giovedì 24 dicembre 2020

Generale Antonino Cascino

La Generale Antonino Cascino (g.c. Giacomo Toccafondi)

Torpediniera, già cacciatorpediniere, della classe Generali (dislocamento standard 730 tonnellate, in carico normale 832, a pieno carico 870 o 890), appartenente alla numerosa serie delle "tre pipe".
Durante il periodo interbellico svolse intensa attività di squadra e partecipò a numerose crociere, mentre durante la seconda guerra mondiale fu la terza torpediniera per numero di missioni svolte, ben 228, principalmente di scorta convogli sia nei mari italiani che in Africa Settentrionale (158), ma anche di altro tipo (nove di caccia antisommergibili, una di posa di mine, 68 varie), percorrendo 69.000 miglia nautiche (più di qualsiasi unità similare).
 
Più precisamente, nel 1940 fu adibita a compiti di scorta al traffico di cabotaggio in Nordafrica, mentre nei primi mesi del 1941 operò nel Basso Tirreno per poi tornare fino a fine anno nelle acque della Libia. Nella primavera-estate del 1942 operò, sempre in compiti di scorta, nelle acque della Sicilia, del Mar Ionio e del Basso e Medio Adriatico, scortando convogli che trasportavano rifornimenti per le truppe italiane operanti nei Balcani. A fine 1942 fu di nuovo brevemente impiegata in Libia, mentre nel 1943 operò nel Basso Tirreno con alcune saltuarie missioni sulla “rotta della morte” verso la Tunisia.
Il suo motto era “Ovunque e sempre ardisci”.
 
Breve e parziale cronologia.
 
13 marzo 1920
Impostazione nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
18 marzo 1922
Varo nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
8 maggio 1922
Entrata in servizio. Svolge l’addestramento preliminare in seno al Dipartimento della Spezia.
Novembre 1922
Assegnato alla I Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della Forza Navale del Mediterraneo.

Il Cascino ormeggiato nel porto militare di Gaeta insieme ad altre unità della I Squadriglia Cacciatorpediniere, nel dicembre 1922 (g.c. Carlo Di Nitto, via La Voce del Marinaio)

30 gennaio 1923
Il Cascino, insieme al cacciatorpediniere Giovanni Acerbi ed alle corazzate Duilio e Conte di Cavour (facenti parte della I Divisione Navale dell’ammiraglio Emilio Solari, con bandiera sulla Cavour), visita Favignana, dove la formazione si reca per mandare un gruppo di uomini della Duilio a posare una corona d’alloro sulla tomba del sottocapo fuochista Bartolomeo Mineo, sacrificatosi il 17 febbraio 1921 per fermare un incendio che rischiava di causare l’esplosione dei depositi di nafta della Duilio e la perdita della nave (è stato decorato, alla memoria, con la Medaglia d’Argento al Valor Militare).
La sera dello stesso giorno la banda musicale della Cavour tiene un concerto in piazza municipio a Favignana, dopo di che le autorità del luogo offrono un vermouth d’onore.
La cerimonia di deposizione della corona si svolge il mattino del 31 gennaio, dopo di che i notabili del posto (il commissario, il comandante del presidio, il pretore ed il segretario del fascio) si recano in visita a bordo delle navi. In serata si tiene una nuova festa musicale, cui presenziano l’ammiraglio Solari ed altri ufficiali.
30-31 agosto 1923
Nella tarda serata del 30 agosto il Cascino lascia Taranto insieme ai similari Generale Carlo MontanariGiacinto CariniGiuseppe La Farina e Giacomo Medici, all’esploratore Premuda, agli incrociatori corazzati San Giorgio e San Marco, alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, alle torpediniere 50 OS e 53 AS, ai MAS 401404406 e 408 ed ai sommergibili Agostino Barbarigo ed Andrea Provana, per prendere parte all’occupazione di Corfù: è infatti in pieno svolgimento la crisi di Corfù, causata dall’assassinio – avvenuto ad opera di ignoti il 27 agosto, sulla strada tra Giannina e Santi Quaranta – del generale Enrico Tellini e di altri membri di una delegazione italiana (maggiore Luigi Corti, tenente Mario Bonacini, autista Remigio Farnetti, interprete albanese Thanas Gheziri) che avrebbe dovuto definire i confini tra Grecia ed Albania per conto della Società delle Nazioni, così risolvendo la disputa confinaria in atto tra i due Paesi balcanici. I giornali italiani ed il governo albanese hanno attribuito le responsabilità dell’eccidio alla Grecia, considerate le pessime relazioni esistenti tra la delegazione italiana e le autorità greche, che tramite un delegato avevano apertamente accusato il generale Tellini di parzialità in favore dell’Albania; il governo greco e l’ambasciatore romeno a Giannina hanno invece imputato la strage a banditi albanesi, ma nessun oggetto è stato rubato dalle vittime o dall’automobile su cui viaggiavano (secondo lo storico greco Aristotle Kallis, vi sarebbero indizi sufficienti da far ritenere che la strage sia stata compiuta da provocatori albanesi che avrebbero attraversato il confine allo scopo di far incolpare la Grecia). L’opinione pubblica italiana è schierata contro la Grecia, tanto che scoppiano manifestazioni antigreche; i giornali ellenici condannano l’eccidio di Giannina e si esprimono amichevolmente nei confronti dell’Italia, auspicando che il governo greco soddisfi quello italiano senza travalicare i confini dettati dall’orgoglio nazionale greco.
A capo del governo italiano è Benito Mussolini, in carica da pochi mesi e desideroso di “mostrare i muscoli” in campo internazionale: l’occasione è per lui perfetta sia per dare una dimostrazione di forza che aumenti il suo prestigio presso i nazionalisti italiani (presentandosi come il vendicatore della “vittoria mutilata”) e che rafforzi la posizione dell’Italia come potenza militare in campo internazionale, in grado di ottenere ciò che vuole con la forza, sia, se possibile, per impadronirsi stabilmente di Corfù, il cui possesso faciliterebbe il controllo da parte italiana del Basso Adriatico e del Mar Ionio (e che Mussolini vede come “più italiana che greca” per via della plurisecolare dominazione veneziana). Mussolini, pertanto, accusa la Grecia di responsabilità dell’eccidio ed il 29 agosto impone un durissimo ultimatum al governo greco: questi ha ventiquattr’ore per porgere scuse solenni all’Italia (tramite la sua legazione di Atene) ed avviare un’inchiesta, con la collaborazione dell’addetto militare italiano in Grecia (colonnello Perone), che porti entro cinque giorni all’arresto e condanna a morte dei responsabili della strage; inoltre tutti i componenti del governo ellenico dovranno presenziare ai funerali delle vittime, che si dovranno tenere in forma solenne nella cattedrale cattolica di Atene, dovranno essere tributati gli onori militari agli uccisi, la flotta greca dovrà tributare gli onori alla bandiera di una squadra navale italiana che sarà appositamente inviata al Pireo, e la Grecia dovrà pagare all’Italia cinquanta milioni di lire a titolo di risarcimento entro cinque giorni. In caso contrario, l’Italia invaderà ed occuperà per ritorsione Corfù.
Il corpo di spedizione destinato a conquistare l’isola è composto dal 48° Reggimento Fanteria "Ferrara", da una batteria di 8 cannoni da 75 mm, da una brigata di fanteria di 5000 uomini, da reparti del reggimento di fanteria di Marina "San Marco" e dalle compagnie da sbarco delle navi, il tutto al comando dell’ammiraglio Emilio Solari. Le truppe saranno sbarcate sulla costa settentrionale e su quella meridionale dell’isola.
Il 30 agosto il governo greco risponde all’ultimatum, accettando soltanto in parte le richieste italiane, che vengono fortemente ridimensionate: il comandante militare del Pireo esprimerà il cordoglio del governo greco per l’accaduto al locale ministro italiano, sarà tenuto un servizio religioso di commemorazione delle vittime alla presenza di membri del governo greco, un distaccamento della Guardia di Palazzo greca renderà gli onori alla bandiera italiana presso la sede della legazione d’Italia, e reparti militare greci renderanno onori ai feretri delle vittime quando questi saranno trasbordati su una nave da guerra italiana per essere riportati in patria. Viene inoltre offerta disponbilità a pagare un giusto indennizzo ai familiari delle vittime, mentre viene opposto un rifiuto alla conduzione di un’inchiesta in presenza dell’addetto miltiare italiano, dal quale però verrebbe accettata qualsiasi informazione che potesse agevolare l’individuazione degli assassini. Le altre richieste vengono respinte in quanto lederebbero l’onore e la sovranità della Grecia.
Mussolini ed il governo italiano dichiarano insoddisfacente ed inaccettabile la controproposta greca, con l’appoggio della stampa, che insiste affinché la Grecia ceda pienamente alle richieste italiane. Non avendo il governo greco ottemperato alle condizioni, l’operazione contro Corfù prende il via.
La flotta italiana si presenta davanti a Corfù il 31 agosto: alle due del pomeriggio l’isola viene sorvolata da aerei italiani, e poco dopo entra in porto il Premuda, seguito poco più tardi dal resto della squadra. La Cavour manda a terra, con la propria motolancia, il capitano di vascello Antonio Foschini, capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Solari, con un ultimatum al governatore greco di Corfù: in esso si impone l’ammaino della bandiera greca da sostituire con quella italiana, la cessazione di tutte le comunicazioni, la resa e disarmo di truppe e gendarmeria ed il controllo di tutte le attività da parte dell’Italia. Il governatore telefona ad Atene per avere istruzioni, e gli viene risposto “Niente resa, in nessun caso”; comunica tale risposta al comandante Foschini, che gli consegna allora un documento in cui si impone, irrealisticamente, di evacuare entro trenta minuti i civili stranieri, radunandoli in una località aperta e lontana da installazioni militari.
Alle 16 del 31 agosto le unità italiane iniziano il tiro con i pezzi di piccolo calibro, protraendolo sino alle 16.15, sulle caserme e sulle due fortezze di Corfù (Vecchia e Nuova) che tuttavia non sono in mano a truppe greche, bensì occupate da profughi provenienti dall’Anatolia, sedici dei quali rimangono uccisi, ed altri 32 feriti, in gran parte a causa di un colpo da 152 mm (forse sparato dal Premuda) che va al di là del forte e colpisce un edificio non visibile dal mare, nel quale sono radunati dei profughi. Anche la locale scuola di polizia viene cannoneggiata.
Dopo, a seconda delle fonti, sette minuti od un quarto d’ora di fuoco, il bombardamento viene interrotto quando un infermiere issa sul forte un lenzuolo bianco sull’asta di una bandiera. Viene dato inizio allo sbarco del corpo di spedizione italiano (trasportato dai piroscafi Duca d’Aosta e Città di Messina e composto da alcune migliaia di uomini); il prefetto Petros Evripaios ed altri ufficiali e funzionari ellenici vengono arrestati ed imprigionati a bordo delle navi italiane. Nel giro di pochi giorni le truppe italiane occupano Corfù e la maggior parte delle navi fa ritorno a Taranto, lasciando a Corfù un incrociatore corazzato, i cinque cacciatorpediniere (Cascino compreso) e qualche sommergibile e MAS sotto il comando del contrammiraglio Aurelio Belleni, mentre il 2 settembre 1923 l’ammiraglio Diego Simonetti diviene governatore di Corfù.
Il bombardamento dell’isola, e specialmente le vittime civili da esso causate, provocheranno rimostranze in campo internazionale da parte del presidente del Save the Children Fund (in quanto tra le vittime vi sono anche diversi bambini), del Near East Relief e della Società delle Nazioni, che definiranno il bombardamento di Corfù come un atto disumano, inutile ed ingiustificabile, “un assassinio ufficiale da parte di una nazione civilizzata”.
In Grecia, il governo decreta la legge marziale e ritira la flotta nel golfo di Volo, onde evitare contatti con la flotta italiana. Nella cattedrale di Atene viene tenuta una messa solenne in ricordo delle vittime del bombardamento di Corfù, e le campane di tutte le chiese suonano a lutto; sempre in segno di lutto, vengono chiusi tutti i luoghi di divertimento, mentre nelle piazze scoppiano proteste antiitaliane, tanto che un distaccamento di trenta militari greci dev’essere inviato a proteggere la sede della Legazione d’Italia ad Atene. I giornali greci condannano l’attacco italiano a Corfù, ed il quotidiano “Eleftheros Typos” si esprime pesantemente nei confronti degli italiani, tanto che a seguito delle proteste del Ministro d’Italia il governo ellenico ne sospende per un giorno la pubblicazione e destituisce il censore che ha permesso la pubblicazione dell’articolo incriminato.
Anche in Italia scoppiano nuove dimostrazioni antigreche, mentre il governo italiano chiude il Canale d’Otranto alle navi greche, chiude i porti alle navi greche (mentre i porti greci rimangono aperti alle navi italiane), ordina alle compagnie di navigazione italiane di evitare la Grecia e persino sequestra tutte le navi greche che si trovano in porti italiani (una viene addirittura fermata e catturata nel Canale d’Otranto da un sommergibile italiano); il 2 settembre, tuttavia, le navi greche verranno rilasciate per decisione del Ministero della Marina. Vengono espulsi dall’Italia i giornalisti greci, viene richiamato in patria l’addetto militare inviato ad indagare sull’eccidio di Giannina, ed i riservisti ricevono l’ordine di tenersi pronti ad un’eventuale mobilitazione; Vittorio Emanuele III lascia la sua residenza estiva per fare ritorno a Roma.
Anche altri Paesi nella regione prendono le parti dell’uno o dell’altro contendente e si preparano ad un eventuale conflitto: l’Albania rinforza il suo confine con la Grecia e proibisce a chiunque di attraversarlo, mentre la Jugoslavia dichiara che appoggerà la Grecia ed in Turchia la fazione più nazionalista suggerisce a Mustafà Kemal di cogliere l’occasione per riconquistare la Tracia occidentale ai danni della Grecia. La Cecoslovacchia esprime solidarietà alla Grecia e condanna l’iniziativa italiana.
Tra le poche voci contrarie, in Italia, all’occupazione di Corfù vi sono i diplomatici di professione, che ritengono che la spregiudicatezza di Mussolini possa mettere a repentaglio le trattative in corso per la cessione all’Italia, da parte del Regno Unito, dell’Oltregiuba e dell’oasi di Giarabub. Il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Salvatore Contarini, l’ambasciatore italiano in Francia Romano Avezzana ed il delegato italiano presso la Lega delle Nazioni Antonio Salandra (già primo ministro italiano nel 1915) cercano di persuadere Mussolini ad abbandonare le richieste più estreme ed accetti un compromesso.
George Curzon, segretario agli Affari Esteri del Regno Unito, definisce le richieste di Mussolini come eccessive e “molto peggiori dell’ultimatum [imposto alla Serbia dall’Impero Austroungarico] dopo Sarajevo”, e scrive al primo ministro britannico Stanley Baldwin che l’azione di Mussolini è stata “violenta ed ingiustificabile” e che se il Regno Unito non appoggerà l’appello della Grecia presso la Società delle Nazioni, tanto varrebbe per tale istituzione chiudere baracca. Howard William Kennard, temporaneamente a capo dell’ambasciata britannica a Roma, scrive in un dispaccio a Curzon che Mussolini potrebbe essere pazzo, “un miscuglio di megalomania ed estremo patriottismo”, e che potrebbe volutamente esasperare la situazione fino a scatenare una guerra tra Italia e Grecia. In generale, il Foreign Office si mostra orientato a proteggere la Grecia dall’Italia servendosi come tramite della Società delle Nazioni; Curzon propone di affidare la risoluzione della disputa alla Società delle Nazioni, ma Mussolini per tutta risposta minaccia di lasciarla. Inoltre, da parte britannica si ritiene probabile che la Francia porrebbe il veto su qualsiasi tentativo di imporre sanzioni contro l’Italia; per di più, gli Stati Uniti non sono un Paese membro della Società delle Nazioni e non sarebbero vincolati a rispettare eventuali sanzioni contro l’Italia, vanificandole ulteriormente, mentre l’Ammiragliato britannico asserisce che per imporre un blocco navale contro l’Italia dovrebbe prima esserci una dichiarazione di guerra. Il Regno Unito rafforza la Mediterranean Fleet in vista di un possibile scontro con l’Italia, mossa che provoca delle spaccature all’interno del “fronte” italiano: il ministro della Marina Paolo Thaon di Revel, insieme ai vertici della Marina, afferma che è necessario mantenere rapporti di amicizia con il Regno Unito, la cui flotta è troppo superiore a quella italiana per poterla affrontare con successo in un eventuale conflitto. In generale, tutti i ministri militari cercano di dissuadere Mussolini dal tirare troppo la corda, minacciando le dimissioni e paventando un conflitto che vedrebbe l’Italia contrapposta a Grecia, Jugoslavia, Regno Unito e probabilmente anche la Francia (che mentre è stata finora favorevole all’Italia, non lo sarebbe più se al partito antiitaliano dovesse unirsi anche la Jugoslavia, sua protetta).
Il 1° settembre la Grecia si appella alla Società delle Nazioni, ma il rappresentante dell’Italia, Antonio Salandra, spiega al Consiglio della Società delle Nazioni di non essere autorizzato a discutere la questione; Mussolini si rifiuta di collaborare con la Società delle Nazioni ed asserisce invece che la risoluzione della crisi dovrebbe essere affidata alla Conferenza degli Ambasciatori (organo istituito nel 1920 e formato dai rappresentanti di Italia, Francia, Regno Unito e Giappone, con l’incarico di far rispettare i trattati di pace e mediare le contese territoriali tra i Paesi europei), ripetendo che l’Italia lascerebbe la Società delle Nazioni piuttosto che accettarne l’interferenza. Francia e Regno Unito sono divisi: quest’ultimo sarebbe favorevole all’intervento della Società delle Nazioni, mentre la Francia è contraria, temendo che ciò possa costituire un precedente per una successiva interferenza della Società delle Nazioni nell’occupazione francese della Ruhr. Il risultato è che, come vuole Mussolini, la risoluzione della crisi viene affidata alla Conferenza degli Ambasciatori, che l’8 settembre 1923 annuncia le condizioni che le due parti dovranno adempiere per la risoluzione della disputa. Come previsto da Mussolini, la decisione della Conferenza degli Ambasciatori è in massima parte favorevole alle richieste italiane: la flotta greca dovrà salutare con 21 salve la flotta italiana, che allo scopo si recherà al Pireo insieme a navi da guerra francesi e britanniche (che saranno comprese nel saluto); il governo greco presenzierà ad una cerimonia funebre; i greci dovranno rendere gli onori militari alle vittime dell’eccidio di Giannina quando queste verranno imbarcate a Prevesa per il ritorno in Italia; la Grecia dovrà depositare in una banca svizzera 50 milioni di lire a titolo di garanzia; la massima autorità militare greca dovrà porgere le sue scuse ai rappresentanti italiano, francese e britannico ad Atene; la Grecia dovrà condurre un’inchiesta sull’eccidio di Giannina, da condurre sotto la supervisione di un’apposita commissione internazionale (presieduta dal tenente colonnello Shibuya, addetto militare presso l’ambasciata giapponese) e da completare entro il 27 settembre; la Grecia dovrà garantire la sicurezza della commissione d’inchiesta ed assumersene le spese. L’unica richiesta rivolta al governo albanese è di facilitare l’operato della commissione nel proprio territorio. La decisione è accolta favorevolmente dalla stampa italiana e dallo stesso Mussolini, la cui immagine esce rafforzata da questo episodio, mentre viceversa la Società delle Nazioni ha dato in questa occasione i primi segni della cronica debolezza che caratterizzerà tutta la sua travagliata esistenza: non è stata capace di proteggere una potenza minore da una più grande, la sua autorità è stata sminuita da uno dei suoi membri fondatori, nonché membro permanente del suo consiglio. Il regime fascista ha concluso con un successo la sua prima disputa internazionale; la prova di forza da parte dell’Italia dissuaderà inoltre la Grecia dall’insistere ulteriormente per la cessione delle isole del Dodecaneso e, secondo alcuni autori, avrebbe anche indotto la Jugoslavia a riconoscere la sovranità italiana su Fiume con il trattato di Roma, firmato nel 1924.
La Grecia accetta lo stesso 8 settembre le condizioni della Conferenza degli Ambasciatori, mentre l’Italia fa lo stesso due giorni dopo, e non prima di aver precisato che ritirerà le proprie truppe da Corfù soltanto una volta che la Grecia avrà interamente adempiuto alle propri obbligazioni.
L’11 settembre il delegato greco presso la Società delle Nazioni, Nikolaos Politis, informa il consiglio della Conferenza degli Ambasciatori che la Grecia ha depositato i 50 milioni di lire, e quattro giorni dopo la Conferenza informa Mussolini che l’Italia dovrà evacuare Corfù entro il 27 settembre.
19 settembre 1923
Il Cascino, insieme ai gemelli Generale Antonio CantoreGenerale Antonio ChinottoGenerale Carlo MontanariGenerale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa ed alle corazzate Cesare e Cavour (nave ammiraglia), compone la divisione navale che presenzia, nella baia di Falero, alla resa degli onori (63 salve di cannone con la bandiera italiana al picco) alla bandiera italiana da parte di una divisione navale greca – corazzata Kilkis, incrociatore corazzato Georgios Averof e quattro cacciatorpediniere – che rappresenta (insieme ad un indennizzo economico) l’atto formale di “riparazione”, da parte della Grecia, per l’eccidio di Giannina. Presenziano come testimoni anche gli incrociatori Comus (britannico) e Mulhouse (francese). Per le salve d’onore la divisione italiana si dispone con le due corazzate al centro, distanziate tra loro di alcune centinaia di metri, ed i cacciatorpediniere sui lati, tre a dritta della Cavour e tre a sinistra della Cesare, equidistanti fra loro.
Il 26 settembre, prima ancora della conclusione dell’inchiesta sull’eccidio, la Conferenza degli Ambasciatori decreta il versamento di un’indennità di 50 milioni di lire (la somma depositata dalla Grecia in una banca svizzera a titolo di garanzia) in favore dell’Italia, perché “le autorità greche sono state colpevoli di una certa negligenza prima e dopo il delitto”. Questa decisione è subita come una sconfitta da parte della Grecia, che ha in questo modo dovuto cedere a pressoché tutte le richieste iniziali di Mussolini. Per aggiungere la beffa al danno, l’Italia chiede anche che la Grecia rimborsi i costi di occupazione di Corfù: un milione di lire al giorno. A questo proposito, la Conferenza degli Ambasciatori stabilisce che l’Italia dovrà rivolgersi ad una Corte di Giustizia Internazionale.
Il 27 settembre, come stabilito, le truppe italiane vengono ritirate da Corfù; la bandiera italiana viene ammainata, salutata dalla flotta italiana e da un cacciatorpediniere greco, e rimpiazzata da quella greca, che viene salutata dalla nave ammiraglia italiana. Le navi italiane rimangono tuttavia a Corfù, avendo ricevuto l’ordine di non lasciare l’isola fino a quando l’Italia non avrà ricevuto i 50 milioni di lire: la somma depositata nella banca svizzera è stata infatti posta a disposizione del Tribunale dell’Aia, e la banca non intende trasferire il denaro a Roma senza l’autorizzazione della Banca Nazionale Greca. La sera dello stesso giorno, tuttavia, quest’ultima dà la sua autorizzazione. Il 30 settembre, dopo che la flotta greca ha tributato gli onori a quella italiana nel porto del Falero, le navi italiane rientrano a Taranto, lasciando sul posto un solo cacciatorpediniere.

Il Cascino al Falero il 19 settembre 1923, in occasione della cerimonia di resa degli onori da parte della flotta greca (da “L’illustrazione italiana” del 30 settembre 1923)

Anni Venti
Opera principalmente in Mar Tirreno con l’Armata Navale.
1924
Brevemente inviato a Tobruk.
1925
Compie una crociera nel Dodecaneso e ad Alessandria d’Egitto.

Il Cascino nei primi anni Venti (da www.navyworld.narod.ru)

20 settembre 1925
Il Cascino riceve a Palermo la bandiera di combattimento, benedetta durante una cerimonia solenne dal cardinale Alessandro Lualdi, arcivescovo di Palermo, che pronuncia poi un discorso patriottico all’equipaggio schierato in coperta, esaltando le glorie della Marina italiana e facendo voto “perché essa faccia sempre rifulgere sui mari il nome d’Italia”.
Dicembre 1925
Il Cascino, insieme ai gemelli Generale Antonio Cantore, Generale Carlo Montanari, Generale Marcello Prestinari e Generale Achille Papa, forma la II Squadriglia Cacciatorpediniere della 1a Flottiglia della Divisione Siluranti, formata inoltre dall’esploratore Carlo Mirabello (capo flottiglia) e dalla I Squadriglia Cacciatorpediniere (Giuseppe La Masa, Giuseppe La Farina, Nicola Fabrizi, Giacomo Medici). La Divisione Siluranti comprende anche l’esploratore Quarto (nave ammiraglia), la 2a Flottiglia Cacciatorpediniere (esploratore Aquila; cacciatorpediniere Confienza, San Martino, Solferino ed Enrico Cosenz della III Squadriglia; cacciatorpediniere Castelfidardo, Curtatone, Calatafimini, Monzambano e Giacinto Carini della IV Squadriglia) e la 3a Flottiglia Cacciatorpediniere (esploratore Falco; cacciatorpediniere Giuseppe Sirtori, Giuseppe Missori, Giovanni Acerbi e Vincenzo Giordano Orsini della V Squadriglia; cacciatorpediniere Fratelli Cairoli, Antonio Mosto, Simone Schiaffino, Rosolino Pilo e Giuseppe Dezza della VI Squadriglia).
Successivamente viene dislocato a Taranto come nave dipartimentale, alzando a più riprese l’insegna di tale Comando in Capo e compiendo alcune missioni a Saseno e Durazzo.

Il Cascino a La Spezia nel 1925 (Edizioni Ugo Pucci – La Spezia, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

Marzo 1927
Assegnato alla II Squadriglia Cacciatorpediniere, facente parte della 1a Squadra Navale.
Febbraio 1927
Diviene capogruppo delle unità impiegate per le esercitazioni degli allievi dell’Accademia Navale di Livorno.
Maggio-Luglio 1927
Dislocato a Tripoli come stazionario, avvicendando il gemello Generale Carlo Montanari.
5 ottobre 1927
Durante la navigazione da La Spezia a Gaeta, una carica di lancio da 76 mm del Cascino deflagra per autocombustione e scatena un incendio nel deposito munizioni poppiero; l’equipaggio, tuttavia, riesce ad allagare il deposito e domare le fiamme prima che questo esploda, con conseguenze catastrofiche per la nave.
Primavera 1928
Assegnato alla VI Squadriglia Cacciatorpediniere della Divisione Speciale, inquadrata nella 2a Squadra Navale.
Successivamente svolge per qualche mese servizio dipartimentale a La Spezia, effettuando una crociera con a bordo gli ufficiali della Scuola di Guerra, oltre a partecipare ad alcune cerimonie.
Estate 1929
Compie una crociera in Cirenaica, ad Alessandria d’Egitto e nel Dodecaneso, unitamente alla Divisione Speciale.
1° ottobre 1929
Declassato a torpediniera, come tutti i vecchi "tre pipe".
Assegnata alla II Squadriglia Torpediniere della Divisione Speciale (al comando dell’ammiraglio Salvatore Denti Amari di Piraino e composta, oltre che dalla Cascino, dagli esploratori Quarto e Falco e dalle torpediniere Giuseppe La Farina, Giacinto Carini, Angelo Bassini, Nicola Fabrizi, Enrico Cosenz, Generale Antonio Chinotto e Generale Achille Papa).

La Cascino, a sinistra, alla fonda in Mar Grande a Taranto insieme alle “tre pipe” Giuseppe Cesare Abba e Vincenzo Giordano Orsini negli anni Trenta. Sullo sfondo il cacciatorpediniere Nazario Sauro (da www.marina.difesa.it)

1932
La Divisione Speciale, di cui fa parte la Cascino, viene rinominata VI Divisione e dislocata a Venezia.
Fino al 1937 la Cascino sarà attiva principalmente in Alto Adriatico.
Estate 1932
Compie una crociera in Grecia.
1932-1933
Svolge alcune missioni in Cirenaica.
1935
Assegnata per un breve periodo alla Scuola Comando di Taranto.
Poi, nella seconda metà degli anni Trenta, sarà parte delle forze dipartimentali di La Spezia, svolgendo modesta attività nell’Alto Tirreno e nei mari della Sardegna. In tale periodo presterà servizio sulla Cascino anche il secondo capo cannoniere Pietro Carboni, futura Medaglia d’Oro al Valor Militare.
30 agosto 1935
Assume il comando della Cascino il tenente di vascello Giorgio Verità Poeta.

Il tenente di vascello Giorgio Verità Poeta (Verona, 1903-1939), comandante della Cascino nel 1935 (da www.liberalbelluno.com)

1936
Lavori di modifica: imbarca attrezzature per il dragaggio in corsa.
8 agosto-8 settembre 1937
Durante la guerra civile spagnola, la Cascino partecipa, con lo svolgimento di nove missioni nell’arco di un mese, al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei. Il 3 agosto Francisco Franco ha chiesto urgentemente a Mussolini di usare la sua flotta per fermare un grosso “convoglio” sovietico appena partito da Odessa e diretto nei porti repubblicani; sulle prime era previsto il solo impiego di sommergibili, ma Franco è riuscito a convincere Mussolini ad impiegare anche le navi di superficie. Nel suo telegramma Franco afferma: «Tutte le informazioni degli ultimi giorni concordano nell’annunciare un aiuto possente della Russia ai rossi, consistente in carri armati, dei quali 10 pesanti, 500 medi e 2 000 leggeri (sic), 3 000 mitragliatrici motorizzate, 300 aerei e alcune decine di mitragliatrici leggere, il tutto accompagnato da personale e organi del comando rosso. L’informazione sembra esagerata, poiché le cifre devono superare la possibilità di aiuto di una sola nazione. Ma se l’informazione trovasse conferma, bisognerebbe agire d’urgenza e arrestare i trasporti al loro passaggio nello stretto a sud dell’Italia e sbarrare la rotta verso la Spagna. Per far ciò, bisogna, o che la Spagna sia provvista del numero necessario di navi o che la flotta italiana intervenga ella stessa. Un certo numero di cacciatorpediniere operanti davanti ai porti e alle coste dell’Italia potrebbe sbarrare la rotta del Mediterraneo ai rinforzi rossi: la cattura potrebbe essere effettuata da navi battenti apertamente bandiera italiana, aventi a bordo un ufficiale e qualche soldato spagnolo, che isserebbero la bandiera nazionalista spagnola al momento stesso della cattura. Invierò d’urgenza un rappresentante a Roma per negoziare questo importante affare. Nell’intervallo, e per impedire l’invio delle navi che saranno già in rotta per la Spagna, prego il governo italiano di sorvegliare e segnalare la posizione e la rotta delle navi russe e spagnole che lasciano Odessa. Queste navi devono essere sorvegliate e perquisite da cacciatorpediniere italiani che segnaleranno la loro posizione alla nostra flotta. Vogliate trasmettere in tutta urgenza al Duce e a Ciano l’informazione di cui sopra e la nostra richiesta, unita all’assicurazione dell’indefettibile amicizia e della riconoscenza del generalissimo alla nazione italiana».
Il blocco navale viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai sommergibili, inviati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della Spagna, prendono in mare gli incrociatori Diaz e Cadorna, otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando DiazAlberto Di GiussanoLuigi CadornaBartolomeo Colleoni). Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere (FrecciaDardoSaettaStraleFulmineLampoEsperoOstro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere (CignoCanopoCastoreClimeneCentauroCassiopeaAndromedaAntaresAltairAldebaranVegaSagittarioAstoreSirioSpicaPerseoGiuseppe La MasaGenerale Carlo MontanariIppolito NievoGiuseppe Cesare AbbaGenerale Achille PapaNicola FabriziGiuseppe Missori e Monfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna.
In base all’ordine generale d’operazioni numero 1, gli incrociatori, l’Eritrea e parte dei cacciatorpediniere devono compiere esplorazione pendolare sul meridiano 16° E, cooperando con gli aerei da ricognizione che conducono esplorazione sistematica per parallelo; altri cacciatorpediniere formano uno sbarramento esplorativo tra Lampedusa e le propaggini meridionali del banco di Kerkennah (nei pressi di Sfax), mentre le torpediniere conducono esplorazione a rastrello tra Pantelleria e Malta, lungo l’asse del Canale di Sicilia. Adriatico/Lago e Barletta/Rio compiono esplorazione a triangolo presso Capo Bon; AquilaFabriziMissoriMontanariMonfalconeNievoPapa e La Masa compiono vigilanza sistematica nello stretto di Messina. Il blocco si protrae dal 7 agosto al 12 settembre con intensità variabile; nel periodo di maggiore attività sono contemporaneamente in mare nel Canale di Sicilia 12 navi di superficie, 5 sommergibili e 6 aerei. Gli ordini per le navi di superficie sono di avvicinare e riconoscere tutti i mercantili avvistati, specialmente quelli privi di bandiera (e che non la issano subito dopo averne ricevuto l’intimazione dalle unità italiane), quelli che di notte procedono a luci spente, quelli con bandiera sovietica o spagnola repubblicana, quelli che hanno in coperta carichi di natura palesemente militare, e quelli che sono stati specificamente indicati per nome dal Comando Centrale. Se un mercantile viene riconosciuto come al servizio della Spagna repubblicana, la nave italiana che l’ha avvistato deve seguirlo e segnalarlo al sommergibile più vicino, che dovrà poi procedere ad affondarlo. Se quest’ultimo fosse impossibilitato a farlo, spetterebbe alla nave di superficie il compito di seguire il mercantile fino a notte, tenendosi in contatto visivo, per poi silurarlo una volta calata l’oscurità. I piroscafi identificati come “contrabbandieri” di notte devono invece essere subito affondati. Se venisse incontrato un mercantile repubblicano a grande distanza dalle acque territoriali della Tunisia, la nave che lo avvista deve chiamare sul posto uno tra Rio e Lago oppure una nave da guerra spagnola nazionalista (parecchie di queste sono appositamente dislocate nel Mediterraneo centrale) che provvederanno a catturarlo. Ordini tassativi sono emanati per evitare interferenze o incidenti con bastimenti neutrali (il che talvolta obbliga a seguire un mercantile “sospetto” per tutto il giorno al fine di identificarlo, dato che talvolta quelli diretti nei porti repubblicani usano bandiere false), e questo, insieme all’intensità del traffico navale nel Canale di Sicilia, rende piuttosto complessa e delicata la missione delle navi che partecipano al blocco.
Nei primi giorni del blocco sono particolarmente attivi i cacciatorpediniere di base ad Augusta. Dopo i primi successi, però, ci si rende conto che il sistema di vigilanza nel Canale di Sicilia non funziona come dovrebbe: diversi piroscafi al servizio dei repubblicani lo aggirano avvicinandosi di giorno ai settori in cui incrociano le navi italiane, aspettando il buio per entrare nelle acque territoriali della Tunisia e poi attraversare la zona di maggior pericolo seguendo la costa, o sostando nei porti francesi in attesa dell’alba. Di conseguenza, il Comando della Regia Marina dispone delle crociere di cacciatorpediniere nella fascia costiera compresa tra 10 e 30 miglia dalla costa tunisina tra Capo Tenes e La Galite, per completare il dispositivo esistente.
Siccome queste crociere si svolgono in aree dov’è possibile che i cacciatorpediniere italiani incontrino navi da guerra repubblicane, una sezione di incrociatori (a turno, Attendolo-Eugenio di SavoiaTrento-TriesteAttendolo-Bande Nere) viene tenuta costantemente a Cagliari pronta ad intervenire in appoggio ai cacciatorpediniere, in caso di scontro con superiori formazioni navali repubblicane. Se i cacciatorpediniere dovessero invece incontrare piroscafi riconosciuti come repubblicani (o al loro servizio) al di fuori delle acque territoriali francesi, dovranno tenersi in contatto visivo fino al calar del sole, dopo di che dovranno avvicinarsi col buio ed affondarlo con il siluro. In caso di riconoscimento notturno, se l’identificazione risulterà inequivocabile, dovranno affondarlo subito.
Il blocco navale così organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo: sebbene le navi effettivamente affondate o catturate siano numericamente poche, l’elevato rischio comportato dalla traversata a causa del blocco italiano porta in breve tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona col favore della notte. Entro settembre, l’invio di mercantili con rifornimenti per i repubblicani dall’Unione Sovietica attraverso il Bosforo è praticamente cessato, tanto che i comandi italiani si possono ormai permettere di ridurre di molto il numero di navi in mare per la vigilanza, essendo quest’ultima sempre meno necessaria e non volendo provare troppo le navi in una zona dove c’è spesso maltempo con mare grosso. Ad ogni modo, le navi assegnate al blocco vengono mantenute nelle basi siciliane, pronte a riprendere il mare qualora dovesse manifestarsi una ripresa nel traffico verso la Spagna.
Oltre alla grave crisi nei rifornimenti di materiale militare, che si verifica proprio nel momento cruciale della conquista nazionalista dei Paesi Baschi (principale centro di produzione di armi tra le regioni in mano repubblicana), il blocco ha un impatto notevole anche sul morale dei repubblicani, tanto nella popolazione civile (il cui morale va deteriorandosi per la difficoltà di procurarsi beni di prima necessità) quanto nei vertici politico-militari, che si rendono conto di come, mentre i nazionalisti ricevono dall’Italia supporto incondizionato, persino sfacciato, con largo dispiego di mezzi, Francia e Regno Unito non sembrano disposte a fare molto più che parlare in aiuto alla causa repubblicana (in alcuni centri repubblicani si svolgono anche aperte manifestazioni contro queste due nazioni, da cui i repubblicani si sentono abbandonati).
Il blocco italiano impartisce dunque un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatena anche gravi tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina italiana, ripetute anche da Winston Churchill. Il governo britannico, invece, evita di accusare apertamente l’Italia, dato che il primo ministro Neville Chamberlain intende condurre una politica di “riavvicinamento” verso l’Italia per allontanarla dalla Germania; anche questo fa infuriare i repubblicani, che hanno fornito ai britannici prove del coinvolgimento italiano (prove che i britannici peraltro possiedono già, dato che l’Operational Intelligence Center dell’Ammiragliato intercetta e decifra svariate comunicazioni italiane relative alle missioni “spagnole”), solo per vedere questi ultimi fingere di attribuire gli attacchi ai soli nazionalisti spagnoli.
Nel settembre 1937 Francia e Regno Unito organizzeranno la Conferenza di Nyon per contrastare la “pirateria sottomarina”: gli occhi di tutti sono puntati sull’Italia, anche se questa non viene accusata direttamente (tranne che dall’Unione Sovietica, ragion per cui l’Italia, sebbene invitata, rifiuta di partecipare alla conferenza). Se ufficialmente i britannici non parlano apertamente di coinvolgimento italiano, attraverso i canali diplomatici questi fanno pervenire al ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano, l’irritazione per alcuni incidenti che hanno coinvolto proprio navi britanniche (il cacciatorpediniere HMS Havock è stato attaccato, ancorché senza risultato, dal sommergibile italiano Iride), ragion per cui il 12 settembre si decide di sospendere il blocco per non incrinare le relazioni con il Regno Unito. Nel periodo 7 agosto-12 settembre, le navi italiane hanno avvicinato e identificato ben 1070 bastimenti mercantili, di svariate nazionalità. Da questo momento, sarà incombenza unicamente della Marina franchista impedire che altri rifornimenti raggiungano i porti repubblicani.


La Cascino in entrata nel Mar Piccolo a Taranto (fondo Ferro Candilera, da www.fotografia.iccd.beniculturali.it)


1939 
Lavori di ammodernamento e potenziamento dell’armamento contraereo: i due pezzi singoli Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm vengono sbarcati, mentre vengono installate due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due o quattro mitragliatrici singole da 8/80 mm.
Lavori di ammodernamento e potenziamento dell’armamento contraereo: i due pezzi singoli Ansaldo Mod. 1917 da 76/40 mm vengono sbarcati, mentre vengono installate due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due o quattro mitragliatrici singole da 8/80 mm.
10 giugno 1940
L’Italia entra in guerra. La Cascino appartiene in questo momento alla II Squadriglia Torpediniere, di base a La Maddalena (alle dipendenze del Comando Militare Marittimo "Sardegna"), insieme alle gemelle Generale Antonio ChinottoGenerale Carlo Montanari e Generale Achille Papa.
6 giugno-10 luglio 1940
Cascino, ChinottoMontanari e Papa posano quattro sbarramenti di 60 mine ciascuno a nordest della Maddalena ed altri due (anch’essi di 60 ordigni) nelle bocche di Bonifacio.
30 luglio 1940
La Cascino, insieme alla gemella Generale Achille Papa ed alle più moderne torpediniere Vega e Perseo (le due “tre pipe” e le due “Spica” formano due distinte sezioni torpediniere), salpa da Trapani alle 00.30 scortando verso Tripoli i piroscafi Bosforo e Caffaro. Le navi, che procedono a 10 nodi e dovranno seguire le rotte costiere della Tunisia, formano il convoglio numero 3 dell’Operazione "Trasporto Veloce Lento", consistente nell’invio in Libia di tre convogli (il numero 1, "lento", è costituito dalle navi da carico Maria EugeniaGloria StellaBainsizzaMaulyCol di LanaCittà di Bari e Francesco Barbaro, scortati dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere e dalla XIV Squadriglia Torpediniere; il numero 2, "veloce", è formato dai trasporti truppe Città di NapoliCittà di Palermo e Marco Polo scortati dalla II Squadriglia Torpediniere e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere) carichi di truppe e materiali dell’Esercito e dell’Aeronautica, con la protezione a distanza, nella zona più pericolosa della traversata – per il caso che forze di superficie britanniche escano da Alessandria d’Egitto –, degli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia del comandante superiore in mare, ammiraglio Riccardo Paladini), ZaraFiumeGorizia (I Divisione) e Trento, degli incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di Giussano (IV Divisione), Eugenio di SavoiaMuzio AttendoloRaimondo Montecuccoli e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (VII Divisione) e dei cacciatorpediniere delle Squadriglie IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), XII (LanciereCarabiniereAscariCorazziere), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino) e XIV (Antonio PigafettaLanzerotto Malocello e Nicolò Zeno).
1° agosto 1940
Il convoglio giunge a Tripoli a mezzogiorno.
3 agosto 1940
La Cascino e le più moderne torpediniere Castore (caposcorta) e Centauro salpano da Tripoli per Bengasi alle 17, scortando i piroscafi Sardegna e Bosforo.
5 agosto 1940
Il convoglio giunge a Bengasi alle 13.
11 agosto 1940
La Cascino parte da Tobruk alle 9 per scortare a Bengasi i piroscafi Argentea, Silvano e Mira.
13 agosto 1940
Il convoglietto giunge a Bengasi alle otto.
18 agosto 1940
Alle 22 la Cascino salpa da Bengasi per scortare a Derna e ad Ain-el-Gazala la nave ausiliaria Monte Gargano.
20 agosto 1940
Alle 8.06 il sommergibile britannico Rorqual (capitano di corvetta Ronald Hugh Dewhurst) avvista a cinque miglia di distanza in posizione 32°58’ N e 22°02’ E, a nordovest di Ras el Hilal, una “grossa nave passeggeri” che ritiene essere probabilmente un trasporto truppe: è in realtà la Monte Gargano; il Rorqual inizia una manovra d’attacco, ed alle 8.09 avvista anche un “cacciatorpediniere” – la Cascino – a circa un miglio a 60° a proravia sinistra della Monte Gargano, che segue la costa a ridotta distanza. Alle 8.14, quando la distanza è calata a soli 640 metri, la Cascino accosta verso il Rorqual, che è così costretto a scendere in profondità; Dewhurst tenta di lanciare i siluri basandosi sui dati forniti dall’idrofono, ma il rumore prodotto dalla Cascino, che passa sulla verticale del sommergibile, lo impedisce. Il Rorqual accosta allora a sinistra e si porta a quota periscopica; alle 8.25 lancia due siluri da 3200 metri, dopo di che scende in profondità di nuovo. Le armi non vanno a segno.
Cascino e Monte Gargano arrivano a Derna alle 15, proseguendo poi fino ad Ain-el-Gazala.
29 agosto 1940
La Cascino parte da Tobruk alle 00.15 per scortare a Bengasi i piroscafi Mauro Croce, Ezilda Croce e Prospero. Il convoglio giunge a destinazione sei ore più tardi.
7 settembre 1940
Alle 17 la Cascino lascia Bengasi per scortare a Tobruk il piroscafo Priaruggia, il rimorchiatore Vulcan ed i motovelieri Luciana e Virgo Laurentana.
8 settembre 1940
Il convoglietto raggiunge Tobruk alle 13.30.
9 settembre 1940
La Cascino salpa da Tobruk alle 20 per scortare a Bengasi ed Ain-el-Gazala i piroscafi Verace, Luigi Rizzo e Doris Ursino.
Alle 23 il Verace raggiunge Ain-el-Gazala, mentre il resto del convoglio prosegue per Bengasi.
10 settembre 1940
Il convoglio arriva a Bengasi alle 13.30.
16 settembre 1940
Mentre la Cascino si trova ormeggiata a Bengasi, il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, decide di lanciare un attacco aereo contro quel porto, a seguito dell’avvistamento (il mattino del 15 settembre, da parte di un ricognitore Short Sunderland del 230th Squadron) di un convoglio italiano (piroscafi Maria Eugenia e Gloria Stella, torpediniera Fratelli Cairoli) in navigazione nel Golfo della Sirte e diretto appunto a Bengasi.
Alle 21.30 del 16 settembre quindici bombardieri Fairey Swordfish iniziano a decollare dal ponte di volo della portaerei Illustrious, salpata da Alessandria assieme alla corazzata Valiant, agli incrociatori leggeri OrionKentLiverpool e Gloucester ed a 9 cacciatorpediniere (HerewardHyperionHastyHeroNubianMohawkWaterhenJervis e Decoy). La formazione, suddivisa in tre gruppi (Forza A, incaricata dell’attacco, con Illustrious ed Orion e 4 cacciatorpediniere, Forza B di scorta alla Forza A e composta dalla Valiant con 3 cacciatorpediniere, Forza C di sostegno con le altre unità 20-25 miglia più a sud del resto della formazione), è giunta alle 21 cento miglia a nordest di Bengasi, come previsto.
Nove degli Swordfish, appartenenti all’815th Squadron della Fleet Air Arm, hanno l’incarico di attaccare le navi in porto con bombe dirompenti da 227 e 114 kg ed incendiarie da 45 kg, mentre gli altri sei, dell’819th Squadron, devono posare ciascuno una mina magnetica Mk I da 680 kg all’imboccatura del porto.
Alle 21.15, in seguito ad un bombardamento aereo che ha colpito l’aeroporto di Benina, non lontano da Bengasi, viene dato l’allarme, ma non segue poi il preallarme della Difesa Contraerea Territoriale, che, non avendo potuto far partire i motopescherecci assegnati al servizio di vigilanza foranea, non è in grado di avvistare gli Swordfish che arrivano da nordest, dal mare.
17 settembre 1940
Alle 00.57, senza che nessuno li abbia precedentemente avvistati, gli aerei britannici (che sono giunti sul cielo di Bengasi già dalle 00.30, ed hanno sorvolato il porto per meglio individuare i loro bersagli) passano all’attacco, in due ondate.
Le bombe vanno a segno con tremenda precisione: nel primo passaggio, effettuato alle 00.57 da nordovest verso sudest, viene affondato il piroscafo Gloria Stella, la torpediniera Cigno viene danneggiata gravemente ed il rimorchiatore Salvatore Primo ed il pontone a biga Giuliana sono colpiti, sebbene senza riportare danni gravi; nel secondo passaggio, compiuto tre minuti dopo il primo, vengono affondati il cacciatorpediniere Borea ed il piroscafo Maria Eugenia.
Nella confusione del bombardamento, nessuno a terra sembra fare troppo caso alle sagome scure dei sei Swordfish dell’819th Squadron che gettano le loro sei mine magnetiche a circa 75 metri dall’imboccatura del porto: solo il 18 settembre, ormai troppo tardi per evitare danni, si saprà che qualcuno aveva visto un aereo abbassarsi a posare delle mine nell’avamporto.
I devastanti risultati del bombardamento hanno dimostrato la vulnerabilità di Bengasi, come in precedenza di Tobruk, agli attacchi aerei; inoltre, Maria Eugenia e Gloria Stella sono ancora in fiamme e circondati da un vero e proprio mare di nafta, che continua a costituire una minaccia per le altre navi: pertanto si decide subito di decongestionarne il fin troppo affollato porto trasferendo a Tripoli, ritenuta più sicura (in ragione della sua maggiore distanza dalle basi aeree britanniche), parte delle navi rimaste indenni.
Nella mattinata del 17 settembre, di conseguenza, la Cascino salpa da Bengasi per scortare a Tripoli la motonava Francesco Barbaro: sono le prime navi a lasciare il porto cirenaico dopo il bombardamento. Tuttavia alle 11.38, non appena sono uscite dall’imboccatura del porto, la Barbaro viene investita dall’esplosione di una delle mine magnetiche posate durante l’attacco dagli Swordfish dell’819th Squadron. I gravi danni alla parte prodiera dello scafo costringono a rimorchiare la motonave nuovamente in porto, con l’assistenza di alcuni rimorchiatori, ed a portarla a poggiare con la prua su bassifondali nel bacino di ponente.
Sulle mine posate dagli Swordfish, poche ore dopo il danneggiamento della Barbaro, affonderà anche il cacciatorpediniere Aquilone (anch’esso partito da Bengasi per trasferirsi a Tripoli, insieme al gemello Turbine), nonostante un attento dragaggio delle mine fatto eseguire dopo quanto accaduto alla Barbaro.
25 ottobre 1940
Alle 15.30 la Cascino parte da Bengasi per scortare a Tripoli la motonave Marco Foscarini.
27 ottobre 1940
Cascino e Foscarini arrivano a Tripoli a mezzogiorno.
4 novembre 1940
Alle 18.20 la Cascino lascia Tripoli di scorta alla pirocisterna Lina Campanella ed al piroscafo Pozzuoli, diretti a Napoli via Palermo.
7 novembre 1940
Il convoglio giunge a Palermo alle 8.30.
14 novembre 1940
Lasciata Palermo, il convoglio giunge a Napoli alle 15.40.
13 dicembre 1940
La Cascino e la torpediniera Enrico Cosenz salpano da Napoli alle due di notte, scortando un convoglio composto dai trasporti truppe EsperiaConte Rosso e Marco Polo, diretti a Tripoli.
A Palermo le due torpediniere vengono sostituite nella scorta dalla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino VivaldiAntonio Da NoliLuca TarigoLanzerotto Malocello).
26 dicembre 1940
La Cascino e l’incrociatore ausiliario Città di Napoli salpano da Napoli alle 17 di scorta ai piroscafi Giovinezza, Arsia e Capo Mele, diretti a Tripoli.
27 dicembre 1940
Alle 9, davanti a Trapani, la Cascino lascia la scorta del convoglio, che prosegue con la scorta del solo Città di Napoli (poi rinforzata dalla torpediniera Aretusa, inviata da Tripoli) e l’aggiunta del piroscafi Dielpi, uscito da Trapani.
31 dicembre 1940
Alle 19 la Cascino parte da Napoli per scortare a Tripoli la motonave Riv.
2 gennaio 1941
Cascino e Riv arrivano a Tripoli alle 16.
3 gennaio 1941
Cascino e Riv lasciano Tripoli alle 18, dirette a Palermo.
4 gennaio 1941
Cascino e Riv raggiungono Palermo alle 9.30.
13 febbraio 1941
Alle 00.15 la Cascino parte da Napoli scortando la motonave Rialto ed i piroscafi Istria e Beatrice Costa, diretti a Tripoli con automezzi dei primi scaglioni dell’Afrika Korps.
15 febbraio 1941
Alle 9, a Palermo, la Cascino lascia il convoglio e viene sostituita nella scorta dalla torpediniera Alcione.
Rientrata a Napoli, alle 11.30 ne riparte insieme alla torpediniera Rosolino Pilo, nel ruolo di caposcorta di un convoglio diretto a Tripoli e composto dal piroscafo Caffaro e dalle motonavi Andrea Gritti e Sebastiano Venier.
17 febbraio 1941
Alle cinque il convoglio viene infruttuosamente attaccato da un sommergibile al largo dell’isola di Kuriat, che lancia dei siluri contro l’Andrea Gritti.
Le navi arrivano a Tripoli tra le 20 e le 24.
27 o 28 marzo 1941
La Cascino, uscita da Napoli, va a rinforzare la scorta del piroscafo tedesco Leverkusen, partito da Tripoli a mezzogiorno del 26 insieme alla torpediniera Antonio Mosto e diretto nel porto partenopeo, dove giunge a mezzogiorno del 28.
7 aprile 1941
La Cascino e le più moderne torpediniere Castore e Calliope (caposcorta) salpano da Tripoli alle 6.30 per scortare a Napoli il piroscafo Amsterdam e la motonave Giulia.
8 aprile 1941
Alle 00.05 il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista in posizione 34°30’ N e 12°51’ E (un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli) un convoglio composto da tre navi mercantili e due navi scorta, con rotta 350° e su rilevamento 143°; alle 00.21 il sommergibile attacca col lancio di due siluri contro i due mercantili di testa, che si “sovrappongono” nella visione del periscopio presentando un unico bersaglio, e poi altri due contro il mercantile di coda, il più grande. Nessuna delle armi va a segno.
L’identificazione di questo convoglio è incerta; secondo una fonte (Historisches Marinearchiv) sarebbe stato quello composto da Cascino, Castore, Calliope, Giulia ed Amsterdam, mentre secondo un’altra (Uboat.net) sarebbe stato un altro, formato dai trasporti truppe Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco Polo scortati dai cacciatorpediniere Euro, Luca Tarigo, Lampo e Baleno.
9 aprile 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 20.30.

La Cascino (a sinistra) ad Ancona insieme alle gemelle Generale Antonio Chinotto e Generale Achille Papa (g.c. STORIA militare)

8 giugno 1941
La Cascino viene inviata nel Golfo di Policastro per dare la caccia al sommergibile britannico Clyde, che alle 18.30 ha affondato il piroscafo Sturla al largo di Sapri (quindici miglia ad ovest di Scalea ed a cinque miglia da Maratea). Non riesce a trovarlo.
25-27 giugno 1941
Insieme alla cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare, la Cascino viene incaricata delle operazioni preliminari alla posa della spezzata "S 2" del campo minato "S" (uno sbarramento di mine offensivo posizionato tra Capo Bon e le isole Egadi, e composto da varie spezzate), vale a dire il segnalamento delle estremità della linea di posa mediante boette, la verifica della posizione delle boette che contrassegnano l’estremità della vicina spezzata "S 1" (posata in precedenza), lo scandagliamento del fondale, il dragaggio preventivo ed il rastrellamento antisom, il tutto sotto la direzione del contrammiraglio Luigi Notarbartolo, comandante del Settore Militare Marittimo di Trapani.
La Cascino, in particolare, effettua dragaggio preventivo della zona designata per la posa con i suoi paramine.
28 giugno 1941
Ha luogo la posa della spezzata "S 2" da parte degli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e dei cacciatorpediniere Emanuele Pessagno ed Antonio Pigafetta. La Cascino attende l’arrivo delle navi adibite alla posa nei pressi della boa che segna l’estremità occidentale del previsto sbarramento, ed all’inizio della posa, alle 6.54, si allontana per non essere d’intralcio.
29/30 giugno 1941
La Cascino va a sostituire la gemella Papa nella scorta al piroscafo Ogaden, partito da Tripoli alle 5.30 del 28 e che arriverà a Palermo alle 9.30 del 30.
4 agosto 1941
Il marinaio cannoniere Cosimo Sofio della Cascino, 21 anni, da Bagnara Calabra, muore in territorio metropolitano.
30 settembre-1° ottobre 1941
La Cascino e la torpediniera Giuseppe Dezza vengono inviate al largo di Trapani a cercare il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), che il 24 settembre ha sbarcato sulla costa siciliana, presso Capo Gallo, vicino a Palermo, un agente francese, Alfred Rossi (ebreo francese, nato a Beirut ma residente in Tunisia allo scoppio della guerra, dopo l’adesione delle autorità coloniali francesi in Tunisia al regime di Vichy si è unito ad una rete di resistenza clandestina, per poi fuggire a Malta nell’estate 1941). Questi, provvisto di 100.000 lire e di una radio trasmittente, ha nascosto radio e denaro e si è recato a Palermo, ma è stato subito notato e posto sotto sorveglianza dal SIM (Servizio Informazioni Militare, il servizio segreto del Regio Esercito): dopo essere stato seguito per sei giorni, è stato catturato mentre tornava al suo nascondiglio nella notte tra il 30 settembre ed il 1° ottobre (data in cui il sommergibile sarebbe dovuto tornare a prenderlo), e per avere salva la vita, ha accettato di collaborare con i servizi italiani. Cascino e Dezza, insieme ai MAS 531 e 543, vengono inviate alla ricerca dell’Urge e riescono quasi a localizzarlo, ma questi riesce a sfuggire alla trappola. Cascino e Dezza verranno poi rilevate nella caccia dalle torpediniere Cigno e Climene, uscite da Trapani a tale scopo.
Rossi, operando per conto del SIM, si metterà in contatto con la sua radio con i servizi segreti britannici e trasmetterà loro, nei mesi a venire, informazioni false prodotte dal controspionaggio italiano per intralciare l’attività dell’MI6. I britannici si accorgeranno dell’inganno soltanto nel febbraio 1942, quando l’Urge sarà oggetto di un’altra trappola, anche stavolta fallita, nel tentativo di portare del denaro a Rossi: stavolta la “coincidenza” della presenza di unità italiane all’appuntamento non potrà più essere ignorata dall’MI6.
10 ottobre 1941
Nelle prime ore della notte la Cascino esce da Trapani scortando il piroscafo Nirvo, che si deve aggregare al convoglio «Giulia», proveniente da Napoli e diretto a Tripoli, formato dalla motonave Giulia, dalla nave cisterna Proserpina (carica di 5713 tonnellate di carburante) e dai piroscafi Bainsizza, Zena e Casaregis, scortati dai cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta, capitano di vascello Ferrante Capponi), Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Subito dopo la partenza, il Nirvo è costretto ad invertire la rotta e tornare in porto (alle 2.30), a causa di un’avaria di macchina, mentre la Cascino prosegue egualmente e va a rinforzare la scorta del convoglio. Successivamente anche il Bainsizza subisce un’avaria e lascia il convoglio, entrando a Trapani alle 16.
Il resto del convoglio imbocca la rotta del canale di Sicilia alla velocità di 9 nodi.
Proprio in questi giorni, tuttavia, l’organizzazione britannica "ULTRA" ha dato inizio alla sua attività di intercettazione e decrittazione sistematica dei messaggi relativi ai convogli italiani diretti in Nordafrica. Dopo il successo isolato dell’affondamento della motonave Barbarigo nel luglio 1941, l’attacco al convoglio «Giulia» rappresenterà il primo di una lunga serie di successi ottenuti dai britannici grazie ai decrittatori di "ULTRA".
L’8 ottobre, infatti, questa organizzazione ha annunciato ai comandi britannici, sulla scorta di messaggi decrittati, che «Il convoglio Casaregis, comprendente il Casaregis (6485 tsl), lo Zena (5219), il Giulia (5921), il Bainsizza (7933) ed il Proserpina (?) parte da Napoli alle 21.30 del giorno 8, transitando ad occidente (di Malta) diretto a Tripoli alla velocità di 9 nodi. Orario di arrivo ore 18.00 del giorno 11. Scorta 4 cacciatorpediniere. Il Nirvo (5164) ed il ct Cascino si uniranno al convoglio al largo di Trapani». Il giorno seguente "ULTRA" ha segnalato l’avvenuta partenza del convoglio, confermando le informazioni del giorno precedente ed aggiungendone altre sull’entità della scorta e sul previsto orario di arrivo a Tripoli: «Casaregis, Zena, Giulia, Bainsizza, Proserpina, Nirvo, scortati da 5 Ct, sono salpati da Napoli alle 21.30 del giorno 8, velocità 9 nodi, per giungere a Tripoli alle 18.00 del giorno 11». Il 10 ottobre, sulla base delle informazioni di "ULTRA", vengono fatti decollare da Malta dei ricognitori, che trovano il convoglio alle 12.45 circa 35 miglia a sud di Pantelleria.
Per tutta la giornata del 10 ottobre, le navi del convoglio «Giulia» vengono sorvolate da aerei da caccia ed antisommergibile dell’Aeronautica della Sicilia (che per la scorta aerea del convoglio mobilita in tutto venti caccia e dodici bombardieri, questi ultimi dei Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero"), che tengono lontani gli aerei britannici di base a Malta, nonostante la notevole vicinanza dell’isola e la scarsa velocità del convoglio (ma non riescono ad impedire il suo avvistamento da parte dei ricognitori).
Al tramonto, tuttavia, la scorta aerea deve come sempre lasciare il convoglio; le navi assumono allora la formazione per la navigazione notturna, con i mercantili in doppia linea di fila ed i cacciatorpediniere (eccetto l’Alpino, che si posiziona in coda al convoglio) tutt’intorno.
Il cielo è sereno con ottima visibilità, il mare calmo.
Alle 22.45, dopo un paio d’ore di navigazione indisturbata, i primi aerei britannici fanno la loro comparsa nelle vicinanze del convoglio «Giulia», e presto si scatenano gli attacchi aerei, che proseguono fino all’alba. Mercantili e scorta reagiscono con la manovra e con cortine nebbiogene, sparando qualche raffica di mitragliera quando c’è speranza di colpire qualcosa. Per un’ora è possibile contenere gli attacchi, ed i trasporti evitano alcuni siluri, ma alle 23.45, durante un attacco da parte di sette aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm (sono decollati da Malta in dieci, al comando del capitano di corvetta Hunt: tre sono dovuti rientrare per problemi meccanici), si ha la prima vittima: lo Zena, colpito da un siluro all’altezza della sala macchine.
L’Alpino riceve ordine di fornire assistenza alla nave colpita.
11 ottobre 1941
Dato che gli aerei britannici si accaniscono sull’immobilizzato Zena, alle 00.15 anche il caposcorta Granatiere inverte la rotta per recarsi in soccorso del piroscafo, che galleggia ancora.
Il resto del convoglio prosegue invece sotto la guida del Bersagliere, cui alle 00.20 il caposcorta ha delegato la direzione del convoglio fino al suo ritorno.
All’1.05 il Granatiere, informato dall’Alpino circa la situazione dello Zena, torna verso il convoglio, accelerando a 18 nodi per raggiungerlo più in fretta. L’Alpino tenta di prendere lo Zena a rimorchio, ma alle tre di notte il piroscafo s’inabissa in posizione 34°52’ N e 12°22’ E (una quarantina di miglia a sud di Lampedusa).
Nel frattempo, il tempo è cambiato: il cielo è andato coprendosi di nuvolaglia, e si è anche alzato un po’ di vento e di mare da libeccio.
Il Granatiere torna ad assumere la sua posizione in formazione, ed il suo ruolo di caposcorta, alle 2.20. Di quando in quando i piroscafi, che proseguono su rotta 164°, sparano qualche raffica di mitragliera contro sagome di aerei veri o presunti, apparsi nella notte.
Alle 4.15 Supermarina comunica al caposcorta che è probabile un ulteriore attacco di aerosiluranti, ed alle 5.45, puntualmente, vengono avvistati degli aerei (sono ancora Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. di Malta): viene subito lanciato l’allarme, mentre i primi bengala si accendono nel cielo. Tutte le navi del convoglio iniziano il tiro contraereo, e manovrano per diradarsi e ridurre quindi la probabilità che i siluri vadano a segno.
Varie esplosioni subacquee, di bombe o siluri, si susseguono alle 5.51, alle 5.56 ed alle 5.58; alle 6.10 il Granatiere vede uno Swordfish che vola molto basso sul mare, sulla sua dritta. Il biplano dirige per lanciare nella direzione del cacciatorpediniere; il caposcorta Capponi può vedere il momento del lancio del siluro, e lo spruzzo d’acqua sollevato dall’impatto dell’arma con la superficie del mare. Il Granatiere accelera e mette tutta la barra a sinistra, per evitare il siluro; dopo parecchi secondi, l’arma colpisce invece il Casaregis, che si trova a prora a dritta del cacciatorpediniere.
Alle 6.30, Capponi ordina al Bersagliere di recuperare l’equipaggio del piroscafo silurato; trovandosi già nei pressi, anche il Granatiere rimane per fornire assistenza.
Alle 6.45, le prime luci dell’alba mostrano il Casaregis traversato al mare, fortemente sbandato a sinistra, con la prua sommersa fino alle cubie; il piroscafo scarroccia verso nordovest, circondato da innumerevoli zatterini ed imbarcazioni cariche di naufraghi.
Granatiere e Bersagliere, per recuperare prima possibile tutti i superstiti, si mettono entrambi a trarre in salvo i naufraghi. Alle 6.47, intanto, l’Alpino riferisce di aver abbattuto un aereo, che precipita nelle sue vicinanze.
Le sempre più precarie condizioni del Casaregis, sul quale scoppia anche un incendio, impediscono il rimorchio, anche se la nave ci metterà parecchie ore ad affondare, tanto che a mezzogiorno il Bersagliere, su ordine del caposcorta, dovrà finirlo a cannonate, affondandolo in posizione 34°02’ N e 12°42’ E (per altra fonte 34°10’ N e 12°38’ E), circa ottanta miglia a nord-nord-ovest di Tripoli.
Alle 16.30 le unità superstiti del convoglio arrivano a Tripoli.
14 ottobre 1941
La Cascino salpa da Tripoli e viene inviata incontro ad un convoglio in arrivo dall’Italia, composto dai piroscafi Nirvo e Bainsizza e dal rimorchiatore tedesco Max Berendt, scortati dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito) e Sebenico. All’1.45 della notte il Bainsizza è stato colpito da aerosiluranti, rimanendo immobilizzato con l’assistenza del Max Berendt e la scorta del Sebenico (affonderà l’indomani); la Cascino raggiunge il gruppo costituito dall’indenne Nirvo e dal Da Recco, che hanno proseguito dopo l’attacco, rinforzandone la scorta nel tratto finale della navigazione fino all’arrivo a Tripoli, dove le tre navi giungono alle 12.30.
19 ottobre 1941
La Cascino, insieme ai rimorchiatori Marsigli e Max Barendt, salpa da Tripoli su ordine del locale Comando Marina, per andare in soccorso del piroscafo Caterina, colpito da un aerosilurante alle 23.45 del giorno precedente in posizione 34°04’ N e 12°55’ E.
Alle 17.30, dopo vani tentativi di rimorchio, il Caterina cola a picco a 62 miglia per 350° da Tripoli; la Cascino trae in salvo i 185 superstiti, su 199 uomini che erano imbarcati sul piroscafo.
Secondo altra versione, invece, i naufraghi del Caterina sarebbero stati recuperati dal cacciatorpediniere Alfredo Oriani, mentre la Cascino, insieme alla torpediniera Calliope, al cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed ai rimorchiatori Ciclope (italiano) e Max Berendt (tedesco, inizialmente inviato in aiuto del Caterina), tutti usciti da Tripoli, sarebbe stata inviata in soccorso del piroscafo Beppe, appartenente allo stesso convoglio del Caterina e silurato anch’esso, ma da un sommergibile (l’HMS Ursula). A differenza del Caterina, il Beppe, dopo tre giorni di difficile navigazione a rimorchio, riuscirà a raggiungere Tripoli alle otto del mattino del 21 ottobre.
26 ottobre 1941
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi alle 16, scortando il piroscafo italiano Pertusola ed il piroscafo tedesco Brook.
29 ottobre 1941
Il convoglietto giunge a Bengasi alle 14.

(da www.photoship.co.uk)

10 novembre 1941
La Cascino e la più moderna torpediniera Calliope (caposcorta) partono da Bengasi a mezzogiorno per scortare a Tripoli i piroscafi Ascianghi, Imperia e Pertusola (quest’ultimo a rimorchio dell’Imperia).
11 novembre 1941
Alle 16.15 il sommergibile britannico Ursula (tenente di vascello Arthur Richard Hezlet), in agguato venti miglia a sudest di Misurata, avvista fumo verso sud, ed alle 17.30 avvista il convoglio di cui fa parte la Cascino. Hezlet stima la composizione del convoglio come “due navi mercantili (una di 2000 tonnellate, una di 1000 tonnellate che stava rimorchiando un veliero)” con la scorta di due torpediniere, una delle quali viene identificata come appartenente alla classe Spica (la Calliope), mentre la Cascino viene addirittura identificata per nome dal comandante britannico. Alle 17.52, in posizione 32°07’ N e 15°26’ E, l’Ursula lancia tre siluri contro il mercantile più grande (il Pertusola), ma questi avvista le scie ed evita i siluri con la manovra, dopo di che alle 17.55 sia la Cascino che la Calliope accostano verso il sommergibile. L’Ursula scende in profondità e si prepara a subire la caccia, che puntualmente ha luogo dalle 18 alle 18.10 con il lancio di 14 bombe di profondità da parte della Calliope; tutte esplodono piuttosto vicine al sommergibile, che tuttavia non subisce danni (da parte italiana, avendo avvertito tre esplosioni subacquee e visto della nafta in superficie, si ritiene erroneamente di averlo affondato).
12 novembre 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14.50, dopo di che la Cascino viene inviata all’assistenza del piroscafo Priaruggia al largo di Misurata, dopo che questa nave è stata danneggiata da un attacco di bombardieri britannici durante la navigazione in convoglio da Tripoli a Bengasi. Da Tripoli viene inviato sul posto anche il rimorchiatore Ciclope, che tuttavia non riesce a prendere il Priaruggia a rimorchio ed è costretto a tornare in porto; la Cascino rimane ad assistere il piroscafo, che rimane all’ancora al largo di Misurata.
Successivamente il Ciclope, tornato sul posto, riesce a prendere il Priaruggia a rimorchio e dirige verso Tripoli, con la scorta della Cascino.
13 novembre 1941
Cascino, Ciclope e Priaruggia arrivano a Tripoli.
23 novembre 1941
La Cascino viene inviata da Tripoli a Buerat per assumere la scorta di un convoglio proveniente da Bengasi e diretto a Tripoli, composto dal Brook e dalla piccola motonave frigorifera Amba Aradam, scortati dalla cannoniera-cacciasommergibili Selve.
Dopo l’arrivo della Cascino, il convoglietto lascia Buerat alla volta di Tripoli alle 7.45.
24 novembre 1941
Le navi giungono a Tripoli alle 9.15.
27 novembre 1941
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi alle 21, scortando il Brook, la motonave frigorifera Emilio e la piccola motocisterna Labor.
30 novembre 1941
Il convoglio giunge a Bengasi alle 11.30.
1° dicembre 1941
Alle 18 la Cascino parte da Bengasi per scortare a Tripoli il piroscafo tedesco Spezia.
4 dicembre 1941
Cascino e Spezia giungono a Tripoli alle 9.
17 dicembre 1941
La Cascino, insieme al rimorchiatore Ciclope ed alla nave soccorso Laurana, viene inviata in soccorso della nave cisterna Lina, colpita da aerosiluranti in posizione 33°58’ N e 12°03’ E; la petroliera affonderà però ugualmente.
18 dicembre 1941
La Cascino salpa da Tripoli per Bengasi alle 21, scortando il rimorchiatore Ercole.
21 dicembre 1941
Cascino ed Ercole giungono a Bengasi a mezzogiorno; sei ore più tardi la Cascino ne riparte di scorta alla motonave tedesca Ankara, diretta a Tripoli con a bordo 1400 prigionieri britannici.
23 dicembre 1941
Cascino ed Ankara arrivano a Tripoli alle 13.45.
5 gennaio 1942
Alle 14.30 la Cascino salpa da Tripoli per scortare a Palermo, via Trapani, il piroscafo frigorifero Perla (capitano di lungo corso Renato Labriola), di ritorno scarico in Italia.
I comandi britannici vengono a sapere della partenza delle due navi il giorno stesso, grazie alle decrittazioni di “ULTRA” («Il Perla scortato dalla torpediniera Cascino deve lasciare Tripoli alle ore 17.00 del giorno 5 diretto a Palermo, velocità 7 nodi, dove dovrà arrivare alle 08.00 del giorno 8»).
6 gennaio 1942
In serata Cascino e Perla, ormai non lontane da Pantelleria, vengono avvistate da un ricognitore britannico, che illumina il Perla con un lancio di bengala; qualche ora dopo, durante la notte, le due navi vengono attaccate da bombardieri, ma non subiscono danni (gli aerei si limitano a sganciare poche bombe mentre sorvolano i due bastimenti).
7 gennaio 1942
Alle 4.20 piroscafo e torpediniera vengono nuovamente attaccati, stavolta da due o quattro aerosiluranti Fairey Albacore (appartenenti all’828th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Malta), quando sono a 35 miglia per 215° da Pantelleria. La reazione della Cascino costringe gli aerei a lanciare i loro siluri dalla notevole distanza di 2000 metri; anche così, però, una delle armi colpisce il Perla, decretandone la fine. Dopo ore di sforzi per mantenerlo a galla, l’equipaggio deve abbandonarlo; il comandante del piroscafo, resosi conto che un fuochista manca all’appello, ritorna a bordo con tre volontari e trova e porta in salvo il disperso, rimasto ferito.
La Cascino recupera tutti i 78 uomini dell’equipaggio del Perla; non vi sono vittime. Dopo un’agonia protrattasi per quasi dieci ore, alle 14.15 il piroscafo si abbatte sul fianco sinistro ed affonda venti miglia a sud di Pantelleria.
Alla Cascino non rimane che dirigere per Trapani, dove giunge alle 15.15, sbarcandovi i naufraghi.

La Cascino nel 1942 (foto Signoriniello, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

11 maggio 1942
La Cascino, insieme all’incrociatore ausiliario Lorenzo Marcello ed alla torpediniera Francesco Stocco, scorta da Bari a Durazzo i piroscafi Italia e Rosandra carichi di truppe e rifornimenti.
16 maggio 1942
La Cascino, insieme a Stocco e Marcello, scorta Italia e Rosandra carichi di truppe rimpatrianti da Durazzo a Bari.
Maggio 1942
La Cascino, insieme alle gemelle Cantore, Montanari e Prestinari, forma il III Gruppo Torpediniere, alle dipendenze del Comando Marina di Bengasi.
28 maggio 1942
La Cascino scorta la nave cisterna Dora C. da Bari a Valona.
30 maggio 1942
La Cascino, la torpediniera Giacomo Medici e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Italia, Chisone e Rosandra, carichi di truppe e materiali.
8 giugno 1942
Cascino, Medici e Brioni scortano il Rosandra ed un altro piroscafo, l’Aventino, da Bari a Durazzo con un truppe e materiali.
27 luglio 1942
Cascino e Brioni scortano il piroscafo Quirinale, carico di truppe e materiali, da Bari a Durazzo.
17 agosto 1942
Alle 13.58 il sommergibile britannico P 43 (tenente di vascello Arthur Connuch Halliday) avvista ad ovest dell’isola di Santa Maura (Leucade), verso nord, le alberature della motonave Chisone, scortata dalla Cascino. Halliday identifica i suoi bersagli come “un mercantile parzialmente carico diretto verso sud… scortato da una torpediniera italiana vecchio tipo”; un aereo, o forse due (uno è stato visto dal P 43 già alle 13.50, verso sud), è intento a pattugliare la zona. Il sommergibile manovra per attaccare, ed alle 14.24, in posizione 38°42’ N e 20°31’ E, lancia quattro siluri contro la Chisone da una distanza di 1830 metri; uno dei siluri, al momento del lancio, produce uno schizzo d’acqua, che Halliday ritiene sia stato notato dalle navi italiane. Subito dopo il lancio, il P 43 scende in profondità.
La Chisone avvista le scie di tre dei siluri, e riesce ad evitarli con una rapida accostata, vedendoli poi passare a poca distanza a proravia; la Cascino passa al contrattacco, lanciando nove bombe di profondità tra le 14.32 e le 14.46, ed anche un velivolo della scorta aerea interviene e sgancia un paio di bombe. Il sommergibile subisce soltanto danni lievi.
18 agosto 1942
La Cascino scorta da Patrasso a Navarino la piccola nave frigorifera Genepesca I.
26 agosto 1942
La Cascino (tenente di vascello Gustavo Galliano, 42 anni, da Torino) parte da Suda alle 23, scortando, insieme al cacciatorpediniere tedesco ZG 3 Hermes (caposcorta) ed alla torpediniera italiana Sirio, un convoglio formato dai piroscafi Istria e Dielpi e dalle motozattere MZ 744 e MZ 758.
Poco dopo la partenza, il convoglio si divide in due gruppi, che proseguono separatamente: la Cascino dirige per Bengasi scortando il Dielpi, mentre le altre navi fanno rotta verso Tobruk. (Secondo altra fonte, Cascino e Dielpi nelle prime ore di navigazione navigarono insieme non ad Istria, Sirio ed Hermes, bensì alle motonavi Tergestea e Manfredo Camperio, ai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e Giovanni Da Verrazzano ed alle torpediniere Polluce e Climene, dirette anch’esse in Cirenaica).
Il convoglietto Cascino-Dielpi fruisce di una scorta aerea di tre bombardieri, cioè un trimotore CANT Z. 1007 bis della 230a Squadriglia, 95° Gruppo, 35° Stormo da Bombardamento Terrestre della Regia Aeronautica, e due bimotori Junkers Ju 88 della Luftwaffe.
(Per altra fonte, Cascino e Dielpi partirono da Suda contemporaneamente, ma non insieme, a quattro altri convogli – motonavi Tergestea e Manfredo Camperio, cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, torpediniere Polluce e Climene; motonave Unione e cacciatorpediniere Folgore; nave cisterna Giorgio, piroscafo Anna Maria Gualdi, torpediniere SirioOrsa e Partenope; piroscafo Istria, cacciatorpediniere Hermes, torpediniera Pegaso –; Cascino e Dielpi navigarono per un breve tratto insieme al convoglio Tergestea-Camperio, da cui poi si separarono).
Già da giorni, però, le navi del convoglio sono “tenute d’occhio” da “ULTRA”. Già il 21 agosto un primo dispaccio di “ULTRA” ha menzionato, tra le altre cose, che «La petroliera Poza Rica ed il Dora, scortati da Aviere, Camicia Nera, Ciclone e Climene, hanno lasciato Messina alle 23.45 del 19. Il convoglio deve passare lungo le coste greche e unirsi al Dielpi che uscirà da Patrasso alle 5.30 del 22. Alle 21.00 del 23 il convoglio si dividerà: Dielpi e Dora procederanno per Tobruk dove essi arriveranno alle 17.00 del 24 (…)». Dopo il danneggiamento della Poza Rica ad opera di aerosiluranti britannici (la petroliera non è affondata, ma la si è dovuta portare ad incagliare a Corfù), però, i programmi sono cambiati, così il 22 agosto, sulla scorta di nuove intercettazioni, “ULTRA” riferisce invece ai comandi britannici che «…Il Dielpi che doveva congiungersi al convoglio Poza Rica è stato inviato a Suda insieme all’Istria, entrambi provenienti dal Pireo. Dielpi e Kreta probabilmente procederanno da Suda per Tobruk». Il 23 agosto quest’ultima affermazione è stata reiterata («Il Dielpi ed il Kreta lasceranno la baia di Suda per Tobruk»), mentre il 25 agosto sono stati aggiunti maggiori particolari: «Il Dielpi dovrà salpare da Suda alle 12.00 del 26 e arrivare a Bengasi alle 16.00 del 28, velocità 7 nodi». La penultima comunicazione di “ULTRA”, quella del 26, non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto già si sa («Il Dielpi deve giungere a Bengasi il 28 agosto da Suda»). Nelle prime ore del 27 agosto, infine, i decrittatori di “ULTRA” decifrano una comunicazione della Luftwaffe del mattino del 24 agosto (MKA 2628) relativa all’assegnazione della scorta aerea al Dielpi, nella quale è menzionata, tra l’altro, la rotta che questo dovrà seguire, con gli orari ed i punti previsti per l’incontro con gli aerei tedeschi. L’importante informazione viene trasmessa al Cairo con un dispaccio d’emergenza.
27 agosto 1942
In mattinata il convoglio Cascino-Dielpi viene avvistato da un Supermarine Spitfire del 69th Squadron della RAF, il BR663 pilotato dal sottotenente Coldbeck (altra fonte parla di un ricognitore britannico decollato dall’Egitto), un centinaio di miglia a nord di Derna. Un ricognitore Martin Baltimore, l’AG375 pilotato dal sergente Shulman, viene inviato a pedinare il convoglietto, mentre si prepara un attacco di aerosiluranti.
Quest’ultimo ha luogo al largo di Tolmetta (Cirenaica) verso le 18.30, mentre il sole tramonta: ad attaccare il Dielpi sono nove (per altra fonte sette) aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force (altra fonte parla del 217th Squadron), guidati dal tenente Ken R. Grant (altra fonte parla del maggiore Patrick Gibbs) e scortati da nove o dieci caccia Bristol Beaufighter del 227th Squadron, al comando del tenente colonnello Donald Ross Shore, quattro (o cinque) dei quali dotati di bombe da 250 libbre (113 kg).
Sulla base di informazioni (evidentemente le citate decrittazioni di “ULTRA”) che riferivano che il Dielpi era in navigazione da Suda a Bengasi con la scorta di un’unica torpediniera, gli aerei britannici sono decollati dalla base maltese di Luqa verso le quattro del pomeriggio, per poi dirigersi verso il loro obiettivo volando bassi sul mare, osservando un rigido silenzio radio. I Beaufighters, per tenere il passo dei più lenti Beauforts, compiono dei leggeri zig zag.
Quando vengono avvistate le navi italiane, ad una sessantina di miglia dalla costa libica, il tenente Grant spara un razzo Very giallo, segnale che gli aerosiluranti sono pronti per l’attacco. A questo punto, i Beaufighters sfrecciano in avanti, ed i quattro che sono armati con bombe le sganciano contro il Dielpi, mentre tutti ne spazzano il ponte con le mitragliatrici. Altri Beaufighters, intanto, mitragliano la Cascino, forandone lo scafo in alcuni punti e provocando alcuni allagamenti di limitata entità.
Due delle bombe sganciate centrano il Dielpi; il Beaufighter del tenente colonnello Shore, in particolare, rivendica una bomba a segno sulla poppa. I fusti di benzina trasportati dal piroscafo prendono fuoco, dando inizio ad un incendio che va rapidamente estendendosi. Il quinto Beaufighter della formazione, il T5150 ‘K’ pilotato dal sottotenente canadese Dallas W. Schmidt (arrivato a Malta da pochi giorni insieme al suo navigatore, il sergente scozzese Andrew B. Campbell), è l’ultimo ad attaccare, essendo l’ultimo nel gruppo dei Beaufighters privi di bombe; mentre risale dal livello del mare per prepararsi alla picchiata, Schmidt avvista davanti a sé un bombardiere italiano CANT Z. 1007, parte della scorta aerea del convoglio (è appunto il CANT Z. 1007 bis del 35° Stormo, pilotato dal sottotenente Giuseppe Vulcani). Schmidt vira subito a sinistra e si porta alle spalle dell’aereo italiano, che apre il fuoco contro di esso con le due mitragliatrici ventrali da 12,7 mm. Il tiro del CANT Z. colpisce sia il motore di sinistra del Beaufighter di Schmidt che le mitragliatrici della sua ala destra, mettendo queste ultime fuori uso; l’aereo britannico reagisce con i quattro cannoncini e con le mitragliere rimaste in efficienza, distruggendo la coda del trimotore italiano con la prima raffica – o almeno così riterrà – ed incendiando il suo motore destro con la seconda, mentre dopo pochi secondi anche il motore sinistro del bombardiere subisce la stessa sorte. Il CANT Z. 1007 inizia a precipitare, sempre seguito dal Beaufighter, finché improvvisamente i due motori incendiati esplodono ed il velivolo precipita in mare, o così crede Schmidt, che osserva l’ultima fase dell’apparente agonia dell’aereo italiano “di sbieco”, attraverso uno dei finestrini laterali, perché quelli anteriori sono stati completamente “oscurati” dall’olio gettato su di essi dall’esplosione dei motori dell’aereo italiano. È probabilmente per questo che il pilota canadese ha preso un granchio: per quanto malridotto, il CANT Z. 1007 del sottotenente Vulcani (matricola MM 23406, aereo numero 5 della 230a Squadriglia) non precipita in mare, ma riesce a raggiungere Derna dove effettua un atterraggio d’emergenza, senza feriti tra il suo equipaggio (il sottotenente Vulcani, il copilota sergente maggiore Luigi Di Lallo, ed altri tre uomini). 
Schmidt rientrerà a sua volta alla base con il suo aereo danneggiato: il motore di sinistra, per quanto sforacchiato, funziona ancora, perdendo però parecchio olio e carburante (finiranno entrambi nell’istante stesso dell’atterraggio a Luqa; dopo l’atterraggio Schmidt scoprirà che i colpi di mitragliatrice del CANT Z. hanno spazzato via le valvole di selezione del carburante, ma per sua fortuna aveva già impostato l’alimentazione dai serbatoi principali prima dell’attacco).
Meno fortuna ha un altro dei Beaufighters, il X8035 ‘J’ del 227th Squadron, che viene abbattuto dalle mitragliere dell’aereo di Vulcani, con la morte dei due componenti del suo equipaggio (sergenti Kenneth Seddon ed Eric O’Hara). Come ha fatto Schmidt, anche da parte italiana si pecca di ottimismo nel valutare le perdite inflitte all’avversario: i mitraglieri del CANT Z. 1007 ritengono di aver abbattuto due Beaufighters, anziché uno (forse l’altro Beaufighter “abbattuto” è proprio quello di Schmidt: nel qual caso si avrebbe un caso di reciproco, erroneo, rivendicato abbattimento). Per parte sua, il maggiore W. C. Wigmore, pilota del Beaufighter T4666 ‘Y’ del 227th Squadron, rivendica erroneamente il probabile abbattimento di uno Ju 88.
Mentre infuria la battaglia tra i Beaufighters ed i velivoli della scorta aerea, alle 18.38 (o 18.30; le 18.45 secondo fonti britanniche), anche gli aerosiluranti sono andati all’attacco: due dei siluri centrano il Dielpi, che esplode e si spezza in due, affondando in fiamme in meno di due minuti, nel punto 33°38’ N e 21°03’ E (o 33°38’ N e 21°23’ E), a nord di Tolmetta/Tolemaide e circa 80-90 miglia a nord di Derna.
I piloti britannici riferiranno nei loro rapporti di aver lasciato il bersaglio “in fiamme ed in affondamento, con il ponte semisommerso e la chiglia spezzata”. Dopo l’attacco, i Beauforts in fase di allontanamento vengono attaccati dagli Ju 88, che sono però respinti dal pronto intervento dei Beaufighters, senza riuscire ad abbattere nessuno degli aerosiluranti.
Parecchi uomini del Dielpi si sono gettati in mare già prima dell’esplosione finale; la Cascino, per prestare soccorso ai naufraghi, non esita ad attraversare la zona di mare coperta di carburante in fiamme. Grazie al pronto intervento della torpediniera, è possibile trarre in salvo 60 dei 67 uomini che si trovavano a bordo del Dielpi. Le vittime sono sette; molti dei superstiti rimangono feriti od ustionati.
Il comandante Galliano della Cascino sarà decorato con la Croce di Guerra al Valor Militare per questo salvataggio («Comandante di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccato da aerei nemici, che colpivano l’unità con azione di mitragliamento, provocando l’allagamento di alcuni locali, manovrava prontamente e dirigeva con tempestività e perizia l’impiego delle armi, riuscendo ad abbattere e a colpire alcuni apparecchi attaccanti. Si prodigava successivamente con abnegazione, nell’opera di salvataggio dei naufraghi di un piroscafo silurato, resa difficile a causa dell’incendio del combustibile riversatosi in mare, riuscendo a ridurre al minimo la perdita di vite umane»). Analoga decorazione, per lo slancio mostrato nel salvataggio dei naufraghi, sarà conferita al comandante in seconda della Cascino, sottotenente di vascello Franco Masala, ed al guardiamarina Vittorio Janeke, nonché ai cinque uomini che hanno armato il battello che provvede al salvataggio dei superstiti del Dielpi: il secondo nocchiere Edoardo Ronda ed i marinai Carmelo Leonardi, Mario Befani, Giovanni Monti e Luigi Tota («Imbarcato su torpediniera di scorta a convoglio, attaccato da aerei nemici che mitragliavano l’unità, assolveva il suo compito con sereno coraggio e attaccamento al dovere. Durante le successive operazioni di salvataggio del personale di un piroscafo silurato, imbarcava su un battello e, incurante degli scoppi e dell’incendio del combustibile, riversatosi in mare, provvedeva al recupero di numerosi naufraghi feriti e ustionati, dimostrando perizia marinaresca ed elevato spirito di altruismo»).
28 agosto 1942
La Cascino salpa da Bengasi alle 20 per scortare a Tripoli il piroscafo Scillin.
30 agosto 1942
Cascino e Scillin arrivano a Tripoli alle 17.30.
6 settembre 1942
La Cascino parte da Tripoli per Bengasi alle 14, scortando il piroscafo tedesco Santa Fe.
8 settembre 1942
Cascino e Santa Fe arrivano a Bengasi alle 11.30.
Alle 19 la Cascino riparte insieme alla più moderna torpediniera Castore (caposcorta) scortando il piroscafo italiano Siculo ed il tedesco Kreta, diretti a Tobruk.
10 settembre 1942
Il convoglio giunge a Tobruk alle 18.40.

La Cascino nel 1942-1943; sulla sinistra la Giacomo Medici (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

13 settembre 1942
La Cascino trae in salvo da nove lance (altre due, separatesi dal gruppo dopo un tentativo di tornare a bordo per salvare la nave, hanno raggiunto la costa autonomamente) i naufraghi della nave ospedale Arno, affondata due giorni prima da aerosiluranti britannici in posizione 33°14’ N e 23°23’ E, a circa 80 miglia da Tobruk ed a 40 da Ras el Tin. Essendo in viaggio di andata verso la Libia, l’Arno non aveva fortunatamente a bordo pazienti, ma soltanto l’equipaggio ed il personale sanitario (più un gruppetti di sanitari tedeschi diretti in Africa); dopo aver ordinatamente abbandonato la nave, che affondava molto lentamente (quasi dieci ore sono trascorse tra il siluramento e l’inabissamento, permettendo ad un gruppo di volontari di tornare a bordo per prelevare coperti, indumenti e provviste), i naufraghi hanno trascorso sulle lance due giorni ed una notte. La Cascino li porta a Tobruk.
14 settembre 1942
La Cascino si trova a Tobruk quando la città libica viene attaccata a sorpresa, via mare e via terra, da commandos britannici che tentano, con un colpo di mano, di occupare temporaneamente Tobruk per distruggerne le installazioni militari: è l’operazione «Daffodil», parte della più ampia operazione «Agreement».
Il piano britannico prevede che Tobruk sia attaccata contemporaneamente da commandos sbarcati dal mare e da una colonna di camionette provenienti dal deserto, quindi occupata per 24 ore, durante le quali distruggere le infrastrutture portuali, i mezzi navali presenti in rada (tranne dieci motozattere delle migliori, da catturare), i depositi di carburante dell’Afrika Korps, le officine per la riparazione dei carri armati ed ogni altro deposito. Le dieci motozattere trovate in miglior efficienza nel porto, inoltre, devono essere catturate ed inviate ad Alessandria con a bordo prigionieri italiani, eventuali prigionieri britannici liberati, feriti e materiale di bottino.
La forza navale d’attacco britannica è suddivisa in due gruppi: la Forza A, con i cacciatorpediniere Sikh e Zulu, che dovranno sbarcare 380 uomini (Royal Marines, nonché un distaccamento di artiglieria contraerea e di difesa costiera, ed una sottosezione della 295ª compagnia campale del Genio) a nord del porto, poi entrare nel porto per distruggere le navi italiane lì presenti e quindi reimbarcare i commandos e prendere nuovamente il largo; e la Forza C (capitano di vascello Denis Jermain), con le motosiluranti MTB 260261262265266267268307308309310311312314315 e 316 (appartenenti alla 10th e 15th Motor Torpedo Boat Flotilla ed aventi a bordo dieci soldati ciascuna) e le motolance ML 349352 e 353 (che rimorchiano diversi piccoli mezzi da sbarco di fortuna), che dovranno sbarcare in tutto 200 uomini (una compagnia del reggimento Argyll and Sutherland Highlanders, il 1° plotone mitraglieri del reggimento Royal Northumberland Fusiliers, due moto sezioni della 295ª compagnia campale del Genio, un distaccamento di artiglieria contraerea, un distaccamento segnalatori d’armata e un distaccamento di sanità; sulle motolancie è imbarcato un reparto di guastatori e specialisti della Royal Navy, con le cariche e i mezzi di demolizione, al comando del capitano di corvetta Nicholls) a sud del porto per agire in coordinazione con la colonna di camionette giunta via terra (e, dopo lo sbarco, entrare nella rada e silurare e affondare tutte le navi presenti).
Quest’ultima, denominata Forza B, è composta da 18 camionette e da 83 uomini del Long Range Desert Group; proveniente dall’oasi di Cufra, distante ben 1500 chilometri, dovrà infiltrarsi nel perimetro difensivo di Tobruk alle 20.45 camuffando i suoi uomini in parte da soldati tedeschi (a questo scopo, sono stati aggregati alla Forza B sei uomini dello Special Interrogation Group, ebrei tedeschi fuggiti in Palestina ed arruolatisi nell’esercito britannico: vestiti con divise dell’Afrika Korps, guideranno quattro autocarri britannici camuffati con insegne tedesche e carichi dei loro commilitoni, che si fingeranno prigionieri; altri soldati britannici, anch’essi travestiti da soldati tedeschi, fingeranno di sorvegliare i prigionieri) ed in parte da prigionieri di guerra, quindi attaccare le forze italo-tedesche e creare una testa di sbarco per la Forza C, conquistando per prima cosa una batteria situata a Marsa Sciausc, sul lato orientale della baia, antistante il punto designato per lo sbarco della Forza C. Una volta occupata Marsa Sciausc, tre motosiluranti della Forza C sbarcheranno alle 00.30 un primo gruppo di 150 assaltatori, che rinforzeranno l’esigua Forza B. Lo sbarco sarà appoggiato da un’altra formazione navale, la Forza D, con l’incrociatore antiaereo Coventry (capitano di vascello Ronald John Robert Dendy) ed i cacciatorpediniere BelvoirBeaufortAldenhamExmoorDulvertonHursleyHurtworth e Croome.
Per sbarcare gli uomini sono state realizzate in Egitto alcune decine di rudimentali barconi a fondo piatto: Sikh e Zulu hanno a bordo sei barconi a motore ciascuno (con motore Ford), sistemati in coperta, e ne rimorchiano nove senza motore ciascuno (che al momento dello sbarco dovranno essere presi a rimorchio da quelli a motore), per un totale di trenta.
Le difese costiere di Tobruk consistono in tredici batterie antinave munite di 47 cannoni di medio calibro, perlopiù da 120/40 mm Mod. 1889 e 1891 oltre ad alcuni più moderni pezzi da 152/45; quelle antiaeree contano 78 pezzi contraerei (48 italiani e 30 tedeschi; questi ultimi appartengono al Flakgruppe Tobruk del colonnello Hartmann, formato da pezzi e personale dei Flak-Regiment 114 e 914, e comprendono una “Großbatterie” situata sul promontorio di Tobruk e composta da ben dodici pezzi da 88 mm, al comando del tenente Vieweg) in 17 batterie. Vi sono poi tre batterie di mitragliere da 20 mm.
Il presidio della piazzaforte è molto scarno: un battaglione di fanti di Marina del Reggimento «San Marco», un centinaio di uomini del XVIII Battaglione Carabinieri Reali, alcuni reparti del V Battaglione Libico, una compagnia di formazione della Marina, nonché il personale addetto ai servizi della base navale e quello delle batterie. Dovrebbero esservi anche due battaglioni tedeschi di 700 uomini, in via di addestramento, ma sono a Tobruk soltanto di giorno, mentre di notte sono acquartierati ad una trentina di chilometri di distanza.
In porto sono presenti tre torpediniere del III Gruppo (oltre alla Cascino, la Castore e la Montanari) e 17 motozattere tra italiane e tedesche.
Il gruppo navale britannico lascia Alessandria d’Egitto tra il 12 ed il 13 settembre. La sera del 13 settembre gli uomini della Forza B attaccano le posizioni loro assegnate tra Tobruk e Marsa Sciausc (una località sulla sponda meridionale della baia di Tobruk), sopraffacendo i capisaldi italiani e segnalando il “via libera” alle unità della Forza C.
I comandi italiani, però, insospettiti dalla maggiore intensità, rispetto al solito, delle incursioni aeree su Tobruk (iniziate alle 20.30 del 13, circa due ore prima del solito, e proseguite sino alle 3.15 con l’impiego di bombardieri B-24 Liberator – che sganciano oltre 70 tonnellate di bombe –, Handley Page Halifax e Vickers Wellington per un totale di 91 velivoli, che eseguono azioni di bombardamento e mitragliamento) hanno intensificato la sorveglianza lungo la costa.
Le prime fasi dell’attacco britannico sul lato di terra sembrano procedere secondo i piani: grazie al loro travestimento, riescono a trarre in inganno le sentinelle, uccidendole e superando così i posti di blocco. Una volta all’interno del perimetro della piazzaforte, occupano un edificio che adibiscono a quartier generale. Non volendosi gravare con dei prigionieri, la condotta degli uomini della Forza B in questa fase è a dir poco criminale: a sud di El Adem, infatti, i britannici s’imbattono in un autocarro della Regia Aeronautica con a bordo il sottotenente Amleto Fortuna, il sergente Antonio Petruccini, quattro avieri (Antonio Pollastrini, Germano Serafini, Enzo Bisi e Giuseppe Esposito) ed un operaio civile, Alberto Pompili. Dopo averli circondati e disarmati con l’inganno – gli italiani, dalle loro divise, li credono tedeschi –, gli uomini della Forza B li interrogano brevemente, poi li abbattono con una raffica di mitra. Soltanto due avieri, Esposito e Serafini, creduti morti, si salveranno e potranno raccontare l’accaduto.
Alle 22 la Forza B dà inizio all’attacco a Marsa Sciausc, isolando tale settore con la recisione di tutte le linee di comunicazione e poi assaltando le batterie che vi si trovano. La prima ad essere attaccata è la batteria 825: i serventi di una postazione vengono tutti uccisi, ma quelli della postazione successiva, sebbene colti di sorpresa, riescono a difendersi con lancio di bombe a mano, e soprattutto ad inviare una staffetta a dare l’allarme. Alle 23.40 un ufficiale italiano sfuggito alla cattura da una delle batterie d’artiglieria attaccate telefona al comando; insieme all’intercettazione, da parte italiana, del messaggio di uno dei cacciatorpediniere, ciò mette in allarme la piazzaforte.
La Cascino, la gemella Montanari, la più moderna torpediniera Castore e 17 motozattere, su ordine del comandante di Marina Tobruk, capitano di vascello Temistocle D’Aloya, d’accordo con il comandante interinale del settore (colonnello Battaglia del Regio Esercito, che ha temporaneamente sostituito il generale di divisione Ottorino Giannantoni, comandante titolare, ricoverato alcuni giorni prima all’ospedale di Bardia) e con il comandante di Marina Libia (ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi, avente anch’egli sede a Tobruk), vengono schierate lungo le ostruzioni retali, e saranno queste unità, con il loro fuoco, a respingere i tentativi della Forza C di entrare nella rada di Tobruk.
Già in precedenza il comandante D’Aloya ha avuto il primo sentore che qualcosa bolla in pentola quando ha ricevuto una segnalazione relativa all’avvistamento di un sommergibile britannico – poi messo in fuga dai mezzi antisommergibili locali – al largo del porto, molto vicino alla riva, in posizione insolitamente lontana rispetto alle rotte più frequentate: doveva esserci un motivo per mandare lì un sommergibile.
Ed infatti c’era: il sommergibile, il Taku (capitano di corvetta Jack Gethin Hopkins), avrebbe dovuto sbarcare sulla costa un gruppetto di quattro uomini incaricati di piazzare delle luci di segnalazione che avrebbero dovuto indicare il punto in cui sbarcare gli uomini della Forza A. Il tentativo, tuttavia, è stato abbandonato a causa delle avverse condizioni meteomarine.
Quando diviene chiaro che Tobruk è sotto attacco, il comandante D’Aloya, l’ammiraglio Lombardi ed il colonnello Battaglia stabiliscono una sorta di quartier generale combinato presso la sede del Comando Marina (non è invece presente il generale Otto Deindl, comandante delle truppe tedesche di stanza a Tobruk – Rückwärtigen Armeegebietes 556, cioè “556a area di retrovia” –, che in quel momento si trova a circa trenta chilometri dalla città e che sarà informato dell’attacco soltanto l’indomani mattina). A mezzanotte questo quartier generale viene raggiunto dalla notizia che unità autocarrate del Long Range Desert Group hanno penetrato le difese esterne dal lato di terra, congiungendosi con commandos sbarcati a Marsa Sciausc e catturando una batteria da 101 mm. Successivamente, i commandos e gli uomini del LRDG attaccano un’altra batteria, da 152 mm, situata più a sud, a Mersa Biad; ma il personale della batteria respinge l’assalto, e dà l’allarme generale a tutta la piazzaforte. A mezzanotte una batteria italiana dà l’allarme antisbarco, lanciando due razzi rossi; in breve si diffonde la notizia dell’attacco, e le batterie ricevono ordine di prepararsi alla battaglia ed all’occorrenza di sparare con i cannoni anche ad alzo zero.
L’unico reparto di pronto intervento a disposizione è una compagnia di 120 uomini del Reggimento «San Marco», al comando del tenente di vascello Giacomo Colotto; Lombardi, Battaglia e D’Aloya la mandano al contrattacco a Marsa Sciausc, mentre altri reparti del «San Marco», dislocati lungo la costa, vengono via via ingaggiati dalle truppe britanniche. La compagnia del tenente Colotto si reca sul luogo degli scontri a bordo di autocarri Fiat 626; strada facendo s’imbatte in due camionette del Long Range Desert Group, che la attaccano. Nel conseguente scontro a fuoco, gli uomini del «San Marco» distruggono una delle due camionette, mentre l’altra si allontana e qualcuno a bordo di essa inveisce “italiani figli di puttana, vi uccideremo tutti”.
Dopo un duro combattimento i presidi dei capisaldi italiani, gli uomini del Reggimento «San Marco» ed una compagnia appositamente costituita con marinai della Regia Marina passano al contrattacco e riescono a respingere la Forza B, costringendone i pochi superstiti alla fuga.
Quanto alla Forza C, all’1.45 del 14 sei sue motosiluranti (al comando del capitano di vascello Denis Jermain, imbarcato sulla MTB 309) giungono a due miglia per 270° da Punta Tobruk, ed alle due di notte una delle unità della 15th MTB Flotilla comunica al capitano di vasello Jermain di aver ricevuto il segnale convenzionale "Nigger", che significa che Mersa Sciausc è stata presa e che le motosiluranti possono procedere con lo sbarco. Le motosiluranti si dirigono pertanto verso la costa meridionale della rada di Tobruk, ma non riescono ad avvistare le luci rosse di segnalazione che dovrebbero essere in posizione: la lampada Aldis da usare per effettuarle, infatti, è fuori uso, così che il tenente Tommy B. Langton, comandante i segnalatori del SAS, è stato costretto a ripiegare su una torcia, con la quale effettua i tre segnali “Ts” rossi prestabiliti ogni tre minuti, ma tale fonte luminosa è troppo debole e non viene notata dalle motosiluranti. Il comandante Jermain decide pertanto di entrare direttamente nel porto con le sue motosiluranti per sbarcarvi le truppe e vedere se vi sono navi da attaccare; ma non appena le MTB 262, 266 e 309 si avvicinano al porto, vengono prese sotto un violento tiro incrociato da parte di artiglieria leggera ed armi di piccolo calibro dall’ingresso della rada e da entrambi i lati, e di artiglieria di piccolo e grosso calibro dal lato nord del porto. Oltre alle artiglierie di terra, un ruolo centrale nel respingere questo primo tentativo di sbarco è svolto dalle motozattere MZ 733 (sottotenente di vascello Calderara) e 759 (tenente di vascello Fulvi), dislocate a difesa delle ostruzioni all’ingresso della rada, che sparano sugli attaccanti con tutte le armi di cui dispongono. Anche le torpediniere ormeggiate in porto sparano nel buio; alcuni piccoli mezzi da sbarco vengono distrutti. (Secondo una fonte, un gruppo di motosiluranti apparve vicino all’imboccatura della rada e venne accolto a cannonate dalle MZ 728, 733 e 750; ciò richiamò l’attenzione delle vedette di Cascino e Castore, che aprirono il fuoco a loro volta).
Jermain ne trae l’impressione che la Forza B non sia riuscita a prendere Marsa Sciausc, o che sia stata respinta; delle sue sei motosiluranti, soltanto le MTB 261 (tenente di vascello C. C. Anderson) e 314 (tenente di vascello Harwin Woodthorpe Sheldrick), operando indipendentemente, riescono ad entrare in un’insenatura e sbarcarvi una sezione di fucilieri del Reggimento Royal Northumberland, e la MTB 314 (che non riesce più a governare, forse perché colpita dalla MZ 733) s’incaglia e dev’essere abbandonata sul posto, venendo successivamente catturata dal motodragamine tedesco R 10 insieme ad un centinaio di soldati britannici che si erano nascosti a bordo.
Nel mentre giunge sul posto anche un secondo gruppo di motosiluranti, al comando del capitano di fregata Robert Alexander Allen (comandante della 10th Flotilla), che non riesce a trovare un varco negli sbarramenti per entrare nella rada: tre delle motosiluranti lanciano pertanto i loro siluri contro lo sbarramento, tentando di distruggerne un tratto da dove poi penetrare, ma ogni volta che si avvicinano vengono illuminate dai fasci dei proiettori e costrette alla ritirata.
La Cascino viene coinvolta nel combattimento verso le 3.30 del 14, quando altre sei motosiluranti britanniche della Forza C arrivano sottocosta a bassa velocità per tentare di sbarcare i commandos a Marsa Sciausc senza essere individuate, ma vengono avvistate e fatte oggetto del vivace tiro dapprima della motozattera MZ 756 (sottotenente di vascello Longo), che le avvista per prima, e subito dopo anche della Cascino, della Castore, della Montanari e delle batterie costiere (la batteria "Dandolo", munita di due pezzi da 120 mm, e le mitragliere quadrinate tedesche da 20 mm della 3a e 4a  batteria del 914° Reggimento del Gruppo Contraereo Tobruk). Le navi italiane sparano rabbiosamente, con cannoni e mitragliere. Tre delle motosiluranti lanciano i propri siluri contro i bersagli che riescono ad intravedere nella baia, ma non ne mettono nessuno a segno; tutte e sei sono poi costrette a ritirarsi ed alcune colpite, una delle quali si allontana con incendio a bordo, lasciando dietro di sé una lunga scia di fumo. Le unità britanniche si sparpagliano e si allontanano verso est; alle 5.45 tre motosiluranti, riunitesi sotto il comando di Jermain, tentano un’ultima volta di avvicinarsi a Marsa Sciausc, ma sono di nuovo messe in fuga dall’intenso tiro di sbarramento delle unità italiane, effettuato con armi sia leggere che pesanti.
Intanto, alle due di notte la Forza B, ritenendo di avere ormai la spiaggia sotto controllo, comunica per radio alla Forza A di dare inizio allo sbarco; alle tre di notte Sikh e Zulu iniziano a trasbordare i trecento Royal Marines della prima ondata sui mezzi da sbarco, ma l’operazione procede a rilento. A terra, intanto, infuriano i combattimenti ed alle 3.30 il tenente colonnello John Edward Haselden, comandante della Forza B, rimane ucciso da un colpo alla testa.
La Forza A riesce a sbarcare solo un quarto dei suoi uomini, ma nel punto sbagliato della costa (a causa della mancanza delle luci di segnalazione che il Taku avrebbe dovuto posizionare), così che i commandos si ritrovano in pieno deserto, alcuni chilometri più ad ovest di dove dovrebbero essere; gli altri non possono essere sbarcati causa il mare mosso e l’inadeguatezza dei mezzi da sbarco.
I pochi uomini sbarcati dai due cacciatorpediniere s’imbattono nell’avamposto di Forte Perrone, che dà l’allarme: il comando italiano a Tobruk viene così a sapere anche di questo secondo attacco sul lato nord della piazzaforte. Non essendovi truppe pronte ad intervenire su questo lato, dato che la compagnia del «San Marco» è già stata inviata a fronteggiare l’attacco sul lato sud della piazzaforte, viene formata una compagnia improvvisata con cuochi, cambusieri e personale amministrativo del Comando, nonché alcuni carabinieri e trenta soldati tedeschi che si sono presentati spontaneamente per partecipare al contrattacco. Durante la marcia di avvicinamento a Forte Perrone, questo gruppo viene rinforzato da altri 50 carabinieri, raggiungendo così una forza complessiva di 160 uomini: alle 4.30 questo eterogeneo reparto incontra i Royal Marines della Forza A in avvicinamento sul lato nord e li impegna in combattimento, per poi aprire il fuoco, insieme al personale delle batterie, sui mezzi da sbarco in avvicinamento alle spiagge di Marsa El Auda e Marsa El Krisma. Alcuni dei barconi vengono affondati, gli altri sono dispersi e messi in fuga. Gran parte degli uomini della Forza A sono costretti alla resa mentre si trovano ancora bloccati in acqua; Sikh e Zulu, che dopo aver messo in mare i barconi si sono allontanati, tornano ad avvicinarsi alla costa per recuperare i superstiti ed appoggiare quanti sono a terra con le loro artiglierie, ma il personale del semaforo chiede alla vicina postazione contraerea della MILMART di puntare i suoi proiettori verso il mare: la richiesta viene esaudita, ed in breve vengono illuminati i due cacciatorpediniere, attorniati da numerosi barconi, ad un miglio e mezzo dalla costa.
Alle 5.05 il Sikh (capitano di vascello St John Aldrich Micklethwait), mentre sta imbarcando delle truppe dai mezzi da sbarco, viene illuminato da un proiettore, e subito dopo le batterie aprono il fuoco; un proiettile colpisce il cacciatorpediniere nel locale agghiaccio timoni, danneggiando gli organi di governo, mentre un altro fa esplodere una riservetta a prua, uccidendo o ferendo tutti i Royal Marines che la nave ha appena preso a bordo e che si trovano sul ponte, intrappolandone altri sottocoperta.
Le squadre d’emergenza fronteggiano gli incendi, ma la nave inizia a girare in cerchio a soli dieci nodi di velocità, in graduale diminuzione; un terzo proiettile mette fuori uso la centrale di direzione del tiro, e poco dopo il Sikh rimane del tutto immobilizzato. Lo Zulu lo prende a rimorchio per tentare di portarlo fuori dal raggio di tiro delle batterie costiere, ma prima di riuscirci altri due colpi vanno a segno, uccidendo il personale di uno dei complessi da 120 mm e scatenando un’altra esplosione ed un nuovo incendio a bordo. Poi si spezza il cavo di rimorchio; mentre se ne prepara un altro, un’altra cannonata distrugge la plancia. Mentre sorge l’alba, il nuovo cavo di rimorchio viene spezzato dall’ennesima cannonata, ed a questo punto viene persa ogni speranza di poter portare il Sikh in salvo: lo Zulu lo avvolge in una cortina fumogena per tentare poi di recuperarne l’equipaggio, ma il tentativo viene ritenuto troppo pericoloso, e lo Zulu riceve ordine di andarsene. Ormai solo, il Sikh viene martoriato da ulteriori salve delle batterie costiere, per poi essere autoaffondato dall’equipaggio con cariche esplosive, in posizione 32°05’ N e 24°00’ E. Le batterie continuano a martellarlo fino a quando non scompare sotto la superficie; 115 uomini perdono la vita, tutti i superstiti verranno presi prigionieri.
Anche lo Zulu (capitano di fregata Richard Taylor White) è stato colpito dalla batterie costiere, con danni ed incendi a bordo, ma è ugualmente in grado di procedere a 30 nodi. Tutti gli uomini sbarcati dalla Forza A sono uccisi o catturati.
Entro l’alba, “Agreement” si è ormai risolta in un sanguinoso fallimento; alle sette di mattina l’ammiraglio Lombardi può annunciare a Delease (Delegazione Africa Settentrionale, l’organismo di collegamento tra il comando dell’Armata Corazzata Italo-Tedesca ed il Comando Supemo a Roma) che la situazione è sotto controllo. Alle 7.40 gli ultimi commandos della Forza B, ormai circondati dagli uomini del “San Marco”, si arrendono. Quelli che indossavano divise tedesche se ne liberano ed indossano quelle dei compagni caduti, per evitare la fucilazione come spie. Soltanto dieci uomini della Forza B riescono a fuggire, affrontando a piedi l’attraversamento del deserto per tentare di raggiungere le proprie linee: solo quattro di essi ci riusciranno, dopo due mesi di peripezie, mentre gli altri moriranno di sete nel deserto o saranno attaccati da bande di nomadi ed uccisi o catturati e consegnati agli italo-tedeschi.
I mezzi navali britannici in ritirata, avvistati poco dopo le cinque da un Macchi 200 da ricognizione decollato alle prime luci dell’alba, sono martellati dall’aviazione italo-tedesca, subendo ulteriori perdite. La MTB 266 viene leggermente danneggiata da schegge di bombe, ma riesce a proseguire e trae in salvo i superstiti della MTB 312, affondata da caccia italiani Macchi Mc 200; la MTB 310 viene immobilizzata da aerei italiani e finita da aerei tedeschi (diciannove Ju 87s of III./StG 3, al comando del capitano Kurt Walter), il suo equipaggio raggiunge la costa con un battello d’assalto (moriranno tutti di sete tranne il comandante in seconda e due marinai, che saranno catturati una settimana dopo da truppe tedesche). Le motolancie ML 352 e ML 353 vengono affondate dai Macchi del 13° Gruppo da Caccia (maggiore Lorenzo Viale) del 2° Stormo da Caccia Terrestre (al comando del tenente colonnello Vincenzo Dequal, di base a Bengasi ed autore anche dell’affondamento della MTB 312), mentre la MTB 308, danneggiata da caccia italiani che verso le 7.30 mettono fuori uso uno dei suoi motori, diviene il bersaglio di una serie di attacchi da parte di Ju 87 dello StG3 e di Ju 88 del LG1: nell’ultimo di questi attacchi, uno Ju 88 viene colpito dal tiro contraereo della motosilurante e precipita su di essa, distruggendola con la perdita dell’intero equipaggio.
Alle 11.40, a nord di Marsa Matruh, il Coventry viene colpito da quattro bombe durante un attacco da parte di sedidi Ju 88 del I./LG. 1 (X. Fliegerkorps) decollati da Iraklion (Creta) al comando del capitano Joachim Helbig: tre degli ordini colpiscono la sala macchine, immobilizzando la nave ed uccidendo 64 uomini. Abbandonato dall’equipaggio, che viene soccorso dal Beaufort (che si porta sottobordo all’incrociatore per imbarcarne l’equipaggio) e dal Dulverton (che recupera gli uomini dal mare), l’incrociatore immobilizzato viene finito alle 15.15 dallo Zulu. Alle quattro del pomeriggio, però, è proprio lo Zulu ad essere colpito da una bomba in sala macchine (a seconda delle fonti, sganciata dai bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 del II./StG3, al comando del capitano Kurt Walter, o dai caccia italiani dell’82a Squadriglia), rimanendo a sua volta immobilizzato, con la morte di 39 uomini: il Croome si porta sottobordo e ne trasborda l’equipaggio (189 tra ufficiali e marinai e sessanta Royal Marines), dopo di che l’Hursley lo prende a rimorchio. La nave continua però ad imbarcare acqua, ed alle sette di sera, quando non manca che un centinaio di miglia per raggiungere Alessandria, si abbatte sul fianco di dritta ed affonda in posizione 32°00’ N e 28°56’ E.
Questi successi sono pagati con il danneggiamento di un Macchi Mc 200 italiano (su ventuno che hanno partecipato agli attacchi) e l’abbattimento di cinque bombardieri tedeschi (due Ju 87 e tre Ju 88, su un totale di 191 impiegati: 73 bombardieri Junkers Ju 87, 105 bombardieri Ju 88 e tredici caccia Messerschmitt Bf 109).
Ad attacco concluso, cinque motozattere (quattro tedesche ed una italiana), le torpediniere Castore e Montanari, un rimorchiatore e tre motodragamine tedeschi della 6a Flottiglia vengono inviati a recuperare i naufraghi delle unità britanniche: in tutto le unità italiane e tedesche recuperano dal mare 476 uomini, tra cui parte dell’equipaggio del Sikh (per altra fonte, motozattere e torpediniere sarebbero avrebbero ricevuto ordine di contrattaccare; siccome però la flottiglia britannica si era già dileguata, una volta in mare si dedicarono al salvataggio dei superstiti). Le motozattere catturano anche un paio di mezzi da sbarco britannici che si stavano ritirando a lento moto verso Alessandria.
Alla fine l’operazione «Daffodil» si conclude con un completo fallimento per le forze britanniche, le cui perdite ammontano a 779 morti (300 Royal Marines, 166 soldati dell’esercito britannico e 313 uomini della Royal Navy) e 576 prigionieri (compresi 34 ufficiali), nonché alla perdita di un incrociatore (il Coventry), due cacciatorpediniere (Sikh e Zulu), quattro motosiluranti (MTB 308, 310, 312 e 314) e due motolance (ML 352 e 353), oltre ai vari improvvisati barconi della Forza A, tutti distrutti o catturati. Le perdite dell’Asse assommano invece a cinque aerei tedeschi, 70 morti (69 italiani e 1 tedesco) e 79 feriti (72 italiani e 7 tedeschi).
Terminata la battaglia, la Cascino parte lascia Tobruk alle 16.30 diretta a Bengasi, scortando il piroscafo tedesco Ostia.
16 settembre 1942
Cascino ed Ostia arrivano a Bengasi alle otto.
4 ottobre 1942
La Cascino parte da Tripoli per Napoli alle 21, scortando il piroscafo Algerino.
7 ottobre 1942
Il convoglietto giunge a Susa alle 8 e vi sosta per due giorni.
9 ottobre 1942
Il convoglietto lascia Susa alle tre di notte. Alle 19, al largo di Lampedusa, la Cascino lascia la scorta dell’Algerino, che raggiungerà indenne Napoli due giorni dopo.
17 gennaio 1943
La Cascino (tenente di vascello Gustavo Galliano) e le moderne torpediniere di scorta Ardito (caposcorta, capitano di corvetta Silvio Cavo) ed Animoso (tenente di vascello Camillo Cuzzi) partono da Palermo alle 18 per scortare a Biserta, insieme a due dragamine tedeschi, la motonave italiana Col di Lana ed i piroscafi tedeschi Gerd ed Henri Estier.
Successivamente si aggregano al convoglio anche tre motozattere tedesche, uscite da Trapani.
18 gennaio 1943
Alle 13.15 il convoglio di cui fa parte la Cascino viene superato da un altro, più veloce, formato dalla motonave tedesca Ankara, dal cacciatorpediniere Saetta e dalla torpediniera di scorta Uragano, proveniente anch’esso da Palermo e diretto parimenti a Biserta.
Circa un’ora dopo questo sorpasso, quando ancora i due convogli sono relativamente vicini, l’Ankara urta due mine posate dal sommergibile britannico Rorqual, ed inizia subito ad appopparsi. Vani i tentativi di rimorchio da parte del Saetta; dopo un’agonia di oltre un’ora, alle 15.30 la motonave tedesca s’inabissa 45 miglia ad est dell’Isola dei Cani. Prima che affondi, l’Uragano si affianca e prende a bordo 175 tra militari di passaggio e membri dell’equipaggio non indispensabili, mentre rimane a bordo il personale di coperta per un’ultimo tentativo di salvare la nave.
La Cascino, su ordine dell’Ardito, si porta immediatamente sul luogo dell’affondamento e partecipa al salvataggio dei naufraghi, distruggendo strada facendo tre mine alla deriva segnalate dal Saetta.
Alle 15 le tre motozattere lasciano il convoglio, che giunge a Biserta alle 17.30.
20 gennaio 1943
Alle 12.40 la Cascino lascia Biserta scortando i sommergibili ex francesi Espadon e Requin, per i quali è prevista la riattivazione in Italia.
22 gennaio 1943
Cascino e sommergibili giungono a Napoli alle 5.40.
28 gennaio 1943
Secondo una fonte memorialistica, la Cascino avrebbe fatto parte della scorta del convoglio «Firenze», salpato da Messina per Tunisi alle due di notte del 28 e formato dai piroscafi Parma, Sabbia, Vercelli e Lanusei (cui a Palermo si aggiunse anche il tedesco Stella) scortati dalle torpediniere Ardito, Animoso, Calliope (solo fino a Palermo), Libra e Prestinari e dalle corvette Persefone e Procellaria (queste ultime aggregatesi a Palermo): tale convoglio giunse a Biserta e Tunisi tra il 29 ed il 30, dopo aver subito la perdita del Vercelli (il 29, per attacco aereo) e del Parma (il 30, per mina magnetica, mentre si apprestava ad entrare a Tunisi). Tuttavia, la storia ufficiale dell’USMM non menziona la Cascino tra le unità di scorta di questo convoglio.
18 febbraio 1943
La Cascino (tenente di vascello di complemento Gustavo Galliano) lascia Trapani alle 12.30 insieme alla moderna torpediniera di scorta Groppo (caposcorta) ed alla corvetta Gabbiano, per scortare a Tunisi i piroscafi tedeschi Baalbek e Charles Le Borgne.
La Cascino lascia la scorta già alle 13.45, all’altezza di Marsala, venendo rimandata a Trapani per ordine superiore.
25 febbraio 1943
Alle 15 la Cascino salpa da Napoli insieme alle torpediniere Sirio (caposcorta), SagittarioCastoreCiclone e Pegaso ed ai cacciasommergibili tedeschi UJ 2209UJ 2210 e UJ 2220, per scortare a Biserta i piroscafi Forlì e Teramo.
Sei ore dopo la partenza, il convoglio viene avvistato da ricognitori avversari.
26 febbraio 1943
Individuato da ricognitori avversari, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti alle 3.30, 38 miglia a sudovest da Punta Licosa.
Alle 14.30 esso subisce un nuovo attacco, stavolta da parte di 18 bombardieri, 38 miglia a nord di Capo Zaffarano. Nessuna nave è colpita tranne l’UJ 2209, lievemente danneggiato da schegge.
Nelle acque antistanti Palermo, si uniscono al convoglio anche le navi cisterna Bivona e Labor ed il piroscafo Volta, nonché le torpediniere Groppo ed Orione, la corvetta Gabbiano ed il dragamine tedesco R 15; si forma così un unico convoglio, scortato da Groppo (caposcorta), CicloneOrionePegasoCascinoGabbiano e R 15Sirio e Sagittario, al pari dei tre cacciasommergibili tedeschi, rientrano invece a Napoli, mentre la Castore è costretta ad entrare a Palermo e restarvi a causa di un’avaria.
Al largo di Trapani la Gabbiano lascia la scorta.
27 febbraio 1943
Alle 10.40 un aereo da caccia italiano, di scorta al convoglio, precipita per avaria; l’Orione ne salva il pilota.
28 febbraio 1943
Il convoglio giunge a Biserta all’1.45.
1° marzo 1943
La Cascino parte da Biserta alle 2.30 per scortare a Palermo la piccola motonave cisterna Labor.
2 marzo 1943
A Trapani la Cascino viene sostituita dalla torpediniera Clio per la scorta nel tratto finale della navigazione.
6 marzo 1943
La Cascino (tenente di vascello Gustavo Galliano) lascia Napoli alle 2.30 del 6 marzo insieme alle torpediniere Ardito (capitano di corvetta Silvio Cavo), Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri), Groppo (capitano di corvetta Beniamino Farina, caposcorta) ed Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), per scortare a Biserta e Tunisi un convoglio composto dalla motonave Ines Corrado e dai piroscafi Henry Estier e Balzac (questi ultimi diretti a Tunisi con arrivo previsto per le 15.30 del 7, mentre nel tratto finale la Ines Corrado dovrebbe separarsi dal convoglio per raggiungere Biserta alle 16 dello stesso giorno). A partire dalle 7.02, e fino alle 19.52, il convoglio fruisce di una scorta aerea antisommergibili, con l’impiego complessivamente di undici Junkers 88 e quattro Messerschmitt Bf 110 del II Fliegerkorps.
“ULTRA”, il servizio di decrittazione britannico dei messaggi in codice dell’Asse, ha intercettato le informazioni relative a questo convoglio, preavvisando che l’arrivo dei tre mercantili (più un quarto, il Nuoro, poi non partito), partiti da Napoli, è previsto a Tunisi per il pomeriggio del 7: vengono pertanto organizzati attacchi aerei e subacquei.
Alle 7.45 del 6 marzo, l’Ardito vede un bombardiere tedesco Junkers Ju 88 gettare una bomba di profondità (per altra fonte, due) in posizione 40°03’ N e 13°57’ E, a 34 miglia per 264° (cioè ad ovest) da Punta Licosa (Calabria), 3 km a proravia della torpediniera ed a 3 km dal lato di dritta del convoglio. Il pilota tedesco vede affiorare in superficie una grossa chiazza di nafta; al contempo l’Estier, subito dopo aver osservato il lancio delle bombe da parte dell’aereo di prora, avvista la scia di un siluro, che evita con la manovra. Il convoglio vira a sinistra per evitare eventuali attacchi da parte di sommergibili che si trovino in quella direzione, e l’Ardito viene distaccata per attaccare il sommergibile, con l’assistenza dello Ju 88; ottenuto un contatto alle 1300 metri, la torpediniera lo bombarda con due pacchetti di cariche di profondità fino a perdere il contatto alle 9.35. Probabilmente l’Ardito ha affondato il sommergibile britannico Turbulent (capitano di corvetta John Wallace Linton), che era stato inviato a sorvegliare le acque al largo della Bocca Piccola in seguito alle intercettazioni di “ULTRA”.
Alle 12.30 gli aerei tedeschi della scorta aerea avvistano quello che viene identificato come un Bristol Beaufighter, probabilmente un ricognitore inviato a verificare la partenza del convoglio da Napoli.
7 marzo 1943
Il mattino del 7 marzo, alle 9.15, otto bombardieri britannici (scortati da 14 caccia) attaccano il convoglio 22 miglia ad est dello scoglio Keith (34 miglia ad ovest-sudovest di Marettimo). La scorta reagisce con un intenso fuoco contraereo ed anche i caccia della scorta aerea (in inferiorità numerica rispetto agli aerei attaccanti) contrattaccano, ma la Ines Corrado viene colpita da diverse bombe: carica di 5000 tonnellate di rifornimenti tra cui benzina, carri armati, autoveicoli ed artiglierie, la motonave diviene subito preda di un violento incendio, che l’equipaggio non riesce a contrastare a causa del danneggiamento delle tubolature antincendio.
Cascino, Ardito ed Orione sono distaccate per recuperare l’equipaggio e le truppe imbarcate sulla motonave: i circa duecento uomini presenti sull’Ines Corrado vengono così ordinatamente trasbordati sulle tre torpediniere, mentre Groppo e Cigno proseguono con i due residui piroscafi, Estier e Balzac.
Ultimi ad abbandonare l’Ines Corrado, alle 10.30, sono i comandanti civile e militare, capitano di lungo corso Vasco Pertosi e tenente di vascello Ivo Vancini. Tutti i feriti vengono riuniti sulla Cascino, che alle 11.25 dirige per Trapani, porto più vicino, affinché possano ricevere assistenza medica il più presto possibile.
L’Ines Corrado colerà a picco alle tre di notte dell’8, in posizione 37°47’ N e 11°23’ E. Nessuno dei tre mercantili del convoglio giungerà a destinazione: poche ore dopo, il Balzac sarà affondato da un altro attacco aereo, mentre l’Estier salterà su un campo minato, al pari della torpediniera di scorta Ciclone (capitano di corvetta Luigi Di Paola), uscita da Biserta per andare incontro al convoglio.
In questa data risulterebbe essere morto nel Mediterraneo centrale il sottocapo cannoniere Tirso Benedetti di 23 anni, da Bedizzole, della Cascino. Probabilmente perse la vita negli attacchi aerei sul convoglio, anche se la Cascino non risulterebbe essere stata colpita.
12 marzo 1943
Intorno alle tre del pomeriggio la Cascino (tenente di vascello di complemento Gustavo Galliano), proveniente da Messina, va a rinforzare la scorta del convoglio «D», formato dai piroscafi tedeschi Esterel e Caraibe e dalla cisterna militare italiana Sterope, diretto a Tunisi con la scorta delle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti, caposcorta capitano di vascello Corrado Tagliamonte), Pegaso (capitano di corvetta Mario De Petris), Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri) ed Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe) e delle corvette Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini) e Persefone (capitano di corvetta Oreste Tazzari; quest’ultima, insieme alla gemella Antilope ed a cinque cacciasommergibili tedeschi, ha il compito di effettuare ricerca e caccia antisom preventiva).
Alle 16.10, al largo di Capo Cefalù, si unisce alla scorta anche la torpediniera Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), proveniente da Palermo, e più tardi i cacciasommergibili VAS 231 VAS 232.
Già dal 10 marzo, tuttavia, i comandi britannici – attraverso le decrittazioni di “ULTRA” – sanno che la Sterope e la motonave Nicolò Tommaseo dovevano arrivare a Messina alle 20 del 9, provenienti da Brindisi, per poi unirsi ad Esterel e Caraibe e Manzoni, provenienti da Napoli e diretti a Messina o Trapani, e fare rotta insieme verso Tunisi e Biserta, dove dovranno giungere nel pomeriggio dell’11. Il 12 marzo “ULTRA” ha poi appreso del rinvio di 48 ore di tale programma, con l’arrivo a Messina di Sterope e Tommaseo alle 14 dell’11 anziché la sera del 9; i comandi britannici hanno correttamente dedotto che la prevista riunione in mare avverrà nella giornata del 12, e pertanto inviano numerosi aerei a cercare il convoglio.
Questi ultimi lo trovano alle 20.40: tra quell’ora e le 21.20 il convoglio viene continuamente sorvolato da aerosiluranti, bersagliati più volte dall’intenso tiro contraereo di tutte le navi (per altra fonte, il convoglio sarebbe stato localizzato per la prima volta alle otto di sera da un velivolo munito di proiettore «Leigh Light», che avrebbe illuminato le navi e comunicato l’avvistamento, scatenando alle nove di sera l’attacco degli aerosiluranti). Uno di essi, un Bristol Beaufort del 39th Squadron pilotato dal tenente Arnold M. Feast, viene abbattuto alle 21.15; la Persefone recupera tre superstiti, compreso Feast, mentre un quarto membro dell’equipaggio perde la vita.
Alle 21.25 (o 21.35), dodici miglia ad ovest di Capo Gallo ed a dodici miglia per 71° da Capo San Vito siculo, la Sterope viene colpita a prora sinistra da un siluro, sganciato da un altro Beaufort del 39th Squadron R.A.F. (pilotato dal capitano Stanley Muller-Rowland). Per ordine del caposcorta, Cascino e Pegaso sono distaccate per assistere la petroliera danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue.
Altri quattro Beaufort attaccano le navi italiane, senza ottenere ulteriori centri; due di essi sono colpiti, uno dei quali (sergente William A. Blackmore) viene abbattuto senza superstiti e l’altro (sergente J. T. Garland) viene gravemente danneggiato ma riesce a tornare a Luqa (Malta).
13 marzo 1943
Cascino, Sterope (a rimorchio) e Pegaso raggiungono Palermo alle 4.30. Terminato il loro compito, le due torpediniere proseguono per Trapani, dove è stato dirottato il resto del convoglio a seguito dell’avvistamento – alle 20.18 del 12, da parte di un ricognitore della Luftwaffe –  di quattro cacciatorpediniere britannici al largo di Bona, con rotta nordest ed elevata velocità. I mercantili sono ora ridotti al solo Caraibe, perché anche l’Esterel è stato silurato e danneggiato ed è dovuto riparare a Trapani, mentre la scorta, essendo state alcune unità distaccate per caccia antisom ed assistenza alle navi colpite, è ridotta alle sole SirioCigno e Libra.
Alle 22.45 Caraibe e scorta, ora costituita da Sirio (caposcorta), CignoLibraOrioneCascino e Pegaso nonché dalle VAS 231 e 232 (le quali precedono il convoglio per effettuare dragaggio nei fondali di profondità inferiore ai 300 metri), ripartono da Trapani per unirsi, 70 miglia a sudovest della città e dieci miglia ad est del banco di Skerki, ad un altro convoglio formato dalle motonavi Manzoni e Mario Roselli, provenienti da Olbia e dirette a Biserta.
14 marzo 1943
All’1.34 aerei avversari iniziano a sorvolare il convoglio, e tra le 2.42 e le 2.44 questi lanciano tre siluri: la Pegaso abbatte un aereo, ma alle 2.44 il Caraibe viene colpito da un siluro, il terzo lanciato. Subito incendiato, il piroscafo – carico di munizioni – viene scosso da una serie di esplosioni ed affonda alle 4.35; le unità della scorta subiscono insistenti attacchi di bombardieri ed aerosiluranti fino alle quattro del mattino, ma non subiscono danni. Cascino e Pegaso recuperano 63 sopravvissuti del Caraibe (su un centinaio di uomini presenti a bordo) e dirigono per Trapani.
Le altre torpediniere raggiungono il convoglio formato da Manzoni e Roselli, che giunge a Biserta alle 17 (per altra versione, anche la Pegaso si sarebbe riunita alla scorta delle due motonavi nell’ultimo tratto di navigazione).
20 marzo 1943
La Cascino esce da Palermo e va a rinforzare la scorta (costituita dal solo cacciatorpediniere Lubiana) del piroscafo Foggia, partito da Napoli e diretto a Susa.
Alle 19 il convoglietto giunge a Trapani, dove sosta fino all’indomani.
21 marzo 1943
Cascino e Foggia ripartono da Trapani alle 7 insieme alle corvette Antilope e Cicogna ed ai cacciasommergibili VAS 231 e VAS 232, mentre il Lubiana non fa più parte della scorta.
Alle 18.45 il convoglio giunge a Pantelleria, dove sosta fino al mattino seguente a causa dell’avverso stato del mare.
22 marzo 1943
Alle cinque del mattino il convoglio lascia Pantelleria, raggiungendo Susa alle 16.
22 marzo 1943
La Cascino e la nuovissima corvetta Antilope (caposcorta) salpano da Susa alle 18.30 per scortare a Trapani i piroscafi Skotfoss (tedesco) ed Orsolina Bottiglieri (italiano).
Alle 22.40 il convoglio viene localizzato da ricognitori nemici, e da questo momento in poi è incessantemente pedinato da aerei.
23 marzo 1943
Alle tre di notte un aereo isolato attacca il convoglio, ma senza successo. Le navi giungono a Trapani alle 21.30.
11 maggio 1943
La Cascino, la moderna torpediniera di scorta Ardimentoso ed il cacciatorpediniere Sebenico scortano ad Augusta la nave cisterna Carnaro, carica di gasolio e benzina avio destinata ai reparti della Regia Aeronautica e della Luftwaffe di stanza nelle basi aeree di Catania e Comiso.
Lo stesso giorno, la Carnaro viene avvistata nel porto da bombardieri statunitensi diretti a Catania, quando questi sorvolano Augusta: due giorni dopo, di conseguenza, il porto della città siciliana sarà oggetto di un’incursione da parte di 53 Consolidated B-24 Liberator, che vi sganceranno 120 tonnellate di bombe con l’obiettivo di affondare la Carnaro. La petroliera, tuttavia, ha frattanto lasciato Augusta, e l’incursione si tradurrà in una strage di civili, con 72 vittime.
25 maggio 1943
La Cascino viene danneggiata a Messina durante un bombardamento da parte di 129 o 134 bombardieri statunitensi (89 o 90 B-17 “Flying Fortress” e 40 o 44 B-24 “Liberator”) della 9th e 12th USAAF, aventi come obiettivo il porto e le navi ivi ormeggiate (soprattutto l’imbarco dei traghetti, nell’ambito delle operazioni preliminari allo sbarco in Sicilia, che avrà luogo due mesi più tardi), oltre alla stazione ferroviaria. Le 253 tonnellate di bombe sganciate dagli aerei tra le 11.32 e le 14.55 centrano sia i loro obiettivi che la città di Messina, causando parecchie vittime tra la popolazione civile.
Nella stessa incursione vengono affondate anche la torpediniera di scorta Groppo, il dragamine RD 55, il piroscafo Polluce ed il traghetto Reggio, e danneggiato il traghetto Scilla. La caccia e la contraerea colpiscono quattro “Fortezze Volanti”, una delle quali precipita in mare, mentre le altre tre riusciranno a rientrare alle loro basi in Tunisia (una di esse però sarà costretta ad un atterraggio d’emergenza).
 
(g.c. Giacomo Toccafondi)

Armistizio
 
Alla data della proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, la Cascino faceva parte del I Gruppo Torpediniere di stanza a La Spezia, alle dipendenze del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno, insieme alle “tre pipe” Antonio Mosto, Giacinto Carini e Generale Carlo Montanari. La Cascino, tuttavia, non era in grado di prendere il mare, essendo ai lavori.
Cadute la Tunisia e la Sicilia, martellato dai bombardamenti tutto il Sud Italia, La Spezia era diventata la base principale della Regia Marina: qui aveva base la Squadra da Battaglia dell’ammiraglio Carlo Bergamini, formata dalle tre corazzate della IX Divisione (RomaItalia e Vittorio Veneto), dagli incrociatori leggeri della VII Divisione (Eugenio di SavoiaEmanuele Filiberto Duca d’AostaRaimondo Montecuccoli) e dai cacciatorpediniere delle Squadriglie XII (MitragliereFuciliereCarabiniere e Velite) e XIV (LegionarioArtigliereGrecale ed Alfredo Oriani).
Nel grande Arsenale, inoltre, si trovavano ai lavori per riparazioni o manutenzione innumerevoli unità di ogni tipo: tra di esse il vecchio incrociatore leggero Taranto, tre cacciatorpediniere, cinque torpediniere (tra cui la Cascino), due corvette e due posamine, nonché numeroso naviglio minore ed ausiliario.
In ottemperanza agli ordini armistiziali, la Squadra da Battaglia dell’ammiraglio Bergamini lasciò La Spezia intorno alle tre di notte del 9 settembre, diretta inizialmente verso La Maddalena.
 
Il comandante in capo del Dipartimento di La Spezia, ammiraglio Giotto Maraghini, provvide a dare esecuzione alle disposizioni impartite da Supermarina circa il resto del naviglio e le installazioni a terra: le navi minori in grado di muovere vennero fatte partire per porti saldamente sotto controllo italiano od Alleato, quelle impossibilitate a partire si autoaffondarono; lo stessero fecero le navi mercantili (partenza od inutilizzazione, ma in alcuni casi gli armamenti tedeschi delle mitragliere imbarcate impedirono di attuare tali provvedimenti). Gli impianti, i bacini e le attrezzature dell’Arsenale furono resi inutilizzabili, ma soltanto per 15 giorni, nell’ottimistica quanto irrealistica speranza che gli Alleati avrebbero cacciato le forze tedesche dall’Italia nel giro di qualche settimana.
Nel retroterra di La Spezia si trovavano quattro divisioni tedesche, presenti in teoria per partecipare al contrasto di un eventuale sbarco Alleato nella zona di La Spezia; esse si mossero per occupare la piazzaforte prima ancora che venisse annunciato l’armistizio. A difendere la piazza di La Spezia ed il territorio circostante c’era il XVI Corpo d’Armata del generale Carlo Rossi, che contava soltanto due divisioni italiane (la 105a Divisione Fanteria "Rovigo" e la 6a Divisione Alpina "Alpi Graie"). L’ammiraglio Maraghini tornò da Roma la sera dell’8 settembre, dopo aver partecipato alla riunione dei vertici della Marina nella quale cui i principali ammiragli comandanti di Dipartimento, oltre ai comandanti delle forze da battaglia, di quelle di protezione del traffico e dei sommergibili, avevano ricevuto istruzioni sul da farsi in caso di cessazione di ostilità contro gli Alleati e reazione tedesca, pur senza essere esplicitamente informati dell’armistizio. Dato che i comandi delle due Divisioni e del Corpo d’Armata si trovavano tutti nel perimetro della piazza, la sera stessa dell’8 Maraghini poté conferire col generale Rossi circa le modalità della difesa di La Spezia da un attacco tedesco. Rossi, a differenza di Maraghini, non aveva ricevuto ordini precisi su come regolarsi; come se non bastasse, l’armistizio coglieva la piazza di La Spezia nel pieno di un ribaltamento giurisdizionale: in seguito a decisioni prese in agosto, la Piazza marittima di La Spezia doveva essere abolita e sostituita da un Comando Militare Marittimo subordinato al locale Comando di Grandi Unità dell’Esercito; la responsabilità della difesa della ex piazza sarebbe stata trasferita dalla Marina all’Esercito. Il passaggio di consegne sarebbe divenuto effettivo alle 00.00 del 10 settembre; il generale Rossi, non credendo che la situazione potesse precipitare a tal punto da richiedere provvedimenti eccezionali, non ritenne necessario anticipare di un giorno l’assunzione del comando, come prescriveva invece l’"Istruzione per la difesa delle coste" vigente ancora per il solo giorno 9 settembre.
Nel loro colloquio, pertanto, Rossi e Maraghini si limitarono a concordare la dislocazione di alcuni reparti di marinai in determinati punti e di inviare un reggimento atteso da Torino per il 9 settembre (per completare la Divisione "Rovigo") a presidiare alcuni capisaldi (ma il reggimento, per gli eventi dell’armistizio, non arrivò mai a La Spezia).
Gli alpini della Divisione "Alpi Graie" resistettero per due giorni agli attacchi dell’ex alleato, ma le truppe tedesche, incuneandosi tra i reparti delle due Divisioni del XVI Corpo d’Armata, occuparono La Spezia entro il 10 settembre, senza particolari difficoltà. Le due Divisioni italiane furono sciolte e l’ammiraglio Maraghini lasciò La Spezia il 10 settembre, dopo aver dato esecuzione agli ordini di Supermarina.
 
Non essendo in grado di muovere, la Cascino si autoaffondò nel porto di La Spezia il 9 settembre 1943, come da ordini ricevuti, per non cadere intatta in mano tedesca.
Quello che ebbe luogo a La Spezia il 9 settembre 1943 fu il più grande autoaffondamento in massa di navi militari italiane mai verificatosi, allo scopo di evitare che cadessero intatte in mano tedesca: si autoaffondarono nel porto il vecchio incrociatore Taranto, i cacciatorpediniere Nicolò ZenoFR 21 e FR 22, le torpediniere Generale Antonino CascinoGenerale Carlo MontanariGhibliProcione e Lira, i sommergibili Antonio BajamontiAmbraSirenaSparideVolframio e Murena, le corvette EuterpePersefone e FR 51, il posamine Buccari, il trasporto munizioni Vallelunga, le cisterne militari Scrivia e Pagano, le motozattere MZ 736 e MZ 748, i rimorchiatori militari MescoCapriCapodistriaRobusto e Porto Sdobba, il MAS 525, la motosilurante MS 36.
Furono invece catturati gli incrociatori pesanti Bolzano e Gorizia, entrambi inservibili per i gravi danni mai riparati (e difatti non entrarono mai in servizio sotto bandiera tedesca), il posamine Crotone, il trasporto munizioni Panigaglia, la nave bersaglio San Marco, la nave idrografica Ammiraglio Magnaghi, la nave salvataggio sommergibili Anteo, la cannoniera Rimini, le cisterne militari BormidaDalmaziaLenoSprugolaVolturnoStura e Timavo, il piccolo trasporto Monte Cengio, il dragamine RD 49, il MAS 556, le Bette N. 5 e N. 16, i rimorchiatori AtlanteBravaCarbonaraLinaroSanto StefanoSenigalliaTaorminaTorre AnnunziataN 9N 10N 37N 53 e N 55. Gran parte di tali unità furono sabotate dagli equipaggi; il Gorizia aveva anche iniziato ad autoaffondarsi, ma tale provvedimento era stato poi sospeso.
 
Proprio in data 9 settembre 1943 si persero le tracce di un marinaio della Cascino, il nocchiere ventenne Vinicio Milos, da Pirano: sarebbe stato in seguito dichiarato «disperso in territorio metropolitano» in questa data. Niente altro è dato sapere sulla sua sorte: come tanti altri militari di tutte le armi, svanì nei confusi giorni dell’armistizio, vittima forse delle rappresaglie tedesche, forse di chissà quale altra circostanza bellica.
Un altro membro dell’equipaggio della Cascino, il sottocapo nocchiere termolese Enrico De Fanis, fu catturato dai tedeschi e deportato in Germania: qui morì in prigionia, all’età di 24 anni, il 14 ottobre 1944. Fu sepolto a Duisburg, da dove in seguito la salma sarebbe stata traslata nella natia Termoli.
 
Il relitto della Cascino languì per quattro anni sui fondali del porto di La Spezia, ben oltre la fine delle ostilità. Il 27 febbraio 1947 la nave venne formalmente radiata dai quadri del naviglio militare; nel corso dello stesso anno il relitto fu recuperato ed avviato alla demolizione.