Piroscafo da carico
da 6181 tsl, 3851 tsn e 8756 tpl, lungo 121,95 metri e largo 16,47, velocità
10,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Italia di Genova,
matricola 109 al Compartimento Marittimo di Trieste.
Breve e parziale cronologia.
18 giugno 1921
Impostato nel
Cantiere Navale Triestino di Monfalcone (numero di costruzione 116).
3 gennaio 1923
Varato come Laura nel Cantiere Navale Triestino di
Monfalcone.
20 marzo 1923
Completato come Laura per la Cosulich Società Triestina
di Navigazione (con sede a Trieste), insieme ai gemelli Ida, Alberta, Clara, Teresa e Lucia. Le sei
navi verranno impiegate soprattutto sulle linee dell’America Settentrionale.
1925
Ribattezzato Laura C. (contrariamente a quanto spesso
affermato, non sembra che la nave abbia mai assunto il nome “completo” di Laura Cosulich).
1932
Con la fusione della
Cosulich e di altre importanti compagnie (Lloyd Sabaudo e Navigazione Generale
Italiana) nella Italia Flotte Riunite, il Laura
C. passa nella flotta della nuova compagnia.
7 ottobre 1939
Durante la
navigazione da Galveston e Houston verso l’Italia, durante il periodo della
“non belligeranza” italiana, il Laura C.
viene fermato a Gibilterra dalle autorità britanniche, per dei controlli,
venendovi trattenuto sino al 5 novembre; già il 10 novembre viene nuovamente
fermato a Marsiglia, costretto a scaricare tutta la merce e rilasciato il 13
novembre.
Il Laura C. nel porto di Napoli in tempo di pace, con il piroscafo britannico
Ormonde sulla sinistra (Archivio
Pietro Berti, tratta da http://www.naviearmatori.net/ita/foto-68083-1.html)
|
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. Dei sei piroscafi gemelli, il Laura C. è l’unico ad essere in Mediterraneo: tutti gli altri
vengono catturati od internati.
29 ottobre 1940
Requisito a Trieste
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
11 febbraio 1941
Parte da Bari alle
due di notte, diretto a Durazzo, in convoglio con i piroscafi Sant’Agata e Tagliamento e la motonave Barbarigo,
con la scorta della torpediniera Giacomo
Medici. Il convoglio, che trasporta in tutto 139 uomini, 526 quadrupedi,
242 veicoli e 73 tonnellate di materiali, arriva a destinazione alle 15.45.
Il Laura C. ormeggiato a Livorno; sulla sua destra è l’Aurora, panfilo di Mussolini e successivamente cannoniera della Regia Marina (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net) |
17 marzo 1941
Lascia scarico
Durazzo alle 7 del mattino, insieme alle motonavi Donizetti (avente a bordo 236 feriti leggeri) e Barbarigo (scarica) e con la scorta
della torpediniera Castelfidardo,
giungendo a Bari alle 22.45.
19 aprile 1941
Alle 8 salpa scarico
da Durazzo insieme al piroscafo Gala,
pure vuoto, ed alla torpediniera Castelfidardo.
Il convoglio raggiunge Brindisi e poi Bari, dove giunge alle 6.15 del 20
aprile.
30 aprile 1941
Parte da Bari alle 21
insieme alle motonavi Donizetti e Città di Tripoli e con la scorta
dell’incrociatore ausiliario Brindisi
e della torpediniera Giacomo Medici,
arrivando a Durazzo alle 11.30 del 2 maggio con 733 militari e 2100 tonnellate
di rifornimenti.
La nave, con i colori della
società Italia, carica rottami metallici a Houston, probabilmente durante la “non
belligeranza” italiana, come si evince dai contrassegni di neutralità dipinti
al centro ed a poppa (dallo “Houston Port Book”
del maggio 1940)
|
20 maggio 1941
Lascia Taranto e si
aggrega provvisoriamente ad un convoglio partito da Napoli per Corinto e
composto dai piroscafi tedeschi Trapani,
Spezia e Livorno, scortati dall’incrociatore ausiliario Arborea. Alle 14.30 il convoglio giunge in vista di un altro
convoglio, denominato «Annarella», in navigazione da Brindisi a Patrasso e
formato dalle navi cisterna Annarella,
Strombo e Dora C. scortate dal cacciatorpediniere Carlo Mirabello e
dall’incrociatore ausiliario Brindisi.
Il Laura C., come precedentemente
stabilito, lascia il convoglio dell’Arborea
e si accoda al convoglio «Annarella», che poi prosegue nella navigazione.
La navigazione
procede tranquilla fino alle 5.40 del 21 maggio, quando viene avvistata
un’esplosione al largo di Capo Dukato: le navi assistono così alla fine della
cannoniera Pellegrino Matteucci,
saltata su mine posate dal posamine britannico Abdiel. Il Mirabello,
avvicinatosi per accertare l’accaduto e prestare soccorso, alle 6.30 urta a sua
volta una mina, perdendo la prua. Mentre il Brindisi
cerca di assistere il Mirabello, le navi
del convoglio rimangono in zona, zigzagando (come è stato loro ordinato dal Brindisi subito dopo il danneggiamento
del Mirabello). Il Mirabello affonda infine verso
mezzogiorno, due miglia a sud di Capo Dukato, ed alle 14.18 le navi del
convoglio devono assistere ad un altro disastro: i piroscafi tedeschi Marburg e Kybfels, sopraggiunti da Patrasso, saltano a loro volta sulle mine
nonostante il tentativo di avvertirli del pericolo. A questo punto il
comandante del Brindisi, ritenendo
pericolosa la posizione del convoglio a causa del rischio costituito dalle
mine, decide di non attendere oltre in zona (dove stava aspettando il ritorno
di un proprio motoscafo) e di proseguire subito con il convoglio per Corfù
(invece che per Patrasso: la destinazione è stata cambiata a seguito della
scoperta delle mine), come ordinato da Supermarina fin dalle 10.36.
Alle 18.45 il Dora C. segnala la presenza di un
sommergibile sulla sinistra; il Brindisi
lo attacca con due bombe di profondità, poi le navi proseguono, assumendo dalle
20.30 la formazione notturna.
Alle 5.45 del 22
maggio la Dora C. deve uscire dalla
formazione per una ventina di minuti, causa avarie; alle 6.30, per il timore di
mine al largo di Porto Edda, il convoglio dirige su Valona invece che su Corfù,
ordine che viene confermato da Supermarina alle 10.30. Le navi concludono il
loro travagliato viaggio a Valona, alle 17.30.
Il Laura C. in navigazione (foto tratta da http://vimeo.com/25990187)
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L’affondamento… ed il seguito
Il 28 giugno 1941 il Laura C. (comandante civile capitano
Giuseppe Pirino, comandante militare Rodolfo Muntjan), salpò da Venezia diretto
a Taranto, da dove poi sarebbe proseguito verso Messina ed infine verso Tripoli
con rifornimenti per le forze dell’Asse operanti in Nordafrica: il carico,
imbarcato a Venezia, assommava a 5773 tonnellate di materiali, tra cui
provviste (farina, zucchero, vino Chianti, birra, conserve, anche Campari soda
in bottigliette), stoffe, macchine da cucire, biciclette (per i bersaglieri),
profumi, inchiostro di china, coltelli, parti di ricambio per automezzi,
medicinali, cavi per linee telefoniche, armi, munizioni, vestiario e 1400-1500 (per
altre fonti 700) tonnellate di tritolo, queste ultime sistemate nella terza
stiva poppiera. Dopo la sosta a Taranto, il 3 luglio la nave ripartì in
convoglio con i piroscafi Mameli e Pugliola (aggregatosi a Crotone), con la
scorta dell’incrociatore ausiliario Arborea
e della torpediniera Altair, alla
volta di Messina. Il convoglio navigava in linea di fila (il Laura C. era la seconda delle tre navi
da carico della fila) ad otto nodi di velocità, preceduto dall’Altair, mentre l’Arborea procedeva a circa 800 metri sul fianco del convoglio, con
rotta parallela.
Alle 10.30 dello
stesso 3 luglio, al largo di Capo Spartivento, il convoglio venne avvistato dal
sommergibile britannico Upholder, al
comando del capitano di corvetta Malcom David Wanklyn: alle 11 il sommergibile,
avendo correttamente identificato la composizione del convoglio, manovrò per
portarsi all’attacco, mentre Arborea
ed Altair (che alle 11.25 gettò una
singola bomba di profondità) zigzagavano a grande velocità a circa 2745 metri
dal convoglio. Intanto, dalle 10.50, dopo essere uscito dal settore visuale di
Melito Porto Salvo, il convoglio era tenuto sotto controllo dalle vedette del
semaforo di Capo dell’Armi. Alle 11.35 l’Altair
virò in direzione dell’Upholder,
procedendo a 27 nodi, così che Wanklyn dovette portare il suo sommergibile a 14
metri di profondità e modificare la rotta. La torpediniera, tuttavia,
evidentemente non aveva localizzato il battello britannico, tanto che gli transitò
ad ovest senza attaccare, e così alle 11.39 l’Upholder poté tornare a quota periscopica. Tre minuti più tardi,
alle 11.42, nel punto 37°54’ N e 15°44’ E (al largo di Saline Ioniche e presso
Capo dell’Armi, in Calabria, a sud dello Stretto di Messina), il sommergibile
lanciò tre siluri contro la nave centrale del convoglio: il Laura C.
Dopo due minuti, alle
11.45, il piroscafo venne colpito da due siluri sul lato sinistro, a pochi
secondi l’uno dall’altro. Il primo siluro andò a segno a prua, all’altezza
della stiva numero 2, aprendo una falla attraverso cui la nave imbarcò acqua ma
senza causare, apparentemente, danni di eccessiva gravità: la Laura C. continuò ad avanzare e
l’esplosione fu tanto debole che parte dell’equipaggio, sulle prime, pensò che si
fosse trattato della detonazione di bombe di profondità lanciate dalle unità di
scorta, non che la nave fosse stata colpita. Dopo pochi secondi, però, il
secondo siluro colpì la sala macchine, fermando le macchine, bloccando il
timone ed aprendo un enorme squarcio che causò il rapido allagamento delle
stive.
Dei 38 membri
dell’equipaggio (6 militari e 33 civili), quattro rimasero uccisi sul colpo e
sette (o cinque; tra di essi il nostromo Luigi Tarabocchia e l’ingrassatore
Pasquale Moscheni) furono feriti, due dei quali morirono per le ferite
riportate. Il Laura C. rimase a galla,
ma con il timone in avaria (secondo una versione, le macchine non erano state
subito poste fuori uso dallo scoppio del siluro, bensì la nave iniziò a girare
in cerchio e dovette pertanto fermare le macchine), ed iniziò a sbandare sulla
sinistra e ad appruarsi rapidamente. Constatata l’estrema gravità della
situazione, i comandanti Pirino e Muntjan – considerando che manovrare era
impossibile e temendo che l’acqua imbarcata dalla nave, aggiungendosi alle 5773
tonnellate del carico, avrebbe potuto provocare un cedimento strutturale con il
repentino affondamento e la morte dell’intero equipaggio – decisero di ordinare
di abbandonare la nave.
Mentre l’Altair, già due minuti dopo il siluramento,
iniziava la caccia all’Upholder (che
frattanto si era immerso a 45 metri, allontanandosi verso est) per distruggerlo
od almeno impedire un nuovo attacco, bombardandolo con 18 cariche di profondità
e ritenendo infine, erroneamente, di averlo affondato (in realtà nessuna delle
bombe era esplosa abbastanza vicina da causare dei danni, anzi, poco dopo
mezzogiorno, terminato il contrattacco, il sommergibile tornò a quota
periscopica per osservare il piroscafo colpito), da Marina Messina vennero
inviati due rimorchiatori per portare in salvo la nave danneggiata. Quando le
due unità raggiunsero il piroscafo, però, questo era ormai tanto appruato che
l’acqua arrivava a livello delle cubie, pertanto non si poté far altro che
tentare di portarlo ad incagliare in costa.
Alla fine il Laura C. poté essere preso a rimorchio e
portato all’incaglio alla foce della fiumara di Molaro, sulla spiaggia di
Saline Ioniche, per salvare la nave od almeno il suo carico. Ma la
configurazione del fondale in quel punto, molto scosceso, fece sì che la Laura C., nel giro di poche ore,
scivolasse all’indietro lungo il fondale, affondando alle 18.15 nel punto 37°
56,833’ N e 015° 41,816’ E, a cento metri dalla spiaggia, lasciando emergere
solo il castello di prua e parte dell’albero di trinchetto. I feriti vennero
portati nella stazione ferroviaria di Saline Ioniche, trasformata in
improvvisato ospedale (da lì poi tre feriti vennero trasferiti e ricoverati in
un ospedale della Croce Rossa).
Parte delle
vettovaglie che facevano parte del carico, finite a riva, divennero una
insperata risorsa per la popolazione locale affamata dai razionamenti imposti
dalla guerra; gli abitanti del luogo recuperarono anche parte del carico venuto
a galla dopo l’affondamento.
Le vittime:
Francesco Diritti, segnalatore (Regia Marina),
30 anni, da Paola (disperso)
Angelo Duse, marinaio (Marina mercantile), 49
anni, da Venezia (deceduto)
Stefano Izzo, fuochista (Marina mercantile),
38 anni, da Torre del Greco (disperso)
Edoardo Marcussi (o Marcuzzi), marinaio
(Marina mercantile), 35 anni, da Trieste (disperso)
Pietro Mosetti, terzo ufficiale di macchina
(Marina mercantile), 52 anni, da Trieste (disperso)
Vittorio Panariello, marinaio (Regia Marina),
24 anni, da Napoli (deceduto)
L’attacco alla Laura C. nel giornale di bordo dell’Upholder (da Uboat.net):
“1030 hours - Sighted
smoke near Cape Spartivento.
1100 hours - Made out
three merchants, an armed merchant cruiser [l’Arborea] and a destroyer [l’Altair].
Started attack.
1125 hours - The
destroyer dropped a single depth charge. It was noticed that both the destroyer
and the armed merchant cruiser were zig-zagging wildly about 3000 yards outside
the convoy.
1135 hours - The
destroyer turned straight towards Upholder
at 27 knots. Lt.Cdr. Wanklyn dived to 45 feet and altered course.
1139 hours - Returned
to periscope depth as the destroyer was heard to pass to the westward.
1142 hours - In
position 37°54'N, 15°44E, fired three torpedoes against the centre ship in the
convoy, a heavily laden, grey painted cargo vessel of about 5500 tons [il Laura C.]. Two hits were obtained and Upholder went to 150 feet and retired to
the eastward.
1147 hours - Depth
charging started. 18 depth charges were fired but none were very close.”
La prua del Laura C. affiora dal mare davanti a Saline Joniche (da “Il Quotidiano” del 13 luglio 2009) |
Del recupero del
carico, effettuato negli anni successivi (1944), il ministero incaricò tre
palombari: Ferdinando Todaro, Salvetti e Corbani. Uno di loro, Salvetti, morì
durante tali operazioni, andando così ad aggravare il bilancio delle vittime,
mentre Todaro si sposò e si stabilì a Saline Ioniche, dove visse fino all’età
di 88 anni, continuando a raccontare della nave e delle sue immersioni su di
essa, stupendosi nel sapere che i subacquei che vi s’immergevano non cercassero
di recuperare nulla. A porre fine ai recuperi fu un’alluvione della Fiumana
Molaro, che fece sprofondare ed insabbiò definitivamente gran parte del
relitto.
La storia della Laura C., però, non finì così. Il
relitto, che giaceva a profondità compresa tra i 26 ed i 56 metri a pochissima
distanza dalla riva (0,12 miglia), con la prua rivolta verso terra (come
l’aveva lasciata l’estremo tentativo di salvare la nave) e completamente
sepolta nella sabbia (la prua, che inizialmente affiorava sopra la superficie e
che così è rimasta per molti anni, tanto che i giovani del luogo la usavano
come trampolino per tuffarsi in mare, è sprofondata via via nei sedimenti del
fondale sino ad esserne completamente inghiottita: solo l’estremità superiore
dell’albero prodiero affiora oggi dal fondale, a 18 metri di profondità), custodiva
ancora intatte, nelle sue stive, le 1500 tonnellate di tritolo: che, forse,
divenne una fonte di esplosivo da impiegarsi a scopi criminali.
Secondo le
dichiarazioni di diversi pentiti, quali Vincenzino Calcara, Emanuele Di Natale
e Carmine Alfieri, il tritolo della Laura
C. sarebbe stato abbondantemente prelevato dalla ‘ndrangheta, dalla mafia
siciliana, dalla camorra e dalla mafia pugliese nel corso degli anni, e sarebbe
stato impiegato per confezionare varie bombe, tra cui una collocata (ma non
esplosa) nel palazzo del comune di Reggio Calabria nel 2004, un’altra destinata
al giudice Ottavio Sferlazza nel 2005, panetti di tritolo trovati nel 2004
dalla polizia sotto il ponte Molaro e nel greto del torrente Sant’Elia, e
persino gli ordigni usati nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992,
nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e
negli attentati di Roma e Firenze del 1993. Le indagini della Direzione
Distrettuale antimafia di Reggio Calabria, della Guardia di Finanza e del Sisde
(iniziate nel 1995 dopo le prime notizie trapelate) non hanno portato a trovare
alcuna prova, ma per maggior sicurezza si è deciso di ricoprire le stive con
una colata di cemento, seppellendo per sempre il carico e prevenendo così
qualsiasi ipotetico ‘prelievo’ di esplosivo: l’operazione è stata effettuata in
150 giorni nel 2002, dalla società napoletana Cormorano Srl, al costo di 3.800.000.000
di lire (operazione che tuttavia, a causa dello sbandamento del relitto, non è
riuscita ad impedire completamente l’accesso alle stive).
Sulla Laura C., e sul presunto impiego del suo
esplosivo a scopo mafioso, è stata persino scritta un’opera teatrale,
intitolata appunto “Laura C.”
(ispirata ad “Aspettando Godot”).
Due anni dopo, nel
2004, la nave ha reclamato un’altra vittima: il subacqueo trentaseienne
Domenico Racaniello, immersosi sul relitto, è rimasto impigliato in delle cime,
annegando. A seguito di questa ultima tragedia, l’immersione sul relitto della Laura C. è stata vietata, salvo per
scopi scientifici (sul relitto si è infatti sviluppato un ecosistema marino
particolarmente ricco, sebbene lesionato dall’opera di cementazione delle stive),
divieto tolto dopo alcuni anni (ma solo previa segnalazione alla Guardia
Costiera): è infatti un relitto molto rinomato tra i subacquei, per la sua
bellezza e la ricchezza di flora e fauna.
Il 3 luglio 2011, nel
settantesimo anniversario dell’affondamento, un centinaio di subacquei ha
deposto una corona di fiori, benedetta dal parroco di Saline, sull’albero di
carico prodiero, nel corso di una cerimonia (organizzata dalla Pro Loco e dal
Diving Club “Ficarella”) cui hanno preso parte anche dei parenti delle vittime e
dei sopravvissuti (tra cui Stefano Gligo, nipote del primo ufficiale, oltre al
figlio del palombaro Francesco Todaro, Daniele) e rappresentanti delle autorità.
A terra sono stati suonati il silenzio e l’inno nazionale e recitata la
preghiera del marinaio, ed è stata allestita una mostra (con fotografie e
documenti concessi dalla Marina) nel centro polivalente di Saline Ioniche.
Messaggi inviati all’epoca a
riguardo dell’affondamento (primi due) e pagine sul Laura C. del registro del Compartimento Marittimo di Trieste (per
g.c. del sito http://www.lazzaroturistica.it/visita-i-dintorni/saline-joniche/89-relitto-della-nave-laura-c.html,
documentazione fornita da Mimmo Leonardo)
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