Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (698 tonnellate di dislocamento in
superficie e 866 in immersione). Effettuò cinque missioni di guerra (di cui
quattro offensive), percorrendo in tutto 2442 miglia in superficie e 901 in
immersione e trascorrendo 40 giorni in mare.
Breve e parziale cronologia.
30 giugno 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
10 aprile 1938
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
13 agosto 1938
Entrata in servizio.
12 dicembre 1938
Dislocato a Lero alle
dipendenze di Maricosom (il comando della flotta subacquea italiana) e
precisamente del V Gruppo Sommergibili.
Maggio 1940
Assegnato alla LXII
Squadriglia Sommergibili (VI Gruppo Sommergibili) e dislocato a Tobruk, al
comando del TV Piero Riccomini.
10 giugno 1940
Con l’ingresso
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, il Lafolè, che fa ancora parte della LXII Squadriglia di base a Tobruk
(insieme a Topazio, Nereide, Diamante e Galatea),
viene mandato dapprima al largo di Sollum (dove forma uno sbarramento insieme a
Diamante, Topazio e Nereide,
posizionati con un intervallo di 20 miglia l’uno dall’altro a partire dal punto
a 30 miglia per 30° da Ras Azzaz), per proteggere i porti della Cirenaica e se
possibile attaccare naviglio nemico in navigazione tra Alessandria d’Egitto e
Malta, e poi al largo di Tobruk, in missione offensiva.
20 giugno 1940
Torna dalla missione
senza aver avvistato alcuna nave nemica.
3 luglio 1940
Inviato in agguato
sulla congiungente Gaudo-Derna (al centro della congiungente stessa) insieme ad
altri sommergibili.
7-8 luglio 1940
Rileva navi nemiche
impegnate in intensa caccia antisommergibile (è infatti in mare un convoglio di
ritorno da Malta ad Alessandria d’Egitto), ma non riesce a localizzarle.
14 luglio 1940
Torna alla base senza
aver effettuato alcun avvistamento.
21 settembre 1940
Inviato in agguato
difensivo notturno nel golfo di Taranto.
In settembre svolge
altre missioni di agguato difensivo antisommergibile nel golfo di Taranto.
Il Lafolè in navigazione (da “Sommergibili italiani” di Alessandro
Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, 1999, via www.betasom.it)
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L’affondamento
L’8 (o 10) ottobre
1940 il Lafolè (tenente di vascello Pietro Riccomini) lasciò Taranto per
raggiungere il settore d’agguato ad esso assegnato, delimitato a settentrione
dal parallelo 35°40’ N ed a meridione dal tratto di costa marocchina tra Capo
Quillates e Capo Agua, a est di Gibilterra. Quando la missione si fosse
conclusa, il battello sarebbe dovuto passare per le Bocche di Bonifacio per poi
raggiungere Napoli: ma questo non sarebbe mai avvenuto.
Il 15 ottobre il
sommergibile raggiunse l’area assegnata, a sudest dell’isola di Alboràn ed a
nord di Capo Tres Forcas (non lontano da Melilla), iniziando quindi a
pattugliarla.
Cinque giorni dopo,
verso le undici del mattino del 20 ottobre, il Lafolè avvistò 12 miglia a nord di Capo Tres Forcas due
cacciatorpediniere britannici, il Gallant
ed il Griffin, che pendolavano in sistematica
ricerca antisommergibile a bassa velocità, apparentemente ignari della sua presenza:
approfittando dell’occasione, il sommergibile serrò le distanze sino a 500
metri, nel tentativo di attaccare.
Quello che il
comandante Riccomini non poteva sapere, però, era che gli inglesi erano pienamente
a conoscenza della presenza della sua unità: due giorni prima, infatti, il
sommergibile Durbo (gemello del Lafolè), anch’esso in missione non molto
lontano dal Lafolè (i due
sommergibili erano stati inviati insieme a pattugliare le acque a levante di
Gibilterra), era stato affondato dai cacciatorpediniere HMS Firedrake e Wrestler, ed un drappello britannico, prima che il battello
affondasse, era riuscito a salire a bordo ed a catturare cifrari, ordini
d’operazione ed altri documenti, nei quali era tra l’altro indicata la
posizione del Lafolè, ossia al largo
di Capo Tres Forcas.
Era così stata
organizzata una trappola: sei cacciatorpediniere (Gallant, Griffin, Hotspur, Forester ed altri due) erano partiti da Gibilterra per dare la
caccia al sommergibile nella zona in cui si sarebbe dovuto trovare. Quando il Lafolè aveva avvistato il Gallant ed il Griffin, anch’essi avevano a loro volta rilevato la presenza del
battello italiano, ma non erano passati al contrattacco per non insospettirlo.
Mentre il Lafolè si avvicinava per
attaccarli, infatti, il terzo cacciatorpediniere facente parte del dispositivo
della trappola, l’Hotspur, si era
portato a 5000-6000 metri dal sommergibile di Riccomini (che non se ne era reso
conto), con un beta molto stretto, in direzione opposta a quella dove si
trovavano Gallant e Griffin: il battello era così
circondato. Tenuto sotto ascolto da tempo, il sommergibile italiano venne
lasciato avvicinare il più possibile, per poi passare al contrattacco non
appena avesse accennato a lanciare siluri.
Giunto a distanza
adeguata per attaccare, il Lafolè
lanciò infatti un primo siluro con i tubi poppieri, e subito tutti e tre i
cacciatorpediniere (prima Gallant e Griffin, e poi anche l’Hotspur frattanto giunto sul punto)
passarono al contrattacco, bombardando l’unità italiana con cariche di
profondità. Già la prima scarica di bombe arrecò gravissimi danni al
sommergibile, mettendo fuori uso i motori elettrici e le pompe di assetto,
deformando gli assi delle eliche ed aprendo delle vie d’acqua. I danni e le
avarie subite (vie d’acqua comprese) impedirono al Lafolè di manovrare e di mantenere assetto e profondità, così che
il sommergibile oscillò bruscamente in quota e si ritrovò ripetutamente ad
affiorare in superficie, ma l’equipaggio riuscì sempre a riportarlo in
profondità nel tentativo di sfuggire alla caccia.
Nonostante tutto, il Lafolè riuscì a restare immerso per
sette ore, resistendo alla durissima caccia antisommergibile, ma, dovendo
procedere a velocità molto bassa, venne continuamente fatto oggetto del lancio
di bombe di profondità. Alle 18.30 (17.30 per altra fonte), però, il
sommergibile, persa bruscamente profondità, affiorò ancora una volta, e stavolta
uscì dall’acqua tutta la sua torretta (per altra versione, la manovra di
affioramento fu voluta ed ordinata dal comandante Riccomini, che intendeva
approfittarne per ridurre l’eccessiva pressione interna in modo da poter poi
tornare di nuovo ad immergersi): questo proprio mentre l’Hotspur sopraggiungeva a tutta forza per eseguire un nuovo lancio
di bombe di profondità (per una versione il sommergibile affiorante venne anche
mitragliato, e fu deliberatamente speronato per impedire che, giunto in superficie,
potesse tentare di reagire con il cannone). La collisione fu inevitabile: speronato
dall’Hotspur, il Lafolè affondò in pochi attimi nel punto 35°50’ N e 02°53’ O (o 36°00’
N e 03°00’ O), a nord di Melilla, insieme a 40 uomini, tra cui il comandante Riccomini
e tre ufficiali.
Poteva essere la fine
per tutti, ma in nove, su 49 uomini che componevano l’equipaggio del
sommergibile, ne uscirono sorprendentemente vivi. Quando il Lafolè era affiorato in superficie, il
comandante in seconda, tenente di vascello Giuseppe Accardi, con otto uomini aveva
tentato di aprire il portello della torretta per ridurre la pressione interna:
proprio in quel momento era avvenuto lo speronamento, ed era stata proprio la
pressione interna a lanciare Accardi e gli altri otto uomini (tra cui i marinai
Agostino Di Bartolomeo ed Antonio Anastasio) all’esterno, attraverso lo
squarcio che la prua dell’Hotspur
aveva aperto nello scafo e nella torretta del sommergibile (per altra versione
attraverso il portello stesso); le bolle d’aria fuoriuscite dallo scafo in
affondamento li portarono in superficie. Fu lo stesso Hotspur a recuperare sette dei sopravvissuti, mentre il Gallant trasse in salvo gli altri due.
L’Hotspur, le cui strutture prodiere
dello scafo avevano subito gravi danni nella collisione, avrebbe necessitato di
riparazioni che si sarebbero protratte sino al 20 febbraio 1941.
I sopravvissuti del Lafolè, ora prigionieri, vennero
sbarcati a Gibilterra.
Perirono con il Lafolè:
Vittorio Ancorato, comune
Giovanni Arrabito, comune
Fernando Baldini, comune
Alfonso Bruceri, comune
Aldo Busoni, comune
Giulio Cafaro, capo di terza classe
Giuseppe Caiazza, comune
Giuseppe Castello, capo di seconda classe
Gino D’Ambrogio, comune
Renato Dazzara, comune
Silvio De Carli, comune
Astemio Del Bò, comune
Vittorio Delleani, operaio militarizzato
Vittorio Delleani, operaio militarizzato
Francesco Di Giuseppe, comune
Arrigo Farnetti, capo di prima classe
Mario Federici, tenente del Genio Navale
Direzione Macchine di complemento (direttore di macchina), 30 anni (MBVM)
Celestino Ghiringhelli, comune
Mario Macorini, comune
Antonino Martuccelli, comune
Francesco Migliorati, comune
Pietro Molino, comune
Vincenzo Molino, sottotenente di vascello
Vitale Nuzzo, comune
Giuseppe Palmieri, sergente
Carmelo Piazza, comune
Giovanni Pizzi, comune
Mario Porracin, sergente
Modesto Possenti, comune
Piero Riccomini, tenente di vascello
(comandante), 32 anni (MAVM)
Giovanni Rietti, comune
Gaetano Romano, guardiamarina
Antonio Ruggiero (o Ruggero), secondo capo
meccanico, 31 anni, da Sarno
Vittorio Russo, comune
Angelino Salmoiraghi, comune
Nevio Stroppiana, secondo capo
Romeo Tani, secondo capo
Osvaldo Tarchi, comune
Ugo Tezza, secondo capo
Aniello Tosini, comune
Mario Zaccarà, sergente
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di
vascello Piero Riccomini, nato a Modena il 2 ottobre 1908:
"Comandante di
sommergibile, nel corso di rischiosa missione di guerra attaccava audacemente
con siluro due cacciatorpediniere avversari scortati da aerei. Sottoposto a
violenta e prolungata caccia, con gli apparati motori inutilizzati e gravi
infiltrazioni di acqua a bordo con avvedute ed ardite manovre tentava di
sottrarsi alla reazione avversaria fronteggiando l'avverso destino con serena
determinazione e grande bravura. Nell'estremo tentativo di protrarre la resistenza
e di eludere la caccia a cui era sottoposto, con mirabile sangue freddo
disponeva la rapida emersione dell'unità, onde diminuire l'elevata pressione
interna mediante l'apertura di un portello e riprendere quindi nuovamente
immersione. Nell'audace intento trovava gloriosa fine con l'unità, che
affondava, colpita da nuova offesa avversaria. Esempio di eccezionali virtù di
comando e sublime attacco al dovere.
(Mediterraneo
Centrale, 20 ottobre 1940)."
Il momento fatale: l’Hotspur sperona il Lafolè, del quale si vede affiorare la prua (g.c. STORIA militare)
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Il caro Aldo Busoni, era nipote di mia nonna Dina.
RispondiEliminaHo tante lettere scritte da Aldo proprio dal Lafolè....
Grazie per il resoconto dettagliato e finalmente VERITIERO (a differenza di tanti altri siti) della vicenda!
RispondiEliminaMirko Federici (nipote del sopracitato Tenente G.N. Mario Federici)
Ho in "lavorazione" una ricerca dall'archivio segreto del Vaticano con notizie importanti sul comm.Piccomini, tragedia nella tragedia, il fratello Giorgio tenente di vascello osservatore su di un aereo, venne abbattuto nel giugno del 40 presso Porto Sudan. La madre interessò il Vaticano ed altre personalità nella ricerca e verità sulla presunta morte dei figli che alcune testimonianze davano per certo che Piero era vivo ma prigioniero degli Inglesi.
RispondiEliminaProbabilmente l'equivoco fu generato dalle notizie sul salvataggio del comandante in seconda Accardi, "deformatesi" passando da una persona all'altra...
EliminaPer Lorenzo Colombo
RispondiElimina17(a)
Appunto circa il Tenente Piero Riccomini del Sommergibile Lafolé
(Vaticano, 29 aprile 1941)
Il 20 Novembre 1940 la famiglia Riccomini si rivolgeva all’Ufficio Informazioni per avere notizie del Tenente di Vascello Piero Riccomini Comandante del Sommergibile Lafolé. La richiesta è stata subito rivolta al Delegato Apostolico di Londra, perché risultava da altre notizie che il Sommergibile in questione al momento della cattura si trovava in Atlantico, assieme al Sommergibile Durbo. Nel frattempo altre richieste sia per appartenenti al Lafolé, sia per appartenenti al Durbo furono segnalate alla Delegazione Apostolica di Londra. Nei primi giorni di dicembre giunsero le prime notizie e queste riguardavano il Ten. Accardi del Lafolé ed il Ten. Dindo del Durbo.
Dopo aver atteso qualche giorno si sollecitò Mons. Godfrey a chiedere al Ten. Accardi notizie del compagno Ten. Riccomini. Il 19 Dicembre 1940 giunse anche la notizia circa il Riccomini, con telegramma da Londra che diceva: « Riccomini well sends love ». La notizia venne immediatamente comunicata alla signora Riccomini a Livorno, ed alla persona che si era interessata a Roma per conto della famiglia.
Senonché il 24 dicembre arrivò un telegramma dalla Delegazione Apostolica di Londra con l’elenco completo dei superstiti dei due sommergibili Lafolé e Durbo, nel quale, mentre si ripetevano i nomi già comunicati del Tenente Accardi e Tenente Dindo, non si faceva menzione del Tenente Riccomini.
Per maggior tranquillità, poiché l’omissione sembrava sospetta, si telegrafò in cifra a Mons. Godfrey pregandolo di voler precisare la cosa.
Il 3 Gennaio 1941 Mons. Godfrey inviava il seguente telegramma:
« According to survivors Piero Riccomini from Lafolé must be presumed dead earlier communication due to confusion with another Riccomini ».
Nella debita forma furono di ciò avvertiti il fratello ed il Comm. Benvenuto che a nome della famiglia aveva fatto la domanda ed era stato anche informato del contenuto del primo telegramma. Essi si erano impegnati di dare con le dovute cautele la notizia alla moglie e alla madre; ma chiedevano che si domandasse alla Delegazione Apostolica notizia del Riccomini che ha generato l’equivoco. Speravano infatti che si trattasse dell’altro fratello Giorgio, Tenente Aviatore, disperso fin dal 29 Giugno 1940, e del quale non si è mai potuto avere nessuna notizia. Purtroppo però quel Riccomini non risultò avere in comune col Tenente Giorgio che il nome. Per aderire al desiderio degli stessi si ripeterono accertamenti sia presso la Delegazione Apostolica del Cairo, sia presso il Prefetto Apostolico del Sudan (località presso la quale risulterebbe caduto l’apparecchio pilotato dal Giorgio Riccomini); fu interrogato anche nuovamente un compagno di volo, Capitano Barone; ma la risposta di Mons. Testa non fece che confermare le antecedenti: « Prefet Apostolique Kodok telegraphie Liutenant Giorgio Riccomini considéré décedé ».
Ora un amico di famiglia dice di aver saputo che un altro scampato Giuseppe Castello, II° Capo silurista, trovasi prigioniero a Abassia (Egitto) e prega sia interrogato anche questo circa la sorte che può essere toccata al suo Comandante Ten. Piero Riccomini.
Ciò che l’Ufficio Informazioni curerà di fare con la radiotrasmissione del 30 Aprile 1941.
[Uff. Inf. Vat., 695, prot. 004522]
Molto interessante, grazie.
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