono attorno agli incrociatori (che procedono in linea di fila nell’ordine Garibaldi, Duca d’Aosta, Gorizia e Trento): due a dritta (Geniere seguito da Camicia Nera) e due a sinistra (Aviere seguito da Corazziere).
Essendo stata avvistata alle 17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud fino alle 22, poi, alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a mezzanotte, allo scopo di disorientare le forze nemiche.
15 giugno 1942
Intorno alle 2.30, essendo stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro attacco (diretto contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad emettere cortine nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo l’ammiraglio Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal caso sarebbe vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità di essere colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente vengono sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma poi, dato che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni, viene ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è stata riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi la squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con tale rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque minuti di 30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle 3.56, non vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa l’emissione di cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington, infatti, si sono ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane nelle cortine nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una corazzata ma senza risultati.
Alle 4.15 la formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
L’orizzonte è chiaro e luminoso verso est, e le sagome delle navi, con rotta sud, risultano fin troppo ben delineate; verso ovest, invece, il cielo è ancora scuro, anche se la linea dell’orizzonte è distinguibile. La formazione degli incrociatori (gruppo «Garibaldi»), di cui il Corazziere fa parte, procede a 20 nodi nell’ordine assunto ore prima, con gli incrociatori in linea di fila ed i quattro cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale, formazione notturna assunta proprio in previsione di attacchi di aerosiluranti. (Secondo il ricordo di Antonio Angelo Caria, stereotelemetrista sul Corazziere, questa nave occupava nella formazione il posto a sinistra del Garibaldi, mentre secondo lo schema conteuto nel volume ufficiale dell’USMM tale posto sarebbe stato occupato dall’Aviere). De Courten ritiene che sarebbe migliore la formazione usata comunemente di giorno, su due colonne, perché sfrutterebbe meglio la protezione dei cacciatorpediniere, specie quando questi ultimi – come in questo caso – sono in numero ridotto; Iachino è invece di opposto avviso, perché tale formazione vincolerebbe troppo la manovra delle unità, costringendole sempre ad accostare in fuori per non entrare in collisione con quelle vicine, e renderebbe meno libero anche il tiro contraereo, mentre la linea di fila sarebbe più agile e più sciolta.
Poco dopo le cinque del mattino del 15 giugno, venti minuti prima del sorgere del sole, i quattro incrociatori (al comando dell’ammiraglio De Courten), che con la XI Squadriglia procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono attaccati da nove aerosiluranti britannici Bristol Beaufort (è la prima volta che aerei di questo tipo, più grandi e meglio protetti dei Fairey Swordfish ed in grado di portare due siluri anziché uno, vengono usati contro la flotta da battaglia italiana). Il primo ad avvistarli, nel gruppo degli incrociatori, è il Corazziere, che segnala velivoli nemici verso sudest; inizialmente viene avvistato un singolo aereo, sul lato sinistro della formazione (verso est), che si mantiene sempre a bassa quota ed a grande distanza (12-15 km) e si sposta verso sud e poi verso ovest (il che indurrà l’ammiraglio De Courten a ritenere che tale aereo avesse specificamente il compito di stabilire il contatto con le navi italiane e di guidare gli aerosiluranti verso la posizione più favorevole per un attacco, cioè quella il lato occidentale della formazione). Inizialmente l’aereo non viene riconosciuto come nemico, sia perché è troppo lontano per permetterne l’identificazione, sia perché è atteso l’arrivo di velivoli della Regia Aeronautica per la scorta aerea, ed il nuovo arrivato esegue una manovra analoga a quella normalmente eseguita dagli aerei italiani di scorta. Soltanto quando, dopo poche decine di secondi (verso le 5.10), vengono avvistati tre aerosiluranti che si avvicinano alla formazione volando in gruppo e bassi sul mare, viene dato l’allarme e viene aperto un intenso tiro contraereo, mentre le navi iniziano ad intraprendere manovre evasive. La reazione contraerea, secondo quanto scriverà De Courten nel suo rapporto, è molto intensa da parte degli incrociatori, ma scarsa ed insufficiente da parte dei cacciatorpediniere: ciò perché questi ultimi sono soltanto quattro, e muniti di un ridotto numero di mitragliere.
I nove Beaufort attaccano in tre ondate, composte ciascuna da tre aerei: quelli della prima ondata si separano in modo da lanciare simultaneamente ma da angolazioni diverse ed attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta; quelli della seconda ondata attaccano soprattutto il Gorizia ed il centro della formazione, mentre quelli della terza prendono di mira la coda della formazione (Gorizia e Trento). Tutti gli aerei si avvicinano decisamente sotto il fuoco delle navi, sganciano il proprio siluro e poi virano rapidamente; alcuni di essi, per allontanarsi, defilano di controbordo a pochissima distanza dalle navi italiane, venendo bersagliati dal fuoco delle mitragliere, che è però grandemente complicato dalle forti variazioni di brandeggio. (Antonio Angelo Caria ricordò poi che uno degli aerosiluranti passò proprio sopra il Corazziere, tanto da poterne vedere chiaramente il contrassegno della RAF sotto le ali, mentre un altro aerosilurante passò tra il Corazziere ed il Garibaldi ed altri quattro o cinque passarono sulla sinistra del Corazziere). In tutte e tre le ondate gli aerosiluranti, attaccando da direzioni diverse, realizzano dei pericolosissimi “incroci” di siluri. Mentre gli aerosiluranti che attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza, quelli che puntano su Trento e Gorizia li lanciano da distanze molto minori. Ciascuna nave manovra per contro proprio per evitare i siluri, in base alle decisioni dei rispettivi comandanti (che a loro volta decidono le manovre in base agli sganci di siluri che possono osservare); otto delle nove armi lanciate vengono così evitate, ma una – sganciata da non più di 200 metri, distanza troppo breve per consentire una manovra evasiva – colpisce il Trento, l’ultimo incrociatore della fila ed il meno protetto dai cacciatorpediniere, che sono più vicini alla testa della formazione. L’incrociatore rimane immobilizzato, in preda ad un violento incendio. Due dei Beaufort vengono danneggiati dal tiro italiano.
Poco più tardi, tra le 5.26 e le 5.51, tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio», ma senza successo. La formazione italiana prosegue sulla sua rotta, dopo aver distaccato Saetta e Pigafetta per l’assistenza al Trento danneggiato. (Più tardi, alle 9.13, il Trento verrà nuovamente silurato dal sommergibile britannico P 35 – che alle 5.46 aveva già infruttuosamente lanciato quattro siluri da 4500 metri contro la Vittorio Veneto, senza che le unità italiane se ne accorgessero – ed affonderà in soli sette minuti, con la perdita di 570 dei 1151 uomini dell’equipaggio).
Alle 6.15 il sommergibile britannico P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) riesce a superare inosservato lo schermo della scorta prodiera per attaccare gli incrociatori del gruppo «Garibaldi», ma proprio quando è giunto in posizione di lancio vede gli incrociatori accostare di 90° verso di lui, passargli sopra ed assumere una rotta che riporta fuori tiro, così vanificando il tentativo di attacco.
Alle sette vi è un nuovo allarme in seguito all’avvistamento di nove aerei dapprima ritenuti nemici – tutte le armi vengono puntate contro di essi –, ma che poi si rivelano essere tedeschi, la scorta aerea sopraggiunta. Sempre alle 7, in seguito a numerose comunicazioni che rivelano che il convoglio è molto indietro rispetto al previsto od addirittura sta tornando ad Alessandria, la squadra di Iachino assume rotta 140° per poterlo intercettare (nell’ipotesi che ancora stia dirigendo su Malta). Intorno a quest’ora il Garibaldi, per ordine di Iachino, catapulta un idrovolante da ricognizione, ma l’aereo non riesce a levarsi in volo e cade subito in mare, con la morte di tutto l’equipaggio.
Poco dopo le otto vengono avvisati due aerei britannici 30° a di prua a dritta, e viene aperto il fuoco contro di essi, ma frattanto sopraggiunge da sinistra una formazione di otto bombardieri statunitensi Consolidated B-24 Liberator che, tenendosi a 4000 metri di quota, sgancia sulle corazzate, colpendo con una bomba la Littorio, provocando modesti danni. Subito dopo le navi italiane accostano ad un tempo di 80° a sinistra, per poter rivolgere tutte le armi contro gli aerei, poi, essendosi questi allontanati, riprendono la rotta 110°. Poco dopo le 8.40 vengono avvistati cinque aerosiluranti Bristol Beaufort provenienti da prua, contro cui aprono il fuoco sia i pezzi da 90 mm delle corazzate che quelli da 120 mm dei cacciatorpediniere (e successivamente anche le mitragliere), e le navi accostano rapidamente sulla dritta sin quasi ad invertire la rotta, confondendo gli attaccanti, che lanciano infruttuosamente da poppa, tre da una distanza di circa 4000 metri e due da una distanza di 2000 metri (le prime tre armi sono evitate con piccole accostate, le ultime due mettendo tutta la barra a sinistra). Due degli aerei vengono danneggiati dal tiro contraereo. Poi la squadra italiana ritorna in linea di fila; viene assunta rotta verso sud e poi, alle nove, si torna sulla rotta 110° (verso est-sud-est) per raggiungere il nemico.
Alle 9.17, in seguito all’avvistamento di navi da parte di uno dei ricognitori imbarcati, la velocità viene portata a 24 nodi. Alle 11.40 l’Aviere, cacciatorpediniere in posizione più avanzata a sinistra del gruppo «Garibaldi», segnala di aver avvistato fumo ed un’alberatura in direzione 120° (quasi di prua), e poco dopo fumo ed alberatura vengono avvistati anche dalle altre navi del gruppo.
Alle 11.50 anche la Littorio avvista un fumo a 30° di prua dritta; viene allora ordinato il posto di combattimento generale e la formazione italiana accelera a 28 nodi ed assume rotta per 150° per incontrare quelle che crede essere le navi britanniche, ma scopre invece trattarsi di un ricognitore italiano precipitato in mare.
Alle 12.20 la velocità viene nuovamente ridotta a 24 nodi, ed alle 14.00, essendo ormai evidente l’impossibilità di incontrare le forze nemiche, ormai tornate alla base, anche le unità italiane accostano per 340° e riducono la velocità a 20 nodi per rientrare alle loro basi.
Alle 17.09 un caccia tedesco getta in mare, a sinistra delle navi, un fumogeno, segnale concordato per indicare l’avvistamento di un sommergibile, pertanto la formazione italiana accosta ad un tempo a dritta, per poi tornare sulla rotta 340° alle 17.21. Al tramonto il sommergibile britannico Thrasher avvista il gruppo «Garibaldi», ma rinuncia ad attaccare, perché troppo lontano. Alle 18.10 il Garibaldi avvista un periscopio a 5000 metri di distanza, manovrando quindi per allontanarsi: si tratta del sommergibile britannico Porpoise, il quale manovra per attaccare ma alle 18.35 viene attaccato da bombardieri tedeschi e costretto a sua volta ad abbandonare l’attacco, scendendo a maggiore profondità.
Alle 22, in seguito a nuove disposizioni (trovarsi a 60 miglia per 180° da Nido alle cinque del mattino del 16, per un’eventuale ripresa dell’azione) la squadra di Iachino assume rotta 250°, ma tra le 22.30 e le 23, in seguito al rilevamento di aerei, accosta dapprima per 210° e poi (poco prima delle 23) per 260°. Poco dopo, tuttavia, iniziano ad accendersi dei bengala e quindi le navi italiane iniziano ad emettere cortine di nebbia, che risultano però meno dense ed efficaci rispetto alla notte precedente. Alle 23.26 ed alle 23.55 si accendono altri bengala a dritta e verso poppavia, e la seconda serie di bengala, a 4000 metri, vanifica l’effetto delle cortine fumogene. Le navi accostano rapidamente di 20° a sinistra, per lasciarsi a poppa i bengala, ma poco dopo se ne accendono altri a soli 2500 metri. I cacciatorpediniere (cui poi si uniscono le corazzate) dirigono il tiro di tutte le mitragliere su un aerosilurante britannico, in avvicinamento da circa 20° di prora a dritta, che riesce ad avvicinarsi a circa 1000 metri prima di sganciare: alle 23.40 la Littorio viene colpita da un siluro a prua dritta. Dopo essersi fermata per evitare una collisione con la Vittorio Veneto impegnata in manovre evasive, la corazzata colpita può rimettere in moto a 20 nodi, e la formazione assume rotta 340°, ma altri bengala si accendono a soli 2000 metri, quindi la formazione italiana accosta immediatamente ad un tempo a dritta assumendo rotta 50° per lasciarsi i bengala a poppa, ma non vi sono altri attacchi. Poco dopo mezzanotte viene ripresa rotta 350° (verso nord), mentre le navi italiane vengono infruttuosamente cercate da altri aerei.
16 giugno 1942
Non si verificano più attacchi aerei, ed all’1.18 viene fatta cessare l’emissione di cortine e si ritorna in formazione, con rotta su Taranto.
Alle 5.06 la squadra accosta per 315° apprestandosi ad imboccare la rotta di sicurezza, procedendo a zig zag e poi eseguendo diverse accostate in seguito ad avvistamenti, veri o presunti, di periscopi nemici; verso le 9 un altro caccia tedesco getta in mare un fumogeno (così segnalando la presenza di un sommergibile) a dritta della formazione, che accosta immediatamente a sinistra. La rotta di sicurezza viene imboccata alle 10.35, ed alle 16.21 il gruppo «Garibaldi» attraversa le ostruzioni, giungendo poco dopo nel porto di Taranto.
21 giugno 1942
Una rappresentanza dell’equipaggio del Corazziere viene mandata a bordo della corazzata Littorio (ammiraglia della Squadra Navale) per le celebrazioni della vittoria di Mezzo Giugno. Benito Mussolini, accompagnato dagli ammiragli Angelo Iachino (comandante della Squadra Navale) ed Arturo Riccardi (capo di Stato Maggiore della Marina) e del segretario del partito fascista Aldo Vidussoni, visita la Littorio e passa in rassegna le rappresentanze degli equipaggi di tutte le navi che hanno partecipato alla battaglia di Mezzo Giugno, conferendo le decorazioni a chi si è distinto.
1-2 luglio 1942
Il Corazziere parte da Taranto e viene inviato a Navarino (Grecia) unitamente alla VIII Divisione (incrociatori leggeri GaribaldiDuca d’AostaDuca degli Abruzzi) ed ai gemelli Mitragliere, Bersagliere e Alpino. La formazione rimarrà stanziata nel porto greco per quattro mesi, pronta a prendere il mare nel caso convogli in navigazione nel Mediterraneo centro-orientale dovessero subire attacchi da parte di navi di superficie partite dalle basi britanniche in Medio Oriente, ma tale necessità non si manifesterà.
Qualche volta, durante il periodo trascorso a Navarino, uno o più cacciatorpediniere vengono fatti salpare per andare a rinforzare la scorta di convogli diretti in Cirenaica (Tobruk e Bengasi), ma tocca quasi sempre agli altri: il Corazziere compirà in questo periodo (fino a fine ottobre 1942) pochissime uscite in mare. Di fatto il periodo passato a Navarino si rivelerà, per gli uomini del Corazziere, un periodo di riposo: posti di lavaggio, esercitazioni ed altra ordinaria amministrazione; nel tempo libero i marinai fanno bagni in mare tuffandosi direttamente dalla nave, o recandosi nella vicina spiaggia con la motolancia dell’unità. Per la franchigia gli uomini si recano nel vicino paese di Pilos, unico abitato della baia, dove è possibile andare al bar, fare acquisti allo spaccio dell’Esercito od usufruire della “casa chiusa” organizzata a cura della Marina (con suddivisione in “turni” tra le due forze armate: mattino per i militari dell’Esercito, pomeriggio per quelli della Marina); si sviluppa anche un commercio del chinino, che viene venduto dai militari italiani alla popolazione locale, essendo Navarino zona malarica. Dall’Italia arrivano con cadenza quindicinale le navi della ditta Genepesca, che recano le provviste e la posta per l’VIII Divisione.
Durante il periodo passato a Navarino vengono anche compiute quattro o cinque esercitazioni di sbarco con due battaglioni formati da marinai delle diverse unità dell’VIII Divisione (compresi uomini del Corazziere). A ricordare dei pericoli della guerra sono i bombardieri statunitensi, B-24 “Liberator”, i quali, a seguito dell’individuazione delle navi italiane da parte di ricognitori, lanciano diversi attacchi contro di esse: le unità italiane non possono reagire efficacemente, perché i bombardieri volano a quota superiore rispetto alla portata massima delle loro armi contraeree. Ma nessuna bomba va mai a segno, ed anzi le esplosioni degli ordigni, che cadono puntualmente in mare, servono a procurare facilmente pesce fresco per gli equipaggi.
Proprio uno di questi bombardamenti, tuttavia, pur senza causare danni materiali, dà origine ad un episodio particolarmente sgradevole, ricordato nelle memorie del sottufficiale Antonio Angelo Caria. I B-24 sganciano le loro bombe mentre il Corazziere si trova con tutto l’equipaggio al posto di manovra, ed il comandante in seconda ordina di passare dal posto di manovra al posto di combattimento, ordine inutile in quanto, come detto, i “Liberator” volano al di fuori della portata delle armi contraeree della nave; il frettoloso passaggio al posto di combattimento, con abbandono del posto di manovra, fa sì che il Corazziere rimanga in balia della corrente, andando a sbattere contro gli sbarramenti. Subito dopo, numerose bombe cadono a pochissima distanza dalla nave, sollevando enormi colonne d’acqua che ricadono sul ponte del Corazziere, inondandolo ed inzuppando tutto l’equipaggio, pur senza arrecare danni. Per l’accaduto, il comandante Monaco accusa addirittura l’equipaggio di “ammutinamento”, e nonostante le proteste del comandante in seconda, che addossa a sé la colpa di quanto avvenuto, si precipita furente dall’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante dell’VIII Divisione (imbarcato sul Garibaldi), chiedendo addirittura la decimazione dell’equipaggio. Provvedimento decisamente esagerato e fuor di luogo, come puntualizza l’ammiraglio De Courten, che – dopo aver chiamato a rapporto ed ascoltato gli altri ufficiali del Corazziere – respinge tale assurda richiesta: l’equipaggio ha eseguito un ordine sbagliato senza sapere chi lo avesse ordinato, ma poteva essere stato dato dallo stesso comandante, dunque non vi è motivo per un provvedimento disciplinare e meno che mai per una decimazione. La vicenda non ha dunque seguito, anche se i rapporti tra il comandante Monaco ed i suoi uomini rimangono incrinati da questo episodio.


L’VIII Divisione Navale a Navarino nell’estate 1942. Da sinistra a destra: Alpino, Garibaldi, Mitragliere, Duca d’Aosta, Corazziere, Duca degli Abruzzi, Bersagliere (sopra: g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net; sotto: A. Barilli via M. Brescia e www.associazione-venus.it)


2 agosto 1942
Alle 17.40 il Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano) ed il gemello Alpino (caposcorta) salpano da Navarino per scortare a Bengasi la moderna motonave Monviso. Quest’ultima, proveniente da Brindisi, è stata danneggiata da un siluro di aereo il 28 luglio e si è rifugiata a Navarino, dove ha provvisoriamente riparato il danno; riparte dunque dal porto ellenico scortata da Corazziere e Alpino, per completare il suo viaggio.
3 agosto 1942
Alle 15.25 la Monviso viene scossa da due esplosioni ed affonda 8 miglia a nordovest di Sidi Sueicher e 16 miglia a nordovest di Bengasi.
Le esplosioni vengono, sul momento, attribuite a siluri lanciati da sommergibile, tanto che Corazziere ed Alpino, da poco dotati di ecogoniometro (ma quello del Corazziere non funziona), contrattaccano con lanci di bombe di profondità, finché Supermarina non ordina loro di rientrare a Navarino ed invia sul posto la torpediniera Pegaso per proseguire la caccia.
Dal momento che l’unico sommergibile britannico operante nelle acque della Cirenaica era il Thorn (capitano di corvetta Robert Galliano Norfolk), che non comunicò più con la base dopo la partenza e non rientrò mai da quella missione (fu affondato con tutto l’equipaggio tre giorni più tardi, il 6 agosto, proprio dalla Pegaso, ma in acque molto lontane: al largo di Gaudo, a sud di Creta), per lungo tempo l’affondamento della Monviso è stato attribuito al Thorn. Questi, però, aveva ordine di restare in agguato al largo di Tobruk – cioè a 200 miglia di distanza dal luogo in cui fu affondata la Monviso – fino al 6 agosto, per poi spostarsi al largo di Capo Matapan: è quindi molto improbabile che il 3 agosto si potesse trovare al largo di Sidi Sueicher. Sembra oggi probabile che la Monviso affondò in realtà per urto contro mine, e che la presenza di un sommergibile fosse semplicemente una impressione errata (caso non infrequente in guerra) della scorta. Difatti, il Corazziere non rilevò alcun sommergibile, ma questo fu all’epoca attribuito al fatto che il suo ecogoniometro era in avaria.
Il dragamine Cotugno e la torpediniera Pegaso, inviate da Bengasi, recuperano 241 dei 247 uomini imbarcati sulla Monviso.
11 agosto 1942
Bombardamento aereo su Navarino. Si valuta la possibilità di impiegare la VIII Divisione ed i relativi cacciatorpediniere nella battaglia di Mezzo Agosto (11-12 agosto 1942) nel caso dovessero intervenire forze navali britanniche da oriente, ma tale impiego non avrà luogo.
29 agosto 1942
Alle 9.50 il Corazziere, partito da Navarino, va a rinforzare la torpediniera Orsa nella scorta al piroscafo Anna Maria Gualdi, partito dal Golfo di Corinto e diretto a Tobruk. Il Corazziere assume il ruolo di caposcorta.
30 agosto 1942
Corazziere, Orsa e Gualdi giungono a Tobruk alle 10.15.

Corazziere (a destra) e Duca degli Abruzzi a Navarino nell’estate 1942; in primo piano la poppa del Duca d’Aosta (Antonio Angelo Caria via Wikipedia)
30 ottobre 1942
Il Corazziere lascia Navarino, ponendo fine – per primo, tra le unità dell’VIII Divisione – al periodo di dislocazione in quel porto, per tornare a Taranto.
31 ottobre 1942
Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano), Bersagliere (capitano di fregata Anselmo Lazzarini) e Da Recco (caposquadriglia, capitano di vascello Aldo Cocchia) salpano da Taranto per Tobruk alle 17.45, in missione di trasporto di 196 tonnellate di munizioni e tre tonnellate di materiale d’artiglieria.
Le tre navi seguono la rotta del Mediterraneo orientale, transitando per il Canale di Corinto, passando al largo di Atene e poi dirigendo verso sud, passando al largo delle isole di Poros, Idra e Cerigo e tra Cerigotto e Creta.
1° novembre 1942
A partire dalle due di notte i tre cacciatorpediniere iniziano ad essere fatti oggetto di una serie ininterrotta di attacchi aerei, sette in tutto (cinque di bombardieri e due di aerosiluranti), che vengono tutti elusi con abili e rapide contromanovre: per ore le navi reagiscono col tiro delle mitragliere, zigzagano ed evoluiscono con continue accostate per evitare bombe e siluri, stendono cortine fumogene per cercare di occultarsi alla vista degli attaccanti. Nel cielo si accendono bengala, bombe cadono tutt’intorno, ed un siluro passa proprio sotto lo scafo del Corazziere, senza esplodere; da bordo si ritiene di aver colpito un aereo, che sembra allontanarsi in fiamme per poi forse esplodere (si vede una vampata nella direzione nella quale l’aereo danneggiato è scomparso all’orizzonte). Il Corazziere non subisce danni di rilievo, ma le schegge di una o più bombe esplose in mare molto vicine investono il complesso poppiero da 120 mm, provocando sei feriti tra il personale addetto a tale complesso, due dei quali in modo grave. Il Da Recco viene “colpito” da un siluro che, sganciato troppo tardi dall’aereo che lo portava, anziché entrare in acqua e colpirne lo scafo cade direttamente in coperta e scivola in mare senza esplodere, e senza praticamente causare danni.
2 novembre 1942
Alle 9.22 Corazziere, Bersagliere e Da Recco arrivano a Tobruk, sbarcano rapidamente il carico e poi ripartono alle 14. Lo sbarco delle casse di munizioni sulle chiatte e bettoline, preparate da Marina Tobruk e dal Genio dell’Esercito, avviene a mano; tutto l’equipaggio, ufficiali compresi, passa le casse a mano agli uomini di Marina Tobruk ed ai soldati dell’Esercito, permettendo di completare l’operazione in tempi rapidi. Durante la sosta nella rada di Tobruk i due feriti gravi del Corazziere, uno dei quali in condizioni gravissime (ha perso entrambe le gambe), vengono trasbordati su un idrovolante CANT Z. 506 della Croce Rossa, ammarato accanto alla nave, che trasporta il ferito gravissimo all’Ospedale di Chirurgia di Guerra di Massa Carrara. I quattro uomini feriti in modo non grave, invece, preferiscono restare a bordo fino al rientro in Italia.
3 novembre 1942
Il Corazziere, in navigazione di rientro da Tobruk a Taranto con le altre unità, riceve ordine di dirigere per Messina per prendere parte ad una missione di posa di mine: la nave dovrà posare il campo minato temporaneo «S.t. 2» (cioè «Sbarramento temporaneo 2») al largo della costa tunisina, con l’obiettivo di impedire il transito nel Canale di Sicilia ad un presunto convoglio nemico diretto verso Malta. L’«S.t. 2» è caratterizzato dall’essere composto, anziché dalle normali mine usate comunemente, da mine a temporaneo galleggiamento, per la precisione 50 mine Bollo dotate di congegni di autoaffondamento (due per ogni mina), che verranno regolati in modo da farle affondare dopo il passaggio di un tempo prestabilito dal momento della posa (qualche giorno), rendendole così inoffensive. La posa dello sbarramento è stata decisa fin dal 23 settembre, ma ha dovuto essere rinviata a causa dell’indisponibilità di due cacciatorpediniere classe Soldati necessari a posare le mine; inoltre, essendo lo sbarramento temporaneo, esso dev’essere posato soltanto quando si ha la certezza – nei limiti del possibile – dell’imminente tentativo di transito nel Canale di Sicilia da parte di importanti gruppi navali o convogli nemici.
Nei primi giorni di novembre, Supermarina ha ricevuto diverse segnalazioni relative a movimenti di forze navali nemiche da Gibilterra verso est (la cui entità verrà stata precisata, il 6 novembre, in 34 mercantili, 4 corazzate, 3 portaerei, 6 incrociatori e circa 30 unità sottili): nell’ipotesi che si possa trattare di un convoglio diretto verso Malta, che dovrebbe in tal caso passare nel Canale di Sicilia (anche se non è esclusa la possibilità, che poi si rivelerà esatta, che la forza nemica intenda invece effettuare uno sbarco nell’Africa nordoccidentale francese: le navi viste a Gibilterra sono infatti destinate all’operazione “Torch”), Supermarina ha concluso che sia giunto il momento propizio per la posa dell’«S.t. 2», dimezzato rispetto ai piani originari (che prevedevano inizialmente due linee di 50 mine ciascuna, ridotte ora alla sola linea di ponente), così da effettuarla usando un solo cacciatorpediniere, il Corazziere. (Secondo il libro "Torch: North Africa and the Allied Path to Victory" di Vincent O’Hara, invece, la posa dell’«S.t. 2» venne disposta da Supermarina non nell’ipotesi che le forze segnalate a Gibilterra fossero dirette a Malta, ma che invece intendessero tentare uno sbarco in Libia, nella zona di Tripoli o di Bengasi, come era convinzione dei comandi tedeschi).
È stato inoltre disposto che la posa dell’«S.t. 2» avvenga in contemporanea con quella di un campo minato “tradizionale”, l’«S 8», da parte di altre unità: dato che i due sbarramenti sono molto vicini tra di loro, infatti, si è deciso di farli posare entrambi in un’unica missione, ed allo scopo è stato dirottato a Messina il Corazziere, che stava rientrando a Taranto insieme a Da Recco e Bersagliere.
Non avendo abbastanza nafta per raggiungere Messina, il Corazziere raggiunge Navarino, dove si rifornisce del carburante strettamente indispensabile a raggiungere la base siciliana, dopo di che prosegue per Messina.
4 novembre 1942
Il Corazziere arriva a Messina alle 9.40. Ha lasciato le ferroguide per le mine a Taranto, ma esse vengono rapidamente trasportate a Messina e rimontate sul cacciatorpediniere.
All’arrivo a Messina vengono sbarcati i quattro feriti non gravi, che vengono caricati su due ambulanze, ed anche l’ufficiale medico del Corazziere, destituito dal comandante Monaco a seguito di un diverbio, scoppiato durante l’attacco aereo del 1° novembre, su quali fossero i compiti prioritari del medico.
L’ammiraglio Pietro Barone, comandante della Piazza Militare Marittima di Messina e del Comando Militare Marittimo della Sicilia, fa presente a Supermarina la preoccupante situazione del carburante: «Corazziere giunto con vuoto di 480 tonn.; a Trapani siamo al limite e gli incrociatori della III Divisione pure».
6 novembre 1942
Montate le ferroguide e lasciata Messina alle 3.45, il Corazziere arriva a Trapani verso le 14 (per altra fonte, in serata). La posa della «S.t. 2» è programmata per la notte tra il 7 e l’8 novembre.
7 novembre 1942
Alle 5 del mattino, dopo iniziali esitazioni dovute all’incerto stato del tempo, Supermarina telefona a Messina ordinando che le navi destinate alla posa di «S.t. 2» e «S 8» procedano all’imbarco delle mine, a meno di condizioni meteorologiche decisamente proibitive. Il Corazziere imbarca dunque 50 mine tipo Bollo, dotate di congegni di affondamento e rampino antidragaggio. Contemporaneamente, caricano le loro mine anche i cacciatorpediniere incaricati della posa dello sbarramento «S 8»: Da Noli, Pigafetta, Zeno (che erano già in porto al momento dell’arrivo a Trapani del Corazziere), Ascari e Mitragliere (arrivati dopo il Mitragliere). L’operazione di imbarco delle mine viene rapidamente portata a termine senza inconvenienti. All’operazione parteciperà anche il nuovissimo incrociatore leggero Attilio Regolo, che però – onde evitare il sovraffollamento del porto di Trapani – caricherà le sue mine (129 tipo «E») a Palermo. MAS e motosiluranti inviate dal Comando di Messina si occupano della scorta e dell’esecuzione di agguati protettivi ad ovest di Capo Bon ed a sud di Kelibia.
Corazziere, Pigafetta (con a bordo il contrammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, incaricato di dirigere l’operazione), Da Noli, Zeno, Ascari e Mitragliere salpano da Trapani alle 7, assumendo una velocità di 20 nodi. Alle 22 si unisce alla formazione anche il Regolo.
Giunte sul posto, le navi trovano ad attenderle la torpediniera Nicola Fabrizi, inviata da Trapani per segnalare loro il punto in cui cominciare a posare le mine. Regolandosi in base ai fari che appaiono visibili ed ai segnali della Fabrizi, i cacciatorpediniere si portano in linea di fronte ed assumono la rotta di posa (rotta 68°); il Corazziere, come previsto, lascia la formazione per andare a posare poco lontano lo sbarramento «S.t. 2». Le altre navi procedono a posare l’«S 8»: all’1.37 viene dato lo stop di inizio della posa.
Il Corazziere posa le sue 50 mine regolandole per tre metri di profondità, e lasciando un intervallo di 50 metri tra un ordigno e l’altro; tuttavia, durante la posa si verificano alcuni inceppamenti, che lasciano alcuni vuoti nella linea e ne provocano l’allungamento dai 2400 metri previsti ai 2880 metri effettivi. Viene inoltre rilevato che cinque mine, appena toccata l’acqua, danno luogo ad una piccola esplosione, forse causata dalla prematura attivazione di uno dei due dispositivi di autoaffondamento (il che porta a presumere che tali mine siano affondate immediatamente). Mezz’ora dopo la fine della posa, mentre il Corazziere si sta allontanando, vengono avvertiti tre forti scoppi, presumibilmente mine esplose accidentalmente. Ultimata alle 4.08 la posa dell’«S.t. 2», alle 5.30 il Corazziere si riunisce alle altre unità, che dirigono per rientrare a Palermo alla velocità di 20 nodi.
Alle 6.37 lo Zeno avvista un aereo sospetto, che sorvola il gruppo a bassa quota, ed alle 9.58 il Comando Marina di Trapani segnala che un velivolo nemico sta tallonando la formazione.
Alle 10.22 l’ammiraglio Gasparri ordina di assumere una formazione su due colonne (fino a quel momento si è mantenuta la linea di fila), con il Corazziere in posizione di scorta laterale a dritta del Regolo; ma la manovra è appena cominciata, quando – tre miglia a nordovest di Capo San Vito – il Regolo viene colpito a prua da un siluro lanciato dal sommergibile britannico P 46 (poi Unruffled, tenente di vascello John Samuel Stevens), guidato sul posto dai segnali dell’aereo.
Il P 46, avvistate alberature ed aerei verso sudovest alle 9.55 e ritenendo, correttamente, trattarsi dell’incrociatore e dei cacciatorpediniere del cui arrivo era stato avvisato, ha avuto conferma dei suoi sospetti alle 10, quando ha avvistato la centrale di direzione del tiro del Regolo, ed alle 10.05 ha iniziato ad avvicinarsi a tutta forza per attaccare. Alle 10.23, in posizione 38°14’ N e 12°43’ E, il sommergibile ha lanciato una salva di quattro siluri (gli ultimi rimasti a bordo) da 1920 metri di distanza, per poi scendere subito in profondità onde eludere la reazione della scorta.
L’esplosione asporta buona parte della prua del Regolo.
L’ammiraglio Gasparri ordina a Da Noli e Zeno di dare la caccia al sommergibile attaccante, ed agli altri cacciatorpediniere di girare intorno al Regolo coprendolo con cortine fumogene; contatta Trapani richiedendo l’invio di mezzi di soccorso. La caccia con bombe di profondità da parte di Da Noli e Zeno ha inizio alle 10.35 e si protrae per un’ora; vengono gettate 14 bombe di profondità, singolarmente, ma nessuna esplode vicina al P 46, che non subisce danni.
Poco dopo sopraggiungono due rimorchiatori, che tentano infruttuosamente di prendere a rimorchio l’incrociatore e di metterlo sulla rotta desiderata; le lamiere di ciò che resta della prua, piegate verso l’esterno, fanno da timone ed impediscono di governare. Alle 11.30 arrivano i MAS 544 e 549; il Pigafetta tenta a sua volta il rimorchio, ma senza successo. Alle 13.30, con l’arrivo da Trapani di altri due rimorchiatori (i quattro rimorchiatori sono il Monfalcone, il Maurizio, il Liguria ed il Trieste), si riesce finalmente a prendere il Regolo a rimorchio, e inizia così la navigazione verso Palermo, all’esasperante velocità di due nodi e mezzo. Poco più tardi arrivano anche le torpediniere Cigno e Giuseppe Cesare Abba, che effettuano ricerca con l’ecogoniometro nell’area dell’attacco, mentre alle 14.48 Corazziere, Ascari e Mitragliere vengono distaccati per raggiungere Messina, su ordine di quel Comando Marina.
Il Regolo riuscirà a raggiungere Palermo all’alba del 9 novembre.
12 novembre 1942
Il Corazziere, insieme ai gemelli Aviere, Bombardiere, Mitragliere, Corsaro, Legionario, Ascari e Velite, salpa da Taranto di scorta alle corazzate Roma, Littorio e Vittorio Veneto (la IX Divisione Navale), delle quali è stato disposto il trasferimento a Napoli.
Il Corazziere fa parte della scorta delle corazzate (XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) fin dalla partenza, mentre altri cacciatorpediniere (la XIII Squadriglia) si uniscono ad essa tra le 5.30 e le 6. Con le luci dell’alba, verso le sei del mattino, appaiono anche i primi velivoli della scorta aerea: un bombardiere tedesco Junkers Ju 88, un idrovolante italiano CANT Z. 506 (successivamente rimpiazzato da un CANT Z. 501), ambedue in funzione antisommergibili, e 7 (poi 10) caccia tra Macchi C. 200 e FIAT G. 50 (due dei quali più tardi sostituiti da altrettanti biplani FIAT CR. 42).
Tra le 14 e le 15.18 la squadra attraversa lo Stretto di Messina passando nel canale dragato, ad una velocità di 24 nodi. Alle 14.20 uno degli Mc 200 precipita in mare, ma il suo pilota viene salvato dal Camicia Nera.
Alle 15.56 il sommergibile britannico P 35 (tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon), in agguato a ponente di Capo Vaticano (Calabria), avvista su rilevamento 190° delle unità che alle 16.02 identifica come due corazzate classe Littorio, scortate da almeno dodici cacciatorpediniere e con almeno tre aerei in volo sopra le navi: si tratta della formazione di cui fa parte il Corazziere. Dopo aver stimato che la rotta della squadra italiana sia 335°, il P 35 si porta in posizione 38°39’5” N e 15°44’5” E ed alle 16.19 lancia quattro siluri contro la seconda corazzata della fila, da una distanza di 3660 metri.
Subito dopo il lancio, il sommergibile scende a 36 metri di profondità. Nessuno dei siluri va a segno, perché il P 35 ha sovrastimato la velocità dei bersagli, giudicandola di 29 nodi (mentre la velocità realmente tenuta è di 22); tuttavia, mentre le navi notano i siluri, nessuno degli aerei di scorta ne vedono le scie, destando il rincrescimento dell’ammiraglio Iachino.
Durante la navigazione di trasferimento i cacciatorpediniere eseguono varie manovre per esercitazione, con risultati giudicati eccellenti. Non sono invece molto efficaci i tentativi di occultare le corazzate con cortine fumogene per nasconderle ai ricognitori nemici, a causa di malfunzionamenti dei generatori di fumo e dell’insufficiente addestramento del personale.
Tra le 16.20 e le 17.15 la scorta aerea lascia la formazione, ed anche la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, tranne il Bombardiere, riceve ordine di rientrare a Messina. Apparentemente anche il Corazziere lascia la formazione più o meno intorno a quest’ora, ed il trattenimento del Bombardiere (che fa parte della XIII Squadriglia) è motivato dalla necessità di sostituirlo.
La IX Divisione e la sua scorta proseguono verso Napoli, dove giungono indenni nelle prime ore del 13 novembre, dopo aver eluso anche un tentativo d’intercettazione da parte del sommergibile britannico Turbulent (nel Golfo di Napoli) grazie al calare dell’oscurità. La XI Squadriglia si ormeggia a Napoli insieme alle corazzate, mentre la XII Squadriglia va ad ormeggiarsi a Pozzuoli, poco lontano.
26 novembre 1942
Il Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano) ed i cacciatorpediniere Mitragliere (caposcorta, capitano di vascello Giuseppe Marini) e  Folgore (capitano di corvetta Renato D’Elia) partono da Palermo per Biserta alle 22.15 (o 22.20), scortando il convoglio «G», formato dalle motonavi Città di Napoli e Città di Tunisi.
27 novembre 1942
Nelle prime ore della notte, tra Capo Gallo e Capo San Vito, il convoglio «G» (che procede a 15 nodi con le due motonavi in linea di fronte, il Corazziere in posizione avanzata a proravia, il Folgore a dritta ed il Mitragliere a sinistra) incontra il convoglio «LL», in navigazione da Tripoli a Palermo con i piroscafi Zenobia Martini e Giuseppe Leva e la torpediniera Circe (con i piroscafi in linea di fila e la torpediniera in scorta avanzata a proravia). Le condizioni di visibilità, grazie alla luce lunare, sono eccellenti; i due convogli – che sanno del previsto incontro – si avvistano già da grande distanza e seguono le rispettive rotte senza incertezze. Il convoglio «G», dato che tra le navi c’è una distanza più che adeguata a fargli passare in mezzo il convoglio «LL» (che ha rotta opposta e velocità 7 nodi), prosegue senza mutare rotta né formazione, ma all’1.13 – nel punto 38°14’ N e 12°27’ E – la Circe, per una sua manovra errata, taglia la rotta alla Città di Tunisi, che la sperona. La torpediniera affonda rapidamente spezzata in due; il Folgore, su ordine del caposcorta, può soltanto salvare i superstiti, 99 su un equipaggio di 165 uomini, che porta a Palermo. La Città di Tunisi, danneggiata, ripara a Trapani con la Climene. La Città di Napoli prosegue per Biserta, dove giungerà alle 14.55 del 28, mentre Corazziere e Mitragliere fanno ritorno a Palermo.
5 dicembre 1942
Corazziere, Maestrale (capitano di vascello Nicola Bedeschi, comandante della X Squadriglia Cacciatorpediniere), Ascari e Grecale salpano da Trapani eseguire la posa del campo minato «S 97» (composto da 224 mine), una spezzata dello sbarramento «S 9» nel Canale di Sicilia.
Primo a partire, alle 2.46, è il caposquadriglia Maestrale, seguito da Grecale, Ascari e Corazziere. Una volta usciti tutti, i quattro cacciatorpediniere si dirigono verso la zona di posa.
Alle 7.52 sopraggiungono due aerei da caccia della Regia Aeronautica, che sorvolano la formazione e ne assumono la scorta. Alle 8.45 la squadriglia si dispone in linea di fronte, ed alle 9.06 inizia la posa delle mine, che prosegue fino alle 9.38. La posa viene eseguita sulla base dell’ordine di operazione redatto da Marina Trapani: le mine vengono posate su quattro file parallele, lunghe complessivamente 11.150 metri (6,5 miglia) e distanziate tra loro di 100 metri. Il Corazziere posa la fila più a destra, mentre andando verso sinistra le altre file sono posate nell’ordine da Grecale, Ascari e Maestrale. Tra ogni mina di una stessa fila c’è un intervallo di 200 metri (il ritmo di lancio è di una mina ogni 33 secondi), e le mine delle diverse file sono sfalsate tra loro di 50 metri. Lo sbarramento viene eseguito con rotta di posa 22°.
Alle 8.52, poco prima di iniziare la posa, viene avvistato a grande distanza, su rilevamento vero 40°, un aereo di nazionalità incerta, che Supermarina comunicherà poi essere nemico.
Alle 13.40 i quattro cacciatorpediniere imboccano le rotte di sicurezza per l’accesso a Trapani, dove giungono poco più tardi.
8 dicembre 1942
Il Corazziere ed i cacciatorpediniere Zeno, Ascari, Mitragliere, Grecale, Pigafetta e Da Noli iniziano a caricare le mine per la posa della spezzata «S 94», anch’essa facente parte dello sbarramento «S 9».
9 dicembre 1942
Alle 9.40 Supermarina ordina di sospendere l’imbarco delle mine, rimettere sulle bettoline quelle già imbarcate e prepararsi subito ad un’urgente missione di trasporto truppe a Tunisi e Biserta.
10 dicembre 1942
Corazziere (capo sezione) e Zeno salpano da Trapani per Tunisi alle due di notte per una missione di trasporto truppe. Giungono a Tunisi alle 9.45; sbarcate le truppe, Corazziere e Zeno lasciano Tunisi alle 17.30 per rientrare a Trapani.
11 dicembre 1942
Corazziere e Zeno arrivano a Trapani alle 10.30; poco dopo, ricominciano ad imbarcare le mine. Corazziere, Mitragliere, Ascari e Grecale caricano ciascuno 52 mine tipo P 200 od Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno ne caricano 85 tipo EMF ciascuno.
Pochi minuti prima della partenza, in tarda serata, il Pigafetta subisce un’avaria di macchina che gli impedisce di partire; viene così deciso di rinunciare ad una fila di mine (il piano originario ne prevedeva cinque, tre composte da 86 EMF e due di 104 Elia o P 200). Il capitano di vascello Del Minio, che comanda la XV Squadriglia Cacciatorpediniere e deve dirigere la posa, trasborda dal Pigafetta sul Da Noli.
12 dicembre 1942
Corazziere, Mitragliere, Ascari, Da Noli, Zeno e Grecale partono da Trapani all’una di notte. Procedono a 20 nodi di velocità finché alle 7.10 avvistano l’Isola dei Cani; a questo punto riducono la velocità a 18 nodi e dirigono per la rotta normale a quella di posa, passando nel varco rimasto tra le spezzate «S 93» e «S 96». Alle 7.55 sopraggiunge un ricognitore che fornisce alle unità scorta antisommergibili (insieme, per poco tempo, a tre aerei da caccia) fino alle 10.45. Viene assunta formazione con Zeno, Da Noli e Corazziere in linea di fronte, seguiti da Mitragliere e Grecale anch’essi in linea di fronte, seguiti a loro volta dall’Ascari; viene ridotta ancora la velocità, fino a 14 nodi, ed alle 9.29 inizia la posa, su rotta 57°. Prima nave a posare le mine è lo Zeno, poi Da Noli, Mitragliere ed Ascari, mantenendo gli intervalli necessari per lo sfalsamento delle mine tra le file, poi – quando i precedenti hanno terminato la posa, per poi accostare in fuori ed accelerare per portarsi in posizione laterale avanzata – Corazziere e Grecale. In tutto, otto mine esplodono prematuramente.
Corazziere e Mitragliere posano la terza fila, lunga 13 miglia e formata da 104 mine tipo Elia o P 200, regolate per tre metri di profondità e distanziate di 232 metri l’una dall’altra. Grecale ed Ascari posano la quarta, avente caratteristiche analoghe alla terza, mentre Zeno e Da Noli posano rispettivamente la prima e seconda fila di mine (da sinistra), entrambe lunghe 16 miglia e composte da 86 ordigni tipo EMF.
La posa viene ultimata alle 10.39. Durante l’operazione, una schiarita ha agevolato il riconoscimento dei punti cospicui della costa; terminata la posa, tuttavia, il tempo diventa fosco, la visibilità cala drasticamente e si verificano frequenti piovaschi.
Le navi rientrano a Trapani alle 16.40.
15 dicembre 1942
Corazziere, Ascari e Mitragliere (caposquadriglia) partono da Trapani per Tunisi alle 00.35, in missione di trasporto di truppe e personale della Marina.
Le tre unità giungono a Tunisi alle 10.10, sbarcano le truppe e poi ripartono alle 12.45; vengono mandate d’urgenza a soccorrere i naufraghi del piroscafo Sant’Antioco, affondato qualche ora prima al largo di Capo Bon. Nonostante diversi attacchi aerei, i tre cacciatorpediniere raggiungono il luogo dell’affondamento ed il Mitragliere recupera 139 superstiti del Sant’Antioco, che trasporta a Palermo; Corazziere ed Ascari dirigono invece per Trapani, dove arrivano alle 21.30.
18 dicembre 1942
Corazziere (capo sezione) ed Ascari partono alle due di notte da Trapani per effettuare una missione di trasporto truppe a Biserta. Qui arrivano alle 9.30, per poi ripartire alle 10.40 dopo aver celermente sbarcato le truppe; dopo aver superato indenni un attacco aereo a mezzogiorno, i due cacciatorpediniere si dividono. Il Corazziere fa rotta per Trapani, dove arriva alle 17.30, mentre l’Ascari dirige per Palermo.
16 dicembre 1942
Supermarina ordina a Marina Messina di far caricare sulle bettoline, la sera del 19 dicembre, le mine destinate alla spezzata «S 98» dello sbarramento «S 9», che dovrà essere posata da Grecale, Corazziere (con mine tipo Elia), Da Noli, Pigafetta e Zeno (con mine tipo EMC e EMF). Marina Messina, tuttavia, risponde che Corazziere, Ascari, Da Noli e Zeno, appena tornati da una missione di trasporto truppe in Tunisia, hanno solo 200 tonnellate di nafta, insufficienti ad eseguire la missione; a riprova della crescente gravità della carenza di nafta, Supermarina si trova a dover ordinare a Marina Messina che lo Zeno ceda al Da Noli tutta la nafta in eccedenza rispetto a quella necessaria a trasferirsi da Trapani a Palermo, dopo di che il Da Noli si rechi a Palermo, riempia di nafta tutti i serbatoi prelevandola dalle unità ai lavori, e poi torni a Trapani per distribuire la nafta agli altri cacciatorpediniere. Tale è la scarsezza di nafta nella base di Trapani.
Alle 18.30 Supermarina ordina anche a Marina Messina che Corazziere e Grecale, oltre alle mine tipo Elia, carichino anche le P 200 fino a completo carico; il 17 dicembre, con messaggio delle 19.30, preciserà che dato il maggior numero di mine, le linee di Corazziere e Grecale dovranno essere allungate verso nordest.
Successivamente, le necessità del rifornimento della Tunisia, che impegnano i cacciatorpediniere in continue missioni di trasporto truppe, ed i periodi di maltempo costringono a rimandare la posa della «S 98» per oltre un mese.
21 dicembre 1942
Il Corazziere ed i cacciatorpediniere Legionario (caposquadriglia), Bombardiere e Grecale salpano da Trapani per Biserta all’una di notte, in missione di trasporto truppe. Più tardi, in mare aperto, si uniscono ad essi anche Pigafetta e Da Noli, partiti un’ora dopo. In tutto, i sei cacciatorpediniere trasportano 1750 uomini.
Corazziere, Bombardiere, Grecale e Legionario arrivano a Biserta alle 8.45, seguiti dopo un quarto d’ora da Pigafetta e Da Noli. Le sei unità imbarcano 1000 smobilitati della Marina francese, poi ripartono: Corazziere, Bombardiere, Pigafetta (caposquadriglia) e Da Noli lasciano Biserta alle 10.30, Legionario e Grecale dieci minuti dopo.
Corazziere, Bombardiere, Pigafetta e Da Noli arrivano a Palermo alle 23.40, mentre Grecale e Legionario dirigono per Trapani.
24 dicembre 1942
Corazziere, Bersagliere, Grecale e Mitragliere (caposquadriglia) salpano da Palermo per Tunisi alle 21, in missione di trasporto di 1200 soldati.
25 dicembre 1942
I quattro cacciatorpediniere arrivano a Tunisi alle 8.30 e ripartono due ore più tardi, dopo aver sbarcato le truppe ed aver imbarcato 1200 tra smobilitati della Marina francese e prigionieri. Corazziere, Bersagliere e Mitragliere (caposquadriglia) arrivano a Palermo alle 22.40, mentre il Grecale vi giunge alcune ore più tardi, a causa di un’avaria.
2-3 gennaio 1943
Nella notte tra il 2 ed il 3 gennaio, mentre il Corazziere si trova ormeggiato presso i cantieri navali di Palermo per compiere delle riparazioni ad una caldaia (andata in un’avaria alcuni giorni prima), il porto del capoluogo siciliano viene attaccato da cinque “chariots” britannici, mezzi d’assalto copiati dai siluri a lenta corsa italiani, penetrati nel porto dopo l’avvicinamento da parte dei sommergibili Trooper e Thunderbolt (operazione «Principal»). Dei cinque “chariots”, uno (incaricato di collocare le sue cariche esplosive sulle chiuse del bacino di carenaggio, per distruggerle) va perduto per avaria senza aver compiuto la sua missione, un altro (incaricato di minare e affondare la motonave Calino) dev’essere anch’esso autoaffondato senza aver concluso nulla a causa dell’annegamento del pilota (la cui muta subacquea è stata lacerata durante il superamento delle ostruzioni), ed un terzo torna indietro senza aver compiuto la missione, a causa di infiltrazioni d’acqua nella muta del pilota; gli altri due, invece, riescono a collocare le loro cariche esplosive, piazzandole sugli scafi dell’incrociatore leggero Ulpio Traiano, in costruzione (varato poco più di un mese prima ed in fase di allestimento), del piroscafo Gimma, del cacciatorpediniere Grecale, della motonave Viminale e della torpediniera di scorta Ciclone. Tutti gli operatori degli “chariots”, eccetto due che sono annegati ed i due uomini del “chariot” che è tornato indietro (i quali vengono recuperati in mare aperto dal sommergibile P 46), raggiungono la riva e vengono successivamente catturati.
Mentre le cariche applicate agli scafi di Ciclone, Gimma e Grecale non si attivano (forse perché piazzate troppo frettolosamente dagli operatori britannici) e vengono successivamente scoperte e rimosse senza alcun danno per le tre navi, le mine applicate sugli scafi di Ulpio Traiano e Viminale esplodono dopo alcune ore. Per prima scoppia, alle 5.45, la carica collocata sullo scafo della Viminale, che subisce gravi danni, anche se rimane a galla; due ore dopo, alle 7.58, esplode anche la carica sistemata sullo scafo dell’Ulpio Traiano, con effetti più gravi: l’incrociatore, ancora incompleto, si spezza in due e affonda rapidamente. Lo scoppio di questa carica danneggia gravemente anche l’adiacente banchina del cantiere navale, che crolla parzialmente per un tratto di circa trenta metri, e provoca 5 vittime (quattro operai italiani ed un soldato tedesco) e 21 feriti.
Il Corazziere, che si trova ormeggiato poco lontano dall’Ulpio Traiano, ha l’equipaggio al posto di manovra (deve infatti muovere) e si viene a trovare in una posizione “privilegiata” per osservare la drammatica fine dell’incrociatore: da bordo del cacciatorpediniere, i marinai vedono i primi operai salire sull’Ulpio Traiano e subito dopo una violenta esplosione che scuote l’incrociatore, facendolo rovesciare ed affondare. Alcune schegge dell’esplosione vengono proiettate fin sul Corazziere, anche se non ci sono danni né feriti.
17 gennaio 1943
Corazziere, Ascari, Bombardiere e Legionario (caposquadriglia) partono da Trapani per Biserta alle 2.30, trasportando 1200 militari e 12 tonnellate di rifornimenti.
Giungono a Biserta alle 9.40; alle 12.20 il Corazziere e l’Ascari (capo sezione e caposcorta) lasciano Biserta per rientrare a Palermo scortando la motonave Ines Corrado. Verso le 17 un sommergibile britannico (probabilmente l’United, che nelle stesse ore silura e affonda sulla stessa rotta il cacciatorpediniere Bombardiere) lancia quattro siluri contro Corazziere ed Ascari, che riescono ad evitarli.

Trasbordo di truppe dal Corazziere su un motoveliero davanti a Tunisi, gennaio 1943 (g.c. STORIA militare)

18 gennaio 1943
Corazziere, Ascari ed Ines Corrado arrivano a Palermo alle 2.30.
Calmatosi il tempo, e giunti in Sicilia altri cacciatorpediniere per concorrere alle missioni di trasporto truppe, alleggerendo la pressione su quelli presenti, si decide di procedere con la posa della «S 98».
20 gennaio 1943
Alle 3.30 Corazziere, Ascari, Da Noli, Pigafetta (avente a bordo l’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra) e Zeno salpano da Trapani per effettuare la posa.
I cinque cacciatorpediniere si dirigono verso ovest, fino a superare il meridiano dello scoglio Keith, di modo da tenersi sempre (per quanto possibile) in acque profonde almeno 200 metri, e di avvicinarsi all’area di posa provenendo da ovest.
La torpediniera Cigno avrebbe l’incarico di posizionare un segnale sullo scoglio Keith e di portarsi tre miglia a sudest dello stesso per agevolare l’individuazione della zona di posa ai cacciatorpediniere, ma problemi alle caldaie la costringono a rientrare; il suo comandante ferma la corvetta Gabbiano, in zona per altra missione, e le ordina di rimpiazzarla. Ciò determina tuttavia alcuni disguidi, così che l’ammiraglio Gasparri decide di distaccare un cacciatorpediniere per sincerarsi che la Gabbiano sappia bene cosa dovrà fare. Alle 10.20 sopraggiungono tre MAS che assumono la scorta dei cacciatorpediniere; due si posizionano a dritta, uno a sinistra.
Infine, con un paio d’ore di ritardo, i cacciatorpediniere accostano ad un tempo sulla sinistra ed assumono la linea di fronte, su rotta di posa 224°, iniziando la posa alle 10.58. Da dritta a sinistra, le file parallele sono posate nell’ordine da Pigafetta, Da Noli, Zeno, Corazziere ed Ascari; la distanza tra le file è di 400 metri, eccetto che per quelle posate da Ascari e Corazziere, che distano solo 200 metri tra di loro. La lunghezza dello sbarramento è di 21.300 metri, il suo orientamento da nordest a sudovest.
Corazziere ed Ascari posano ciascuno 54 mine Elia e P 200, regolate per tre metri di profondità, distanziate tra loro di 230 metri, per una lunghezza complessiva delle file di 12.580 metri. Alle 11.27 i due cacciatorpediniere ultimano la posa e si posizionano sulla sinistra dei tre “Navigatori”, ancora impegnati nella posa, eseguendo scorta e ricerca ecogoniometrica. Alle 11.47 anche Zeno, Pigafetta e Da Noli ultimano la posa.
Durante la posa viene avvertita una concussione subacquea, senza colonna d’acqua, e mezz’ora dopo la fine della posa si verifica l’esplosione prematura di quattro mine.
Inizia poi la navigazione di rientro, a 20 nodi di velocità. Alle 13.30 giungono quale scorta aerea tre caccia ed un ricognitore della Regia Aeronautica, che rimangono sul cielo delle navi per un’ora; durante questo periodo viene avvistata la torretta di un sommergibile, il quale tuttavia è lesto ad immergersi. Segnalato dagli aerei il Pigafetta, subisce la caccia da parte di Corazziere ed Ascari, appositamente distaccati.
Alle 16.45 i cacciatorpediniere, dopo il ricongiungimento di Corazziere ed Ascari con i tre “Navigatori”, raggiungono Trapani.
Dopo il rientro, le navi iniziano ad imbarcare le mine per posare la spezzata successiva dello sbarramento «S 9», la «S 99». Ascari e Corazziere imbarcano ciascuno 50 mine tipo Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno caricano 86 mine tedesche, delle quali 24 magnetiche e 62 ad urto.
24 gennaio 1943
Corazziere, Ascari, Pigafetta (capitano di vascello Del Minio), Da Noli e Zeno salpano da Trapani alle 3.30.
Alle 3.55, fuori dalle ostruzioni, le navi si dispongono in linea di fila, con Pigafetta in testa, seguito dal Da Noli, lo Zeno in terza posizione, il Corazziere dietro di lui e l’Ascari per ultimo. La velocità viene gradatamente incrementata fino a 20 nodi.
Alle 5.35, in franchia delle rotte di sicurezza, i cacciatorpediniere passano in una formazione su due colonne, con Pigafetta, Da Noli e Zeno a dritta, Corazziere ed Ascari a sinistra, coi capofila in linea di rilevamento.
Alle 7.39 viene avvistata la corvetta Artemide, in attesa presso lo scoglio Keith, svolgendo le stesse funzioni della Gabbiano durante la missione precedente; alle 7.50 un ricognitore italiano ed un aereo da combattimento tedesco assumono la scorta aerea delle navi.
Alle 7.52 i cacciatorpediniere accostano ad un tempo a sinistra e passano in linea di fronte su rotta opposta a quella di posa (verso sudovest), come ordinato. Alle 8.38 la velocità viene ridotta a 14 nodi, ed alle 8.52, superato di tre miglia il punto di inizio della posa, viene invertita la rotta ad un tempo sulla sinistra.
Alle 9.05 inizia la posa; comincia per primo il Da Noli, seguito dagli altri, con gli intervalli prestabiliti per lo sfalsamento. Da dritta verso sinistra, le file parallele sono posate da Zeno, Da Noli, Pigafetta, Corazziere ed Ascari; la distanza tra ogni fila è di 400 metri. La rotta di posa è di 50°, lo sbarramento è orientato da sudovest a nordest, le mine tipo Elia sono regolate per tre metri di profondità e distanziate tra loro di 233 metri.
Alle 9.25, dopo la posa delle prime 72 mine magnetiche (24 per ciascuno dei tre “Navigatori”), il Corazziere e gli altri cacciatorpediniere tranne il Pigafetta (che posa la linea centrale) accostano in dentro, riducendo l’intervallo tra le file a 200 metri.
Ascari e Corazziere ultimano la posa alle 9.32, passando poi a compiti di protezione e ricerca ecogoniometrica sulla sinistra del gruppo; Da Noli, Pigafetta e Zeno ultimano la posa alle 9.50. In tutto si verificano tre esplosioni premature di mine. L’Ascari, avendo il fonoscandaglio in avaria, viene lasciato libero di tornare a Trapani.
Gli altri cacciatorpediniere, Corazziere compreso, una volta ultimata la posa vanno a scandagliare un’area rettangolare lunga dodici miglia e larga tre, situata poco a nordest di quella in cui hanno appena posato le mine, e che è stata designata per la posa di un nuovo sbarramento.
Terminato lo scandagliamento, le unità rientrano a Trapani alle 16.25.
28 gennaio 1943
Corazziere, Ascari ed il cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (caposquadriglia) salpano da Trapani per Tunisi alle 3.30, in missione di trasporto truppe. Hanno a bordo, complessivamente, 990 militari.
Giunti a Tunisi alle 10.30, i tre cacciatorpediniere sbarcano le truppe, imbarcano 500 rimpatrianti dalla Tripolitania e ripartono alle 12.40 per Trapani, dove arrivano alle 22.10.
29 gennaio 1943
In mattinata Corazziere, Ascari, Pigafetta (caposquadriglia, capitano di vascello Del Minio), Da Noli e Zeno iniziano a caricare a Trapani le mine per la posa della spezzata «S 910», ultima spezzata dello sbarramento «S 9» nonché ultimo campo minato posato da unità italiane a protezione della rotta per la Tunisia. Corazziere ed Ascari imbarcano ciascuno 50 mine tipo P 200, i “Navigatori” caricano ognuno 86 mine tedesche (23 EMF magnetiche, 14 EMC con antenna e 49 senza antenna).
30 gennaio 1943
Alle 4.30 i cacciatorpediniere salpano da Trapani per eseguire la posa. Alle 5.17 hanno raggiunto i 20 nodi di velocità, ed alle 6.40, in franchia delle rotte di sicurezza, cominciano a zigzagare a 22 nodi. Alle 6.58 due aerei da caccia della Regia Aeronautica sorvolano la formazione, per poi andarsene dopo qualche minuto; alle 7.15 sopraggiungono due bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 ed un idrovolante italiano CANT Z. 506, che assumono la scorta aerea dei cacciatorpediniere. Alle 7.30, quando quattro MAS assumono la scorta antisommergibili dei cacciatorpediniere, soltanto il CANT Z. 506 è sul cielo delle navi.
Alle 8.25 le unità smettono di zigzagare e riducono la velocità a 20 nodi, ed alle 8.42 accostano per contromarcia e riducono la velocità a 18 nodi, preparandosi alla posa. Alle 8.50 viene eseguita un’accostata ad un tempo di 90° sulla dritta, viene assunta la rotta di posa (58°) e la velocità diventa di 14 nodi.
La posa ha inizio alle 9.07; le file parallele sono posate nell’ordine, da dritta a sinistra, da Corazziere, Ascari, Pigafetta, Zeno e Da Noli. Il Corazziere e l’Ascari navigano parallelamente ai “Navigatori”, ma posano la prima mina soltanto quando questi ultimi stanno posando la quarantanovesima (cioè mentre essi stanno ultimando la posa della prima tratta, lunga quattro miglia), dato che le loro file sono più corte; i due “Soldati” posano quindi le loro mine con intervalli di 233 metri tra un ordigno e l’altro, regolandole per tre metri di profondità. Dopo la posa della quattordicesima mina (per i Soldati), Corazziere ed Ascari accostano in fuori verso dritta e, con manovra opposta rispetto a quella eseguita nella posa della «S 99», si distanziano tra di loro e dal Pigafetta in modo da raddoppiare l’intervallo tra le file di mine. Al contempo, sul lato opposto, Da Noli e Zeno fanno lo stesso.
Le file posate da Corazziere ed Ascari sono lunghe 6,5 miglia, quelle dei “Navigatori” 10,5 miglia. Lo sbarramento ha orientamento quasi identico alla spezzata «S 99», ma forma rovesciata (ristretto all’inizio, più largo alla fine).
Le ultime unità terminano la posa alle 9.52, e cinque minuti dopo accostano ad un tempo di 90° a dritta ed iniziano la navigazione di rientro, alla velocità di 20 nodi.
Alle 10.15 Ascari e Corazziere si posizionano 5 km a poppavia dei “Navigatori”, e tutte le navi iniziano a zigzagare a 22 nodi. A mezzogiorno viene data libertà di manovra ai MAS, e dopo qualche minuto anche all’Ascari, che deve raggiungere Messina.
Il Corazziere e gli altri cacciatorpediniere superano le ostruzioni di Trapani alle 12.59 e si ormeggiano in porto entro le 13.35.
1° febbraio 1943
Corazziere, Legionario (caposquadriglia), Malocello, Zeno e Da Noli salpano da Trapani per Tunisi alle 6.30, trasportando 1700 militari nonché un carico di materiali vari.
Alle 13.30 i cacciatorpediniere vengono infruttuosamente attaccati da aerei all’imboccatura di La Goletta; approdati a Tunisi mezz’ora dopo, mettono a terra truppe e carico e poi ripartono alle 15.45, trasportando 470 rimpatrianti. Alle 19 vengono nuovamente attaccati da aerei, ma non subiscono danni, ed arrivano a Trapani alle 23.30.
5 febbraio 1943
Corazziere, Malocello (nave ammiraglia dell’ammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra; secondo Antonio Angelo Caria, imbarcato sul Corazziere, Gasparri si sarebbe invece imbarcato proprio sul Corazziere durante questa missione), Da Noli e Zeno partono da Trapani per Tunisi all’una di notte, trasportando 920 soldati e materiali vari. Arrivano a Tunisi alle 9.45, sbarcano truppe e carico e ripartono alle 11.15, giungendo a Trapani alle 20.30.

Di nuovo senza prua, primavera 1943 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)

La fine

Intorno alle 22 del 5 febbraio 1943 il Corazziere (capitano di fregata Antonio Monaco di Longano), mentre rientrava dalla sua ultima missione di trasporto truppe in Tunisia insieme a Malocello, Da Noli e Zeno, entrò in collisione con la motozattera tedesca F 484 al largo di Trapani, a causa di un errore di manovra. Il mezzo tedesco speronò il Corazziere, aprendo uno squarcio lungo circa dodici metri a prua del cacciatorpediniere, sul lato di dritta; entrambe le unità rimasero a galla, ma il danno subito dal Corazziere era piuttosto serio. Secondo il libro "Cacciatorpediniere Classe Soldati" di Erminio Bagnasco, lo squarcio causato dalla collisione era nell’opera morta del cacciatorpediniere, cioè al di sopra della linea di galleggiamento, ma secondo il sottufficiale cannoniere Antonio Angelo Caria, che teneva all’epoca un diario, il danno causato dalla collisione provocò l’allagamento di diversi compartimenti, il che farebbe presumere che la falla si estendesse anche al di sotto della linea di galleggiamento. Alcuni membri dell’equipaggio, i serventi del complesso poppiero da 120 mm, misero a mare una zattera credendo che la nave stesse per affondare, gesto che sarebbe poi stato punito con un massimo di rigore. Il Corazziere fermò temporaneamente le macchine, per accertare l’estensione dei danni e stabilire la propria posizione con l’aiuto di Marina Trapani, che accese un fanale per permettere di effettuare un rilevamento: la corrente lo stava infatti facendo scarrocciare verso i campi minati posati a difesa della rotta di sicurezza. Rimesso in moto, il Corazziere si riportò sulla rotta originaria e riuscì a proseguire a bassa velocità verso Trapani, dove arrivò alcune ore più tardi.
Così Antonio Angelo Caria ha descritto le vicende della collisione: "5 FEBBRAIO 1943. Ennesima missione di trasporto veloce di truppe a Tunisi, assieme al Malocello, Da Noli e Zeno. Al ritorno, assumiamo la testa della formazione poichè alzavamo le insegne dell'Ammiraglio Gaspari, Comandante del Gruppo Cacciatorpediniere, che avevamo a bordo. Navigazione tranquilla, a 30 miglia all'ora. Arrivati in vista di Trapani, verso le 22, abbiamo visto che vi era un bombardamento aereo in corso e la contraerea che sparava rabbiosamente. Eravamo entrati appena nella rotta di sicurezza, con le nostre mine a desta e sinistra, cosicchè avevamo poco spazio a disposizione. In quel frangente c'é stata una collisione tra noi e una motozattera tedesca che ci ha aperto una falla a prora, sulla dritta, di 10-12 mt., allagandoci tutti i locali al di sotto della linea di galleggiamento. L'Ammiraglio ha fatto dare ordine di libertà di manovra al Malocello, Da Noli e Zeno, il che voleva dire di non entrare nella rotta di sicurezza perchè intasata da noi e dalla motozattera tedesca. Io avevo chiesto il permesso di allontanarmi per prendere il caffè o il cognac in Centrale di tiro, posto di riferimento del mio rancio durante le navigazioni, ove mi son trattenuto con gli SDT (Specialisti Direzione del Tiro). Allo schianto, siamo balzati disperatamente, scavalcandoci reciprocamente e le apparecchiature (Indicatore Centrale, Gimetro e Tavolo previsore) per raggiungere lo scoperto. Uscito dalla tuga centrale, allo scoperto, stavo meditando di buttarmi a mare ma tergiversavo giacchè la nave non era sbandata. Gli addetti del complesso di poppa hanno calato a mare una zattera di salvatagio. I responsabili di quel gesto sono stati puniti con un massimo di rigore. Sono rientrato nella realtà dalle chiamate Caria..., Caria... del mio Capo Reparto che in quel momento comndava la nave e che mi aveva dato il permesso di allontanarmi. Salto di cOrsa in plancia. Le macchine erano state fermate subito per dar modo di verificare il danno subìto, chiudere le porte stagne e per fare il punto nave - dal momento che la corrente ci stava scarrocciando a destra o sinistra verso le mine. Per il punto nave (il cielo era coperto), il radiogoniometro ci dava all'altezza di Marettimo, ma evidentemente era sfasato. Allora, é stato chiesto a Marina Trapani di accenderci un fanalicchio di Levanzo o Favignana (non ricordo quale). Marina Trapani ci ha comunicato che il fanalicchio sarebbe rimasto acceso per tre secondi per darci la direzione, e dopo cinque minuti altra accensione di cinque secondi per poter fare il rilevamento e misurare la distanza. L'Ufficiale di rotta, alla seconda accensione, ha fatto il rilevamento ed io con lo stereotelemetro, con la scala telemetrica illuminata, ho misurato la distanza. L'Ufficiale di rotta, fatto il punto nave, ha detto al Comandante che eravamo con la poppa molto vicini alle mine del lato destro. Il Comandante ha dato l'ordine macchine di sinistra avanti mezza e macchine di destra avanti adagio, cosi abbiamo riguadagnato la linea mediana dello sbarramento. Piano-piano, siamo andati avanti finchè siamo arrivati a Trapani (il bombardamento era cessato), dando fondo in rada. Quella notte, finalmente, siamo potuti dormire in branda- dopo tre mesi di dormire a terra tra cielo e mare, con le inevitabili intemperie, nelle diuturne missioni di trasporto veloce di truppe per la Tunisia, alternate subito dopo dalla posa delle mine. Noi stereotelemetristi (fortunati....) dormivamo dentro la torretta telemetrica, insieme al sott'ordine del Direttore di tiro col quale era nato un affetto fraterno. Non parlo degli addetti al complesso di prora, poveracci, perchè dovrei fare un lungo discorso. Parte del personale di macchina, però, si é dovuto arrangiare, poichè il loro locale era allagato. Ha dormito come é capitato. Molto più tardi, sono arrivati il Malocello, Da Noli e Zeno, dando fondo in rada anche loro".

Era previsto che proprio in quei giorni il Corazziere partecipasse ad un’altra missione di posa di mine nel Canale di Sicilia, quella della spezzata «S 62», ma i danni subiti rendevano ovviamente impossibile la sua partecipazione. Il mattino del 6 febbraio, pertanto, l’ammiraglio Gasparri, telefonando da Messina a Supermarina per discutere quali cacciatorpediniere assegnare all’operazione, propose tra l’altro di trasferire il prima possibile il Corazziere a Palermo, onde liberare il porto di Trapani già affollato di cacciatorpediniere, e svolgere nel capoluogo siciliano le riparazioni provvisorie necessarie al suo successivo trasferimento a Napoli. Quest’ultimo sarebbe dovuto avvenire insieme al Geniere (che abbisognava di manutenzione) ed al Grecale (che necessitava anch’esso di riparazioni, a seguito di una grave collisione con la torpediniera Ardente), con la scorta di Gioberti e Camicia Nera. Il posto del Corazziere nella formazione di posa della «S 62» sarebbe stato preso dal Carabiniere, in quel momento a Palermo, che allo scopo avrebbe dovuto montare le ferroguide per la posa di mine. Già alle 17.30 dello stesso giorno, tuttavia, Gasparri dovette nuovamente telefonare a Supermarina perché il Carabiniere, logorato dall’intensissimo servizio (come tutti i caccia), aveva subito un’avaria che ne impediva l’invio a Trapani e l’impiego per la posa della «S 62». Venne destinato al suo posto il Mitragliere, ed al contempo si poté appurare che il Malocello, escluso in un primo momento dall’operazione perché aveva toccato il fondale al largo di Kelibia, non aveva subito danni e poteva dunque svolgere la missione.
Venne allora deciso che la posa della «S 62» sarebbe stata svolta l’8 febbraio da Pigafetta, Malocello, Da Noli, Zeno, Legionario e Mitragliere, e che per portare a 220 tonnellate la riserva di carburante di ciascuno dei cacciatorpediniere di Trapani (in modo da avere abbastanza carburante per svolgere l’operazione) si sarebbe distribuita loro tutta la nafta del Corazziere, 234 tonnellate, rimandando il trasferimento a Napoli di quest’ultimo. Così fu fatto.

Secondo Caria, una volta a Trapani il Corazziere sbarcò tutte le munizioni, comprese le cariche di profondità (ed anche i siluri, ma ciò contrasta con i ricordi del silurista Bruno Taglieri, secondo il quale la nave aveva ancora dei siluri a bordo quando fu colpita il 15 febbraio nel bombardamento di Napoli), dopo di che ripartì alle 7 dell’8 febbraio con la scorta di due motovedette, arrivando a Palermo quattro ore più tardi. Qui il cacciatorpediniere si ormeggiò nei pressi del cantiere navale e subì alcune riparazioni sommarie (la falla causata dalla collisione venne riparata con fasciame provvisorio dagli operai del locale cantiere navale), effettuate tra il 9 ed il 14 febbraio, necessarie a metterlo in condizione di potersi trasferire a Napoli per lavori più estesi; lasciò Palermo alle 6.40 del 15 febbraio, scortato dal cacciatorpediniere Premuda, e giunse a Napoli alle 15.20 di quello stesso giorno, ormeggiandosi alla Calata Villa del Popolo.
Secondo "Cacciatorpediniere Classe Soldati" di Bagnasco, invece, le riparazioni provvisorie prima del trasferimento a Napoli vennero effettuate a Messina; mentre si trovava in riparazione in quella base, il Corazziere venne ulteriormente danneggiato nel corso di un bombardamento aereo. Effettuate delle riparazioni provvisorie, il cacciatorpediniere venne finalmente trasferito a Napoli per ultimarvi i lavori.
Nella notte tra il 14 e il 15 febbraio, l’ultima passata a Palermo, gli uomini di guardia a bordo del Corazziere avvertirono degli strani rumori, come prodotti da qualcosa che si muovesse sott’acqua, che li insospettirono al punto da spingerli a svegliare l’ufficiale di servizio per informarlo; insieme ad essi, questi si mise a controllare lo scafo con un apposito faretto, senza trovare nulla. La mattina seguente, prima di partire, lo scafo del Corazziere venne ispezionato dal palombaro facente parte dell’equipaggio, che di nuovo non trovò niente. Non si era verificato, infatti, alcun attacco nemico: semplicemente gli uomini erano ancora scossi, probabilmente, dall’attacco verificatosi proprio a Palermo un mese e mezzo prima, quando le cariche esplosive piazzate dagli “chariots” britannici avevano affondato sotto i loro occhi l’Ulpio Traiano.

Il Corazziere era arrivato a Napoli da appena mezz’ora, quando la città partenopea venne sottoposta ad un ennesimo bombardamento aereo, da parte di 14 quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator” del 93rd e 98th Bomb Group dell’USAAF (9th USAAF). I bombardieri statunitensi, che al decollo erano 21 (gli altri sette, come spesso accadeva, si erano persi lungo la rotta e non raggiunsero l’obiettivo; uno andò perduto), avevano come obiettivo proprio il porto e le navi ivi ormeggiate, anche se parte delle bombe finì, come sempre, anche sul centro abitato. Affondarono sotto le bombe i piroscafi Lecce e Modica, e due bombe colpirono anche il Corazziere, perforando tutti i ponti per poi esplodere sotto la chiglia: l’esplosione asportò di netto l’intera prua del cacciatorpediniere fino al complesso prodiero da 120/50 mm, cioè per una lunghezza di 22 metri, e lesionò anche l’apparato motore. Miracolosamente, nonostante la gravità dei danni, non ci fu tra l’equipaggio un solo ferito: metà del personale, d’altra parte, non era a bordo al momento dell’incursione, essendo sceso a terra in franchigia. Molti dei marinai rimasti a bordo stavano facendo la doccia quando le bombe colpirono, e si precipitarono in coperta ancora nudi, gettandosi nel mare cosparso di nafta e raggiungendo a nuoto la riva, cercando un rifugio antiaereo.
Il sottocapo silurista Bruno Taglieri stava finendo di scaricare l’aria compressa dei siluri prima di andare in licenza (l’ufficiale suo diretto superiore gli aveva detto che sarebbe potuto partire non appena avesse sbarcato quelle armi: non aveva nemmeno bisogno di preparare la valigia, perché in seguito alla collisione aveva perso un’altra volta – la seconda in due anni – tutto il vestiario e gli effetti personali) quando era suonato l’allarme aereo: non si era però scomposto, dato che ormai gli allarmi aerei erano divenuti un’abitudine. Il suo ufficiale capo-reparto, che sbarcava a sua volta, era in quel momento passato salutandolo, e gli aveva ordinato d’indossare l’elmetto. Taglieri stava aspettando l’arrivo del battello sul quale dovevano essere trasbordati i siluri, quando la contraerea aveva aperto il fuoco: guardando verso il cielo, si era accorto che i bombardieri avevano iniziato a sganciare il loro carico, ed aveva capito che le bombe stavano per finire proprio sulla nave. Si era precipitato a terra, ed era giunto ad una cinquantina di metri dal Corazziere quando quest’ultimo era stato colpito dalle bombe: cercando un posto in cui ripararsi, era stato colpito da qualcosa alla testa, ma non era rimasto ferito. Era stato salvato dall’elmetto. Taglieri descrisse poi così ciò che trovò quando tornò alla nave: «La scena era terrificante, il Corazziere era senza prua e pendeva in avanti perché imbarcava acqua. Da un lato c’era una nave da trasporto già a fondo, dall’altro lato una nave da guerra tedesca colpita a poppa sembrava seduta. Alcuni marinai che erano di servizio sul Corazziere e non avevano avuto il tempo per allontanarsi, cercavano di risistemare la passerella, la mia presenza sul molo facilitò l’operazione. (…) Mentre aspettavo l’arrivo del mezzo per trasbordare i siluri, andai a vedere i danni: erano ingenti, la prua era scomparsa. Diedi una mano a sistemare i tubi delle pompe per aspirare l’acqua».
Il danno subito dal Corazziere fu gravissimo, e la nave rischiò seriamente di affondare: le pompe non erano sufficienti ad espellere tutta l’acqua imbarcata, e per scongiurarne l’affondamento servirono delle pompe aggiuntive, fornite da Marina Napoli.  
Così, a riguardo, il ricordo del sottufficiale cannoniere Antonio Angelo Caria: "15 FEBBRAIO 1943. Sveglia al mattino presto. Ci accorgiamo di essere accesi e pronti a muovere. Posto di manovra, e si salpa per Napoli, alle 6,40, scortati dalla Torpediniera Premuda. Arriviamo a Napoli alle 15,20, ormeggiandoci alla calata Villa del Popolo. Dopo mezz'ora, pesante bombardamento su Napoli da parte di numerosi aerei B17 americani. E' stato un bombardamento a tappeto. Ho visto crollare gli edifici di S.Giovanni a Teduccio, e le bombe che cadevano avvicinandosi sempre più a noi per cui ho detto a me stesso: - OGGI SI MUORE! Un po distante da noi c'era ormeggiato un incrociatore ausiliario tedesco che sparava all'impazzata, ma si é preso una gragnola di bombe che lo hanno fatto letteralmente "sedere" con la tolda al livello del mare. E' caduta una scarica di bombe fra noi e quell'incrociatore, e, infine, anche noi abbiamo avuto la nostra razione. Due bombe sono cadute a prora, "perforando" tutti i ponti e scoppiando in acqua, tagliandoci un bel pezzo di chiglia. 22 metri della nostra prora si é inclinata in avanti, spezzandosi e affondando. Anche il resto della nave ha cominciato ad affondare. Le nostre pompe di esaurimento non bastavano perciò Marina Napoli ne ha mandato alcune per rimediare. Metà equipaggio era in franchigia, molti marinai stavano facendo la doccia, ma sono scappati tuffandosi in mare, sporco di nafta, vagando (nudi) come invasati in cerca di un rifugio antiaereo. Io, pur essendo franco, non sono uscito per rispondere alle lettere di mia madre. Me la sono cavata bene riparandomi all'interno della torretta telemetrica per ovviare eventuali schegge. Comunque, la bomba "intelligente" tanto agognata, finalmente, era arrivata: nessun morto e nessun ferito. La notte abbiamo cenato e dormito a bordo della nave-caserma Lombardia, e l'indomani tutti in licenza per lavori: per noi sardi gg. 30+4, per gli altri gg. 30+2".


Il Corazziere, privo della prua, in bacino a Napoli nel febbraio 1943 (Antonio Angelo Caria, via Wikipedia)


Per la seconda volta dall’inizio della guerra, il Corazziere si ritrovava così a necessitare della completa ricostruzione della prua. Per eseguire tali lavori, il cacciatorpediniere doveva essere trasferito a Genova, ma ciò sarebbe stato possibile soltanto dopo aver compiuto in loco una prima parte di riparazioni provvisorie, volte a garantirne la galleggiabilità. Questi lavori si protrassero per più di un mese; essendo evidente che la nave sarebbe rimasta fuori servizio per lungo tempo, gran parte dell’equipaggio – circa 150 uomini – venne sbarcato ed assegnato ad altre unità. Sbarcarono tra gli altri tutti gli ufficiali, ad eccezione del comandante Monaco e del direttore di tiro, e tutti i sottufficiali, tranne uno; tutto il personale di macchina e quasi tutti i cannonieri, specialisti direzione del tiro, radiotelegrafisti, nocchieri e siluristi. Gli altri, mentre venivano compiute le riparazioni provvisorie, vennero alloggiati sulla nave caserma Lombardia, un grande transatlantico ormeggiato nel porto di Napoli, e ricevettero un mese di licenza.
 
La prua del Corazziere, ripescata dalle acque del porto, adagiata su un molo a Napoli nel febbraio 1943 (Antonio Angelo Caria via Wikipedia)

Il 28 marzo 1943, quando i lavori di riparazione necessari al trasferimento a Genova erano stati quasi completati ed il Corazziere era quasi pronto a partire, Napoli venne sconvolta dall’esplosione della motonave Caterina Costa, carica di carburante e munizioni da trasportare in Tunisia. La nave, incendiatasi per cause rimaste ignote (incidente o forse sabotaggio), esplose infine alle 17.39 con effetti catastrofici: l’esplosione investì e affondò i due rimorchiatori, Oriente e Cavour, che stavano cercando di portare la Caterina Costa fuori dal porto, mandò in pezzi porte e finestre nei quartieri attorno all’area portuale, e lanciò lamiere e rottami infuocati di ogni dimensione sulla città, provocando altri incendi e crolli, danneggiando facciate, sfondando tetti e uccidendo passanti. Le vittime furono almeno 549, i feriti circa 3000.
Il Corazziere, che si trovava ormeggiato vicino alla stazione marittima (abbastanza lontano dal molo dov’era ormeggiata la Caterina Costa), non subì danni, ma due membri del suo equipaggio, il marinaio cannoniere Walter Floriani (di 20 anni, da Padova) ed il sottocapo silurista Carlo Giovannetti (di 25 anni, da Campiglia Marittima), che al momento del disastro si trovavano a terra, furono tra le decine di persone uccise in città dalla pioggia di rottami lanciati ovunque dall’esplosione della Caterina Costa. Giovannetti, che era sceso a terra per fare un ultimo giro in città prima di partire per Genova, fu ucciso da una scheggia che lo colpì alla testa.

Il 1° aprile 1943, terminate le riparazioni provvisorie, il Corazziere lasciò Napoli alla volta di Genova, trainato da alcuni rimorchiatori sia a prua che a poppa. Viaggiava insieme ad esso un altro cacciatorpediniere, il Maestrale, anch’esso mutilato ma privo della poppa (distrutta dall’urto contro una mina nel Canale di Sicilia) anziché della prua. Il 3 aprile, di pomeriggio, i due cacciatorpediniere giunsero a Genova, dove ebbero inizio i lunghi lavori di riparazione: per il Corazziere, questi vennero svolti presso le O.A.R.N. (Officine Allestimento e Riparazione Navi). Una folla immensa assisté, a Genova, all’arrivo di Corazziere e Maestrale, che la gente credeva erroneamente di ritorno da una battaglia navale, nella quale erano rimasti gravemente danneggiati.
Il 5 aprile la maggior parte dell’equipaggio residuo venne a questo punto sbarcata ed assegnata ad altre unità; se ne andarono così una settantina di uomini, mentre solo una quarantina rimasero col Corazziere. Quelli che rimasero vennero alloggiati nella caserma della G.I.L.-Mare (per i giovani della Gioventù Italiana del Littorio assegnati alla leva di mare). Il 15 aprile sbarcò anche il comandante Monaco, anch’egli destinato a nuovo incarico: nonostante le turbolenze (a dir poco) che a volte, in passato, avevano turbato il rapporto tra lui ed il suo equipaggio, al momento di congedarsi dai suoi uomini Monaco rivolse loro parole lusinghiere. A questo proposito ancora Caria: "Verso le ore 10 vuole salutarci il Comandante perchè sbarcava pure lui. E' venuto vestito col frac, con cappello a cilindro, guanti bianchi, uose grigie e scarpe lucide. Nel petto sinistro del frac spiccava lo stemma gentilizio della sua casata. Poche parole per dirci che per il "pomeriggio" di Navarino [per questo episodio si veda più sotto, a fondo pagina, nei racconti di Caria ivi riportati integralmente] si era fatto un concetto errato del suo equipaggio. Aggiunse, però, che aveva seguito il suo spirito di sacrificio, il suo coraggio e ardimento nei tremendi mesi di diuturna fatica durante la battaglia della Tunisia, posa di mine, ecc, traendone la convinzione di aver avuto al suo comando un equipaggio formato da veri uomini. Ci ha passato in rassegna. A me, che ero il primo della fila, mi strinse la mano (nuda) con un Caria, continuate cosi... Ha stretto le mani a tutti e detto qualcosa anche a qualcun'altro. Uno di noi, ha gridato EVVIVA IL NOSTRO COMANDANTE, e lui si é allontanato, ringraziandoci, agitanto in alto il suo cappello a cilindro". Al comando del Corazziere, in sostituzione del capitano di fregata Monaco, venne successivamente designato il parigrado Giuseppe Gregorio.
Oltre alla ricostruzione della prua ed alla riparazione dell’apparato motore, erano previste anche alcune modifiche all’armamento; nel corso dei lavori sarebbe stato sbarcato l’impianto lanciasiluri poppiero, al cui posto sarebbero state installate due mitragliere contraeree pesanti da 37/54 mm.
Per i pochi uomini dell’equipaggio rimasti col Corazziere, i mesi che seguirono furono un periodo di grande tranquillità. Avendo ben poco da fare, mentre la nave era in riparazione, la rigida disciplina vigente fino a quel momento venne un po’ allentata, e gli uomini ebbero modo di uscire più liberamente: giri in riviera, riposo, niente più orari fissi per svegliarsi o andare a dormire. In luglio, l’equipaggio venne mandato in due turni a Merano, in Alto Adige, per un periodo di riposo in cui riprendersi dalle fatiche del duro periodo compreso tra l’ottobre 1942 ed il febbraio 1943, nel quale si erano susseguite senza sosta missioni di posa di mine, scorta e trasporto, spesso sotto attacco aereo sia in porto che in mare. Durante questo soggiorno in montagna gli uomini del Corazziere furono alloggiati in albergo, senza più orari da rispettare né il pericolo costituito dai bombardamenti continui (l’Alto Adige, fino a quel momento, non aveva mai subito incursioni aeree, essendo troppo lontano dalle basi aeree nemiche); poterono recuperare le tante ore di sonno perse nei mesi precedenti e mangiare a volontà. Furono anche compiute delle escursioni in quota, fino a 2300 metri di altezza, in parte in funivia ed in parte a piedi.
Intanto, però, la guerra continuava, e di tanto in tanto giungevano dispacci del Ministero della Marina che disponevano il trasferimento di qualcuno su altre unità che continuavano a navigare e combattere.


Questa immagine del Corazziere in bacino senza prua (sopra: g.c. STORIA militare; sotto, foto Aldo Fraccaroli via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) viene variamente indicata come scattata a Genova nell’estate 1943, durante i lavori di ricostruzione della prua; o durante la primavera; od ancora a Napoli, nel marzo 1943.


Al momento dell’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943), il Corazziere si trovava ancora in grandi lavori di riparazione a Genova. La prua era stata ormai ricostruita, ma i lavori, benché ormai prossimi al completamento, non erano ancora terminati, e di conseguenza la nave non era pronta a muovere.
Subito dopo la proclamazione dell’armistizio, le truppe della Wehrmacht, attuando piani già accuratamente preparati in precedenza, diedero il via all’operazione «Achse», procedendo a neutralizzare le forze armate italiane – lasciate dai loro comandi senza ordini precisi su come comportarsi nei confronti dei tedeschi, non più alleati ma nemmeno dichiarati ufficialmente nemici – ed occupare il territorio nazionale italiano. Genova era difesa soltanto da due battaglioni territoriali male armati: le truppe tedesche giunsero alle porte della città alle quattro del mattino del 9 settembre, ed entro le sei avevano già bloccato gli accessi al porto e stavano procedendo all’occupazione dei cantieri navali.
L’ammiraglio di divisione Carlo Pinna, comandante di Marina Genova e comandante superiore del porto di Genova, aveva già provveduto a disporre la messa in atto delle disposizioni ricevute da Roma: partenza di tutte le navi mercantili e militari in efficienza verso porti Alleati o comunque liberi dai tedeschi, autoaffondamento delle unità militari non efficienti, sabotaggio delle unità mercantili non efficienti (quest’ultimo ordine non poté essere eseguito in quasi nessun caso, perché molte navi mercantili erano senza equipaggio), comunicazione al Comando Marina tedesco di far uscire dal porto le navi tedesche. Alle 8.30 del 9 gli ordini erano stati eseguiti; l’ammiraglio Pinna radunò il personale da lui dipendente, fece distruggere gli archivi segreti e lasciò liberi i suoi uomini di andarsene. Pinna stesso, per evitare di essere catturato, lasciò Genova alle dieci (era stato autorizzato a farlo alle sette da Supermarina, nella persona dell’ammiraglio Sansonetti, essendo la situazione a Genova del tutto compromessa) e raggiunse la Toscana, dove si sarebbe in seguito unito alla Resistenza.
Nell’impossibilità di prendere il mare, il comandante del Corazziere, capitano di fregata Giuseppe Gregorio, dovette rassegnarsi ad ordinare l’autoaffondamento della sua nave, per evitare che cadesse in mano tedesca: radunati i suoi uomini (che erano alloggiati in una casermetta situata poco lontano dal punto in cui la nave era ormeggiata), impartì gli ordini per l’autoaffondamento e poi rivolse loro poche parole di commiato. Nel pomeriggio/sera del 9 settembre 1943 il Corazziere venne dunque autoaffondato dall’equipaggio nel porto di Genova, presso la Calata Grazie. Tra gli uomini che aprirono le ultime valvole di sentina, assolvendo all’amaro compito di “uccidere” la nave che per anni era stata la loro casa attraverso tante peripezie belliche, era il sottocapo silurista Bruno Taglieri: insieme ai colleghi di comandata, Taglieri eluse agevolmente la sorveglianza dei soldati tedeschi, già schierati sul molo, passando dietro all’edificio dell’officina del cantiere navale, che li coprì alla vista. Il gruppetto salì sul Corazziere, aprì le valvole per l’allagamento, e la nave iniziò ad affondare lentamente.
Le truppe tedesche, che ormai avevano il controllo del porto di Genova, non esitarono a sparare sugli uomini del Corazziere che tentavano di allontanarsi dopo aver autoaffondato la nave: alcuni riuscirono a fuggire, come un gruppetto di sei uomini che avevano lasciato la nave per ultimi, in ritardo rispetto agli altri, e riuscirono a nascondersi in una galleria-rifugio antiaereo in costruzione; altri furono abbattuti a raffiche di mitra. Antonio Angelo Caria, che non si trovava più col Corazziere essendo stato trasferito alcuni mesi prima alla nuova corvetta Sibilla, così riferisce quel che gli raccontò un collega superstite (pur esagerando l’entità della strage): "…quella quarantina di persone rimaste a bordo del Corazziere, l'8 settembre, alla notizia dell'armistizio, hanno avuto l'ordine di autoaffondare la nave, cosa che hanno fatto. Uscendo dal porto, scappando, sono stati falciati dalle mitragliere tedesche. I ritardatari, vedendo la fine di quelli che li avevano preceduti, si sono nascosti nel bunker antiaerei esistenti in porto. Vi sono rimasti dentro tutta la notte e il giorno successivo, e ne sono usciti mischiandosi alle maestranze a fine giornata lavorativa. Si sono salvate solo 6 persone, tra le quali il mio collega stereotelemetrista". Bruno Taglieri, che invece c’era e partecipò all’autoaffondamento, ricordò poi che l’edificio che serviva da alloggio per gli uomini del Corazziere venne bersagliato da raffiche di colpi, anche se non sapeva se all’interno si trovassero ancora i suoi compagni o se fossero già scappati. Taglieri e cinque compagni si rifugiarono nell’officina, nascondendosi dietro ai macchinari.
Quattro uomini del Corazziere risultano "dispersi" nella data del 9 settembre 1943, e non sembra azzardato presumere che abbiano trovato la morte nelle circostanze sopra descritte.

I loro nomi:

Olimpio Alessio, marinaio cannoniere, 20 anni, da Udine
Mario Gregori, marinaio, 22 anni, da Trieste
Mario Panaro, marinaio, 22 anni, da Savona
Wladimiro Pellizon, marinaio fuochista, 21 anni, da Savogna d’Isonzo (Gorizia)


Bruno Taglieri ed i compagni rimasero nascosti nell’officina fino al calare dell’oscurità, dopo di che si allontanarono alla chetichella, in ordine sparso, rasentando i muri. Taglieri raggiunse un tunnel in costruzione che univa il porto alla stazione ferroviaria di Brignole, dove rimase solo; procedendo a tentoni nel tunnel non illuminato, riuscì a raggiungere la stazione e si tolse la divisa (il berretto lo aveva già perso correndo) per non essere riconosciuto come marinaio dai tedeschi. Dopo di che, si mescolò ai civili che attendevano il treno; suo proposito era di raggiungere Roma e poi il suo paese di origine, in Abruzzo. Il treno arrivò dopo poco e Taglieri vi salì, viaggiando senza problemi fino a qualche chilometro prima di Orbetello, dove la linea era interrotta a causa dei danni causati da un bombardamento aereo. Il treno attese lungamente e poi tornò indietro, e deviò per passare da Siena e raggiungere la linea Firenze-Roma; Taglieri, stanco e digiuno da parecchie ore, si addormentò dopo mezzanotte e fu svegliato alla stazione di Chiusi da soldati tedeschi armati fino ai denti, che fecero scendere dal treno tutti gli uomini abili e li condussero nel piazzale della stazione, dove vennero circondati da sentinelle armate. Dopo un’ora di discussioni tra ufficiali tedeschi ed italiani, gli uomini vennero riportati alla stazione e fatti salire su un altro treno, diretto a Firenze; una volta arrivati nel capoluogo toscano, gli uomini vennero fatti scendere dal treno e, incolonnati e scortati da sentinelle armate che procedevano su ambo i lati, furono portati in una caserma poco lontana dalla stazione, occupata da militari italiani che si erano schierati con i tedeschi. Nella caserma regnava di fatto l’anarchia, e Taglieri ne approfittò per fuggire: calato di nuovo il buio, notò che su un lato c’era un muro di cinta facilmente scavalcabile; era di guardia in quel punto un militare italiano, ma dopo qualche tentativo Taglieri riuscì a convincerlo a non “vederlo”, offrendogli un pacchetto di sigarette. Scavalcato il muro, Taglieri incontrò nella via semideserta un ciclista che si fermò e gli indicò la strada per raggiungere la stazione. Tornato in stazione, Taglieri riuscì a salire su un treno per Roma, raggiungendo la capitale e qui prendendo un altro treno per il suo paese natale in Abruzzo, dove giunse nel pomeriggio dell’11 settembre 1943. Rimase nascosto per tutto il periodo dell’occupazione tedesca, onde sfuggire alle retate degli occupanti, e subito dopo la liberazione di Roma tornò in servizio presso la Regia Marina, ora co-belligerante con gli Alleati.

Non ebbe la stessa fortuna il secondo capo S.D.T. Candido Battaglini, da Rio Marina (Livorno). Quando fu annunciato l’armistizio, Battaglini era appena tornato in Liguria dopo un periodo di licenza trascorso nell’Isola d’Elba, sua terra d’origine: arrivato a Genova, trovò il Corazziere già affondato; venne catturato dai tedeschi durante un rastrellamento e mandato a La Spezia, per essere arruolato a forza nelle fila della Repubblica di Salò. Qui Battaglini incontrò altri undici elbani, tutti, come lui, marinai della Regia Marina rastrellati dai tedeschi; alcuni di essi erano già stati forzatamente arruolati nella RSI. Non volendo combattere per la repubblichina, i dodici decisero di fuggire e tornare all’Elba, o forse anche di raggiungere il Sud Italia controllato dagli Alleati. Fu proprio Battaglini ad organizzare la fuga: il gruppo s’impadronì a La Spezia di un motopeschereccio, il Riganò, col quale diresse verso il sud; ma il tentativo fallì, perché il peschereccio venne inseguito e raggiunto da una motovedetta tedesca. Successivamente, Battaglini ed i conterranei tentarono nuovamente di fuggire e raggiungere l’Elba, questa volta via terra, divisi in gruppetti di quattro: ma mentre quattro di essi riuscirono nel tentativo, gli altri otto, tra cui Battaglini, vennero fermati ed arrestati, quattro ad Altopascio (dove si erano diretti perché li viveva un parente di un membro del gruppo) e gli altri quattro nei pressi del Fiume Magra. Insieme a Battaglini furono arrestati Renzo Corbelli, Lorenzo Prosperi, Mario Martorella, Franco Pacinotti (tutti e quattro in servizio, prima dell’armistizio, nella base di La Spezia), Aldo Bandinelli, Francesco Innocenti e Lorenzo Pierangeli: tutti marinai della Regia Marina, alcuni dei quali furono considerati disertori perché risultavano già arruolati nelle fila di Salò.
Battaglini ed i compagni vennero rinchiusi nel carcere di Marassi a La Spezia, poi – nonostante l’intervento di un giudice italiano – furono condotti in Germania, imprigionati nel carcere militare di Monaco di Baviera e processati per “diserzione” da un tribunale militare. Battaglini, che era il più “anziano” (aveva 27 anni, gli altri erano tutti ventenni: lui aveva combattuto anche durante la guerra di Spagna, ed era stato più volte decorato) e che era di fatto stato il capo del gruppo e l’organizzatore del tentativo di fuga, tentò inutilmente di addossare a sé la “colpa”, chiedendo di essere fucilato lui e che gli altri venissero risparmiati; ma la sentenza, pronunciata il 15 luglio 1944, fu la condanna a morte per tutti. Alla fine dell’agosto 1944, dopo quasi un anno trascorso nella prigione di Monaco di Baviera, Candido Battaglini ed i sette compagni fennero trasferiti alla fortezza VIII di Manching, vicino ad Ingolstadt, per l’esecuzione dela condanna. Il mattino del 9 settembre 1944 sette degli otto marinai elbani vennero fucilati presso il poligono di tiro del lago Auwaldsee, nei pressi di Ingolstadt, insieme a 75 soldati tedeschi condannati anch’essi per di diserzione. Candido Battaglini, il capo del gruppo, venne fucilato per ultimo, a più di un mese di distanza, il 15 ottobre 1944. Rifiutò di lasciarsi bendare gli occhi, e prima di morire gridò “Viva l’Italia”.
I fucilati vennero tutti sepolti nei pressi del poligono di tiro, in una fossa scavata nella terra, senza neanche avere una bara. Alla fine della guerra i loro resti vennero riesumati e trasferiti nel locale cimitero ebraico, da dove vennero successivamente rimpatriati e riportati nell’Isola d’Elba. Nel 2005, a settantuno anni dalla loro morte, è stato inaugurato a Rio Marina un cippo in loro memoria.

Il comandante Gregorio, dopo aver liquidato ed assistito i suoi uomini per quanto possibile, riuscì a raggiungere la sua abitazione a Mondovì, in provincia di Cuneo. Nel cuneense si sviluppò fin da dopo l’armistizio un importante movimento partigiano, e Gregorio non tardò a mettersi in contatto con il locale Fronte di Resistenza clandestina e col Comitato di Liberazione Nazionale; a partire dal marzo 1944 si pose alle dipendenze del colonnello degli alpini Augusto Reteuna, comandante della "IV Zona Provinciale Militare" a Cuneo. Gregorio ebbe un ruolo di primo piano nell’organizzazione di gruppi armati di partigiani attivi a Mondovì, nonché nella raccolta di rifornimenti che venivano poi mandati ai partigiani che operavano sulle vicine montagne; cercò anche di inserire alcuni elementi della Resistenza in una guardia civica creata a Mondovì dalle autorità repubblichine, in modo da garantire un miglior controllo della situazione al momento dell’insurrezione finale e della liberazione. Queste attività erano molto pericolose, e nel dicembre 1944 Gregorio venne anche arrestato ed incarcerato per denuncia di un traditore, tornando però in libertà dopo qualche giorno.

Anche altri uomini del Corazziere aderirono alla Resistenza, ma non tutti videro la fine della guerra. Il sottocapo cannoniere Sebastiano Cappello, da Sortino (Siracusa) venne arrestato a Milano nel 1944, in quanto antifascista, ed inviato nel campo di transito di Bolzano-Gries, da dove il 5 ottobre di quell’anno fu deportato nel famigerato campo di concentramento nazista di Dachau. Qui morì nel 1945, in data imprecisata, all’età 23 anni (per la Marina risulta disperso in prigionia in Germania il 31 ottobre 1944).
Il marinaio fuochista Romeo Bernardi, da Milano, entrò a far parte della Brigata Garibaldi "Trieste", un reparto partigiano operante in Venezia Giulia, nelle zone del Carso e del Collio. Morì nella zona di Monfalcone il 18 ottobre 1944, all’età di 23 anni.
Altri ancora fecero invece una scelta di campo opposta: il sottocapo meccanico Domenico Fermi, da Piacenza, entrò nei ranghi della Marina Nazionale Repubblicana, la piccola Marina della Repubblica Sociale Italiana. Durante il servizio nella M.N.R., Fermi si ammalò e morì all’Ospedale San Martino di Genova il 7 aprile 1944. Aveva venti anni.

Dato che il Corazziere era affondato restando in assetto di navigazione, il suo recupero risultò piuttosto facile per gli occupanti tedeschi, che lo riportarono a galla nel gennaio 1944. Anziché ripararlo, tuttavia, questi decisero di spogliarlo di tutto ciò che poteva essere riutilizzato. (Per altra fonte vi era, da parte tedesca, l’intenzione di riparare il Corazziere, ma ciò fu reso impossibile dallo stato della cantieristica italiana, a corto di materie prime e gravemente colpita dai bombardamenti).
Il 4 settembre 1944 il relitto del Corazziere venne colpito da bombe durante un’incursione aerea Alleata su Genova, ed affondò nuovamente nel porto del capoluogo ligure. Il bombardamento di Genova del 4 settembre 1944, effettuato tra le 12.50 e le 14.10 da ben 144 bombardieri B-24 del 449th e 550th Group dell’USAAF, ebbe effetti particolarmente devastanti sul naviglio in porto: furono affondati, insieme a varie navi mercantili ed al Corazziere, il cacciatorpediniere tedesco TA 33 (ex italiano Corsaro II, ex Squadrista, al termine dell’allestimento), la torpediniera TA 28 (ex italiana Rigel), la corvetta UJ 6085 (ex italiana Renna), i sommergibili UIT 5 (ex italiano Sparide), UIT 6 (ex italiano Murena), UIT 20 (ex italiano Grongo) ed Aradam (armato dalla X Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana), il cacciasommergibili Antonio Landi della Marina Nazionale Repubblicana, i rimorchiatori Capodistria, Senigallia e Taormina, e la motovedetta M.B. 43 della Guardia di Finanza. Andarono distrutte anche le officine riparazione navi e molte bombe, come al solito (l’obiettivo era il porto con le sue navi, ma i bombardieri dell’epoca erano caratterizzati da cronica imprecisione), caddero anche sul centro cittadino, provocando distruzioni e vittime tra la popolazione civile. Si trattò forse del più pesante bombardamento aereo mai subito da Genova e certamente del più sanguinoso, con centinaia di morti (320, secondo una fonte) e di feriti.
La versione secondo cui il Corazziere venne affondato dal bombardamento del 4 settembre 1944 è accreditata dalla maggior parte delle fonti, compreso il libro "Navi militari perdute" dell’U.S.M.M.; per altra fonte ("Navi e marina italiani nel secondo conflitto mondiale" di Erminio Bagnasco), invece, furono gli stessi tedeschi ad autoaffondare di nuovo il relitto del Corazziere, da essi parzialmente smantellato, a Genova subito prima della loro resa, nell’aprile 1945.
Comunque andarono le cose, il relitto del cacciatorpediniere rimase sui fondali del porto di Genova per ben otto anni dopo la fine della guerra: solo nel giugno 1953 iniziarono i lavori per il suo recupero (diretti dall’ingegner Armando Andri, già colonnello del Genio Navale), che si rivelò particolarmente difficile, giungendo a compimento solo nel dicembre di quell’anno. Quel che restava del Corazziere venne poi demolito in circa sei mesi.


Ricordi di guerra di Antonio Angelo Caria, imbarcato sul Corazziere come secondo capo stereotelemetrista dal 24 aprile 1942 al 4 giugno 1943 (da lui caricati, all’età di oltre novant’anni, su un’apposita pagina della Wikipedia italiana, dalla quale sono tratti):

Battaglia di mezzo giugno
Stereotelemetrista di turno (04-08), all'alba del 15 giugno 1942 siamo stati sorvolati da una squadriglia di aerosiluranti inglesi. Io che avevo frequentato diversi tirocinii per il riconoscimento degli aerei e navi nostri, tedeschi, inglesi, americani e giapponesi, vedendo il contrassegno inglese di tali aerei (il mio posto di turno era la plancia e l'ala di plancia) ho urlato: "AEREI INGLESI..." Non mi sono spiegato perchè il Comandante ed il Direttore di Tiro, presenti in plancia, non abbiano dato l'ordine di aprire subito il fuoco. Il fuoco rabbioso lo ha aperto il Garibaldi dopo aver avuto la visuale di tiro libera dal nostro ingombro sulla sua sinistra. Gli aerei inglesi hanno fatto un giro largo per presentarsi dopo sul lato destro della nostra formazione Garibaldi - Duca d’Aosta - Gorizia e Trento con a lato la squadriglia di Cacciatorpediniere.
Io, istintivamente, col telemetro portatile, mi sono portato sull'ala di plancia destra per vedere cosa sarebbe successo. Ho ancora impresso nella mente il planare dell'aerosiliurante inglese e lo sgancio del siluro diretto al Trento, rimanendo col fiato sospeso aspettando la virata estrema per evitarlo, virata che non c'é stata, cosi ho visto lo scoppio sulla fiancata destra del Trento, all'altezza dell'albero poppiero-torre 3, il fumo ed il vapore che ne è seguito. Ho urlato: "E' stato silurato il Gorizia" per cui il Comandante mi raggiunse e, dopo aver osservato col binocolo la scena, mi dette da tergo uno scappellotto cordiale dicendomi: "Caria, lo vedete il Gorizia che è a poppavia del Duca d’Aosta?" Io, smarrito, mi son corretto dicendo al Comandante: "Allora è il Trento, é laggiù, fermo, che fuma", indicandoglielo col dito. Persuaso, ha esclamato: "Quel testa di cavolo, alla prima missione col Trento si é fatto fregare..."
Abbiamo proseguito verso est inseguendo gli inglesi. Verso le 11, il Garibaldi ha alzato bandiera di combattimento seguito da tutta la formazione di avanscoperta. Si sono fatte avanti Littorio e Vittorio Veneto (si vedeva il fumo all'orizzonte), ma gli inglesi, durante la notte, avevano invertito la rotta verso Alessandria d'Egitto, perciò non è stato possibile agguantarli ed ingaggiare il tanto atteso e sospirato combattimento da parte di tutti i marinai della Squadra Navale.
Apro una parentesi riguardo al lancio del siluro. Dopo aver urlato "AEREI INGLESI" (rimanendo stupito perchè il Comandante e il Direttore di Tiro prsesenti in plancia non hanno dato l'ordine di aprire il fuoco contro tali aerei), dissi che sono passato nell'ala di plancia destra. Lì ho trovato l'Ufficiale di rotta appoggiato alla paratìa tra la colonnina del tiro notturno e il Panerai. Quando le vedette hanno dato l'allarme di aereo diretto verso il Trento, ho sollevato lo stereotelemetro portattile per vedere l'avvicinamento di tale aereo. L'Ufficiale di rotta, vedendomi in osservazione, mi chiese di misurare la distanza nel preciso istante del lancio del siluro contro il Trento,dicendogli ALT (la parola STOP, allora, era vietata) e subito dopo la distanza del Trento col solito ALT. In quei due precisi istanti, lui ha preso i due rilevamenti col Panerai. Ha assistito a tutta la scena, compreso al cordiale scappellotto datomi da tergo dal Comandante (abbozzando un sorriso), e poi si è ritirato in Sala Nautica, ove con riga parallela, matita e compasso sul goniometro della carta nautica, ha stabilito la distanza di lancio del siluro. Subito dopo è venuto nuovamente nell'ala di plancia per riferire al Comandante che la distanza di lancio era avvenuta sugli 800 metri circa. Il Comandante, allora, gli chiese il perchè di quel circa, e lui rispose perchè fra le due misurazioni, seppure avvenute a pochi secondi una dall'altra, il Trento si era mosso. Ho letto le diverse segnalazioni fatte all'Ufficio Storico della nostra Marina Militare, e cioè persone che avevano segnalato che il lancio del siluro contro il Trento era avvenuto dalla distanza di 200 metri, altre di aver visto che gli aerosiluranti inglesi avevano due siluri, ecc. Per me, le une e le altre avevano le traveggole.Aerosiluranti con due siluri non sono MAI esistiti! Se il lancio del siluro contro il Trento fosse avvenuto dalla distanza di 200 mt., con la velocità dell'aerosilurante sui 5-600 Km. orari,il siluro stesso, con la spinta di tale velocità, si sarebbe "inabissato" a meno 100 mt. dal bersaglio, formando una curva di immersione-emersione profonda non meno di 20 mt., cosi tale siluiro sarebbe passsato sotto la chiglia del Trento senza colpirlo. L'Ufficio Storico della nostra Marina Militare ha raccolto TUTTE le informazioni col beneficio d'inventario.
DIVAGAZIONE A MARGINE. La sera del 14 giugno ero di turno, ore 20-24. Verso le 22-23 é venuto in plancia un radiotelegrafista con una busta in mano che l'ha consegnata all'Ufficiale di rotta-responsabile delle telecomunicazioni. Era un cifrato proveniente dal Comando Squadra. Dopo averlo decifrato,l'ha consegnato al Comandante che lo ha letto a voce agli altri presenti in sala nautica: - domani alle 11, saremo a contatto col nemico. Casualmente, io ero appoggiato, nell'ala di plancia sinistra, vicino all'oblò della sala nautica e ho sentito tutto. Ho chiesto il permesso al mio Capo reparto che in quel momento comandava la nave (eravamo sempre insieme di turno) per andare in Centrale di tiro per prendere il caffè o il cognac. Di ritorno, salendo in plancia, un collega mitragliere mi ha chiesto cosa si diceva nelle alte sfere. Risposi: - non dirlo a nessuno, domani alle 11 saremo a contatto col nemico. Segreto di Pulcinella. Lo ha detto a tutti, perciò si sono "assemblati" nel cannone di centro tutti gli addetti del complesso di prora, di poppa, tutti i mitraglieri e siluristi per cantare a squarciagola la canzone fascista VINCERE, VINCERE E VINCEREMO IN CIELO, IN TERRA E MAR... Il Comandandante deve aver sentito il clamore perciò ha chiesto cosa stava succedendo. Gli ha risposto l'Ufficiale di rotta che i cannonieri, mitraglieri, siluristi e altri dell'equipaggio stavano cantando la canzone fascista accennata. Non c'é stato molto per individuare chi aveva dato loro quella notizia, il sottoscritto. Doveva essere punito per quella "spiata", mentre glie n'é venuta una gratificazione perchè ha dato modo al Comandante di "tastare" il polso dei suoi uomini circa il loro spirito combattivo, traendone compiacimento. Lo stesso clamore é stato percepito dal Garibaldi, sulla nostra destra e sottovento rispetto a noi, per cui ci ha chiesto cosa stesse succedendo attraverso la radio a onde-ultra corte, in fonia e quindi in chiaro. Con lo stesso mezzo é stata data una risposta che non ho afferrato, ma senz'altro sarà stata ovvia e pertinente.
Continua DIVAGAZIONE A MARGINE. Era di vedetta nella coffa il Cannoniere Puntatore Scelto Giannocaro, mio collega di corso. Aveva dato l'allarme di aerei che bombardavano le Corazzate Littorio e Vittorio Veneto. Ha cominciato ad enumerare tali aerei: 1,2,3....20,21,22....40.41.42..... 80.81.82..... 120.121.122..... 180.181.182....,ecc. Quando aveva raggiunto tali cifre, io stavo scendendo dalla controplancia, passando dall'ala di plancia destra (il mio collega di turno era dalla parte opposta). In quel mentre, ho sentito dire al Comandante:- OGGI CI AFFONDANO TUTTI..... Vedendomi, mi ha chiamato per dirmi: - Caria, vi prego, date voi uno sguardo! Mi sono portato sull'Astramar (un grosso binocolo a tre ingrandimenti intercambiabili - posizionati fissi in entrambe le ali di plancia), scelgo il massimo ingrandimento, guardo e vedo che di aerei che bombardavano le Corazzate erano, si e no, una decina-non di più. Gli aerei in sovrappiù che contava Giannocaro altri non erano che i coppiòli dei proiettili sparati dalla contraerea delle Corazzate. I coppiòli (forse da coppiòla-detti cosi in Marina nell'artiglieria navale) erano i proiettili che appena scoppiavano determinavano una nuvoletta densa nera che poi piano-piano si dissolveva. Infatti, sopra le Corazzate c'era una nuvola nera derivata, appunto, dallo scoppio dei coppiòli. Ho riferito tutto al Comandante che ha attivato l'Ufficiale medico. Costui ha fatto scendere Giannocaro dalla coffa, lo ha fatto sdraiare in controplancia e lo ha visitato, constatando che lo stesso si trovava in uno stato di paura estrema, perciò lo ha curato.
Ammutinamento
Dopo che i nostri incursori della X^ MAS hanno messo KO il grosso della flotta inglese del Mediterraneo, violando le munitissime basi di Malta, Gibilterra, Suda e Alessandria d'Egitto e dopo la decisiva battaglia navale di Pantelleria ad opera della VII^ Divisione Navale e della contemporanea azione del Mediterraneo orientale del 13-14-15 giugno '42 ad opera della nostra Squadra Navale, alla Regia Marina si é aperta una certa facilità nelle operazioni navali nel Mediterraneo per rifornire le truppe italo-tedesche impegnate nell' offensiva in Africa settentrionale al comando del Generale Rommel. Travolti Tobruk, Sidi el Barrani e Marsa Matruk le stesse truppe sono arrivate fin ad El Alamein. Tale avanzata ha comportato l'allungamento delle vie di rifornimento per quelle truppe, per cui Supermarina ha dovuto dislocare l' VIII^ Divisione Navale (gli Incrociatori Garibaldi e Duca d’Aosta con i Cacciatorpediniere Corazziere, Bersagliere, Alpino e Mitragliere) nella baia di Navarino (Grecia), ben a ridosso dell'isola Sfacteria. Più tardi é stato aggiunto l'incrociatiore Duca degli Abruzzi Quando passavano i convogli diretti a Bengasi o Tobruk, da Navarino uscivano sempre il Bersagliere, l' Alpino e il Mitragliere per rinforzare la scorta. Noi Corazziere siamo usciti una sola volta, con l'Alpino, per scortare la motonave Monviso per Bengasi. E proprio di fronte a Bengasi il Monviso ci é stato silurato. Noi, con l'ecogoniometro (sonar) installato da poco, abbiamo incocciato quasi subito il sommergibile lanciandogli parecchie bombe di profondità. La caccia poteva essere continuata, ma Supermarina ci ha ordinato di rientrare subito a Navarino, lasciando l'incombenza della caccia al sommergibile alla Torpediniera Pegaso, uscita da Bengasi, che lo ha affondato Non vi è stato mai il bisogno dell'intervento degli incrociatori, dal momento che si navigava "nuovamente" nel mare nostrum. Dopo tanto siamo stati scoperti dalla ricognizione nemica, perciò sono cominciati i bombardamenti dei B24 Liberator americani. Venivamo investiti di traverso rispetto all'isola Sfacteria, sicchè le bombe cadevano sull'ìsola o a mare- procurandoci notevoli quantità di pesce. Dall'Italia, quindicinalmente, venivano le navi della Genepesca cariche di viveri per tutta la Divisione Navale, e ci portavano anche la posta. Si affiancavano prima al Garibaldi, per scaricarvi la sua quota di viveri, indi al Duca d’Aosta e, infine, al Duca degli Abruzzi; per questa operazione noi Corazziere dovevamo lasciare libero il suo fianco sinistro, con posto di manovra, per portarci sul fianco sinistro del Duca d’Aosta. In una di queste operazioni, tutto l'equipaggio era a posto di manovra, sono arrivati i B24 Liberator americani per bombardarci. Al Comandante in 2^ é venuta la sciagurata idea di battere posto di combattimento (del tutto inutile perchè non avevamo cannoni antiaerei e le nostre mitragliere arrivavano a sparare a circa 4.000 mt.- mentre tali aerei volavano sui 6-7.000 mt. di quota. Non sparavano nemmeno i cannoni antiaerei da 100/47 degli Incrociatori perchè la loro elevazione massima era di 60-70° ), perciò la nostra nave, abbandonato il posto di manovra per il posto di combattimento, é rimasta in balìa della corrente che l'ha sbattuta contro gli sbarramenti. Ci siamo presi una gragnola di bombe tanto vicine le cui colonne d'acqua, alte 20-30 mt., ci hanno lavato da capo a piedi e ci hanno fatto anche il lavaggio della tolda. Per fortuna non siamo stati colpiti. Cessato l'allarme, altro posto di manovra per portarci sul fianco sinistro del Duca d’Aosta. Dopo cena, ordine di indossare tutti la divisa ordinaria e assemblea generale sopra castello (prora). Il Comandante ha chiesto all'Ufficiale d'Ispezione-capo del Duca d’Aosta di chiudere tutti gli oblò del loro lato sinistro, chiudere tutti i boccaporti che portavano sopra il loro castello e lo sgombero generale del castello stesso. Questo perchè i marinai del Duca d’Aosta non dovevano sentire nè vedere i panni sporchi che di lì a poco sarebbero stati lavati in famiglia da noi. Ottenuto ciò, il Comandante ha cominciato la sua filippica con le seguenti, testuali parole: - oggi, ho assistito ad una cosa ignominiosa, il mio equipaggio che si é ammutinato di fronte al nemico-passibile della decimazione generale. Il Comandante in 2^, sentendosi in colpa, gli si é inginocchiato davanti, piangente, dichiarandosi il solo colpevole dell'accaduto, l'equipaggio, secondo lui, non c'entrava. Tuttavia, il Comandante non la pensava cosi, dal momento che il Regolamento di Disciplina recitava che GLI ORDINI SBAGLIATI NON DOVEVANO ESSERE ESEGUITI, perciò, furente, é partito col motoscafo diretto sul Garibaldi dal Comandante della Divisione Navale, Ammiraglio De Courten, per chiedere la decimazione generale del suo equipaggio. L'Ammiraglio ha mandato il suo motoscafo per chiamare a rapporto il nostro Comandante in 2^, il Direttore di tiro e l'Ufficiale di rotta. Noi, intanto, siamo rimasti impalati in fila fin oltre la mezzanotte, paventando la conta: ogni dieci persone, l'undicesima doveva essere fucilata - questa era la decimazione generale. Sul Garibaldi c'é stata una riunione burrascosa di fronte alla richiesta del nostro Comandante, richiesta smorzata dall'Ammiraglio con la decisiva osservazione che l'equipaggio ha risposto, si, a un ordine sbagliato senza sapere chi aveva dato quell'ordine, ordine che poteva essere stato dato anche dal Comandante stesso, perciò non passibile di alcun provvedimento disciplinare e tanto meno della decimazione generale. Quando i nostri Ufficiali sono rientrati a bordo, é stato dato l'ordine di rompere le righe e di andare tutti a dormire. La grande paura, l'angoscia e il terrore accumulati in quelle ore si sono dissolti d'incanto.... Dopo quel fattaccio, il Comandante si é chiuso in se stesso, non é venuto più fra noi come prima, in navigazione ci parlava a monosillabi, sembrava una belva ferita. Oggi, debbo rendere omaggio a quel nostro Comandante, l'allora Capitano di Fregata Antonio Monaco duca di Longano, ravvedutosi, per le nobili parole che ci ha rivolto prendendo commiato da noi quando é sbarcato, a Genova-aprile 1943 - parole che riferirò in un'altra pagina.
DIVAGAZIONE A MARGINE - A Navarino, tutta l'estate del '42, per noi é stata una pacchia (al pari dei marinai degli Incrociatori): normali posto di lavaggio, normali esercitazioni e bagni di mare, con tuffi a non finire, da bordo stesso. Noi Corazziere andavamo spesso alla spiaggia (deserta-in quei tempi) a poppavia da noi-trasportativi dalla nostra motolancia. Sono state fatte 4-5 prove di sbarco da parte di due battaglioni costituiti dai marinai della Divisione (io ero in uno di questi), in previsione dell'invasione di Malta che poi non c'é stata per motivi strategici e militari. Le nostre franchigie le facevamo nell'unico centro abitato della baia, il grazioso paese di Pilos, ove era dislocato un Reggimento di Fanteria. Lì c'era l'unico bar ove si gustava il caffè alla turca e si beveva il vino resinato che ci procurava solenni sbornie. Ho visto anche la chiesa ortodossa con le icone, e anche il pope. Da buoni italiani, vendevamo ai greci il chinino che ci veniva distribuito perchè in zona malarica. Nello spaccio dell'Esercito, invece, si trovava quasi di tutto. La Regia Marina, poi, si é fatta parte diligente nel procurarci una casa chiusa ove potevano inzupparvi il "biscotto" anche i soldati, di mattina; il pomeriggio, invece, era tutta per noi marinai. Noi Corazziere siamo stati i primi a rimpatriare, chissà perchè, il 30 ottobre 1942.- Il perchè lo abbiamo saputo appena arrivati a Taranto: caricare munizioni anticarro da portare urgentemente a Tobruk che stava per cadere in mano nemica, come dirò nella pagina seguente.
Missione di guerra sul Corazziere (1-2 novembre 1942)
OMAGGIO alla memoria di Delio INDEO di SAN GAVINO MONREALE
Nella missione del 1-2 novembre 1942, c'era anche il Da Recco e Bersagliere, per il trasporto veloce di munizioni anti-carro per Tobruk, che stava per essere investita dall'avanzata dell'8^ Armata del Generale Montgomery. In linea di fila abbiamo attraversato il Canale di Corinto. Siamo passati davanti ad Atene, scivolando in giù davanti alle isole di Poros, Ydra e più giù ancora tra quelle di Cerigo e Cerigotto. Doppiata Creta, si é scatenato l'inferno. E dire che Supermarina, per farcela fare franca, aveva escogitato il percorso interno della Grecia.... E' stato un segreto di Pulcinella, poichè, doppiata Creta (come già detto) si sono accesi su di noi una quarantina di bengala, se non di più, sicuramente lanciati da ricognitore nemico. Il mare era calmo come l’olio e c’era il plenilunio. Dopo circa un’ora dal lancio dei bengala, siamo stati attaccati da bombardieri nemici che hanno sfruttato, per individuarci, le nostre scie fosforescenti e, nell’osservazione contro-luna, hanno potuto vedere le nostre sagome stagliate nel mare d’argento. Premetto che io, dopo cena, sono stato colto da terribili dolori addominali che, contorcendomi, per trovare sollievo (col salvagente addosso) mi distendevo prono sui sacchetti di sabbia collocati in controplancia. Nell’attacco aereo accennato, il Cannoniere Ordinario – trattenuto di leva – Delio INDEO di San Gavino Monreale, che era di vedetta, ha urlato “rumore di aerei sulla destra”. Io, seppure dolorante, sono scattato in piedi come una molla, guardo a destra e vedo l’aereo. Corro alla mitragliera alta singola, da 20/65 - snodata in brandeggio ed elevazione - afferro da tergo il mitragliere dicendogli “lascia fare a me” e, impugnando le mezze lune con i grilletti multipli sincronizzati, sparo in direzione dell’aereo i cui proiettili traccianti rossastri, verdastri, biancastri, ecc, sono serviti a indicare alle mitragliere binate del lato destro di sparare pure loro. Fortunatamente, in quell’attacco aereo nessuno di noi è stato colpito. L’handicap delle scie fosforescenti e del mare d’argento è stato eliminato con i fumogeni, con rotte intersecanti e a rientrare cosi da oscurarci vicendevolmente. Sono seguiti numerosi attacchi per i quali c’è stato sempre il solito urlo di INDEO “rumore di aerei a destra o sinistra” e il mio correre alle mitragliere del lato indicato per sparare, dando indicazione alle altre mitragliere di sparare anche loro. In uno di questi attacchi, il mio tiro e soprattutto per il fuoco corale di tutte le mitragliere, ho visto la gragnola di proiettili traccianti scoppiare nella carlinga dell’aereo attaccante che ha cominciato a fiammeggiare allontanandosi; oltre l’orizzonte si è vista una vampata il che ci ha fatto pensare che sia esploso.
Noi, colpiti da una bomba a frammentazione laterale e obliqua all'ingiù, scoppiata a circa un metro di altezza nel plateau del complesso di poppa, abbiamo avuto 6 feriti tra gli addetti uno dei quali ha avuto tranciate le cosce. Più tardi, un idrovolante Cant Zeta 506 della Croce Rossa, ammarando nella rada di Tobruk, lo ha preso a bordo e trasportato nell'Ospedale di Chirurgia di Guerra di Massa Carrara.
Quando c’è stato lo schianto della bomba scoppiata nel plateau del complesso di poppa, l’Ufficiale alle vedette in controplancia mi sollecitava ad alzarmi, toccando delicatamente col piede il mio salvagente dicendomi che la situazione stava precipitando. Il Comandante ha sentito senz’altro che in controplancia c’erano problemi, per cui, attraverso il portavoce, lo ha chiesto all’Ufficiale, che gli ha risposto che c’ero io con intensi dolori addominali e che facevo fatica ad intervenire durante gli attacchi aerei. Il Comandante (tutto l'equipaggio era al posto di combattimento) lo ha pregato di andare subito dal Tenente Medico, che accudiva i feriti, per dirgli di venire subito da lui in plancia, ma quello non è venuto. Allora, il Comandante ha pregato il Comandante in 2^ di andarci lui, per ordinare al medico di venire subito in plancia. Quando è arrivato, il Comandante lo ha apostrofato dicendogli: "Non vi ho chiamato per capriccio, ma per il bene e l‘interesse supremo di TUTTI!" Quello ha risposto che lui stava facendo il suo dovere di medico, curando e assistendo sei feriti, uno grave e uno gravissimo. A quel punto, il Comandante è “esploso”: "Mi dispiace per i miei sei uomini feriti, ma io ho altri 254 uomini che mi sono stati affidati con un mezzo bellico da portare all’offesa e alla difesa." Il medico ha detto: "Sono ai vostri ordini." Il Comandante gli dice: "Andate su in controplancia e vedete cosa ha Caria, quel ragazzo sardo che insieme a quell’altro ragazzo sardo, stanotte ci stanno tenendo a galla, mentre voi, sardo, vi siete macchiato del reato di diserzione e insubordinazione di fronte al nemico-se non di ammutinamento…". Il medico ha ordinato al Sergente Infermiere di darmi alcune pastiglie, due da prendere subito e altre, una ogni quarto d’ora. Tali pastiglie hanno sortito l’effetto sperato, per cui, di nuovo pimpante, ero sempre vicino a INDEO. Il suo ultimo urlo di rumore di aerei sulla destra, mi ha fatto intravedere l’aereo che ci lanciava il siluro. Ho ritenuto più opportuno attaccarmi al portavoce per dire al Comandante che ci era stato lanciato un siluro…., dalla distanza di 50-60 metri. L’ho sentito dire, in modo calmo, "VIA COSI" (al timoniere), sicuro che il siluro ci sarebbe passato sotto la chiglia. In quell’attacco di aerosiluranti, al Da Recco il siluro è caduto in coperta scivolando poi in mare, lasciando la sua coda impigliata in una bitta doppia-passacavo del trincarino di sinistra vicino all'occhio di cubìa (particolare raccontatomi dal collega stereotelemetrista, sardo pure lui, che vi era imbarcato). Le bombe e i siluri il nemico era costretto a lanciarli a casaccio dal momento che eravamo ben occultati dalle cortine fumogene. Cessati gli attacchi, verso le 4,30, il Comandante ha voluto avere al suo cospetto, nell’ala di plancia sinistra, INDEO e me per farci i complimenti. A INDEO ha chiesto: "Come mai sentivate il rumore degli aerei nonostante la turbolenza della nostra velocità?" E lui, modestamente rispose: "Signor Comandante, li sentivo…". A me ha chiesto come mai vedevo gli aerei, ed io, modestamente, risposi: "Signor Comandante, li vedevo…". Tutti e tre CC.TT. abbiamo aumentato al massimo la velocità, 35-38 miglia all’ora, per battere sul tempo gli inglesi.
Frattanto, siamo arrivati in Africa. Randeggiando la Marmarica, ho ancora impresso nel cervello la visione di un piccolo dromedario, immobile, in quella landa strabombardata dagli eserciti contrapposti. Un nostro aereo da caccia é stato abbattuto dal Da Recco- perchè non preavvisati... Il Bersagliere ha tratto in salvo il pilota. Siamo giunti a Tobruk, ove ho visto la gloriosa San Giorgio, semiaffondata e bruciacchiata, e la motonave Liguria scaraventata con la prora su un molo diroccato. Marina Tobruk aveva preparato molte bettoline e anche il Genio aveva preparato delle chiatte per adagiarvi le casse delle armi anti-carro trasportate da noi. Tutti, a cominciare dal Comandante in 2^ fino all'ultimo marò, abbiamo fatto il passamano delle casse di munizioni ai marinai di Marina Tobruk, e ai soldati. In un battibaleno, abbiamo scaricato tutto e subito dopo si é usciti in mare aperto. Anche noi, dopo aver sbarcato i due feriti gravi, sull’idrovolante, come già detto. Eravamo lontani da Tobruk, 4-5 miglia, quando sono apparse una squadriglia di bombardieri Avro Lancaster e una di Mosquito. Sono passati su di noi, ma di bombe non ne hanno sganciato. Le hanno sganciate sulle munizioni delle bettoline e delle chiatte, per cui abbiamo visto, da lontano, i “fuochi artificiali” che ne sono derivati. Se ci avessero sorpresi nel porto di Tobruk, gli inglesi avrebbero fatto una bella “mattanza”.
Arrivati a Messina, abbiamo trovato ad attenderci due ambulanze per portar via i quattro feriti, che sono voluti rimanere a bordo, e un camioncino per prendere le cose del Tenente Medico, sbarcato e cacciato come un cane rognoso, e chissà con quali capi d'imputazione... Non ne abbiamo saputo più niente!
Ricordo questa missione nei minimi particolari, essendo stata la più cruenta, la più combattuta e la più difficile che ho fatto stando imbarcato sul Corazziere.
Il principio della fine
5 FEBBRAIO 1943. Ennesima missione di trasporto veloce di truppe a Tunisi, assieme al Malocello, Da Noli e Zeno. Al ritorno, assumiamo la testa della formazione poichè alzavamo le insegne dell'Ammiraglio Gaspari, Comandante del Gruppo Cacciatorpediniere, che avevamo a bordo. Navigazione tranquilla, a 30 miglia all'ora. Arrivati in vista di Trapani, verso le 22, abbiamo visto che vi era un bombardamento aereo in corso e la contraerea che sparava rabbiosamente. Eravamo entrati appena nella rotta di sicurezza, con le nostre mine a desta e sinistra, cosicchè avevamo poco spazio a disposizione. In quel frangente c'é stata una collisione tra noi e una motozattera tedesca che ci ha aperto una falla a prora, sulla dritta, di 10-12 mt., allagandoci tutti i locali al di sotto della linea di galleggiamento. L'Ammiraglio ha fatto dare ordine di libertà di manovra al Malocello, Da Noli e Zeno, il che voleva dire di non entrare nella rotta di sicurezza perchè intasata da noi e dalla motozattera tedesca. Io avevo chiesto il permesso di allontanarmi per prendere il caffè o il cognac in Centrale di tiro, posto di riferimento del mio rancio durante le navigazioni, ove mi son trattenuto con gli SDT (Specialisti Direzione del Tiro). Allo schianto, siamo balzati disperatamente, scavalcandoci reciprocamente e le apparecchiature (Indicatore Centrale, Gimetro e Tavolo previsore) per raggiungere lo scoperto. Uscito dalla tuga centrale, allo scoperto, stavo meditando di buttarmi a mare ma tergiversavo giacchè la nave non era sbandata. Gli addetti del complesso di poppa hanno calato a mare una zattera di salvatagio. I responsabili di quel gesto sono stati puniti con un massimo di rigore. Sono rientrato nella realtà dalle chiamate Caria..., Caria... del mio Capo Reparto che in quel momento comndava la nave e che mi aveva dato il permesso di allontanarmi. Salto di cOrsa in plancia. Le macchine erano state fermate subito per dar modo di verificare il danno subìto, chiudere le porte stagne e per fare il punto nave - dal momento che la corrente ci stava scarrocciando a destra o sinistra verso le mine. Per il punto nave (il cielo era coperto), il radiogoniometro ci dava all'altezza di Marettimo, ma evidentemente era sfasato. Allora, é stato chiesto a Marina Trapani di accenderci un fanalicchio di Levanzo o Favignana (non ricordo quale). Marina Trapani ci ha comunicato che il fanalicchio sarebbe rimasto acceso per tre secondi per darci la direzione, e dopo cinque minuti altra accensione di cinque secondi per poter fare il rilevamento e misurare la distanza. L'Ufficiale di rotta, alla seconda accensione, ha fatto il rilevamento ed io con lo stereotelemetro, con la scala telemetrica illuminata, ho misurato la distanza. L'Ufficiale di rotta, fatto il punto nave, ha detto al Comandante che eravamo con la poppa molto vicini alle mine del lato destro. Il Comandante ha dato l'ordine macchine di sinistra avanti mezza e macchine di destra avanti adagio, cosi abbiamo riguadagnato la linea mediana dello sbarramento. Piano-piano, siamo andati avanti finchè siamo arrivati a Trapani (il bombardamento era cessato), dando fondo in rada. Quella notte, finalmente, siamo potuti dormire in branda- dopo tre mesi di dormire a terra tra cielo e mare, con le inevitabili intemperie, nelle diuturne missioni di trasporto veloce di truppe per la Tunisia, alternate subito dopo dalla posa delle mine. Noi stereotelemetristi (fortunati....) dormivamo dentro la torretta telemetrica, insieme al sott'ordine del Direttore di tiro col quale era nato un affetto fraterno. Non parlo degli addetti al complesso di prora, poveracci, perchè dovrei fare un lungo discorso. Parte del personale di macchina, però, si é dovuto arrangiare, poichè il loro locale era allagato. Ha dormito come é capitato. Molto più tardi, sono arrivati il Malocello. Da Noli e Zeno, dando fondo in rada anche loro.
6-7 FEBBRAIO 1943. Sbarchiamo TUTTE le munizioni, siluri e bombe di profondità compresi.
8 FEBBRAIO 1943. Presto accendiamo e posto di manovra alle 7. Salpiamo subito per Palermo, scortati da due motovedette, navigando lentamente. Vi arriviamo verso le 11.
9-10-11-12-13-14 FEBBRAIO 1943. Gli operai del Cantiere Navale ci hanno riparato la falla con un fasciame provvisorio. Il lavoro definitivo lo si doveva fare a Napoli.
15 FEBBRAIO 1943. Sveglia al mattino presto. Ci accorgiamo di essere accesi e pronti a muovere. Posto di manovra, e si salpa per Napoli, alle 6,40, scortati dalla Torpediniera Premuda. Arriviamo a Napoli alle 15,20, ormeggiandoci alla calata Villa del Popolo. Dopo mezz'ora, pesante bombardamento su Napoli da parte di numerosi aerei B17 americani. E' stato un bombardamento a tappeto. Ho visto crollare gli edifici di S.Giovanni a Teduccio, e le bombe che cadevano avvicinandosi sempre più a noi per cui ho detto a me stesso: - OGGI SI MUORE! Un po distante da noi c'era ormeggiato un incrociatore ausiliario tedesco che sparava all'impazzata, ma si é preso una gragnola di bombe che lo hanno fatto letteralmente "sedere" con la tolda al livello del mare. E' caduta una scarica di bombe fra noi e quell'incrociatore, e, infine, anche noi abbiamo avuto la nostra razione. Due bombe sono cadute a prora, "perforando" tutti i ponti e scoppiando in acqua, tagliandoci un bel pezzo di chiglia. 22 metri della nostra prora si é inclinata in avanti, spezzandosi e affondando. Anche il resto della nave ha cominciato ad affondare. Le nostre pompe di esaurimento non bastavano perciò Marina Napoli ne ha mandato alcune per rimediare. Metà equipaggio era in franchigia, molti marinai stavano facendo la doccia, ma sono scappati tuffandosi in mare, sporco di nafta, vagando (nudi) come invasati in cerca di un rifugio antiaereo. Io, pur essendo franco, non sono uscito per rispondere alle lettere di mia madre. Me la sono cavata bene riparandomi all'interno della torretta telemetrica per ovviare eventuali schegge. Comunque, la bomba "intelligente" tanto agognata, finalmente, era arrivata: nessun morto e nessun ferito. La notte abbiamo cenato e dormito a bordo della nave-caserma Lombardia, e l'indomani tutti in licenza per lavori: per noi sardi gg. 30+4, per gli altri gg. 30+2
26 MARZO 1943. Sono rientrato in ritardo dalla licenza a causa delle discontinue comunicazioni da e per la Sardegna (motivi di sicurezza). Arrivato a bordo, vengo a sapere che 150 persone, rientrate dalla loro licenza, sono state sbarcate e avviate a Maridepo Taranto (Deposito della Regia Marina). Tutto il personale di macchina sbarcato; quasi tutto il reparto Cannonieri idem; idem per gli SDT, per i Radiotelegrafisti, Siluristi e Nocchieri. Tutti gli Ufficiali sbarcati meno il Comandante e il mio Caporeparto-Direttore di tiro. Tutti i Sottufficiali sbarcati meno uno. 1° aprile 1943 - Partiamo per Genova trainati da rimorchiatori a poppa e prora; assieme a noi c'é anche il Maestrale, senza poppa (finito sulle mine), rimorchiato anche lui. Arriviamo a Genova il pomeriggio di sabato 3 aprile. Ad attenderci, mezza Genova assiepata nella parte alta di Corso Italia (credevano che provenissimo da una battaglia navale). Noi Corazziere siamo stati alloggiati nella caserma della GIL-Mare.G.I.L.= Gioventù Italiana del Littorio, quei giovani destinati alla Leva di Mare. Quelli del Maestrale non so dove siano stati alloggiati. Il lunedì successivo, altre 70 persone sbarcate da noi e avviate a Maridepo La Spezia. A bordo era rimasta la "crema", e fra quella, modestamente, c'ero anch'io. Vita beata, a Genova: niente sveglia il mattino, ci si alzava alle 8, alle 9, alle 10 e oltre. Si andava in cucina e lì c'era caffelatte e pane pronto per la colazione. Di giorno si usciva a tutte le ore, svirgolando nella riviera di levante e ponente, la sera non c'era l'ora della ritirata. Una sola parola: PACCHIA! Tuttavia, ogni tanto, dal Ministero della Marina arrivavano dei dispacci di movimento nominativo per il Tizio, il Caio o il Sempronio per imbarco su altre navi che continuavano la guerra. Un bel giorno, é arrivato il movimento anche per me, a Marinalles Trieste per Corvetta Sibilla. Il mio Caporeparto, non volendo perdermi, ha fatto un dispaccio al Ministero comunicando che io ero in licenza di lavori di gg. 30+4 (e non era vero), sperando che il Ministero ripiegasse su un altro nominativo. Non é stato cosi. Dopo 40 giorni, il Ministero ha reiterato il dispaccio ed io ho dovuto fare le valigie per Trieste.

DIVAGAZIONE A MARGINE. 15 aprile 1943. Per tutto il "resto" dell'equipaggio, sveglia alle ore 8 e ordine di indossare la divisa ordinaria. Verso le ore 10 vuole salutarci il Comandante perchè sbarcava pure lui. E' venuto vestito col frac, con cappello a cilindro, guanti bianchi, uose grigie e scarpe lucide. Nel petto sinistro del frac spiccava lo stemma gentilizio della sua casata. Poche parole per dirci che per il "pomeriggio" di Navarino si era fatto un concetto errato del suo equipaggio. Aggiunse, però, che aveva seguito il suo spirito di sacrificio, il suo coraggio e ardimento nei tremendi mesi di diuturna fatica durante la battaglia della Tunisia, posa di mine, ecc, traendone la convinzione di aver avuto al suo comando un equipaggio formato da veri uomini. Ci ha passato in rassegna. A me, che ero il primo della fila, mi strinse la mano (nuda) con un Caria, continuate cosi... Ha stretto le mani a tutti e detto qualcosa anche a qualcun'altro. Uno di noi, ha gridato EVVIVA IL NOSTRO COMANDANTE, e lui si é allontanato, ringraziandoci, agitanto in alto il suo cappello a cilindro. Chiudo questa pagina dicendo che io sono sbarcato il 4 giugno '43. Arrivato a Trieste il giorno dopo, ho assistito alla cerimonia della consegna della Corvetta Sibilla alla Regia Marina. Pertanto, ho preso parte al pranzo speciale offerto dai Cantineri Navali S. Marco di Monfalcone, ove é stata costruita la Corvetta. Una ventina di giorni a Trieste, indi un mese a Pola per l'addestramento e, infine, trasferimento a Brindisi-zona di operazione.
(…)
DIVAGAZIONE A MARGINE. Quando sono sbarcato dal Corazziere, il 4 giugno '43, ho salutato gli amici e, per ultimo, il mio Capo Reparto-Direttore di tiro, Ufficiale Responsabile della nave durante i lavori a Genova. Quasi-quasi piangevo per il "dolore" di lasciare la MIA nave, gli amici e, soprattutto lui che mi aveva imparato tante-tante cose. Mi ha confortato dicendomi: - ma, dai...., andrai a Marinalles Trieste, la Corvetta Sibilla sarà appena impostata dai Cantieri Navali di Monfalcone, lì starai accasermato fino a quando sarà bene allestita e, forse, allora, la guerra sarà anche finita... Il resto lo conoscete già. Piuttosto quella quarantina di persone rimaste a bordo del Corazziere, l'8 settembre, alla notizia dell'armistizio, hanno avuto l'ordine di autoaffondare la nave, cosa che hanno fatto. Uscendo dal porto, scappando, sono stati falciati dalle mitragliere tedesche. I ritardatari, vedendo la fine di quelli che li avevano preceduti, si sono nascosti nel bunker antiaerei esistenti in porto. Vi sono rimasti dentro tutta la notte e il giorno successivo, e ne sono usciti mischiandosi alle maestranze a fine giornata lavorativa. SI SONO SALVATE SOLO 6 PERSONE, tra le quali il mio collega stereotelemetrista. Un proverbio recita "non tutti i mali vengono per nuocere". Il mio "male" é stato uno di quelli......che non mi ha procurato nocumento, anzi ho avuto salva La PELLE (non quella descritta da Malaparte)....

Il Corazziere in tempi più felici (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)