Una bella foto dell’Uragano nel 1942 (g.c. Giorgio Parodi
via www.naviearmatori.net)
|
Torpediniera di
scorta classe Ciclone (1160 tonnellate di dislocamento standard, 1652 in carico
normale, 1800 a pieno carico). Svolse in tutto 22 missioni di scorta da e per la
Libia e la Tunisia, abbattendo almeno un velivolo nemico nel corso delle sue
numerose schermaglie con i velivoli angloamericani che incessantemente
attaccavano i convogli.
Breve e parziale cronologia.
17 giugno 1941
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste.
3 maggio 1942
Varo nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Trieste.
26 settembre 1942
Entrata in servizio.
Ne assume il comando il capitano di corvetta Luigi Zamboni, che manterrà tale
incarico sino all’affondamento.
L’addestramento,
effettuato a Pola, viene svolto a ritmi serrati e dura poco più di un mese,
essendo necessario inviare la nave il prima possibile nel canale di Sicilia,
dove vi è una grande necessità di moderne navi adatte a scortare i convogli,
attaccati sempre più intensamente dal mare e dall’aria.
Inquadrata nella II
Squadriglia Torpediniere di Scorta, l’Uragano
viene adibita dapprima alla scorta di convoglio tra la Grecia ed il Nordafrica
e poi tra la costa tirrenica meridionale italiana e la Tunisia.
Agosto 1942: l’Uragano (a sinistra) in allestimento nei
CRDA di Trieste. Sulla destra vi sono l’incrociatore antiaerei Etna, destinato a non essere mai
completato, e la moderna nave cisterna Carnaro,
pure in costruzione (g.c. Francesco De Domenico via www.naviearmatori.net)
|
4 novembre 1942
Scorta dal Pireo a Bengasi,
insieme alla gemella Ardito ed ai
cacciatorpediniere Freccia, Folgore ed Hermes (quest’ultimo tedesco), un convoglio formato dalla
pirocisterna Portofino (carica
soprattutto di benzina e nafta), dalla motonave Col di Lana e dal piroscafo Anna
Maria Gualdi. Sebbene reiteratamente e pesantemente attaccato da aerei
britannici, il convoglio raggiunge la destinazione senza danni nella tarda
mattinata del 4 novembre.
23 novembre 1942
Nella notte tra il 22
ed il 23 attacca un sommergibile nemico nel Basso Tirreno, tentando di
speronarlo mentre questi naviga in superficie, ma senza riuscirci.
1° dicembre 1942
Alle 17.10 l’Uragano prende il mare per aggregarsi
alla scorta (torpediniere Groppo, Sirio, Pallade ed Orione) del
convoglio «B» (piroscafi Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa), proveniente da Napoli (da dove
è partito alle 14.30 del 30 novembre) e diretto in Tunisia. Alle 19.35 anche la
X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale ed Ascari) viene inviata a rinforzare la scorta, ma la notizia che la
Forza Q britannica (incrociatori leggeri Aurora,
Sirius ed Argonaut, cacciatorpediniere HMCS Quiberon e Quentin) è
uscita in mare fa sì che il convoglio «B», ritenuto a rischio
d’intercettazione, venga infine dirottato su Palermo. Un altro convoglio,
l’«H», fatto proseguire, verrà distrutto nella notte seguente dalla Forza Q,
con gravissime perdite, nello scontro divenuto noto come del banco di Skerki.
4 dicembre 1942
Viene colpita a Biserta da un attacco aereo, con molti morti e feriti tra l’equipaggio. Rimangono uccisi il sottocapo cannoniere Guido Bergamaschi, il marinaio Terzo Casadei Dellachiesa, il guardiamarina Mario Margheri, il marinaio cannoniere Pietro Parodi, il capo radiotelegrafista di terza classe Vittorio Portoso, il marinaio elettricista Celestino Salvador, il sergente silurista Mario Schiaroli ed il sottocapo meccanico Giacomo Tasca. Molti altri sono i feriti gravi, tra cui il sottotenente di vascello Marino Chalvien di Lussinpiccolo.
15 gennaio 1943Viene colpita a Biserta da un attacco aereo, con molti morti e feriti tra l’equipaggio. Rimangono uccisi il sottocapo cannoniere Guido Bergamaschi, il marinaio Terzo Casadei Dellachiesa, il guardiamarina Mario Margheri, il marinaio cannoniere Pietro Parodi, il capo radiotelegrafista di terza classe Vittorio Portoso, il marinaio elettricista Celestino Salvador, il sergente silurista Mario Schiaroli ed il sottocapo meccanico Giacomo Tasca. Molti altri sono i feriti gravi, tra cui il sottotenente di vascello Marino Chalvien di Lussinpiccolo.
L’Uragano, la gemella Groppo ed una terza torpediniera, la Clio, partono da Napoli alle 17 per scortare a Biserta (dove
l’arrivo è previsto per le dieci del 16 gennaio) le motonavi Emma (italiana) ed Ankara (tedesca). Alle 19.10 il convoglio viene avvistato ad una
decina di miglia da Ischia dal sommergibile britannico P 228 (poi Splendid), che
diciassette minuti più tardi lancia cinque siluri da 1830 metri. L’Emma viene colpita da un siluro,
rimanendo immobilizzata; le unità della scorta contrattaccano con alcune bombe
di profondità (nessuna delle quali esplode vicino al sommergibile), poi due
delle torpediniere danno assistenza alla motonave danneggiata. Verso le 21.50
una delle navi rileva il P 228 (che
si sta avvicinando per finire la nave danneggiata) con l’ecogoniometro ma, non
appena aumenta la velocità, perde di nuovo il contatto. Alle 23.50 il P 228 lancia infruttuosamente un altro
siluro, poi si ritira momentaneamente, mentre la Clio rimane nei pressi dell’Emma
e Groppo ed Uragano cercano infruttuosamente il sommergibile a nordovest della
sua reale posizione. Il mare mosso da Maestrale sbatte ripetutamente la Clio contro l’Emma nel tentativo, da parte della prima, di fornire aiuto, costringendola
a rientrare a Napoli. Alle 7.15 del 16 gennaio l’Emma, assistita da una torpediniera e raggiunta da due
rimorchiatori d’altura, può essere infine presa a rimorchio per essere
riportata a Napoli, ma così facendo le navi si riavvicinano, inconsapevolmente,
al P 228, che alle 8.35 lancia un
siluro da soli 690 metri: l’Emma – il
cui carico comprende 300 tonnellate di munizioni – viene colpita ed esplode, affondando
in posizione 40°25’ N e 13°56’ E, una quindicina di miglia a sudovest di Capri.
Su 350 uomini a bordo, si salvano in sette.
Alle 10.07 le unità
della scorta attaccano il P 228: una
prima bomba di profondità scoppia piuttosto vicina al sommergibile, che viene
rilevata dagli ecogoniometri con crescente precisione. Il P 228 scende a 107 metri, e poco dopo un pacchetto di dieci bombe
di profondità esplode a poppavia, vicino al battello: dopo quest’attacco, però,
il contatto viene perso, ed il sommergibile riesce ad allontanarsi.
17 gennaio 1943
Uragano e Saetta lasciano
Palermo alle 23.30, per scortare l’Ankara
a Biserta.
18 gennaio 1943
Alle 14.15 l’Ankara urta una mina posata dal
sommergibile britannico Rorqual nel
punto 37°24’ N e 10°18’ E: nonostante il tentativo, da parte del Saetta, di prenderla a rimorchio, la
motonave affonda alle 15.30 ad est dell’Isola dei Cani.
31 gennaio 1943
Parte da Napoli alle
4.30 insieme al cacciatorpediniere Saetta
ed alle torpediniere Sirio, Monsone e Clio, per scortare a Biserta, via Palermo, le moderne motonavi da
carico Manzoni, Mario Roselli ed Alfredo Oriani.
Il 31 gennaio il convoglio viene infruttuosamente attaccato (con lancio di
siluri), a nordovest della Sicilia, dal sommergibile britannico Turbulent.
1° febbraio 1943
Il convoglio sosta a
Palermo dalle 17.45 del 1° gennaio alle 00.30 del 2.
2 febbraio 1943
Lasciata Palermo, il
convoglio raggiunge Biserta alle 15 del 2 gennaio.
Mine
L’Uragano, al comando del capitano di
corvetta Luigi Zamboni, lasciò Biserta alle 5.30 del 3 febbraio 1943, per
scortare a Napoli (via Trapani), insieme alle torpediniere Sirio (caposcorta, capitano di vascello Corrado Tagliamonte), Monsone e Clio ed al cacciatorpediniere Saetta,
la grande motonave cisterna Thorsheimer,
di ritorno scarica. Il cielo era sereno, ma nella notte aveva cominciato a
soffiare un forte vento di Maestrale, che causava mare agitato; la visibilità
era mediocre.
Era per l’Uragano l’inizio della ventiduesima
missione: non ce ne sarebbe stata un’altra.
Le navi del convoglio
seguirono inizialmente in linea di fila la Sirio
a bassa velocità, poi accelerarono sino a raggiungere la velocità prefissata
per la traversata, per poi porsi in formazione su file parallele distanziate di
300 metri (la Thorsheimer, preceduta
di 1500 metri dalla Monsone – che era
in testa alla formazione –, al centro, con Uragano
seguita dal Saetta a dritta e Sirio seguita dalla Clio a sinistra) alle ore 6.50, mentre si trovavano al traverso
dell’Isola dei Cani, una decina di miglia a nordest di Biserta, ed assumere
rotta verso nord.
Le condizioni in cui
il convoglio navigava non erano delle migliori: foschia, mare forza 4-5 (poi
forza 5, molto agitato) da nordovest e vento di Maestrale forza 6. Alle 8.17 Uragano e Monsone – uniche unità della scorta ad essere dotate di
ecogoniometro, essendo anche le più moderne – riferirono che il mare agitato
disturbava parecchio la ricerca con l’ecogoniometro a frequenza acustica
“Safar” di cui erano dotate (il quale, sistemato nel casotto di rotta, non
forniva più indicazioni quando la nave rollava, oltre ad essere rumoroso, poco
illuminato ed affetto da echi accessori).
Tra le 8.40 e le
9.26, la situazione era tutt’altro che favorevole: le navi rollavano e
scarrocciavano violentemente, ed il rollio impediva l’impiego dello scandaglio,
oltre ad impedire, insieme alla foschia, di calcolare la posizione con
precisione per capire se si stava seguendo la rotta: a bordo delle navi del
convoglio, in quel momento, non lo si poteva sapere, ma le unità erano già
scadute di un miglio più ad est della rotta prevista. Se non altro, il maltempo
avrebbe dovuto ostacolare anche eventuali attaccanti. D’altra parte,
continuando così il convoglio sarebbe potuto finire anche sui campi minati
difensivi italiani.
Alle 9 la Thorsheimer segnalò che aveva dovuto
abbassare la velocità a dieci nodi.
Alle 9.38 il
convoglio aveva appena accostato a dritta per dirigere su Marettimo, quando l’Uragano fu scossa da un’esplosione: la
nave aveva urtato una mina, in posizione 37°35’ N e 10°37’ E. L’ordigno, come
fu appurato dalla commissione d’inchiesta del capitano di fregata Luigi Ronca e
da successive ricerche, faceva parte di uno sbarramento di 160 mine (suddiviso
in due spezzate di 70 e 90 ordigni rispettivamente) posato il 9 gennaio 1943 dal
posamine britannico Abdiel a sud di
Marettimo ed al largo del banco di Skerki, circa 40 miglia a nordest di Biserta:
nel mese precedente vi erano già capitati due cacciatorpediniere, il Corsaro ed
il Maestrale, con perdita del primo e grave danneggiamento del secondo.
Priva di parte della
poppa, asportata dall’esplosione (che si era verificata in corrispondenza del
locale del timone, distruggendo quest’ultimo), l’Uragano rimase immobilizzata ed alla deriva, in balia del mare. Il
comandante in seconda, sebbene fosse stato gravemente ferito ad una gamba
dall’esplosione della mina, radunò l’equipaggio di prua, e fece mettere a mare
i mezzi di salvataggio a disposizione: due lance e cinque zattere. Le due
uniche lance dell’Uragano furono però
subito capovolte dalla furia del mare, così che i naufraghi – molti
sottufficiali e marinai si gettarono in mare – dovettero tutti prendere posto
sulle zattere. Il comandante Zamboni e tutti gli ufficiali, tranne l’ufficiale
di rotta, che salì su una zattera, restarono invece a bordo.
L’imponente colonna di
fumo ed acqua sollevatasi a poppa della torpediniera al momento dell’esplosione
era stata vista anche dalle altre navi; queste tentarono di contattare l’Uragano con la radio ad onde ultracorte,
ma inizialmente non ci fu nessuna risposta, poi la nave segnalò “colpito da
mina”.
Alle 9.40 il
caposcorta, compreso che l’Uragano aveva
urtato una mina, ordinò alla Clio ed
al Saetta, che procedevano in linea
di fila con un intervallo di 500 metri tra di loro, di avvicinarsi all’Uragano per darle assistenza. Il Saetta fece presente di essere la nave
con il maggiore pescaggio, dunque più vulnerabile alle mine, ma non vi fu
risposta all’obiezione, pertanto il cacciatorpediniere eseguì l’ordine e,
ridotta la velocità a mezza forza, iniziò l’accostata con tutta la barra a
sinistra. Il Saetta giunse così circa
200 metri a poppavia dell’Uragano
(che frattanto, trovandosi traversata ed immobilizzata, era andata
scarrocciando verso nordovest – per altra fonte sudest –, in direzione dei
campi minati italiani), ma alle 9.48 urtò a sua volta una mina, spezzandosi in
due e colando a picco in una cinquantina di secondi, con gran parte dei 209
uomini del suo equipaggio (i sopravvissuti furono solamente 39).
Da bordo dell’Uragano gli uomini non poterono che
assistere impotenti alla fine della nave che avrebbe dovuto soccorrerli; alcuni
videro il comandante del Saetta,
capitano di corvetta Enea Picchio, fare il saluto romano in plancia mentre la
nave affondava. Alle 9.50 la Clio
riferì che il Saetta aveva urtato una
mina, ed alle 9.51 la Sirio ordinò
alla Clio, che non si poteva
avvicinare di più per non fare la stessa fine, di fermarsi e raccogliere i
naufraghi con il proprio battello, mentre il resto del convoglio procedeva
sulla rotta. Il maltempo frustrò anche il tentativo della Clio, ed alle 10 il caposcorta, constatata l’impossibilità
dell’intervento da parte di questa unità (mare e vento l’avrebbero fatta
scarrocciare, ed avrebbero impedito l’utilizzo del battello), dovette ordinare
anche ad essa di rinunciare al soccorso e di seguire la Sirio nella scia.
Tremenda, e purtroppo
non una novità, la scelta che si poneva al caposcorta: rischiare altre delle
proprie navi per tentare il soccorso, od abbandonare l’Uragano danneggiata ed i naufraghi del Saetta al loro destino per non mandare altre unità incontro ad una
eguale, pressoché certa, ed inutile fine.
Il dubbio fu sciolto
alle dieci da Supermarina, che, avendo ricevuto notizia alle 9.55 di quello che
era successo al Saetta, nonché
dell’impossibilita di soccorrere i naufraghi a causa del vento e del mare forza
5, ordinò al resto del convoglio di tornare in formazione e proseguire verso
Napoli (ordine poi riconfermato alle 13.04): altri e più appropriati mezzi
sarebbero stati inviati a prestare soccorso. Alle 10.55 la Sirio comunicò a Supermarina che era impossibile soccorrere i
naufraghi a causa delle condizioni di vento e di mare, alle 12.05 che la
situazione dell’Uragano (che continuò
a comunicare con la Sirio ancora per
lungo tempo, mediante il radiosegnalatore) era estremamente critica, contattando
inoltre Biserta per chiedere l’invio di mezzi di soccorso. Il comandante
Zamboni, che aveva mantenuto la propria calma e fermezza, contattò ancora varie
volte il caposcorta Tagliamonte. Le quattro navi rimaste indenni raggiunsero
Napoli alle 12.50 del 4 febbraio.
Lunghissima fu
l’agonia dell’Uragano, galleggiante
ma in lento ed inesorabile affondamento, in balia del vento e del mare: dalla
plancia il comandante Zamboni diresse il tentativo di salvare la nave, cercando
di arginare le vie d’acqua, ma alla fine risultò evidente che era tutto inutile,
pertanto ordinò a quanti restavano di prendere posto sulle zattere. Zamboni
rimase sul ponte di comando, e con lui i suoi ufficiali, che non lo vollero
lasciare.
Su di una zattera
erano imbarcati il capo cannoniere di terza classe Giovanni Ceccon, che ne
assunse il comando, il secondo capo cannoniere Adolfo Restuccia, i cannonieri
Giuseppe D’Onofrio e Stefano Porcelli, il fuochista Michele Buonaccori, il
sottocapo meccanico Ciurci e l’elettricista Maresca.
La seconda zattera
aveva a bordo l’ufficiale di rotta (unico ufficiale a non essere affondato con
l’Uragano), il nocchiere Gioacchino
Barone, i fuochisti Attilio Cavallero, Egidio De Francesco e Faliero Ricci, il
motorista Pozzoni e parecchi altri uomini (in tutto vi potevano trovare posto
circa trenta uomini).
Della terza zattera
prese il comando il segnalatore Orazio Rosa; su una quarta salirono il
sottocapo meccanico Albino Pinter ed il motorista Mario Terzagli. Due marinai,
Alessi e Dell’Acqua, si arrampicarono sulla iole dell’Uragano, sistemandovisi a cavalcioni.
Lo scarroccio
allontanò progressivamente le zattere dall’Uragano:
l’ultima volta che i loro occupanti videro il comandante Zamboni, questi era
ancora in plancia insieme al comandante in seconda, gravemente ferito, ed agli
altri ufficiali (tranne quello di rotta). Di quelli che ancora non avevano
abbandonato la nave, nessuno sopravvisse per raccontarne gli ultimi istanti.
Fin verso mezzogiorno
gli uomini a bordo delle zattere, che il forte vento portava sempre più lontane
dal relitto galleggiante che era stata la loro nave, videro l’albero dell’Uragano che svettava tra le onde,
indicando loro la presenza della torpediniera. Poi più nulla.
L’ultimo messaggio
proveniente dall’Uragano, che
informava sulla sua disperata situazione, fu ricevuto dal convoglio alle 13.33,
quasi quattro ore dopo l’urto contro la mina.
Poco dopo, intorno
alle 13.35, l’Uragano affondò nel punto
37°35’ N e 10°37’ E, una cinquantina di miglia a nordest dello scoglio dei Cani:
la seguirono in fondo al mare il comandante Zamboni e tutto il suo stato
maggiore. La memoria del comandante Zamboni fu onorata da una Medaglia d’oro al
Valor Militare.
Il capitano di corvetta Luigi Zamboni (da www.movm.it) |
Non ebbero speranze
di salvezza molto maggiori i naufraghi della torpediniera, dispersi dal mare
mosso, imbarcati su minuscole zattere che venivano continuamente rovesciate
dalle onde. I più annegarono o soccombettero all’ipotermia prima che i soccorsi
potessero arrivare.
La iole con a bordo
Dell’Acqua ed Alessi scomparve dopo qualche tempo, e non se ne ebbero mai più
notizie. Poi, quando calò il buio, anche la zattera di Pinter e Terzagli fu
persa di vista: nemmeno di loro si seppe più nulla.
Sulla zattera del
capo di terza classe Ceccon, spirarono dopo circa un giorno il sottocapo
meccanico Ciurci e l’elettricista Maresca. Gli altri cinque uomini riuscirono
invece a resistere fino all’arrivo dei soccorsi.
Sulla zattera
dell’ufficiale di rotta, morirono l’ufficiale di rotta stesso, il fuochista De
Francesco e parecchi marinai; assunse il comando della zattera il nocchiere
Barone.
La prima unità a
prendere il mare per la ricerca dei naufraghi fu, alle 16.20 del 3 febbraio, il
rimorchiatore di salvataggio Ciclope,
partito da La Goletta su ordine dell’ammiraglio Bianchieri. Il Ciclope, però, era troppo lento ed aveva
un pescaggio troppo elevato per poter raggiungere celermente e senza rischi il
luogo del disastro, così che a mezzanotte, stanti le condizioni del mare
ulteriormente deterioratesi, Supermarina dovette ordinargli di tornare in
porto.
Il giorno seguente,
migliorato un po’ il tempo, fu possibile far salpare da Biserta, Tunisi,
Trapani e Pantelleria MAS, vedette, motozattere e navi soccorso, tutte unità
abbastanza piccole da poter raggiungere il punto del sinistro senza correre
rischi eccessivi; presero parte alle ricerche anche degli aerei.
Fu solo la sera del 4
febbraio, intorno alle 18, che alcune motovedette provenienti da Biserta
poterono raggiungere i tre zatterini su cui resistevano gli ultimi
sopravvissuti: erano solo 15, su 129 uomini.
Dalla zattera del
segnalatore Rosa furono salvati, oltre allo stesso Rosa, i cannonieri Domenico
Stuto e Domenico La Scala, il motorista Ernesto Micheli, il fuochista Rinaldo
De Bartoli ed il furiere Michele Mangano. Della zattera del nocchiere Barone,
furono tratti in salvo lo stesso Barone, Cavallero, Ricci e Pozzoni; dalla
zattera di capo Ceccon furono recuperati lo stesso Ceccon, Restuccia,
D’Onofrio, Porcelli e Buonaccori.
Delle due lance e
delle altre due zattere non fu mai trovata traccia. I supertiti furono sbarcati
a Biserta, dove due di loro, Pozzoni e La Scala, furono ricoverati nel locale
ospedale.
Il mare aveva
inghiottito 114 uomini dell’Uragano:
tutti e 9 gli ufficiali, 13 dei 16 sottufficiali e 92 dei 104 sottocapi e
marinai.
I loro nomi:
Calenzino Alessandrini, sottocapo cannoniere,
disperso
Filippo Alessi, marinaio, disperso
Giuseppe Allasio, marinaio, deceduto
Salvatore Amato, marinaio cannoniere, disperso
Nicolino Bacci, sottocapo silurista, disperso
Aurelio Bacchiani, marinaio silurista,
disperso
Gioacchino Baldassare, marinaio cannoniere,
disperso
Arturo Baldini, capo silurista di prima
classe, disperso
Teresio Battaglino, marinaio fuochista,
disperso
Cesare Belletti, capo nocchiere di terza
classe, deceduto
Mauro Bertini, sottotenente del Genio Navale,
disperso
Francesco Bittolo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Bortolini, sottocapo meccanico,
disperso
Rocco Bosio, sottocapo furiere, disperso
Luigi Giuseppe Brulicchio, marinaio
cannoniere, disperso
Giuseppe Cacace, marinaio fuochista, disperso
Francesco Capuano, sottocapo fuochista,
dispeso
Severino Carloni, marinaio motorista, disperso
Teresio Carrà, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Carta, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Castana, marinaio, disperso
Bruno Cavassuto, marinaio cannoniere, disperso
Basilio Cazzato, marinaio, deceduto
Antonio Cherubini, marinaio cannoniere,
disperso
Vincenzo Chierico, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Cirrincione, marinaio cannoniere,
disperso
Umberto Ciucci, sottocapo meccanico, deceduto
Giosuè Civitareale, secondo capo meccanico,
disperso
Michele Matteo Cornacchione, sottocapo
meccanico, disperso
Giuseppe Cortinovis, marinaio fuochista,
disperso
Antonino Costa, marinaio cannoniere, disperso
Gregorio Cozzolino, marinaio, disperso
Michele D’Amore, sottocapo elettricista,
deceduto
Giuseppe D’Esposito, marinaio, deceduto
Fausto Daco, sottocapo silurista, disperso
Domenico Damiano, marinaio nocchiere, disperso
Egidio De Francesco, marinaio fuochista,
disperso
Francesco De Marco, sottocapo elettricista,
disperso
Elio Dei, capo nocchiere di seconda classe,
disperso
Emilio Dell’Acqua, marinaio, disperso
Luciano Delponte, marinaio silurista, disperso
Giovanni Di Cerbo, sergente silurista,
disperso
Angelo Di Leonardo, marinaio fuochista,
disperso
Pancrazio Di Meglio, marinaio, disperso
Gennaro Di Terlizzi, marinaio cannoniere,
disperso
Giacomo Domeneghini, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Fatuta, sottocapo furiere, disperso
Ciro Formicola, capitano CREM, disperso
Agostino Fraternali, marinaio fuochista,
disperso
Pietro Gallina, marinaio fuochista, disperso
Antonio Gambino, sergente radiotelegrafista,
disperso
Matteo Gianelli, guardiamarina, disperso
Michelangelo Giardiello, secondo capo
meccanico, disperso
Giovanni Giovatto, sergente cannoniere,
disperso
Alberto Grandoni, tenente di vascello,
disperso
Michele Gurliaccio, marinaio, disperso
Pasquale Iacono, marinaio, deceduto
Pasquale Iannoli, marinaio segnalatore,
disperso
Leonardo Lizzi, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Sergio Magi, sottotenente di vascello,
disperso
Antonio Mancini, marinaio, disperso
Felice Manzini, marinaio, disperso
Gennaro Maresca, marinaio elettricista,
disperso
Gino Paolo Marmai, sottocapo meccanico,
disperso
Erminio Marongiu, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Mastroianni, marinaio torpediniere,
disperso
Giacinto Matarazzo, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Francesco Mazzeo, marinaio, disperso
Paolo Micalizzi, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Michelotti, marinaio fuochista, disperso
Gennaro Miele, marinaio nocchiere, disperso
Carlo Millo, marinaio, disperso
Ottavio Minieri, sottocapo cannoniere,
disperso
Cataldo Mondo, marinaio S. D. T., disperso
Strata Monti, marinaio fuochista, disperso
Angelo Moretti, marinaio elettricista,
disperso
Umberto Mori, sottocapo silurista, deceduto
Vitale Nuzzo, marinaio cannoniere, disperso
Renato Ostorero, marinaio motorista, disperso
Salvatore Pace, guardiamarina, disperso
Francesco Pala, marinaio fuochista, disperso
Pietro Palma, marinaio fuochista, disperso
Orlando Panucci, marinaio torpediniere,
disperso
Salvatore Parisi, marinaio fuochista, disperso
Ignazio Parrino, tenente commissario, deceduto
Luciano Pasquini, marinaio torpediniere,
disperso
Goffredo Pastore, sergente radiotelegrafista,
disperso
Natale Pesci, marinaio, disperso
Giordano Piazza, marinaio cannoniere, disperso
Mario Pironi, capo elettricista di seconda
classe, disperso
Consalvo Polidori, sottocapo meccanico,
disperso
Ernesto Puglisi, marinaio furiere, disperso
Alberto Ramacciotti, marinaio cannoniere,
disperso
Vittorio Rimondi, marinaio infermiere,
disperso
Luigi Romano, sottocapo cannoniere, disperso
Eros Roselli, marinaio furiere, disperso
Bernardo Rosso, marinaio elettricista,
disperso
Salvatore Ruello, marinaio cannoniere,
disperso
Salvatore Ruggeri, sottocapo elettricista,
deceduto
Luigi Saccone, marinaio elettricista, disperso
Remigio Sandri, marinaio silurista, disperso
Carmelo Santamaria, marinaio fuochista,
disperso
Guido Sioni, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Rosario Spinelli, sottocapo elettricista,
disperso
Giuseppe Tagliabue, marinaio cannoniere,
disperso
Angelo Tamborrino, marinaio segnalatore,
disperso
Salvatore Tarantino, marinaio, disperso
Giuseppe Tocco, marinaio, disperso
Antonio Tonti, marinaio cannoniere, disperso
Vincenzo Trincucci, marinaio cannoniere,
disperso
Salvatore Turchi, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Ucciardo, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Urso, sergente S. D. T., disperso
Ernesto Valdes, marinaio fuochista, disperso
Otello Venturelli, secondo capo meccanico,
disperso
Salvatore Verde, sottotenente medico, disperso
Angelo Vianello, marinaio motorista, disperso
Luigi Zamboni, capitano di corvetta
(comandante), disperso
Il marinaio fuochista Giuseppe Cortinovis, 21 anni, da Azzano San Paolo, disperso nell’affondamento (da “Per non dimenticare” di Lino Manzoni, via Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it) |
La motivazione della
Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
corvetta in servizio permanente effettivo Luigi Zamboni, nato a Bologna il 14
luglio 1909:
«Valoroso comandante di torpediniera, già
distintosi in precedenti azioni di guerra, eseguiva numerose scorte di convogli
nazionali sulle ardue rotte del Canale di Sicilia aspramente contrastate
dall’avversario, dimostrando sereno coraggio ed elevate doti di comando. Avuto
ordine di riportare in Patria a qualunque costo una grossa petroliera, malgrado
le avverse condizioni di mare, attraversava arditamente — quale unica via
possibile — zona minata dal nemico compresa fra imponenti sbarramenti di mine
nazionali. Colpita e gravemente danneggiata la sua unità da improvvisa
esplosione di arma subacquea, rimasto in balia delle onde e sospinto dal vento
e dalla corrente sui vicini sbarramenti, si prodigava serenamente fino allo
estremo limite delle umane possibilità per mantenere la calma e la fiducia nei
suoi uomini e per fronteggiare la gravissima situazione. Quando, dopo lunghe ore
di lotta, non era più possibile contenere le vie d’acqua che minacciavano di
sommergere l’unità, disponeva l’imbarco della gente sulle zattere di
salvataggio mentre egli, unitamente ai suoi ufficiali che trascinati dal suo
esempio non lo vollero abbandonare, rimaneva sulla sua nave per dividerne la
sorte. Nell'improvviso precipitare degli
eventi si inabissava con il suo Stato Maggiore in quelle acque che avevano
conosciuto il suo cosciente ardimento, lasciando fulgido esempio di eroica
abnegazione e sublime attaccamento al dovere ed alla nave posta al suo comando.
Canale di Sicilia, 3
febbraio 1943.»
Un’altra immagine dell’Uragano nel 1942 (g.c. Giorgio Parodi
via www.naviearmatori.net)
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Si ringrazia Adolfo Zamboni.
Sono il figlio minore del Sottotenente di Vascello Chalvien Marino di Lussinpiccolo (Pola) ferito sulla plancia dell' Uragano il giorno 04/12/1942 durante un attacco aereo. Desidero segnalare un errore di trascrizione del nome di mio padre che era "Marino" e non "Mario" come sopra citato nell'articolo. Grazie dell'attenzione.
RispondiEliminaCSDM Chalvien Nevio
Buonasera,
Eliminala ringrazio per la segnalazione; provvedo subito a correggere.
Salve e grazie per il vostro articolo, riguardo ad un fuochista dell"Uragano" vi segnalo un errore,
RispondiEliminaErminio Marongiu di Arzana anziché Emilio. Appena avrò in mano una foto sarà un piacerà renderla disponibile,
Cordiali saluti Todde Frederic
La ringrazio, provvedo a correggere.
EliminaBuonasera. Sono il nipote del capo meccanico Micoli Fedele, sopravvissuto al naufragio della Regia Torpediniera Uragano. Mio Nonno, Istriano di ferro e fervente Italiano, saltuariamente parlava dell'uragano. Raccontava che era uscito vivo da quell'inferno grazie ad uno zatterino che aveva barattato con un Tedesco. Durante i due giorni di tragica deriva aveva dovuto sopportare anche "l'allontanamento" coatto di alcuni uomini impazziti per la situazione. Lui è stato uno dei pochi sopravvissuti. Arrivato con lo zatterino nei pressi di Capo Bon venne interessato dai Tedeschi a presidio rispondendo di essere membro della Italienische Krigsmarine. A quel punto scortarono i 12 superstiti verso la caserma. Se nza più pelle sulla pianta dei piedi, causa salmastro di due giornate, si tolse le mutande per fasciarsi i piedi stessi. A questo seguì un periodo di ospedale. È mancato nel 1999 all'età di 92 anni!! In queste cronache non trovo io suo nome. Vi chiedo di aiutarmi perché mi sembra inverosimile non trovarlo nell'elenco dei superstiti di questa tragedia.
RispondiEliminaGrazie
In effetti è piuttosto strano. Il particolare dello zatterino barattato con il tedesco mi sembra poco probabile, in quanto non mi risulta che vi fossero tedeschi imbarcati su questa nave. E' possibile che suo nonno sia stato imbarcato sull'Uragano, ma che questo suo racconto sia invece riferito ad un altro naufragio in cui fu coinvolto, precedente o successivo?
EliminaBuonasera. Innanzitutto grazie per la risposta.
RispondiEliminaPer quanto riguarda lo zatterino, questo era stato barattato a terra non so con quale militare tedesco. La questione relativa alla eventuale confusione tra più naufragi è plausibile. Durante la sua carriera in Marina mio Nonno ne aveva sopportati ben 4. Tuttavia credo che non potesse sbagliare circa la tragedia vissuta sulla Torpediniera Uragano, considerata la dovizia di particolari che rappresentava e al riscontro rappresentato dalle cronache dell'episodio lette su alcune fonti.Anche mia Nonna ne parlava.
Certo, è singolare non trovare il suo nome nell'elenco dei sopravvissuti.
Mi chiedo in che modo si possa svelare questo dilemma.
Una soluzione potrebbe essere di chiedere all'Archivio di Stato della provincia di nascita il suo foglio matricolare: ne risulterebbero i suoi diversi imbarchi e sapremmo così se era imbarcato sull'Uragano quando la nave affondò e quali altri naufragi ebbe a subire.
EliminaBuongiorno. Ho letto con grande attenzione le vicende della nave Uragano qui riportate e ringrazio per l'estremo dettaglio delle informazioni. Vorrei solo segnalare una rettifica: tra i dispersi viene indicato il marinaio Angelo Di Leonardo; il nome corretto è Angelo Di Leo. Era mio padre, morto poi nel 1986.
RispondiEliminaSegnalo anche, in base a quanto mi venne da lui raccontato, che la sua zattera venne intercettata da una nave inglese e gli occupanti trasferiti nel campo di prigionia di Luton alle porte di Londra.
Ringrazio ancora per la completezza delle informazioni e invio un cordiale saluto.
Franco Di Leo
Buongiorno,
Eliminasono abbastanza sicuro che si tratti di due persone diverse, i dispersi di questo elenco sono con certezza morti i cui corpi non furono mai recuperati. Angelo Di Leonardo era nato ad Alberobello il 5 maggio 1919; immagino che questi dati non coincidano con quelli di suo padre.
Buongiorno. Ringrazio per la precisazione che, in effetti, conferma che si tratta di due persone diverse. I dati di Angelo Di Leonardo non corrispondono infatti a quelli di mio padre.
RispondiEliminaMio padre, tuttavia, era imbarcato su quella nave. Si salvò dal naufragio, ma la sua zattera venne recuperata da forze inglesi, non italiane. Come può essere?
Grazie ancora per l'esauriente e dettagliato lavoro di ricerca.
Un cordiale saluto.
Franco Di Leo
Questo in effetti è abbastanza strano, lei avrebbe il foglio matricolare di suo padre?
EliminaBuonasera. Effettivamente anche a me sembra strano. Non ho il foglio matricolare di mio padre e, a dire il vero, non saprei come procurarmelo. Si può fare richiesta online al distretto della provincia di nascita, in questo caso Foggia? Grazie se potrà darmi qualche dritta al riguardo.
RispondiEliminaUn cordiale saluto.
Franco Di Leo
Buonasera,
Eliminacredo vada chiesto all'Archivio di Stato della provincia di nascita.
Cordialmente,
Lorenzo Colombo
Buongiorno. Provo a fare una verifica presso l'Archivio di Stato di Foggia e presso l'Ufficio Documentazione della Marina Militare che ha previsto un apposito modulo per le ricerche, da inviare via PEC. Se trovo qualcosa di interessante la contatterò di nuovo. Grazie ancora!
RispondiEliminaFranco Di Leo