domenica 19 febbraio 2023

MZ 786

Profilo di una motozattera tipo MZ-B (Historisches Marinearchiv)

Motozattera della seconda serie della classe MZ, tipo "MZ-B", costruita per trasportare anche carri armati grazie ad una stiva più alta ed al portellone di sbarco rinforzato rispetto alle unità della serie precedenti. Lunga 46,50 metri e larga 6,50, con un pescaggio di 1,18 metri se scarica, dislocava 140 o 174 tonnellate, che salivano a 279 a pieno carico (poteva caricare 65 tonnellate di materiali). Era propulsa da tre motori diesel prodotti dalle Officine Meccaniche di Milano, della potenza complessiva di 450 HP, su altrettante eliche; raggiungeva una velocità di 11-12 nodi, con un’autonomia di 1450 miglia a 8 nodi. L’armamento consisteva in un cannone da 76/40 mm e due mitragliere da 20/70 mm.
Impostata dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone nel novembre 1942, la MZ 786 (numero di costruzione 1428) venne varata il 19 febbraio 1943 e completata il 5 marzo dello stesso anno.
 
La vita della MZ 786 fu brevissima: tra la sua entrata in servizio e la sua perdita non passarono che sedici giorni.
Il 19 marzo 1943 la MZ 786, dopo aver caricato quattro carri armati M. 13 a Reggio Calabria, lasciò la città sullo stretto diretta a Biserta, al comando del guardiamarina Mario Lanfredi. L’equipaggio era composto da quindici uomini, cui si aggiungevano per la traversata i quattro carristi che accompagnavano i loro mezzi in Africa.
Navigando da sola, la MZ 786 raggiunse Palermo, dove sostò brevemente per completare il carico con della benzina da portare in Tunisia; il prezioso ma pericoloso liquido venne pompato nei doppi fondi. Lasciato il capoluogo siciliano, nella notte tra il 20 ed il 21 marzo la piccola unità si aggregò, come precedentemente stabilito, ad un convoglio di motozattere (MZ 778, MZ 779, MZ 781, MZ 782, MZ 783) salpato da Trapani alle sette di sera del 20 e diretto a Biserta. Il congiungimento con il convoglio avvenne circa a metà della traversata del Canale di Sicilia; la MZ 786 prese posizione sulla sinistra della MZ 778, l’unità capoconvoglio, comandata dal tenente di vascello Giorgio Lupo.
Alle cinque del mattino del 21 marzo il direttore di macchina della MZ 786, capo Alfonso Ghirardini, smontò dalla guardia e venne avvicendato nel locale motori dal sottocapo motorista Sergio Cavicchini; si ritirò quindi per riposare nel locale di poppa, dove già stavano dormendo i quattro carristi ed il motorista Sergio Duse.
Meno di mezz’ora dopo, alle 5.28, le altre motozattere del convoglio videro un’enorme vampata levarsi dalla MZ 786, seguita da una violenta esplosione; subito la motozattera venne avvolta dalle fiamme, alimentate dalla benzina che portava nei doppifondi. Riversatosi in mare, il carburante incendiato galleggiava tutt’attorno alla piccola nave, costringendo le altre motozattere ad allontanarsi per non esserne travolte; uniche eccezioni furono la MZ 783, che non correva pericolo perché sopravvento, e la MZ 781, il cui comandante prese l’iniziativa di cercare eventuali superstiti dell’unità gemella, compiendo un ampio giro attorno al relitto in fiamme. Non vide, però, nessun naufrago.
 
Quasi tutti gli uomini che si trovavano al centro ed a prua, compreso il comandante Lanfredi, rimasero uccisi sul colpo dall’esplosione, o rimasero mortalmente ustionati dalla benzina in fiamme che galleggiava sul mare; solo un sergente nocchiere riuscì ad allontanarsi. Ebbero più tempo i sei uomini che stavano dormendo nel locale situato all’estrema poppa, che si trovavano però anch’essi in una situazione non invidiabile: svegliati di colpo dall’esplosione, scoprirono che i sacchetti di sabbia posti a protezione del cannone erano caduti sull’osteriggio del locale, unica via d’uscita, bloccandolo. Dopo molti sforzi, i sei riuscirono ad aprire l’osteriggio spingendolo con una panca da rancio; primi ad uscire furono i carristi, che indossavano il salvagente e che si buttarono immediatamente nel mare in fiamme. Li seguì il motorista Duse, mentre il direttore di macchina Ghirardini, uscito per ultimo, esitò: era rimasto solo ed era senza salvagente; la MZ 786 era completamente in fiamme, circondata dal carburante incendiato e come se non bastasse uno dei motori era ancora in funzione ed il timone era incatastato, così che la nave continuava a muoversi, girando su sé stessa e continuando a spargere benzina incendiata. Alla fine, Ghirardini si decise a tuffarsi in mare, senza salvagente; ebbe doppiamente fortuna, perché riuscì a sfuggire alla morsa delle fiamme ed a trovare quasi subito qualcosa a cui tenersi per restare a galla, una passerella di legno, cui si legò con la cintura. Passarono un paio d’ore, poi avvistò su uno zatterino senza remi su cui si era arrampicato il sergente nocchiere, unico altro naufrago in vista; i due decisero di restare vicini in attesa dei soccorsi.
 
Di questi ultimi, risultata infruttuosa la ricerca iniziale della MZ 781, si era incaricata la MZ 783 del guardiamarina Gaetano Luigi Mereu: messo a mare il battellino, era riuscita a recuperare dal mare i quattro carristi e due membri dell’equipaggio della MZ 786, il nocchiere Gioacchino Terzo ed il sergente cannoniere Antonio Pastore, ma i sei naufraghi erano quasi irriconoscibili, in fin di vita per le gravi ustioni riportate; Pastore morì poco dopo il salvataggio. Dovette essere un sollievo per i soccorritori riuscire finalmente a trovare due naufraghi in buone condizioni, Ghirardini ed il sergente nocchiere, che vennero portati a bordo della MZ 783. Ulteriori ricerche riuscirono del tutto vane: non c’erano altri sopravvissuti. La MZ 778 si avvicinò al relitto incendiato della MZ 786 per accelerarne l’affondamento a cannonate, dopo di che, alle 9.30, la flottiglia riprese la navigazione verso Biserta, lasciandosi alle spalle la gemella ormai in via di affondamento, in posizione 37°33' N e 10°54' E (a nord di Capo Bon).
 
Giunti a Biserta, la MZ 783 sbarcò i due superstiti ed i cadaveri che aveva recuperato, che furono portati in una scuola adibita ad obitorio. Fu proprio capo Ghirardini, insieme al cappellano militare Renato Castelli, a fabbricare delle povere bare con delle porte di legno, ed a dare sepoltura ai morti mentre ancora era in corso un mitragliamento aereo.
 
La causa esatta della perdita della MZ 786 non è mai stata determinata con certezza. Il tenente di vascello Lupo, il capoconvoglio, scrisse nel suo rapporto che l’esplosione doveva essere stata causata dall’accensione – dovuta ad una scintilla prodottasi accidentalmente – dei vapori di benzina prodottisi a bordo a causa delle infiltrazioni della benzina dai doppi fondi nei locali contigui. Il direttore di macchina Ghirardini fu in disaccordo, sottolineando che il comandante Lanfredi aveva preso tutte le precauzioni possibili contro un’eventualità del genere, imponendo all’equipaggio ed ai carristi di camminare scalzi (onde evitare l’accidentale produzione di scintille per effetto dello sfregamento delle calzature sul ponte), facendosi consegnare tutti i fiammiferi e le sigarette ed ordinando lo spegnimento del cucinino di bordo fin dalla sera del 19 marzo. Ghirardini ipotizzò invece che la MZ 786 fosse saltata su una mina. Tullio Marcon, nel suo libro "I muli del mare" (probabilmente la più completa opera esistente sulla storia delle motozattere), commenta semplicemente: “Poteva anche aver ragione lui”; le pubblicazioni dell’Ufficio Storico della Marina Militare sembrano però propendere per l’ipotesi dei vapori di benzina, che in effetti sembrerebbe supportata dal fatto che le altre motozattere parlarono di una fiammata seguita (e non preceduta) da un’esplosione, oltre che da quello che sebbene incendiata, la MZ 786 continuò a galleggiare a lungo dopo l’esplosione, ed ancora da quello che le altre motozattere del convoglio continuarono ad incrociare per ore nella zona senza subire alcun danno.
 
Morti sulla MZ 786:
 
Sergio Cavicchini, marinaio motorista, da Mantova
Luigi De Riz, marinaio cannoniere, da Polcenigo
Ermanno Di Girolamo, marinaio segnalatore, da Pescara
Sergio Duse, marinaio motorista, da Venezia
Eros Giacchetti, marinaio motorista, da Firenze
Mario Lanfredi, guardiamarina (comandante), da Imperia
Davorin Mikac, marinaio cannoniere, da Trieste
Luigi Monfredini, marinaio cannoniere, da Cremona
Bruno Negri, marinaio cannoniere, da Bellano
Antonio Pastore, sergente cannoniere, da Augusta
Rino Peterlongo, marinaio cannoniere, da Rovereto
Gioacchino Terzo, marinaio nocchiere, da Erice
Giuseppe Zuccaro, marinaio nocchiere, da Catania
 
 
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina Mario Carlo Lanfredi, nato ad Imperia il 18 luglio 1921:
 
"Comandante di motozattera destinata al rifornimento di basi avanzate oltremare sottoposte a continua offesa aerea, dimostrava in ogni occasione elevato spirito militare e sereno coraggio. Nel corso di rischiosa azione, in seguito a perdita dell’unità, immolava per la Patria la giovane vita. (Canale di Sicilia, marzo 1943)."
 
 
La MZ 786 sull’Historisches Marinearchiv
La MZ 786 sul sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone
Unità da sbarco della Regia Marina
Le motozattere classe MZ su Navypedia

mercoledì 1 febbraio 2023

Bonzo

La Bonzo (Museo della Cantieristica di Monfalcone)

Motonave cisterna di 8176,72 tsl, 4917 tsn e 12.350 tpl, lunga 147,5 metri, larga 18,3 e pescante 10,5, con velocità di undici nodi. Di proprietà dell’armatore Andrea Zanchi di Genova, iscritta con matricola 2021 al Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBFN.
 
Breve e parziale cronologia.
 
14 febbraio 1931
Varata come Bonzo (numero di costruzione 241) dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
Maggio 1931
Completata come Bonzo per la compagnia norvegese Skibs-A/S Oiltank 2 di Tønsberg; in gestione a Berg & Torgersen A/S di Oslo. Porto di registrazione Tønsberg, nominativo di chiamata LJTP, poi LDSU.
Febbraio 1932
Trasferita alla gestione di Reidar Rød & Anatole Savabini di Tønsberg.
Aprile 1934
I Cantieri Riuniti dell’Adriatico si riappropriano della nave in seguito al mancato pagamento da parte della Skibs-A/S Oiltank del prezzo di contratto, 3.150.000 corone norvegesi.
Febbraio 1935
Rivenduta dai CRDA all’armatore Andrea Zanchi di Genova, senza cambiare nome.
1° luglio 1940
Requisita ad Arsia dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
 
Invitati al varo della Bonzo in posa davanti all’Albergo Impiegati di Panzano (foto Giovanni Cividini, archivio fotografico Consorzio Culturale del Monfalconese)

L’affondamento
 
Alle 13.30 del 15 dicembre 1940 la Bonzo salpò da Taranto diretta ad Augusta, con la scorta dell’incrociatore ausiliario Caralis.
La navigazione delle due navi procedette senza storia fino a quella sera, quando la loro rotta s’incrociò con quella del sommergibile britannico Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard). Il Truant era partito da Malta l’8 dicembre per la sua quattordicesima missione di guerra, la quarta in Mediterraneo: in precedenza aveva operato nel Golfo di Biscaglia e nel Mare del Nord, dove tra l’altro aveva affondato l’incrociatore leggero tedesco Karlsruhe. Per questa missione, Haggard aveva ricevuto ordine di pattugliare le acque della costa ionica della Calabria, tenendosi a quindici miglia dalla riva; ma aveva deciso di travalicare gli ordini ed avvicinarsi di più alla costa, e questa decisione si era rivelata giusta. Il 13 dicembre aveva colto un primo successo affondando il piroscafo Sebastiano Bianchi a dieci miglia da Capo Spartivento Calabro, ma da parte italiana questa perdita era stata attribuita ad una mina.
Alle 23.40 del 15 dicembre il Truant avvistò a proravia dritta, a 9150 metri di distanza, una nave passeggeri che procedeva verso sudovest lungo la costa, con rotta 180°: si trattava del Caralis, che prima della conversione in incrociatore ausiliario era stato una nave passeggeri. Il sommergibile britannico si avvicinò per attaccare, ma poco dopo il Caralis compì un’ampia virata a dritta, lasciandoselo quasi di poppa. Fu a questo punto che Haggard avvistò una seconda nave, che nell’oscurità gli sembrò sulle prime un cacciatorpediniere, che seguiva la “nave passeggeri” a circa un miglio di distanza, a poppavia sinistra. Alle 00.30 del 16 dicembre il Truant accostò con l’intenzione di seguire il Caralis, tenendosi a debita distanza dal presunto cacciatorpediniere; portò la velocità al massimo e svuotò completamente le casse di zavorra. Quand’anche non fosse riuscito ad attaccarlo, pensò Haggard, seguendolo sarebbe stato possibile individuare il punto in cui le navi dirette verso l’Africa lasciavano la costa italiana (ed in questo aveva torto, visto che questo convoglio non era diretto in Africa).
All’1.30 il comandante del Truant si rese conto che quello che aveva creduto essere un cacciatorpediniere era invece una grossa nave cisterna carica fino all’orlo: era la Bonzo. Subito Haggard cambiò bersaglio, puntando alla nuova e ben più appetitosa preda.
Alle 2.26 il Truant lanciò tre siluri contro la Bonzo da una distanza di 1830 metri. Il primo sembrò affiorare in superficie; il secondo mancò il bersaglio passandogli a proravia; ma il terzo andò a segno, colpendo la Bonzo a poppa. Nel frattempo il Truant si era avvicinato ulteriormente, perché Haggard diffidava degli inaffidabili siluri vecchio modello che gli erano stati forniti – due erano affiorati in superficie ed uno aveva deviato dalla rotta –, ed era preoccupato dalla robustezza delle navi cisterna, che a suo dire “non prendono fuoco, è molto difficile incendiarle, e se le si colpisce hanno una sconcertante tendenza a restare a galla. Le petroliere erano molto più sicure per i loro equipaggi rispetto ad altre navi”. (Secondo "British and Allied Submarine Operations in World War II" di Arthur Hezlet, invece, il primo siluro affiorò in superficie ed ebbe anche un guasto alla girobussola, ed il secondo mancò il bersaglio perché lanciato con un’angolazione errata a causa di un’imbardata, pertanto il Truant si avvicinò fino a 820 metri e lanciò altri due siluri, uno dei quali andò a segno ed affondò la Bonzo, ma ciò contrasta con quanto annotato nel giornale di bordo del sommergibile). Alle 2.28, pertanto, lanciò altri due siluri da distanza ravvicinata (820 metri): entrambi andarono a segno, e la Bonzo si spezzò in due ed affondò in appena un minuto, in posizione 38°28’ N e 16°44’ E, a sei miglia per 82° (cioè ad est) da Punta Stilo (l’orario indicato dalle fonti italiane sono le 2.35; alcuni siti in inglese affermano, erroneamente, che l’affondamento avvenne a due miglia dalla costa).
 
A dispetto dell’opinione di Haggard circa la maggior sicurezza delle navi cisterna per i loro equipaggi, quasi tutto l’equipaggio della Bonzo affondò con la nave: su 35 uomini, solo in sei sopravvissero.
 
Le vittime:
(si ringraziano Carlo Di Nitto e Giancarlo Covolo; manca un nome)
 
Celso Adami, ufficiale radiotelegrafista, da Fiume
Davide Barbieri, marinaio, da Framura
Faliero Barsella, marinaio, da Viareggio
Alfonso Bergamini, marinaio, da Napoli
Giuseppe Bonannoni, ingrassatore, da Riomaggiore
Carmelo Caramagno, marinaio, da Augusta
Salvatore Chiappazzo, marinaio, da Riposto
Natale Cocchietto, elettricista, da Pola
Giacomo Cordaro, direttore di macchina, da Genova
Antonio Denaro, operaio meccanico, da Messina
Giovanni Gavi, ufficiale di coperta, da Porto Maurizio
Rosario Giacopello, ingrassatore, da Messina
Leopoldo Gianelli, carpentiere, da Lavagna
Egisto Guano, ingrassatore, da Portovenere
Domenico Mastronuzzi, ingrassatore, da Taranto
Vito Nardulli, giovanotto, da Mola di Bari
Ettore Oneto, ufficiale di macchina, da Napoli
Ruggiero Palmitesta, ufficiale di coperta, da Barletta
Antonio Pastorino, ufficiale di coperta, da Villa San Giovanni
Luigi Pollero, ingrassatore, da Albenga
Virgilio Ramati, capo fuochista, da Genova
Felice Revello, cameriere, da Voltri
Pietro Ricci, nostromo, da Forte dei Marmi
Luigi Ricco, ingrassatore, da La Spezia
Giuseppe Tosto, meccanico, da Trapani
Oliviero Vianello, giovanotto, da Pellestrina
Michele Zecchini, marinaio, da Marciana Marina
Silvio Zunino, cuoco, da Stella
 

Verbali di scomparizione in mare dei marinai viareggini Alfonso Bergamini e Faliero Barsella, imbarcati sulla Bonzo (g.c. Michele Strazzeri)


All’1.40 il Truant accostò per avvicinarsi al Caralis, di cui intercettò un messaggio trasmesso a Taranto, che permise così ad Haggard di identificarlo per nome. Fu a questo punto che il comandante britannico comprese che la “nave passeggeri” era un incrociatore ausiliario che stava scortando la petroliera che aveva appena affondato.
Tre tra torpediniere e MAS vennero inviate a dare la caccia al Truant, ma senza successo.
Nel diario storico del Comando Supremo la fine della Bonzo venne liquidata in poche laconiche frasi: "Prime ore del 16, la nave cisterna nafta Bonzo, in navigazione da Taranto per Augusta, scortata da nave ausiliaria, è stata silurata, in prossimità di Capo Stilo ed è affondata. Perduti alcuni membri dell’equipaggio. In corso la caccia del sommergibile con torpediniere e MAS".
Il 18 dicembre il Truant concluse la missione rientrando a Malta. Il capitano di vascello Sidney Moffat Raw, comandante della 1st Submarine Flotilla, criticò Haggard in un rapporto ai superiori per aver disatteso gli ordini e le istruzioni ricevute e per aver corso rischi eccessivi. Haggard, da parte sua, ritenne che il suo superiore fosse risentito perché i suoi sommergibili fino a quel momento avevano colto ben pochi successi, mentre il suo Truant, arrivato da poco dal Regno Unito, aveva già affondato diverse navi.
 
Il relitto della Bonzo giace oggi su un fondale fangoso a 256 metri di profondità al largo di Monasterace, a 5,77 miglia dalla costa.
  
Lapide in memoria del marinaio Michele Zecchini nel cimitero di Marciana Marina (foto Francesco Bini, via Wikimedia Commons)

L’affondamento della Bonzo nel giornale di bordo del Truant (da Uboat.net):
 
"15 December 1940
2240 hours - Sighted a passenger liner on the Starboard bow. Course 180°, range 10000 yards. Closed to attack. Shortly afterwards the liner made a large alteration of course to Starboard leaving Truant almost astern. The liner proceeded South-West down the coast. What looked like a destroyer followed the liner a mile or so on her Port quarter.
2330 hours - Altered course to follow the liner keeping clear of the supposed destroyer. Increased to full speed and came to full buoyancy. Even if it was not possible to attack the liner it might be possible to find the point where enemy shipping for Africa leaves the Italian coast.
16 December 1940
0030 hours - It was now observed that what was thought to be a destroyer was a large tanker that was heavily laden. Switched target to the tanker.
0126 hours - Fired 3 torpedoes from 2000 yards. The first torpedo was seen to break surface. The second torpedo missed ahead and the third torpedo hit the tanker aft.
0128 hours - Fired 2 more torpedoes from very close range. Both hit and the tanker sank very quickly.
0140 hours - Altered course to close the liner. The Italian Caralis was heard making a signal to Taranto. It was considered possible that this liner was an armed merchant cruiser and was the escort of the tanker."