martedì 22 gennaio 2019

Antares

L’Antares nel 1942 (foto Aldo Fraccaroli, per g.c. di Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net)

Torpediniera della classe Spica tipo Perseo (dislocamento standard di 630 tonnellate, in carico normale 970, a pieno carico 1020). Durante la seconda guerra mondiale effettuò 140 missioni di scorta e 9 di altro tipo, affondando un sommergibile (il greco Proteus) ed abbattendo cinque aerei nemici.

Breve e parziale cronologia.

2 ottobre 1935
Impostazione nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente (numero di costruzione 305).
19 luglio 1936
Varo nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente. Madrina è la marchesa Medici del Vascello.
23 dicembre 1936
Entrata in servizio. 

L’Antares durante le prove in mare nel Golfo di Genova, nel 1936 (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net)

23 gennaio-2 luglio 1937
È comandante dell’Antares il tenente di vascello Enrico Moretti degli Adimari (già assegnato a questa nave dal 5 agosto al 1° settembre 1936, durante l’allestimento).
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra civile spagnola, l’Antares partecipa, con altre unità (incrociatori leggeri Luigi Cadorna ed Armando Diaz, cacciatorpediniere FrecciaDardoSaetta, StraleBoreaOstroEspero e Zeffiro, torpediniere CignoClimeneCentauroCastore, Altair, Andromeda, Aldebaran) al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero) alle forze repubblicane spagnole. Benito Mussolini ha preso tale decisione a seguito di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono, esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando DiazAlberto Di GiussanoLuigi CadornaBartolomeo Colleoni). Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere (FrecciaSaetta, DardoStraleFulmineLampoEsperoOstroZeffiro e Borea), 24 torpediniere tra cui l’Antares (le altre sono CignoCanopoCastoreClimeneCentauroCassiopea, AltairAndromedaAldebaranVegaSagittarioAstoreSirioSpicaPerseoGiuseppe La MasaGenerale Carlo MontanariIppolito NievoGiuseppe Cesare AbbaGenerale Achille PapaNicola FabriziGiuseppe MissoriMonfalcone) e la nave coloniale Eritrea. Altre due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto Comano Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali) troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato lungo le coste della Spagna. Nei primi giorni del blocco sono molto attivi i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Il blocco navale così organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina italiana, ripetute anche da Winston Churchill.


L’Antares negli anni Trenta (Coll. Adimaro Moretti degli Adimari)

1938
Insieme al resto della XII Squadriglia Torpediniere (AndromedaAltair ed Aldebaran), di cui fa parte, l’Antares viene assegnata alla Scuola Comando di Augusta, in Sicilia, e di nuovo impiegata in numerosi pattugliamenti anticontrabbando tra Pantelleria e Malta, per intercettare eventuali navi provenienti dal Mar Nero e dirette in Spagna con rifornimenti per le forze repubblicane spagnole.
5 maggio 1938
L’Antares, insieme al resto della XII Squadriglia Torpediniere (Andromeda, Altair, Aldebaran), partecipa alla rivista navale "H" organizzata nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. Partecipa alla rivista la maggior parte della flotta italiana: le corazzate Cesare e Cavour, i 7 incrociatori pesanti della I e III Divisione, gli 11 incrociatori leggeri della II, IV, VII e VIII Divisione, 7 “esploratori leggeri” classe Navigatori, 18 cacciatorpediniere (le Squadriglie VII, VIII, IX e X, più il Borea e lo Zeffiro), 30 torpediniere (le Squadriglie IX, X, XI e XII, più le vecchie Audace, Castelfidardo, Curtatone, Francesco Stocco, Nicola Fabrizi e Giuseppe La Masa ed i quattro “avvisi scorta” della classe Orsa), 85 sommergibili e 24 MAS (Squadriglie IV, V, VIII, IX, X e XI), nonché le navi scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, il panfilo di Benito Mussolini, l’Aurora, la nave reale Savoia e la nave bersaglio San Marco.
La XII Squadriglia è inquadrata nella Flottiglia Torpediniere (capo flottiglia il capitano di vascello Fontana, sull’esploratore Nicoloso Da Recco) insieme alle Squadriglie IX (Astore, Spica, Canopo e Cassiopea), X (Sirio, Sagittario, Perseo e Vega) e XI (Cigno, Castore, Centauro e Climene).


 Torpediniere classe Spica ormeggiate a Napoli in occasione della rivista "H": l’Antares (AN) è la terza da sinistra; le altre unità riconoscibili sono, da sinistra a destra, Altair, Aldebaran, Andromeda, Perseo, Cigno (probabilmente) e Vega (sopra: g.c. Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net; sotto: foto di Hugo Jaeger, oggi nell’archivio della rivista “Life”)


10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Antares fa parte della XII Squadriglia Torpediniere, di base in Sicilia (per una fonte a Messina, ma Trapani od Augusta sembrano più probabili), che forma insieme alle gemelle Altair (caposquadriglia), Andromeda ed Aldebaran.
Insieme alla I Squadriglia (Alcione, Airone, Ariel, Aretusa), la XII Squadriglia forma la 2a Flottiglia Torpediniere, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Sicilia. La 1a e la 2a Flottiglia Torpediniere (la 1a Flottiglia è composta dalle Squadriglie Torpediniere XIII e XIV, anch’esse composte da navi classe Spica), insieme alla V Squadriglia Torpediniere (vecchie unità del tipo “tre pipe”), alla II Flottiglia MAS ed ai posamine Adriatico, Scilla, Buccari e Brioni, nonché alle forze aeree dell’Aviazione della Sicilia, costituisce il «dispositivo» del Canale di Sicilia, il cui compito è di ostacolare alle forze navali nemiche il transito nel Canale di Sicilia, passaggio di importanza strategica cruciale per il controllo del Mediterraneo. Tale dispositivo prevede continua vigilanza aerea diurna e, su alcune rotte, anche notturna; posti di vedetta e di ascolto idrofonico a Capo Granitola, Pantelleria, Linosa e Lampedusa; agguati di sommergibili; crociere di torpediniere ed altre siluranti (preferibilmente notturne ed in aree non interferenti con quelle dei sommergibili); posa di campi minati offensivi e difensivi; attacchi aerei contro unità nemiche avvistate in mare. La 2a Flottiglia Torpediniere ha base a Trapani, la 1a a Porto Empedocle.
14 giugno 1940
In seguito al bombardamento di Genova, Savona e Vado Ligure da parte di una formazione navale francese, avvenuto proprio il 14 giugno, in serata l’Antares ed il resto della XII Squadriglia (Altair, Andromeda ed Aldebaran) ricevono ordine di lasciare Trapani e raggiungere subito La Spezia per andare a rafforzarne le difese. Dopo l’attacco francese, infatti, Supermarina ha deciso di rinforzare le esigue difese del Golfo Ligure con una squadriglia di moderne torpediniere. Le quattro unità salpano da Trapani alle 19.
16 giugno 1940
Forzando l’andatura, le quattro torpediniere della XII Squadriglia arrivano in Mar Ligure all’alba; alle 4.20 del 16 giugno, mentre stanno per arrivare a La Spezia, ricevono l’ordine di portarsi al largo di Genova, dove si teme stia per essere compiuta una nuova incursione navale francese. La XII Squadriglia incrocia al largo di Genova fino alle dieci del mattino (per altra fonte, pattuglia la zona fino a mezzogiorno, per prevenire eventuali nuovi attacchi), poi, non essendosi concretizzata alcuna minaccia, riceve ordine di raggiungere La Spezia.
Le torpediniere rimangono poi in Liguria fino a fine mese, quando la resa della Francia fa venir meno la minaccia di incursioni navali.
8 agosto 1940
L’Antares (tenente di vascello Pasquale Senese) e la gemella Sagittario (capitano di fregata Adone Del Cima) salpano da Trapani alle 17 scortando il posamine ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla, incaricato di posare lo sbarramento di mine 5 AN (200 o 216 mine tipo P 200) tra Pantelleria e la Tunisia. Quaranta minuti dopo la partenza, il gruppo Antares-Scilla-Sagittario viene raggiunto dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere, formata da Maestrale (caposquadriglia, capitano di vascello Franco Garofalo), Grecale (capitano di fregata Edmondo Cacace), Libeccio (capitano di fregata Enrico Simola) e Scirocco (capitano di fregata Franco Gatteschi), incaricata della posa dello sbarramento di mine 5 AN bis (240 mine tipo Elia).
9 agosto 1940
La posa – effettuata dallo Scilla per il 5 AN e dalla X Squadriglia per il 5 AN bis – avviene regolarmente; per determinare correttamente la posizione, vengono usati oltre al faro di Pantelleria anche quelli di Capo Bon e Kelibia, accesi dal Comando francese di Biserta su richiesta della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF) a sua volta sollecitata da Supermarina.
Il 23 agosto il cacciatorpediniere britannico Hostile (capitano di corvetta Anthony Frank Burnell-Nugent) urterà una delle mine dello sbarramento 5 AN, riportando danni tanto gravi da costringere il gemello Hero a dargli il colpo di grazia, affondandolo nel punto 36°53’ N e 11°19’ E, una ventina di miglia a sudest di Capo Bon.
Antares, Scilla, Sagittario, MaestraleGrecaleLibeccioScirocco rientrano a Trapani tra le 11 e le 12; lo Scilla e le quattro unità della X Squadriglia imbarcano subito le mine per altri due campi minati, il 6 AN (200 mine tipo P 200) ed il 6 AN bis (240 mine tipo Elia), e ripartono nel pomeriggio. La scorta dello Scilla, di nuovo, è costituita da Antares e Sagittario.
Anche queste operazioni di posa (effettuate dallo Scilla per il 6 AN e dalla X Squadriglia per il 6 AN bis) sono effettuate regolarmente; unico inconveniente è lo scoppio di una delle mine lanciate dal Maestrale. Terminata la posa, Antares, Scilla e Sagittario rientrano a Trapani, da dove poi lo Scilla verrà mandato a Messina dove sarà derequisito e tornerà al servizio civile di traghetto ferroviario nello Stretto. I cacciatorpediniere della X Squadriglia raggiungono invece Palermo.
13 agosto 1940
L’Antares salpa da Palermo per Tripoli alle 12.30, scortando il piroscafo Achille e la nave cisterna Caucaso.
17 agosto 1940
Il convoglio giunge a Tripoli alle 13.
21 ottobre 1940
La XII Squadriglia Torpediniere (Antares, AltairAretusa ed Andromeda) viene posta da Supermarina a disposizione (pur non facendone formalmente parte) del ricostituito Comando Superiore Traffico Albania (Maritrafalba, già attivo dal 5 settembre al 12 ottobre ma senza la XII Squadriglia alle sue dipendenze), con sede a Brindisi e compiti di scorta ai convogli tra Italia ed Albania, nonché ricerca e caccia antisommergibili sulle stesse rotte. Le forze di Maritrafalba comprendono i vecchi cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, le torpediniere classe Spica PollucePartenope e Pleiadi, le ben più vecchie torpediniere PalestroSolferinoCastelfidardoMonzambanoAngelo BassiniNicola Fabrizi Giacomo Medici, gli incrociatori ausiliari RAMB IIICapitano A. Cecchi e Barletta e la XIII Squadriglia MAS con i MAS 534535538 e 539.
La XII Squadriglia rimarrà a disposizione di Maritrafalba per diversi mesi.
Fine ottobre 1940 (22 ottobre?)
Sempre a fine ottobre l’Antares, insieme alle gemelle Altair, Aretusa ed Andromeda, alle ben più vecchie torpediniere Angelo Bassini, Nicola Fabrizi Giacomo Medici, agli anziani cacciatorpediniere Carlo Mirabello ed Augusto Riboty, ai vecchi incrociatori leggeri Bari e Taranto ed alle navi cisterna e da sbarco TirsoSesia e Garigliano, viene assegnata alla neonata Forza Navale Speciale, al comando dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur (con bandiera sul Bari), creata per la prevista operazione di sbarco a Corfù, all’inizio dell’invasione della Grecia. La Forza Navale Speciale ha l’incarico di scortare i convogli con le truppe da sbarco (due dovranno partire da Taranto ed un terzo da Brindisi, più un gruppo di motovelieri anch’esso da Brindisi) e di appoggiare le operazioni di sbarco. Le torpediniere della XII Squadriglia, tra cui l’Antares, devono supportare l’operazione.
Il piano prevede che il convoglio da sbarco, formato da Tirso, Sesia, Garigliano e da un’altra motocisterna, l’Adige, nonché da piroscafi e da bragozzi trasformati in mezzi da sbarco, sbarchi all’alba del giorno previsto, in quattro punti dell’isola, la 47a Divisione Fanteria "Bari" ed un battaglione del Reggimento "San Marco" della Marina. La scorta del convoglio è costituita appunto dalla Forza Navale Speciale, con Bari, Taranto, Mirabello, Riboty, le quattro unità della XII Squadriglia Torpediniere, le tre vecchie Bassini, Fabrizi e Medici, una squadriglia di MAS ed il posamine Azio, mentre la IV e VII Divisione Navale, con 7 incrociatori leggeri e 7 cacciatorpediniere, dovranno fornire protezione a distanza.
Gli ordini d’operazione vengono diramati il 22 (Supermarina, ordine generale di operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più particolareggiato), ed in quest’ultimo giorno viene disposta la sospensione di tutte le partenze dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne che per le navi dipendenti da Maritrafalba; negli ultimi giorni di ottobre, la XII Squadriglia Torpediniere viene trasferita da Augusta a Brindisi, dove confluiscono anche la IX Squadriglia MAS (da Crotone) e gli incrociatori Bari e Taranto (da Taranto), mentre Tirso e Sesia vengono trasferite da Brindisi a Valona. Vengono emanati anche gli ordini per l’impiego della 1a e 2a Squadra Navale per la protezione indiretta dell’operazione (il 29 sarà ordinato all’incrociatore pesante Pola, nave ammiraglia della 2a Squadra, ed alla I e VII Divisione Navale di tenersi pronti a muovere in due ore).
Lo sbarco è inizialmente pianificato per il 28 ottobre, in contemporanea con l’inizio delle operazioni terrestri contro la Grecia, ma il maltempo (mare in tempesta) costringe a rimandare l’operazione dapprima al 30 e poi al 31 ottobre (anche perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione della Grecia dovrebbe avvenire in tempi rapidi, considerano di scarsa utilità un’invasione di Corfù dal mare). Il 31 Supermarina dirama l’ordine esecutivo per lo sbarco, da effettuarsi il 2 novembre, ma nel frattempo la situazione rivelata dai primi giorni di combattimento in Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento del previsto e si rivelano molto più difficili a causa del maltempo, delle interruzioni nella rete stradale e dell’accanita resistenza greca, induce Mussolini ad annullare l’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione "Bari" in Albania come rinforzo. Informata per telefono, Supermarina annulla l’ordine esecutivo; lo sbarco a Corfù non si farà.
Le unità della XII Squadriglia verranno inizialmente utilizzate per compiti di ricerca e caccia antisommergibili (essendo le torpediniere più moderne tra quelle disponibili nel Canale d’Otranto), ma dopo pochi giorni saranno anch’esse adibite alla scorta diretta dei convogli. Nel frattempo vengono dotate di idrofoni girevoli, e viene aumentata la loro scorta di bombe di profondità.
Novembre 1940
Assume il comando dell’Antares il tenente di vascello Niccolò Nicolini.
12 novembre 1940
L’Antares, l’Aretusa ed il piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai partono da Brindisi alle 11.45 per scortare a Durazzo i trasporti truppe Città di Trapani, Aventino e Milano, aventi a bordo 1661 militari, nove autoveicoli, dieci carrette e 92,5 tonnellate di materiali. Il convoglio giunge a Durazzo alle 19.45.
13 novembre 1940
Alle due di notte l’Antares, insieme alla torpediniera Calatafimi ed all’incrociatore ausiliario Egeo, salpa da Bari per scortare a Valona un convoglio formato dai piroscafi Italia, Firenze e Galilea e dalla motonave Città di Marsala, che trasportano in tutto 1662 soldati e 48 quadrupedi. Il convoglio raggiunge Valona alle 16.20.
Sempre secondo la cronologia del libro U.S.M.M. “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” (che deve evidentemente contenere un errore), l’Antares parte da Brindisi alle sei del mattino insieme all’Aretusa, al Lago Zuai ed alla torpediniera Monzambano scortando Firenze ed Italia che trasportano il primo scaglione della 2a Divisione Alpina "Tridentina", (1105 militari, 9 automezzi e 90,5 tonnellate di materiali), giungendo a Durazzo alle 16.
16 novembre 1940
L’Antares salpa da Brindisi alle 9.50 scortando il piroscafo Caterina (carico di 34 automezzi e 1064 tonnellate di materiali, oltre a 40 soldati ed otto quadrupedi), col quale arriva a Valona alle 22.30.
20 novembre 1940
L’Antares e la gemella Andromeda lasciano Valona alle 11 scortando il piroscafo Galilea e le motonavi Città di SavonaCittà di Marsala e Donizetti, tutte scariche; il convoglio arriva a Brindisi alle 19.
28 dicembre 1940
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Brindisi partono da Brindisi alle 8 diretti a Valona, scortando un convoglio composto dai piroscafi Eolo (adibito a traffico civile), Absirtea e Vittor Pisani e dalla motonave Città di Agrigento, che trasportano in tutto 383 militari, 437 quadrupedi, 18 automezzi e 256 tonnellate di viveri, foraggio e materiale vario.
Il convoglio giunge a Valona alle 20.30.
29 dicembre 1940
L’Antares (tenente di vascello Nicolò Nicolini) salpa da Valona tra le sette e le otto del mattino per scortare a Brindisi i trasporti truppe Sardegna (capo convoglio), Piemonte ed Italia, che rientrano vuoti in Italia.
Alle 7.30 l’Antares esce dalla rada di Valona e pilota i piroscafi sulla rotta di sicurezza, alla velocità prestabilita di 10,5 nodi.
Alle 9.34, arrivata nei pressi del punto convenzionale "A" di Saseno, l’Antares si avvicina a portata di voce del Sardegna, ed il comandante Nicolini domanda se inizierà subito a zigzagare. Dal Sardegna viene risposto che il convoglio zigzagherà 6 miglia dopo il punto "A", all’inizio della nuova rotta; l’Antares, dal canto suo, inizia subito a zigzagare.
Alle 10.05, nel punto 40°31’ N e 19°02’ E (una quarantina di miglia ad est di Brindisi; per altra fonte, 51 miglia ad est di tale città), il Sardegna emette diversi colpi di fischio e compie una rapida accostata a sinistra, mentre Italia e Piemonte accostano a dritta. L’Antares, in quel momento, si trova ad un centinaio di metri dal piroscafo capoconvoglio, sul suo rilevamento polare 40°. Circa un minuto dopo, il Sardegna viene colpito da due siluri sul lato sinistro, ed affonda di prua, undici miglia a ponente di Saseno.
Sull’Antares viene frattanto avvistato un siluro che sta delfinando, ed il comandante in seconda, sottotenente di vascello di complemento Claudio Scarpato, avvista la prua del sommergibile attaccante, che sta procedendo di controbordo rispetto al convoglio, a circa 1500 metri di distanza. Si tratta del sommergibile greco Proteus (il cui nome è riportato anche come Protefs), al comando del capitano di corvetta Michail Hadjikonstantis (o Chatzikonstantis). Il Proteus è alla sua terza missione di guerra: partito dalla base di Salamina il pomeriggio del 26 dicembre, aveva l’ordine di pattugliare il Canale d’Otranto fino all’8 gennaio. (Secondo una fonte di dubbia affidabilità, era stato avvisato del prossimo passaggio di un convoglio italiano davanti a Valona, e lo stava dunque attendendo al varco; ma dal momento che nessuna fonte italiana o greca qui consultata ne fa menzione, sembra probabile che ciò sia errato). Probabilmente è venuto in affioramento con la prua involontariamente, a causa di una manovra errata o di un’accidentale perdita dell’assetto, forse causata dal lancio dei siluri. (Secondo qualche fonte, l’Antares avrebbe localizzato il Proteus risalendo le scie dei siluri, ma ciò non risulta dal rapporto del comandante Nicolini, che parla invece di avvistamento in seguito all’affioramento del sommergibile stesso).
Il comandante Nicolini decide di speronare il battello nemico, e manovra di conseguenza, ordinando di portare la velocità al massimo; al contempo dà ordine di caricare i cannoni e di regolare le prime bombe di profondità nelle tramogge per scoppiare alla profondità minima. Nicolini ha deciso per lo speronamento, anziché il siluramento o cannoneggiamento, perché la manovra iniziale del sommergibile avversario gli ha fatto temere che volesse cercare di silurare anche un altro piroscafo; di conseguenza ha deciso di speronarlo, “soluzione” più rapida e sicura. Vedendosi piombare addosso la torpediniera italiana, il Proteus tenta di manovrare per porsi su rotta parallela rispetto all’Antares, in modo da evitare la collisione; la manovra decisa dal comandante Nicolini si trasforma così in un vero e proprio inseguimento, nel quale alla fine ha la meglio la superiore velocità della torpediniera. Quando la distanza tra le due unità è ridotta a pochi metri, Nicolini ordina “attenti all’urto” ed impartisce alle tramogge poppiere l’ordine di gettare sullo scafo del sommergibile quattro bombe di profondità, nel momento in cui esso si troverà sotto il timone dell’Antares.


Dipinto raffigurante lo speronamento del Proteus da parte dell’Antares (da “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo” di Pier Filippo Lupinacci e Vittorio Emanuele Tognelli, USMM, Roma 1964)

L’impatto è estremamente violento: la prua dell’Antares sperona il Proteus poco a proravia della torretta; la nave italiana s’impenna e poi ricade sulla dritta. Come ordinato, subito dopo le tramogge di poppa lanciano sul punto dell’impatto quattro bombe di profondità, che esplodono immediatamente, scuotendo la nave con rinnovata violenza. (Secondo il ricordo dell’allora secondo capo Ferruccio Pastoretto, timoniere di manovra sull’Antares – che in quel momento si trovava al timone della torpediniera, e dunque la condusse nella manovra di speronamento, portandola sul bersaglio – il comandante Nicolini, dopo aver dato l’“attenti all’urto” perché l’equipaggio si preparasse all’impatto, fu l’unico a dimenticarsi di reggersi, e finì col rompersi un osso in seguito all’urto, risultando così l’unico ferito tra l’equipaggio dell’Antares).
Per il Proteus non c’è scampo: spinto sott’acqua dal peso dell’Antares dopo la collisione, lo sventurato sommergibile greco viene riportato parzialmente in superficie dallo scoppio delle bombe di profondità, affiorando nella scia dell’Antares per pochi secondi, rovesciato sul lato di dritta. Subito dopo, il Proteus si capovolge completamente ed affonda, portando con sé l’intero equipaggio di 48 uomini (6 ufficiali e 42 tra sottufficiali e marinai). È il primo sommergibile greco ad andare perduto nella seconda guerra mondiale. Sono le 10.06.
Dall’Antares, prima che scompaia, si riescono a distinguere alcuni particolari: prua affilata priva di tagliareti, cannone prodiero di calibro superiore ai 100 mm, sporgente dalla torretta. Subito dopo l’affondamento, nel punto in cui si è inabissato il Proteus appaiono in superficie vaste chiazze di nafta scura e grandi bolle d’aria.
Con le macchine a lento moto, la torpediniera torna sul punto in cui è avvenuto lo speronamento, sul quale l’equipaggio italiano ha lanciato un salvagente per indicarlo; il comandante Nicolini, per essere del tutto certo della distruzione dell’unità avversaria, fa lanciare alcune altre bombe di profondità (secondo alcune fonti, in questa fase ne sarebbero state lanciate sette, per un totale di undici, contando le quattro lanciate in precedenza).
A questo punto, affondato il Proteus, l’Antares torna nel punto in cui è affondato il Sardegna, per provvedere al salvataggio dei naufraghi; Italia e Piemonte, nel frattempo, proseguono verso Brindisi, dove giungeranno indenni  alle 15.10 dopo essere stati raggiunti dalla torpediniera Aretusa che ne assumerà la scorta (l’Italia proseguirà poi per Bari). Nel luogo dell’affondamento si trovano due grosse scialuppe intatte, altre tre o quattro lance semisfasciate ma ancora a galla, diverse zattere Carley, tavoloni e rottami vari.
L’Antares mette a mare una piccola iole ed un battellino, che lottano aspramente contro il mare agitato, prodigandosi per recuperare quanti più uomini possibile, partendo da quelli che sono senza salvagente e non hanno relitti cui aggrapparsi. Quando la prima delle grosse lance del Sardegna arriva sottobordo alla torpediniera, non appena i naufraghi vengono trasbordati gli uomini dell’Antares si slanciano a bordo per armarla ed utilizzarla per il recupero di altri superstiti. Si distinguono in questa operazione il capo elettricista di terza classe Ariolando Ambrogi, da Arcidosso; i sottocapi cannonieri puntatori scelti Mario Calvo, da Oneglia, e Carmelo Nicoletti, da Brescia; i marinai Gennaro Chilelli (da Amantea), Carmelo Colombo (da Pozzallo), Giuseppe Gaggero (nato negli Stati Uniti, a San Francisco), Giuseppe Montecalvi (da Rodi Garganico), Gaetano Mini (da Castiglione della Pescaia), Fedele Irrazionale (da Napoli), Nereo Sorz (da Trieste), Giuseppe Giuliano (da Palermo) ed Ugo Baldi (da Genova); i cannonieri Angelo Beltrami (da Venezia), Remo Turrini (da Modena) e Pietro Binetti (da Brescia); i fuochisti Cesare Lockmonn (da Agnone), Giorgio Marsi (da Capodistria) e Francesco Santini (nato negli Stati Uniti, ad Eberton); e l’allievo furiere Cosimo De Donatis, da Maglio. Tutti riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione: "In occasione dell’affondamento di un piroscafo, in condizioni di mare e di tempo assai difficili, si offriva spontaneamente per armare una delle lance dello stesso piroscafo affondato, e con la sua instancabile opera riusciva a trarre in salvo numerosissimi naufraghi". Il nocchiere di terza classe Giulio Battagliola, da Leno Verolanuova, riceverà analoga decorazione, con motivazione: "Imbarcato su una torpediniera, dirigeva con perizia professionale, slancio e sprezzo del rischio le operazioni marinaresche relative al salvataggio di naufraghi di un piroscafo silurato".
Mentre la torpediniera è ferma a salvare i naufraghi, diversi aerei sorvolano la zona del siluramento, ma non sganciano alcuna bomba.
Mentre è in corso il salvataggio dei naufraghi del Sardegna, il comandante Nicolini conduce una visita allo scafo, accompagnato dal direttore di macchina, per accertare i danni causati dallo speronamento del Proteus. Le paratie di collisione sono deformate ma hanno retto; si provvede comunque a rinforzarle e puntellarle, e si prosciuga il locale fuochisti, che ha avuto alcune infiltrazioni, dall’acqua che vi è entrata. Al contempo, per alleggerire la prua, vengono scaricate in mare 40 tonnellate di nafta. Si distinguono in quest’opera il secondo capo meccanico Pietro Magrini (da Serravalle), il sergente meccanico Paolo Falcone (da Napoli) ed il sottocapo meccanico Salvatore Saddemi (da Giarratana), poi decorati di Croce di Guerra al Valor Militare ("Dopo lo speronamento di un sommergibile nemico compiuto dalla torpediniera sulla quale era imbarcato, accorreva con il direttore di macchina nei locali parzialmente allagati, incurante del pericolo costituito dalle paratie pericolanti. Con opera svelta e intelligente contribuiva ai lavori necessari per permettere la sicura navigazione dell’unità").
In tutto, l’Antares recupera 220 sopravvissuti del Sardegna, mentre i morti sono 25. A tutti vengono forniti una coperta, vino e caffè caldo; l’infermiere ed il comandante in seconda dell’Antares provvedono a medicare alcuni feriti leggeri, mentre l’unico ferito grave, che ha due gambe spezzate, riceve le prime cure consentite dai pochi mezzi a disposizione e viene poi affidato al MAS 515, che giunge sul posto verso le 11.30. Vengono recuperate anche tre salme, che vengono deposte con gli onori militari in una scialuppa sulla quale viene issata la bandiera italiana, e che verrà poi rimorchiata a Valona dai rimorchiatori arrivati a mezzogiorno.
Giunti appunto questi rimorchiatori, a mezzogiorno l’Antares lascia la zona e fa rotta per Brindisi a 17 nodi, la velocità massima raggiungibile in condizioni di sicurezza compatibilmente con i danni alla prua subiti nella collisione. Al contempo, il comandante Nicolini comunica a Marina Brindisi (che ha già aggiornato a più riprese sull’evolversi degli eventi mediante messaggi cifrati inviati per radiosegnalatore col tono di soccorso, dato che la radio principale è in avaria) che l’Antares non sarà in grado di raggiungere Italia e Piemonte e riassumerne la scorta prima delle 14.45, ossia entro le rotte di sicurezza (proprio per questo viene mandata loro incontro l’Aretusa). La torpediniera giunge in porto alle 15.10.
L’affondamento del Proteus da parte dell’Antares verrà annunciato il 9 gennaio 1941 dal bollettino di guerra n. 216 del Comando Supremo, che (tacendo ovviamente la perdita del Sardegna) annuncerà: «Una nostra torpediniera al comando del tenente di vascello Nicolò Nicolini ha speronato ed affondato un sommergi­bile nemico». Il bollettino n. 224, del 18 gennaio, preciserà l’identità del battello distrutto: «Il sommergibile speronato il 29 dicembre e citato nel bol­lettino n. 216 é risultato essere il greco Proteus. Detto sommergibile, di costruzione francese, dislocava 700 tonnellate in superficie e 930 in immersione; era armato con otto tubi di lancio ed un cannone da 102 millimetri».
Il comandante Nicolò Nicolini, da La Spezia, riceverà per l’affondamento del Proteus la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di una torpediniera di scorta ad un convoglio, avvistata la serie dei siluri lanciati da un sommergibile e subito dopo la prora del sommergibile stesso parzialmente emersa, con rapida ed ardita manovra portava la sua nave a speronare lo scafo nemico assicurandone l’affondamento col successivo impiego delle armi appropriate. Si prodigava quindi nel salvataggio dei naufraghi di un piroscafo silurato, riuscendo a trarli tutti a salvamento nonostante le difficoltà dovute al mare agitato".

Il tenente di vascello Nicolò Nicolini, comandante dell’Antares nel 1940-1941 e poi ancora nel maggio 1943 (da www.difesa.it)

Il comandante in seconda, sottotenente di vascello Claudio Scarpato da Gaeta, verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: "Ufficiale in 2a di una torpediniera, durante un servizio di scorta, avvistava un sommergibile che aveva eseguito un attacco con lancio contro un piroscafo. Coadiuvava efficacemente il comandante durante la manovra di speronamento e successivamente si prodigava con slancio, serenità ed abnegazione nell’organizzare il salvataggio dei naufraghi e nel dare assistenza ai feriti". Il guardiamarina Marco Zanuso, da Milano, e l’aspirante Angelo Maggiolo, da Camogli, riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare con motivazione "Imbarcato su una torpediniera, nel corso di una azione, risolta con l’affondamento di un sommergibile nemico, ha validamente contribuito alla riuscita della manovra ed al difficile salvataggio dei naufraghi di un piroscafo silurato, prodigandosi con slancio ed entusiasmo".
Da parte greca, si ha contezza del successo del Proteus già lo stesso 29 dicembre, in quanto alle dieci di quel mattino il piroscafo greco Ionia capta un S.O.S. seguito da un S.S.S. (segnale di attacco di sommergibili) provenienti entrambi dal Sardegna, che indica di trovarsi davanti alla baia di Valona. Dato che tale zona ricade all’interno del settore operativo assegnato al Proteus, i greci comprendono che questi deve essere il responsabile del siluramento, e celebrano il successo colto dal loro sommergibile. La gioia per il successo muterà però gradualmente in apprensione ed infine dolore, quando dal Proteus non giunge nessuna comunicazione ed il sommergibile non fa più ritorno alla sua base.
Solo 10 gennaio 1941 i greci appresenderanno della sorte del Proteus, quando un comunicato radio italiano trasmesso alle 9.25 annuncerà che tre settimane prima la torpediniera Antares, di scorta ad un convoglio, ha affondato un sommergibile nemico, senza sopravvissuti (doveva trattarsi probabilmente del bollettino del 9 gennaio, che però non faceva il nome dell’Antares, bensì quello del suo comandante). Tutto l’equipaggio del Proteus riceverà una promozione postuma, con decreto del 19 novembre 1941; il comandante Hadjikonstantis verrà decorato con la Croce al Valore greca (massima decorazione militare ellenica), gli ufficiali la Croce di Guerra di seconda classe, il resto dell’equipaggio la Croce di Guerra di terza classe.
Così l’allora sergente Giovanni Munari, dell’Antares, ricorda gli eventi del 29 dicembre 1940: “La mattina del 29 dicembre 1940 alle ore 7.30 l’Antares, la sola nave di scorta, no copertura aerea, lasciava la baia di Valona per scortare 3 piroscafi a Brindisi, il Piemonte, l’Italia e il Sardegna. I piroscafi navigavano in fila indiana 50/60 metri l’uno dall’altro, e l’Antares continuava a girare intorno al convoglio trovandosi ora su un lato ora sull’altro del convoglio. Due ore fuori da Valona, mentre l’Antares si trovava sul lato destro del convoglio, un sommergibile in agguato sul lato sinistro silurava e affondava il piroscafo Sardegna che dava l’allarme. L’Antares partiva a tutta forza passato il piroscafo di testa con una virata stretta si portava sul lato del sommergibile, che non sapremo mai il perché stava salendo in superficie, così vicino che fu impossibile usare le artiglierie; perciò il comandante Nicolò Nicolini a tutta forza speronava il sommergibile investendolo giusto a proravia della torretta che affondava, del suo equipaggio non fu possibile salvare nessuno. Noi dopo avere salvato circa 200 naufraghi del Sardegna a velocità molto ridotta e la nave molto appruata per il grande foro causato alla prora siamo riusciti a raggiungere Brindisi  l’Antares entrava subito dentro un bacino galleggiante. (Faccio presente che a quel tempo l’Antares non era ancora munita di ecogoniometro)”.


Due immagini della prua dell’Antares danneggiata dallo speronamento del Proteus, scattate a Brindisi il pomeriggio del 29 dicembre 1940 (g.c. STORIA militare)


ca. 1940-1941
Lavori di modifica dell’armamento: tre delle quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm, poco efficaci, vengono sostituite con altrettante mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm. Vengono inoltre imbarcati due scaricabombe per bombe di profondità, incrementando la dotazione di b.t.g. a 40.
8 aprile 1941
In seguito all’intercettazione e decifrazione, da parte del Reparto Informazioni della Regia Marina (che già da tempo ha decrittato i principali codici in uso presso la Marina jugoslava), di messaggi jugoslavi relativi a previste operazioni navali contro Zara – è iniziata, due giorni prima, l’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse – Supermarina ordina l’urgente trasferimento ad alta velocità della XII Squadriglia Torpediniere (Antares, Altair, Aretusa, Aldebaran) da Brindisi all’Alto Adriatico, per intercettare le unità jugoslave quando queste dovessero uscire da Sebenico. Il trasferimento della squadriglia, in condizioni di maltempo, avviene con immediatezza.
Il piano jugoslavo, che Supermarina apprende nella notte tra il 7 e l’8 aprile grazie alle decrittazioni, prevede che l’attacco contro Zara dell’esercito jugoslavo sia appoggiato dal mare dalle torpediniere T 2, T 5, T 6 e T 7, dalla nave appoggio idrovolanti Zmaj e dalle motosiluranti Rudnik, Kajmakcalan, Durmitor e Dinara, nonché dall’aviazione navale jugoslava e da parte dell’aeronautica; queste forze sono radunate a Sebenico. Inoltre, ulteriori decrittazioni rivelano che dovranno partecipare all’operazione contro Zara anche i sommergibili Osvetnik e Hrabri.
L’intervento della XII Squadriglia non si renderà necessario, perché un bombardamento eseguito lo stesso 8 aprile dalla Regia Aeronautica (con 34 bombardieri FIAT BR. 20) contro il porto Sebenico, dove sono concentrate le unità jugoslave destinate all’attacco contro Zara, provocherà il danneggiamento della nave appoggio idrovolanti Zmaj – destinata all’operazione quale nave comando, trasporto ed antiaerei – ed il conseguente annullamento dell’intera operazione (in ogni caso, la Regia Aeronautica bombarderà ancora Sebenico il 10, 11, 12 e 13 aprile, danneggiando il rimorchiatore di salvataggio Spasilac e, in modo lieve, le torpediniere T 2 e T 5, oltre a distruggere alcuni idrovolanti, ed inducendo il Comando della Marina jugoslava ad ordinare il trasferimento a Cattaro delle motosiluranti).
Il 9 aprile l’esercito jugoslavo (Divisione "Jadranska" e due reggimenti "Odred"), senza il previsto appoggio della sua Marina, attaccherà ugualmente Zara, ma verrà respinto dai 9000 uomini del presidio italiano.
9 aprile 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Brioni partono da Brindisi alle quattro del mattino per scortare a Valona il piroscafo Francesco Crispi e la motonave Viminale, che hanno a bordo 2478 tra ufficiali e soldati e 142 tonnellate di materiali. Il convoglio giunge a Valona alle 10.45.
10 aprile 1941
Antares, Crispi e Viminale (vuoti) lasciano Valona alle 13 e raggiungono Brindisi alle 20.45.
14 aprile 1941
Le unità della XII Squadriglia Torpediniere, su ordine dell’ammiraglio Oscar Di Giamberardino (comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Adriatico), occupano le isole croate di Selve, Isto ed Ulbo. Compiuta l’occupazione senza incontrare resistenza, le torpediniere raggiungono Brindisi, dove avevano avuto ordine di rientrare già dalla sera precedente.
22 aprile 1941
L’Antares parte da Brindisi alle 4.20 per scortare a Valona, dove giunge alle 13.15, i piroscafi Aprilia e Costante, carichi di materiali vari.
23 aprile 1941
Lascia Valona alle 6 per scortare a Brindisi la motonave Filippo Grimani, con a bordo 81 prigionieri, ed il piroscafo Goffredo Mameli, scarico. Le tre navi arrivano a Brindisi alle 14.35.

L’Antares nella primavera del 1941 (Coll. Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)

24 aprile 1941
L’Antares e l’Aretusa partono da Brindisi alle 24 per scortare a Cattaro la motonave Piero Foscari, in missione speciale.
25 aprile 1941
Antares, Aretusa e Foscari giungono a Cattaro alle 10.
29 aprile 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Barletta salano da Brindisi alle 00.20 per scortare a Cattaro la motonave Città di Agrigento, anch’essa in missione speciale. Il piccolo convoglio giunge a destinazione alle 13.
3 maggio 1941
L’Antares salpa da Brindisi alle 16.40 insieme ad Altair ed Aretusa ed al vecchio incrociatore Bari (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, comandante della Forza Navale Speciale ed incaricato degli sbarchi nelle Isole Ionie) per scortare i trasporti truppe Francesco Crispi, Argentina e Galilea, che devono sbarcare le truppe destinate all’occupazione dell’isola di Cefalonia, al termine della campagna di Grecia. I tre piroscafi hanno a bordo 112 ufficiali e 2946 soldati della 33a Divisione Fanteria "Acqui" (nonché reparti di fanti di Marina del Reggimento "San Marco" e di camicie nere da sbarco al comando del console generale della M.V.S.N. Marino Marino), oltre al relativo materiale divisionale, comprensivo di viveri, automezzi e quadrupedi.
A Cefalonia, la più grande ed importante delle Isole Ionie (per via della presenza della base di Argostoli), sono già stati paracadutati dei reparti di paracadutisti. L’occupazione delle Isole Ionie è stata decisa prima ancora che l’armistizio di Atene ponesse fine alle ostilità con la Grecia, pertanto l’ammiraglio Tur ha pianificato l’operazione con il presupposto che vi sarebbero potuti essere scontri armati; l’invio di una motovedetta in avanscoperta nel Canale di Corfù, tuttavia, non ha provocato alcuna reazione da parte della guarnigione dell’isola, ed il 28 aprile, all’apparire dei bombardieri sui cieli di Corfù, è apparsa sull’isola una bandiera bianca. L’indomani l’isola è stata pacificamente occupata con truppe sbarcate da due motocisterne; il 30 aprile sono state occupate anche Itaca e Santa Maura con truppe aviolanciate e sono stati lanciati paracadutisti su Zante e Cefalonia per stabilire i primi contatti.
L’ordine esecutivo per l’occupazione di Cefalonia è stato impartito da Supermarina al comando della Forza Navale Speciale alle 10.40 del 3 maggio, tramite il Comando Marina di Brindisi; nei giorni precedenti le navi della F.N.S. erano state sorvolate da ricognitori ed anche attaccate dall’aviazione nemica, senza però subire danni.
4 maggio 1941
La notte è chiarissima, con luna piena e cielo sereno. Superata Otranto, la formazione italiana dirige verso l’isola di Fano e poi segue la costa fino a Cefalonia, in modo da restare il più lontano possibile dalla probabile area di agguato dei sommergibili britannici. Durante la navigazione il convoglio gode della protezione aerea fornita da idroricognitori CANT Z. 501 e CANT Z. 506 decollati da Taranto e da aerei da caccia della IV Zona Aerea Territoriale.
In mattinata, le navi della F.N.S. arrivano a 6 miglia dall’estremità occidentale di Cefalonia, dove incontrano il posamine Azio ed alcuni dragamine, che le precedono sulla rotta per Argostoli.
Il convoglio giunge ad Argostoli (Cefalonia) a mezzogiorno, e vi sbarca rapidamente il corpo di occupazione, senza incontrare opposizione o particolare ostilità dalla popolazione affamata (l’ammiraglio Tur scriverà anche, nelle sue memorie, che l’arrivo delle truppe italiane fu accolto favorevolmente, che la popolazione “venne anche in aiuto alle operazioni di sbarco” e che “i battellieri chiesero la bandiera italiana per issarla sulle loro imbarcazioni”, ma questo sembra un po’ eccessivo). Le truppe vengono messe a terra dall’Azio, dall’Aretusa e dalle imbarcazioni del Bari e dei trasporti truppe, mentre Antares ed Altair vengono distaccate nella baia col compito di difendere lo sbarco da eventuali attacchi aerei, subacquei o siluranti. Terminato lo sbarco, l’ammiraglio Tur si reca a terra per rivolgere il suo saluto alle truppe.
I piroscafi scarichi ripartono al tramonto, e rientrano a Brindisi seguendo le medesime rotte dell’andata.

Alcune foto dell’Antares scattate in occasione dell’occupazione di Cefalonia (Archivio Centrale dello Stato):





10 maggio 1941
L’Antares, l’Aretusa ed il vecchio incrociatore leggero Bari partono da Brindisi alle 16.15 per scortare a Patrasso la motonave Viminale, avente a bordo truppe del Reggimento "San Marco" e personale della Marina incaricato di organizzare i nuovi comandi e servizi della Regia Marina creati a Patrasso e Capo Papas (sede quest’ultimo di una stazione di vedetta che dovrà essere rimessa in efficienza) dopo la caduta della Grecia.
Per garantire la sicurezza del viaggio, il tratto di mare a nord di Capo Papas (all’entrata del Golfo di Patrasso) è stato sottoposto a dragaggio preventivo.
11 maggio 1941
Il piccolo convoglio giunge a Patrasso alle 14.30. Lo stesso giorno vengono formalmente istituiti il Comando Marina di Patrasso ed il Comando Militare Marittimo della Grecia Occidentale (Marimorea), avente anch’esso sede a Patrasso, retto inizialmente dall’ammiraglio Vittorio Tur (comandante della Forza Navale Speciale, giunto a Patrasso sul Bari, sua nave ammiraglia) cui il 18 giugno subentrerà l’ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo. A Capo Papas vengono costituiti un Comando dei Servizi Militari Marittimi ed un Comando difesa militare marittima (Maridife).
16 maggio 1941
Antares ed Aretusa scortano la Viminale ed il piroscafo Laura C. da Patrasso a Taranto.
19 maggio 1941
L’Antares scorta da Patrasso a Bari la Viminale, con a bordo 1210 militari nonché materiali vari.
28 maggio 1941
Antares, Aretusa e Barletta partono da Taranto alle 4.55 scortando le motonavi Città di Agrigento e Caldea ed il piroscafo Dubac, carichi di truppe e materiali. Il convoglio raggiunge dapprima Argostoli, dove si ferma la Città di Agrigento, e poi prosegue per Patrasso e Rodi.
10 giugno 1941
L’Antares scorta da Patrasso a Brindisi i piroscafi tedeschi Achaia, Trapani, Spezia e Livorno, aventi a bordo 5000 prigionieri.
24 giugno 1941
Scorta da Brindisi a Missolungi i piroscafi Perla, Zena e Sant’Agata, che trasportano complessivamente 2460 tonnellate di materiale militare.
15 luglio 1941
L’Antares ed il cacciatorpediniere Augusto Riboty scortano da Brindisi a Patrasso i piroscafi Francesco Crispi, Argentina e Galilea e la motonave Viminale, carichi di truppe italiane e tedesche, autoveicoli, rimorchi e materiali vari.


Crispi, Argentina e Viminale (da sinistra a destra) fotografati da bordo dell’Antares, nella missione del 15 luglio 1941 (foto tratta da “The Italian Navy in World War II” di James Sadkovich)

18 luglio 1941
Antares e Riboty scortano da Valona a Patrasso Crispi, Argentina, Viminale e Galilea, carichi di truppe e materiali.
28 luglio 1941
L’Antares parte da Brindisi alle due scortando il piroscafo Capo Orso, diretto a Bengasi. Alle 21.30 la torpediniera lascia la scorta del piroscafo, che raggiungerà felicemente la sua destinazione dopo essere stato raggiunto dalla torpediniera Generale Achille Papa.
2 agosto 1941
L’Antares scorta da Valona a Brindisi, insieme all’incrociatore ausiliario Arborea, la motonave Puccini, carica di truppe rimpatrianti.
Da Brindisi la torpediniera raggiunge poi Taranto e ne parte alle 21.30 scortando la motonave Cilicia, diretta a Bengasi. La torpediniera accompagna la motonave fin nelle acque della Libia, poi la lascia proseguire da sola (arriverà indenne a Bengasi alle 11 del 5 agosto).
12 agosto 1941
Antares e Barletta scortano Crispi e Galilea, carichi di personale militare diretto a varie destinazioni, da Brindisi a Patrasso.
15 agosto 1941
Antares e Barletta scortano il Galilea che rientra da Patrasso a Brindisi con truppe rimpatrianti.
17 agosto 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu scortano da Valona a Brindisi la Città di Savona, avente a bordo personale militare rimpatriante.
27 agosto 1941
L’Antares parte da Brindisi all’una di notte (per altra fonte, le due) scortando il piroscafo Alfredo Oriani e la motonave Cilicia, diretti a Bengasi.
28 agosto 1941
Alle tre di notte, come stabilito dall’ordine d’operazione del Comando Marina di Brindisi, l’Antares lascia il convoglio, che prosegue da solo, e si allontana verso est per rientrare in porto: è questa la prassi, all’epoca, per i mercantili di dimensioni medio-piccole avviati verso Bengasi lungo la rotta che passa ad est di Malta. Di solito tutto fila liscio, ma stavolta le cose andranno male: l’Oriani sarà danneggiato da bombardieri e costretto a tornare indietro, e la Cilicia verrà affondata dal sommergibile britannico Rorqual.
Lasciato il convoglio Oriani-Cilicia, il giorno stesso l’Antares raggiunge Prevesa e scorta da quel porto ad Argostoli, insieme all’incrociatore ausiliario Brindisi, la motonave Città di Bastia ed il piroscafo Sant’Agata, carichi di truppe e materiali.
30 agosto 1941
Antares e Brindisi scortano le motonavi Città di Bastia e Città di Trapani, cariche di truppe rimpatrianti, da Argostoli a Prevesa, e poi a Brindisi.
4 settembre 1941
L’Antares ed il Deffenu scortano da Bari a Durazzo la motonave Città di Trapani ed i piroscafi Milano e Rosandra, che trasportano personale militare italiano.
7 settembre 1941
Antares e Deffenu scortano da Durazzo a Bari Città di TrapaniRosandra e Milano, che trasportano 2900 militari rimpatrianti.
Il giorno stesso, Antares e Deffenu ripartono da Bari e scortano a Durazzo Città di TrapaniItalia e Quirinale, che trasportano personale dell’Esercito e della Marina nonché materiali dell’Esercito e dell’Aeronautica.
10 settembre 1941
Antares e Deffenu scortano da Bari a Durazzo Italia e Quirinale, che trasportano materiali vari e personale dell’Esercito e dell’Aeronautica avente destinazioni varie.
10 ottobre 1941
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Zara scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Italia, Milano e Rosandra, con a bordo personale e materiale militare.
11 ottobre 1941
Antares e Zara scortano da Durazzo a Bari Italia, Milano e Rosandra che rientrano trasportando truppe rimpatrianti.
12 ottobre 1941
Antares e Deffenu scortano da Bari a Patrasso i piroscafi Piemonte e Francesco Crispi e la motonave Viminale, aventi a bordo truppe e materiali vari dell’Esercito e della Marina.
15 ottobre 1941
L’Antares scorta le motonavi Calino e Calitea da Patrasso a Brindisi.
4 dicembre 1941
L’Antares scorta da Taranto a Patrasso i piroscafi Orione, Tripoli e Vincente, carichi di materiali vari.
9 dicembre 1941
Scorta da Patrasso ad Argostoli la nave cisterna Caucaso.
11 dicembre 1941
Scorta da Patrasso a Navarino il piroscafo Tripoli.
12 dicembre 1941
Scorta il Tripoli da Patrasso a Zante.
17 dicembre 1941
Scorta da Bari a Corfù la nave cisterna romena Balcic.


L’Antares nel 1941 (da “Le torpediniere italiane 1881-1964” di Paolo Mario Pollina, 2a edizione, USMM, Roma 1974, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

3 gennaio 1942
L’Antares salpa da Taranto alle 15.06 insieme alle gemelle Castore ed Aretusa ed alla più moderna torpediniera di scorta Orsa, scortando la motonave Monviso e la petroliera Giulio Giordani, nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». Nell’ambito di questa operazione, AntaresOrsaMonvisoGiordaniCastore ed Aretusa compongono il convoglio numero 3; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di “scorta diretta incorporata nel convoglio” (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’AostaRaimondo MontecuccoliMuzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere MaestraleSciroccoAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate LittorioGiulio Cesare ed Andrea Doria, dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia e dai cacciatorpediniere AviereGeniereCarabiniereAlpinoCamicia NeraAscariAntonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11, come previsto, il convoglio 2 si unisce ai convogli 1 (motonavi MonginevroLerici e Nino Bixio, cacciatorpediniere Ugolino VivaldiNicoloso Da ReccoAntoniotto UsodimareBersagliere e Fuciliere) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da Messina e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone sul Vivaldi. La III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito alcun attacco.
Con l’operazione «M. 43» giungono in Libia 901 uomini, 520 veicoli, 144 carri armati, 15.379 tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni e 10.242 tonnellate di altri materiali.
13 gennaio 1942
Scorta da Taranto a Corfù il piroscafo italiano Polcevera e la nave cisterna bulgara Balkan.
15 gennaio 1942
L’Antares ed il cacciatorpediniere Riboty scortano da Corfù a Patrasso Polcevera, Balkan ed il piroscafo tedesco Hans Harp.
7 febbraio 1942
L’Antares scorta da Taranto a Corfù il piroscafo Potestas.
8 febbraio 1942
L’Antares, gli incrociatori ausiliari Egitto e Città di Napoli, e le vecchie torpediniere Francesco Stocco e Generale Carlo Montanari scortano da Corfù a Patrasso un grosso convoglio formato dai piroscafi Città di BergamoPotestasVoloddaVestaMameliHermada, Rosario e Salvatore.
9 febbraio 1942
L’Antares e l’incrociatore ausiliario Città di Genova scortano da Patrasso a Bari la motonave Calino.
13 febbraio 1942
AntaresCittà di Genova e la vecchia torpediniera Antonio Mosto scortano da Bari a Durazzo un convoglio composto dai piroscafi AventinoItalia e Città di Catania con truppe e materiali. Alle 11.40 un sommergibile lancia due siluri contro le navi italiane, ma nessuna arma va a segno.
15 febbraio 1942
Antares, Mosto e Città di Genova scortano da Durazzo a Bari gli stessi tre piroscafi del viaggio precedente, ora carichi di truppe rimpatrianti.
4 aprile 1942
L’Antares e la torpediniera Stocco scortano da Taranto ad Argostoli la pirocisterna Alberto Fassio ed i piroscafi Pluto e Rhea (quest’ultimo tedesco).
16 giugno 1942
L’Antares, l’Aretusa e la Sagittario vengono fatte salpare da Taranto alle 3.10, su ordine di Supermarina, per andare a rinforzare la scorta antisommergibili delle corazzate Littorio (nave di bandiera del comandante della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino) e Vittorio Veneto, che stanno rientrando a Taranto dopo aver partecipato, in Mediterraneo orientale, alla battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. Il rinforzo alla scorta antisommergibili è stato disposto da Supermarina per proteggere il più possibile le navi da attacchi di sommergibili, specialmente dato che la Littorio è stata danneggiata da un aerosilurante: alcune ore prima l’incrociatore pesante Trento, immobilizzato da un aerosilurante, è stato affondato dal sommergibile britannico Umbra mentre si tentava di prenderlo a rimorchio.
Verso le 8.30 Antares, Aretusa e Sagittario raggiungono la squadra, sostituendo i cacciatorpediniere Euro e Turbine e la torpediniera Partenope (in precedenza inviati a rinforzare la scorta, provenendo da porti della Grecia), che possono così lasciare la formazione e raggiungere le rispettive destinazioni (Argostoli per la Partenope, Brindisi per i cacciatorpediniere). Intorno alle nove del mattino un caccia della Luftwaffe lancia alcune bombette fumogene in mare sul lato dritto della formazione, così avvertendo le navi italiane della presenza di un sommergibile in quel punto; le navi accostano immediatamente a sinistra, anche se non vengono avvistati periscopi.
Alle 10.35 la formazione imbocca le rotte di sicurezza e smette di zigzagare, restando però in allerta, dato che non è del tutto impossibile che qualche sommergibile nemico si sia spinto anche nelle zone minate. I sommergibili britannici della I Flottiglia si sono effettivamente spostati, nel corso della notte, poco a sud di Santa Maria di Leuca, posizionandosi nei pressi delle rotte percorse dalla squadra italiana; pur essendosi portati, entro il sorgere del sole, in una buona posizione per l’attacco (specie il Thrasher ed il Porpoise, che pur non ricevendo da ore aggiornamenti sulla posizione delle unità italiane sono riusciti a prevederne le rotte di ritorno con buona precisione), non riusciranno ad attaccare.
Alle 16 il gruppo «Littorio», formato dalle due corazzate e dalla loro scorta, attraversa le ostruzioni di Taranto ed entra in porto, seguito ventuno minuti più tardi dal gruppo «Garibaldi», formato dagli incrociatori. Ha così termine la battaglia di Mezzo Giugno.
23 giugno 1942
L’Antares esce da Messina per prestare assistenza alla motonave Mario Roselli, silurata ed immobilizzata da un attacco aereo a 39 miglia per 134° da Capo Rizzuto, durante la navigazione in convoglio da Palermo a Bengasi. Da Taranto e Crotone escono in soccorso, rispettivamente, anche la torpediniera Enrico Cosenz con tre rimorchiatori (Gagliardo, Fauna e Portoferraio; per altra fonte il Fauna sarebbe partito da Crotone), e la torpediniera Aretusa. Giunte sul posto, Antares ed Aretusa rimpiazzano la Partenope ed il cacciatorpediniere Turbine, appartenenti alla scorta del convoglio di cui la Roselli faceva parte, nella scorta della motonave danneggiata.
La Roselli, presa a rimorchio dapprima dalla torpediniera Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke) della scorta diretta (dopo un primo tentativo fallito da parte della torpediniera Partenope) e poi dal rimorchiatore Pluto di Taranto (per altra fonte, partito da Crotone), può essere condotta in salvo a Taranto, dove giungerà alle 12.35 del 25 giugno, scortata da Antares ed Aretusa.

La nave nell’estate del 1942 (g.c. Marcello Risolo, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

2 luglio 1942
L’Antares salpa alle 13 da Taranto insieme ai cacciatorpediniere Turbine, Euro e Giovanni Da Verrazzano (caposcorta) ed alle torpediniere Castore, Polluce, Pegaso e San Martino, per scortare a Bengasi un convoglio composto dalle moderne motonavi MonvisoNino Bixio ed Ankara (quest’ultima tedesca).
Si tratta del primo importante convoglio dopo la riconquista di Tobruk da parte dell’Asse, con un carico complessivo di 8182 tonnellate di munizioni e materiali, 1247 tonnellate di carburanti e lubrificanti, sette carri armati e 439 veicoli; la Monviso ha a bordo 128 automezzi, due carri armati, 300 tonnellate di carburanti e lubrificanti e 3020 tonnellate di altri materiali (tra cui materiale d’artiglieria e munizioni), oltre a 165 militari.
Già alle 14.18 il servizio di decrittazione britannico “ULTRA” intercetta e decifra un messaggio codificato dalla macchina “Enigma”, apprendendo così della partenza del convoglio; successive decrittazioni precisano la composizione della scorta e la rotta che il convoglio seguirà (rotte costiere e di sicurezza fino alle 4.30 del 3 luglio, quando Sagittario e San Martino si devono unire alla scorta, dopo aver completato un rastrello in quelle acque; indi riunione con convoglio che deve passare probabilmente a sudovest di Capo Gherogambo). Vengono dunque disposti attacchi aerei contro il convoglio, ed un ricognitore viene inviato a cercarlo, in base alle informazioni di “ULTRA”, per precisarne meglio la posizione.
Tuttavia, anche l’Ufficio Beta del Servizio Informazioni Segrete (il servizio segreto della Regia Marina) è al lavoro: la sera del 2 luglio gli uomini del SIS intercettano e decrittano un messaggio radio inviato alle 20.40 da Malta ai ricognitori YU3Y e 86KK, con l’ordine di cambiare rotta e cercare 30 miglia più ad est delle posizioni assegnate. Il messaggio è codificato col sistema SYKO, che i decrittatori del SIS sono riusciti a decifrare; inoltre, rilevazioni radiogoniometriche permettono di localizzare i ricognitori britannici (a 150 miglia per 350° da Bengasi l’uno, a 90 miglia per 350° da Bengasi l’altro). Alle 21.40, così, Supermarina invia al convoglio dell’Antares un messaggio PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) ed informa il capoconvoglio che i britannici conoscono la loro posizione: in tal modo, il capoconvoglio cambia rotta.
La Pegaso rileva all’ecogoniometro un sommergibile nemico e lo attacca con intenso lancio di bombe di profondità, ritenendo di averlo affondato, ma in realtà non è stato colpito nulla (è possibile che il sommergibile stesso fosse solo un falso contatto).
3 luglio 1942
Nonostante il cambiamento di rotta, alle 3.30 il ricognitore H3TL riesce a trovare il convoglio, e lo comunica per radio a Malta. Di nuovo, però, il SIS intercetta e decifra il messaggio, e nel giro di mezz’ora Supermarina invia un nuovo avvertimento al convoglio, che cambia di nuovo rotta. La mattina ed il pomeriggio il convoglio procede senza incontrare forze britanniche.
Alle 15.13 ed alle 16.13, però, il SIS intercetta nuovi messaggi in codice britannici, e scopre che da Malta sono decollati otto aerosiluranti Bristol Beaufort.
Infatti il convoglio è stato avvistato da ricognitori nel pomeriggio, ed alle 18.30 sono decollati per attaccarlo otto aerosiluranti Bristol Beaufort, scortati da cinque caccia Bristol Beaufighteer; due degli aerei, però, non sono riusciti a decollare, ed altri due sono stati costretti a tornare indietro poco dopo il decollo. I rimanenti attaccano il convoglio alle 20.10, da est, provenendo dalla direzione opposta del crepuscolo e delle navi della scorta. Due aerei attaccano il mercantile al centro (la Bixio), altri due il mercantile di coda; questi ultimi due vengono abbattuti dal tiro contraereo della scorta (per altra fonte i Beaufort attaccanti erano sei, di cui tre abbattuti). Nonostante la coordinazione con i Beaufighters, che mitragliano le navi per contrastare il loro tiro contraereo, l’attacco britannico fallisce completamente: nessuna nave è colpita.
(Secondo una fonte, sempre in serata il convoglio viene attaccato da tre aerosiluranti Vickers Wellington, guidati da un Wellington VIII dotato di radar ASV – Air to Surface Vessel, per l’individuazione delle navi da parte di un aereo –, ma anche in questo caso non vengono subiti danni. È però probabile una confusione col successivo attacco di Wellington del 4 luglio).
4 luglio 1942
Alle 00.18 ed alle 00.42 il ricognitore N1KL invia due segnali di scoperta del convoglio, seguiti all’una di notte da un terzo segnale, lanciato dal ricognitore ZZ7P. Sono decollati da Malta cinque velivoli Vickers Wellington, due dei quali armati con siluri e tre con bombe da 227 kg: la scorta del convoglio, però, occulta i mercantili con cortine fumogene, e gli attaccanti devono sganciare bombe e siluri pressoché a caso, senza riuscire a vedere i bersagli. Nessuna bomba o siluro va a segno.
Nella mattinata del 4 luglio, nuovo attacco: stavolta da parte di tre Wellington e tre bombardieri quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator”, tutti della Royal Air Force, decollati dall’Egitto. I Wellington non riescono a trovare il convoglio; i B-24 invece sì, ma le loro bombe non vanno a segno.
Alle 10.30 ed alle 14.15 (quando l’Ankara viene mancata da quelli che sembrano dei siluri) il convoglio viene attaccato da sommergibili (ma è probabile che si sia trattato di falsi allarmi).
Il britannico Turbulent (capitano di fregata John Wallace Linton) avvista le alberature e poi le navi italiane alle 11.10, in posizione 33°30’ N e 20°30’ E (un’ottantina di miglia a nord di Bengasi), ma viene localizzato dal sonar della Pegaso alle 11.41, venendo costretto ad interrompere l’attacco, e subisce poi una caccia antisom che inizia alle 11.48: la prima scarica di 6 bombe di profondità, lanciata in posizione 33°28’ N e 20°28’ E, esplode molto vicina ma causa soltanto danni minori; successivamente vengono gettate molte altre bombe di profondità, che però esplodono più lontane. Da parte italiana si ritiene, erroneamente, di avere affondato il sommergibile; comunque, l’attacco è sventato.
Il convoglio giunge indenne a Bengasi alle 18.45.
Subito (leggera discrepanza negli orari: 18.15 è indicato come l’ora di partenza) l’Antares riparte per scortare a Brindisi, insieme alle torpediniere CastorePolluce e Pegaso, la motonave Rosolino Pilo. Alle 19 queste navi si uniscono alle motonavi Sestriere e Vettor Pisani, scortate dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e dalle torpediniere Lince e Calatafimi, e formano un unico grande convoglio, l’«M», con il Da Recco come caposcorta.
5 luglio 1942
Alle 7 si unisce alla scorta la torpediniera Sagittario, ed alle 8.30 si aggrega anche il Da Verrazzano, che però se ne va dopo tre ore.
Alle 24 anche la Polluce lascia il convoglio per dirigere su Patrasso, come da ordini in precedenza ricevuti.
6 luglio 1942
Alle 5.30 anche la Sagittario lascia il convoglio per raggiungere Taranto, in base a disposizioni prestabilite. Il convoglio raggiunge Brindisi alle 14.
23 luglio 1942
Alle 12.30 (o 13) l’Antares parte da Taranto scortando la motonave Vettor Pisani (comandante civile capitano di lungo corso Cesare, comandante militare tenente di vascello Mancini) diretta a Tobruk con un carico di 2052 tonnellate di carburante e lubrificanti, 503 tonnellate di materiale vario, 48 tonnellate di alcool, 165 tra automezzi e rimorchi, cinque carri armati ed un motoscafo.
I britannici sono al corrente del viaggio: le decrittazioni di “ULTRA” hanno rivelato lo stesso 23 luglio che la Pisani partirà da Taranto quel giorno, a mezzogiorno, scortata dall’Antares, procedendo a 14 nodi, per raggiungere Navarino alle 18 del 24 e poi da lì ripartire alle 6.30 del 25 alla volta di Tobruk, con arrivo previsto per le 8 del 26.
Verso le 18, al traverso di Santa Maria di Leuca, l’Antares viene sostituita dalle torpediniere Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke, che divenne caposcorta) e Calliope, inviate da Brindisi, dopo di che inverte la rotta per rientrare a Taranto. La Vettor Pisani verrà successivamente attaccata ed incendiata da aerosiluranti, pur riuscendo ad evitare l’affondamento; sarà portata ad incagliare a Cefalonia.
28 luglio 1942
L’Antares scorta da Taranto a Patrasso i piroscafi Daniele Bianchi e Goffredo Mameli.
31 luglio 1942
Antares e Brindisi scortano da Patrasso a Taranto i piroscafi cisterna Alberto Fassio Sanandrea.
7 agosto 1942
Antares ed Aretusa scortano da Taranto al Pireo il piroscafo Fougier e la nave cisterna Sanandrea.
10 agosto 1942
L’Antares scorta da Patrasso a Valona il piroscafo Re Alessandro.
17-18 agosto 1942
L’Antares, il cacciatorpediniere Folgore e la torpediniera Calliope (quest’ultima unitasi alle 16.30 del 17 dopo un rastrello antisommergibili nelle acque di Capo Dukato) scortano la motonave Unione dall’Italia a Patrasso, dove arrivano il mattino del 18. [notizia di fonte incerta]
21 agosto 1942
Scorta la Sanandrea da Patrasso a Corfù. Qui la Sanandrea imbarca il carico della nave cisterna Poza Rica, danneggiata da aerosiluranti durante la navigazione in convoglio da Messina a Bengasi e portata ad incagliare sulla costa corfiota.
30 agosto 1942
Alle 5.50 l’Antares (capitano di corvetta Antonio Biondo) salpa da Taranto, uscendo dal Mar Grande, per scortare a Tobruk, con scali al Pireo ed a Suda, la nave cisterna Sanandrea, carica di 3959 tonnellate di benzina. In aggiunta alla protezione fornita dall’Antares, c’è una scorta aerea rappresentata da un idrovolante antisommergibile CANT Z. 501 (che vola a proravia del convoglio, sulla dritta, in funzione antisommergibili), da due bimotori Caproni CA. 314 (che devono difendere il convoglio da eventuali attacchi di aerosiluranti), da un idrovolante antisommergibili Arado (tedesco), da due o tre bombardieri Junkers Ju 88 della Luftwaffe (impiegati però come caccia pesanti) e da tre (per altra fonte otto) caccia italiani Macchi C. 200.
L’Antares e la Sanandrea, che la segue in linea di fila, superano le ostruzioni di Taranto alle 6.06 del 30 agosto, imboccando poi le rotte di sicurezza orientali. Alle 8.10 il convoglietto è al traverso di Torre Ovo.
Le due navi seguono rotte costiere radenti la costa pugliese tra le secche di Torre San Giovanni di Ugento e Capo Santa Maria di Leuca. La Sanandrea procede alla velocità di nove nodi su rotta vera 100°, mentre l’Antares zigzaga a 12 nodi (l’angolo dello zig zag è di circa 60° sulla direttrice di marcia) tenendosi mediamente 30° di prora a dritta della cisterna, sul lato esterno, ad una distanza di 1200 metri. Il mare è piatto, il sole picchia alto nel cielo.
I servizi sono a conoscenza della prevista partenza della Sanandrea per la Libia: i messaggi relativi al viaggio, inviati con la macchina cifrante C-38 M, sono stati intercettati e decifrati dall’organizzazione britannica “ULTRA”, che ha poi inviato ai comandi britannici ben sei dispacci circa la Sanandrea, uno dei quali, inviato alle 21.38 del 29 agosto, precisa rotta ed orari previsti. Già dal 28 i britannici sanno che la Sanandrea sta caricando carburante a Taranto, e che il suo arrivo a Tobruk è previsto per il 3 settembre. Viene così ordinato un attacco di aerosiluranti, per impedire che la cisterna, con il suo prezioso carico, possa raggiungere la sua destinazione.
Lo stesso 30 agosto, in mattinata, un ricognitore britannico raggiunge il convoglio, e completa il lavoro di “ULTRA” appurando la precisa consistenza della scorta aerea e navale. Poi, alle 11.45, decollano da Malta nove aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron al comando del maggiore (Squadron Leader) R. Patrick Gibbs, scortati da nove caccia Bristol Beaufighter (cinque dei quali muniti di bombe per attaccare a loro volta la nave) al comando di D. Ross Shore. Tre dei Beaufighter sono però colpiti da avarie ai motori, e sono così costretti al rientro. Patrick “Pat” Gibbs, il comandante dei Beaufort, prima del decollo ha studiato il rapporto del ricognitore: dato che l’Antares (identificata come un cacciatorpediniere) protegge il lato della Sanandrea rivolto verso il mare, gli aerei dovranno attaccare dal lato opposto, provenendo da terra. Gli aerei dovranno compiere un largo giro, sorvolando la terraferma a due miglia di quota, per poi tornare verso il mare ed attaccare.
Alle 14.15, quando il convoglio italiano si trova ad un miglio per 214° da Torre Vado (cinque miglia a ponente di Leuca, e precisamente nel punto 39°48’ N e 18°14’ E), da bordo delle navi vengono avvistati nella lieve foschia, verso sud, degli aerei sospetti in numero inizialmente difficile da stabilire. L’Antares li avvista quando sono a circa 7-8 km di distanza, sulla dritta; volano a bassissima quota, piuttosto distanti l’uno dall’altro, seguendo una rotta verso sudest, e la leggera foschia sull’orizzonte rende difficile capire che tipo di aerei siano. Nella medesima direzione, ma a quota maggiore, sono visibili anche due aerei tedeschi (identificati nel rapporto dell’Antares come caccia “tipo Arado”) che seguono la stessa rotta degli aerei sconosciuti: la presenza degli aerei della Luftwaffe induce il comandante Biondo a ritenere che i velivoli avvistati per primi siano nemici, intercettati ed inseguiti da quelli tedeschi. Poco dopo, infatti, gli aerei sconosciuti vengono identificati come caccia britannici Bristol Beaufighter, almeno dodici, che procedono verso est bassissimi sul mare. Viene dato l’allarme, ed i caccia italiani e tedeschi (questi ultimi volano a quota più alta degli aerei nemici, mentre i caccia italiani volano a quota ancora maggiore di quelli tedeschi) dirigono contro la formazione di Beaufighter per attaccarla. Il comandante Biondo vede un Arado tedesco ingaggiare gli attaccanti, altri membri dell’equipaggio vedono i caccia italiani fare lo stesso. I piloti britannici vedono sul cielo del convoglio tre Macchi MC 200 e tre Ju 88, che volano a quota intermedia, nonché un idrovolante Arado ed un CANT Z. 501B impegnati nel loro compito antisommergibili.
Contemporaneamente, alle 14.16, il piccolo convoglio viene attaccato da bombardieri nemici, provenienti da sud. Sotto l’attacco dei caccia tedeschi, i Beaufighter si aprono a ventaglio; parte di essi si allontanano, gli altri si avvicinano al convoglio. Gli aerei conducono l’attacco individualmente, da una distanza di un migliaio di metri; avvicinandosi alla Sanandrea, salgono gradualmente di quota fino a circa 200 metri, lanciano le bombe e poi si allontanano verso ovest.
Sulle prime l’Antares, dato che gli aerei britannici si mescolano a quelli italiani e tedeschi, non apre il fuoco per non colpire i velivoli amici (per altra versione, prima iniziò il tiro, ma poco dopo lo sospese per non colpire i due idrovolanti della scorta); poi, quando le distanze si sono di molto ridotte, la torpediniera deve aprire ugualmente il fuoco, dapprima con i cannoni da 100 mm dell’armamento principale, che tuttavia, a causa della rapidità dell’avvicinamento degli aerei, cessano subito il fuoco e vengono rimpiazzati dal tiro dalle mitragliere. Il tiro dell’Antares, che è possibile soltanto nelle zone “libere” da aerei amici nonché nella fase di allontanamento, viene giudicato dal comandante Biondo «a distanza utile, preciso ed efficace» (ma con la precisazione che «si ritiene però che il munizionamento sia troppo sensibile e di conseguenza poco efficace contro aerei parzialmente protetti»), e da bordo della torpediniera si ritiene di aver colpito tutti e quattro gli aerei che stanno attaccando la Sanandrea, dei quali il secondo ha un principio d’incendio a bordo ed abbandona l’attacco. Dovendo fare fuoco sugli aerei che stanno attaccando la nave cisterna, l’Antares non può sparare contro quelli che stanno invece attaccando lei, e viene mitragliata da due Beaufighter che ne spazzano il ponte con preciso tiro di mitragliera provenendo da due direzioni diverse, subendo pochi danni ma lamentando 18 feriti tra l’equipaggio. Ciò indurrà il comandante Biondo a proporre, nel suo rapporto, di destinare la mitragliera centrale da 20/65 mm e le due mitragliere da 8 mm al solo ruolo di difesa ravvicinata della torpediniera.
Anche la Sanandrea apre il fuoco con le proprie mitragliere da 20 mm contro gli aerei attaccanti, ma un altro Beaufighter mitraglia il ponte della petroliera, poi altri tre sganciano ognuno due bombe da 250 libbre, che tuttavia finiscono in mare. Un quarto Beaufighter, pilotato dal tenente Dallas W. Schmidt, mette invece a segno le sue due bombe da 250 libbre sulla petroliera.
Nel frattempo i Macchi C. 200 e gli Ju 88 hanno attaccato i Beaufort, perciò i Beaufighter interrompono l’attacco e tornano indietro per difendere gli aerosiluranti; nella conseguente battaglia aerea vengono danneggiati un Beaufort e tre Beaufighter (per parte loro, i piloti britannici rivendicano l’abbattimento di un Macchi C. 200 e quello ‘probabile’ di due Ju 88, ed il danneggiamento di un altro Ju 88 e del CANT Z. 501), ma altri quattro Beaufort riescono a portarsi all’attacco ed a lanciare i loro siluri.
Da bordo dell’Antares, vengono distinti quattro aerei che attaccano la Sanandrea: il primo sgancia le bombe a poppa dritta della petroliera, e viene colpito, prima di sganciare le bombe, dal tiro delle mitragliere della torpediniera. Il secondo, probabilmente già danneggiato dalla caccia aerea mentre si avvicinava al suo bersaglio, viene colpito ancora dal tiro delle armi di bordo, prende fuoco e, prima di compiere il lancio, scivola d’ala a circa trenta metri dalla superficie del mare, ma poi si riprende e si allontana verso ovest, in fiamme. Il successivo avvistamento di una colonna di fumo bianco verso ovest induce Biondo a ritenere che questo aereo sia successivamente precipitato in mare, fuori vista rispetto all’Antares. Il terzo ed il quarto attaccano più o meno contemporaneamente, colpendo ed incendiando la Sanandrea; l’Antares ritiene di aver colpito anche questi due aerei. Oltre a sganciare le bombe, tutti gli aerei che attaccano la Sanandrea la mitragliano al contempo.
Da fonti britanniche, risulta che ad ottenere il centro decisivo sarebbe uno dei quattro Beaufort che riuscirono a lanciare i propri siluri, e precisamente quello pilotato dal maggiore Gibbs. Sebbene già danneggiato, l’aereo di Gibbs scende basso sul mare, si avvicina al suo bersaglio sino a riuscire addirittura a leggere il suo nome ed a quel punto, da 460 metri, sgancia l’arma, per poi riprendere quota mancando per un soffio l’albero della cisterna. Dopo una brevissima corsa il siluro colpisce la Sanandrea e la cisterna esplode in una palla di fuoco e di fumo, proiettando rottami in aria e venendo immediatamente avvolta dalle fiamme scatenate dall’incendio di quasi quattromila tonnellate di carburante.
Ciò avviene alle 14.19, quando il convoglietto si trova a 5 miglia per 270° da Capo Santa Maria di Leuca.
Pochi secondi dopo che la Sanandrea è stata colpita, due aerei attaccano e mitragliano anche l’Antares con abbondanti raffiche di mitragliatrice da 7,7 mm e da 20 mm: uno dei due velivoli conduce l’attacco a bassa quota sul lato di dritta, e l’altro, quasi simultaneamente, fa lo stesso sul lato sinistro, entrambi provenienti da poppa. Nell’attacco diversi uomini dell’Antares rimangono feriti; l’aereo che ha attaccato sul lato di dritta, allontanandosi, mitraglia anche il CANT Z. 501, il quale risponde al fuoco e cerca vanamente di inseguirlo. Colpi di mitragliatrice sforacchiano qua e là lo scafo, le sovrastrutture, i complessi da 100/47 mm e la mitragliera centrale dell’Antares, senza comunque causare danni di rilievo.
Concluso l’attacco, alle 14.20, i velivoli nemici si allontanano inseguiti dai tre Macchi 200; anche l’Antares tira qualche altra cannonata nella loro direzione.
L’Antares comunica l’accaduto a Marina Taranto, e richiede l’invio sul posto di un aereo di soccorso, avendo alcuni feriti gravi tra l’equipaggio. Nel corso dell’attacco la torpediniera ha sparato in tutto tre colpi di cannone da 100 mm (uno per ciascun cannone) e 525 proiettili di mitragliera da 20 mm.
Sebbene incendiata, la Sanandrea non si ferma dopo il siluramento: le sue macchine rimangono in moto e, col timone alla banda a sinistra, la petroliera senza più controllo gira in tondo per tre ore, continuando a perdere carburante che s’incendia poi sulla superficie del mare. Purtroppo, molti naufraghi non riescono a uscire dalla zona in cui si è scatenato l’incendio, e la presenza della nave in fiamme che continua a girare e perdere benzina ostacola i tentativi di soccorso.
Alle 14.25 l’Antares cerca di avvicinarsi alla Sanandrea, per quanto lo permette il rischio rappresentato dalle continue esplosioni di barili di benzina e munizioni delle mitragliere che si verificano a bordo della cisterna in fiamme. Alle 14.40 la torpediniera mette a mare una lancia e la manda verso la pirocisterna, con il compito di salvare i naufraghi; alle 14.47 giunge sottobordo all’Antares il dragamine ausiliario (peschereccio requisito) R 54 Luigi II, proveniente da Gallipoli, il cui comandante ha visto a distanza l’incendio della Sanandrea ed ha preso l’iniziativa di dirigersi sul posto per partecipare ai soccorsi, mettendosi a disposizione del comandante dell’Antares. Questi gli ordina di avvicinarsi alla Sanandrea, trasbordare i naufraghi recuperati dalla lancia e portarli sulla torpediniera. Così viene fatto: l’R 54 preleva dalla lancia i naufraghi recuperati fino a quel momento – soltanto quattro, tutti feriti – e li trasborda sull’Antares alle 15.25. Torna poi verso la Sanandrea e prende a bordo altri due naufraghi feriti ed un terzo già morto, che vengono trasferiti sull’Antares alle 16.04.
Questi sei uomini, che la lancia dell’Antares è faticosamente riuscita a salvare lottando contro l’incendio che arde sul mare, sono gli unici sopravvissuti dei 55 uomini che formavano l’equipaggio della Sanandrea. Sono quasi tutti ustionati, e due di essi moriranno a bordo dell’Antares prima di arrivare in porto.
Alle 16.23 arriva sul posto il rimorchiatore Talamone, che stava rimorchiando una semovente verso Gallipoli quando ha avvistato la petroliera in fiamme, e si è a sua volta diretto sul posto per essere di aiuto, dopo aver mollato il rimorchio della semovente ed averle impartito gli ordini necessari per proseguire la navigazione. L’Antares gli ordina di avvicinarsi alla nave cisterna per cercare altri naufraghi: cosa che fa, ma senza riuscire a trovare alcun altro sopravvissuto. Alle 16.33 passa sul posto il piroscafo Rubicone, ed un minuto dopo arriva sul posto l’idrovolante di soccorso richiesto dall’Antares due ore prima; sorvola la Sanandrea e la zona di mare tutt’attorno ad essa, poi si allontana verso ovest, senza passare vicino all’Antares e senza vedere così il suo segnale di ammarare nei pressi, fatto con il telesegnalatore.
Alle 17.15 le macchine della Sanandrea, finalmente, si fermano, ma ormai non c’è molto da fare. Un minuto più tardi, l’idrovolante CANT Z. 506 n. 171/2, che a differenza dell’aereo di soccorso ha sorvolato la torpediniera e visto il segnale, ammara sottocosta (dove l’acqua è abbastanza calma da permettere tale manovra) con rapida manovra, sulla dritta dell’Antares, e si avvicina alla torpediniera, che a sua volta dirige verso la costa per agevolare la manovra. L’Antares trasferisce quindi sull’aereo, con la massima celerità possibile, i due feriti più gravi: il sergente silurista Federico Cuccioli (26 anni, da Minturno), dell’Antares, ed un naufrago della Sanandrea, il primo macchinista Antonio Zuccaroni.
Da Taranto (per altra fonte, Gallipoli) vengono inviati sul posto il rimorchiatore Tenace ed il piroscafetto F 89 Istria I, una navicella costiera requisita come vedetta foranea, pilotina e nave scorta ausiliaria. Arriva per primo sul posto l’Istria I, cui l’Antares ordina di aspettare che l’incendio della Sanandrea si estingua per poi cercare di prendere a rimorchio la pirocisterna insieme al Tenace, che si sta anch’esso dirigendo verso il luogo dell’attacco. Alle 17.36 la torpediniera ordina invece all’altro rimorchiatore, il Talamone, di tornare verso la semovente che stava prima rimorchiando – e che ha lasciato per accorrere sul posto – e di riprendere la navigazione.
Alle 17.52 il CANT Z. 506, avendo imbarcato Cuccioli e Zuccaroni, decolla e si allontana; otto minuti dopo riappare l’aereo di soccorso, che torna a sorvolare la zona e poi si allontana verso est.
Alle 18.08 la stazione semaforica di Santa Maria di Leuca segnala all’Antares che Marina Taranto ordina di rientrare. Alle 18.40 la Sanandrea è quasi completamente sommersa: sembra spezzata in due a centro nave, e affiorano dal mare soltanto le sovrastrutture prodiere e poppiere, che continuano a bruciare. Il mare, in quel punto, è profondo soltanto 26 metri.
Essendo ormai evidente che non è più possibile tentare un rimorchio, l’Antares ordina all’Istria I di rientrare a Gallipoli. Alle 18.55 l’Antares lascia finalmente il posto facendo rotta per Taranto, ed alle 19.20 s’imbatte nel Tenace, cui ordina di raggiungere Gallipoli, dove gli verranno comunicate per semaforo ulteriori istruzioni da Marina Taranto. Alle 21.40 l’Antares è al traverso di Torre Ovo, alle 22.46 supera le ostruzioni di Taranto ed alle 23.20 si ormeggia alla banchina torpediniere, sbarcando alle 23.45 i feriti e le salme dei tre naufraghi della Sanandrea deceduti dopo il recupero (secondo una fonte, ci sarebbero state delle vittime anche tra l’equipaggio dell’Antares, ma ciò non risulta dal rapporto del comandante Biondo).
A conclusione del suo rapporto il comandante Biondo osserverà: «Durante le operazioni di salvataggio l’armamento della lancia si è particolarmente distinto perché, malgrado la presenza dell’incendio che ostacolava le operazioni, con sprezzo del pericolo e con rischio personale, riusciva a trarre in salvo i superstiti. Il comportamento dello Stato Maggiore e dell’Equipaggio della torpediniera può definirsi sereno, calmo ed ammirevole sia durante la fase di attacco e mitragliamento che ha provocato diciotto feriti, sia nella fase successiva di assistenza ai feriti ed ai naufraghi della cisterna Sanandrea. Ritengo doveroso segnalare a codesto Comando in Capo, che al momento dello sbarco i feriti ed in particolar modo quelli più gravi, hanno voluto domandare al Comandante il numero degli aerei abbattuti durante l’azione bellica ed hanno voluto esprimere il desiderio di ritornare al più presto a bordo».
Il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Oberdan Barsotti, verrà decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: “Direttore di macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, durante un attacco di bombardieri nemici che mitragliavano l’unità, provocando numerosi feriti, coadiuvava con prontezza e perizia professionale il comandante nella manovra di difesa, mantenendo in piena efficienza l’apparato motore e contribuendo efficacemente a sventare l’insidia nemica. Si prodigava in seguito nell’apportare le prime cure ai feriti, dimostrando belle doti militari ed elevato senso del dovere”. Il comandante Biondo (nato a Maglie il 23 dicembre 1906) riceverà analoga decorazione, con motivazione: “Comandante di torpediniera, di scorta a convoglio, durante un attacco di numerosi bombardieri nemici, che mitragliavano l’unità, provocando numerosi feriti fra l equipaggio, dirigeva con serenità e noncuranza del pericolo la manovra e la reazione della nave il cui fuoco danneggiava quattro degli aerei attaccanti. Successivamente, nel generoso tentativo di salvare il maggior numero possibile di vite umane, dopo essersi avvicinato con la propria nave ad una cisterna in fiamme, cooperava a dirigere con decisione e perizia l’opera di altri mezzi sopraggiunti per le operazioni di salvataggio”.
Il sergente Giovanni Munari ha così descritto, in una lettera inviata molti anni più tardi all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, l’attacco in cui fu affondata la Sanandrea: “Il 30 agosto 1942 l’Antares, la sola nave senza copertura aerea di scorta [evidentemente in errore su questo punto, e su qualche altro particolare, come spesso accade trattandosi di ricordi risalenti a decenni prima] alla petroliera Sant’Andrea da Taranto a Bengasi, alle ore 13-attaccati da un susseguirsi di aerosiluranti, bombardieri e caccia per la durata di 22 minuti, al ventesimo minuto la petroliera colpita da bombe e siluro esplodeva in una palla di fuoco e continuando a girare intorno a sé stessa, seminava il liquido infiammato sul mare, che per un raggio di 5/600 metri il mare era un mare di fuoco, e dentro quel fuoco vedevamo gettarsi i marinai della petroliera. Finito il bombardamento il Comandante Antonio Biondo faceva mettere a mare una lancia che comandata dal Sergente Nocchiere Canu si avventurava fra le fiamme in cerca di naufraghi, raccoglieva 6 persone talmente ustionate che un’ora dopo erano tutti morti. Sull’Antares si contavano 18 feriti dai mitragliamenti, 6 molto gravi che morivano prima che ritornassimo a Taranto. In quell’attacco l’Antares abbatteva 7 aerei visti cadere e 3 si allontanavano in fumo che saranno stati fortunati se hanno raggiunto la base”.

Il rapporto del comandante dell’Antares relativo alla missione di scorta in cui venne affondata la Sanandrea (Ufficio Storico della Marina Militare, via Fabrizio Colucci):








25 settembre 1942
Scorta da Prevesa a Taranto la nave cisterna Alfredo.
4 ottobre 1942
L’Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone) salpa alle 24 da Bengasi insieme ai cacciatorpediniere Folgore (capitano di corvetta Renato D’Elia) e Nicolò Zeno (capitano di fregata Roberto Lo Schiavo), scortando la motonave Sestriere (carica di 3030 tonnellate di carburante, 1060 tonnellate di altri materiali, 70 tonnellate di munizioni, 28 carri armati e 144 veicoli) diretta a Bengasi.
5 ottobre 1942
Alle 6.25 la scorta viene rafforzata dall’arrivo dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), che diviene caposcorta, Saetta (capitano di corvetta Enea Picchio) e Camicia Nera (capitano di fregata Adriano Foscari), provenienti da Corfù. Per meglio godere della protezione della caccia aerea (la scorta aera sarà pressoché ininterrotta fino alla sera del 6), fino all’altezza di Creta il convoglio si mantiene vicino alla costa greca.
6 ottobre 1942
Alle 5.20 Zeno e Camicia Nera lasciano il convoglio e raggiungono Navarino.
Alle 10 Supermarina avverte il caposcorta che alle 8.15 il convoglio è stato avvistato da ricognitori, una trentina miglia ad est di Cerigotto. Tra le 12 e le 16 un piovasco e poi un banco di densa foschia danno ulteriore “protezione” al convoglio, privandolo però della scorta aerea.
Alle 17.40, trenta miglia ad ovest di Cerigotto, la Sestriere avvista aerei sospetti alla sinistra – sono quattro bombardieri quadrimotori, che volano ad alta quota in direzione del convoglio – e viene dato l’allarme aereo. La scorta aerea è costituita in questo momento da tre bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 e da altrettanti caccia Messerschmitt Me 111 della Luftwaffe.
Le navi della scorta aprono il fuoco con le mitragliere, ma alle 17.46 il tiro viene cessato perché inutile – gli aerei nemici volano troppo alti, oltre la portata delle armi di bordo – e superfluo – la scorta aerea sta passando al contrattacco. Uno degli aerei nemici è abbattuto da un caccia tedesco, gli altri tre attaccano alle 17.48; le loro bombe mancano di poco la Sestriere ed il Pigafetta, ma non ci sono danni. Inseguiti dai caccia tedeschi, i bombardieri si ritirano verso est, mentre alle 18 il convoglio può tornare ad assumere rotta e formazione originaria. Mezz’ora dopo gli aerei di scorta se ne vanno.
7 ottobre 1942
Il convoglio giunge a Bengasi alle 11.30, senza aver avuto altri problemi.
8 ottobre 1942
Alle 5.40 l’Antares ed il cacciatorpediniere Saetta, in trasferimento da Bengasi a Tobruk, arrivano sul luogo del siluramento del piroscafo Dandolo, colpito da aerosiluranti alcune ore prima durante la navigazione da Suda a Tobruk. La torpediniera Giacomo Medici (tenente di vascello di complemento Antonio Furlan) sta cercando di rimorchiare il Dandolo, ma ogni sforzo è vano; alle 6.36 il piroscafo affonda e le siluranti ne recuperano l’equipaggio (non ci sono vittime), dopo di che dirigono su Tobruk, dove arriveranno nel pomeriggio.

L’Antares durante una missione di scorta a convoglio (USMM)

Attacco aereo

Alle quattro del pomeriggio dell’11 ottobre 1942 l’Antares, al comando del capitano di corvetta Maurizio Ciccone, lasciò Tobruk insieme alla gemella Lupo (capitano di corvetta Carlo Zinchi) ed al cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Giuseppe Andriani), per scortare in Grecia uno strano convoglio composto dal cacciatorpediniere Saetta (capitano di corvetta Enea Picchio) che rimorchiava lo scafo dell’ex sommergibile Domenico Millelire, trasformato in cisterna galleggiante per trasporto nafta con denominazione G.R. 248, e dalla motonave Col di Lana. Saetta e Millelire/G.R. 248 erano diretti a Navarino, mentre la Col di Lana aveva come destinazione Salonicco.
La sosta a Tobruk dall’8 all’11 ottobre era stata tutt’altro che tranquilla: quasi continuamente il porto era stato sotto attacco aereo, a volte da parte di gruppi di velivoli che bombardavano le installazioni portuali e le navi ormeggiate, a volte da parte di un unico aereo con funzioni più che altro di disturbo.
Sull’Antares il sergente meccanico Giovanni Munari, milanese, 23 anni, era in servizio in sala caldaie: fu avvicendato alle otto di sera dal sottocapo meccanico Bruno Tozzi, e dopo aver cenato andò in segreteria macchine, dove doveva restare a disposizione del direttore di macchina quando non era in servizio in sala macchine o in caldaia. Il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Oberdan Barsotti, era in segreteria e stava discutendo alcuni lavori da compiere all’arrivo a Taranto – sempre che il continuo servizio di scorta, che lasciava ben poco tempo per soste e turni di lavori, lo permettesse – con i sottufficiali di macchina: il secondo capo meccanico Francesco Ascolese, il capo meccanico di seconda classe Guglielmo Giannino ed il capo motorista di seconda classe Romeo Tippolotti.
Alle undici di sera Munari uscì in coperta per fare un giro, e notò dei bagliori in lontananza, verso sud, a tratti bianchi ed a tratti rossi. Chiamò il direttore Barsotti, glieli mostò; l’ufficiale rispose che si trattava di un bombardamento aereo su Tobruk. A mezzanotte, Munari scese nel locale caldaie numero 2, per disimpegnare il secondo turno di guardia.

Tra le 00.00 e l’1.40 del 12 ottobre, una settantina di miglia a nord di Tobruk, il convoglio venne attaccato da bombardieri. L’Antares accelerò ed iniziò a girare intorno al convoglio, emettendo cortine fumogene per occultare i mercantili; ma verso l’una di notte fu proprio la torpediniera ad essere colpita in pieno da alcune bombe, subendo gravissimi danni e pesanti perdite tra l’equipaggio. Trentuno uomini rimasero uccisi (3 ufficiali, 4 sottufficiali e 24 tra sottocapi e marinai), altri 37 furono feriti: praticamente metà dell’equipaggio, tra cui quasi tutto il personale di macchina, fu messo fuori combattimento. Anche in plancia ci furono morti e feriti: il comandante Ciccone fu ferito ad un occhio dalle schegge, mentre il timoniere di guardia, Carmelo Colombo, ebbe una gamba tranciata e l’altra gravemente lacerata. Morì poco dopo.
Altri uomini, che si trovavano in coperta – i nocchieri Giuseppe Fede e Ferdinando Aversano, i cannonieri Virginio Cattaneo ed Antonio Cernaz, il marinaio Dante Tiozzo, il silurista Emilio Pagnacco ed il torpediniere Giovanni Cardiello – furono feriti dalle esplosioni e gettati in mare dallo spostamento d’aria. Non vennero mai più ritrovati.
Il sergente Munari, al momento dell’attacco, si trovava ancora in caldaia numero 2: poco prima che la bomba colpisse (erano le 00.50) aveva ricevuto ordine di aprire la valvola della nafta per i fumogeni; il direttore Barsotti disse a Munari che il mare tutt’intorno era illuminato a giorno. Alle 00.59 venne sentito un forte colpo che parve provenire da sotto lo scafo, e tutta la nave sbandò fortemente sulla sinistra, arrestandosi. I bruciatori delle caldaie erano accese, ma la pressione in caldaia precipitò: Munari tolse il tappo del tubo portavoce per mettersi in contatto con il locale caldaia numero 1, ma ne uscì un getto di vapore. Evidentemente la caldaia uno era stata colpita: di conseguenza, Munari interruppe la comunicazione del vapore tra le due caldaie, ed in breve la caduta della pressione della caldaia 2 si arrestò, e a poco a poco iniziò a risalire, fino a tornare alla pressione di regime. Il sergente tentò di mettersi in comunicazione con la sala macchine prodiera, con la segreteria macchine e con la plancia, ma non rispose nessuno; intanto i fuochisti, temendo che la nave stesse per affondare, chiedevano di lasciare il locale. Munari decise di mandare uno dei fuochisti, Ceresoli, in coperta, per cercare il direttore di macchina od un qualsiasi altro ufficiale al quale chiedere ordini.
Ceresoli trovò la coperta cosparsa di morti e feriti; giunto a poppa, vi trovò il comandante in seconda, tenente di vascello Claudio Scarpato, che gli ordinò di dire a Munari di spegnere la caldaia, scaricare la pressione e poi raggiungerlo a poppa. Ceresoli tornò dunque da Munari – erano trascorsi sette od otto minuti – e gli riferì quanto ordinato; il sergente eseguì le istruzioni ricevute e poi andò a poppa, scavalcando i morti e i feriti disseminati lungo la strada, vedendo che sul lato sinistro il mare già lambiva la coperta dell’Antares per 10 o 15 centimetri. A poppa, Munari trovò Scarpato insieme a cinque o sei marinai, aggrappati alle draglie per non scivolare a causa del forte sbandamento. Scarpato disse a Munari che lui era l’unico sottufficiale di macchina rimasto illeso: il direttore Barsotti era morto, capo Tipotti, capo Giannini e capo Ascolese erano morti, gli altri due sottufficiali di macchina erano gravemente feriti; restava solo lui per scendere nel locale timone e portare in posizione centrale il timone, rimasto alla banda. Era l’unica speranza per poter raddrizzare la nave. Il tentativo si presentava rischiosissimo, dato che l’Antares poteva capovolgersi da un momento all’altro: per questo, Scarpato disse a Munari che il suo non era un ordine, ma una richiesta. Il giovane sergente ponderò brevemente la situazione: il rischio era di fare la fine del topo, ma se la nave fosse affondata non ci sarebbe stato scampo per i tanti feriti che giacevano ovunque, ed anche per gli illesi sarebbe stato tutt’altro che facile salvarsi. Si fece forza, e scese nel locale del timone. Con l’acqua alle ginocchia, disinserì la manovra meccanica del timone ed inserì quella a mano, dopo di che manovrando la ruota del timone lo riportò in posizione centrale. Eseguito il suo compito, Munari tornò in coperta, dove poté immediatamente constatare che qualcosa era già cambiato il meglio: l’Antares aveva ridotto di alcuni gradi il suo sbandamento, il mare non lambiva più la coperta. Il tenente di vascello Scarpato lo ringraziò e gli disse: “Io mi prendo cura dei feriti, e tu cerca di salvare la nave”. Insieme ad alcuni marinai, Munari prelevò una pompa azionata a mano che si trovava in un magazzino, la portò in coperta e la assemblò; dopo di che ordinò al sottocapo meccanico Michele Farella di prosciugare il locale dinamo insieme agli uomini presenti sul posto, mentre lui e Ceresoli andavano all’interno di quello stesso locale per tamponare due fori. Completato questo lavoro, Munari e Ceresoli si spostarono nel locale macchina prodiero, dove giaceva ancora il corpo esanime di capo Giannini. Qui c’erano altri tre fori, due dietro le pompe d’aria e di circolazione ed uno dietro le pompe dell’olio, che Munari e Ceresoli provvidero a tamponare, scottandosi ripetutamente nel farlo. Poi i due passarono nel locale macchina poppiero: qui trovarono il cadavere di capo Ascolese. Tamponarono altri due fori che si trovavano in quel locale; ormai era quasi l’alba. Farella e i suoi avevano fatto un buon lavoro: l’acqua era scesa sotto il livello del pagliolo, e Munari, dopo vari tentativi, riuscì a rimettere in funzione il generatore diesel, facendo così tornare la corrente elettrica. Andò allora nel locale macchine prodiero, dove c’era una pompa elettrica d’esaurimento, e la azionò; così fu possibile iniziare il prosciugamento dei locali allagati, mentre con le pompe di travaso – anch’esse azionate elettricamente – vennero travasate acqua e nafta dal lato sinistro a quello di dritto, riuscendo finalmente a riportare l’Antares in assetto di navigazione. Ciò ebbe anche l’effetto benefico di portare al di sopra del galleggiamento diversi fori da cui continuava ad entrare acqua nello scafo, afflusso che finalmente ebbe termine.
Il resto del convoglio, intanto, era proseguito (sia la Col di Lana che Saetta e Millelire raggiunsero regolarmente le rispettive destinazioni); intorno alle otto del mattino ammararono vicino all’Antares due idrovolanti tedeschi, su cui furono trasbordati otto dei feriti più gravi, e verso le quattro del pomeriggio apparve la Lupo, che era tornata a prestare assistenza alla gemella danneggiata. Vennero trasbordati sulla Lupo i feriti che non avevano potuto trovare posto sugli idrovolanti.
Munari fu molto critico del comportamento tenuto dal comandante Ciccone, il quale – a sua detta – dal momento dell’attacco aereo non era più stato visto, tanto che i più (Munari compreso) lo credevano morto. Munari lo rivide, ferito all’occhio sinistro, al momento del trasbordo dei feriti sulla Lupo; un tenente medico si diresse verso di lui, ma Munari ne richiamò rabbiosamente l’attenzione sul sottocapo meccanico Tozzi, ferito in modo molto più grave e quasi esanime, che lui stava portando in braccio. Il tenente gli disse allora di distenderlo su un materassino, lo esaminò e si rese conto che era ancora vivo. Tozzi sarebbe sopravvissuto.
(Il contrasto tra Munari e Ciccone avrebbe poi avuto strascichi che, secondo il primo, avrebbero comportato ripercussioni negative anche sull’iter per la decorazione al Valor Militare conferita a Munari per le sue azioni la notte del 12 ottobre, avviato dal comandante in seconda Scarpato. Si rimanda alla testimonianza di Munari, riportata in fondo alla pagina, evitando ogni commento sulla questione, dal momento che in fin dei conti si dispone della versione di una sola delle parti interessate).
Altri feriti vennero trasbordati; tra di essi Munari portò sulla Lupo un fuochista, Giovanni Caminiti, che aveva perso la vista a causa delle schegge di bombe che lo avevano colpito. Quando fu terminato il trasbordo, la Lupo prese a rimorchio l’Antares ed iniziò a trainarla in direzione di Suda. La navigazione a rimorchio fu molto travagliata: dopo circa un’ora il mare iniziò a guastarsi, provocando la rottura del cavo di rimorchio in canapa di Manila, che dovette essere sostituito con un altro in acciaio.

Lupo ed Antares, raggiunte dalla torpediniera di scorta Ciclone che era stata fatta appositamente partire dal Pireo per assumerne la scorta e fornire assistenza, giunsero a Suda alle 13 del 13 ottobre. L’Antares fu portata ad ormeggiare accanto alla nave officina Antonio Pacinotti; morti e feriti furono caricati su ambulanze italiane e tedesche. Il comandante Ciccone lasciò l’Antares quello stesso pomeriggio, in aereo, diretto in Italia, da dove sarebbe poi tornato a metà gennaio 1943. I morti – alcuni non furono mai trovati – vennero sepolti a Creta.

Le vittime tra l’equipaggio dell’Antares:

Francesco Altomonte, sergente S.D.T., deceduto
Francesco Anfosso, guardiamarina, deceduto
Fioravante Ascolese, secondo capo meccanico, deceduto
Ferdinando Aversano, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Baldi, sottocapo S.D.T., deceduto
Oberdan Barsotti, capitano del Genio Navale, deceduto
Leopoldo Bonivento, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Cardiello, marinaio torpediniere, disperso
Virginio Cattaneo, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Cernac/Cernaz, marinaio cannoniere, disperso
Carmelo Colombo, sottocapo nocchiere, deceduto
Mario Crisafi, tenente commissario, deceduto
Giancarlo De Antoni, sottocapo cannoniere, deceduto
Giuseppe Fede, marinaio nocchiere, disperso
Rino Fiorimonte, marinaio cannoniere, deceduto
Mario Flauto, marinaio, deceduto
Gino Fumagalli, marinaio elettricista, deceduto
Guglielmo Giannino, capo meccanico di seconda classe, deceduto
Carlo Guzzetti, sottocapo elettricista, deceduto
Francesco La Perna, marinaio cannoniere, deceduto
Fernando Liberatore, marinaio, deceduto
Erminio Meloni, marinaio fuochista, deceduto
Nazzareno Merlini, marinaio cannoniere, deceduto
Libero Mirabella, marinaio S.D.T., deceduto
Emilio Pagnacco, marinaio silurista, disperso
Aldo Reale, marinaio meccanico, deceduto
Pietro Salice, marinaio fuochista, deceduto
Francesco Santini, marinaio fuochista, deceduto
Dante Tiozzo, marinaio, disperso
Romeo Tippolotti, capo motorista di seconda classe, deceduto
Remo Turrini, sottocapo cannoniere, deceduto

Il sergente S.D.T. Francesco Altomonte, 23 anni, da Reggio Calabria (per g.c. della nipote Bianca Desideri)


L’equipaggio dell’Antares, mentre gli uomini della Pacinotti provevedano alle prime e provvisorie riparazioni (tamponare i fori, lavare e disinfettare la nave), venne momentaneamente alloggiato a bordo della nave officina. La torpediniera rimase a Suda per dieci giorni, dopo di che fu rimorchiata al Pireo dal rimorchiatore Valente, con uno scalo intermedio. Giunta al Pireo, l’Antares entrò nel locale arsenale, dove furono svolte le prime riparazioni dell’apparato motore; questi lavori durarono circa 40 giorni. Durante questo periodo giunsero sull’Antares, inviati dal Comando Marina, tre capi meccanici ed una dozzina tra fuochisti e marinai, destinati a rimpiazzare le perdite subite nel bombardamento del 12 ottobre; dei tre sottufficiali soltanto uno, il capo meccanico di terza classe Mario Matera, era di carriera, mentre gli altri due erano secondi capi richiamati dalla Marina Mercantile: congedati dalla Regia Marina da più di quindici anni, avevano sempre lavorato soltanto su navi propulse da macchine alternative a vapore, e non sapevano nulla di turbine come quelle che spingevano l’Antares. Dovettero dunque essere Munari e Matera ad istruirli in materia.
A metà dicembre 1942 l’Antares si trasferì dal Pireo a Taranto, dove fu immessa in bacino di carenaggio; l’intero equipaggio ricevette allora quaranta giorni di licenza, mentre si procedeva alle riparazioni definitive. Il sergente Giovanni Munari ne approfittò per passare il Natale con i genitori: il primo da diversi anni, in una famiglia dove tutti e tre i figli maggiorenni si trovavano al fronte, due nell’Esercito ed uno in Marina. Un ben triste Natale, condiviso da milioni di famiglie in Italia e in tutto il mondo.
Nel gennaio 1943 le riparazioni potevano finalmente dirsi ultimate; l’Antares era nuovamente in piena efficienza e si ritrovava con un equipaggio nuovo per più della metà. Era giunto un nuovo direttore di macchina, nuovi sottufficiali di macchina, nuovi ufficiali; del “vecchio” stato maggiore restavano soltanto Ciccone e Scarpato.


La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del sottonocchiere Carmelo Colombo, nato a Pozzallo (Ragusa) il 12 luglio 1917:

"Di guardia al timone su torpediniera di scorta a convoglio, violentemente attaccata da bombardieri nemici, veniva mortalmente colpito da grosse schegge che gli asportavano una gamba e gli laceravano l’altra. Sereno e impavido, benché conscio del suo grave stato, sopportava con stoica fermezza il dolore lancinante delle ferite, dando prova di suprema abnegazione. AI comandante, che gli era vicino, esprimeva solo il rammarico di non poter più continuare il combattimento, affermando che il suo sacricio non era vano purché la sua nave e i suoi cameratifossero salvi."

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina Francesco Anfosso, nato a Genova il 1° aprile 1921:

"Imbarcato su torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento, impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla nave".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio Navale Oberdan Barsotti, nato a Livorno il 31 gennaio 1906:

"Imbarcato su torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento, impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla nave".

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria dei nocchieri Giuseppe Fede (nato a Pozzallo l’8 settembre 1921) e Ferdinando Aversano (nato a La Maddalena il 26 febbraio 1923), del marinaio s.m. Dante Tiozzo (nato a Sottomarina di Chioggia il 12 maggio 1922), dei cannonieri Antonio Cernaz (nato a Fiume il 25 gennaio 1920) e Virginio Cattaneo (nato a Figino Serenza il 3 agosto 1920), del silurista Emilio Pagnacco (nato a Fiume il 7 agosto 1919) e del torpediniere Giovanni Cardiello (nato a Sant’Arsenio il 14 novembre 1919):

" Imbarcato su torpediniera scorta a convoglio, durante attacco aereo nemico, assolveva con serenità e noncuranza del pericolo i suoi compiti finché, ferito e proiettato in mare dall’esplosione di bombe cadute in prossimità dello scafo, scompariva nell’adempimento incondizionato del dovere".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del tenente commissario Mario Crisafi, nato ad Agrigento il 24 marzo 1914:

"Imbarcato su torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento, impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla nave".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico di seconda classe Romeo Tippolotti, nato a Perugia il 7 agosto 1909:

"Imbarcato su torpediniera scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, rimaneva, incurante dell’imminente pericolo, al suo posto di combattimento, impartendo con calma e precisione le disposizioni di sua competenza. Gravemente ferito da schegge di bombe esplose in prossimità dello scafo suggellava con eroica morte la propria vita ispirata al dovere ed all’attaccamento alla nave".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al marinaio fuochista Nino Ricciardi, nato a Vezzano Ligure (La Spezia) il 3 dicembre 1921:

"Di guardia in macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena noncuranza del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi incarichi, anche quando la stabilità della nave sembrava compromessa, cooperando alla sua salvezza".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al tenente di vascello Claudio Scarpato, nato a Gaeta (Latina) il 26 giugno 1898:

"Ufficiale in 2a di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, si prodigava con elevata capacità e noncuranza del pericolo nell’opera di assistenza del personale ferito e nell’attuazione delle provvidenze atte ad assicurare la galleggiabilità della nave. Suscitava col suo esempio fra i dipendenti una generosa gara di operosità e di abnegazione, conclusa con la salvezza dell’unità e il suo rimorchio alla prossima base".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sergente meccanico Giovanni Munari, nato a Milano il 31 maggio 1919:

"Di guardia in macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena noncuranza del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi incarichi, anche quando la stabilità della nave sembrava compromessa, cooperando alla sua salvezza".

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al sottocapo meccanico Michele Farella, nato a Taranto l’8 aprile 1922:

"Di guardia in macchina di torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da bombardieri nemici, si prodigava con elevato senso del dovere e capacità professionale per mantenere efficienti, nei limite del possibile, i servizi dell’apparato motore, ridotto in precarie condizioni di funzionamento per le avarie riportate da alcuni macchinari, colpiti da schegge. Con serena noncuranza del pericolo rimaneva al suo posto nell’assolvimento dei suoi incarichi, anche quando la stabilità della nave sembrava compromessa, cooperando alla sua salvezza".

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita al sottocapo meccanico Bruno Tozzi (nato ad Empoli il 14 dicembre 1921), al cannoniere puntatore mitragliere Mario Elettrico (nato a Piazza Armerina il 20 gennaio 1921), al marinaio servizi vari Albino Redaelli (nato a Monza l’8 gennaio 1923) ed ai marinai fuochisti Giovanni Sorrentino (nato a Torre del Greco il 10 maggio 1922), Giovanni D’Aria (nato a Grottole il 14 gennaio 1923), Giovanni Caminiti (nato a Villa San Giovanni il 4 marzo 1920), Adolfo Vettore (nato a Bottighe il 24 maggio 1921), Fedele Farella (nato a Giovinazzo il 24 giugno 1922) ed Antonio Starita (nato a Napoli il 17 maggio 1921):

"Imbarcato su torpediniera, di scorta a convoglio, attaccata e colpita da aerei nemici, benchè gravemente ferito da schegge di bombe, conservava un contegno forte e sereno e, mentre attendeva senza un lamento le prime cure, incitava, con parole di fede i camerati illesi a prestare tutta la loro opera per la salvezza della nave".

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al capitano di corvetta Maurizio Ciccone, nato a Diano Marina (Imperia) il 2 settembre 1905:

"Comandante di torpediniera di scorta a convoglio, attaccata e colpita durante un attacco di bombardieri nemici, benché ferito da schegge di bombe che provocavano numerose vittime a bordo, rimaneva fiero e sereno al suo posto di combattimento in plancia, affrontando decisamente la difficile situazione. Nonostante le ferite riportate, dirigeva con sovrumano coraggio ed elevato spirito di sacricio, per quasi due giorni, le operazioni intese ad attuare la salvezza dell'unità ed il successivo rimorchio che veniva compiuto con successo fino alla prossima base. Esempio ai suoi dipendenti di operosità fattiva e di completa dedizione al dovere, pur nelle sue precarie condizioni fisiche, dimostrava nel grave frangente elevate virtù militari e professionali."

Il capitano di corvetta Maurizio Ciccone (g.c. Giovanni Pinna)

1942-1943
Potenziamento dell’armamento contraereo: viene eliminata anche l’ultima mitragliera binata da 13,2/76 mm e vengono installate quattro mitragliere singole Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm.
15 gennaio 1943
L’Antares scorta una nave da Taranto a Messina.
Da Messina si trasferisce poi a Napoli, dove inizia le scorte ai convogli tra l’Italia e la Tunisia.
Febbraio 1943
Il comandante in seconda Scarpato sbarca (secondo Giovanni Munari, in seguito a gravi contrasti con il comandante Ciccone, che avrebbero indotto Scarpato a chiedere di essere sbarcato, non potendo più collaborare con quest’ultimo) e viene sostituito dal tenente di vascello Tommaso Adami Rook.
17 marzo 1943
L’Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone) salpa da Taranto alle 2.30, insieme al cacciatorpediniere Lubiana (capitano di fregata Luigi Caneschi, caposcorta), alla torpediniera di scorta Tifone (capitano di corvetta Stefano Baccarini) ed al cacciasommergibili VAS 221, per scortare a Biserta le motonavi Marco Foscarini e Nicolò Tommaseo. La navigazione durante la notte si svolge tranquilla sino alla prima mattina.
Verso le 10, nel Golfo di Squillace, si verifica un primo allarme, e viene avvistato un ricognitore, che ha localizzato il convoglio e lo tallona tenendosi fuori tiro. Tra le 13.30 e le 14.30, al largo di Punta Stilo, il convoglio viene attaccato a più riprese da quelli che da parte italiana vengono identificati come dodici aerosiluranti. Dalle fonti britanniche risulta che la forza attaccante fosse composta da nove aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force (guidati dal tenente colonnello Larry Gaine, comandante del 39th Squadron), decollati da Malta alle 11.25 e scortati da altrettanti caccia Bristol Beaufighter del 272nd Squadron R.A.F. (guidati dal tenente colonnello John Buchanan, comandante del 272nd Squadron). Uno dei Beaufort, pilotato dal sergente D. W. Frazer, è dovuto ammarare al largo della costa maltese appena cinque minuti dopo il decollo, a causa di un improvviso guasto ai motori (i due membri dell’equipaggio sono stati subito soccorsi); gli altri incontrano il convoglio al largo di Punta Stilo (alle 13.25 circa, secondo l’orario britannico), e vanno all’attacco. I Beaufighters, intanto, ingaggiano la scorta aerea, che viene apprezzata da parte britannica come composta da due bombardieri Junkers Ju 88, dieci caccia bimotori Messerschmitt Bf 110, uno Junkers Ju 52 (identificazione quasi certamente errata), un bombardiere Dornier Do 217 ed un idrosilurante Heinkel He 115 (identificazione quasi certamente errata), che volano in cerchio sopra il convoglio a quote comprese tra i 240 e i 300 metri. Nella battaglia aerea, diversi Beaufighters lamentano l’inceppamento dei loro cannoncini proprio nei momenti cruciali in cui hanno i bersagli nel mirino; nondimeno, i caccia britannici rivendicano il danneggiamento di un Me 110, un Do 217, uno Ju 52 ed un He 115, mentre subiscono la perdita di un Beaufighter, con la morte del suo equipaggio (sergenti Lancelot H. Schultz, della RAAF, e William R. Wainwright). Si buttano nella mischia anche quattro caccia Messerschmitt Bf 110 del III./ZG 26, i quali, trovandosi in volo da Trapani a Gerbini, hanno avvistato l’attacco in corso e sono subito intervenuti, gettando in mare (per alleggerirsi) i serbatoi alari supplementari. Godendo del vantaggio della sorpresa e della quota (attaccano infatti da quota più elevata), i quattro Me 110 del ZG 26 rivendicano l’abbattimento di quattro o cinque Beaufighters; in realtà risulta che solo due di questi aerei siano andati perduti: quello già citato di Schultz e Wainwright ed un altro precipitato in mare al largo di Malta durante il volo di rientro, a causa di problemi ai motori. Da parte tedesca risulta la perdita di uno Ju 88 del 2./KG. 54, caduto in mare al largo di Punta Stilo (tratti in salvo il pilota ed altri due uomini).
Nel mentre, i Beauforts attaccano le navi dalla direzione della costa, volando a pelo d’acqua: Lubiana e Antares, che si trovano tra gli aerei e le motonavi, aprono il fuoco per primi con tiro di sbarramento; la Tifone accelera per difendere la Foscarini, quindi apre il fuoco con i cannoni da 100/47 mm e le mitragliere da 20 mm, scompaginando la formazione attaccante e ritenendo (con eccessivo ottimismo) di aver abbattuto tre aerei. Gli aerei rimasti tornano all’attacco da un’altra direzione e lanciano siluri rimanenti, che vengono evitati con la manovra dall’Antares e dalle motonavi, poi si allontanano inseguiti dai caccia della Luftwaffe.
Sette dei Beaufort, fatti segno ad intenso fuoco contraereo dalle navi della scorta (mentre i velivoli della Luftwaffe interferiscono poco o niente, essendo impegnati nello scontro con i Beaufighter), sganciano i loro siluri; l’ottavo aerosilurante, pilotato dal tenente Norman Petch, ha perso il suo siluro a causa di un difetto nel congegno di sgancio. Nonostante i piloti britannici rivendichino tre siluri certamente a segno (quelli lanciati dai Beaufort del tenente colonnello Gaine, del sergente Harry Deacon e del sergente E. P. Twiname) e quattro probabili (maggiore Don Tilley, maggiore Colin Milson, capitano Stanley Muller-Rowland, sergente ‘Paddy’ Garland), in realtà nessun siluro ha fatto centro, e tutte le navi escono completamente indenni dall’attacco. Uno dei Beaufort, pilotato dal capitano australiano Donald I. Fraser, viene abbattuto da un caccia tedesco (un Messerschmitt Bf 109, secondo una fonte); i quattro uomini dell’equipaggio vengono salvati e fatti prigionieri dalla VAS 221. Gli altri Beaufort, terminato l’attacco, si riuniscono in formazione compatta per potersi meglio proteggere dai caccia della scorta aerea; rientreranno tutti alla base di Luqa (Malta) dopo aver rivendicato l’abbattimento di un Messerschmitt Bf 110, un secondo e forse un terzo Bf 110 probabilmente abbattuti e quattro o cinque danneggiati.
Al tramonto il convoglio raggiunge Messina, dove sosta in rada dalle 19 alle 22, poi prosegue per Biserta senza più la VAS 221 ma con il rinforzo del cacciatorpediniere Lampo (capitano di corvetta Loris Albanese) e delle torpediniere Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta) e Cassiopea (capitano di corvetta Virginio Nasta).
18 marzo 1943
Alle 14 Lubiana e Tifone lasciano la scorta del convoglio, dirigendo per Napoli, dove devono assumere la scorta di altri convogli in partenza per la Tunisia.
19 marzo 1943
All’1.30 il Lampo subisce una grave avaria di macchina, al punto da dover essere preso a rimorchio dalla Cassiopea; entrambe le unità devono così lasciare la scorta del convoglio e dirigere per Napoli (dove arriveranno alle 2.50 del 20, scortate dal cacciatorpediniere Gioberti). La scorta di Foscarini e Tommaseo si trova così ridotta alla sola Antares: di conseguenza, il convoglio viene dirottato a Trapani, dove giunge alle 11.20.
20 marzo 1943
Il convoglio lascia Trapani alle 4.30, rinforzato nella scorta dalle torpediniere Sagittario (capitano di corvetta Vittorio Barich) e Fortunale (capitano di corvetta Mario Castelli della Vinca, che diviene il nuovo caposcorta), per raggiungere Biserta.
Alle 11.15 il convoglio viene avvistato in posizione 37°57’ N e 11°44’ E dal sommergibile britannico Saracen (tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby), che ne apprezza la rotta in 240° e la velocità in 15 nodi; oltre alle torpediniere (che Lumby identifica come cacciatorpediniere, e delle quali sovrastima il numero, credendo di vederne quattro), Foscarini e Tommaseo godono in quel momento anche di nutrita scorta aerea (16 velivoli, sempre secondo l’apprezzamento del comandante britannico). Il Saracen si avvicina fino a 1460 metri dal convoglio e si appresta a lanciare i suoi siluri contro la Foscarini, che appare come la nave più grande, ma proprio quando Lumby sta per lanciare, la motonave italiana lancia un allarme sommergibili e vira prontamente nella direzione del Saracen, così vanificandone il tentativo di attacco. Dato che le distanze sono troppo ridotte per poter tentare di manovrare per lanciare col tubo poppiero, il sommergibile britannico deve rinunciare all’attacco. Contemporaneamente all’allarme lanciato dalla Foscarini, anche l’ecogoniometro della Sagittario localizza il Saracen; anche la torpediniera accosta in direzione del battello nemico, ma non inizia subito il lancio delle bombe di profondità, per cercare di mantenere il contatto sonar (le esplosioni delle bombe, infatti, farebbero perdere il contatto). Poco dopo, tuttavia, la Sagittario perde egualmente il contatto, ed il caposcorta le ordina di riunirsi al convoglio.
Avvistato di nuovo nel Canale di Sicilia, verso mezzogiorno il convoglio viene duramente attaccato (ad est-nord-est di Pantelleria) da ben 21 bombardieri quadrimotori Consolidated B-24 “Liberator” dell’USAAF (altra fonte parla di bimotori North American B-25 “Mitchell”), scortati da 25 caccia pesanti Lockheed P-38 “Lightning”, anch’essi statunitensi. Mentre i “Liberator” attaccano il convoglio, i “Lightning” vengono attaccati da un nutrito “sciame” di caccia italiani Macchi M.C. 200 e tedeschi Messerschmitt Bf 109 (questi ultimi del Jadgeschwader 53) provenienti dalla Sicilia; i caccia statunitensi reagiscono, contrattaccando a coppie attraverso lo strato di nubi che coprono il mare. Nella successiva battaglia aerea, i piloti dei “Lightning” (appartenenti al 96th Fighter Squadron dell’USAAF) rivendicano l’abbattimento di undici aerei dell’Asse (due Ju 88, otto Bf 109 più altri due probabili, ed “un caccia italiano monomotore a due posti”: forse un idrovolante CANT Z. 501 della 197a Squadriglia della Ricognizione Marittima, perduto quel giorno al largo di Alicudi), mentre i piloti italiani rivendicano l’abbattimento di un bimotore e di un secondo aereo di tipo non identificato, entrambi a nord di Capo Bon, ed i tedeschi quello di tre P-38 e due B-25. In realtà, come sempre, le rivendicazioni sono esagerate da tutte le parti: complessivamente, le perdite statunitensi consistono in due bombardieri abbattuti al largo di Capo Serrat ed in un P-38 gravemente danneggiato e costretto ad un atterraggio d’emergenza (nel quale subisce danni tali da essere considerato perduto), quelle italiane in un Macchi C. 200 precipitato presso Chinisia durante il ritorno alla base (presumibilmente per danni riportati nel combattimento) e quelle tedesche in un Messerschmitt Bf 109 del 6./JG 53 (tenente Herst, deceduto) ed in un Messerschmitt Me 210 dell’8/ZG. 1 (abbattuto dai mitraglieri dei B-25).
Quello lanciato dall’USAAF contro Foscarini e Tommaseo costituisce uno dei più pesanti attacchi aerei fino a quel momento subiti da un convoglio diretto in Tunisia, ma nessuna nave subisce danni; le bombe cadono tutte in mare e l’Antares abbatte uno degli aerei nemici (per altre fonti, due), mentre un altro viene abbattuto dai caccia tedeschi che formano la scorta aerea. La Sagittario setaccia lungamente il mare alla ricerca dell’equipaggio di uno degli aerei tedeschi abbattuti durante lo scontro, ma senza successo (per questo, arriverà in porto quattro ore più tardi del resto del convoglio).
Alle 19 il convoglio raggiunge Biserta.
21 marzo 1943
Alle 2.30 l’Antares (capitano di corvetta Maurizio Ciccone) lascia Biserta insieme alla gemella Sagittario (tenente di vascello Alessandro Senzi) ed alla più moderna torpediniera di scorta Fortunale (avente a bordo il caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco di Longano), per scortare a Napoli le motonavi Manzoni e Mario Roselli.
Durante la navigazione, la Manzoni subisce ripetute avarie di macchina, che la costringono a fermarsi più volte durante la giornata: la motonave finisce così col trovarsi arretrata di circa 25 miglia rispetto alla Roselli, che prosegue invece verso Napoli alla velocità prevista, insieme alla Fortunale. Antares e Sagittario rimangono con la Manzoni, per fornirle protezione ed assistenza.
I britannici sono al corrente del viaggio: lo stesso 21 marzo i decrittatori di «ULTRA» hanno potuto riferire che «era prevista per il 21 marzo la partenza del Roselli e del Manzoni, nonché del Saluzzo, da Biserta per Napoli». Di conseguenza, la sera stessa aerei britannici si mettono puntualmente alla ricerca del convoglio, che viene localizzato poco prima di mezzanotte.
Tra le 23.15 del 21 e l’una di notte del 22 il gruppo formato da AntaresSagittario e Manzoni avvista a grande distanza verso poppa, ad intervalli, otto serie di bengala.
22 marzo 1943
All’1.45, quando ormai Antares, Manzoni e Sagittario sono in vista del faro di Capri, si accoda al gruppo anche un MAS, che pattuglia la zona alla ricerca di eventuali sommergibili; la notte è limpida, con la luna piena.
All’1.50 un aerosilurante britannico Vickers Wellington del 221st Squadron della Royal Air Force si materializza improvvisamente dinanzi al convoglio: la Sagittario lo avvista solo all’ultimo momento, troppo tardi per potergli impedire di lanciare il siluro. L’arma, dopo una breve corsa, colpisce la Manzoni a poppa, un paio di miglia a sudest (per altra fonte, a sudovest) di Punta Carena, all’estremità sudoccidentale di Capri. Gli attacchi aerei, sempre da parte di Wellington del 221st Squadron, proseguono con ripetuti sganci di bombe, che costringono Antares e Sagittario a lasciare momentaneamente la motonave danneggiata per rifugiarsi sottocosta a nord di Capri, dove non vengono più attaccate.
Alle 3.05 la Manzoni affonda a cinque miglia per 240° (a sudest) di Punta Carena, nell’isola di Capri; Antares e Sagittario tornano sul posto alle 3.40, precedute dal MAS di prima e da una motovedetta frattanto giunta sul luogo, che hanno già iniziato a recuperare i naufraghi, opera cui ora si uniscono anche le torpediniere. Vengono tratti in salvo 119 dei 125 uomini che si trovavano a bordo della motonave; Antares e Sagittario, dopo aver ultimato il salvataggio e preso a bordo anche i naufraghi recuperati dal MAS e dalla motovedetta, proseguono per Napoli, dove arrivano alle 8, sbarcandovi i superstiti della Manzoni.
29 marzo 1943
L’Antares, la Sagittario, la Fortunale (caposcorta, capitano di fregata Antonio Monaco) e la vecchia torpediniera Cosenz (capitano di corvetta Emanuele Campagnoli) partono da Napoli per Tunisi alle 16.30, insieme i cacciasommergibili tedeschi UJ 2202 e UJ 2207, scortando il convoglio «RR» (motonavi Belluno, italiana, e Pierre Claude, tedesca).
30 marzo 1943
Il convoglio si ridossa a Favignana dalle 17.30 fino alle tre di notte del giorno successivo.
31 marzo 1943
Alle 3.45 il sommergibile britannico United (tenente di vascello John Charles Young Roxburgh) avvista il convoglio «RR» (del quale apprezza erroneamente la composizione in tre mercantili e due cacciatorpediniere) in posizione 37°54’ N e 11°42’ E. La manovra d’attacco iniziata dall’United viene però frustrata quando una delle torpediniere accosta nella sua direzione, inducendolo ad immergersi in profondità.
Alle 11.25, su ordine del caposcorta, la Cosenz lascia il convoglio «RR» per andare a rafforzare la scorta del convoglio «GG» (piroscafi NuoroCrema e Benevento, in navigazione da Napoli a Biserta con la scorta delle torpediniere CignoClio e Cassiopea, della corvetta Cicogna e dei cacciasommergibili tedeschi UJ 2203UJ 2207 e UJ 2210), che segue l’«RR» a circa 40 miglia di distanza. Successivamente anche la Sagittario lascia il convoglio. L’Antares e le altre navi arrivano a Tunisi alle 14.50.
1° aprile 1943
L’Antares (caposcorta) e le torpediniere Orione e Fortunale lasciano Biserta a mezzogiorno per scortare a Napoli la motonave Marco Foscarini.
In questa data muore sull’Antares, in Mediterraneo Centrale, il sottocapo cannoniere Giuseppe Bergamaschi, 24 anni, da Crema. (È possibile che questi sia scomparso in mare durante una burrasca: il sergente Giovanni Munari, infatti, ricorda che nel febbraio 1943, di ritorno da Biserta a Napoli, l’Antares avrebbe perso due marinai, trascinati in mare dalle onde durante una burrasca. Di essi non si trova traccia nell’albo dei caduti e dispersi della Marina Militare, dove l’unico caduto dell’Antares in data diversa dal 12 ottobre 1942 è appunto Giuseppe Bergamaschi; è del tutto possibile che Munari, a distanza di tanto tempo, abbia sbagliato circa l’epoca in cui si verificò il tragico incidente, e che in realtà esso abbia avuto luogo il 1° aprile 1943).
2 aprile 1943
Il convoglio giunge a Napoli alle 15.55.
4 aprile 1943
L’Antares (caposcorta) salpa da Tunisi alle 16 insieme alla torpediniera di scorta Tifone, scortando il piroscafo tedesco Pierre Claude e la motonave italiana Belluno, ambedue ex francesi.
6 aprile 1943
Dopo tre giorni di navigazione insidiata giorno e notte da attacchi di bombardieri, aerosiluranti e motosiluranti, AntaresTifone, Pierre Claude e Belluno giungono a Livorno alle 7.30.
Aprile 1943
L’Antares viene destinata alla scorta di convogli nel Mar Tirreno.
26 aprile 1943
L’Antares salpa da Palermo per scortare a Livorno il piroscafo Anagni.
Alle 15.45, poco dopo la loro partenza, il sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello Bruce John Bevis Andrew) avvista Anagni ed Antares, protetti da due aerei che volano sul loro cielo, in uscita da Palermo e manovra per attaccarli; alle 16.17, in posizione 38°13’ N e 13°26’ E, l’Unbroken lancia tre siluri (gli ultimi che gli siano rimasti) contro di essi, da una distanza di 5030 metri, per poi scendere subito in profondità. I siluri mancano il bersaglio.
Maggio 1943
Il comandante Ciccone sbarca e viene sostituito dal capitano di corvetta Nicolò Nicolini, che già aveva comandato l’Antares nel 1940-1941, quando aveva affondato il Proteus. (Da quando ha lasciato il comando dell’Antares, Nicolini è stato imbarcato sull’incrociatore Bande Nere, sopravvivendo al suo affondamento il 1° aprile 1942, e poi è stato sottocapo di stato maggiore al Comando del settore militare marittimo in Francia, a Tolone). Con il comandante Nicolini l’Antares terminerà la sua storia: il secondo periodo di comando di questo ufficiale durerà solo poche settimane.
15-16 maggio 1943
Durante una missione di scorta ad un convoglio in Alto Tirreno, l’Antares (capitano di corvetta Nicolò Nicolini) bombarda un sommergibile con cariche di profondità al largo di Olbia, rivendicandone il danneggiamento.

Epilogo

Mentre la campagna tunisina volgeva al termine (le ultime truppe dell’Asse in terra africana si arresero il 13 maggio), l’Antares venne destinata a compiti di scorta in Mar Tirreno, svolgendo diverse missioni in questo nuovo teatro, apparentemente meno pericoloso del Canale di Sicilia, tra aprile e maggio del 1943.
Il 28 maggio la torpediniera si trovava ormeggiata al molo Mediceo del porto di Livorno, quando si abbatté sulla città toscana il primo bombardamento aereo da essa subito nel corso della guerra. A condurre l’attacco furono 92 “Fortezze Volanti” (quadrimotori Boeing B-17) della 12th USAAF, su 100 originariamente decollati dalle basi dell’Algeria (soltanto con la conquista angloamericana del Nordafrica francese, infatti, era stato possibile per i bombardieri Alleati raggiungere Livorno, città di notevole interesse industriale e militare, ma troppo lontana, fino alla fine del 1942, dalle basi aeree britanniche, maltesi ed egiziane). L’incursione si protrasse dalle 11.35 alle 12.26, ed ebbe effetti devastanti: se effettivamente furono duramente colpiti gli obiettivi prescelti, cioè il porto, lo scalo ferroviario e la zona industriale (sede dei cantieri Odero Terni Orlando, delle acciaierie Motofides e della raffineria ANIC: quest’ultima costituiva uno degli obiettivi principali), d’altra parte moltissime bombe caddero anche sul centro cittadino, seminando morte e distruzione soprattutto nel quartiere Venezia e nelle zone del Voltone, di Piazza Magenta, Via Baiocchi e Via Marrani. Le bombe distrussero 170 edifici, tra cui il Duomo, la grande Sinagoga (la seconda in Europa per dimensione), i teatri San Marco e Rossini ed il Mercato Centrale. Decine di becolini, piccole imbarcazioni a fondo piatto e vela latina tipiche di Livorno, vennero frantumate dalle bombe nei canali del porto Mediceo. Come spesso avveniva quando una città era bombardata per la prima volta, il bilancio tra la popolazione fu particolarmente grave: almeno 212 civili e 13 militari morirono sotto le bombe, altri 232 rimasero feriti; il 3 giugno, con il decesso di molti feriti, il numero delle vittime era già salito a 280. Decine furono i morti nel crollo dei malsicuri ricoveri antiaerei ricavati nelle cantine dell’Unione Canottieri Livornesi (cento persone rimasero sepolte nel crollo di un singolo rifugio, centrato da una bomba in zona Scali d’Azeglio); in un caso, non essendo possibile recuperare i cadaveri, si decise di murare il ricovero dopo aver gettato calce viva per evitare epidemie. Particolarmente funesta fu la seconda ondata, che colse i pompieri intenti ai soccorsi dopo la prima ondata, ed innumerevoli civili in fuga lungo le vie della città. Molte delle vittime erano operai dei cantieri Odero Terni Orlando, nonché abitanti del centro e delle zone limitrofe al porto, alla zona industriale ed all’Accademia Navale.
Decine di migliaia di livornesi abbandonarono la città nei giorni successivi, rifugiandosi nelle campagne e negli altri centri della costa toscana: nella sola cittadina di Rosignano, che contava all’epoca circa 20.000 abitanti, piombarono in un sol giorno 8000 livornesi sfollati.

Tra le navi ormeggiate in porto, mercantili e militari, che rappresentavano uno degli obiettivi principali, il bombardamento fece un vero scempio: affondarono sotto le bombe la torpediniera Angelo Bassini, la corvetta FR 52, i piroscafi Lercara e Tiziano, l’incrociatore ausiliario Caralis, il piroscafetto Maralunga, i motovelieri Alas (vedetta foranea V 84), Luciano, Maria Concetta M., Sandro e Sandrina (dragamine ausiliario DM 33), i rimorchiatori Alcione, Artigliere e Francesca Neri (quest’ultimo requisito come dragamine ausiliario B 404). Altre navi rimasero danneggiate: tra di essere il cacciatorpediniere Velite e la corvetta Antilope, entrambe ai lavori nei cantieri Odero-Terni-Orlando (in conseguenza dei danni causati dalle bombe, anzi, i lavori sull’Antilope non poterono essere ultimati prima dell’armistizio, così causando indirettamente la perdita della nave). Gravissimi danni subì anche lo stesso cantiere navale OTO, che fu pressoché paralizzato dalle conseguenze dirette e indirette del bombardamento; la corvetta Stambecco, colpita sullo scalo dove si trovava in costruzione, fu danneggiata tanto gravemente che se ne decise la demolizione senza che mai avesse neanche toccato il mare.
Anche l’Antares fu tra le tante vittime di quel giorno: durante il bombardamento venne centrata da alcune bombe, che causarono l’allagamento delle sale macchine e caldaie; nel tentativo di evitarne l’affondamento, che i danni subiti facevano apparire inevitabile, con l’aiuto di alcuni rimorchiatori l’Antares venne portata ad affiancarsi al molo, affinché si poggiasse su fondali più bassi, evitando la completa sommersione. In quella posizione l’Antares affondò, verso l’una del pomeriggio, fortemente sbandata sul lato di dritta, lasciando emergere le sovrastrutture ed il castello di prua. Non vi furono perdite tra il suo equipaggio (l’Albo dei caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale non elenca infatti alcuna vittima, in questa data, tra l’equipaggio dell’Antares; va però rilevato che la motivazione della M.B.V.M. conferita al comandante Nicolini accenna a "perdite a bordo").

Il capitano di corvetta Nicolò Nicolini, nato a La Spezia il 3 agosto 1911, fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contegno tenuto durante il bombardamento ed i tentativi di salvare la sua unità ("Comandante di torpediniera ormeggiata nell’ambito portuale di località marittima investita da pesante bombardamento aereo, avuta l’unità danneggiata dall’esplosione di alcune bombe cadute nei pressi, e perdite a bordo, iniziata la reazione con le armi c.a. disponibili, dava esempio di serenità e di calma portandosi ovunque fosse necessaria la sua opera. Constatata la gravità dei danni riusciva ad affiancare la nave alla banchina, ove si adagiava su bassi fondali. Nella difficile circostanza otteneva da tutti i dipendenti un comportamento ammirevole").
Il tenente di vascello Tommaso Adami Rook, ventottenne, da Pisa, venne decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per essersi prodigato nei tentativi di salvare la nave: "Imbarcato su una torpediniera, gravemente colpita da offesa aerea nemica, si prodigava instancabilmente, malgrado il pericolo di capovolgimento dell’unità e il perdurare dell’attacco, negli sforzi intesi a salvare la nave. Eseguite le riparazioni di emergenza, prendeva parte attiva alla manovra di incaglio dell’unità e successivamente alle prime azioni di recupero, dimostrando coraggio e spirito di abnegazione".
Si distinsero nel tentativo di salvare l’Antares, e furono per questo decorati con la Croce di Guerra al Valore Militare, anche il marinaio fuochista Nino Ricciardi, ventunenne, da Vezzano Ligure (La Spezia); il capo meccanico di terza classe Mario Matera, quarantunenne, da Napoli; il secondo capo furiere Giovanni Cavallero, ventiseienne, da Carmagnola (Torino); il sottocapo cannoniere puntatore scelto Oreste Capraia, diciannovenne, da Lucca; il sottocapo elettricista Rosario Frendo, diciannovenne, da Rovigo; il sottocapo meccanico Giuseppe Giudice, diciannovenne, da Siracusa; il sottocapo meccanico Sergio Lazzerini, diciannovenne, da Arezzo; il marinaio nocchiere Nello Boscolo, ventitreenne, da Sottomarina (Venezia); il marinaio nocchiere Aldo Fanciulli, ventitreenne, da Porto Santo Stefano (Grosseto); il marinaio nocchiere Antonio Gullo, ventitreenne, da Patti (Messina); il marinaio nocchiere Raffaele De Marco, ventenne, da Ponza (Latina); il marinaio cannoniere Vincenzo Velletrini, ventiduenne, da Putignano (Teramo); il marinaio fuochista motorista navale Cipriano Pinesich, ventunenne, da San Martino in Valle (Pola); il marinaio fuochista Egisto Baldioli, ventitreenne, da Omegna (Novara).
Nino Ricciardi, già decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contegno tenuto quando l’Antares era stata bombardata il 12 otobre 1942, dopo l’affondamento dell’Antares sarebbe stato trasferito a bordo della Spada, nuovissima torpediniera classe Ariete in allestimento a Trieste. Dopo l’armistizio, caduta l’incompleta Spada in mano tedesca, Ricciardi si sarebbe sottratto alla cattura e si sarebbe arruolato nelle fila della Resistenza, morendo in combattimento l’8 aprile 1945 (fu decorato, alla memoria, con la Medaglia d’Oro al Valor Militare).
 
Il relitto dell’Antares a Livorno nel 1944, poco dopo la liberazione della città (g.c. STORIA militare)

La storia operativa dell’Antares terminò così il 28 maggio 1943. Secondo una fonte, i comandi italiani ne progettarono il recupero già poco tempo dopo l’affondamento, ma i lavori non poterono avere inizio prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando Livorno, al pari del resto dell’Italia centrale e settentrionale, fu occupata dalle truppe tedesche, per poi essere liberata dagli Alleati – ormai ridotta a città fantasma, semidistrutta dai bombardamenti – il 19 luglio 1944.
Per agevolarne il recupero, l’Antares venne inizialmente raddrizzata con l’uso di paranchi e cavi in acciaio, ma tali lavori di recupero furono successivamente sospesi. Furono ripresi soltanto verso la fine del 1944, per liberare la banchina e demolire il relitto.
Nel 1946 il relitto dell’Antares giaceva ancora semiaffondato nel porto di Livorno: in queste condizioni rivide quella che era stata la sua nave una sua vecchia conoscenza, il secondo capo nocchiere Ferruccio Pastoretto. Arruolatosi volontario in Marina nel 1931, a soli sedici anni, Pastoretto aveva trascorso cinque anni della sua vita sull’Antares, cui era molto affezionato: vi era stato imbarcato dal momento della sua entrata in servizio, nel 1936, fino al 1941, quando era stato trasferito sulla motosilurante MS 31. Trovandosi imbarcato su un dragamine che in quell’epoca si trovava a Livorno, durante una gita in barca nel porto Pastoretto si accostò al relitto dell’Antares, saltò a bordo e visitò per un’ultima volta i locali dove aveva trascorso tanta parte della sua giovinezza.
Formalmente radiata il 18 ottobre 1946, la carcassa dell’Antares venne recuperata e definitivamente smantellata nel corso dello stesso anno.


Livorno 1944, raddrizzamento del relitto dell’Antares per il suo recupero (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)




Le vicende dell’Antares dall’ottobre 1942 al maggio 1943, nel ricordo dell’allora sergente Giovanni Munari (da www.marinaiditalia.com, sito ufficiale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia):

Dopo tre giorni di inferno in porto a Tobruk 24 ore al giorno sotto bombardamento, alle volte un solo aereo chiamato il disturbatore, altre volte dozzine di aerei che sganciavano bombe a volontà la baia di Tobruk era un cimitero di navi Italiane e Ingìesi. Finalmente alle ore 16 dell’undici Ottobre 42 lasciavamo Tobruk di scorta a 4 piroscafi e un sommergibile a rimorchio di una delle navi, diretti a Taranto. Alle ore 20 venivo rilevato dal servizio in caldaia dal sotto capo Meccanico Tozzi. Dopo avere consumato la cena mi recavo in segreteria macchine (mio posto di combattimento a disposizione del Direttore Macchine quando non ero di servizio in caldaia o in macchina). In segreteria c’era il direttore macchine signor Bassotti Capitano GNDM capo Tipolotti Capo Giannini e Capo Ascolese, il Direttore stava spiegando certi lavori che si avrebbe dovuto fare una volta arrivati a Taranto, sempre che il Comando Marina ci avesse dato il tempo. (Perché in questi ultimi mesi eravamo in continua navigazione). Ore 23 circa uscivo per fare un giro intorno alla nave quando notavo un bagliore ora bianco ora rosso lontano verso il sud, chiamavo il Direttore che venisse a vedere e disse: Stanno bombardando Tobruk. Ore 24 scendevo in caldaia N° 2 per il mio secondo turno. Ore 0.50 ricevevo ordine di aprire la valvola nafta: per i fumogeni e il Direttore mi informava che il mare era illuminato come se fosse giorno. L’Antares aumentava la velocità e girava intorno al convoglio coprendolo di nebbia artificiale. Ore 0,59 si udiva un colpo che sembrava sotto la chiglia, la nave sbandava paurosamente sul lato sinistro, e si fermava, Benché tutti i bruciatori fossero accesi al massimo la pressione in caldaia scendeva rapidamente, cercai di comunicare con la caldaia N° uno, ma quando tolsi il tappo dal tubo porta voce usciva vapore con forza, compresi che la uno doveva essere danneggiata, perciò io chiusi la comunicazione del vapore fra te due caldaie, poco dopo la pressione nella 2 si fermava di scendere e poi incominciò a risalire alla pressione di regime. A questo punto cercai di comunicare con la macchina di Prora, con la Segreteria Macchine con la Plancia ma da nessuno ricevevo risposta, la situazione era critica i Fuochisti mi chiedevano di abbandonare il locale, per me era un dilemma abbandonare il locale potevo essere messo alla corte marziale rimanere la sotto potevamo tutti 4 fare la fine del topo Perciò mandai il fuochista Ceresoli in coperta a cercare il Direttore o qualunque altro ufficiale che le dasse istruzioni. Dopo 7/8 minuti Ceresoli ritornava ( Non ho mai dimenticato le sue parole e le ripeto) Mi disse: “Munari in coperta c’è solo morti e feriti, a Poppa ho trovato il signor Scarpato (sarebbe il Comandante in seconda) mi disse di dirti di spegnere la caldaia, scaricare la pressione e poi vai a Poppa che ti aspetta.” Dopo fatto quanto ordinato mi avviavo verso Poppa cercando di non pestare su qualche morto o ferito, mentre camminavo verso Poppa notavo che sul lato sinistro il mare lambiva la coperta per una profondità di 10/15 centimetri. A Poppa trovavo il signor Scarpato con 5/6 Marinai aggrappati alla draglia per non scivolare. Il signor Scarpato mi disse Munari sei il solo dei sotto ufficiali di macchina incolume (Qui faccio una osservazione era la prima volta che da Sergente passavo per sotto ufficiale) il djrettore è morto, Capo Tipolotti, Giannini e Ascolese sono morti e gli altri due sono gravemente feriti, non te lo ordino perché la nave può capovolgersi ogni momento, ti chiedo se scendi nel locale timone e porti il timone al centro che è rimasto tutto alla banda forse raddrizzeremo di qualche grado la nave. Non che avessi piacere andare là sotto ma il lamento dei feriti che se la nave fosse affondata per loro non c’era tanta speranza e forse neanche per noi, scesi nel locale timone l’acqua mi arrivava sopra le ginocchia disconettavo la manovra meccanica e inserivo la manovra a mano, e con la ruota timone sistemata nel locale stesso portavo il timone al centro. Risalito in coperta notavo che il mare non lambiva più la coperta perciò la nave si era raddrizzata di qualche grado. Il signor Scarpato mi ringraziava, ma non aveva finito mi disse: io (lui Scarpato) prendo cura dei feriti e tu cerca di salvare la nave. Sapevo che in magazzino c’era una pompa a mano come quelle usate dai pompieri, con l’aiuto di alcuni marinai la portavamo in coperta, in pochi minuti fu messa insieme e incaricai il sotto capo meccanico Farella che con gli uomini presenti provasse ad asciugare il locale dinamo, io con Ceresoli scendevamo nel locale dinamo e tamponavamo 2 fori, poi passavamo in macchina di Prora e tamponavamo 3 fori 2 dietro le pompe d’aria e di circolazione e uno dietro le pompe dell’olio, dove mi prendevo diverse scottature, poi passati in macchina di Poppa tamponavamo altri 2 fori. Faccio presente che in macchina di Prora c’era Capo Giannini morto e in Macchina di Poppa c’era capo Ascolese morto. Fare questi lavori aveva preso tempo e stava per spuntare l’alba quando andai a vedere cosa aveva fatto Farella, e visto che I’acqua era scesa al disotto dei paglioli provavo mettere in moto il motore Diesel Generatore, dopo diversi temtativi il motore andava in funzione, ora avevamo corente, Passavo in macchina di Prora dove cera una pompa elettrica di esaurimento la mettevo in funzione e iniziavo ad asciugare i locali allagati e con le pompe elettriche di travaso nafta e acqua passavo i liquidi dal Iato sinistro sul lato destro e portavo la nave in chiglia, con la nave in chiglia molti dei fori che prima entrava acqua, ora non entrava più perché qui fori erano venuti a trovarsi al di sopra della linea di galleggiamento. Verso le ore 0,8 arrivava 2 idrovolanti Tedeschi che portarono via 8 dei feriti piu gravi e circa alle ore 16 arrivava la Torpediniera Lupo a portarci aiuto. Passavamo i feriti sul Lupo e fu facendo questo che persi il rispetto. Stavo portando il mio amico Tozzi che non sapevo se era vivo o morto quando ai piedi delle passerella mi incontravo con il mio Comandante Ceccone, che la magior parte di noi lo credevamo morto perché si era mai fatto vedere dopo l’attacco, si teneva una mano sopra l’occhio sinistro, lo lasciai passare, ma quando vidi un Tenente medico che si avviava verso di lui io gridai: Dottore questo ragazzo ha bisogno di lei più del Comandante. Quel Tenente sI girava e visto che io tenevo in braccio uno che sembrava morto venne vicino e mi disse: mettilo su quel materrassino e cominciò a esaminare Tozzi, io le chiesi se era vivo la risposta fu SI. Portavo sul Lupo il fuochista Caminetti rimasto cieco e altri feriti, portati tutti i feriti sul Lupo il Lupo ci prendava a rimorchio (Siamo stati fortunati che l’Inglesi non sono più ritornati, dopo circa un’ora a rimorchio si era alzata una buona maretta e il cavo di manilla si spezzava, cosi veniva perso ancora tempo ad allacciare un cavo d’acciaio, il Lupo ci portava in porto a Suda (Creta) e ci attraccavano vicino alla nave officina Pacinottì, ambulanze Italiane e tedesche portarono via morti e feritì, e il Comandante Ceccone partiva in aereo quel pomeriggio per l’Italia e non si è più visto fino circa la metà di gennaio 43. In porto a Suda gli operai della Pacinotti lavavano e disinfettavano e chiudevano in diversi fori del’Antares, mentre noi venivamo alloggiati sulla Pacinotti. Dopo 5 giorni il Signor Scarpato mi chiamava in quel sgabuzzino che le serviva da ufficio, e mi leggeva la Motivazione che doveva mandarla al Comandante Ceccone per la firma, e in confidenza mi disse: con questa motivazione riceverai la medaglia d’Argento e la promozione. lo lo ringraziavo e non ci ho più pensato. Dopo 10 giorni a Suda a rimorchio del rimorchiatore Valente in 2 tappe ci portarono all’Arsenale del Pireo, dove iniziarono a riparare la macchine. Siamo rimasti fermi al Pireo una quarantina di giorni, durante i quali il Comando Marina aveva mandato una dozzina fra Marinai e fuochisti e 3 Capi meccanici, Capo Matera di carriera e due secondi capi richiamati, che mi dissero che loro non sanno dove mettere le mani, hanno sempre lavorato su navi con macchine alternative, ed erano in congedo da più di 15 anni, così io e capo Matera abbiamo cercato dì istruirli per quando la nave sarà pronta a muovere. Non ricordo il giorno ma verso la metà di dicembre 42 dal Pireo ci siamo trasferiti a Taranto, dove I’Antares veniva messa in secca e tutti i superstiti fummo mandati in licenza per 40 giorni. E qui voglio fare un commento. Da anni non passavo il Natale con i miei genitori, noi eravamo 4 fratelli e 3 eravamo in prima linea io in Marina dove il fronte andava da Trieste e Genova all’Africa e il dodecaneso gli altri 2 fratelli Giuseppe trattenuto ha combattuto sul fronte Greco e Antonio chiamato alle armi nel 1941 ora tutti e due negli Alpini sul fronte Russo, a casa c’era il piu piccolo che allo scoppio della Guerra aveva 9 anni. Voi che leggerete questo scritto potrete capire l’angoscia dei miei Genitori. Finita la licenza ai primi di Gennaio 43 ritornavo a bordo e trovavo l’Antares fatta come nuova quel giorno che rientravo stavano facendo nafta e caricavano le munizioni. Trovavo più della metà di nuovo equipaggio e i sotto uffciali e il direttore macchine tutti nuovi, degli Ufficiali vecchi solo il Comandante Ceccone e il Signor Scarpato erano rimasti. Il 15 Gennaio 43 comincia la prima missione di scorta una nave da Taranto a Messina. Da Messina ci trasferirono a Napoli dove abbiamo cominciato la scorta a singole navi e convogli per la Tunisia su quella che era chiamata la rotta della morte. Nel mese di Febbraio 43 di ritorno da Biserta a Napoli perdevamo 2 marinai portati via dal mare e in quel mese sbarcava il signor Scarpato e lo sostituiva il Tenente di Vascello Adamo Rook. Nei primi giorni di Marzo 43 arrivava le Decorazioni che ci furono consegnate dal Comandante in seconda signor Rook benché il Comandante Ceccone fosse a bordo. Tutti i superstiti la Croce di Guerra al V.M, io La Medaglia di Bronzo al V.M.. Un giorno in Aprile 43 avevo 4 ore di libera uscita a Napoli, il caso volle che incontrassi il Signor Scarpato e cosi parlando le dissi che avevo ricevuto la medaglia di Bronzo e no promozione. (Volete sapere cosa mi ha risposto?) Queste sono le parole del Signor Scarpato. Mi ha detto (Munari devi ringraziare il Comandante Ceccone che ha cambiato i termini della mia motivazione, perché ha detto che hai la lingua troppo lunga (Allora ho ripensato a quello che avevo detto sul Lupo.) Poi continuando mi ha detto che per questo e altre cose lui non poteva più collaborare con il Comandante Ceccone perciò ha fatto domanda di essere trasferito. La Motivazione del signor Scarpato descriveva quello che avevo fatto e terminava che avevo salvato la nave da sicuro affondamento. La modifica del Comandante Ceccone parla che ho cercato di mantenere nel limite del possibile i vari macchinari in funzione. Non c’erano macchinari da mantenere in funzione perché spenta la caldaia non c’era più forza. La forza è ritornata quando ho messo in funzione il Motore Diesel Generatore. Verso la metà di marzo credo era il 15 abbiamo perso la Motonave Monzoni silurata alle 2 di notte da sommergibili, il 19 Maggio 43 nelle acque di Olbia l’Antares affondava il terzo sommergibile. Il 23 o 24 Maggio sbarcava il Comandante Ceccone e lo sostituiva il Caoitano di Corvetta Nicolò Nicolini che aveva comandato l’Antares nel 40/41. lo salutavo il Comandante Ceccone con queste parole: (La saluto Comandante e la ringrazio per avermi fatto saltare la medaglia d’Argento e la promozione). Non ha detto una parola: il 28 Maggio 43 alle ore 9,30 un attacco aereo in porto a Livorno faceva grandi danni sul porto, alle ore 11,30 dello stesso giorno un secondo attacco aereo sul porto a Livorno una bomba cadeva razando lo scafo dell’Antares ed eplodeva sotto la nave affondandola. E qui finisce la storia dell’Antares No certo la mia che con alti e bassi continuava fino il 26 Giugno 1947 quando da Maridepo Taranto venivo congedato. Epilogo l’Antares ha al suo passivo la perdita di 3 navi Il PRF Sardegna affondato da sommergibile il 29 Dicembre 1940 nel basso Adriatico. La Petroliera Sant’Andrea affondata da aerei il 30 Agosto 1942 sulla rotta Taranto Bengasi La Motonave Monzoni affondata da sommergibili non sono sicuro ma credo sia stato il 15 o il 17 Marzo 1943 sulla rotta Tunisi Livorno. Ha subito la perdita di circa 60 morti dai numerosi attacchi aerei in mare e un numero grande di feriti. Al suo attivo l’Antares ha l’affondamento sicuro di 3 sommergibili e 2 probabili e la distruzione di 13 aerei da sola senza contare quelli distrutti assieme ad altre navi”.

L’Antares in navigazione (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net)

Un episodio di guerra vissuto dall’Antares e dal suo equipaggio nel novembre 1940, narrato dall’allora secondo capo nocchiere Ferruccio Pastoretto (da Torino, nato nel 1915):

In uno dei primi giorni del novembre 1940 la R.T. Antares si cullava dolcemente nelle placide acque antistanti il porto di Valona, ed il suo equipaggio, dopo aver vinto quel che potrebbesi definire un terno al lotto secco fino all'osso, si crogiolava in imbando (allascato, rilassato) al tepore del pallido sole novembrino. La vicenda del terno secco o dell'attuale tredici sisalino, va ricercata nella appartenenza, a quell'epoca, dell'Unità di cui trattasi a Maritrafalba e pertanto impiegata in quel tour de force che era la scorta convogli la quale impegnava navi e uomini 24 ore su 24 tutti i santi giorni che il buon Dio inviava in questa valle di lacrime, festivi compresi. Qui ora si pone di parlare del suo equipaggio perché, cita un vecchio adagio marinaro, è l'equipaggio che fa la barca e non viceversa, e quello in argomento era piuttosto, come suol dirsi, con i fiocchi, generoso, affezionato all'Unità, rotto ad ogni fatica da più periodi di 'Scuola Comando'. A questi valori devesi aggiungere che ogni suo componente vantava non meno di 24 mesi d'imbarco sulla citata Torpediniera, tralasciando i vari periodi di richiamo in voga a quei tempi. È doveroso aggiungere che ogni suo singolo elemento si riteneva, e lo era, un consumato esperto delle sue mansioni di bordo, in modo che tutti si consideravano facenti parte di un equipaggio secondo a nessuno. Poi, per quanto concerneva gli avversari (inglesi, i greci non erano presi in considerazione) erano dell'opinione che, per quanto bravi fossero, potevano al massimo eguagliarli ma non mai superarli, quindi non li temevano. Tra gli spaparazzati (giacenti) nella piazzola centrale sovrastante l'osteriggio di macchina ove era sistemato il complesso binato da 20 mm, trovavasi anche lo scrivente, personaggio di spicco per quella piccola Unità in quanto appartenente a quella élite di ex sottocapi che vi avevano preso imbarco nel periodo della sua consegna alla Marina Militare ed ora già promossi od in attesa della stessa a Secondo Capo. Gli incarichi di questo 'anziano Antares' erano piuttosto numerosi: Timoniere di manovra, il che in guerra è tutto dire, padrone della seppietta, (motoscafo comandante) e della lancetta quando quest'ultima imbarcava il motore fuoribordo, dirigente del posto di manovra di poppa al 'macchine libere' della plancia, responsabile del fuori bordo e del castello, braccio destro del nostromo ed amministratore dei materiali di consumo del nocchiere ed altri ammennicoli vari. Impegnati nella cura elioterapica, in quella piazzola, trovavansi oltre al sottoscritto, anche due fochisti indossanti il farsetto bianco, ora grigio sporco e costellato di buchi, calzoni di macchina intrisi di nafta e scarpe sformate trasudanti oli e grassi vari. Il terzo ed ultimo stazionante era rappresentato da un marò sv (servizi vari – sciacquino), tutto lindo e pinto in quanto addetto alla mensa Ufficiali. Quest'ultimo manteneva una certa distanza dai precedenti in quanto si riteneva culturalmente superiore: lui aveva fatto la sesta elementare e della faccenda ne aveva intronate le capocce di tutto l'Orbis nonché dell'Urbis; a tutto ciò va aggiunta la sua sicumera per il delicato e responsabile incarico che lo portava a bazzicare l'aristocrazia di bordo, cioè i Sigg. Ufficiali, il che non era poco. La conversazione del gruppo lasciava piuttosto a desiderare in quanto i parcheggiati erano tutti intenti ad assaporare i tiepidi raggi solari, quando la loro attenzione fu attratta dal decollo, in mezzo ad una nube di polvere, di cinque nostri bombardieri. “Chissà che faranno quelli?”, chiese distrattamente un fochista. “Che vuoi che facciano”, intervenne sussiegoso il marò, “Sono bombardieri, ed i bombardieri li hanno fabbricati apposta per bombardare.” “Beeeh! Come fai a sapere che vanno a bombardare? Te lo hanno detto per fonogramma?” “Sai com'è, visto che i bombardieri non mandano mai le bombe a mezzo posta, ma sono abituati a recapitarle di persona, ed assodato che noi siamo qua ed i greci là, chiunque con una zucca leggermente razionale dice che quattro e quattro fanno otto, e tra breve ne avremo la conferma perché nel giro di una ventina di minuti saranno di ritorno”, informò con sicumera il marò sv in quanto in mensa aveva appreso che il fronte, per degli aerei, trovavasi quasi a portata di mano. “Sììì! Perché quelli vanno a razzo”, sbottò ironicamente il secondo fochista, al quale incominciava a pesare sul piloro il tono saccente del marò sv. “Credi che ci mettano il sale sulla coda per farli andare così veloci?”, s'informò il primo fochista. “Vedete”, ribatté il marò sv, “quelli volano e non vanno a carburo come la mano nera” (personale di macchina). “Intanto precisiamo”, intervenne il secondo fochista, “la nostra non è una mano nera, ma una mano santa, e non andiamo né ad acetilene né a carbonella, ma con i polverizzatori, e la nostra non è più una macchina alternativa, ma una moderna turbina.” “Lascia perdere”, interruppe l'altro fochista, “che vuoi che ne capisca uno che non distingue un bullone fallito da una bulletta per le scarpe.” Ma il primo fochista non era del parere in quanto aveva ancora qualcosa da esternare, quindi proseguì: “E se non fosse per noi che ti portiamo a spasso, visto che in mare non vi sono paracarri, tu saresti costretto a sedere su di uno scoglio in attesa che vi passi una cacavella.” “Caravella, si dice caravella”, corresse sogghignando il marò sv. “Sì, quelle di Colombo, ma per te una cacavella che ti sbarchi a Fan Gù è già troppo.” “Così potresti sempre importare bachi da seta”, suggerì l'altro fochista, “dicono che la seta cinese sia la migliore del mondo.” “Non è che per caso voi l'abbiate già bazzicato questo Fan Gù”, chiese quel curiosone del marò sv, “perché in tale caso gradirei conoscere se vi hanno soddisfatti o meno”, poi terminò con un “per conto mio preferisco rimanere sullo scoglio a pescare. Questo Fan Gù è troppo lontano per il mio carattere.” La faccenda andò ancora avanti con qualche picca e ripicca; poi il motivo, in considerazione che v'era in corso una guerra mondiale, che la Cina era piuttosto distante e che occorreva un pozzo di tempo per raggiungerla, fu lasciato cadere e la diatriba tornò sul precedente argomento e proseguì finché il marò, interrompendo bruscamente la disputa, si mise a strillare indicando la baia Ducati: “Eccoli, eccoli!” Volgemmo tutti lo sguardo nella direzione indicata ed aguzzando la vista scorgemmo una formazione di tre aerei. “Porc…, ma quelli sono solo tre”, ringhiò un fochista, “non vorrei che ce ne avessero fregati due.” “Aspettiamo un momento”, suggerì il marò sv, “può darsi che quelli che mancano si siano attardati per un motivo qualsiasi.” “Sì, per fare la pipì”, brontolò mezzo incollerito l'altro fochista, poi, strizzando gli occhi per metterli più a fuoco, tirò un sospiro di sollievo e tutto raggiante muggì: “Ve ne sono altri dietro.” Ed era vero, perché concentrando tutte le nostre facoltà visive riuscimmo a scorgere ad una certa distanza dalla precedente altre due formazioni di tre aerei ciascuna. “Che succede”, fece il marò sv., “Sono partiti in cinque e tornano in nove.” “Devono aver fatto come la ragazza del paese che non è mio” informò un fochista. “Che ha fatto la ragazza del paese che non è tuo?” volle conoscere incuriosito l'altro fochista. “È andata alla fiera di Pinerolo”, notiziò il primo, “e tornata a casa comprò (partorì) un figliolo.” “Che può essere successo?”, chiese il marò rivolgendosi a me. “Io ne so quanto voi, posso solo fare delle congetture.” “E sarebbero?” insistette il marò sv. “Potrebbe darsi che, per potenziare l'azione, gli aerei decollati da Valona dovessero unirsi a squadriglie provenienti da altri campi, oppure trattarsi di aerei in trasferimento dall'Italia, ovvero che il tutto sia dovuto a un semplice e banale scalo tecnico per rifornimento, o che so io. In ogni caso teniamoli d'occhio.” E per quanto sopra tutti e quattro, lasciata cadere ogni discussione, ci trasformammo in osservatori. Fu così che nell'esercizio della mia nuova mansione rilevai, con una certa apprensione, che mentre la prima squadriglia si abbassava le altre rimanevano in quota, ma il fattore che né dal campo di atterraggio che da altri luoghi a terra nessuno aprisse il fuoco, mi tranquillizzò alquanto. “Sergente, come mai scendono solo i primi tre?” “Che vi debbo dire, non lo so. Può darsi che il campo possa ricevere solo tre aerei per volta e che gli altri debbano rimanere in volo in attesa del turno.” Così, per quanto detto, acuimmo la sorveglianza decisi ad appurare l'arcano delle terne aeree, ma il tutto andò a monte quando un fochista, non senza una certa meraviglia, se ne uscì con: “Guardate, buttano manifestini.” A quel buttano manifestini mi si rizzarono le orecchie; quei manifestini erano un anacronismo, quindi la faccenda cambiava indirizzo. Scrutai con più cura gli aerei e notai sotto gli stessi gruppi di puntini biancheggianti. “Quelli sono gabbiani”, rettificò il marò sv.; se fossero manifestini svolazzerebbero in tutte le direzioni.” Contemporaneamente da parte mia rilevavo che i puntini di cui trattasi sembravano allontanarsi gli uni dagli altri come se si sgranassero, e finalmente intuii ciò che stava accadendo: quelli non erano né gabbiani né manifestini, ma grappoli di bombe luccicanti al sole. “Sono bombe!”, urlai, ed istantaneamente partii a razzo. Percorsi come un fulmine il tratto di passerella che collegava la piazzuola al fumaiolo, (a quei tempi facevo 100 metri in 12“), girai attorno al detto alla stessa velocità, con tre balzi superai la breve scaletta che portava all'aletta di sn., mi precipitai in plancia. Qui, prima facendo perno sul telegrafo di macchina sn., ed una frazione di secondo dopo sulla barra di compensazione della chiesuola, giungevo a tiro del pulsante dei segnali sul quale pestavo in continuazione 'posto di combattimento'. Quanto vi avevo impiegato? In quei momenti in cui le gambe si muovono da sole vertiginosamente, è difficile stabilire i tempi, ma valuto non oltre i 20”. Alcuni istanti dopo fui sorpreso dal classico 'clac' dell'otturatore del pezzo di prora. Sembrava impossibile, data la brevità di tempo da che battevo posto di combattimento, che qualcuno fosse già sul posto ed azionasse il cannone. Qualche secondo ancora e percepivo il caratteristico rumore dei caricatori delle mitragliere da 20 mm che venivano estratti dai loro cofani. Una manciata di secondi ed un calpestio sulla mia testa mi avvertiva che gli addetti alla D.T. (direzione tiro) avevano raggiunto la loro stazione. Ancora qualche altro secondo e la voce calma del telemetrista iniziava a scandire le distanze. Fuori, sull'aletta di plancia, il Serg. P.S. (puntatore scelto) brandeggiava velocemente il binocolo della punteria asservita. Nel frattempo erano giunti in plancia gli addetti, telegrafi di macchina, brogliaccio, segnalatori, tutta gente come il sottoscritto, che essendo l'unità alla fonda, non aveva niente da fare. Il Comandante, in considerazione che la direzione di tiro era compito del 'Tenente' (Com/te in 2a ), s'era limitato ad impartire l'ordine alla macchina di comunicare non appena pronta a muovere. Dopodiché, preso il binocolo, si mise ad osservare gli aerei che riconobbe per inglesi. Era imperturbabile e sereno, ma sulle sue labbra aleggiava un sorriso che pareva dicesse: “Sembra che ce l'abbiano fatta a sorprenderci gli albionici.” Adesso, nel fare un riepilogo di tutto quel trambusto, possiamo considerare che in meno di un minuto, forse 50”, l'Antares era pronto ad aprire il fuoco con tutte le sue armi. Ora si impone, prima di passare alla disavventura che descriveremo, di specificare i motivi che la determinarono. Il fuoco antiaereo dell'Antares non è che fosse granché; non per colpa del personale, che anzi si scervellava in continuazione per migliorarlo con mezzucci e ritrovati casalinghi, ma per tre fondamentali moventi. 1° - Le esercitazioni antiaeree erano sempre state ridotte all'osso. Venivano, come è uso dire, ad ogni morte di papa, ed i papi, anche se tali sono affezionati alla loro pelle e non lasciano questa valle di lacrime tutti i giorni. E pertanto era grassa se le suddette avvenivano un paio di volte all'anno. Non ho mai capito la ragione di questa carestia di addestramento: forse la penuria di aerei, difficoltà di telecomunicazioni, insufficienza di collaborazione tra Aeronautica e Marina (bisogna riconoscere che un po' di ruggine era in atto). Tutto ciò però non toglie che si ripercuotesse in modo deleterio sull'efficienza della direzione di tiro ed armamenti dei pezzi. 2° - L'esercitazione consisteva nell'apparire nel cielo dell'unità che doveva eseguire i tiri di un apparecchio lumaca che portava a guinzaglio (rimorchio) una manica a vento. Questa tartaruga del cielo aveva l'abitudine di mantenere inalterata rotta, quota e velocità. Quindi, una volta stabiliti a mezzo del telemetro i tre dati, e conoscendo la velocità di arrampicata dei proiettili, era un gioco da ragazzi accertare ove il bersaglio si sarebbe trovato in un qualsiasi momento. La faccenda cambiava leggermente quando, al posto del flemmatico rimorchiatore, si trovavano moderni e veloci bombardieri, i cui piloti avevano il vizio, non appena si accorgevano che le granate si stavano prendendo una certa confidenza col loro aereo, di variar rotta, quota e velocità, rimettendo in tal modo tutto in discussione”. Così termina, interrompendosi per motivi rimasti ignoti, il dattiloscritto scritto di proprio pugno da Ferruccio Pastoretto; il figlio Piero ha ricostruito la conclusione dell’episodio ivi narrato sulla base dei racconti del padre: “Dunque gli aerei inglesi, dopo aver sganciato delle bombe su Valona, si dirigono sulla baia probabilmente per mitragliare e spezzonare le unità alla fonda. Il pezzo da 100/47 è messo in punteria e il primo colpo è incamerato. Tuttavia i colpi dell'antiaerea erano spolettati per deflagrare a una determinata distanza e pitturati sul fondello con un colore diverso per distinguerli tra loro. Già nel novembre del 1940, data dell'episodio, c'era inoltre l'ordine assoluto di risparmiare i proiettili e, come narrava ironico mio padre, di 'sparare contro gli aerei solo a colpo sicuro'. Dunque il pezzo era pronto ad aprire il fuoco contro il più prossimo degli attaccanti, ma poiché la distanza diminuiva rapidamente, ecco dal telemetro venire la voce (non ricordo naturalmente i colori, ma devo per necessità inventare): “Rosso, rosso rosso!” Da qui la necessità di togliere il primo proietto destinato alle distanze maggiori, e incamerare il colpo con il fondello spolettato per le distanze minori. Ma appena compiuta l'operazione, e avvicinatosi di più l'aereo, ecco un nuovo ordine: “Giallo, giallo, giallo!”. E così una terza volta: “Verde, verde, verde!” Alla fine l'attaccante superò l'Antares senza procurare alcun danno all'unità, ma purtroppo anche senza che il pezzo antiaereo di prua avesse potuto sparare un solo colpo. A questo punto, narrava mio padre, il sottufficiale capopezzo (il “capo cannò”, come era comunemente chiamato tra i marinai) si tolse il berretto, lo scagliò sul ponte e cominciò a calpestarlo per la rabbia e l'onta di non aver potuto, non dico mettere a segno un colpo, ma neppure fare fuoco – rosso, giallo o verde poco importa – contro il nemico per il semplice motivo che si doveva sparare 'soltanto a colpo sicuro'. La storia non ha una morale e si concludeva con la macchietta del 'capo cannò' che comicamente ballava bestemmiando sul suo berretto. Essa era fine a se stessa, unicamente un episodio fra i tanti, rimasto impresso nel ricordo di mio padre forse perché compiaciuto per la prontezza di riflessi che in quell'occasione aveva mostrato. Una morale però è possibile ricavarla: lo spreco inutile di uno splendido personale così altamente addestrato, aggressivo e motivato, per un miserabile e burocratico regolamento di approccio all'obiettivo (…)”.

Una breve poesia dedicata dall’allora sergente Giovanni Munari, imbarcato sull’Antares dal 18 giugno 1940 al 28 maggio 1943, alle torpediniere, “piccole navi, veloci, belle ed efficienti signorine del mare”:

Quando spunta il sole all’orizonte
la Torpediniera da ore è fuori in mare,
nella calma, nella tempesta
singola nave o convoglio,
su l’altra sponda deve scortare.
Arrivano gli aerei,
la Torpediniera zig zaga,
spara rabbiosa.
Vengono dai lati da Poppa da Prora,
volano tutto al’intorno
cadono le bombe,
mitragliano a tutto andare,
è un inferno, un manicomio difficile da descrivere
o raccontare.
Gli aerei se ne vanno;
meno alcuni finiti in mare,
ci si guarda intorno dal mitragliamento
sei morti e una ventina di feriti;
c’è, da assistere e medicare.
Non c'è dottore, per loro poco si può fare
a quei poveretti,
soltanto conforto si cerca di dare.
Si arriva su l’altra sponda,
sbarcano morti e feriti,
nuovo personale viene a imbarcare,
e la stessa storia sta per ricominciare.
Per le Torpediniere non c’è sosta,
non c’è riposo
una singola nave o un convoglio è sempre,
pronto da scortare.
Erano trentuna le Torpediniere
della classe Spica ne sono rimaste otto,
le altre ventitré riposano in fondo al mare,
fra queste anche la Torpediniera Antares
 
(g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)