venerdì 24 novembre 2017

Espero

L’Espero in navigazione a lento moto a Gaeta nel maggio 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere della classe Turbine (1220 tonnellate di dislocamento standard, 1560 in carico normale e 1715 a pieno carico).
Caposquadriglia della II Squadriglia Cacciatorpediniere, fu (per la Regia Marina) la prima unità di questa categoria ad andare perduta durante la guerra, e la prima della lunga lista di navi perdute sulle rotte tra l'Italia ed il Nord Africa nel corso del conflitto.

L’Espero a Taranto in una foto successiva al 1932 (g.c. Marcello Risolo).

Breve e parziale cronologia.

29 aprile 1925
Impostazione nei cantieri Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente (Genova).
31 agosto 1927
Varo nei cantieri Gio. Ansaldo & C. di Sestri Ponente (Genova).
30 aprile 1928
Entrata in servizio.


L’Espero fotografato durante le prove a mare (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

1929
Fa parte, con i gemelli  Ostro, Zeffiro e Borea, della I Squadriglia della 1a Flottiglia della I Divisione Siluranti, facente parte della 1a Squadra Navale, di base a La Spezia.


L’Espero nel 1930 (da www.wrecksite.eu)

1929-1930
Effettua delle crociere nelle acque della Spagna ed in Mar Egeo.


L’Espero in navigazione a tutta forza durante un’esercitazione (g.c. Mauro E. Vampi, via www.naviearmatori.net)

5 febbraio 1932
L’Espero (capitano di corvetta Luigi Corsi) e l’incrociatore pesante Trento, avente a bordo l’ammiraglio Domenico Cavagnari (nominato comandante della Divisione Navale dell’Estremo Oriente), salpano da Gaeta diretti in Cina, dopo aver imbarcato una compagnia da sbarco (200 uomini) del Reggimento "San Marco". Loro compito è tutelare gli interessi dei cittadini italiani residenti in Cina, minacciati dall’instabilità politica causata dalla guerra sino-giapponese scoppiata in Manciuria.
Espero e Trento attraversano il Canale di Suez e fanno scalo a Hierapetra, Porto Said, Aden, Colombo e Singapore durante la lunga traversata verso la Cina; l’Espero fatica a mantenere la stessa velocità del Trento (che, per l’urgenza con cui le navi sono richieste in Cina, è molto sostenuta), e nell’ultimo tratto (da Singapore a Shanghai) un monsone lo costringe a sostare a Saigon, mentre il Trento prosegue da solo, in linea retta, alla massima velocità.


L’Espero in navigazione nell’Oceano Indiano durante il viaggio verso l’Estremo Oriente, in una foto scattata dal Trento (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net)
L’Espero viene rifornito di nafta dal Trento durante la navigazione verso la Cina (Coll. Giuseppe Fiorelli, via www.associazione-venus.it)
L’Espero a Shanghai (Coll. Armando Calligaris, via www.trentoincina.it)

7 marzo 1932
Arriva a Shanghai, preceduto di tre giorni dal Trento, dopo aver percorso 19.240 miglia nautiche.
Nei mesi successivi opera sui fiumi e nei porti cinesi a tutela degli interessi italiani; si reca sull’Espero anche Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e console italiano a Shanghai.



L’Espero ormeggiato accanto al Trento a Shanghai, sul fiume Huangpu, nel marzo 1932 (Coll. Giuseppe Fiorelli, via www.associazione-venus.it)


5 ottobre 1932
Lascia Shanghai per tornare in Italia, da solo (il Trento è rientrato in maggio).



L’Espero, a destra, ed il Trento a Shanghai nel 1932, in due foto scattate dall’incrociatore pesante USS Houston (da www.history.navy.mil


Ottobre 1932
Arriva in Italia.


Vista di poppa dell’Espero (Naval History and Heritage Command).

1934
EsperoOstroZeffiro e Borea formano la IV Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla VIII Squadriglia (AquiloneTurbineEuro e Nembo), è aggregata alla II Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Fiume e Gorizia.


L’Espero in transito presso il ponte girevole di Taranto il 12 settembre 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net)
Lancio di un siluro da parte dell’Espero, durante un’esercitazione tenuta in Mar Ionio nel 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net)
Espero (a destra), Ostro e Aquilone al pontile rifornimento nafta di La Maddalena nell’ottobre 1935 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net)

8 marzo 1936
L’Espero (capitano di corvetta E. Giuriati) riceve a Taranto la bandiera di combattimento.
20 ottobre 1936
Assume il comando dell'Espero il capitano di corvetta Vittorio Chinigò (35 anni, da Bologna).


Cerimonia di consegna della bandiera di combattimento, Taranto 8 marzo 1936 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net).

Agosto 1937
Durante la guerra civile spagnola, l’Espero partecipa, con altre unità (incrociatori leggeri Luigi Cadorna ed Armando Diaz, cacciatorpediniere FrecciaDardoSaetta, Strale, BoreaOstroZeffiro, torpediniere CignoClimeneCentauroCastoreAltairAldebaranAndromedaAntares) al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna, Bartolomeo Colleoni). Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere tra cui l’Espero (gli altri sono Freccia, Dardo, Saetta, Strale, Fulmine, Lampo, Ostro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere (Cigno, Canopo, Castore, ClimeneCentauroCassiopea, Andromeda, Antares, AltairAldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La Masa, Generale Carlo Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto Comando Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna.
Il blocco navale così organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina italiana, ripetute anche dal primo ministro britannico Churchill.


L’Espero durante la guerra civile spagnola, il 27 luglio 1936 (Foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

1937-1938
Partecipa alle operazioni navali connesse alla guerra civile spagnola, effettuando con successo 22 missioni di contrasto al contrabbando di rifornimenti militari per le forze spagnole repubblicane (tre delle quali con base ad Augusta, nell’agosto 1937, nell’ambito del blocco navale sopra descritto) e di protezione del traffico, nel Mediterraneo occidentale.
Successivamente stanziato a Taranto, con periodiche dislocazioni a Tobruk.


L’Espero in navigazione nelle Bocche di Bonifacio con mare furioso, nel 1937 (g.c. Mauro E. Vampi via www.naviearmatori.net).

10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale l’Espero (capitano di vascello Enrico Baroni) è il caposquadriglia della II Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Ostro, Zeffiro e Borea. La squadriglia, avente base a Taranto, è comandata da Baroni.

L’Espero in una foto di fine anni Trenta (g.c. STORIA militare)

Sacrificio

La Regia Marina aveva realizzato fin dal 1938 un accurato studio (D.G. 10/A2) col quale si pianificava l’organizzazione dei convogli per il trasporto dei rifornimenti verso la Libia in caso di guerra.
Fu però solo il 9 giugno 1940, alla vigilia dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, che il Ministero della Guerra informò la Marina della volontà del capo del governo di inviare immediatamente in Libia tutto il personale e materiale accumulato nel porto di Napoli, che non si era potuto inviare prima: personale il cui ammontare fu poi specificato, il 13 giugno, in 7000 uomini da inviare con urgenza, e che già il 23 giugno era stato portato a ben 13.000 uomini, 1250 veicoli, 18.000 tonnellate di carburante, 40.000 tonnellate di provviste, 800.000 bombe per mortaio, 48.000.000 di cartucce e 1.700.000 proiettili d’artiglieria. Al contempo, la Regia Aeronautica comunicò la necessità di trasportare con urgenza in Libia 5000 tonnellate di materiali, compresi più di 20.000 fusti di benzina per aerei.
Invano Supermarina aveva richiesto, nei mesi precedenti, che Esercito ed Aeronautica provvedessero ad accumulare in Libia i materiali necessari alle operazioni prima che la guerra scoppiasse: l’autonomia logistica ed operativa dell’Armata d’Africa, che nei calcoli di Supermarina avrebbe dovuto essere di almeno tre mesi allo scoppio del conflitto, non arrivava neanche a dieci giorni.
Particolarmente pressante divenne l’urgenza, dopo la resa della Francia (e la conseguente cessazione di ogni minaccia sul confine libico-tunisino), di inviare rifornimenti in Cirenaica, per preparare un’offensiva da sferrare contro l’Egitto: Tripoli, raggiungibile in sicurezza, risultava troppo lontana fronte cirenaico-egiziano, mentre Tobruk, molto più vicina, era però anche molto più esposta alle offese provenienti dalle basi britanniche in Egitto (in particolare, Alessandria), il che rendeva lunghi tempi di preparazione per convogli che avrebbero dovuto essere fortemente scortati.
Dinanzi a tale situazione, ed a tutte queste impreviste richieste urgenti, la Marina dovette gettare alle ortiche i piani meticolosamente preparati anteguerra (che prevedevano – data un’autonomia logistica, per le forze dislocate in Libia, di tre mesi allo scoppio del conflitto – l’invio di un solo grande convoglio di rifornimenti al mese, scortato dal grosso della flotta e da consistenti forze aeree), ripiegando sull’impiego di unità militari – in primis cacciatorpediniere e sommergibili – per missioni di trasporto rapido verso l’Africa Settentrionale, allo scopo di sopperire alle esigenze più urgenti.
In questo quadro si colloca la missione della II Squadriglia Cacciatorpediniere del 27-29 giugno 1940.

Tre delle quattro unità della II Squadriglia Cacciatorpediniere: Espero (a destra), Ostro (al centro) e Borea (a sinistra) ormeggiati a Tobruk nella tarda primavera del 1940, poche settimane prima della perdita dell’Espero (g.c. STORIA militare)

Alle 22.45 del 27 giugno 1940 l’Espero, al comando del capitano di vascello Enrico Baroni (caposquadriglia della II Squadriglia Cacciatorpediniere), salpò da Taranto diretto a Tobruk, insieme ai gemelli Ostro e Zeffiro.
I tre cacciatorpediniere erano in missione di trasporto: avevano a bordo due batterie anticarro (per altra fonte, contraeree) della Milmart (Milizia marittima di artiglieria, una specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale), ed il relativo personale. In tutto, 10 cannoni, 273 casse di munizioni, e 162 uomini (6 ufficiali, 22 sottufficiali e 134 camicie nere), oltre a 37 casse di materiali del Regio Esercito.
A bordo dell’Espero, in tutto, si trovavano 255 uomini: 198 membri dell’equipaggio e 57 militari di passaggio (in massima parte camicie nere della XI e XII Legione, oltre a due militari della Regia Marina, un cannoniere ed un sottocapo fuochista).
Per tutta la notte ed il mattino successivo la navigazione trascorse tranquilla, ma alle 12.10 del 28 giugno un idrovolante Short Sunderland del 228th Squadron RAF, decollato da Malta, avvistò le unità della II Squadriglia a ponente delle Isole Ionie, riferendone prontamente di aver avvistato tre cacciatorpediniere 50 miglia a ponente di Zante, con rotta apparente verso Cerigo. Anche i cacciatorpediniere avvistarono l’aereo, che scambiarono per un bombardiere.
All’insaputa dei comandi italiani, una considerevole aliquota della Mediterranean Fleet era uscita in mare il 27 giugno per fornire supporto ad alcuni convogli in navigazione nel Mediterraneo e nell’Egeo; si trattava corazzate delle Ramillies e Royal Sovereign, della portaerei Eagle e del 7th Cruiser Squadron, composto dagli incrociatori leggeri Orion (capitano di vascello Geoffrey Robert Bensly Back), Neptune (capitano di vascello Rory Chambers O’Conor), Gloucester (capitano di vascello Reginald Percy Tanner), Liverpool (capitano di vascello Arthur Duncan Read) e Sydney (quest’ultimo australiano; capitano di vascello John Augustine Collins). Insieme a sette cacciatorpediniere (Hasty, Hero, Hereward, Havock, Hypterion, Janus e Juno) dovevano dare appoggio a tre convogli, due provenienti da Malta (Operazione M.A.3) ed uno dalla Grecia (AS. 1, di undici mercantili, in navigazione da Port Helles a Port Said con la scorta degli incrociatori leggeri Caledon e Capetown e dei cacciatorpediniere Garland, Vampire, Nubian e Mohawk), diretti ad Alessandria.
La squadra britannica era a sudovest di Creta quando ricevette il segnale di scoperta del Sunderland; Eagle, Ramillies e Royal Sovereign proseguirono per la loro rotta, insieme ad otto cacciatorpediniere, mentre gli incrociatori del 7th Squadron (al comando del viceammiraglio John Tovey, con bandiera sull’Orion) diressero verso nord, regolando rotta e velocità in modo tale da intercettare le navi della II Squadriglia.
Alle 16.40, un nuovo messaggio da parte di un ricognitore (il Sunderland L.5803, in volo da Alessandria a Malta; anch’esso avvistato dalle unità della II Squadriglia) segnalò a Tovey che i cacciatorpediniere italiani si trovavano nel punto 36°00’ N e 20°26’ E, 35 miglia ad ovest della sua posizione, diretti verso sud; l’ammiraglio britannico divise i suoi incrociatori in due gruppi, li dispose in linea di rilevamento e virò verso sudovest.
Verso le 18.30 dello stesso 28 giugno, quando le navi di Baroni – che procedevano in linea di fila, con Espero in testa, Zeffiro al centro ed Ostro in coda – erano ormai giunte poco più di un centinaio di miglia a nord di Tobruk, vennero improvvisamente avvistati alcuni incrociatori nemici: erano le cinque unità dell’ammiraglio Tovey.
Più o meno allo stesso momento (le 18.33 secondo il rapporto britannico) anche Liverpool e Gloucester avvistarono le sagome delle navi italiane, che si stagliavano contro il sole ormai prossimo al tramonto (su rilevamento 235° rispetto all’Orion), 60 o 75 miglia ad ovest/sudovest di Capo Matapan. I due incrociatori accelerarono fino alla velocità massima, ed accostarono per ridurre le distanze.

L’Espero (secondo da sinistra), il Borea, il Turbine e due altre unità della stessa classe ormeggiate alla stazione torpediniere di Brindisi (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net)

Il primo a sparare fu il Liverpool, già tre minuti dopo l’avvistamento, da 20.000 metri di distanza, ben al di fuori della portata dei cannoni dei cacciatorpediniere. La prima salva da 152 cadde 400-500 metri a sinistra dell’Espero, la seconda circa 500 metri a dritta, sollevando giganteschi spruzzi; l’Espero virò immediatamente verso ovest/sudovest ed incrementò anche la velocità, ma un problema di macchina impedì l’accensione della terza caldaia, limitando la velocità massima dell’Espero a 25 nodi. La situazione era difficile anche per Ostro e Zeffiro: in teoria le unità della classe Turbine avevano una velocità superiore a quella degli incrociatori inseguitori (36 nodi contro 32,5), ma i dodici anni di servizio sulle spalle si facevano sentire (le unità britanniche, invece, erano di costruzione molto più recente), ed il peso delle truppe e dei materiali imbarcati le rallentava ulteriormente.
Il secondo gruppo di incrociatori, composto da Orion, Neptune e Sydney, ricevette il segnale di scoperta del Liverpool ed avvistò a sua volta le navi italiane alle 18.55; quattro minuti dopo, l’Orion aprì il fuoco da 16.500 metri. Gli incrociatori britannici manovrarono in modo da avvolgere i cacciatorpediniere italiani da due lati: Liverpool e Gloucester da una parte (sulla sinistra), Orion, Neptune e Sydney dall’altra (sulla dritta).
Non appena alcuni incrociatori, quelli del gruppo di sinistra, furono sufficientemente visibili, il direttore del tiro fece brandeggiare le artiglierie verso di essi, e fu aperto il fuoco.
Capendo che le navi nemiche avrebbero sopraffatto la sua, impossibilitata a superare i 25 nodi, prima dell’arrivo del buio, Baroni ordinò alla squadriglia di prendere caccia (ossia di ripiegare per allontanarsi) alla massima velocità, tenendo il suo Espero in coda alla formazione; in questo modo avrebbe potuto coprire Ostro e Zeffiro con cortine fumogene (sia fumo emesso dal fumaiolo, che cortine di fumo clorosolfonico), e proteggerne il ripiegamento col tiro delle proprie artiglierie. Il tiro dei cacciatorpediniere era diretto principalmente contro Orion, Liverpool e Gloucester.
Per meglio coprire le unità gemelle, l’Espero iniziò anche a zigzagare; ma proprio la manovra di zigzagamento portò alla progressiva riduzione della distanza tra l’Espero e gli incrociatori nemici.
Con questa manovra, potendo emettere cortine fumogene più ampie e meglio distese, Baroni salvò Ostro e Zeffiro, che riuscirono ad allontanarsi senza danni, ma decise di fatto di sacrificare la sua nave per permettere la loro ritirata.
(Per altra versione, l’Espero ordinò ad Ostro e Zeffiro di ripiegare, dopo di che diresse contro gli incrociatori nemici allo scopo di trattenerli, per impedire che inseguissero le due unità dipendenti. Per versione ancora differente, l’Espero diresse verso gli incrociatori di Tovey dopo essere stato raggiunto dai primi colpi, per cercare di attaccare con i siluri e permettere ad Ostro e Zeffiro di ritirarsi).

Gli incrociatori del 7th Squadron, specialmente Liverpool e Gloucester, concentrarono tutti il loro tiro sull’Espero, rimasto solo: la nave di Baroni rispose animosamente al fuoco coi propri cannoni, e lanciò anche tre siluri contro l’Orion, che lo inseguiva da poppa dritta. Alle 19.05 il Neptune avvistò le scie dei siluri; alle 19.12 Tovey ordinò pertanto di accostare, facendo assumere alle sue navi rotta parallela a quella dei siluri per evitare che fossero colpite (le navi rimasero sulla nuova rotta per tre minuti, prima di ritornare sulla rotta originaria). Il gruppo Orion-Neptune-Sydney manovrò poi per cercare di aggirare la cortina fumogena e raggiungere Ostro e Zeffiro, lasciando a Liverpool e Gloucester il compito di neutralizzare l’Espero.
L’impari combattimento si protrasse per più di due ore: abilmente manovrato, l’Espero si rivelò un bersaglio assai difficile per i cannonieri britannici, "inseguendo" le colonne d’acqua sollevate dai colpi mancati (per confondere il tiro ai puntatori nemici), confondendo il tiro al nemico con continue accostate, stendendo efficacemente delle cortine fumogene dalle quali entrava ed usciva di tanto in tanto per sparare qualche salva da 120 mm contro i suoi inseguitori.
Alle 19.20 il Liverpool aveva ridotto la distanza fino a 12.800 metri (ed in quel momento accostò in modo da continuare a fare fuoco con tutti i pezzi, così aumentando la distanza), ma non aveva ancora messo un colpo a segno; fu anzi l’Espero a colpire per primo, mettendo a segno un singolo colpo da 120 mm un metro sopra la linea di galleggiamento del Liverpool. I danni furono pochi; venne tranciato un cavo dei paramine ed alcune schegge penetrarono le testate di due siluri, che però non esplosero.
Sull’Espero, qualcuno gridò "L’abbiamo colpito!", e Baroni, dalla plancia, esortò i cannonieri: "Bravissimi, continuate così". Il complesso prodiero da 120 accelerò il ritmo del tiro fino al massimo possibile, continuamente alimentato dal deposito munizioni.
Dopo il colpo a segno, il Liverpool ripiegò (ed alle 20.06 segnalò a Tovey che gli erano rimasti solo 40 colpi per cannone: ne aveva sparati quasi 2500 fino a quel momento), seguito dal Gloucester; osservando la scena, Tovey decise di interrompere l’inseguimento di Ostro e Zeffiro e dirigere con gli altri tre suoi incrociatori contro l’Espero, che ben presto si ritrovò sotto una pioggia di colpi da 152 mm.
Per riuscire a colpire il piccolo cacciatorpediniere italiano, gli incrociatori del 7th Squadron dovettero sparare quasi 5000 proiettili da 152 mm, cioè circa l’85 % delle riserve di munizionamento di quel tipo disponibile in quel momento nella Mediterranean Fleet (dopo questo scontro, ne rimasero solo 800). Un simile dispendio di munizioni, e la conseguente riduzione delle riserve disponibili per le operazioni successive, avrebbe comportato il temporaneo rinvio di due convogli per Malta («MF1» e «MS1»), originariamente previsti per il 29 giugno (e poi effettuati il 7-8 luglio).

Alla fine, inevitabilmente, prevalse la disparità di forze: la quindicesima salva sparata dalle navi britanniche raggiunse infine il suo bersaglio, ed entro le 20 l’Espero venne colpito ripetutamente, specie in sala macchine. I primi colpi che giunsero a segno provocarono molti morti e feriti tra le camicie nere radunate in coperta; poi venne centrata la caldaia n. 1, e poco dopo anche la n. 2, mentre altri colpi cadevano a poppa, in prossimità del deposito munizioni. Un proiettile scoppiò sotto la plancia, incendiando un fusto di benzina sistemato lì. Con la centrale di direzione del tiro ormai fuori uso, i cannoni continuavano a sparare individualmente, a punteria diretta: il sottotenente di vascello Gualtiero Corsetti dirigeva il tiro dei cannoni poppieri, mentre il secondo capo cannoniere Franco Lo Mastro (cui Baroni raccomandò "Segui sempre la caduta dei proiettili") assunse la direzione del tiro del complesso prodiero da 120 mm, che sparò fino all’esaurimento delle munizioni.
Il comandante Baroni scese momentaneamente dalla plancia in coperta, per rincuorare i suoi uomini, e proprio in quel momento un proiettile nemico centrò la sala nautica, uccidendo due ufficiali (Lo Mastro, che stava salendo in plancia in quel momento, venne scaraventato sul ponte dallo spostamento d’aria). Uno di essi, il sottotenente di vascello Giussani, "in ginocchio con un braccio sul tavolo e il capo poggiato sopra, sembrava pregare".
In breve tempo l’Espero si ritrovò immobilizzato ed incendiato, con vie d’acqua a bordo, ridotto ad un relitto in attesa di affondare. Invano il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Luigi De Ritis, si prodigò con i suoi uomini per mantenere la nave a galla e garantire il funzionamento degli apparati: non c’era più nulla da fare. De Ritis sarebbe perito con la nave poco dopo.
A questo punto, Tovey si volse nuovamente all’inseguimento di Ostro e Zeffiro; ma l’arrivo del buio e l’assottigliamento delle sue riserve di munizioni, insieme al sapiente utilizzo delle cortine fumogene ed alle continue manovre a zig zag dei rimanenti cacciatorpediniere italiani – che rendevano l’avvistamento e la punteria molto difficili – lo indussero a rinunciare dopo soli dieci minuti (i due cacciatorpediniere raggiunsero Bengasi il mattino del 29), facendo rotta per Malta e lasciando al Sydney il compito di finire l’Espero.
Separatosi dalle altre unità, il Sydney sparò da 12.800 metri una devastante bordata, poi si avvicinò ulteriormente all’agonizzante Espero per dargli il colpo di grazia e raccogliere i naufraghi: ma anche in quelle condizioni, ormai in procinto di affondare, il cacciatorpediniere italiano rispose rabbiosamente al fuoco, sparando ancora con i due cannoni ancora funzionanti (due colpi, che caddero corti), e lanciando anche due siluri (il lancio fu eseguito dal tenente di vascello Giovanni Chiabrera e dal capo silurista di prima classe Giovanni Baldazzi, che scomparvero in mare entrambi in seguito all’affondamento). Collins aveva prudentemente mantenuto la sua prua sull’Espero nell’avvicinarvisi, proprio per minimizzare il bersaglio offerto ad un eventuale ultimo lancio di siluri, che infatti mancarono il Sydney. Ridotta la distanza a circa 5500-6000 metri, l’incrociatore australiano aprì nuovamente il fuoco contro il cacciatorpediniere, sparando altre quattro salve e mettendo altri dieci colpi a segno (in tutto, il Sydney sparò oltre 800 colpi da 152 mm durante il combattimento). Gli ultimi colpi furono sparati dal Sydney da appena 1830 metri di distanza, con alzo zero, praticamente a bruciapelo.
Intanto, esaurite anche le ultime munizioni, l’ultimo complesso da 120 mm dell’Espero ancora funzionante tacque per sempre. Gli incendi a bordo divampavano furiosi; tuga e fumaiolo erano sforacchiati qua e là, anche se i danni non erano molto vistosi.

L'Espero emette una cortina fumogena poco prima di essere affondato, foto scattata da bordo del Sydney (Australian War Memorial).

A questo punto, al comandante Baroni non rimase che ordinare l’abbandono della nave, il cui affondamento venne accelerato mediante l’allagamento dei depositi munizioni.
L’abbandono della nave fu diretto dai sottotenenti di vascello Gualtiero Corsetti e Gaetano Giussano; dal lato sinistro furono calate tre zattere ed un battello, mentre la motolancia non poté essere calata a causa di un guasto ai paranchi. Sebbene ferito e sanguinante (era stato colpito da una scheggia di uno dei primi colpi giunti a bordo), il comandante Baroni aiutò a liberare le zattere di salvataggio, nelle quali prese posto l’equipaggio superstite, ed aiutò alcuni feriti ad imbarcarvisi.
Quando alcuni dei suoi uomini lo esortarono a porsi in salvo, Baroni scosse la testa e rispose che un comandante muore con la sua nave. Il capitano medico Lorenzo Lotti, capo servizio sanitario dell’Espero, rimase con lui, deciso ad assistere i feriti fino all’ultimo.
Il secondo capo segnalatore Remigio Doria, in servizio in plancia, era rimasto ferito mortalmente nel combattimento; esortò i compagni a lasciarlo, e mettersi in salvo. Affondò con la nave.
Il seondo capo cannoniere Lo Mastro si recò da Baroni, in attesa sul castello, per tentare un’ultima volta di convincerlo a mettersi in salvo sull’ultima zattera rimasta sottobordo; il comandante dell’Espero scosse la testa senza rispondere, poi ordinò a Lo Mastro di controllare se vi fosse a bordo ancora qualcuno, e poi di abbandonare la nave.
Enrico Baroni affidò ad un sottufficiale l’ultimo saluto da portare alla sua famiglia, dopo di che si recò a prua, e seguì il suo Espero in fondo al mare. Alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Mentre l’ultima zattera si allontanava, l’Espero sbandò sempre più sulla sinistra, mentre il tiro nemico continuava; poi il cacciatorpediniere si raddrizzò per un momento, dopo di che, riprese a sbandare, stavolta verso dritta. Dai fumaioli uscirono delle fiamme; alla fine, alle 20.40 (per altra fonte, le 20.15) la nave si capovolse ed affondò nel punto 35°18’ N e 20°12’ E (sul meridiano di Bengasi e sul parallelo di Creta, all’incirca), levando la poppa alta nel cielo prima di sparire per sempre.
L’Espero fu il primo dei 58 cacciatorpediniere italiani affondati nella seconda guerra mondiale, e la prima delle 174 navi mercantili e militari dell’Asse affondate sulle rotte della Libia tra il giugno del 1940 ed il gennaio del 1943.

Alle 20.35 il Sydney, avvicinatosi al luogo dell’affondamento, si mise alla ricerca dei sopravvissuti dell’Espero, le cui grida potevano essere avvertite nell’oscurità che era frattanto calata. Calati in mare entrambi i cutter, in un’ora e tre quarti l’incrociatore australiano recuperò 47 naufraghi, molti dei quali feriti, prima che l’ordine di riunirsi al resto della squadra, ed il timore di un attacco di sommergibili, lo inducessero ad interrompere il soccorso ed allontanarsi. Prima di andarsene, comunque, il Sydney lasciò sul posto una scialuppa (per la precisione, un cutter) con remi, provviste ed acqua, affinché eventuali altri superstiti dell’Espero – si sentiva ancora gridare nel buio – potessero servirsene; lo illuminò anche con i proiettori, prima di andarsene, per renderlo più visibile ai naufraghi. Collins spiegò poi questo gesto cavalleresco in questi termini: "Pensavo che l’equipaggio di una nave che si era difesa così valorosamente meritasse ogni possibilità di sopravvivere, anche a costo della perdita di un [nostro] cutter".
I 47 superstiti recuperati dal Sydney vennero medicati e rifocillati, e ricevettero dei vestiti asciutti; tre di essi, però, morirono a bordo dell’incrociatore per le ferite riportate. I 44 sopravvissuti – 3 ufficiali e 41 tra sottufficiali e marinai – furono sbarcati ad Alessandria d’Egitto (secondo una fonte australiana, al momento dello sbarco presentarono una petizione chiedendo di poter restare prigionieri degli australiani, in riconoscimento del buon trattamento ricevuto), da dove furono inviati nel campo di prigionia di Geneifa (Egitto), ove venivano concentrati i primi prigionieri italiani catturati in Nordafrica e nel Mediterraneo. Da qui sarebbero stati successivamente trasferiti in India.
I tre ufficiali sopravvissuti erano il capitano medico Lotti ed i sottotenenti di vascello Giussano e Corsetti (quest’ultimo avrebbe trascorso sei mesi in ospedale in Egitto, seguiti da cinque anni di prigionia in India).

Funerale di due naufraghi dell’Espero deceduti a bordo del Sydney, 29 giugno 1940 (Australian War Memorial)

Alcuni superstiti dell’Espero dopo il funerale (Australian War Memorial)

Un gruppo di sopravvissuti dell’Espero a bordo del Sydney (da www.navy.gov.au)
I cannoni del Sydney con la vernice fusa e scrostata per l’intenso ritmo di tiro sostenuto durante il combattimento contro l’Espero (Australian War Memorial)

Per gli altri naufraghi dell’Espero, in mare e sulle zattere di salvataggio, iniziava una terribile odissea. Erano soli, alla deriva senza cibo né acqua (la lancia del Sydney, evidentemente, non venne trovata dai naufraghi), a più di cento miglia dalla terra più vicina.
In breve le zattere e le imbarcazioni si persero di vista tra di loro, scomparendo per sempre nel buio della notte. La loro triste sorte è nota solo al mare, con una eccezione. Di un’unica zattera, infatti (quella che per ultima si era allontanata dalla nave), qualcuno sopravvisse per raccontarne la storia.
36 erano gli uomini che si trovarono su questa zattera quando l’Espero affondò. Tra di essi un unico ufficiale, il comandante in seconda; questi si era gettato in mare quando le zattere erano già lontane, ma era riuscito ugualmente a raggiungerne una. Altri due marinai, arrivati alla zattera ancora più tardi, raccontarono di aver visto il comandante Baroni salire in plancia, e di avere poi avvertito due colpi di pistola. Il secondo capo cannoniere Lo Mastro, già in salvo sulla zattera, si tuffò in mare due volte per aiutare altri due naufraghi a salire a bordo: prima il comandante in seconda, e poi un marinaio.
Gli occupanti della zattera videro il proiettore del Sydney spazzare il mare per breve tempo, poi più nulla, solo il buio della notte (secondo una versione, i naufraghi sulla zattera si allontanarono deliberatamente dal luogo dell’affondamento, per evitare di cadere prigionieri).
Furono avvistate ed avvicinate delle altre zattere, ma si decise di non tentare di legarsi insieme, nel timore di rompere le camere d’aria; le altre zattere finirono così con l’allontanarsi e scomparire.
Molti dei naufraghi erano feriti; dato che la zattera era sovraccarica e non c’era posto per tutti, gli uomini sani o meno feriti scendevano in acqua, a turno, restando aggrappati fuoribordo, mentre i feriti più gravi restavano sempre a bordo. Ma ad ogni "cambio di turno", tra il buio, la stanchezza e la confusione del momento, i più deboli si lasciavano andare e scomparivano tra le onde.
La luce del sole non portò alcun miglioramento. Nei giorni successivi, la sete mieté inesorabilmente le sue vittime. Alcuni uomini morirono di sete; altri, spinti dalla disperazione a bere acqua di mare, furono presi da allucinazioni. Qualcuno gridò di vedere la terraferma, ed altri furono a loro volta presi da quella visione, metà allucinazione e metà speranza: i loro occhi videro la nitida sagoma di una montagna all’orizzonte, ma era solo illusione.
Il comandante in seconda fu il primo ad impazzire: chiese dell’acqua, chiamò il suo attendente, si arrabbiò e disse di lasciarlo scendere nel suo camerino, dove aveva ancora dell’acqua minerale. Calmato dai compagni, sembrò aver riottenuto il controllo di sé stesso, spronando i rematori ad un ultimo sforzo per raggiungere la terra vicina (ma frutto dell’immaginazione); ma quando gli altri naufraghi ebbero smesso di tenerlo d’occhio, si tuffò in mare e scomparve.
Altri fecero lo stesso, impazziti per la fame e per il sole: nel volgere di tre giorni, il numero dei superstiti era già sceso da 36 a 14. Morto il comandante in seconda, ad assumere il comando della zattera fu il secondo capo cannoniere Franco Lo Mastro, il più alto in grado ancora in vita.
Nella notte seguente si levò un forte vento, che spinse la zattera verso ovest, lontano dalla terra immaginaria che i naufraghi avevano "visto"; molti morirono durante la notte, gli altri si abbandonarono sul fondo del galleggiante, ormai rassegnati. Nelle acque intorno alla zattera si vedevano anche degli squali, in attesa del loro pasto.
L’indomani, quinto giorno alla deriva, i sopravvissuti erano scesi a sette. Quando il sole era già alto, si presentò loro quella che poteva sembrare un’altra allucinazione: una lancia di salvataggio, vuota, in mezzo al mare.
Spingendo la zattera con l’ultimo remo rimasto e con la forza delle braccia ormai scheletrite, i sopravvissuti riuscirono a raggiungere la lancia, che si rivelò essere reale. Era di grandi dimensioni, simile ad una baleniera; a bordo aveva dodici remi, quattro barilotti d’acqua da 50 litri, un proiettore Donath, una bussola a sospenzione cardanica, un fanale a candela, tre impermeabili con fiammiferi e sciarpe nelle tasche, elmetti che ritennero essere "di tipo francese", una pistola Very con 30 razzi, bucce di banana, stagnola con residui di marmellata e cera d’api.
Ai sopravvissuti dell’Espero, la barca sembrò un miracolo, forse la reliquia di un altro naufragio; ma sembra più che probabile che questo fosse il cutter con le provviste lasciato dal Sydney prima di andarsene, a disposizione degli altri naufraghi non raccolti. Alla fine era stato trovato: purtroppo, troppo tardi per i più.
I naufraghi affamati si avventarono su tutto quello che sembrava commestibile, poi intervenne il secondo capo Lo Mastro: ristabilì l’ordine, razionò l’acqua, per farla durare di più, e fece alzare due remi con un camisaccio e delle mutande, per rendere la lancia visibile da maggiore distanza. Fu appurato che non c’era più cibo a bordo; di acqua, però, ce n’era in abbondanza, tanta da garantire la sopravvivenza dei naufraghi ancora per molti giorni.
Uno dei sette naufraghi era ferito; morì il sesto giorno, ventiquattr’ore dopo il ritrovamento della lancia. Il suo corpo venne gettato in mare.
Dieci giorni dopo l’affondamento dell’Espero, i sopravvissuti avvistarono un idrovolante all’orizzonte: Lo Mastro sparò un razzo di segnalazione, e quando il velivolo si avvicinò per osservare meglio, i naufraghi videro che era italiano. Segnalarono con la lampada Donath «Siamo italiani, naufraghi dell’Espero»; l’idrovolante rispose «Ricevuto», poi se ne andò.
Anche il giorno successivo, l’undicesimo, venne avvistato un aereo, ma anche questo avvistamento non ebbe seguito.
Il problema della sete era temporaneamente risolto, ma la fame si faceva sentire: ora però i superstiti erano più che mai decisi a resistere, ed escogitarono vari modi per procurarsi un po’ di cibo. Un naufrago sparò un razzo in mezzo ad uno stormo di gabbiani che volavano nelle vicinanze: un gabbiano, investito dall’esplosione, cadde in mare morto. Raccolto e pulito, venne "cucinato" in un elmetto, nel quale i naufraghi accesero un fuoco bruciando un pezzo di legno asportato da un remo con un coltellino. Il risultato fu un gabbiano in parte crudo ed in parte bruciacchiato; ma per degli uomini che stavano morendo di fame, era comunque meglio di niente.
Si cercò anche di pescare, usando l’asta di una bandiera come canna da pesca e del filo di ferro come amo e lenza; venne però pescato soltanto un pescetto di ridotte dimensioni, la cui suddivisione fruttò razioni miserevoli, che furono mangiate crude. Per la disperazione, i sopravvissuti giunsero a mangiare anche il cuoio delle cinture.
Passarono ancora due giorni, alla deriva sotto il sole cocente. Il 12 luglio, quando i naufraghi erano ormai giunti allo stremo, sentirono all’improvviso dei rumori di ventilatori: a pochi metri di distanza, si era materializzato il sommergibile Topazio (capitano di corvetta Emilio Berengan). Erano finalmente in salvo: erano passati quattordici giorni dall’affondamento dell’Espero, e la deriva li aveva portati ad una cinquantina di miglia dalla costa della Cirenaica.
Dei 36 uomini che si erano trovati su quella zattera dell’Espero, in sei erano ancora vivi: il secondo capo cannoniere Franco Lo Mastro (che fu decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare per le sue azioni durante il combattimento e nelle due settimane alla deriva), il sottocapo cannoniere Antonio Spagnolo, il cannoniere Giuseppe La Tella, il sottocapo fuochista Giuseppe Palumbo, il cannoniere Lorenzo Raneo, la camicia nera Alessio Delucca.

I sei superstiti dell’Espero raccolti dal Topazio (da "Il naufrago dell'Espero. Storia vera di un sopravvissuto", di Anna Rita Delucca)

In tutto, tra i naufraghi raccolti dal Sydney e quelli salvati dal Topazio, soltanto 50 dei 255 uomini imbarcati sull’Espero sopravvissero. Morirono in combattimento, per le ferite od in mare 157 dei 198 uomini dell’equipaggio (6 ufficiali, 15 sottufficiali e 136 tra sottocapi e marinai) e 48 dei 57 militari di passaggio (compresi entrambi i militari della Regia Marina). Dei nove superstiti tra il personale di passaggio, due erano rimasti feriti e due mutilati.
La salma di un marinaio dell’Espero, il sorrentino Antonino Russo, di vent’anni, venne ritrovata il 19 luglio 1940 sulla spiaggia di Ras el Tin, vicino a Tobruk. Sepolto nel cimitero militare di Derna, sarebbe tornato nel suo paese natale solo 72 anni più tardi.


Caduti e dispersi tra l’equipaggio dell’Espero:

Nicola Ambrosini, capo meccanico di terza classe, disperso
Raffaele Aprea, marinaio, disperso
Martino Antonio Arianese, marinaio segnalatore, disperso
Giovanni Baldazzi, capo silurista di seconda classe, disperso
Fausto Balzarini, marinaio fuochista, disperso
Alessandro Bandiera, marinaio radiotelegrafista, disperso
Enrico Baroni, capitano di vascello (comandante), deceduto
Spartaco Barucci, sottotenente del Genio Navale, disperso
Dino Bellini, marinaio fuochista, disperso
Trento Benetti, sottocapo radiotelegrafista, deceduto
Ugo Beni, marinaio fuochista, disperso
Romualdo Bergonzo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Bertini, secondo capo meccanico, disperso
Gaetano Blo, marinaio elettricista, disperso
Francesco Bondi, marinaio cannoniere, disperso
Ernesto Bonzanini, marinaio fuochista, disperso
Antonio Boraso, sottocapo meccanico, disperso
Giorgio Borzone, guardiamarina, disperso
Silvio Boscu, marinaio cannoniere, disperso
Tommaso Botticini, marinaio fuochista, disperso
Antonio Bottino, marinaio cannoniere, disperso
Wilson Bottoglia, marinaio fuochista, disperso
Modesto Bovino, marinaio cannoniere, disperso
Dante Braschi, marinaio, disperso
Ermenegildo Brero, marinaio fuochista, disperso
Antonio Brizzi, marinaio, disperso
Francesco Busciumi, marinaio, disperso
Ferruccio Cacus, marinaio cannoniere, deceduto
Guido Carcas Regnand, sergente radiotelegrafista, disperso
Salvatore Gennaro Carnevale, marinaio, disperso
Enrico Carzana, marinaio fuochista, disperso
Francesco Causarano, secondo capo (operaio militarizzato), disperso
Paolo Cecinati, marinaio fuochista, disperso
Carmine Cementano, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Chiabrera, tenente di vascello, deceduto
Michele Ciampa, capo meccanico di seconda classe, disperso
Gerlando Ciffa, marinaio fuochista, disperso
Andrea Colaianni, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Comis, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Bruno Conte, sottocapo cannoniere, disperso
Vinicio Convalle, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Coppolino, marinaio, deceduto
Vincenzo Cordaro, sergente cannoniere, disperso
Raffaele Cortese, marinaio furiere, disperso
Celestino Cozzarin, sottocapo infermiere, deceduto
Pacifico Crudo, sergente cannoniere, disperso
Antonio D’Isa, marinaio fuochista, disperso
Angelo De Marchi, marinaio segnalatore, disperso
Donato De Nunzio, capo cannoniere di prima classe, disperso
Luigi De Ritis, capitano del Genio Navale, deceduto
Antonio Dessi, marinaio fuochista, disperso
Alvise Di Bernardo, marinaio segnalatore, disperso
Amleto Di Liberto, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Donzelli, capo radiotelegrafista di seconda classe, disperso
Remigio Doria, secondo capo segnalatore, disperso
Elio Dossi, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Drago, marinaio cannoniere, deceduto
Edoardo Esposito, sergente silurista, disperso
Guerrino Fabbri, marinaio fuochista, disperso
Natale Faccioli, sottocapo elettricista, disperso
Mario Fantini, marinaio S.D.T., disperso
Armando Farnocchia, marinaio cannoniere, disperso
Vincenzo Fazzolari, marinaio, disperso
Vincenzo Ferrigno, marinaio, disperso
Giuseppe Fiorello, sergente cannoniere, disperso
Armando Formichella, sottocapo nocchiere, disperso
Nello Gazzari, marinaio silurista, disperso
Giovanni Gereon, marinaio, deceduto
Giuseppe Ghitz, marinaio, disperso
Francesco Giampaglia, marinaio segnalatore, deceduto
Guido Giannotti, sottocapo S.D.T., disperso
Giuseppe Giordano, marinaio cannoniere, disperso
Orazio Giuffrida, marinaio, disperso
Francesco Alberto Grassi, marinaio fuochista, disperso
Raffele Greco, marinaio, deceduto
Rosario Greco, marinaio motorista, disperso
Nicola Gregoris, marinaio nocchiere, disperso
Sante Guarini, secondo capo meccanico, disperso
Antonio Guglielmi, marinaio, disperso
Rocco Guida, marinaio carpentiere, disperso
Vittorio Iannaccone, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Iatrino, marinaio, disperso
Antonio Inverno, marinaio S.D.T., disperso
Silvio La Sorsa, marinai S.D.T., disperso
Mario Lazzarini, marinaio cannoniere, disperso
Clodoveo Luigi Liguori, sottotenente di vascello, disperso
Mario Liguori, secondo capo meccanico, disperso
Pasquale Liotta, marinaio, disperso
Antonio Lipari, capo nocchiere di terza classe, disperso
Aristide Livieri, marinaio, disperso
Antonino Longo, marinaio, disperso
Luigi Longo, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Maggi, marinaio, disperso
Antonio Mallia, marinaio, disperso
Renato Marcolin, marinaio S.D.T., deceduto
Cosimo Marfeo, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Martella, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Marzella, marinaio fuochista, disperso
Silvio Massignan, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Serafino Maxia, marinaio radiotelegrafista, disperso
Mario Mazzola, marinaio, disperso
Raffaele Menolascino, capo meccanico di seconda classe, disperso
Alfredo Minazzi, marinaio, disperso
Francesco Molinelli, secondo capo cannoniere, deceduto
Natale Montecampi, marinaio fuochista, deceduto
Costantino Montinaro, sottocapo S.D.T., disperso
Celeste Morandini, sergente cannoniere, disperso
Giovanni Morello, marinaio fuochista, disperso
Andrea Moro, sottocapo meccanico, disperso
Mario Nebuloso, marinaio cannoniere, disperso
Emanuele Nocera, sottocapo segnalatore, disperso
Matteo Oddone, sergente nocchiere, deceduto
Orlando Orsini, sottocapo S.D.T., disperso
Giacomo Palvario, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Parretti, marinaio cannoniere, deceduto
Carlo Persico, capo furiere di prima classe, disperso
Salvatorigo Pes, capo elettricista di terza classe, disperso
Evio Pescucci, marinaio S.D.T., disperso
Angelo Pintossi, marinaio fuochista, disperso
Stefano Plasa, marinaio cannoniere, disperso
Enrico Porceddu, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Provenzano, marinaio fuochista, disperso
Orazio Pulvirenti, marinaio cannoniere, deceduto
Sebastiano Quattrocchi, marinaio cannoniere, disperso
Placido Ricceri, marinaio cannoniere, disperso
Werther Ricci, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Rocco Richichi, sottocapo S.D.T., disperso
Osvaldo Rossi, marinaio carpentiere, disperso
Carlo Rozzoni, sergente S.D.T., disperso
Giuseppe Rusconi, marinaio fuochista, disperso
Antonino Russo, marinaio, deceduto
Giuseppe Russo, marinaio cannoniere, disperso
Felice Schepis, sottocapo cannoniere, deceduto
Mario Scognamiglio, marinaio elettricista, disperso
Luigi Spalladore, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Spartaco Spicciariello, marinaio fuochista, disperso
Carlo Tamiati, secondo capo S.D.T., disperso
Celestino Tarantino, marinaio silurista, disperso
Ivo Teofoli, marinaio cannoniere, disperso
Sebastiano Tito, sottocapo cannoniere, disperso
Luigi Togni, marinaio, disperso
Osvaldo Tozzini, marinaio fuochista, disperso
Renato Tucci, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Tutone, marinaio fuochista, disperso
Giacomo Vaccaro, marinaio furiere, disperso
Luigi Vaia, sergente cannoniere, disperso
Dante Vando, marinaio torpediniere, disperso
Pietro Vanoncini, marinaio silurista, disperso
Luigi Velluso, marinaio fuochista, disperso
Vito Vento, marinaio, disperso
Antonio Verdone, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Versace, sergente cannoniere, disperso
Carlo Villa, marinaio fuochista, disperso
Eugenio Zanchi, marinaio cannoniere, disperso
Felice Zoppo, marinaio fuochista, deceduto
Libero Zuccarino, marinaio cannoniere, disperso


L’equipaggio dell’Espero (da www.secondocircoloercolano.gov.it)


Sopra, il marinaio Luigi Giuseppe Togni, da Paladina (BG); sotto, il marinaio cannoniere Pietro Eugenio Zanchi, da Villa d’Ogna (BG). Entrambi ventenni, entrambi dispersi sull’Espero (g.c. Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it)


La motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di vascello Enrico Baroni, nato a Firenze il 24 novembre 1892:

"Comandante di una squadriglia cacciatorpediniere durante un combattimento contro reparti nemici soverchianti, dava prova di salde qualità di comando, di grandezza e di serenità di animo. Colpita la sua nave da numerosi proiettili che ne avevano fortemente diminuita l'efficienza, senza esitazione e con profondo sprezzo del pericolo, accostava verso gli incrociatori britannici per portarsi a distanza di lancio. Dopo prolungata azione di fuoco, ultimate le munizioni dell'unico complesso da 120 ancora in condizioni di sparare, mentre il cacciatorpediniere lentamente affondava sotto il tiro nemico, scendeva dalla plancia in coperta per provvedere alla salvezza del personale superstite che si gettava in mare al suo ordine, dopo aver inneggiato al Re e alla Patria. Date disposizioni per assicurare un più rapido affondamento del cacciatorpediniere, sebbene insistentemente invitato dalla sua gente a prendere posto sui mezzi di salvataggio, risaliva sulla plancia per morire, secondo la più nobile tradizione navale, con il bastimento del quale aveva il comando.
Mar Jonio, 28 giugno 1940."

Il capitano di vascello Enrico Baroni (g.c. Giovanni Pinna)

La notizia del conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria del comandante Baroni, sulla “Domenica del Corriere” del 5 luglio 1942 (da “Il naufrago dell’Espero. Storia vera di un sopravvissuto” di Anna Rita Delucca)


La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello Giovanni Chiabrera, nato a Ponti (Alessandria) il 12 maggio 1901:

"Ufficiale in 2a di cacciatorpediniere impegnato in lunga, impari lotta contro forze preponderanti, incurante dell'offesa avversaria che provocava gravi danni e perdite di uomini, con indomita energia si prodigava per mantenere alto lo spirito dell’equipaggio ed attiva la reazione dell’unità. Irrimediabilmente colpita la nave, lanciava ancora contro l’avversario gli ultimi siluri e scompariva in mare, lasciando l’esempio di tenace, sereno coraggio e di completa dedizione alla Patria.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno 1940."

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio Navale Direzione Macchine Luigi De Ritis, nato ad Ancona il 21 ottobre 1902:

"Capo Servizio G.N. di CT. impegnato in lunga impari lotta contro preponderanti forze avversarie la cui offesa provocava gravi danni, con instancabile energia e sprezzo del pericolo, presente in ogni istante dove più necessaria era la sua opera, si prodigava per assicurare la galleggiabilità della nave ed il funzionamento dei macchinari, trascinando il personale all’assolvimento del proprio dovere.
Scompariva con l’unità, esempio di tenace coraggio e di completa dedizione alla Patria.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno 1940."

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al secondo capo cannoniere armaiolo Franco Lo Mastro, nato a Leporano (Taranto) il 9 febbraio 1912:

"Sorvegliante al complesso di prora da 120 durante un combattimento sostenuto dal cacciatorpediniere ESPERO contro forze nemiche preponderanti, avvenuta avaria alla centrale di tiro, assumeva la direzione del tiro del complesso che continuava a sparare efficacemente fino all’esaurimento della
dotazione di munizioni. Lanciatosi in mare poco prima dell’affondamento del cacciatorpediniere, saliva su di una zattera, dalla quale due volte si gettava a nuoto per aiutare il comandante in 2a ed un marinaio a raggiungere la zattera stessa.
Alla morte del comandante in 2a, avvenuta la notte successiva all’affondamento dell'ESPERO, assumeva il comando del personale rifugiatosi sulla zattera al quale dava mirabile esempio di serenità, di ducia e di fermezza d’animo durante i 13 giorni passati in mare dai naufraghi prima del loro salvataggio effettuato dal sommergibile TOPAZIO.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno-10 luglio 1940."

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo cannoniere di prima classe Giovanni Baldazzi, nato a Favignana (Trapani) il 22 ottobre 1901:

"Capo silurista a bordo di cacciatorpediniere impegnato in lunga impari lotta contro forze preponderanti, infondeva con l’esempio e la parola, nel personale a lui sottoposto, la calma e lo spirito combattivo che permettevano di lanciare le ultime armi rimaste illese dalla distruzione provocata dai proiettili nemici, estrema reazione della nave in procinto di affondare. Esempio di sprezzo del pericolo e di tenace coraggio.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno 1940."

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottotenente di vascello Gualtiero Corsetti:

"Ufficiale imbarcato su cacciatorpediniere impegnato in lunga impari lotta contro preponderanti forze avversarie, la cui offesa provocava danni e perdite di uomini, incurante del rischio si prodigava per assicurare il funzionamento dei servizi affidatigli, trascinando con l’esempio e la parola l’equipaggio al completo nell’assolvimento del proprio dovere; assicurava infine l’ordinato sbarco della gente nei pochi mezzi di salvataggio rimasti intatti, quando il comandante dava l’ordine di abbandono della nave in procinto di affondare.
Esempio di sereno coraggio ed elevato spirito bellico.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno 1940."

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo segnalatore Remigio Doria, nato a Trieste il 26 febbraio 1913:

"Imbarcato su cacciatorpediniere impegnato in lunga, impari lotta contro preponderanti forze avversarie assolveva in plancia, con serenità e perizia, i propri compiti.
Fra le distruzioni provocate dallo scoppio di proiettili, incurante del rischio, infondeva al personale dipendente la propria indomabile energia.
Colpito a morte riutava ogni aiuto e, nell’imminenza dell’affondamento della sua nave esortava i compagni a lasciarlo ed a porsi in salvo. Scompariva in mare lasciando esempio di serenità, di coraggio e di dedizione alla Patria.
Mediterraneo Centrale, 28 giugno 1940."

L’Espero nel 1930 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Due interessanti aggiunte, 15 giugno 2018:

Ulteriori dettagli e testimonianze sugli ultimi momenti dell’Espero, dal saggio di Francesco Mattesini "Operation M.A.3 – L’eroico combattimento del cacciatorpediniere Espero e l’affondamento, con l’asportazione di documenti segreti, del sommergibile Uebi Scebeli, 28 giugno 1940":

"L’affondamento dell’Espero, era avvenuto dopo ben due ore di combattimento, nel corso del quale, oltre a lanciare i tre siluri, colpì il Liverpool, come abbiamo detto, con una granata da 120 mm, e dopo che l’equipaggio aveva accelerato la sua fino allagando i depositi munizioni. Il comandante Baroni, dopo aver ordinato di cessare il fuoco e di abbandonare la nave, aiutò l’equipaggio a mettersi in salvo sulle zattere di salvataggio. Quindi rifiutò di abbandonare la sua nave e affondò con essa. Gli fu concessa una meritatissima Medaglia d’Oro alla memoria, il riconoscimento più alto per le Forze Armate italiane.
Nella relazione del Sydney la versione sulla morte del comandante Baroni, fornita dalle dichiarazioni di un superstiti dell’Espero, è alquanto controversa. Il decesso si sarebbe verificato in seguito ad un’esplosione avvenuta probabilmente in un deposito di munizioni di piccolo calibro vicino alla plancia, dove si trovava Baroni, e determinando l’immediato incendio di tutta la parte centrale del cacciatorpediniere che fu subito avviluppato dalle fiamme della nafta incendiata. Diverso è invece il racconto fatto su Baroni dal capitano medico Lotti, nel descrivere quanto avvenne al momento in cui l’Espero fu immobilizzato per poi affondare: "Verso le 20 l’ESPERO colpito, nel locale macchine rimaneva immobilizzato. Si seguitava a sparare da ambo le parti, finché due imbarcazioni (i ciambellani) venivano calate in mare; in queste trovavano rifugio dai 40 ai 50 uomini, la maggior parte ferita, ma non in modo grave; erano troppi uomini per simili imbarcazioni, molti erano aggrappati con le mani, mentre il loro corpo era in acqua; una di esse fu colpita in pieno dal nemico. Io, che sebbene ferito, sia pure in forma leggera e in due punti dell’arto superiore destro, seguitavo da un capo all’altro del bastimento a prestare la mia opera … Eravamo rimasti a bordo non più di 10, oltre al Comandante, il Segretario di Squadriglia S.T.V. Giussani ed io; il Comandante Baroni e il S.T.V. Giussani feriti al braccio e gravemente, grondanti sangue dalle loro divise lacere. Mentre ancora cercavo di curare e consolare i pochissimi rimasti, nonché i feriti più gravi, mi accorsi che il Comandante stava scendendo dalla plancia in coperta; mi avvicino a lui e mi accingo a dargli ancora del rum e a fasciargli la ferita; il Comandante mi risponde di pensare agli altri; indicandomi con un largo gesto del braccio sano tutta la coperta piena di corpi feriti da cui si alzava qualche lamento. Alla mia preghiera di cercare di gettarsi in mare insieme a me e agli altri rimasti rispondeva che il suo destino era legato a quello della nave, dopodichè mi esortava a buttarmi in mare, raccomandandomi, qualora mi fossi salvato, di andare a Roma a riferire al Ministero che Egli aveva cercato di fare tutto il suo dovere, ma contro un nemico così enormemente superiore non si poteva fare nulla di più." Il sottotenente di vascello Giussani, aggiunse nella sua relazione: "In tutto questo periodo il contegno del personale fu esemplare ed io non sentii una sola parola di sconforto o di abbattimento. Il Comandante Capitano di Vascello Baroni, veniva ferito al braccio dallo stesso colpo che feriva me, ma non gravemente: poi non lo rividi più. Dopo il mio recupero (da parte di una imbarcazione del Sydney) un sottufficiale mi disse di averlo visto in piedi, sulla poppa della nave sprofondare con essa, dopo aver risposto negativamente ai suoi ripetuti inviti a salvarsi". Questa dichiarazione di Giussani fu confermata dal capo cannoniere Franco Lo Mastro, il quale, dopo aver aiutato i feriti a prendere posto su una delle tre zattere (canotti "Carley") messe in mare dal personale dell’Espero, manovra resa più facile dal fatto che ormai l’acqua era a pochi centimetri dal trincarino, si recò "dal comandante per invitarlo prendervi posto" ma il capitano di vascello Baroni, non era intenzionato a salvarsi, per condividere la sorte della sua nave. Dichiarò, infatti, Lo Mastro: "Al mio invito negò recisamente, mi strinse la mano elogiandomi e infine mi ordinò di abbandonare la nave ed allontanarmi prima che fosse troppo tardi. Eseguii il suo ultimo ordine e dopo aver preso posto sulla zattera notai un marinaio offrire al Comandante il proprio salvagente perché si salvasse. Questi rifiutò abbracciando il marinaio, e dopo avergli rimesso il salvagente lo aiutò a scendere in mare perché raggiungesse la nostra zattera. Al contabile meccanico, il Comandante disse queste testuali parole: “Contabile, ha visto come siamo stati sfortunati?”. Ed al nuovo invito del Sottufficiale a salvarsi con lui, rispose: “No, il Comandante muore con la propria nave”. Poco dopo, ritornando nei suoi passi disse al contabile: “Se avrete fortuna di far ritorno in Patria, direte ai nostri superiori che abbiamo compiuto il nostro dovere sino all’ultimo. Viva l’Italia”. Indi si allontanò verso poppa". Dopo l’affondamento dell’Espero il Sydney ammainò le sue due imbarcazioni di salvataggio e dispose gli spezzoni di cima lungo i bordi della nave, facendo poi ogni sforzo generoso per recuperare i superstiti, che si trovavano a bordo dei battellini Carley o aggrappati ad essi, oppure a delle tavole di legno. L’incrociatore ne prese a bordo quarantasette (trentotto uomini dell’equipaggio e nove Camicie Nere), incluso il Dottor Lotti, e i sottotenenti di vascello Giussani e Corsetti, che poi al rientro dalla prigionia fornirono le preziose testimonianze sull’episodio che abbiamo descritto. Purtroppo, tre dei marinai decedettero per le gravi ferite riportate nel combattimento. Il Sydney, che rimanendo immobile nella zona stava correndo un grande rischio, a causa della presenza dei sommergibili, nonostante i suoi sforzi non poté salvare altri naufraghi, perché non avvistati nell’oscurità della notte illuminata soltanto dai proiettori dell’incrociatore che scrutavano il mare senza luna, nero come la pece. Fu questa la sorte del Carley in cui aveva preso posto il capo cannoniere Lo Mastro assieme ad altri trentasei naufraghi. Le perdite umane dell’Espero aumentarono poi per il fatto che un altro dei tre Carley, anch’esso carico di naufraghi, fu centrato in pieno da un proiettile del Sydney, prima che all’incrociatore fosse ordinato di cessare il fuoco contro il cacciatorpediniere immobilizzato. Fortunatamente per una parte di quegli uomini il Sydney, prima di allontanarsi per raggiungere gli altri incrociatori della Forza A, lasciò in mare una attrezzata imbarcazione di salvataggio, che poi permise il salvataggio di altri naufraghi del Carley di Lo Mastro. A bordo di quel canotto, su cui si trovavano i feriti, mentre gli altri uomini vi si tenevano aggrappati immersi in acqua, i naufraghi trascorsero tre giorni: in questo periodo di tempo, essi si assottigliarono di numero, perché il Carley ogni tanto, a causa del peso, affondava o si capovolgeva. Molti feriti annegarono e morirono per quella causa, e a Lo Mastro, aiutato dai pochi marinai ancora lucidi di mente, risultò difficile calmare parte degli altri uomini del canotto, che non capivano più nulla. Altri, ancora, per la mancanza d’acqua, impazzirono letteralmente, come accadde all’ufficiale in seconda dell’Espero, tenente di vascello Giovanni Chiabrera. Poi, il quarto giorno di quel martirio, fu individuata l’imbarcazione del Sydney, e i superstiti, facendo notevoli sforzi riuscirono a raggiungerla e salirvi a bordo, per poi trascorrendovi altri undici terribili giorni alla deriva, vedendo morire di inedia un altro uomo. Nell’interno dell’imbarcazione non furono trovati viveri, ma vi erano 200 litri d’acqua distribuita in quattro barili nonché un fanale da segnalazione Donath completo di batteria e in perfetto stato di funzionamento, alcuni impermeabili, una bussola, dodici remi e sei elmetti di tipo francese. Finalmente, il 12 luglio, i sei superstiti, compreso Lo Mastro, che durante tutto quel tempo aveva preso in mano la situazione, cercando di calmare gli uomini, distribuendo ordini e razionando la scorta d’acqua, furono avvistati e salvati dal sommergibile italiano Topazio (capitano di corvetta Emilio Berengan), che stava rientrando a Taranto da una missione di guerra. Il salvataggio si verificò con mare molto mosso. Tutti i dettagli di quel tragico avvenimento, furono scritti da Lo Mastro nella sua relazione scritta dopo il rientro del Topazio a Taranto. Ha scritto il capo cannoniere Lo Mastro: "Razionai subito l’acqua. Nello stesso giorno uno dei componenti morì; lo tenni a bordo per qualche giorno nella speranza di essere salvati da un momento all’altro, allo scopo di consegnare la salma alla famiglia. Non mi fu possibile portare a termine il mio proponimento perché col passare dei giorni il cadavere andava vieppiù in putrefazione ed anche perché il sottocapo motorista mi aveva espresso il desiderio di sfamarci con il cadavere. A detta proposta mi opposi spiegandogli le conseguenze che potrebbero derivare dall’atto inumano; infine, facendo opera di persuasione, mi fu permesso di sfilarlo in mare". I sei naufraghi dell’Espero erano: 2° Capo Cannoniere Franco Lo Mastro, Sottocapo Cannoniere Antonio Spagnolo, Cannoniere Giuseppe La Tella, Cannoniere Lorenzo Romeo, Sotto Capo Fuochista Giuseppe Palombo, e Camicia Nera Alessio Delucca, del 2° Gruppo del 4° Battaglione Antiaereo “Napoli”. Il sommergibile Topazio avvistò l’imbarcazione lasciata dal Sydney (dipinta in bianco e con i remi alzati a prua e a poppa portanti indumenti come segnali) alle 18.45 del 12 luglio, nel punto a miglia 46 per 0° da Ras el Tin. Avvicinatosi, il comandante Berengan constatò che vi erano a bordo sei persone che facevano segni di soccorso. Provvide ad imbarcarle, constatando che, pur non essendo ferite e avendo soltanto alcune abrasioni rimarginate e ustioni, “erano in stato di grande prostrazione fisica”. L’imbarcazione, a tredici remi, era completamente attrezzata, con una pistola e fuochi da segnali, due barili d’acqua di circa dieci litri ciascuno, salvagente e cassa per indumenti, ma non vi erano viveri. A causa delle condizioni del mare, forza 5, che causò difficoltà nel trasbordo dei naufraghi, e per la necessità di non soffermarsi più a lungo nella zona, Berengan preferì abbandonarla, senza asportare da essa qualche strumento. Dall’interrogatorio dei naufraghi, fu appreso che l’acqua, che servi a tenere in vita gli uomini per tanti giorni, era stata razionata, con disposizioni impartite dal 2° Capo Lo Mastro. Sul suo comportamento, il comandante del Topazio scrisse nel suo rapporto inviato a Marina Taranto: “Mi è doveroso segnalare il comportamento del 2° Capo LO MASTRO Franco, saggio nelle disposizioni prese, risoluto nella disciplina impartita, malgrado loro, ai compagni scoraggiati ed abbattuti: calmo e sereno nel coadiuvare le operazioni di salvataggio. Gli è stato di valido aiuto il Cann. O. Romeo Lorenzo”."


Inserto al numero 135 del giornale "Quotidiano" del 9 giugno 1990, con il racconto di Franco Lo Mastro (si ringrazia il figlio Francesco Paolo)



"Fine gloriosa del C.T. Espero", opuscolo edito nel 1942 dall'"Editoriale di Propaganda" di Roma (g.c. Francesco Paolo Lo Mastro)



L’affondamento dell’Espero ed il recupero dei naufraghi in un’intervista al marinaio australiano Thomas Fisher, all’epoca imbarcato sul Sydney (da http://australiansatwarfilmarchive.unsw.edu.au/archive/1236-thomas-fisher):

"Well before we get to the Colleoni action after Bardia – What was the next action?
The Espero destroyer.
What led up to that action?
Well the fleet were doing a sweep when we came across three destroyers and the seven cruiser squadron three ships were detailed out for the three destroyers but the destroyers fanned out, see. We were given one called Espero to sink. Well we sank that one and we picked up the survivors and that is the saddest part of my trip because they grabbed out turret to take the lifeboat away. They sent two lifeboats away and we went away and of course the Italians were yelling in the water because their ship had been sunk. They were screaming and yelling in the water. So when we got alongside a group of them they all grabbed hold of the cutter to try and climb onboard. Our cutter was going over like this see and the petty officer gave me a tiller handle and said, smack them on the knuckles and make them get back so we can bring them in orderly. I was panic-stricken and they were panicking too and one chap wouldn’t let go. I think I broke his hands but he wouldn’t let go, so I belted him across the head. Because he just let go then and that’s something that’s stayed with me for the rest of my life. I often think, “Did he leave a wife and family?” I know I killed him and that’s something that I’ve lived with for a long, long time and I’ve tried to put out of my mind but war – one’s war [?UNCLEAR] .
Sounds like a desperate situation.
Well actually as I said there were some men and they could have capsized us. Of course the captain was yelling get a move on, get a move on. We were in danger waters. They had a signalling projector lamp, like a small searchlight shining down on the water and of course we didn’t know where the submarines were or anything. So later on in the war they decided not to pick up any survivors.
I think the important thing is the men that you rescued?
Well we looked after them. They gave them all a sailor’s old uniform, especially the sailors old duck ones which we didn’t use any more. Because their uniforms were oil soaked and covered in oil. So took them round to the bathroom and gave them hot showers and got the oil off them. They put them all in the recreation room for sleeping and gave them food. Gave them chocolates and cigarettes and that and I’ve got photos of them here, now on the deck. And when we got to Alexandria, several of them wanted to stay on the ship – they didn’t want to go ashore.
That’s interesting. Why do you think that was?
The way they were treated I think onboard. See a lot of them were peasants too. They were called up and put in the navy just before the war broke out and not much training. I don’t think that they had the national pride that the Australians have, you know. As soon as they reckon the food was good –
How many men did you have onboard?
I think we had twenty-eight so a lot were killed. We left a cutter with supplies onboard and a humorous thing. The cutter, a thirty-two foot boat and we left it there with supplies on.
Just left it adrift?
Yes. And we caught up with a chap called Cantoni in North Perth, who was a survivor and got away in that cutter. He was an electrician and he died only a couple of years ago, he was in North Perth.
That’s remarkable. What was that meeting like when you discovered that?
He was a little bit anti-social but another chap that we met up with on the Colleoni we used to take him to our reunions. So when we get the Colleoni. Do you want that now?
No. But can you describe your action with the Espero before she sunk?
I couldn’t see anything because I was in the turret. Being a rammer my job was just to ram shells home and to keep on my feet, you know. So all I remember was enemy in sight, range 19 terro. Now 19 terro is nineteen thousand two hundred yards that they open fire at. Nearly ten miles. And one thing I do remember, after we’d ceased firing, just before we took the lifeboat crews away there was a terrific underwater explosion and they think that as the Espero sunk depth charges or the boiler blew up. It was a terrific explosion and I think that killed a lot of chaps in the water before we picked them up.
What is your overall knowledge of that day? Were there any other vessels involved in that battle?
Well there was two other cruisers and two other destroyers that escaped. They got away. There was only one destroyer sunk and that’s the one we were given.
And did the Sydney take these ships on by herself?
Took one on. No, see the admiral, when he sent the signals, he said we have allocated one to the Sydney – the one on the – They didn’t know the name of it but they took the bearing of that ship and the others were to engage the other two separately. But the other two got away. It was just on dark then too. It was dark when we were picking up the survivors.
The only thing I can remember is the engineer, he was on a camp stretcher in one of the officers cabins. See, I had a job at sea in those days as what they called a signal deck officers messenger boy. I had to take the signals round on a clipboard to the officers but nothing of a confidential nature. Just the general signals that come through. You know, the oiler will come along at such and such a time. Just general ordinary things. And I can remember going to the chap and he could speak English and he said, “Are you an Australian?” And I said, “Yes.” “Is Australia a good place?” He was an officer and he spoke well too. “Yes.” You know. A little simple thing because his is still an officer. So he was an engineer officer but in the engineer officers’ cabin, sleeping on the deck on a stretcher. A canvas stretcher.
That’s interesting. You were travelling with the fleet before you sunk the Espero and then the admiral gave you all different ones to attack?
Yes. There was no good all of us rushing around trying to concentrate on one and the others getting away.
The Italian found themselves out numbers that day?
Yes. Very much so."

Un’altra immagine dell’Espero (da it.wikipedia.org)