mercoledì 19 aprile 2023

F 20 Enrica

L'Enrica in una foto scattata a Messina (g.c. Mauro  Millefiorini)

Piroscafo rimorchiatore di 269,01 tsl e 74,90 tsn, lungo 39,52 metri, largo 7,31 e pescante 3,23. Di proprietà dell'Impresa Domenico Vitali di Roma, iscritto con matricola 159 al Compartimento Marittimo di Roma (secondo "Navi mercantili perdute" dell'USMM; tuttavia il Libro Registro del RINA del 1938 lo dà invece come iscritto con matricola 18 al Compartimento Marittimo di Messina, ed anche i registri dei Lloyd's del 1941 danno come porto di registrazione Messina), nominativo di chiamata ITLR.
 
Breve e parziale cronologia.
 
Ottobre 1913
Completato dai cantieri Philip & Son Ltd. di Dartmouth come Vincent Grech (numero di costruzione 420), per la Vincent Grech's British Salvage Company, una delle principali ditte di recuperi navali attive nella zona dei Dardanelli. Stazza lorda 253 tsl.
Aprile 1915
Attivo a Tenedo.
1915 o 1916
Acquisito al Pireo dalla Royal Navy durante la prima guerra mondiale e ribattezzato Alice. Impiegato come rimorchiatore di salvataggio a Malta, in Grecia e più in generale nel Mediterraneo, inizialmente (fino al 1917) alle dipendenze dell'His Majesty’s Dockyard Service.
Norman Thomas Gilroy, radiotelegrafista su una nave britannica attiva nelle acque di Gallipoli (e futuro primo cardinale australiano della storia), descriveva così l'Alice/Vincent Grech nel suo diario: “È un buon grosso rimorchiatore di circa 500 tonnellate [sic], con macchine in grado di spingerlo a 14 nodi; i suoi alloggi sono sorprendentemente buoni, con un salone e due cabine molto grandi e locali ben arredati”.
Autunno 1915
È attivo a Mudros, e successivamente a Port Said.
Gennaio 1916
Trasporta personale della Royal Navy a Stavros.
30 aprile 1916
Rimorchia da Mudros a Malta il cacciatorpediniere HMS Bulldog, che ha perso la poppa su una mina al largo di Gallipoli. Lo scorta nella navigazione un altro rimorchiatore, il Nero.
Maggio 1916
Compie vari viaggi a Lero.
Ottobre 1916
Compie vari viaggi da Malta a Milo trasportando equipaggi di preda prelevati dall’equipaggio della vecchia corazzata britannica Exmouth.
21-26 febbraio 1917
Insieme ai rimorchiatori Sampson e Veteran, l'Alice disincaglia il piroscafo Hellenes; per questo lavoro, l'equipaggio dell'Alice riceverà una ricompensa dalla Marina britannica.
30 gennaio-1° febbraio 1918
Disincaglia il piroscafo Sagama River; anche stavolta l’equipaggio riceve una ricompensa.
31 dicembre 1918
Si trova a Milo.
Settembre 1925
Radiato dai quadri della Royal Navy e venduto a privati; ribattezzato Salvator.
1935 o 1936
Acquistato dall'Impresa Domenico Vitali di Roma e ribattezzato Enrica.
11 maggio 1940
Requisito dalla Regia Marina.
1° giugno 1940
Iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato (dalle 00.00 del 1° giugno) con sigla F 20, venendo adibito al servizio di scorta convogli e pilotaggio foraneo.
13 agosto 1940
Radiato dal ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, rimanendo però requisito.
20 aprile 1943
Nuovamente iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, a partire dalle 16 del 20 aprile, stavolta nella categoria delle navi onerarie.
6 maggio 1943
L'Enrica si trova a Trapani quando la città viene colpita da un'incursione aerea della 12th U. S. Air Force, seguita da un'altra da parte di bombardieri Vickers Wellington del 142nd Squadron della Royal Air Force, che causa l'affondamento del motoveliero requisito V 298 Maria Camali ed il danneggiamento del V 291 Anna M. Nel bombardamento perdono la vita anche due membri dell'equipaggio dell'Enrica, il marinaio venticinquenne Antonio D'Anna, da Acireale, ed il quarantacinquenne sottocapo fuochista Domenico Zanti, da Augusta.
 
"U vapuri"
 
Il 19 maggio 1943 l'Enrica lasciò Messina rimorchiando il pontone a biga Titano, che doveva portare a Salerno (con un carico di munizioni, secondo una versione), ma alle tre di quel pomeriggio il minuscolo convoglio venne avvistato nel Golfo di Sant'Eufemia dal sommergibile britannico Unbroken, al comando del tenente di vascello Bruce John Bevis Andrew. L'Unbroken, che aveva al suo attivo già diversi successi (tra gli altri, il siluramento degli incrociatori Bolzano e Muzio Attendolo nell’agosto precedente), era salpato da Malta sei giorni prima per la sua diciassettesima missione di guerra, un pattugliamento a nord della Sicilia; Enrica e Titano furono le prime navi da esso avvistate nel corso della nuova missione, ed il comandante britannico decise di attaccare con il siluro, scelta abbastanza insolita per un bersaglio così piccolo, anche se Andrew ne aveva stimato la stazza in 600 tsl, più del doppio del reale.
L'Unbroken manovrò dunque per avvicinarsi ai due natanti italiani, che procedevano verso nord tenendosi sottocosta, con un idrovolante di scorta sul loro cielo; proprio questo idrovolante costituì un “leggero fastidio”, costringendo il sommergibile a scendere in profondità a più riprese durante la manovra di avvicinamento. Andrew notò che l'Enrica aveva colorazione mimetica ed apprezzò la sua velocità in sei nodi, basandosi su una stima della sua lunghezza e cronometrandone l’avanzamento rispetto ad un punto cospicuo della costa. Alle 15.47 l'Unbroken lanciò ben due siluri contro l'Enrica, da 2700 metri di distanza, regolandoli per una profondità di 2,45 metri e mirando alle due estremità (“subito a poppavia del dritto di prora e subito a proravia della poppa”).
Due minuti e sei secondi dopo i lanci (le fonti italiane riportano l'orario come le 15.50) l'Enrica venne colpito in pieno da uno dei siluri, affondando immediatamente a tre miglia per 260° (cioè ad ovest) da Pizzo Calabro e due miglia a nord di Briatico, nel punto 38°45' N e 16°00' E.
 
Dei ventuno uomini che componevano l'equipaggio dell'Enrica, soltanto otto sopravvissero; a raccoglierli fu l'idrovolante di scorta, subito ammarato sul punto dell’affondamento. Di sei delle vittime vennero recuperati i corpi, mentre i rimanenti sette vennero dichiarati dispersi.
 
Le vittime:
 
Rosario Caprino, capo meccanico di seconda classe, 39 anni, da Pizzo Calabro
Salvatore Contarino, marinaio militarizzato, 19 anni, da Riposto 
Giuseppe Danise, marinaio, 29 anni, da Trapani
Giuseppe Di Maio, marinaio, 23 anni, da Palmi 
Giacomo Diana, capo nocchiere di prima classe, 46 anni, da Piazza Armerina 
Roberto Guarnera, marinaio fuochista, 23 anni, da Catania
Michele Maddalena, marinaio fuochista, 27 anni, da Bisceglie
Settimo Munna, marinaio, 45 anni, da Trapani
Antonio Pasceri, sottocapo, 28 anni, da Pizzo Calabro
Salvatore Ruocco, marinaio fuochista, 25 anni, da Massa Lubrense
Giovanni Scimone, marinaio segnalatore, 21 anni, da Messina
Giorgio Spatafora, marinaio fuochista, 22 anni, da Corigliano Calabro
Giovanni Strazzullo, marinaio fuochista, 28 anni, da Napoli
Salvatore Vindigni, marinaio, 30 anni, da Pozzallo
 

L'affondamento dell'Enrica nel rapporto di missione dell'Unbroken (g.c. Platon Alexiades)


Secondo il ricordo di Domenico Prostamo, pescatore di Briatico, un ferito venne trovato sulla spiaggia di Cocca, dove furono portati anche i corpi che fu possibile recuperare. Un altro superstite, un sottufficiale, raccontò ai soccorritori che al momento del siluramento si trovava a prua estrema dell'Enrica ed era stato lanciato in aria per venti metri dall’esplosione, ricadendo in mare pressoché indenne.
Sembra uno strano scherzo del destino la sorte del capo meccanico Rosario Caprino e del sottocapo Antonio Pasceri, che proprio a Pizzo Calabro erano nati rispettivamente 39 e 28 anni prima: la loro vita finì così a pochi chilometri da dove era iniziata. Caprino, insieme al capo nocchiere Giacomo Diana ed al marinaio Settimo Munna (entrambi siciliani e quarantaseienni), era di gran lunga il più “anziano” tra gli uomini morti sull'Enrica, gli altri avevano tutti tra i venti e i trent'anni. (Non è stato possibile appurarlo con certezza, ma in considerazione del grado sembra molto probabile che Diana e Caprino fossero rispettivamente il comandante ed il direttore di macchina dell'Enrica).
L'Unbroken osservò l'idrovolante intento a recuperare i superstiti – il comandante Andrew annotò nel rapporto che il suo idrofonista ebbe in questa circostanza l’insolita occasione di ascoltare all'idrofono i rumori dei motori un aereo, invece che di una nave – fino alle 16.15, quando Andrew decise di scendere in profondità e ritirarsi verso ovest in seguito all’arrivo di una motosilurante, apparentemente proveniente da Vibo Marina. Poco dopo, alle 16.20, l'idrovolante, ultimato il salvataggio dei naufraghi, decollò ed iniziò la caccia antisommergibili, ma ormai l'attaccante si era dileguato; l'Unbroken sentì soltanto un'esplosione lontana di una bomba di profondità alle 16.58. In serata, alle 21.33, poté riemergere.
Il Titano, rimasto alla deriva (il comandante britannico credette che fosse stato portato all'incaglio), venne preso a rimorchio da tre dragamine inviati sul posto. (Secondo il ricordo di Domenico Prostamo il pontone, che avrebbe avuto a bordo duecento tonnellate di mine anticarro, munizioni ed esplosivi, sarebbe stato rimorchiato dai dragamine a Vibo Marina dopo l'affondamento dell'Enrica, venendo però rimorchiato nuovamente al largo la notte successiva ed autoaffondato in acque profonde nel timore che esplodesse con conseguenze disastrose per la città).
 
Il giorno seguente, l'Unbroken attaccò un altro rimorchiatore, il Costante, intento a rimorchiare alcune attrezzature portuali, ma questa volta i siluri mancarono il bersaglio e la pronta reazione dell'equipaggio del rimorchiatore, che aprì il fuoco contro il periscopio del sommergibile, indusse Andrew a desistere. Meglio gli andò il giorno ancora successivo, quando affondò il piroscafo Bologna al largo di Capo Vaticano. Fece poi ritorno a Malta il 26 maggio.

 

L'affondamento dell'Enrica (erroneamente menzionato come “Enrico”) nei diari di Supermarina (g.c. Platon Alexiades)


I corpi di alcune delle vittime dell'Enrica vennero recuperati dalla gente del luogo. Domenico Prostamo avrebbe ricordato a decenni di distanza: "li abbiamo portati con le barche da lassù fino a riva, fino a sotto la fontana di Cocca, i cadaveri allineati sulla spiaggia, poi portati con dei carri sopra la timpa e con dei camion militari trasportati al cimitero di Briatico e successivamente a Messina, Pizzo Calabro, Palmi e in altri paesi, per la sepoltura"; Franco Accorinti e Vincenzo e Pasquale Prostamo, anch’essi abitanti di Briatico, avrebbero similmente ricordato che i loro padri e nonni "furono incaricati dalle autorità militari di recuperare, con dei rampini e degli uncini, le vittime che venivano agganciate sul fondale e portate a bordo delle barche per essere poi trasportate a riva, sulla spiaggia sotto la fontana di Cocca. Ad un ultimo recupero avevano già legato dai piedi il corpo di un marinaio, quando fu dato ordine, da terra e con un megafono, di sganciare il cadavere in mare e di rientrare velocemente alla marina e di scendere a terra. Troppo pericoloso terminare le operazioni, il coprifuoco e la notte si stavano avvicinando ed erano state segnalate presenze nemiche in mare, nelle vicinanze".
Il secondo siluro, quello che aveva mancato il bersaglio, era esploso contro lo scoglio detto "da Maija", davanti al rione di Cocca (usato, per via della sua forma, a mo’ di piscina dai ragazzi del luogo), distruggendolo ed uccidendo innumerevoli pesci che "furono ritrovati disseminati tra la vegetazione, sul terra del pianoro soprastante la timpa, ad oltre cinquanta metri sopra il livello del mare"; la gente del posto li raccolse direttamente nell’erba, ed ebbe di che mangiare per un mese. L'esplosione fece tremare l’antica torre di avvistamento della Rocchetta. Un giovane del luogo, Alfonso Prostamo, intento alla raccolta delle patelle sulla vicina scogliera, scampò per miracolo; si ritrovò aggrappato ad uno scoglio. Il marchese Renato Bisogni, un notabile del luogo, recuperò in seguito un pezzo del siluro, che collocò poi all’ingresso della sua villa di Briatico.
Il pescatore Vincenzo Prostamo, all’epoca sedicenne, qualche giorno dopo la tragedia trovò in acqua una valigia contenente alcuni effetti personali di uno dei marinai dell'Enrica: rasoio, pennello e sapone da barba, ma anche un paio di scarpe in buone condizioni, che prese per sé, dato che lui non ne aveva. Trovò e portò a casa anche una panca in legno, che in origine era stata sul ponte della nave.
A lungo, nel dopoguerra e fino alla fine degli anni Cinquanta, palombari s'immersero sul relitto dell'Enrica per recuperare metallo da rivendere; i rottami recuperati venivano temporaneamente immagazzinati nella contrada Sant'Irene di Briatico. Venne recuperata anche la campana di bordo, su cui era incisa la frase «Naviga e lavora in pace».
Un giovane del luogo, Antonio Morello, vi s'immerse a più riprese in apnea, recuperando piatti ed altre suppellettili, fino a quando un giorno rimase intrappolato dall’improvvisa chiusura di un portellone in ferro da cui era entrato. Riuscì ad uscire da un oblò ed a risalire in superficie, ma subì un danno irreparabile ad un occhio a causa della pressione.
 
Domenico Prostamo con un articolo del "Quotidiano del Sud" relativo all'Enrica (g.c. Franco Vallone)

L'ubicazione del relitto dell'Enrica era pubblicamente nota fin dagli anni Cinquanta, come attesta l'edizione del 1958 delle "Sailing Directions for the Mediterranean Sea" edita dall'Ufficio Idrografico della Marina degli Stati Uniti, che menzionano che “il relitto del rimorchiatore Enrica giace affondato in circa 13 e mezza braccia [venticinque metri] a circa un miglio dalla riva, al traverso della stazione ferroviaria [di Briatico]”. Localmente, però, il nome della nave affondata scomparve ben presto dalla memoria comune; il relitto divenne semplicemente noto come “u vapuri”, il vapore. Solo nel 2020 ai rottami dello sfortunato rimorchiatore è stato finalmente restituito il nome.
I resti dell'Enrica, semidistrutti dai lavori di recupero del dopoguerra ed in gran parte insabbiati, giacciono davanti a Briatico a profondità compresa tra i venti e i trenta metri, ad un miglio dalla baia di Riaci; grossi pezzi di carbone sono sparpagliati nel relitto, colonizzato da alghe e spugne nere. I pescatori evitano la zona, memori delle reti impigliate e perdute sui resti del rimorchiatore affondato.
Annualmente, in occasione delle celebrazioni della Madonna del Carmine il 16 luglio, la processione delle barche di Briatico passa anche nel punto in cui venne affondato l'Enrica, sul quale vengono lanciati una corona d’alloro e fasci di fiori in memoria delle vittime.
 

Sopra, alcuni rottami dell'Enrica sui fondali di Briatico, e sotto, un rottame riportato in superficie (foto Leonardo Dorrico, via Franco Vallone)



L'affondamento dell'Enrica nel giornale di bordo dell'Unbroken (da Uboat.net):
 
"1500 hours - Sighted a floating sheer-legs towed by a large tug close inshore proceeding north. Started attack.
1547 hours - Fired two torpedoes from 3000 yards. 2m 6s after firing a hit was heard followed swiftly by breaking up noises. On returning to periscope depth the tug had sunk. The sheer-legs appeared to be beached. The escorting seaplane landed and picked up the survivors."
 
Si ringraziano Franco Vallone e Platon Alexiades.
 
 
L'Enrica su Wrecksite
L'HMS Unbroken su Uboat.net
L'affondamento dell’Enrica nel libro “The History of the British 'U' Class Submarine”
L'Enrica nei Lloyd’s Registers del 1941
L'Enrica sul Libro Registro del RINA del 1938
Torna a casa dopo tantissimi anni…

sabato 1 aprile 2023

Tripolino

Il Tripolino sotto il precedente nome di Highland Coast, negli anni Venti (Coll. Rick Cox, via www.coasters-remembered.net)

Piroscafo da carico di 1071 tsl, lungo 76,2 metri, largo 10,4 e pescante 4,9, con velocità di 12 nodi. Di proprietà della Società Anonima di Navigazione Tripcovich D. & C., con sede a Trieste; iscritto con matricola 429 al Compartimento Marittimo di Trieste, nominativo di chiamata radio IVBC.
 
Breve e parziale cronologia.
 
1912
Costruito nei cantieri Ramage & Ferguson Ltd. di Leith come Princess Melita (numero di cantiere 231) per la Mathew H. Langlands & Sons di Liverpool (o Glasgow). Porto di registrazione Liverpool; nominativo di chiamata HWQB. Stazza lorda 1094 tsl, netta 431 o 458 tsn.
6 gennaio 1916
In mattinata il Princess Melita, in navigazione al largo di Capo Wrath, s’imbatte nella corazzata King Edward VII, immobilizzata e sbandata sulla dritta dopo aver urtato una mina (facente parte di uno sbarramento di 252 ordigni posato una settimana prima dalla nave corsara tedesca Möwe) alle 10.47, nel corso di una traversata da Scapa Flow a Belfast.
La corazzata segnala al Princess Melita di avvicinarsi (ha avvistato il piroscafo quando si trovava a circa cinque miglia di distanza, verso sud/sudest, e ne ha attirato l’attenzione con salve di cannone e razzi di segnalazione) e prenderla a rimorchio con un cavo da 12,7 cm che viene passato da bordo della corazzata; poco dopo sopraggiunge anche il conduttore di flottiglia Kempfenfelt, che si unisce al tentativo di rimorchio usando un cavo da 16,5 cm. Questo ha inizio alle 14.15, ma la King Edward VII continua ad imbarcare acqua ed incrementa il suo sbandamento (da 5° a 15°) mentre le condizioni di vento e di mare vanno peggiorando (onde di due metri; inizialmente la nave era orientata verso sud, verso la terraferma, ma dopo l’inizio del rimorchio è ruotata mettendo la prua a nord, e non risulta più possibile rimetterla sulla giusta rotta); alle 14.40 il cavo di rimorchio teso dal Kempfenfelt si spezza, e constatata l’inutilità di ulteriori tentativi di rimorchio, il comandante della corazzata ordina al Princess Melita di mollare anche il suo (per altra fonte sarebbe successo il contrario, ma ciò contrasta con quanto scritto nel suo rapporto del comandante della King Edward VII) dopo di che, in considerazione degli allagamenti in aumento e dell’oscurità in arrivo, ordina di abbandonare la nave.
L’equipaggio della King Edward VII viene tratto in salvo dai cacciatorpediniere Fortune, Marne, Musketeer e Nessus (vengono tratti in salvo 776 dei 777 membri dell’equipaggio: unica vittima un marinaio che cade in mare durante il trasbordo su una delle unità soccorritrici e viene schiacciato tra i due scafi) tra le 14.45 e le 16.10, dopo di che la corazzata si capovolge ed affonda alle 20.10.
27 aprile 1916
Il secondo ufficiale di macchina del Princess Melita, John Spence Clouston, muore di nefrite a Le Havre, all’età di 33 anni.
Marzo 1917
Il Princess Melita finisce al centro di un “caso” internazionale quando le autorità dei neutrali Paesi Bassi gli negano l’autorizzazione ad entrare nel porto di Hoek van Holland (all’imbocco della Nieuwe Waterweg, il canale che consente alle navi d’altura di raggiungere Rotterdam, dove il Princess Melita è diretto) per via del suo armamento difensivo, costituito da un cannone installato a poppa: le autorità olandesi, infatti, equiparano i mercantili armati alle navi da guerra (perché i cannoni di cui sono armati per difendersi dagli U-Boote possono essere usati anche per attaccare, e perché spesso sono armati da personale militare), alle quali hanno interdetto l’accesso ai porti olandesi nella loro dichiarazione di neutralità all’inizio del conflitto, posizione poi ulteriormente precisata nel “libro arancione” pubblicato nell’ottobre 1915 e fortemente criticata dai britannici, anche in considerazione del fatto che molti altri Paesi neutrali, come Svezia e Norvegia, non hanno imposto analoghe restrizioni.
Dopo essersi presentato davanti al porto una prima volta la sera del 5 marzo (poche ore dopo essere stato infruttuosamente attaccato da un U-Boot con il lancio di un siluro) ed essere stato respinto (intimazione a lasciare le acque territoriali olandesi entro mezz’ora, pena l’internamento), il Princess Melita si ripresenta però l’indomani mattina, dopo aver smontato il cannone, chiedendo nuovamente il permesso di entrare per sbarcare un marinaio malato ed imbarcare una quantità di acqua potabile sufficiente per il viaggio di ritorno in Inghilterra: questa volta il permesso viene accordato, ma solo per il tempo strettamente necessario per sbarcare l’infermo ed imbarcare l’acqua. Per poter entrare in porto e rimanervi, le autorità olandesi impongono che il cannone venga completamente rimosso dalla nave: pertanto il Princess Melita, preso nuovamente il largo, si ripresenta davanti al porto il mattino del 9 marzo dopo aver gettato in mare il cannone al di fuori delle acque territoriali olandesi, insieme alle relative munizioni. Dopo che le autorità olandesi hanno verificato che il cannone non sia effettivamente più presente a bordo, la nave riceve l’autorizzazione a proseguire per Rotterdam.
Questa imposizione viene duramente criticata dalle autorità britanniche (che il 12 marzo 1917 asseriscono che “le condizioni sono cambiate” dall’epoca della promulgazione della dichiarazione di neutralità olandese, con l’avvio da parte della Germania della guerra sottomarina senza restrizioni) e francesi, che sostengono il diritto dei loro mercantili, dotati di armamento difensivo, di visitare i porti olandesi (il governo francese arriverà a vietare ai loro mercantili di trasportare merci olandesi o dirette nei Paesi Bassi); anche quelle tedesche protestano, ma nel loro caso perché ritengono l’atteggiamento delle autorità olandesi troppo morbido, asserendo che la nave avrebbe dovuto essere internata ed accusando gli olandesi di aver commesso “un atto non neutrale” permettendole di ripartire il 6 marzo, in quanto la necessità di rifornirsi di acqua potabile e la presenza a bordo di un malato non costituivano ragione sufficiente a permetterle l’ingresso in porto (la reazione tedesca è influenzata anche dal fatto che nello stesso periodo il sommergibile tedesco U 30, incagliatosi sulle coste olandesi, è stato invece internato). Il governo olandese respingerà le proteste degli uni e degli altri, sottolineando di aver chiaramente delineato all’inizio della guerra le condizioni della propria neutralità, e che modificarle nel terzo anno di guerra indebolirebbe il suo status neutrale; ai britannici viene rinfacciato che proprio loro, alla seconda conferenza dell’Aia del 1907, avevano dichiarato che un Paese neutrale non può modificare le proprie condizioni di neutralità mentre la guerra è in corso, se non nel senso di una maggiore restrittività.
A fine marzo anche gli Stati Uniti, neutrali ancora per poco (entreranno in guerra il mese successivo), chiedono alle autorità olandesi se il divieto di ingresso si applichi anche ai mercantili armati neutrali, come appunto quelli statunitensi, e se ci sia differenza se la nave è stata armata dal governo o dall’armatore.
L’arrivo del Princess Melita a Hoek van Holland non è stato casuale, ma voluto deliberatamente dal ministro britannico Robert Cecil, nel tentativo di forzare la mano agli olandesi per saggiarne la reazione e riaprire la questione dell’accesso dei mercantili armati ai porti olandesi, come giustamente ipotizzato il 18 marzo dal "Nieuwe Rotterdamsche Courant" («l’invio di questa nave è stato un mero incidente? C’è motivo di dubitarlo. (…) Quando l’Inghilterra ha inviato la sua nave come prova sapeva quale ricezione la attendeva, e che il governo olandese non poteva cambiare il suo atteggiamento. Era intenzione del governo britannico di costringerci ad abbandonare la nostra stretta neutralità?»).
19 dicembre 1917
Il Princess Melita trae in salvo l’equipaggio del piroscafo norvegese General Munthe, affondato quattro miglia a nord di Dieppe in seguito ad una collisione con il piroscafo norvegese Torwald, mentre era in navigazione da Sunderland a Rouen con un carico di carbone (entrambe le navi navigavano con le luci oscurate).
I naufraghi vengono sbarcati a Ramsgate.
1918
In gestione a John T. Tulloch di Glasgow.
1919
Acquistata dalla Coast Lines Ltd. di Liverpool (Powell, Bacon & Hough Lines Ltd.; per altra fonte con sede a Londra), in gestione a M. Langlands & Sons Ltd.
1920
Ribattezzato Highland Coast.
1° ottobre 1923
L’Highland Coast s’incaglia sugli scogli vicino a Coverack, ma può essere disincagliato e raggiunge Falmouth senza aver subito danni gravi.
1927
In gestione ad Alfred H. Read di Londra.
1934
Il nominativo di chiamata cambia in MDTQ.
1936
È in servizio sulla costa occidental del Regno Unito.
1938
Acquistato dalla D. Tripcovich & C. Società Anonima di Navigazione, Rimorchi e Salvataggi di Trieste, e ribattezzato Tripolino. Porto di registrazione Trieste; stazza lorda 1075 tsl, netta 438 tsn.
Posto in servizio sulla linea mensile Adriatico-Malta-Libia insieme al piroscafo Algerino, di simili dimensioni.
16 luglio 1940
Il marinaio Giovanni Barcovich, da Moschiena, muore per un incidente a bordo del Tripolino.
27 dicembre 1940
Requisito a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
19 gennaio 1941
Il Tripolino (adibito a traffico civile), il piroscafo Miseno (con a bordo 559 tonnellate di viveri) e la piccola nave cisterna Abruzzi (adibita a traffico civile) salpano da Bari alle 20.05 diretti a Durazzo, con la scorta della torpediniera Generale Marcello Prestinari.
20 gennaio 1941
Il convoglio giunge a Durazzo alle 13.20.
2 marzo 1941
Il Tripolino ed i piroscafi Scarpanto ed Anna Capano salpano da Durazzo alle 18.30 per rientrare a Bari, con la scorta della torpediniera Curtatone.
3 marzo 1941
Il convoglio giunge a Bari alle 10.15.
17 marzo 1941
Il Tripolino ed il piroscafo Aprilia, aventi a bordo 453,5 tonnellate di foraggio e 1247 di viveri, salpano da Brindisi alle 4.15 diretti a Valona, dove giungono dieci ore più tardi, con la scorta dell’anziano cacciatorpediniere Carlo Mirabello.
24 marzo 1941
Il Tripolino e le motonavi Piero Foscari e Città di Marsala lasciano scarichi Valona alle 14.30, scortati dall’incrociatore ausiliario Barletta, e raggiungono a Brindisi dopo otto ore di navigazione.
30 marzo 1941
Il Tripolino ed i piroscafi Scarpanto, Marirosa e Luigi Martini salpano da Brindisi alle 22.30 diretti a Valona, con a bordo in tutto 154 soldati, 1022 quadrupedi, 988 tonnellate di vettovaglie e 90 di materiali vari. Li scorta la torpediniera Castelfidardo.
Scarpanto e Luigi Martini devono tornare indietro a causa dello stato del mare.
31 marzo 1941
Tripolino, Marirosa e Castelfidardo raggiungono Valona alle 10.45.
9 aprile 1941
Il Tripolino ed i piroscafi Pontinia, Dormio e Leonardo Palomba lasciano scarichi Valona alle 8.15 con la scorta della torpediniera Giacomo Medici. Arrivano a Brindisi alle 19.30.
18 aprile 1941
Tripolino, Scarpanto, la nave cisterna Lina e la piccola motonave frigorifera Amba Aradam salpano da Brindisi all’1.15 alla volta di Valona, scortati dalla torpediniera Giuseppe Cesare Abba. Lina ed Amba Aradam sono in zavorra, mentre Tripolino e Scarpanto trasportano 1023 tonnellate di vino e 203 di gasolio. Il convoglio giunge a Valona alle 10.30.
25 aprile 1941
Tripolino, Luigi Martini ed il piroscafo Fertilia lasciano scarichi Valona alle sei del mattino e fanno ritorno a Brindisi, dove giungono quattordici ore più tardi, con la scorta della Prestinari.
3 maggio 1941
Il Tripolino e le motonavi Città di Alessandria, Città di Savona e Città di Trapani partono da Brindisi alle 00.00 diretti a Valona, con la scorta del Mirabello e dell’incrociatore ausiliario Zara. A bordo hanno complessivamente 910 militari, nonché quadrupedi e materiali vari. Il convoglio giunge a Valona alle 8.15.
16 maggio 1941
Il Tripolino, il piroscafo Andrea Contarini e la motonave Tergestea, carichi di automezzi, quadrupedi e materiali vari, salpano da Durazzo alle 4.30 diretti a Bari, scortati dalla Prestinari. Arrivano a destinazione alle 18.30.
5 giugno 1941
Il Tripolino compie un viaggio da Bari a Durazzo, da solo e senza scorta.
8 giugno 1941
Rientra da Durazzo a Bari, sempre da solo e senza scorta.
16 giugno 1941
Viaggio da Bari a Valona, di nuovo in navigazione isolata.
3 luglio 1941
Trasporta materiali dell’Esercito da Valona a Brindisi, navigando insieme al piroscafo Bucintoro.
11 luglio 1941
Trasporta materiali dell’Esercito da Bari al Pireo, viaggiando da solo e senza scorta.
12 luglio 1941
Trasporta un carico di materiali vari da Brindisi a Patrasso, viaggiando in convoglio con il piroscafo Loreto e con la scorta dell’incrociatore ausiliario Olbia.
25 luglio 1941
Compie un viaggio da Patrasso a Bari, da solo e senza scorta.
3 agosto 1941
Trasporta materiali dell’Esercito da Brindisi a Porto Edda, navigando da solo e senza scorta.
7 settembre 1941
Lascia Porto Edda e ritorna a Brindisi, insieme al piroscafo Acilia.
19 settembre 1941
Trasporta materiali vari da Bari a Durazzo, viaggiando insieme al piroscafo Enrico.
12 ottobre 1941
Compie un viaggio da Bari a Valona, navigando da solo e senza scorta.
14 ottobre 1941
Lascia Valona e raggiunge Corfù, sempre in navigazione isolata.               
2 novembre 1941
Lascia Corfù e fa ritorno a Bari, insieme al piroscafo Andrea Contarini.
3 dicembre 1941
Viaggio da Patrasso a Bari, solo e senza scorta.
5 marzo 1942
Alle 8.10 il Tripolino, insieme ai piroscafi Sidamo e Liv, salpa da Taranto alla volta di Messina, con la scorta della torpediniera Francesco Stocco.
6 marzo 1942
Alle 2.20 (una quindicina di miglia a sud di Capo Colonne), poco dopo che il convoglio ha incontrato il sommergibile Ammiraglio Millo, questi, che vi si è accodato per un tratto, avvista una scia di siluro che gli passa 150 metri a proravia, e 50 metri a poppavia della Stocco; allerta allora la torpediniera di aver captato i rumori di un sommergibile nemico a due miglia di distanza, su rilevamento 140°. La Stocco inverte la rotta ed alle 2.41 lancia dieci bombe di profondità (quattro da 100 kg e sei da 30 kg) per poi riunirsi al convoglio alle 2.50.
Si è trattato in realtà di un falso allarme, dato che non ci sono sommergibili nemici attivi in zona. Il convoglio raggiunge Messina in giornata.
18 aprile 1942
Alle 20.10 il Tripolino, la piccola nave cisterna Ennio ed il motoveliero Egusa salpano da Trapani per Tripoli, scortati dalla torpediniera Perseo e dal motodragamine tedesco R 13. Quest’ultimo lascia il convoglio a Lampedusa.
19 aprile 1942
Dalle 7.30 alle 19 il convoglio sosta a Pantelleria.
20 aprile 1942
Alle otto del mattino il convoglio giunge a Lampedusa, dove sosterà per tre giorni.
21 aprile 1942
Alle due di notte si unisce alla scorta la torpediniera Pegaso, proveniente da Tripoli.
23 aprile 1942
Alle dieci il convoglio lascia Lampedusa per proseguire il viaggio.
24 aprile 1942
Il convoglio giunge a Tripoli alle 9.40.
13 maggio 1942
Alle 9.30 il Tripolino, il piroscafo tedesco Savona ed il rimorchiatore R 24 Priamar lasciano Tripoli alla volta di Bengasi, scortati dalla torpediniera Pallade (caposcorta) e dalle motosiluranti tedesche S 9 e S 12.
15 maggio 1942
Priamar e motosiluranti si fermano a Buerat, dove sosteranno per tre giorni, mentre Tripolino, Pallade e Savona arrivano a Bengasi alle 11.30.
18 maggio 1942
Alle 19 il Tripolino ed il piroscafo Bravo lasciano Bengasi per rientrare a Tripoli, scortati dal cacciatorpediniere Turbine.
20 maggio 1942
Le tre navi arrivano a Tripoli alle 15.15.
26 maggio 1942
Il Tripolino ed il piroscafo tedesco Sparta ripartono da Tripoli alle sei del mattino per un altro viaggio di cabotaggio verso Bengasi, scortati da un cacciasommergibili tedesco.
28 maggio 1942
Il piccolo convoglio giunge a Bengasi alle 9.30.
14 giugno 1942
Il Tripolino e la motonave Anna Maria salpano da Bendasi per Tripoli alle 19.30, con la scorta della torpediniere Lince. All’altezza di Buerat, questa viene sostituita dalla torpediniera Generale Carlo Montanari.
17 giugno 1942
Il convoglio giunge a Tripoli alle 12.30.
27 giugno 1942
Il Tripolino e la piccola motonave frigorifera Amba Aradam salpano da Tripoli per Bengasi a mezzogiorno, scortati dalla torpediniera Clio.
29 giugno 1942
Il piccolo convoglio giunge a Bengasi alle 11.30.
6 luglio 1942
Alle 19.30 il Tripolino ed i piroscafi tedeschi Brook e Sturla lasciano Bengasi per Tobruk e Marsa Matruh, scortati dalla torpediniera Circe e da due cacciasommergibili tedeschi.
8 luglio 1942
Tripolino e Sturla giungono a Tobruk alle 10.40, mentre il Brook prosegue per Marsa Matruh.
14 luglio 1942
Alle 18 il Tripolino lascia Tobruk per tornare a Bengasi, scortato dalla torpediniera Generale Antonio Cantore.
16 luglio 1942
Tripolino e Cantore arrivano a Bengasi alle 6.30.
20 luglio 1942
Il Tripolino ed il piroscafo Pertusola salpano da Tripoli per Tobruk alle 20.30, scortati dalla cannoniera-cacciasommergibili Oriole.
23 luglio 1942
Il piccolo convoglio giunge a Bengasi alle 17.30, sostandovi per ventiquattr’ore.
24 luglio 1942
Il convoglio riparte alle 17.30, con la scorta della torpediniera Clio.
26 luglio 1942
Il convoglietto giunge a Tobruk alle 7.40.
(Per altra fonte, il Tripolino sarebbe ripartito da Bengasi alle 19 del 24, scortato da un cacciasommergibili italiano ed uno tedesco, giungendo a Tobruk alle otto del 26).
3 agosto 1942
Alle 19 il Tripolino ed il piroscafo tedesco Menes lasciano Tobruk per tornare a Bengasi, scortati dalla Cantore.
5 agosto 1942
Le tre navi giungono a Bengasi alle 7.30; alle 17 il Tripolino ne riparte insieme alla piccola motocisterna Ennio, diretto a Tripoli con la scorta della Cantore.
7 agosto 1942
Alle 16 la Cantore lascia la scorta del convoglietto, venendo rimpiazzata un’ora dopo dalla Montanari. Le navi giungono a Tripoli alle 22.40.
19 agosto 1942
Il Tripolino salpa da Tripoli per Bengasi alle cinque del mattino, scortato dalla Cantore.
21 agosto 1942
Arriva a Bengasi alle dieci.
4 settembre 1942
Alle 22 il Tripolino parte scarico da Tobruk per Bengasi, con la scorta della torpediniera Calliope.
6 settembre 1942
Tripolino e Calliope arrivano a Bengasi alle 17.
22 settembre 1942
Il Tripolino viene danneggiato da un pesante bombardamento aereo su Bengasi, insieme al piroscafo Pertusola, alla motonave Ravello e ad una torpediniera. La grande e moderna motonave Apuania, carica di quasi 1700 tonnellate di munizioni, salta in aria alle 18.50, poco dopo la fine dell’incursione, travolgendo ed affondando il motoveliero Anita, ormeggiato nei pressi; affonda, colpito da bombe, anche un altro motoveliero, il Silvio.
4 ottobre 1942
Iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, nella categoria delle «navi onerarie». Impiegato nel traffico costiero in Libia.
12 ottobre 1942
Alle 17.40 il Tripolino salpa da Bengasi diretto a Tobruk, scortato dalle cannoniere-cacciasommergibili Eso ed Oriole.
14 ottobre 1942
Arriva a Tobruk alle 15.15.
21 ottobre 1942
Il Tripolino ed il piccolo piroscafo tedesco Ostia lasciano Tobruk alle 16 diretti a Bengasi, con la scorta dell’Oriole e dell’anziana torpediniera Giacomo Medici (caposcorta).
23 ottobre 1942
Il convoglio giunge a Bengasi a mezzogiorno.
 
(g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)

L'affondamento
 
Alle 16.45 (17.30 per altra versione) del 30 ottobre 1942 il Tripolino, al comando del capitano Vincenzo Barbali, salpò da Bengasi diretto a Tobruk in convoglio con un piroscafetto tedesco, l’Ostia, e con la scorta della torpediniera Circe (capitano di corvetta Stefano Palmas). Il Tripolino era carico di 410 tonnellate di provviste e 318 (o 370) tonnellate di munizioni (qualche fonte parla anche di carburante), il piccolo Ostia trasportava appena 57 tonnellate di viveri e 52 di munizioni, tutte destinate all'Armata Corazzata Italo-Tedesca (ACIT) che combatteva in Egitto: infuriava in quei giorni la seconda battaglia di El Alamein. Il piccolo convoglio, che doveva seguire le rotte costiere, fruiva anche di una scorta aerea, composta da sei velivoli, che tuttavia se ne andarono al tramonto, come d’uso.
Gli aerei ritornarono l’indomani mattina, e per tutta la giornata del 31 ottobre la navigazione del convoglio procedette tranquilla, sotto buona scorta aerea; ma si trattava di una calma illusoria. Il 29 ottobre, infatti, i decrittatori britannici di “ULTRA” avevano intercettato messaggi dell’Asse da cui avevano appreso che Tripolino ed Ostia avrebbero lasciato Bengasi "al più presto" per Tobruk, ed il 31 decifrarono altre comunicazioni da cui seppero che "Tripolino ed Ostia hanno lasciato Bengasi alle 16.00 del 30, velocità 7 nodi, e devono giungere a Tobruk alle 09.30 del 1° novembre".
Al calare del buio, la sera del 31, i velivoli della scorta aerea se ne andarono nuovamente, ed ebbero inizio i guai. Il convoglio era stato avvistato fin dalla partenza (il ricognitore britannico ne aveva identificato la composizione come un mercantile di medie dimensioni, un mercantile di piccole dimensioni e due cacciatorpediniere), ed alle 19.30 iniziarono ad accendersi attorno ad esso delle linee di bengala; altre ne seguirono, ad intermittenza, fino alle 20.45, poi tornò a regnare la calma, senza che si fossero manifestati attacchi. Ma dalle basi egiziane si apprestavano a decollare nove Vickers Wellington, con l’incarico di attaccare il convoglio: due, appartenenti al 221st Squadron della Royal Air Force, erano muniti di radar per ricerca navale ASV (Air to Surface Vessel) ed avevano il compito di cercare il convoglio ed indirizzare gli altri aerei su di esso; sei, appartenenti al 38th Squadron, erano armati di siluri; uno, appartenente al 458th Squadron, era armato con bombe.
Il lancio di bengala riprese subito dopo mezzanotte: nelle successive due ore, il convoglio venne costantemente sorvolato da aerei ed illuminato, mentre la Circe sparava furiosamente sui velivoli avversari ed evoluiva ad alta velocità intorno ai due mercantili, stendendo attorno ad essi una cortina nebbiogena che li celava alla vista degli attaccanti.
Questo sistema funzionò fino alle 2.08 del 1° novembre, quando il Tripolino uscì accidentalmente dalla cortina nebbiogena che l’aveva protetto fino a quel momento: subito lo sventurato piroscafo venne colpito a centro nave da un siluro lanciato da uno dei Wellington del 38th Squadron, saltando in aria nel punto 32°21' N (o 32°31' N) e 23°24' E (nel Golfo di Bomba, a nordovest di Tobruk e trenta miglia a nord-nord-est di Ras el Tin, a levante di Derna).
(Questa è la dinamica descritta dal volume "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", dell'Ufficio Storico della Marina Militare; "Navi mercantili perdute", pure dell'USMM, afferma invece che la nave fu colpita dal siluro all’1.45, ma esplose solo alle 2.08).
Non potendo lasciare da solo l'Ostia, la Circe non poté nemmeno fermarsi a recuperare eventuali naufraghi, almeno sul momento; le due navi rimaste effettuarono invece una deviazione verso nord, allo scopo di disorientare gli aerei avversari che non demordevano dai loro attacchi (tra le 2.35 e le 2.43 un bombardiere lanciò infruttuosamente una salva di bombe contro l'Ostia, ed alle tre di notte si verificò un attacco di aerosiluranti, sventato con la manovra), e poi tornarono sul luogo di affondamento del Tripolino per tentare un qualche soccorso. Alle 6.20, la Circe trovò e recuperò un naufrago gravemente ferito: era l’unico superstite dell’intero equipaggio del Tripolino.
 
Le disgrazie per il piccolo convoglio non erano finite, alle 6.30 – quando le due navi rimaste avevano appena rimesso in rotta per Tobruk – venne avvistato un aerosilurante Bristol Beaufort (appartenente al 47th Squadron della RAF e decollato all’alba insieme ad altri due), che a dispetto del tiro contraereo aperto da entrambe le unità dell’Asse riuscì a colpire l'Ostia con un siluro: il piroscafetto tedesco esplose ed affondò come il Tripolino prima di lui, in posizione 32°29' N e 23°22' E.
Alla Circe non rimase che recuperare i naufraghi (sedici, quattordici tedeschi e due italiani) e poi proseguire per Tobruk, dove diede fondo vicino al pontile della nafta alle 13.56 di quel funesto 1° novembre.
 
La perdita di Tripolino ed Ostia con i loro carichi, insieme a quella di altre navi affondate nei giorni precedenti ed immediatamente successivi, contribuì ad indebolire la posizione dell’Armata Corazzata Italo-Tedesca nei cruciali giorni di El Alamein; di lì a poco Rommel, rimasto a corto di mezzi, carburante e munizioni, avrebbe dovuto dare l’ordine di ritirata. Il mattino del 1° novembre Mussolini, nel corso di un colloquio con il capo di Stato Maggiore generale Ugo Cavallero, fece presente di aver ripetutamente raccomandato che i convogli impegnati nel traffico costiero si tenessero a non più di cento miglia dalla costa, in modo da permettere di portare le navi all’incaglio in caso di danneggiamento, così da recuperarne almeno il carico (come successo qualche giorno prima con un altro piroscafo, l’Amsterdam); il dittatore domandò se tale norma fosse stata osservata per il Tripolino. Provvedimento in realtà inutile, in questo caso, visto che la nave era esplosa dopo essere stata colpita, e non avrebbe quindi comunque potuto essere portata ad incagliare; ad ogni modo, Cavallero girò la domanda al capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, che propose di "mettere in rilievo che la [rotta] Bengasi-Tobruch è poco conveniente e che sta diventando poco conveniente anche la Tripoli-Bengasi e quindi bisognerà orientarsi alla via di terra".
 
I seguenti militari della Regia Marina risultano dispersi in Mediterraneo centrale il 1° novembre 1942, quasi certamente nell'affondamento del Tripolino (unica nave italiana affondata in tale data):
 
Daniele Cok, secondo capo meccanico, da Trieste
Natale Dobrini, marinaio, da Albona
Luigi Albenga, marinaio cannoniere, da Torino
Eliso Alberti, marinaio cannoniere, da Sulzano
Stelio Andreini, sottotenente C.R.E.M., da Trieste
Vincenzo Barbali, capitano di lungo corso, da Lussinpiccolo (comandante) (**)
Marco Bonetta, capo meccanico di seconda classe, da Fianona
Aurelio Calligaris, tenente del Genio Navale, da Trieste
Natale Caminiti, marinaio, da Taurianova (*)
Michele Colamaria, marinaio, da Giovinazzo
Salvatore Cuomo, marinaio, da Barano d’Ischia
Ciro De Luca, capo meccanico di seconda classe, da Torre del Greco
Giuseppe Dua, sottocapo radiotelegrafista, da Novara di Sicilia
Emilio Eccel, sergente segnalatore, da Roncegno
Domenico Federico, secondo capo nocchiere, da Torre del Greco
Natale Ferrara, sottocapo fuochista, da Palermo
Alberto Gabriele, sottocapo nocchiere, da Trapani
Giovanbattista Gallia, marinaio, da Siderno
Giovanni Garzia, sottocapo fuochista, da Ercolano
Giuseppe Giacalone, marinaio, da Trapani (*)
Emilio Jurinovich, capo nocchiere di seconda classe, da Moschiena
Antonio Lizzul Belcich, marinaio, da Fianona
Francesco Magliozzi, sottocapo furiere, da Gaeta (*)
Camillo Pacilio, secondo capo cannoniere, da Avigliano
Nicola Palazzo, marinaio cannoniere, da Bisceglie
Antonino Palermo, sottocapo cannoniere, da Palermo
Ciro Palomba, marinaio, da Torre del Greco
Gino Piccotti, marinaio fuochista, da Gubbio
Pietro Romeo, secondo capo nocchiere, da Reggio Calabria
Luigi Zigante, sottocapo fuochista, da Abbazia
 
(*) I nomi contrassegnati da asterisco appartengono a marinai che è stato possibile stabilire con certezza essere effettivamente morti nell’affondamento del Tripolino.
(**) Il comandante Barbali non era un militare, ma un civile. Il suo nome è stato ricavato da un articolo dell’“Arena di Pola” risalente al 1998.
 
Morirono inoltre sul Tripolino i seguenti militari tedeschi (nominativi tratti da Historisches Marinearchiv):
 
Gerhard Dittrich, da Glashütte
Robert Eilers, capitano, da Brema
Walter Hiller, marinaio di prima classe, da Retz
Rudolf Jakob, marinaio
Heinz-Rolf Kranepuhl, da Gelsenkirchen
Alois Maier, marinaio, da Weilheim
Theodor Mehlen, marinaio
Ernst Nell, marinaio, da Karpau
Josef Pichalek, marinaio, da Raiborhammer
Heinz Thiede, marinaio, da Putlitz