mercoledì 30 dicembre 2015

Recca

Il Recca in Gran Bretagna nei primi anni Trenta (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net

Piroscafo da carico da 5441 tsl, 3428 tsn e 8615 tpl, lungo 123,2 metri, largo 16,4 e pescante 8,8, con velocità di 10,5-11 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Italia, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 2210 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

23 agosto 1919
Impostato nello Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste come Reka (numero di costruzione 568).
26 ottobre 1920
Varato nello Stabilimento Tecnico Triestino come Recca.
14 giugno 1921
Completato come Recca per la Navigazione Libera Triestina, avente sede a Trieste. Ha due gemelli, l’Arsa e l’Istria.
1937
Venduto alla Italia Società Anonima di Navigazione.
1937
Durante la guerra civile spagnola il Recca si ritrova a trasportare, in un’occasione, merce di “contrabbando” per le forze repubblicane spagnole, benché l’Italia stia combattendo contro i repubblicani: 563 tonnellate di piombo raffinato, per conto di una società francese.
Ottobre 1939
Il Recca, mentre l’Italia è ancora neutrale ma la seconda guerra mondiale già in corso, viene fermato a Marsiglia dalle autorità francesi, che sequestrano parte del carico. L’episodio genera vibrate proteste da parte della diplomazia italiana.
21 gennaio 1940
Il Recca partecipa, insieme ai piroscafi italiani ColomboConte BiancamanoEderaCellina, a due cacciatorpediniere francesi ed ad un rimorchiatore pure francese (quest’ultimo costretto al rientro dal mare mosso), alle operazioni di soccorso della motonave Orazio, che nel punto 42°36’ N e 05°28’ E, a circa 35 miglia da Tolone, ha preso fuoco durante una burrasca, a seguito di un un’esplosione verificatasi in sala macchine alle 5.30, mentre viaggiava da Genova a Barcellona (con destinazione finale Valparaiso) con a bordo 423 passeggeri e 210 membri dell’equipaggio. Il Recca recupera parte dei naufraghi; le vittime saranno alla fine 108, 48 passeggeri e 60 membri dell’equipaggio, in gran parte morte d’ipotermia sulle lance o annegate nel mare mosso. Terminati i soccorsi, la nave raggiunge Barcellona.

Cuba

Il 7 giugno 1940 il Recca si ormeggiò nel porto dell’Avana, nell’isola di Cuba. Quando, tre giorni dopo, l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, il piroscafo si trovava ancora nella capitale cubana, e divenne evidente che ci sarebbe rimasto per molto tempo.
La sua successiva storia fu molto simile a quella di tante altre navi italiane che la guerra sorprese nei porti dell’America centrale e meridionale. Per oltre nove mesi, il Recca languì in solitario internamento (unica altra nave italiana a Cuba era il piccolo panfilo Nenemoosha) nelle acque del piccolo Stato caraibico.
Quando alla fine del marzo 1941 gli Stati Uniti, benché neutrali, confiscarono tutti i mercantili dell’Asse che si trovavano internati nei loro porti, anche Cuba fu tra i molti Stati del Centro e Sud America che si allinearono a tale decisione, adottando analoghi provvedimenti nei confronti delle navi italiane e tedesche presenti nelle loro acque. Il 31 marzo 1941 il primo ministro cubano, Carlos Saladrigas, annunciò presso il palazzo presidenziale di aver ordinato alla Marina cubana di prendere in custodia il Recca, facendovi imbarcare delle guardie «per prevenire sabotaggi»; i giornali alleati descrissero tale decisione come segno di «solidarietà» verso gli Stati Uniti.
Il 1° aprile 1941 il Recca ed il suo equipaggio furono quindi posti dalla Marina cubana in «custodia protettiva» in quel di L’Avana. Quello stesso giorno, diverse bombe scoppiarono vicino alla casa del ministro cubano José Manuel Cortina, provocando pochi danni e nessun ferito; Cortina ritenne che l’attentato fosse opera della locale sezione della Falange spagnola, che aveva forti legami con i fascisti italiani, e che costituisse una ritorsione per il sequestro del Recca.
La cattura del piroscafo venne ufficializzata il 31 agosto 1941 e la nave, divenuta di proprietà del governo cubano, venne registrata a L’Avana e ribattezzata Libertad.
I 33 uomini che componevano l’equipaggio italiano del Recca vennero internati nell’Isla de Los Pinos (oggi conosciuta col nome di Isla de la Juventud), insieme ad altri nove italiani, residenti a Cuba, ritenuti di convinzioni fasciste. Sarebbero stati liberati nel novembre 1943, dopo l’armistizio tra Italia ed Alleati, ma due di loro non sarebbero mai tornati in Italia: il capo fuochista Angelo Serretta, genovese, morì il 25 gennaio 1945 durante la permanenza forzata a Cuba, mentre il fuochista Giuseppe Lombardo, di Torre del Greco, morì il 2 febbraio 1945.

Dato in gestione alla Victory S. S. Line, il Libertad prese nuovamente il mare con un equipaggio cubano. Dopo che Cuba, seguendo gli Stati Uniti, ebbe dichiarato guerra all’Asse (al Giappone l’8 dicembre 1941; a Italia e Germania l’11 dicembre), il piroscafo iniziò a solcare il Mar dei Caraibi e l’Atlantico occidentale facendo parte di numerosi convogli: il TAW 9 (Trinidad-Key West, luglio 1942), il CK 302 (L’Avana-Key West, ottobre 1942), il KC 7 (Key West-L’Avana, novembre 1942), il CK 309 (L’Avana-Key West, novembre 1942), il KP 419 (Key West-Pilottown, novembre 1942), il KG 642 (Key West-Guantanamo, giugno 1943), il KH 403 (Key West-Galveston Bar, luglio 1943), il KH 415 (Key West-Galveston Bar, agosto 1943), il KG 653 (Key West-Guantanamo, agosto 1943), il KH 423 (Key West-Galveston Bar, settembre 1943), l’HK 131 (Galveston Bar-Key West, settembre 1943), il KG 658 (Key West-Guantanamo, settembre 1943), il KG 664 (Key West-Guantanamo, ottobre 1943), l’NG 397 (New York-Guantanamo, novembre 1943), il KG 671 (Key West-Guantanamo, novembre 1943).

Il 1° dicembre 1943 il Libertad, dopo essere giunto a Miami da Antilla (Cuba) scortato da una cannoniera e con a bordo un carico di 8000 tonnellate di zucchero, ne ripartì alla volta di Baltimora, aggregandosi al convoglio KN 280 (partito da Key West e diretto a New York con dieci navi mercantili, scortato da un panfilo armato e tre cutter della Guardia Costiera statunitense).
Il mattino del 4 dicembre 1943, mentre il piroscafo navigava nella posizione n. 13 del convoglio, il sommergibile tedesco U 129 (tenente di vascello Richard von Harpe) gli lanciò quattro siluri; due di essi colpirono, alle 8.57, sul lato sinistro, uno nella stiva numero 4 e l’altro più a poppavia. Il Libertad sbandò fortemente ed affondò di poppa in pochissimo tempo nel punto 34°12’ N e 75°20’ O (o 34°30’ N e 74°42’ O), circa 75 miglia a sud/sudest di Capo Hatteras, prima che l’equipaggio riuscisse a calare due lance.
Dei 43 membri dell’equipaggio cubano, dodici raggiunsero due zattere, che legarono insieme; quattro si arrampicarono su una scialuppa capovolta ed almeno nove si aggrapparono a tavole ed altri rottami che galleggiavano. I naufraghi cercarono di richiamare l’attenzione di altre navi con una torcia elettrica ed accendendo un composto galleggiante di sodio, ma invano.
Non ci fu il tempo di lanciare un SOS, e nessuna delle altre navi, nella notte piovosa e senza luna, vide il Libertad affondare: solo il mattino successivo si accorsero della sua mancanza, e da Norfolk presero il mare la fregata USS Natchez ed il cacciasommergibili PC-564 per setacciare la zona; i cacciasommergibili SC-1306 e SC-1358 ricevettero l’ordine di rastrellare la rotta del convoglio, mentre da Cherry Point decollarono tre idrovolanti Lockheed Ventura, da Norfolk un PBM Mariner, da Elizabeth City un Hall PH e da Weeksville due dirigibili.
Alle 18.35 del 5 dicembre il dirigibile K-82 (guardiamarina Frank J. Hudner) avvistò dei naufraghi aggrappati a rottami galleggianti in posizione 34°40’ N e 74°53’ O, e lanciò loro razioni d’emergenza ed una zattera di salvataggio. Questi uomini furono recuperati quattro ore dopo dalla Natchez, che recuperò poi i 12 naufraghi sulle due zattere, avvistati dal dirigibile K-72 (tenente di vascello John Marck) in posizione 34°33’ N e 74°58’ O. Le quattro navi formarono poi una linea esplorante per cercare altri superstiti, ma durante la notte l’SC-1306 entrò in collisione con il cacciasommergibili PCE-869 e dovette lasciare le ricerche.
Il mattino del 6 dicembre il dirigibile K-76 (tenente di vascello David T. Beault) avvistò nel punto 34°44’ N e 74°50’ O i quattro uomini sulla scialuppa capovolta e diresse sul posto la Natchez, che li trasse in salvo. La Natchez e l’SC-1358 proseguirono le ricerche fino al 7 dicembre, trovando molti rottami ma nessun altro superstite; tutti i naufraghi furono poi trasferiti sull’SC-1358, che li sbarcò a Morehead City.
Dei 43 uomini del Libertad ne morirono 25, tra cui il comandante Moisés Gondra Urrutia, che era rimasto in plancia per affondare con la sua nave. Almeno quindici di loro erano affondati con la nave, mentre altri sette, forse dieci, erano morti in attesa dei soccorsi, annegati dopo aver esaurito le forze, o divorati dagli squali (che ferirono anche alcuni di quelli che sopravvissero).
Il Libertad fu la più grande nave perduta in guerra dalla piccola Marina Mercantile cubana, ed i 25 marittimi che vi trovarono la morte costituirono più di un quarto del tributo in vite umane pagato da Cuba nel conflitto (le vittime cubane nella seconda guerra mondiale furono un centinaio, pressoché esclusivamente marittimi delle navi cubane affondate dagli U-Boote).


I naufraghi del Libertad (da “The Naples Record” del 29 dicembre 1943)

sabato 26 dicembre 2015

Des Geneys

Il Des Geneys pronto al varo (da “I sommergibili di Monfalcone” di Alessandro Turrini, supplemento alla Rivista Marittima n. 11 del novembre 1998, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net

Sommergibile di media crociera della classe Pisani (dislocamento di 880 tonnellate in superficie e 1057 in immersione). Svolse in guerra una sola missione offensiva e tre di trasferimento, percorrendo 3055 miglia in superficie e 268 in immersione, e 139 missioni addestrative.

Breve e parziale cronologia.

1° febbraio 1926
Impostazione presso il Cantiere Navale Triestino di Monfalcone (numero di costruzione 153).
14 novembre 1928
Varo presso il Cantiere Navale Triestino di Monfalcone.
30 ottobre 1929
Entrata in servizio. Rimane a Monfalcone per ultimare l’allestimento e compiere le prove in mare, risultando alle dipendenze del Comando Militare Marittimo di Pola.
Viene poi assegnato con i gemelli (Vettor Pisani, Marcantonio Colonna e Giovanni Bausan) alla V Squadriglia Sommergibili di Media Crociera, avente base a Napoli, con la quale compie l’addestramento iniziale.
1930
Svolge, insieme ai gemelli, una lunga crociera addestrativa in acque metropolitane e nel Mediterraneo orientale, facendo scalo in diversi porti italiani ed anche greci (come Volo e Salonicco) oltre che nel Dodecaneso.
Durante una sosta a La Spezia per ricarica degli accumulatori, una delle batterie (situata a prua) esplode, ustionando in modo lieve due membri dell’equipaggio.
Marzo 1932
Viene visitato da una delegazione sovietica, in visita in Italia per valutare l’acquisto di unità di costruzione italiana.
1935
Trasferito a La Spezia. Compie una «crociera gravimetrica» in Mediterraneo, con a bordo lo scienziato Gino Cassinis. Lo comanda in questo periodo il tenente di vascello Adriano Foscari.

Il sommergibile visto di profilo (da www.warshipsww2.eu

1936
Assegnato alla II Squadriglia Sommergibili (VI Grupsom), con base a Lero.
5 dicembre 1936
Riceve a Porto Maurizio la bandiera di combattimento.
Dicembre 1937
Effettua una missione segreta (al comando del capitano di corvetta Corvetti) nell’ambito della guerra civile spagnola. Non avvista alcuna nave.
Una seconda missione clandestina, ancora nel corso di tale guerra civile, viene abortita subito dopo il suo inizio, a causa di un’avaria.
1938
Des Geneys e gemelli vengono posti alle dipendenze del III Gruppo Sommergibili di Messina, formando la XXXI Squadriglia Sommergibili.
26 novembre 1938
Diviene caposquadriglia.
28 dicembre 1938
Cessa di essere caposquadriglia.

Il Des Geneys, in primo piano, ed il sommergibile Narvalo nel periodo interbellico (g.c. Giovanni Pinna)

10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, il Des Geneys appartiene alla XXXI Squadriglia Sommergibili (III Grupsom di Messina), assieme ai gemelli Vettor Pisani, Marcantonio Colonna e Giovanni Bausan. Avendo già più di dieci anni, e qualità mediocri, non viene assegnato a compiti di “prima linea”.
17 agosto 1940
Al comando del capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti, il Des Geneys parte per la prima missione di guerra, consistente nel pattugliamento di un settore a sudest di Creta ed a sud del parallelo di Gaudo.
3 settembre 1940
Avvista in serata un gruppo di navi della Mediterranean Fleet, in mare per l’operazione «Hats»; trovandosi in posizione molto favorevole al lancio, tenta di attaccare, ma un’accostata della formazione avversaria frustra il tentativo e lo costringe a disimpegnarsi. Le navi britanniche passano poi sulla verticale del sommergibile.
4 settembre 1940
Rientra alla base senza aver ottenuto successi.
 

Il Des Geneys (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net
Epilogo

Stante la sua vetustà – era uno dei sommergibili più vecchi in servizio nella Marina italiana – e le sue modeste caratteristiche generali, l’impiego bellico del Des Geneys ebbe breve vita. Dopo appena tre mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, nel settembre 1940, il sommergibile venne assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola, ed il 21 settembre iniziò la sua attività addestrativa che lo avrebbe portato, nei due anni successivi, a compiere ben 139 uscite con gli allievi della Scuola Sommergibili. Dal 19 gennaio 1941 al 17 giugno dello stesso anno, fu comandante del Des Geneys il capitano di corvetta Murzi.
Unico evento di rilievo in questo periodo fu costituito da una lieve collisione che si verificò il 16 gennaio 1942, quando il Des Geneys, rientrando da una missione addestrativa, speronò a poppa la vecchia torpediniera Rosolino Pilo, che lo precedeva per raggiungere l’ormeggio.
Il Des Geneys terminò la propria attività addestrativa il 28 maggio 1942, quando – ormai troppo logorato anche solo per proseguire il servizio di addestramento – fu posto in disarmo a Pola e trasformato in un mero pontone di carica batteria.
La storia dell’ormai ex sommergibile si concluse senza clamore, in uno dei più turbolenti periodi della storia italiana. Il 9 settembre 1943, a seguito delle vicende armistiziali, il Des Geneys venne autoaffondato nel porto di Fiume, ove si trovava, per evitare che fosse catturato dalle forze tedesche.

Un’altra foto del Des Geneys, il suo «crest» ed il nastrino da berretto (Collezione privata Amm. Romolo Polacchini, si ringrazia il nipote Marcello).








giovedì 24 dicembre 2015

Angiulin

La nave con l’originario nome di Kelet (da www.hajoregiszter.hu

Piroscafo da carico da 873 tsl e 493 tsn, lungo 62,7 metri, largo 9,8 e pescante 4,2, velocità 11 nodi. Appartenente all’armatore Enrico Ravano, di Genova, ed iscritto con matricola 1839 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

Maggio 1904
Completato nei cantieri William Dobson & Co. di Newcastle-upon-Tyne (numero di cantiere 135) come Kelet, per la Ungarische Levante-Seeschiffahrts-Actien-Gesellschaft, con sede a Fiume (all’epoca facente parte deell’Impero Austroungarico). Stazza e portata lorda originarie sono 942 tsl e 1250 tpl.
1917
Requisito dalla Marina imperiale austroungarica (K.u.K. Kriegsmarine) durante la prima guerra mondiale.

Un’altra immagine della nave come Kelet (da www.hajoregiszter.hu

Giugno 1917
Derequisito.
1920
In seguito alla dissoluzione dell’Impero Austroungarico (dopo la prima guerra mondiale), la compagnia armatrice diventa Società di Navigazione Marittima Levante, sempre con sede a Fiume (ora divenuta uno “Stato Libero”). La nave conserva il suo nome di Kelet. (Per altra fonte la nave batté bandiera italiana dal 1919).
1925
Venduto ad armatori italiani, cambia nome in Orte.
1933
Acquistato dall’armatore Giuseppe Spina di Genova e ribattezzato Villa Carla. Stazza lorda e netta risultano 909 tsl e 528 tsn.
1934
Venduto alla compagnia Dani & Co. di Genova e ribattezzato Giambattista.
1939
Acquistato dagli armatori genovesi L. Mangiarotti ed E. Ravano e ribattezzato Angiulin.
 
Il Kelet a Varna nel 1905 (da www.hajoregiszter.hu)

L’affondamento

L’Angiulin fu una delle primissime vittime nella guerra del Mediterraneo, prima ancora che questa venisse dichiarata.
Quando infatti il piccolo piroscafo salpò da Licata alla volta di Napoli, il 9 giugno 1940, l’Italia non aveva ancora dichiarato guerra a Francia e Regno Unito: l’avrebbe fatto soltanto il giorno seguente. Ma già dal 6 giugno, i posamine della Regia Marina erano entrati in attività, disseminando di mine – dopo aver diramato un apposito avviso ai naviganti – le coste della Penisola. L’8 giugno le torpediniere Alcione ed Aretusa avevano posato un campo minato al largo di Capo Granitola, e le loro gemelle Airone ed Ariel ne avevano posato un altro nelle stesse acque. Acque che la nave doveva attraversare.
Ma l’Angiulin non arrivò mai a Napoli: scomparve con tutto l’equipaggio, e tutto ciò che ne fu trovato furono alcuni rottami.
La nave aveva, con ogni probabilità, urtato una mina al largo di Capo Granitola.

Scomparvero con l'Angiulin:
(nominativi tratti dall'Albo d'Oro della Marina Mercantile, si ringrazia Carlo Di Nitto)

Umberto Arena, capitano di lungo corso, da Livorno
Ferdinando Bogazzi, fuochista, da Carrara
Onofrio Bruno, marinaio, da Molfetta
Angelo Cantini, ufficiale di macchina, da Livorno
Riccardo Cristofoli, giovanotto
Domenico Gentiluomo, marinaio, da Bagnara Calabra
Francesco Gentiluomo, marinaio, da Bagnara Calabra
Vincenzo Pitone, fuochista, da Siderno
Giovanni Sannino, capitano di lungo corso, da Torre del Greco
Alfredo Scotto, cuoco, da Monte Argentario
Benedetto Solaro, pennese, da Monte Argentario
Attilio Tellini, direttore di macchina, da Livorno
 

Il Kelet a Galati (da www.hajoregiszter.hu


martedì 22 dicembre 2015

Città di Catania

Il Città di Catania durante la costruzione (da www.naviearmatori.net, utente Commis)

Piroscafo passeggeri da 3355,38 tsl, 1313,61 tsn, 1708,05 tpl e 3625 tonnellate di dislocamento, lungo 110,80 metri, largo 12,83 e pescante 5,82, con velocità di 20 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia, con sede a Napoli, ed iscritto con matricola 43 al Compartimento Marittimo di Palermo; nominativo di chiamata IBIH.
Fu la prima nave italiana ad essere propulsa da turbine a vapore (tre turbine Parsons della potenza complessiva di 13.620 HP, alimentate da dieci caldaie cilindriche a ritorno di fiamme, su altrettante eliche) anziché da macchine alternative; al momento dell’entrata in servizio era una delle migliori e più veloci unità delle Ferrovie dello Stato, avendo raggiunto 22-23 nodi alle prove ed avendo una velocità di crociera di 20 nodi.
Aveva tre quasi gemelle (Città di Palermo, Città di Messina e Città di Siracusa, le prime due affondate nella Grande Guerra e la terza demolita nel 1938) aventi lo stesso scafo, ma alcune differenze nelle sovrastrutture e due fumaioli (e più bassi) anziché tre; inoltre, mentre Città di Catania e Città di Palermo erano propulsi da turbine, gli altri due erano dotati di più tradizionali macchine alternative. 
Essendo state costruite per un’azienda dello Stato, le quattro navi erano state progettate per essere requisite ed impiegate, in caso di guerra, come incrociatori ausiliari.

Tra i suoi passeggeri, nei primissimi anni di servizio, vi fu anche il pittore astrattista Paul Klee, che nei suoi diari lo definì un magnifico piroscafo.
Curiosamente, immagini del Città di Catania figurano in emissioni di francobolli del Niger e del Benin.
 

La nave nel maggio 1910, poco prima del varo (da www.naviearmatori.net, utente Commis)
Breve e parziale cronologia.

14 aprile 1909
Impostato nei cantieri Ansaldo, Armstrong & Co. di Sestri Ponente (numero di cantiere 157).
23 maggio 1910
Varato nei cantieri Ansaldo, Armstrong & Co. di Sestri Ponente (Genova).

Fasi del varo: pronto al varo, varo in corso, appena varato (rispettivamente: Pietro Berti via www.naviearmatori.net; “Cross Channel and Short Sea Ferries” di Ambrose Greenway; it.wikipedia.org)




Giugno 1910
Completato per le Ferrovie dello Stato. Stazza lorda e netta originarie sono 3262 tsl e 1104 tsn.
Impiegato insieme a Città di Siracusa, Città di Palermo e Città di Messina, sulle linee tra Napoli e la Sicilia.
1911
Requisito d’urgenza dalla Regia Marina, viene trasformato in incrociatore ausiliario e partecipa alla guerra italo-turca.

Il Città di Catania, trasformato in incrociatore ausiliario, a Napoli nel novembre 1911 (g.c. STORIA militare)

10-11 aprile 1912
Il mattino del 10 il Città di Catania, insieme al Città di Siracusa, agli incrociatori corazzati Carlo Alberto e Marco Polo, al cacciatorpediniere Fulmine ed alla torpediniera Alcione, prende parte al bombardamento navale di Zuara, in Libia, uno dei punti focali del contrabbando di materiale bellico per le forze turche. Al bombardamento segue uno sbarco simulato, effettuato dai piroscafi Sannio, Toscana ed Hercules.
L’11 mattina, mentre le navi continuano a bombardare Zuara, una divisione di fanteria, al comando del generale Garioni, sbarca nella penisola di Macabez ed occupa la zona di Sidi-Said, mentre il giorno seguente verrà occupato il forte di Forwa.
1912
Concluso il conflitto, viene derequisito e torna al servizio per le Ferrovie dello Stato.
Maggio 1915
Nuovamente requisito dalla Regia Marina e convertito in incrociatore ausiliario, armato con 4 cannoni da 120/40 mm e due da 76/40 mm. Entrerà in servizio successivamente alla dichiarazione di guerra; per lungo tempo sarà impiegato nel blocco del Canale d’Otranto.
12 agosto 1915
A mezzogiorno il Città di Catania, in crociera di blocco ad est di Brindisi (nel Canale d’Otranto, sulla rotta tra Saseno ed Otranto), viene fatto oggetto del lancio di un siluro da parte del sommergibile austroungarico U 3 (tenente di vascello Karl Strnad). Mancato dall’arma, il Città di Catania manovra per speronare il sommergibile, che dopo il lancio cerca di disimpegnarsi in immersione; riesce ad urtarlo mentre s’immerge ma non ad affondarlo, gettando infruttuosamente anche alcune bombe di profondità. però la collisione provoca la distruzione del periscopio dell’U 3 ed altri danni che impediranno al battello nemico di manovrare. Il sommergibile, una volta immerso, viene inseguito per parecchie ore dalle siluranti in appoggio al Città di Catania; altre bombe di profondità gli mettono fuori uso il periscopio (per altra fonte, ciò sarebbe dovuto alla collisione col Città di Catania) e causano altri danni, che ne ostacolano la manovra (i motori diesel vengono messi fuori uso, in quanto i cilindri sono allagati). Dato che vari avvistamenti portano a ritenere che l’U-Boot abbia un’avaria, prendono il mare i cacciatorpediniere Giuseppe Cesare Abba, Antonio Mosto e Bisson (francese) per dargli la caccia.
La notte successiva l’U 3 verrà rintracciato in superficie dai tre cacciatorpediniere e, alle 4.52, sarà affondato a cannonate dal Bisson in posizione 41°00’ N e 18°15’ E, con la perdita di nove uomini (sei uccisi da esalazioni di cloro, due dal tiro del Bisson e il comandante Strnad, che affonda volontariamente con la propria unità) su 21 componenti del suo equipaggio.

Il Città di Catania nel 1915 (da www.kreiser.unoforum.ru

1° dicembre 1915
Salpa da Brindisi in qualità di caposcorta (il resto della scorta è composto dall’esploratore Quarto, da quattro cacciatorpediniere classe Pilo e da quattro classe Intrepido) di un convoglio diretto a Valona e composto dai piroscafi Dante Alighieri, Palermo, America ed Indiana con a bordo 5000 uomini, tre batterie d’artiglieria (di cui una da montagna), 500 tra muli, cavalli e bovini e provviste per 20-30 giorni. La scorta parte alle 15, i mercantili alle 17.30, col calare del buio.
Le navi evidenziano delle difficoltà ad assumere le posizioni assegnate (si tratta dei primissimi convogli sperimentati dalla Marina italiana nella prima guerra mondiale), ed all’alba del giorno seguente si troverà che il convoglio si è molto disperso durante la notte, con i cacciatorpediniere sparpagliati fino ad una distanza di quattro miglia dai mercantili, che a loro volta si sono distanziati al punto che quello di coda è 4-5 miglia a poppavia da quello di testa.
2 dicembre 1915
Non essendo stato attaccato da unità avversarie, il convoglio arriva a Valona alle 7.30.
6 dicembre 1915
Nel pomeriggio il Città di Catania (capitano di fregata Sorrentino) parte da Taranto insieme agli esploratori Quarto e Guglielmo Pepe, ai posamine Minerva e Partenope ed ai cacciatorpediniere Borea, Giuseppe Cesare Abba, Francesco Nullo ed Ippolito Nievo, per scortare a Valona i trasporti truppe Dante Alighieri, America, Indiana e Cordova ed il trasporto militare Bengasi, che trasportano in tutto 400 ufficiali, 6300 tra sottufficiali e soldati e 1200 cavalli.
7 dicembre 1915
Il convoglio arriva a Valona alle otto del mattino.
11 dicembre 1915
Parte da Taranto insieme a Minerva e Partenope ed a sei cacciatorpediniere, scortando un convoglio formato da Dante Alighieri, America, Cordova, Indiana e Valparaiso, con a bordo 5000 uomini, 900 animali e carriaggi e rifornimenti per le forze italiane in Albania.
12 dicembre 1915
Il convoglio raggiunge Valona.
24-26 febbraio 1916
Il 24 febbraio il Città di Catania (capitano di fregata R. Guida), insieme al Città di Siracusa (capitano di fregata Princivalle) ed ai cacciatorpediniere Ardito, Irrequieto e Bersagliere, viene inviato a Durazzo ove bombarda con le sue artiglierie (insieme alle altre sopracitate unità nonché ai cacciatorpediniere Impetuoso ed Insidioso, già presenti sul posto) le posizioni austroungariche, a supporto dell’evacuazione della Brigata «Savona» (8500 uomini) da Durazzo, ormai prossima alla caduta.
Il Città di Catania prosegue nel cannoneggiamento delle forze austroungariche in avanzata anche nei due giorni seguenti (il 26 febbraio, restando alla fonda, bombarda Capo Bianco, Rasbul e la Quota 200 ed ancora le alture circostanti, una vicina diga e la strada per Tirana), durante i quali sopraggiungono e si uniscono al bombardamento navale anche l’incrociatore ausiliario Città di Sassari, l’esploratore Libia, gli arieti torpedinieri Puglia ed Agordat e le corazzate Regina Elena e Napoli.
L’imbarco delle truppe italiane sulla quindicina di piroscafi inviati a recuperarle avviene tra molte difficoltà, sotto l’accurato tiro delle forze austroungariche, che sparano sul pontile e sul piazzale antistante, e contro il maltempo ed il mare tempestoso, che a tratti costringono ad interrompere l’imbarco. Alla fine l’evacuazione può essere completata; le forze nemiche possono essere tenute al di fuori di Durazzo finché gli ultimi uomini della Brigata «Savona» lasciano il pontile alle 21 del 26, dopo aver perso 800 tra morti, feriti e prigionieri.
Metà 1916
Va a formare il Gruppo Incrociatori Ausiliari di Brindisi insieme a Città di Siracusa, Città di Messina, Città di Cagliari e Città di Sassari.
15 novembre 1916
Il Città di Catania forma la Divisione Speciale della Regia Marina, insieme a dieci cacciatorpediniere, tre navi scorta, sei trasporti, una nave ospedale, una nave officina ed un gruppo di navi requisite (14 navi da carico, una posareti, due navi officina ed un rimorchiatore).

Un’altra foto della nave in servizio come incrociatore ausiliario (da www.wrecksite.eu

1° novembre 1918
Il Città di Catania è dislocato in Libia, assegnato a tale Stazione navale insieme all’incrociatore coloniale Campania ed a due navi ausiliarie.
4 dicembre 1918
Finita la guerra, viene derequisito e torna al normale servizio di linea per le Ferrovie dello Stato.
1928 (o 1926)
A seguito di una convenzione tra lo Stato e la Florio Società Italiana di Navigazione, quest’ultima acquista il Città di Catania, che impiegava già a noleggio da alcuni anni. Presta servizio sulla linea Napoli-Palermo.
Trasferito alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia, che lo adibisce a servizio postale di linea.
1932
Con la fusione della Florio con la Compagnia Italiana Transatlantica (CITRA) nella Tirrenia Flotte Riunite Florio-CITRA, il Città di Catania passa alla nuova compagnia.
1936
La compagnia armatrice assume il nome di Tirrenia Società Anonima di Navigazione.

Il Città di Catania, con i colori della Tirrenia, durante la sosta alle Azzorre della crociera aerea di Balbo (del quale alcuni idrovolanti sono visibili nella foto) (g.c. Guglielmo Lepre via www.grupsom.com

Agosto 1933
Il Città di Catania (al comando del capitano Ferrari) partecipa, quale nave appoggio, alla «Crociera aerea del Decennale» di Italo Balbo; l’8 agosto gli equipaggi dei 24 aerei di Balbo, provenienti da Shoal Harbour, sostano per un giorno alle Azzorre e sono accolti sul Città di Catania. Il 9 agosto ripartono e raggiungono Lisbona.
Il piroscafo posa inoltre delle boe di segnalazione.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. A differenza che nel conflitto precedente, il Città di Catania non verrà nemmeno requisito, e continuerà ad essere utilizzato prevalentemente in servizio civile di linea; tuttavia, sarà anche spesso utilizzato come trasporto truppe per conto del Ministero della Guerra, soprattutto nella seconda di metà del 1942 e nel 1943. Gli sarà assegnato il nome in codice «Calore».
7 novembre 1941
Noleggiato dalla Tirrenia alla società consorella Adriatica, che lo utilizzerà fino all’affondamento come nave di riserva sulla linea n. 44 Brindisi-Durazzo.

La nave a Brindisi nel 1941 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net

14 gennaio 1942
Compie un viaggio da Durazzo a Bari, scortato dall’incrociatore ausiliario Città di Napoli.
15 gennaio 1942
Lascia Bari, fa scalo a Brindisi e raggiunge Durazzo, scortato dal Città di Napoli e dalla torpediniera Aretusa.
17 gennaio 1942
Viaggio da Durazzo a Bari, con la scorta del Città di Napoli.
19 gennaio 1942
Viaggio da Bari a Durazzo, trasportando truppe e materiali, scortato dal Città di Napoli e dalla torpediniera Angelo Bassini.
21 gennaio 1942
Viaggio da Durazzo a Bari, con la scorta del Città di Napoli.
22 gennaio 1942
Viaggio da Bari a Durazzo, con la scorta di Città di Napoli e Bassini.
24 gennaio 1942
Viaggio da Durazzo a Bari, con la scorta di Città di Napoli e Bassini.
30 gennaio 1942
Compie un viaggio da Bari a Durazzo insieme al piroscafo Aventino, con la scorta del Città di Napoli e della torpediniera Francesco Stocco.
5 febbraio 1942
Lascia Durazzo e raggiunge Bari, in convoglio con l’Aventino e con la motonave Donizetti, trasportando truppe rimpatrianti; la scorta è costituita da Città di Napoli e Stocco.
13 febbraio 1942
Parte da Bari e raggiunge Durazzo, in convoglio con l’Aventino ed il piroscafo Italia, trasportando truppe e materiali; sono di scorta l’incrociatore ausiliario Città di Genova e le torpediniere Antonio Mosto ed Antares. Alle 11.40 un sommergibile lancia due siluri contro il convoglio, ma nessuna nave è colpita.
15 febbraio 1942
Città di Catania, Aventino ed Italia lasciano Durazzo con truppe rimpatrianti, scortati da Città di Genova, Antares e Mosto, e raggiungono Bari.
19 febbraio 1942
Città di Catania, Aventino ed Italia salpano da Bari trasportando truppe e materiali, scortati dal Città di Napoli e dall’incrociatore ausiliario Arborea, e raggiungono Durazzo.
21 febbraio 1942
Città di Catania, Italia ed Aventino ripartono da Durazzo con truppe rimpatrianti e raggiungono Bari.

Il Città di Catania a Patrasso nel 1942 (da Rolando Notarangelo, Gian Paolo Pagano, “Navi mercantili perdute”, Roma, USMM, 1997)

1° marzo 1942
Città di Catania, Aventino ed Italia lasciano Bari e raggiungono Durazzo trasportando truppe e materiali, scortati dall’incrociatore ausiliario Zara e dalla torpediniera Solferino.
4 marzo 1942
Città di Catania, Italia ed Aventino partono da Durazzo e rientrano a Bari, scortati da Zara e Solferino, trasportando truppe che rimpatriano.
6 marzo 1942
Città di Catania e Donizetti trasportano truppe e materiali da Bari a Durazzo, scortati da Zara e Solferino.
9 marzo 1942
Città di Catania e Donizetti tornano da Durazzo a Bari, con truppe che rimpatriano, scortati da Zara e Solferino.
13 marzo 1942
Città di Catania, Donizetti ed i piroscafi Rosandra e Quirinale partono da Bari e raggiungono Durazzo, scortati dallo Zara e dal cacciatorpediniere Augusto Riboty, trasportando truppe e materiali.
16 marzo 1942
Città di Catania, Donizetti, Rosandra e Quirinale viaggiano da Durazzo a Bari scortati da Zara, Arborea e Riboty, trasportando truppe rimpatrianti.
1° maggio 1942
Città di Catania e Rosandra compiono un viaggio da Bari a Durazzo, trasportando truppe e materiali, scortati dal Città di Napoli, dalla Mosto e dal cacciatorpediniere Euro.
5 maggio 1942
Città di Catania e Rosandra tornano a Bari da Durazzo, con truppe rimpatrianti a bordo, scortati dall’incrociatore ausiliario Brioni e dall’Euro.
9 maggio 1942
Parte da Bari scortato da Mosto e Brioni, trasporta truppe e materiali a Santa Maura, indi imbarca qui truppe rimpatrianti e torna a Bari.
25 novembre 1942
Compie un viaggio, solo e senza scorta, da Durazzo a Brindisi.
5 gennaio 1943
Viaggio da Brindisi e Durazzo, ancora da solo e privo di scorta.
 
In navigazione, con i colori delle Ferrovie dello Stato (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net

L'affondamento

Alle 5.33 del 3 agosto 1943 il Città di Catania, in regolare servizio di linea (postale) sulla rotta Brindisi-Durazzo, partì da Durazzo diretto a Brindisi. Su quanti fossero a bordo vi sono alcune discrepanze: secondo il volume dell’Ufficio Storico della Marina Militare "La difesa del traffico con l'Albania, la Grecia e l'Egeo", sul piroscafo c’erano 103 uomini di equipaggio e 386 passeggeri, tra civili e militari; secondo il sito "Giornale Nautico Parte Prima", che fa sovente ricorso a documenti dell’epoca, sul Città di Catania si trovavano 105 uomini di equipaggio (tutti civili) e 407 passeggeri tra civili e militari. Tra i passeggeri vi erano anche famiglie di coloni italiani emigrate in Albania da pochi anni, a seguito della conquista italiana del Paese, per coltivarne la fertile terra, e che ora rimpatriavano precipitosamente, prevedendo che il controllo italiano su quelle terre sarebbe terminato a breve. Altri erano militari che si recavano in licenza in Italia.
Il Città di Catania procedeva senza scorta.
Dopo alcune ore di navigazione il piroscafo, giunto ormai in prossimità del punto «X» di atterraggio a Brindisi, venne avvistato dal sommergibile britannico Unruffled (tenente di vascello John Samuel Stevens). Non era questo il primo incontro tra le due unità: già due giorni prima, il 1° agosto, il sommergibile britannico aveva avvistato il Città di Catania in uscita da Brindisi. Stevens era rimasto stupito da quella nave a tre fumaioli (non ve n’erano molte in circolazione: in tutta la Marina Mercantile italiana l’unica altra era il transatlantico Lombardia), che – proprio sulla base di quei fumaioli, dato che di solito erano i grandi transatlantici ad averne tre o quattro – pensava essere una grossa nave passeggeri impiegata (vista la colorazione mimetica) come trasporto truppe. L'Unruffled aveva lanciato una salva di siluri, ma questi non erano andati a segno e così il sommergibile si era ritirato in acque più profonde.
Ora l'occasione si ripresentava. Portatosi in posizione d'attacco, Stevens ordinò di lanciare una salva di siluri contro il piroscafo italiano.
Erano, a seconda delle fonti, le 10.45 o le 11 del 3 agosto quando il Città di Catania fu colpito sul lato sinistro da due siluri (a Stevens sembrò invece di averne messi a segno tre); una delle armi colpì a centro nave, in corrispondenza del salone, dove si trovavano radunati molti passeggeri.
Spezzato in chiglia, il Città di Catania affondò in appena un paio di minuti nel punto 40°30'30" N e 18°04'30" E (a 8 miglia per 40° dal semaforo di Brindisi), senza lasciare all’equipaggio il tempo di mettere a mare le imbarcazioni o porre in salvo i passeggeri. Di questi ultimi, si salvarono solo quelli che erano sui ponti scoperti al momento del siluramento, e poterono così buttarsi in acqua; i passeggeri che si trovavano sottocoperta, perlopiù nel salone e nelle cabine, affondarono insieme alla nave.
Mentre in superficie si svolgeva la tragedia del Città di Catania, sotto di essa il tenente di vascello Stevens rimaneva deluso. Cercando nei suoi manuali di riconoscimento la nave appena silurata, pensando di aver colato a picco un transatlantico, scoprì invece che la nave appena affondata non raggiungeva neanche le 3400 tsl. Una preda “ordinaria”.

Avvistata l'esplosione dei siluri, diressero sul punto dell'affondamento la pilotina Galliano, il dragamine RD 32 ed i motopescherecci Immacolata, Caterina, San Rocco e Nuovo Francesco (tutti in servizio di dragaggio sulla rotta di sicurezza), che si trovavano nei pressi al momento del siluramento; tutti si misero subito a recuperare naufraghi dal mare.
Alle 11.02 l'RD 32 comunicò per radio a Marina Brindisi la notizia dell'accaduto; tale Comando fece partire i rimorchiatori Porto Torres ed Argentario ed i motovelieri Impero, Arcangelo G., Pino e Maria SS. D’Alto Mare perché partecipassero alle operazioni di soccorso, e fece decollare tre aerei di soccorso per il medesimo scopo. Al contempo Marina Brindisi inviò anche due motovedette, un MAS, due idrovolanti CANT Z. 501 e due velivoli dell’Armata Aerea perché dessero la caccia al sommergibile, e quando la corvetta Scimitarra giunse a Santa Maria di Leuca dirottò anch’essa sul luogo dell’attacco per partecipare alla caccia. Infine, ordinò che un convoglio formato dalla nave cisterna Cesco e dalla torpediniera Giuseppe Cesare Abba, in navigazione da Valona a Brindisi e destinato a passare a breve nel punto in cui era stato affondato il Città di Catania, tornasse indietro a scopo precauzionale.
L'RD 32 e due dei motopescherecci giunsero a Brindisi alle 12.30, con i primi superstiti e cadaveri recuperati. Contemporaneamente l’aeroporto di Brindisi fece sapere che i tre aerei erano già tornati, perché tutti i naufraghi ancora vivi erano già stati salvati dalle navi accorse sul posto.
Il tempestivo arrivo dei mezzi di soccorso permise di “limitare l’entità delle perdite”, come scrisse l’ammiraglio Luigi Rubartelli nel suo rapporto, ma il bilancio finale fu nondimeno pesante: secondo il volume dell'USMM sopra citato, nell’affondamento del Città di Catania avevano trovato la morte 242 persone; secondo "Giornale Nautico Parte Prima" le vittime furono 256, di cui 49 membri dell'equipaggio (tra cui il comandante, secondo un’altra fonte) e 207 passeggeri.
A riprova del fatto che quasi tutte le vittime rimasero intrappolate nella nave, poco più di 25 salme, appena un decimo del totale, poterono essere recuperate.
I sopravvissuti furono, a seconda delle fonti, 247 (libro USMM, su 489 persone imbarcate) o 256 (200 passeggeri e 56 membri dell’equipaggio; "Giornale Nautico Parte Prima", su 512 persone imbarcate).

Le vittime tra l'equipaggio civile:
(si ringraziano Carlo Di Nitto e Giancarlo Covolo)

Gennaro Abruzzini, marinaio
Luigi Bartolo, marinaio
Salvatore Bella, marinaio
Rodolfo Bosich, marinaio
Domenico Bozzetti, marinaio
Lorenzo Busalacchi, marinaio
Giuseppe Cacciapuoti, marinaio
Gennaro Cavallo, marinaio
Salvatore Comella, marinaio
Cosimo D'Ambrosio, marinaio
Giacomo Di Ponzo, fuochista
Pantaleo Di Giorgio, marinaio
Marco Favaloro, marinaio
Salvatore Favata, marinaio
Domenico Frulio, marinaio
Michele Giacomino, marinaio
Michele Marrazzo, fuochista
Gaetano Miranda, marinaio
Ciro Omologato, marinaio
Vincenzo Pipitò, cuoco
Carlo Poli, marinaio
Alfredo Ruggero, ingrassatore
Gaetano Ruggero, nostromo
Francesco Sarcone, ingrassatore
Domenico Savino, marinaio
Vincenzo Spina, marinaio
Vincenzo Stasi, giovanotto
Francesco Tarantino, marinaio
Donato Tasco, fuochista
Vincenzo Testaverde, marittimo
Teodoro Zazzara, carbonaio

Personale della Regia Marina disperso in mare il 3 agosto 1943, quasi certamente sul Città di Catania:

Catello Amendola, sottotenente di vascello, da Castellammare di Stabia (*)
Aurelio Aschieri, sottocapo segnalatore, da Ventimiglia
Raffaele Avellino, sottocapo cannoniere, da Meta
Raffaele Brancaccio, marinaio cannoniere, da Torre Annunziata
Francesco Diaferio, marinaio, da Margherita di Savoia
Giuseppe Giannullo, marinaio, da Castellammare di Stabia
Mario Mazzantini, secondo capo cannoniere, da Capraia e Limite
Luciano Paolillo, capo furiere di terza classe, da Torre del Greco
Vittorio Pilo, capo meccanico di prima classe, da La Maddalena
Pietro Pirazzini, marinaio, da Cento
Giuseppe Tricoli, capo portuale di prima classe, da Crotone
Marcello Vattuone, marinaio segnalatore, da Sestri Levante
Giuseppe Visalli, capo infermiere di seconda classe, da Messina
Antonino Vitale, marinaio, da Terrasini Favarotta
Giacomo Randa, marinaio nocchiere, da Messina

(*) Presenza a bordo confermata.

Il relitto del Città di Catania giace oggi a 120 metri di profondità, a 7,45 miglia dalla costa. Reti di pescatori sono impigliate nei suoi resti.
 
La nave quando ancora era sullo scalo di costruzione (g.c. Fondazione Ansaldo via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net