Torpediniera, già
cacciatorpediniere, della classe Rosolino Pilo (dislocamento in carico normale
770 tonnellate, a pieno carico 806 tonnellate), appartenente alla numerosa
serie delle “tre pipe”. La Mosto
e la gemella Francesco Nullo (poi
ribattezzata Fratelli Cairoli),
uniche unità della classe ad essere costruite dai cantieri Pattison di Napoli
invece che dai cantieri Odero di Sestri Ponente, differivano dalle gemelle per
la minore autonomia (14.800 miglia invece che 16.000) e velocità massima (29
nodi invece di 30).
Dopo aver operato
intensamente in Adriatico durante la Grande Guerra, nella seconda guerra
mondiale la Mosto fu attiva dapprima
lungo le rotte di cabotaggio libiche nel 1940-1941, e poi nel Basso Adriatico e
nello Ionio nel 1942-1943, scortando convogli tra l’Italia, la Grecia e
l’Albania nonché lungo le coste italiane. Durante la cobelligeranza con gli
Alleati scortò convogli in Tunisia.
Il suo motto era “A
qualunque costo avanti”.
Era nota anche come
“Tonino tre pipe”.
Breve e parziale cronologia.
9 ottobre 1913
Impostazione nei
cantieri Pattison di Napoli.
20 maggio 1915
Varo nei cantieri
Pattison di Napoli.
7 luglio 1915
Entrata in servizio.
12-13 agosto 1915
Nella notte tra il 12
ed il 13 il Mosto, il gemello Giuseppe Cesare Abba (caposquadriglia)
ed il cacciatorpediniere francese Bisson
escono da Brindisi per dare la caccia al sommergibile austroungarico U 3 (tenente di vascello Karl Strnad),
salpato da Cattaro il 10 agosto per un pattugliamento nel Canale d’Otranto, che
a mezzogiorno del 12 ha infruttuosamente attaccato con un siluro l’incrociatore
ausiliario Città di Catania, in
crociera di blocco ad est di Brindisi. Il Città
di Catania, evitato il siluro, ha speronato il sommergibile mentre
s’immergeva, riuscendo però soltanto a distruggerne il periscopio; l’U-Boot è
stato poi inseguito per ore dalle siluranti di appoggio all’incrociatore
ausiliario. Da vari avvistamenti si è dedotto che il sommergibile debba avere
un’avaria, pertanto l’ammiraglio Enrico Millo, comandante della Divisione
Esploratori, ha disposto l’uscita in mare di Mosto, Abba e Bisson per proseguire la caccia.
I tre
cacciatorpediniere, disposti a raggiera, ripercorrono per prima cosa la rotta
che dal luogo dell’attacco al Città di
Catania porta alla base austroungarica di Cattaro; calata poi la notte, il
comandante dell’Abba
(caposquadriglia), ritenendo che il sommergibile non debba essere troppo
lontano dal luogo del primo avvistamento, ordina una ricerca sistematica a zig
zag verso nord, per poi virare e riprendere la ricerca verso sud dopo aver
appurato che il sommergibile non si trova su tale rotta. Durante la notte l’U 3, tornato in superficie, viene
avvistato dai tre cacciatorpediniere, che aprono un intenso fuoco contro di
esso, obbligandolo a tornare ad immergersi; adagiatosi sul fondale, viene
sottoposto a caccia con bombe di profondità, subendo danni che lo costringono a
riemergere alle 4.52. Qui viene nuovamente cannoneggiato dal Bisson (tenente di vascello Le Sort),
affondando con la morte di metà dei quattordici uomini dell’equipaggio, tra cui
il comandante, Strnad. I superstiti vengono raccolti dalle unità dell’Intesa. (Altra
fonte non menziona il primo cannoneggiamento e l’attacco con bombe di
profondità, affermando che durante la ricerca il Bisson, ultimo della fila dei cacciatorpediniere, avvistò l’U 3, che procedeva in superficie a causa
di un’avaria, e lo affondò a cannonate).
14 settembre 1915
Mosto
ed Abba danno infruttuosamente la
caccia ad un sommergibile, avvistato dall’incrociatore britannico Topaze, al largo di Brindisi.
29 dicembre 1915
Il Mosto salpa da Brindisi alle 9.30,
insieme ai gemelli Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba e Rosolino Pilo, all’esploratore Nino Bixio (nave di bandiera del
contrammiraglio Silvio Belleni, comandante della Divisione Esploratori) ed
all’incrociatore leggero britannico Weymouth,
per intercettare una formazione navale austroungarica (esploratore Helgoland, cacciatorpediniere Tatra, Triglav, Csepel, Balaton e Lika) che alle 6.30 ha bombardato il porto di Durazzo e le
postazioni italiane nei dintorni della città.
Le navi
austroungariche sono salpate da Cattaro a mezzanotte del 28 su ordine
dell’ammiraglio Anton Haus (comandante in capo della Marina austroungarica),
informato da una ricognizione aerea della presenza a Durazzo dei
cacciatorpediniere italiani Euro ed Ostro nonché di vari piroscafi ed unità
minori. Data la non grande distanza tra Durazzo e Cattaro, Haus ha ritenuto che
una formazione navale leggera potrebbe riuscire ad infliggere perdite
all’avversario e poi rientrare alla base prima dell’arrivo di forze navali
dell’Intesa uscite dalla ben più lontana Brindisi.
Strada facendo, alle
2.30 della notte, l’Helgoland ha
speronato il sommergibile francese Monge,
che procedeva a quota periscopica, danneggiandolo e costringendolo ad emerger,
per poi essere affondato a cannonate dal Balaton;
giunte a Durazzo, le navi asburgiche non hanno trovato i cacciatorpediniere
italiani, già ripartiti, pertanto hanno diretto il loro tiro contro le uniche
navi presenti in rada – il piroscafo greco Mikel
e due velieri – affondandole. Dapprima, alle 7.30, sono penetrati in rada Tatra, Csepel, Triglav e Lika, per cannoneggiare i mercantili in
porto e le installazioni militari italiane a terra, mentre Helgoland e Balaton
attendevano al largo pronti ad intercettare Euro
ed Ostro se avessero tentato la fuga
(non sapendo che se n’erano già andati); poi anche Helgoland e Balaton sono
entrati in rada, aprendo il fuoco contro le installazioni di terra.
Terminato il
bombardamento, alle otto del mattino la formazione austroungarica è stata presa
di mira dal fuoco delle batterie costiere, e manovrando per portarsi fuori tiro
è incappata in un campo minato italiano, perdendo il Lika e subendo il grave danneggiamento del Triglav, che ha dovuto essere preso a rimorchio dapprima dal Csepel e poi (in seguito
all’ingarbugliamento del cavo di rimorchio in un’elica del Csepel, che è così rimasta bloccata) dal Tatra. In seguito a queste perdite, il comandante austoungarico
(capitano di vascello Heinrich Seitz, dell’Helgoland)
ha deciso di fare ritorno a Cattaro, chiedendo rinforzi (allo scopo escono
infatti da Cattaro il sommergibile U 15
e poi l’incrociatore corazzato Kaiser
Karl III con quattro torpediniere).
La notizia dell’attacco
austroungarico a Durazzo è giunta a Brindisi alle sette del mattino, e mezz’ora
dopo è uscito in mare per intercettare la formazione nemica (che in quel
momento stava ancora bombardando Durazzo) un primo gruppo composto
dall’esploratore Quarto (capitano di
fregata Francesco Accinni), dall’incrociatore leggero britannico Dartmouth e dai cacciatorpediniere
francesi Commandant Bory, Commandant Lucas, Casque, Renaudin, Mameluk e Lansquenet (per altra fonte, Quarto
e Dartmouth sarebbero usciti in mare
alle 7.45, e sarebbero stati poi raggiunti dai cacciatorpediniere francesi, fatti
salpare un’ora dopo); il secondo gruppo, quello di cui fa parte il Mosto, è stato fatto uscire due ore più
tardi dall’ammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, comandante della 2a
Squadra Navale, con l’ordine di puntare su Cattaro in modo da tagliare la via
della ritirata alle unità avversarie (secondo altra fonte, invece, sarebbe
stato il gruppo “Dartmouth”, che era più vicino a Cattaro di una ventina di
miglia, ad avere l’incarico di tagliare la via della ritirata alle navi
austroungariche, spingendole verso sud, in bocca al sopraggiungente gruppo “Bixio”).
Alle dieci del mattino la formazione dell’ammiraglio Belleni avvista un
sommergibile a proravia sinistra, ed alle 11.50 viene avvistato del fumo verso
nordest e due dei cacciatorpediniere vengono mandati in avanscoperta. Alle
11.45 il capitano di vascello Seitz, informato per radio dell’imminente arrivo
di unità nemiche, fa passare il rimorchio del Triglav dal Tatra all’Helgoland; secondo i piani
austroungarici, il gruppo del Kaiser Karl
III avrebbe dovuto raggiungere quello di Seitz prima dell’arrivo delle navi
italo-franco-britanniche provenienti da Brindisi, ma queste ultime sono uscite
in mare molto prima di quando gli asburgici non avessero preventivato, mandando
così all’aria le loro previsioni.
La formazione
austroungarica, già impegnata dal gruppo del Dartmouth alle due del pomeriggio, è costretta a procedere a
velocità ridotta a causa delle condizioni di Csepel e Triglav, e viene
così raggiunta dal gruppo di cui fa parte il Mosto (che durante la navigazione è stato attaccato da idrovolanti
austroungarici, abbattendone uno) alle 16 (per altra fonte, alle 15.30): gli
austroungarici danno allora attuazione al piano stabilito per questa
eventualità, autoaffondando il Triglav
e distaccando l’azzoppato Csepel, che
non riesce a superare i venti nodi, con l’ordine di raggiungere Cattaro, mentre
le rimanenti tre unità vanno incontro alla formazione italo-britannica per
coprirne la ritirata.
La formazione
dell’ammiraglio Belleni procede con il Bixio
in testa, il Weymouth a poppavia
sinistra della nave ammiraglia, Mosto
e Pilo sulla sinistra del Weymouth, e Nievo ed Abba sul lato
opposto del Bixio rispetto al nemico.
Avvicinandosi all’Helgoland il
comandante del Weymouth, capitano di
vascello Denis B. Crampton, avvista lo Csepel
verso sud ed alle 15.30 chiede all’ammiraglio Belleni il permesso di distaccare
Mosto e Pilo per isolarlo dal resto della formazione avversaria; alle 15.40
Belleni dà il suo assenso, ed i due cacciatorpediniere iniziano a manovrare
verso la scia dell’Helgoland. (Alle
14.30 anche il Quarto ha ricevuto
ordine di isolare lo Csepel,
annullato alle 15.15, ma sembra che il suo comandante non abbia ricevuto il
contrordine).
Alle 15.51 il Weymouth apre il fuoco contro l’Helgoland, cessandolo alle 16.08 per poi
riprenderlo alle 16.46, interromperlo ancora tre minuti dopo e riaprirlo alle
17.14 (l’Helgoland risponde al fuoco
alle 17.18). Sei minuti dopo apre il fuoco anche il Bixio.
Alle 16.40 l’Helgoland viene colpito; il comandante
Seitz assume rotta verso sudovest, verso il Gargano, in modo da avvicinarsi
alla costa italiana – giungerà, infine, a meno di venti miglia da Brindisi –
mantenendo le distanze con i suoi inseguitori (Bixio e Weymouth a
dritta, Quarto e Dartmouth a sinistra), mentre Abba
e Nievo vengono distaccati per
inseguire il Csepel.
La distanza tra
l’esploratore austroungarico e le navi di Belleni va però calando, mentre Bixio e Weymouth sottopongono l’Helgoland
ad un pericoloso fuoco incrociato: i loro colpi cadono tutt’attorno al
bersaglio ed alle 16.45 l’Helgoland
viene colpito di nuovo, alla linea di galleggiamento, ma a questo punto la
precisione del tiro italo-britannico inizia a calare a causa del sopraggiungere
dell’oscurità.
Alle 17.20 Mosto e Pilo, che si trovano al traverso a sinistra del Weymouth (e stanno manovrando fin dalle
15.40, quando hanno ricevuto l’ordine di isolare lo Csepel, per portarsi in posizione), fanno un ultimo tentativo di
serrare le distanze con l’Helgoland a
sufficienza per lanciare i propri siluri; ma via via che si avvicinano al
bersaglio diviene evidente che non potranno portarsi in posizione favorevole
per il lancio senza finire sotto il tiro delle stesse navi italo-britanniche,
pertanto il tentativo viene abbandonato.
Alle 17.30 è il Bixio, che insieme al Weymouth è giunto a quattromila metri
dall’esploratore austroungarico, ad essere colpito, senza subire danni di
rilievo. Si tratta dell’unico colpo incassato dalle unità italiane in tutto il
combattimento. Abba e Nievo non riescono a raggiungere lo Csepel e lanciano i loro siluri contro
l’Helgoland, ma senza successo.
Nell’oscurità
l’ammiraglio Belleni crede di vedere il nemico accostare verso nord, e vira di
conseguenza con il Bixio; il Weymouth, che è più vicino e non ha
notato cambi di rotta, prosegue invece senza variazioni, e finisce così col
passare tra il Bixio e l’Helgoland, costringendo l’esploratore
italiano a cessare il fuoco.
Verso le sei di sera,
calato il buio, viene cessato il fuoco (il Bixio
lo fa alle 17.34, il Weymouth alle
17.50) e rotto il contatto; le superstiti unità austroungariche assumono allora
rotta nord e raggiungono Cattaro (per altra fonte, Sebenico), quelle
italo-franco-britanniche fanno ritorno a Brindisi.
.jpg) |
L’Antonio Mosto in una fotografia scattata
poco tempo dopo la sua entrata in servizio (da www.gracesguide.co.uk) |
1° gennaio 1916
In mattinata il Mosto, in crociera al largo di Durazzo
insieme ad altri cacciatorpediniere ed al Weymouth,
s’imbatte in un cacciatorpediniere greco (la Grecia è neutrale ma sospettata
dall’Intesa di favorire gli imperi centrali). Il Weymouth ordina all’unità ellenica di fermarsi, sparando un colpo
d’avvertimento, ma questa cerca invece di allontanarsi; l’incrociatore
britannico ordina allora a tutte le unità – sono le 11.15 – di porsi al suo
inseguimento, e nel giro di mezz’ora il cacciatorpediniere greco viene
raggiunto e costretto a dirigere a Brindisi sotto la scorta di Mosto e Bory.
Gennaio 1916
Il Mosto imbarca a Durazzo re Pietro di
Serbia, ritiratosi in Albania con il suo esercito dopo l’invasione del suo
Paese da parte delle forze austroungariche, e lo porta a Valona. Da qui il
sovrano serbo verrà successivamente trasportato a Brindisi dall’Abba.
14 marzo 1916
Insieme ai
gemelli Francesco Nullo, Pilade Bronzetti e Simone Schiaffino ed
all’esploratore Marsala,
il Mosto partecipa ad una
perlustrazione della costa albanese, alla vana ricerca di navi austroungariche
o nuclei di soldati distaccati lungo la costa. Non viene trovata alcuna nave a
San Giovanni di Medua, e solo pochi velieri albanesi a Durazzo; vengono avvistati
due U-Boote, cui viene data la caccia senza risultato.
26 aprile 1916
Il Mosto compie una crociera notturna di
perlustrazione nelle acque antistanti Durazzo insieme ad altri
cacciatorpediniere, tra cui l’Impavido
e l’Abba. Alle cinque del mattino la
formazione, senza aver incontrato navi nemiche, dirige per rientrare a
Brindisi; alle sette Mosto ed Abba avvistano due mine vaganti e le
distruggono a cannonate. La formazione giunge in porto un’ora più tardi.
24-25 maggio 1916
Mosto,
Bronzetti, Pilo, Nievo, Schiaffino ed il cacciatorpediniere Ardente, insieme all’incrociatore
leggero britannico Dartmouth,
compiono una crociera al largo di Cattaro.
13 giugno 1916
Il Mosto (capitano di corvetta Giulio
Menini), insieme ai cacciatorpediniere Audace
(capitano di corvetta Giuseppe Piazza), Pilade
Bronzetti (caposquadriglia, capitano di fregata Pietro Comolli) e Rosolino Pilo (capitano di corvetta
Alberto Alessio), salpa da Brindisi e fornisce scorta e supporto ai MAS 5 e 7, i quali, salpati da Brindisi a rimorchio delle torpediniere
costiere 35 PN (capitano di fregata
Gustavo Vettori) e 37 PN (tenente di
vascello Riccardo Carpinacci), attaccano il porto albanese di San Giovanni di
Medua (sotto controllo austroungarico), abitualmente frequentato da piroscafi
austroungarici. In aggiunta alla scorta diretta di cui fa parte il Mosto, le unità uscite in mare fruiscono
dell’appoggio indiretto dell’incrociatore britannico Dartmouth e dei cacciatorpediniere francesi Casque, Fourche, Faulx e Mangini, in crociera di protezione al largo di Cattaro. Inoltre un
sommergibile, l’S 2 (tenente di
vascello Alessandro Giaccone), è dislocato in agguato al largo di Capo Pali.
A mezzanotte, a tre
miglia da San Giovanni di Medua, il rimorchio viene mollato ed i MAS iniziano
l’avvicinamento; constatata però l’assenza di naviglio nemico all’ormeggio,
viene deciso di abbandonare la missione e rientrare alla base. Mentre i MAS
stanno ripiegando, le batterie costiere di San Giovanni di Medua aprono il
fuoco, imitate poco dopo da quelle del Drin; le navi italiane reagiscono
accelerando e manovrando in modo da portarsi fuori tiro. (Secondo fonti
austroungariche, prima delle batterie costiere aprì il fuoco il
cacciatorpediniere Wildfang, presente
in rada – incaricato inizialmente di scortare due piroscafi da Antivari a
Giovanni di Medua, aveva successivamente ricevuto l’ordine di rimandare
indietro i mercantili e perlustrare la rada di San Giovanni di Medua – e non
visto dagli italiani, che all’1.14 aveva avvistato due cacciatorpediniere
nemici ad un paio di miglia dal porto ed un minuto dopo aveva aperto il fuoco
contro di essi. Solo all’1.20 anche le batterie costiere aprirono il fuoco;
all’1.35, con i bersagli in rapido allontanamento, il Wildfang cessò il fuoco, perdendoli definitivamente di vista cinque
minuti più tardi). All’1.32 la formazione si riunisce, alle 2.18 i MAS vengono
nuovamente presi a rimorchio dalle torpediniere, ed alle 9.15 tutte le navi
entrano indenni a Brindisi.
25-26 giugno 1916
Durante la notte tra
il 25 ed il 26 il Mosto (capitano di
corvetta Giulio Menini), insieme ai gemelli Abba
(capitano di fregata Giobatta Tanca), Pilo
(capitano di corvetta Alberto Alessio) e Nievo
(capitano di corvetta Ferdinando di Savoia-Genova), fornisce scorta ravvicinata
ai MAS 5 e 7 che, rimorchiati rispettivamente dalle torpediniere 36 PN (tenente di vascello Giobatta
Gabetti) e 34 PN (tenente di vascello
Vincenzo Magliocco), attaccano il naviglio austroungarico alla fonda a Durazzo,
dove una ricognizione aerea (piloti Caffarati, Jannello e Rigobello) ha
avvistato due piroscafi. È in mare anche un gruppo di protezione, dislocato
verso nord, composto dall’esploratore Marsala
(capitano di fregata Gino Ducci), e dai cacciatorpediniere Audace, Impavido
(capitano di corvetta Filippo Ortalda), Insidioso
(capitano di corvetta Marco Amici Grossi) ed Irrequieto (capitano di corvetta Romeo Bernotti).
Alle 00.15 del 26 i
due MAS mollano il rimorchio a due miglia e mezzo dall’obiettivo; penetrati in
rada, in condizioni di calma assoluta di mare (vi è anzi una marcata
opalescenza dell’acqua, che agevola l’avvistamento delle navi), avvistano i due
piroscafi, dei quali uno, di stazza valutata in poco meno di 3000 tsl, ha la
prua rivolta verso nord, e l’altro, stimato in 5000 tsl, ha la prua orientata
verso est.
Giunti a 1500 metri
dai bersagli scatta l’allarme, ma i comandanti dei due MAS si fermano e, invece
di ritirarsi, rimangono in attesa sperando di poter proseguire l’attacco: ed
infatti dopo una decina di minuti, non essendosi manifestati movimenti di
siluranti, attaccano il più grande dei due piroscafi con il lancio di tre
siluri da trecento metri di distanza. Due delle armi vengono viste esplodere;
da terra si scatena un nutrito fuoco di fucileria, ma i MAS persistono
nell’attacco e mentre il MAS 5 attira
su di sé il tiro nemico lanciandosi attraverso la rada a tutta forza (rimanendo
a circa cinquecento metri dalle navi), all’1.45 il MAS 7 lancia l’ultimo siluro rimasto contro il piroscafo più
piccolo, da soli duecento metri di distanza. A questo punto i due MAS, sempre
sotto il violento fuoco nemico, lasciano la rada, ed alle 2.40 si riuniscono ai
cacciatorpediniere ed iniziano la navigazione di rientro.
Questa volta
l’attacco è stato coronato da successo: mentre i primi tre siluri sono finiti
contro le reti parasiluri, l’ultimo ha colpito ed affondato il piroscafo
austroungarico Sarajevo, di 1111 tsl.
2 agosto 1916
Mosto,
Pilo, Abba, Ardente ed Indomito, insieme al Bixio ed all’incrociatore leggero
britannico Liverpool, intercettano
una formazione navale austroungarica (incrociatore protetto Aspern, cacciatorpediniere Wildfang e Warasdiner) che ha bombardato Molfetta; ne scaturisce un
combattimento protrattosi per tre quarti d’ora, senza che nessuna unità dei due
schieramenti abbia a subire danni.
25 agosto 1916
Mosto
e Nievo scortano l’incrociatore
leggero britannico Liverpool da
Valona a Brindisi.
26 settembre 1916
Mosto,
Bronzetti ed i cacciatorpediniere Ardente ed Animoso forniscono appoggio ad un’incursione aerea contro Durazzo.
Novembre 1916
Il Mosto forma la III Squadriglia
Cacciatorpediniere di base a Taranto, insieme ai similari Francesco Nullo e Giuseppe Missori.
Dicembre 1916
Il Mosto (che forma una squadriglia con Abba, Pilo, Nievo e Schiaffino) è in lavori a Brindisi.
.jpg) |
Un’altra
immagine del Mosto nei primi anni di
servizio (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net) |
4-5 maggio 1917
Il Mosto, insieme ad altri sette
cacciatorpediniere (Rosolino Pilo, Pilade Bronzetti, Ippolito Nievo, Francesco Nullo, Giuseppe Missori, Simone Schiaffino ed Insidioso) e due torpediniere (Airone e Pegaso), esce in mare per fornire appoggio e guida ad una
formazione di aerei inviati a bombardare la base austroungarica di Cattaro. Le
unità sono suddivise in sette gruppi: il Mosto, insieme al Missori,
forma il terzo, mentre gli altri sei gruppi sono composti da Simone Schiaffino ed Ippolito Nievo (1° Gruppo), Rosolino Pilo e Pilade Bronzetti (2° Gruppo), Insidioso (4° Gruppo), Nullo (5° gruppo), Airone (6° Gruppo) e Pegaso (7°
Gruppo). Il 1°, 2° e 3° Gruppo, composti da due unità ciascuno, sono
posizionati più vicini alle coste nemiche. Sono in mare anche gli
esploratori Aquila e Carlo Alberto Racchia, per fornire
appoggio a distanza alle siluranti.
Queste ultime
indicano agli aerei la rotta da seguire puntando i fari verso l’alto e verso le
loro scie, ed impiegando fuochi verdi o rossi per indicare ai velivoli se si
trovino a sud od a nord del segnalamento. Nonostante il forte scarroccio e la
fitta foschia rendano difficile l’avvistamento delle siluranti, dodici aerei
(su uno dei quali è imbarcato il poeta Gabriele D’Annunzio; comandante della
formazione è invece il maggiore Armando Armani) riescono a raggiungere Cattaro
ed a sganciare le bombe sull’obiettivo, per poi rientrare alla base senza
subire perdite, dopo un volo di cinque ore e mezza.
15 maggio 1917
Alle 4.50 il Mosto ed il gemello Rosolino Pilo salpano da Brindisi insieme all’incrociatore leggero
britannico Bristol ed assumono
rotta verso nordest, per intercettare una formazione austroungarica che ha
condotto una scorreria nel Canale d’Otranto.
Alle 3.48, infatti, è
giunto a Brindisi un messaggio della stazione di vedetta dell’isola albanese di
Saseno, che informava che un convoglio italiano in navigazione lungo la costa
albanese, formato dai piroscafi Bersagliere, Carroccio e Verità scortati dal
cacciatorpediniere Borea, è
stato attaccato da cacciatorpediniere austroungarici (due, lo Csepel ed il Balaton).
Tale attacco – che si
protrarrà dalle 3.06 alle 3.45 e porterà all’affondamento di Borea e Carroccio ed al danneggiamento delle altre due navi del
convoglio, in modo grave il Verità e
più lievemente il Bersagliere – è
solo un diversivo per una più importante incursione austroungarica nel canale
d’Otranto: sono infatti in mare anche gli esploratori Saida, Helgoland e Novara (al comando del capitano di
vascello Miklós Horthy, comandante della formazione austroungarica), che alle
3.30 hanno attaccato i drifters addetti alle reti antisommergibile dello
sbarramento del canale d’Otranto – obiettivo principale dell’operazione –
affondandone ben quattordici entro le 4.57 (per altra fonte, tra le 4.20 e le
5.47). Quella concepita dagli austroungarici è un’operazione complessa, di gran
lunga il più imponente dei diciotto attacchi lanciati dalla Marina asburgica
contro lo sbarramento del Canale d’Otranto nel corso del conflitto: oltre alle
due azioni navali, principale contro i “drifters” e secondaria contro il
convoglio, è infatti prevista anche la partecipazione di sommergibili ed aerei.
Dei sommergibili, l’U 4 è schierato
davanti a Valona, dove è giunto alle quatto del mattino del 15 maggio, per
attaccare eventuali navi maggiori dell’Intesa che dovessero salpare da questa
base; l’U 27 è inviato in agguato
(dalle 5.30 del mattino del 15) a venticinque miglia da Brindisi, sulla
congiungente tra tale porto e Punta d’Ostro; e l’U 89 ha posato all’alba un campo minato davanti a Brindisi, per poi
rimanere in agguato nei pressi. Per quanto riguarda gli aerei, da Cattaro e
Durazzo sono decollati rispettivamente alle 5.30 ed alle 6 degli idrovolanti
con l’incarico di volare verso Brindisi, spingendosi fino a 70 miglia (quelli
decollati da Cattaro) e 90 miglia (quelli da Durazzo) dalla costa della
Dalmazia, per poi fare rotta su Valona, contattando via radio le navi di Horthy
in caso di avvistamento.
Per il caso di un
intervento delle forze di superficie dell’Intesa, sono tenuti pronti a muovere
dalle cinque del mattino l’incrociatore corazzato Sankt Georg, la corazzata costiera Budapest, il cacciatorpediniere Warasdiner
e sette torpediniere (tra cui le TB 84,
88, 99 e 100).
Saida,
Helgoland e Novara, camuffati in modo da somigliare a grossi cacciatorpediniere
britannici per potersi avvicinare ai loro bersagli senza destare sospetti, sono
salpati da Cattaro alle 19.40 del 14 maggio, seguendo rotta verso sud fino
all’isola di Fanò/Othoni (la più occidentale delle Diapontie) per poi virare a sinistra,
separarsi alle 3.10 ad una decina di miglia da Otranto ed a quel punto,
distanziati tra di loro di quattordici miglia (il Novara 14 miglia ad ovest di Fanò, il Saida 28 miglia ad ovest e l’Helgoland
42 miglia ad ovest), rastrellare il mare verso est, affondando tutti i drifter
incontrati. La notte dell’attacco si trovano in mare in tutto 52 “drifters”,
scaglionati lungo lo sbarramento, in ordine da ovest ad est, nelle divisioni
“N” (sei unità), “B” (otto unità), “C” (quattro unità), “T” (otto unità), “E”
(sei unità), “A” (otto unità), “O” (sei unità) e “S” (sei unità), sotto il
comando del tenente di vascello Robert H. Baunton, imbarcato sul Capella, uno dei pochi “drifters” muniti
di radio.
Il Novara risparmia un primo gruppo di
drifters che ha avvistato perché è ancora troppo presto, ed Horthy teme di
mettere in allarme il nemico aprendo il fuoco su di essi; è quindi il Saida il primo ad attaccare. Per tutti i
drifters la procedura seguita è la stessa: le navi di Horthy concedono
all’equipaggio il tempo di abbandonarlo, prima di procedere al suo
affondamento. Gli equipaggi di alcuni drifters, come il Floandi, il Gowan Lee ed
il Morning Star II, non obbediscono
all’intimazione ed anzi reagiscono con i loro minuscoli cannoncini:
sorprendentemente, riescono ad indurre gli attaccanti a desistere, pur subendo
parecchi danni. Ad altri non va altrettanto bene, ed uno dopo l’altro vengono
affondati l’Admirable, l’Avondale, il Coral Haven, il Craignowan,
il Felicitas, il Girl Rose, l’Helenore, il
Quarry Knowe, il Selby, il Serene, il Taits, il Transit, il Young Linnet.
Su 47 drifters in servizio sullo sbarramento al momento dell’attacco,
quattordici vengono affondati e quattro danneggiati; gli esploratori
austroungarici raccolgono 72 naufraghi (i morti tra gli equipaggi dei drifters
sono nove) prima di terminare l’azione e fare rotta verso nord. Il piano
prevede la loro riunione, a quindici miglia da Capo Linguetta, entro le 7.15
del mattino del 15 maggio, ossia non più di un’ora dopo il passaggio in tale
zona di Csepel e Balaton (questo intervallo di un’ora è motivato dalla decisione di
mantenere i due cacciatorpediniere, durante la navigazione di rientro, venti
miglia a proravia degli esploratori e sulla loro sinistra, in modo da coprirli
da eventuali incontri con forze navali dell’Intesa, che in caso di incontro
dovranno attirare, facendosi inseguire, verso le bocche di Cattaro). Per tutte
le unità è imperativo il silenzio radio; il Novara
deve effettuare il suo primo segnale solo dopo l’incontro con gli altri
esploratori a Capo Linguetta, per poi fare una segnalazione al semaforo di
Castelnuovo dopo aver superato Capo Rodoni.
Csepel (caposquadriglia, capitano di fregata Johannes principe di
Liechtenstein) e Balaton (capitano di
corvetta Franz Morin) hanno lasciato Cattaro alle 18.20 del 14 maggio,
regolandosi in modo da trovarsi a Dulcigno alle 21; poi, mantenendosi a
quindici miglia da Saseno, si sono diretti verso la costa albanese (zona di
Monte Elia) in formazione a ventaglio verso sudovest, alla ricerca di convogli
dell’Intesa provenienti o diretti in Albania, seguendo una rotta che evitasse
di incrociarsi con quella degli esploratori. Dovranno poi regolare il rientro
in modo da superare Capo Linguetta non oltre le 6.15 del mattino del 15 maggio.
Giunti nella zona assegnata per la ricerca alle 2.51 del 15 maggio, si sono
messi in cerca di prede navigando di conserva a mezzo miglio dalla costa
albanese fino alle 3.05, quando l’U 4
ha segnalato loro quattro navi, che poco dopo hanno a loro volta avvistato alla
luce lunare (la luna è sorta alle spalle delle navi italiane, agevolando
l’avvistamento agli austroungarici e complicandolo agli italiani): il convoglio
formato da Borea (capitano di
corvetta Virgilio Franceschi), Bersagliere,
Carroccio (il cui carico comprende
cinquanta siluri e cinquanta tonnellate di munizioni) e Verità (carico tra l’altro di petrolio e benzina in fusti), partito
da Gallipoli – scalo intermedio della sua traversata, iniziata a Taranto il 13
maggio – alle dieci del mattino precedente e diretto a Valona alla velocità di
6,5 nodi, il massimo consentito dalla scarsa velocità del Bersagliere, nave più lenta del convoglio. Le navi italiane si
trovano in quel momento a tre miglia dalla costa albanese, con rotta
nord/nordest.
Dopo aver avvistato a
sua volta delle sagome nell’oscurità ed aver effettuato, nel dubbio, il segnale
di riconoscimento, il Borea è
divenuto subito bersaglio del tiro concentrato dei due cacciatorpediniere
austroungarici, ben più grandi e pesantemente armati, venendo quasi subito
immobilizzato. Mentre il Csepel
continuava il martellamento dell’unica nave di scorta, il Balaton è passato a cannoneggiare i mercantili, che seguivano il Borea in linea di fila, incendiando
dapprima il Carroccio, poi
immobilizzando ed incendiando il Verità
ed infine colpendo ripetutamente il Bersagliere;
gli equipaggi dei tre mercantili abbandonano le rispettive navi mettendosi in
salvo sulle lance. Superato il convoglio dopo averne immobilizzato od
incendiato tutte le unità, i due cacciatorpediniere invertono la rotta e lo
risalgono sul lato opposto, aprendo nuovamente il fuoco per altri cinque minuti
e colpendo ancora Carroccio e Borea. Completata l’opera di distruzione
alle 3.45, Csepel e Balaton hanno cessato il tiro ed hanno
iniziato la navigazione di ritorno alla base, senza raccogliere i naufraghi; a
questo provvederanno varie unità italiane subito salpate da Valona e Porto
Palermo, allertate dal rumore delle cannonate e dai bagliori degli incendi:
troveranno le quattro navi tutte ancora a galla, ma per Borea e Carroccio non c’è
più niente da fare, entrambi affonderanno poco dopo (il Borea alle 5.22, dopo che il comandante ed un altro gruppetto di
volontari, tornati a bordo, hanno provveduto a distruggere i documenti segreti
e mettere in salvo i feriti su delle zattere di fortuna); il Verità, che brucia furiosamente mentre i
suoi marinai dirigono verso a terra sulle lance, potrà essere invece essere
rimorchiato a Valona, mentre l’equipaggio del Bersagliere, che non ha subito danni gravi, risalirà faticosamente
a bordo (all’atto di abbandonare la nave, hanno assicurato la lancia al
piroscafo con una cima) e riuscirà a portare la nave in porto con i propri
mezzi. Procedendo a 25 nodi, Csepel e
Balaton giungono alle 4.45 nel punto
stabilito per l’incontro con gli esploratori, quindici miglia a ponente di
Saseno, e manovrano in modo tale da trovarsi per le 7.30 venti miglia a
proravia e sulla sinistra degli esploratori. L’attacco è stato così fulmineo
che sia il Borea che il Carroccio, uniche navi del convoglio ad
essere provviste di radio, sono stati messi fuori uso prima di poter segnalare
a terra quel che stava accadendo; di conseguenza, il primo segnale che qualcosa
sia accaduto al convoglio “Borea” giunge quando alle 3.30 la stazione di
vedetta di Saseno sente rumore di cannonate ed avvista verso il largo i
bagliori degli incendi delle navi, segnalando il tutto al Comando di Valona.
Anche la stazione di vedetta di Porto Palermo, più a sud, avvista e segnala un
incendio sul mare alle 3.50; alle 4.40 la torpediniera Albatros prende il mare
per scoprire cosa sia successo, preceduta di mezz’ora dal MAS 28 (uscito da Porto Palermo), mentre altre unità mettono le
macchine in pressione, preparandosi ad uscire a loro volta. Alle cinque del
mattino decolla da Valona un idrovolante FBA, seguito da un altro alle 5.25;
nessuno dei due, però, avvista navi nemiche, a causa della foschia mattutina
(ammarati vicino alla portaidrovolanti Europa
nella baia di Valona, decolleranno nuovamente dopo aver fatto rifornimento e
cambiato equipaggio; uno dei due riuscirà a localizzare la formazione
avversaria ma sarà colpito ripetutamente da due caccia Hansa Brandenburg giunti
in loro appoggio, venendo gravemente danneggiato e costretto ad ammarare:
affonderà per i danni subiti, mentre l’equipaggio sarà salvato dal
cacciatorpediniere francese Bisson).
Sul luogo
dell’attacco al convoglio italiano si sono già diretti, a seguito delle
segnalazioni giunte da Saseno (alle 4.10 del mattino: si parla di colpi di
cannone avvertiti verso sud/sudovest, e poco dopo è giunta notizia dell’attacco
al convoglio “Borea”) e degli ordini impartito alle 4.30 dall’ammiraglio
Alfredo Acton (comandante delle forze navali leggere dell’Intesa dislocate a
Brindisi), l’esploratore leggero Carlo
Mirabello (capitano di fregata Gerardo Vicuna, informato alle 4.35 da
Saseno dell’attacco contro i “drifters”) ed i cacciatorpediniere francesi Commandant Rivière, Bisson e Cimeterre, che si trovavano già in mare nell’ambito del dispositivo
interalleato di sorveglianza del canale d’Otranto (in base allo stesso
dispositivo il Mosto, come pure Pilo, Acerbi, Schiaffino e Bristol, era tenuto pronto a muovere in
mezz’ora). Acton ha ordinato inoltre che tutte le navi pronte in 30, 60 e 90
minuti presenti a Brindisi escano in mare – il che ha portato alle 4.50 alla
partenza di Mosto, Pilo e Bristol (che erano con le caldaie già accese e pronti a partire in
mezz’ora), che una volta in mare assumono rotta verso nordest per intercettare
la formazione nemica –, per poi imbarcarsi a sua volta sull’incrociatore
leggero britannico Dartmouth
(capitano di vascello Albert Addison) ed uscire alle 5.36, scortato dai
cacciatorpediniere Giovanni Acerbi e Simone Schiaffino. Ha così inizio la
battaglia del canale d’Otranto.
Essendo il Bristol rallentato dalla propria carena
sporca, il suo gruppo finisce con l’essere raggiunto da quello del Dartmouth, pur essendo quest’ultimo
uscito in mare quasi cinquanta minuti dopo; alle 6.56 Acton ordina al Bristol di avvicinarsi al gruppo Dartmouth, accostando quindi verso
ovest. Le due formazioni guidate da Bristol e Dartmouth si riuniscono tra le 6.56
e le 7.12, quando il Bristol prende
posizione al traverso a dritta del Dartmouth
(per altra fonte i due gruppi si sarebbero riuniti alle 6.30, venendo poi
raggiunti dall’Aquila alle 6.40), poi
ricevono l’ordine di accostare per 35° e dirigere a 24 nodi verso il Golfo del
Drin; alle 5.55 ed alle 8.20, sempre per ordine di Acton, decollano due coppie
di idrovolanti per mettersi alla ricerca del nemico.
Dopo la riunione,
l’ammiraglio Acton decide di disporre le sue unità in linea di fronte, con Aquila in testa, seguito da Dartmouth e Bristol in linea di fronte, con Mosto,
Pilo, Schiaffino ed Acerbi in
posizione di scorta sui lati.
Alle 7.10, intanto,
il gruppo «Mirabello» (che, posizionatosi sulla presunta rotta di rientro delle
navi nemiche, ha avvistato delle colonne di fumo a dritta alle 6.25: poco dopo
è giunta la conferma che si tratta di navi nemiche da un idrovolante della
portaidrovolanti Europa, decollato da Valona, che ha infruttuosamente attaccato
con bombe il Novara) ha incontrato i
tre esploratori austroungarici; Horthy ha a sua volta avvistato le unità
franco-italiane alle 7.05, aprendo il fuoco cinque minuti dopo da 8500 metri di
distanza. Il Mirabello deve anche
accostare per evitare un siluro lanciatogli dall’U 4, ed a causa di questa manovra i cacciatorpediniere francesi
rimangono ben presto indietro rispetto alla nave italiana; alla fine lo scambio
di colpi cessa per l’aumentare della distanza tra i due gruppi (le navi
austroungariche, infatti, avendo completato la missione, stanno rientrando alla
propria base di Cattaro, cercando quindi di sfuggire alle forze dell’Intesa). Il
Mirabello continua tuttavia a
pedinare la formazione nemica, comunicandone continuamente rotta e velocità
(dati che permetteranno anche di lanciare nuovi attacchi aerei, uno dei quali
danneggerà l’Helgoland; anche il Mirabello sarà a sua volta attaccato da
aerei nemici, ma senza subire danni).
Il contrammiraglio
Acton, venuto così a sapere della posizione delle navi nemiche, dirige per
intercettarle con tutta la formazione al suo comando (Bristol, Dartmouth, Mosto, Pilo, Schiaffino, Acerbi e l’esploratore Aquila, partito da Brindisi alle 6 ed
unitosi alla formazione alle 7.40) procedendo a 24 nodi, il massimo permesso
dalla lentezza del Bristol. Alle
7.30 la formazione di Acton viene frattanto avvistata da un idrovolante
austroungarico, che ne comunica la posizione; una serie di contrattempi fa però
sì che ad Horthy giungano informazioni confuse e contrastanti.
Alle 7.45 le navi del
gruppo «Dartmouth» avvistano a poppa dritta (su rilevamento 140°), con rotta
035° e velocità di 24 nodi, i fumi prodotti da due navi nemiche: sono lo Csepel ed il Balaton, che, completato l’attacco al
convoglio e sulla via del ritorno, hanno già avvistato da dieci minuti i fumi
del gruppo navale italo-franco-britannico (sulla sinistra, verso nordovest,
seguiti dall’avvistamento delle alberature e delle sommità dei fumaioli di “tre
incrociatori e parecchi cacciatorpediniere”) ed hanno conseguentemente cambiato
rotta facendo rotta a 29 nodi verso Dulcigno, segnalando al contempo via radio
l’incontro al Novara; quattro minuti
dopo il comandante dello Csepel
identifica gli inseguitori come “un
grande C.T. di circa 1500 tonn. di nazionalità sconosciuta e di profilo simile
a quello del Quarto [l’Aquila], 4 Indomito [Pilo, Mosto, Acerbi e Schiaffino, di aspetto molto simile agli Indomito da cui sono derivati] e
2 Liverpool [Bristol e Dartmouth]”. Le unità di Acton, credendo
che si tratti degli esploratori austroungarici e che la posizione segnalata
dall’idrovolante fosse sbagliata, accostano subito per intercettarli (per altra
fonte, avrebbero proseguito per qualche minuto su rotte approssimativamente
parallele, con le navi italo-britanniche più verso nord, in posizione tale da
tagliare la ritirata verso Cattaro a quelle austroungariche), ma alle 9.01 si
rendono conto che si tratta di due cacciatorpediniere classe Tatra. Alle 8.10 l’Aquila, più veloce (procede a 35-36 nodi), viene inviato da Acton
in testa alla formazione italiana, all’attacco di Csepel e Balaton
(secondo altre fonti tale ordine sarebbe stato impartito alle 7.50 od alle 8),
insieme ai cacciatorpediniere, che lo seguono a dritta (Mosto e Schiaffino) ed a
sinista (Pilo ed Acerbi; inizialmente le quattro unità formano una sorta di linea di
fronte, con l’Aquila al centro, ma
l’esploratore, più veloce, si lascia presto alle spalle i quattro
cacciatorpediniere); alle 8.15 l’Aquila apre
il fuoco da 11.400 metri sulla nave di testa, che ha praticamente al traverso,
sparando dodici salve da 152 mm da distanze variabili tra gli 11.000 ed i 9500
metri, inquadrando il Balaton.
Entrambi i gruppi procedono a tutta forza, con velocità compresa tra 30 e 35
nodi; i due cacciatorpediniere austroungarici inizialmente non aprono il fuoco,
perché la distanza è eccessiva, ma quando le unità italiane serrano le distanze
iniziano anch’essi a sparare dalla massima elevazione. Intanto, Bristol e Dartmouth assumono rotta 070°, manovrando in modo da tagliare
ai due cacciatorpediniere nemici la via della ritirata verso Cattaro.
Lo scontro prosegue
senza risultati (salvo alcuni colpi a segno sul Balaton e danni da schegge allo Csepel)
finché, alle 8.30, l’Aquila viene
immobilizzato in posizione 41°30’ N e 18°50’ E da un proiettile del Csepel che lo colpisce nella sala
macchine, tranciando la conduttura principale del vapore, uccidendo sette
fuochisti e scatenando un incendio.
Le due unità
austroungariche approfittano dell’accaduto per aumentare le distanze con gli
inseguitori, cercando di portarsi sottocosta, sotto la protezione delle
batterie costiere. Pilo e Mosto superano a 30 nodi
l’immobilizzato Aquila e
continuano l’inseguimento aprendo il fuoco alle 8.40 (da una distanza di 10.000
metri), seguiti alle 9 dallo Schiaffino;
il tiro di tutti e tre risulta corto, ma quello dello Schiaffino, grazie ai pezzi da 102/35 mm (Pilo e Mosto sono
armati con cannoni da 76/40 mm), risulta più centrato. Il Mosto, in posizione più favorevole per l’inseguimento, apre il
fuoco da 7500 metri, ma i suoi colpi cadono corti.
Inizialmente il tiro
di Csepel e Balaton, ed anche delle batterie
costiere di Durazzo (armate con pezzi da 150 mm), che aprono il fuoco alle 9,
si concentra sullo Schiaffino; vistosi
inquadrato dal tiro avversario, il cacciatorpediniere deve accostare in fuori,
e le batterie spostano il loro tiro su Pilo e
Mosto – che sono frattanto giunti a
7500 metri da Csepel e Balaton – per poi cessare il fuoco alle
9.10, precedute di cinque minuti da Csepel e Balaton, ormai in salvo. Alle 9.05 il Mosto accosta verso nord e segue la
costa albanese per sincerarsi che i cacciatorpediniere nemici non si siano
rifugiati nel Golfo del Drin.
Alle 9.18
l’ammiraglio Acton richiama Mosto, Pilo e Schiaffino, tutti indenni, essendo ormai inutile proseguire
l’azione; le tre unità dirigono verso l’Aquila ancora
fermo, accanto al quale è rimasto l’Acerbi.
Alle 13.45 Csepel e Balaton, evitato anche un attacco da
parte del sommergibile francese Bernoulli,
si ormeggiano a Gjenovich, vicino a Dulcigno.
Nel frattempo, alle
8.35 sono partiti da Brindisi anche l’esploratore Marsala, l’esploratore leggero Carlo Alberto Racchia (capitano di vascello Gino Ducci) ed i
cacciatorpediniere Impavido, Indomito ed Insidioso, che procedono prima a 25 e
poi a 26,5 nodi per riunirsi al gruppo «Dartmouth». Tra le 8 e le 9 i tre
esploratori austroungarici vengono infruttuosamente bombardati da idrovolanti
italiani, ed alle 8.45 il capitano di vascello Horthy avvista del fumo a dritta
e, ritenendo essere Csepel e Balaton in avvicinamento, dirige
verso di loro. Sono in realtà le navi italiane: alle 9.05 le due formazioni
avversarie si avvistano reciprocamente, ed assumono rotta convergente. I
propositi dei comandanti sono differenti: Acton intende proteggere l’ancora
immobile Aquila, che ritiene
essere l’obiettivo delle navi nemiche, mentre Horthy crede di essere riuscito a
tagliare fuori un gruppo di unità leggere nemiche nei pressi di una base amica
– Cattaro – ed alle 9.06 segnala rotta e posizione, così che l’incrociatore
corazzato Sankt Georg, il
cacciatorpediniere Warasdiner e
le torpediniere TB 84, 88, 99 e 100,
appositamente tenute pronte, escano in mare e taglino la ritirata alle navi
dell’Intesa (per altra fonte, invece, Horthy intendeva distogliere le navi
dell’Intesa dall’inseguimento di Csepel
e Balaton). Il comandante
austroungarico identifica le navi nemiche come “due esploratori inglesi tipo Liverpool e Blanche, uno del tipo Quarto
e due c.t. del tipo Indomito”: il
“tipo Quarto” è in realtà l’Aquila, che Horthy non ha notato essere
immobilizzato, e che identifica erroneamente come nave comando della flottiglia
avversaria.
Per difendere
l’immobilizzato Aquila, intorno
alle 9.05 Bristol, Dartmouth, Acerbi e Mosto (questi
ultimi due si sono portati a poppavia del Bristol) assumono rotta verso sudovest e poi verso nord e si
interpongono tra esso e gli esploratori nemici, riducendo le distanze. Pilo e Schiaffino ricevono invece dall’ammiraglio Acton l’ordine di
rimanere assieme all’Aquila, per
proteggerlo qualora il contrattacco delle altre unità non bastasse, o dovessero
sopraggiungere altre minacce. Alle 9.15 Bristol e Dartmouth vengono
bombardati da due idrovolanti (i “Brandenburg” K. 205 e K. 206, decollati da
Kumbor un’ora prima), senza essere colpiti.
Alle 9.28 le navi dei
due schieramenti aprono il fuoco, a una distanza di 8500 metri; anche l’Aquila, benché fermo e danneggiato, si
unisce al tiro: è anzi il primo a sparare, in quanto il Novara (il suo bersaglio) si è
avvicinato tanto da permettergli di usare le proprie artiglierie. Alle 9.29
inizia il tiro il Dartmouth (contro
il Novara) ed alle 9.30 il Bristol (contro il Saida). Alle 9.30 le navi
austroungariche iniziano ad emettere fumo, per confondere le unità dell’Intesa
ed approfittarne per serrare le distanze per utilizzare anche i calibri
secondari; nel farlo, però, Horthy si rende conto che da sud i
cacciatorpediniere dell’Intesa si stanno avvicinando, preparandosi a lanciare i
siluri. Il comandante austroungarico decide allora di ripiegare verso
nordovest, procedendo parallelamente alla costa dalmata (nella manovra, svolta
confusamente a causa della nebbia artificiale emessa dalle stesse navi
austroungariche, le unità di Horthy rischiano a più riprese la collisione); ha
così inzio un lungo inseguimento.
Le navi di Horty
dirigono verso nordovest, inseguite da quelle di Acton (che continuano a fare
fuoco) ad una distanza compresa tra i 4500 ed i 10.000 metri; in Dartmouth procede in testa alla
linea anglo-italiana, il Bristol è
più arretrato e sta perdendo terreno, poi viene l’Acerbi ed il Mosto è
in coda. L’Acerbi inizia il tiro
da 9500 metri, e poi, per iniziativa del comandante Vannutelli, supera il Bristol e si porta a poppavia
del Dartmouth. La bassa velocità
del Bristol fa però
incrementare le distanze tra i gruppi nemici, dai 6000 metri delle 9.45 ai 7400
delle 10, fino agli 8800 delle 10.20; si trovano così ad essere i soli Dartmouth ed Acerbi (quest’ultimo, che ha
intanto superato il Bristol, è
l’unico cacciatorpediniere a trovarsi in posizione adeguata per fare fuoco) a
dover combattere con i tre esploratori nemici.
L’avvicinamento dei
cacciatorpediniere italiani, da sinistra, riduce le distanze da 10.000 a 4700
metri, mentre Dartmouth e Bristol procedono parallelamente agli
avversari. Gli esploratori austroungarici concentrano il tiro sul Dartmouth, in posizione più avanzata,
colpendolo tre volte, mentre il Bristol
rimane indietro – la distanza rispetto all’ammiraglia cresce fino a ben 6 km –
a causa della carena sporca. Dopo poco tempo, Saida, Helgoland e Novara accostano verso sud,
portandosi fuori tiro, ripiegando verso nordovest (verso Cattaro) a 28 nodi e
coprendosi con una cortina fumogena che alle 9.40 costringe Bristol (che ha anche
infruttuosamente lanciato un siluro) e Dartmouth a
cessare il fuoco ancora una volta, non riuscendo più a vedere i bersagli.
Proprio in quel momento, però, i tre esploratori vengono attaccati dal Mirabello, che ha tallonato la
formazione austroungarica, colpendo il Novara (con
un colpo sparato da ottomila metri di distanza) ed inducendo le unità nemiche
ad uscire dalla cortina e così permettendo, alle 9.45, a Bristol e Dartmouth – che intanto sono attaccati con bombe e mitragliatrici anche
da idrovolanti, gli stessi due delle 9.15, di nuovo senza subire danni – di
riaprire il fuoco. Poco dopo le dieci l’idrovolante austroungarico K. 205
attacca con una bomba un inesistente sommergibile avvistato tra i due
schieramenti.
Assunta rotta verso
nord, le navi di Horthy tornano ad avvicinarsi a Cattaro ed alle navi da lì
uscite in loro appoggio (Sankt Georg,
Warasdiner e torpediniere), che stanno
procedendo verso di loro a tutta forza. L’Helgoland viene
colpito alle 9.50 (dal Bristol)
ed alle 10.04 (dal Mirabello e
dal Bristol), il Novara alle 9.55 (dal Mirabello) ed alle 10.10 (dal Dartmouth), il Dartmouth alle 10 (dal Novara, due volte). Alle 10.10 il capitano di vascello Horthy viene
gravemente ferito ed il suo secondo, capitano di corvetta Robert Szuborits,
rimane ucciso da un colpo del Dartmouth
esploso nel torrione del Novara. Alle
10.15 il Bristol viene
attaccato da un idrovolante che pur senza colpire lo costringe a cessare il
fuoco (è ancora una volta il K. 206, che sgancia una bomba da 50 kg ed una da
15), ed il Mirabello, che ha
colpito il Saida, viene
immobilizzato da un’avaria alle caldaie, subito dopo aver ricevuto
dall’ammiraglio Acton l’ordine di segnalare la propria posizione ed avvicinarsi
al gruppo principale. I tre cacciatorpediniere francesi che lo seguono
proseguono da soli per un breve tratto, poi invertono la rotta e tornano
indietro.
Rimane così il Dartmouth a fronteggiare i tre
esploratori nemici; Mosto ed Acerbi, al di fuori della portata delle
artiglierie, sono intenti a cercare lentamente di portarsi a proravia del Dartmouth, mentre Pilo e Schiaffino sono rimasti a difendere l’Aquila, ancora fermo. La distanza tra il Dartmouth e le unità austroungariche, che procedono a più di
29 nodi, sale ancora dagli 8800 metri delle 10.20 ai 9800 delle 10.24; lo
scambio di cannonate tra le due parti è intenso, ed il Dartmouth, pur attaccato ancora una
volta da idrovolanti alle 10.30 (è ancora il K. 206, che lancia un’altra bomba
da 15 kg ed una da 50) ed alle 10.50 (dovendo manovrare per evitare i
mitragliamenti, così disturbando il tiro), alle 10.35, prima di cessare
momentaneamente il fuoco, colpisce il Novara un’altra
volta; poco dopo il Saida, colto
da avaria, deve ridurre la velocità a 25 e poi 24 nodi, divenendo il bersaglio
del Bristol, che torna a fare
fuoco. Essendo Helgoland e Novara troppo lontani – improbabile
raggiungerli – alle 10.45 il Dartmouth riduce
la velocità a 20 nodi per ricongiungersi con il Bristol, ed affondare il Saida,
che viene nuovamente colpito dal Bristol
alle 10.50.
Il Novara, tuttavia, è stato colpito in
sala macchine e dalle 10.35 inizia a perdere velocità, fino ad arrestarsi del
tutto alle 10.55 per mancanza di acqua di alimentazione delle caldaie. Lo
prende a rimorchio il Saida, mentre
l’Helgoland rimane di retroguardia
per coprirli: così facendo rimane in posizione arretrata, e viene preso di mira
dal fuoco incrociato di Bristol e Dartmouth.
Alle 11 il Dartmouth accosta a sinistra per
tagliare sulla coda la formazione avversaria e riduce le distanze a 7500 metri;
in questo frangente i due incrociatori britannici vengono infruttuosamente
attaccati da aerei, specialmente il Dartmouth,
che viene anche preso sotto il tiro di tutti e tre gli esploratori e colpito.
Nella confusione successiva (incendio a bordo, equivoco che porta a fermare le
macchine e subito dopo ordine di riprendere l’andatura normale) l’incrociatore
britannico deve ridurre la velocità ed infine accostare verso sud
(allontanandosi dalle navi nemiche), imitato dal Bristol, così rinunciando ad affondare il Saida che può così allontanarsi. Nel mentre Acton è stato
informato che due grosse unità nemiche stanno dirigendoglisi incontro: si
tratta di Sankt Georg e Warasdiner, avvistati dalla ricognizione
aerea italiana. Alle 11.04 Bristol e Dartmouth cessano il fuoco e
dirigono per ricongiungersi con il gruppo «Marsala»: avvistati anche i fumi dei
preannunciati rinforzi avversari, e constatato che il Sankt Georg è più potente di qualsiasi unità della flottiglia
dell’Intesa, l’ammiraglio Acton ordina a tutte le unità di compattarsi in
un’unica formazione. Alle 11.10, però, l’Acerbi,
male interpretando il segnale di riunione issato dal Dartmouth – questi segnala di seguirlo, ma, forse per il fumo
che occulta parte delle bandiere da segnalazione, l’Acerbi vede solo la prima, che da sola significa «attaccare la
formazione nemica» –, si lancia da solo contro il Saida, sparando furiosamente con i cannoni prodieri. Sebbene preso
a sua volta sotto violento fuoco nemico, l’Acerbi riduce
le distanze fino a 7300 metri, mettendo un segno a colpo sul Saida alle 11.22, pur senza causare
molti danni. Dalle 11.24 il cacciatorpediniere viene inquadrato dal tiro di
tutti e tre gli esploratori, pur senza essere colpito; colto nello stesso
momento da avarie a ben tre dei suoi cannoni, è costretto ad allontanarsi senza
essersi potuto avvicinare abbastanza da poter lanciare i siluri.
I gruppi «Dartmouth»
e «Marsala» si riuniscono entro le 11.30, e, su ordine dell’ammiraglio Acton,
fanno subito rotta verso nord per ritrovare gli esploratori austroungarici,
distanti 36 km; alle 11.36 Acton richiama per radio anche l’Acerbi. Frattanto, alle 11.30, le navi
di Horty vengono attaccate dal Racchia e
dall’Impavido, precedentemente
distaccati dal loro gruppo ed inviati in avanscoperta; questo nuovo scambio di
colpi, con distanze che si riducono da 11.000 metri iniziali ai 6000 finali,
prosegue per mezz’ora senza alcun risultato, tirando entrambi i contendenti
troppo corto.
Alle 12.05 il gruppo
italo-franco-britannico di Acton dista 17.500 metri dai tre esploratori
austroungarici, ma viene avvistato del fumo verso nord: si tratta del Sankt Georg (insieme ai
cacciatorpediniere Tatra e Warasdiner), in avvicinamento a 18 nodi,
che dista solo 12.000 metri dall’immobilizzato Novara. Dal momento che nessuna delle unità dell’Intesa è in grado
di affrontare la potenza di fuoco del Sankt
Georg, né di danneggiarlo (per di più, le vedette britanniche credono di
avvistare anche una seconda grande nave, che temono essere una corazzata classe
Radetzky), e che lo scontro avverrebbe in prossimità di una munita base nemica,
Cattaro, alle 12.05 le navi di Acton accostano verso sud per rientrare. Nel
frattempo, l’Aquila sta
rientrando a Brindisi rimorchiato dallo Schiaffino e scortato da Pilo e Cimeterre,
mentre il Mirabello, che è
riuscito a rimettere in moto alle undici, ha preso a rimorchio il Commandant Rivière (anch’esso
immobilizzato da un’avaria di macchina alle 11.45) e lo porterà anch’esso a
Brindisi scortato dal Bisson e
da un altro cacciatorpediniere francese, il Commandant Lucas, proveniente da Corfù (il Cimeterre, invece, è stato intanto distaccato per prestare
assistenza all’Aquila). Entro le
12.25 italo-franco-britannici ed austroungarici non sono più in vista l’uno
dell’altro.
Termina così la
battaglia del canale d’Otranto: alle 12.25 Saida,
Helgoland e Novara vengono raggiunti dal gruppo Sankt Georg, alle 12.30 assumono rotta verso Cattaro ed alle 14.55
si uniscono al gruppo Budapest, anch’esso uscito in mare in loro appoggio.
Nello scontro finale
diverse unità da ambo le parti hanno riportato vari danni: il Novara è stato colpito da undici
proiettili, subendo danni piuttosto gravi, l’Helgoland da tre, il Saida da
uno, il Dartmouth da
quattro ed il Bristol da
tre. Le perdite umane di quello che passerà alla storia come la più grande battaglia
navale combattuta nel Mediterraneo durante la prima guerra mondiale
risulteranno nel complesso piuttosto limitate, assommando in tutto a 37 morti e
35 feriti per le forze dell’Intesa e 15 morti e 54 feriti per gli
austroungarici.
Alle 10.15, nel frattempo,
il Mirabello si è dovuto fermare a
causa dello spegnimento delle caldaie, causato da contaminazione della nafta
con acqua di mare; rimesso in moto dopo mezz’ora, non riesce a ricongiungersi
col resto della formazione in tempo per prendere parte al combattimento finale.
L’Aquila, sul quale gli incendi sono stati
domati, viene intanto preso a rimorchio dallo Schiaffino, che alle 10.30 si mette in navigazione alla volta di
Brindisi, con la scorta del Pilo e del
Cimeterre, frattanto distaccato dal
gruppo Mirabello (per una fonte,
anche del Bisson, che il Mirabello avrebbe distaccato insieme al Cimeterre dopo aver avvistato l’Aquila che procede a rimorchio di Pilo e Schiaffino). Durante l’allestimento del rimorchio la formazione
viene bombardata da un aereo austroungarico, ma senza subire danni; durante la
navigazione verso Brindisi il cavo di rimorchio si spezza, ma viene subito
sostituito. Successivamente si uniscono alla formazione anche due torpediniere
d’alto mare inviate da Brindisi; Pilo,
Schiaffino, Aquila e Cimeterre
giungeranno in porto alle 19.55 (20.30 per altra fonte), precedendo di un’ora Mirabello e Commandant Rivière, quest’ultimo a rimorchio del primo a causa di
un’avaria che lo ha colpito alle 11.45.
Alle 13.35 il Dartmouth, durante la navigazione di
rientro a Brindisi, viene silurato dal sommergibile tedesco UC 25: risultato ingovernabile ed abbandonato
in un primo momento dall’equipaggio (che viene subito tratto in salvo dai
cacciatorpediniere italiani e francesi, salvo cinque uomini rimasti uccisi nel
siluramento), rimane tuttavia a galla, finché un gruppo di volontari torna a
bordo e la nave viene presa a rimorchio dal rimorchiatore Marittimo, raggiungendo Brindisi alle tre di notte del 16 maggio
con la scorta di Mosto (che un’altra
fonte britannica afferma invece aver scortato l’Aquila mentre veniva rimorchiato dallo Schiaffino, ma si tratta probabilmente di un errore), Acerbi, Impavido, Casque, Lucas e della torpediniera Airone. Nel mentre anche l’Indomito ha subito un’avaria in caldaia,
che l’ha costretto a lasciare la formazione e rientrare a Brindisi per conto
proprio.
Proprio durante i
soccorsi al Dartmouth si verifica
l’ultima perdita della giornata: il cacciatorpediniere francese Boutefeu, uscito da Brindisi alle 22.55
per rinforzare la scorta dell’incrociatore danneggiato, urta una delle mine
posate la notte precedente dall’U 89
ed affonda in un minuto, con la morte di undici degli 84 membri
dell’equipaggio.
6-8 agosto 1917
Il Mosto partecipa alle ricerche del
sommergibile W 4, scomparso con
tutto l’equipaggio durante una missione nelle acque della Dalmazia, insieme ai
similari Francesco Nullo, Giuseppe Missori e Simone Schiaffino.
Partito da Brindisi
alle 19 del 3 agosto per un agguato al largo di Punta Menders e della foce del
Drin, al comando del tenente di vascello Alessandro Giaccone, il W 4 non è rientrato alla base il mattino
del 6 agosto, com’era invece previsto (sarebbe dovuto rientrare in porto tra le
otto e le undici del mattino). Dopo il mancato rientro ed in mancanza di
notizie dal sommergibile, già alle 11.30 del 6 agosto il contrammiraglio
Alfredo Acton, comandante superiore navale a Brindisi, invia due idrovolanti a
perlustrare le rotte di ritorno dalla zona d’agguato assegnata al W 4, e fa uscire in mare Mosto e Nullo.
Queste prime ricerche
non danno risultati; rientrati in porto, alle cinque del mattino del 7 agosto Mosto, Nullo, Missori e Schiaffino vengono nuovamente fatti
uscire in mare per ulteriori ricerche in cooperazione con sei aerei. Tutto
inutile: del W 4 e del suo equipaggio
non si saprà più nulla. In mancanza di notizie, anche da parte avversaria, si
presume che la perdita del sommergibile sia stata causata da una mina.
3-4 settembre 1917
Mosto,
Nievo, i cacciatorpediniere francesi Bory e Bisson, l’esploratore italiano Nino
Bixio e l’incrociatore leggero britannico Weymouth salpano da Otranto per fornire appoggio ad un’incursione
contro Cattaro da parte di otto motoscafi e sei idrosiluranti, tutti
britannici, nella notte tra il 3 ed il 4 settembre. L’attacco, pianificato in
agosto, è stato elaborato dall’ammiraglio Mark Kerr, comandante della squadra
navale britannica dell’Adriatico, ed autorizzato il 17 agosto dall’ammiraglio
Paolo Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Marina italiana. Il piano prevede
che l’attacco avvenga alle prime luci dell’alba; all’andata gli idrosiluranti
saranno rimorchiati dai motoscafi fino a cinquanta miglia a sud della baia di
Traste, mentre al ritorno godranno della protezione di due o tre incrociatori
leggeri e quattro cacciatorpediniere. Il peggioramento delle condizioni
meteomarine, tuttavia, costringe ad abbandonare l’operazione.
.JPG) |
(da “Alpini,
jo mame”) |
19 ottobre 1917
Il Mosto salpa da Brindisi insieme al
gemello Giuseppe Missori, al
cacciatorpediniere italiano Indomito,
ai francesi Commandant Riviére, Bory e Bisson, agli esploratori Aquila e Sparviero ed agli incrociatori
leggeri britannici Newcastle e Gloucester, parte da Brindisi per unirsi
ad altre navi italiane (esploratori Guglielmo
Pepe ed Alessandro Poerio,
cacciatorpediniere Insidioso, Simone Schiaffino e Pilade Bronzetti, formazione comandata
dall’ammiraglio Guido Biscaretti di Ruffia) partite in precedenza per inseguire
una formazione austroungarica (esploratore Helgoland, cacciatorpediniere Lika, Triglaw, Tatra, Csepel, Orjen e Balaton) uscita da Cattaro il giorno
precedente per attaccare convogli italiani al largo di Valona.
L’Helgoland ed il Lika, non avendo trovato alcun
convoglio, si portano al largo di Brindisi allo specifico proposito di farsi
inseguire dalle unità italiane ed attirarle così nella bocca dei
sommergibili U 32 ed U 40, che attendono in agguato al largo
di Valona (il primo) e Saseno (il secondo). Le altre unità nemiche, invece, si
sono messe a cercare unità dell’Intesa al largo di San Cataldo, di nuovo senza
risultato. Alle 6.30 la stazione di Brindisi ha avvistato quattro unità con
rotta nord (si tratta in realtà di due, Helgoland
e Lika) ed in seguito
all’avvistamento sono subito decollati due aerei mentre uscivano in mare Pepe, Poerio, Insidioso, Bronzetti e Schiaffino; Mosto, Missori, Indomito, Rivière, Bory, Bisson, Aquila, Sparviero, Gloucester e Newcastle
hanno al contempo ricevuto ordine di approntarsi alla partenza, per poi uscire
a loro volta, mentre un’altra formazione (incrociatore britannico Weymouth scortato da Pilo e Nievo), in navigazione da Valona a Brindisi, ha ricevuto ordine di
unirsi al gruppo dell’ammiraglio Biscaretti.
La formazione dell’ammiraglio
Biscaretti avvista i sommergibili e ne comunica la presenza, permettendo così
che vengano attaccati da idrovolanti provenienti da Brindisi; al contempo le
navi austroungariche si sono riunite per poi dividersi di nuovo in due gruppi,
di cui uno formato da Csepel e Triglav ha diretto immediatamente per il
rientro, mentre l’altro (formato dall’Helgoland
e dagli altri cacciatorpediniere) ha assunto rotta verso Punta Menders. Il
prolungato inseguimento, nel quale anche degli aerei prendono parte agli
attacchi sulle unità austroungariche (l’Helgoland
viene lievemente danneggiato da un attacco di idrovolanti, inducendo il suo
comandante a decidere per il rientro; al contempo si scatenano anche duelli
aerei con idrovolanti austroungarici frattanto sopraggiunti da Kumber, nei
quali un FBA4 decollato da Brindisi viene danneggiato), non porta però a nulla;
le unità italo-franco-britanniche, giunte sul parallelo delle foci del Drin
senza essere riuscite a portarsi a distanza balistica dalle navi nemiche,
invertono la rotta e rientrano tutte indenni alla base.
10 marzo 1918
Il Mosto salpa da Brindisi per rimorchiare
fino in prossimità di Portorose il MAS
100, che dovrà attaccare il naviglio militare austroungarico che si trova
in quel porto insieme al MAS 99, rimorchiato dal Nievo; l’operazione, ordinata il 2 marzo dallo Stato Maggiore della
Marina al Comando di Brindisi, godrà inoltre dell’appoggio a metà strada tra
Brindisi e Punta d’Ostro degli esploratori Carlo
Mirabello, Alessandro Poerio, Augusto Riboty (nave di bandiera del
contrammiraglio Guido Biscaretti di Ruffia) e Cesare Rossarol, dei cacciatorpediniere italiani Giacinto Carini e Pilade Bronzetti e della squadriglia cacciatorpediniere francese
"Casque-Mangini". L’attacco deve però essere interrotto e rimandato a
causa delle avverse condizioni meteorologiche, che costringono i MAS a
rientrare a Brindisi, ove rimangono bloccati fino al 13 marzo.
16 marzo 1918
L’attacco contro
Portorose, spostato in qusta data, viene nuovamente tentato e rimandato all’8
aprile a causa del maltempo.
25-26 marzo 1918
Mosto,
Nievo, Bronzetti ed il cacciatorpediniere Giacinto Carini, insieme alle torpediniere d’alto mare Airone e Pallade ed alle torpediniere costiere 3 PN, 4 PN, 33 PN e 35 PN, forniscono appoggio a degli aerei inviati in ricognizione su
Cattaro. Successivamente, i quattro cacciatorpediniere più 33 PN e 35 PN si mettono
infruttuosamente alla ricerca di U-Boote austroungarici di ritorno in
Adriatico.
8 aprile 1918
Nuovo tentativo per l’operazione
contro Portorose e nuovo rinvio, perché la ricognizione aerea ha appurato
l’assenza di navi nemiche da attaccare. Dato il progressivo accorciamento della
notte, si decide di abbandonare, per il momento, ulteriori tentativi di
operazioni di MAS contro Portorose.
25 aprile 1918
Mosto,
Bronzetti, 33 PN e 37 PN forniscono
supporto ad una ricognizione aerea su Durazzo.
2 giugno 1918
Il Mosto ed il gemello Pilade Bronzetti bombardano Lagosta, in cooperazione con
quattro aerei decollati da Varano.
28 giugno 1918
Mosto
e Bronzetti forniscono appoggio ad
un’incursione aerea contro Antivari.
1° novembre 1918
Il Mosto, insieme ai cacciatorpediniere Ardente, Animoso, Ippolito Nievo, Angelo Bassini, Simone Schiaffino, Giacinto
Carini e Pilade Bronzetti,
fa parte della IV Squadriglia Cacciatorpediniere, inquadrata nella Flottiglia
Siluranti di Brindisi.
1919
Lavori di modifica
dell’armamento: i sei pezzi Ansaldo Mod. 1916 da 76/30 e 76/40 mm vengono
sostituiti con cinque da 102/35 mm Schneider Mod. 1914-1915, e l’armamento
contraereo viene potenziato con l’installazione di due mitragliere Vickers-Terni
Mod. 1917 da 40/39 mm e due mitragliatrici Colt da 6,5/80 mm. Il dislocamento
aumenta di conseguenza a 900 tonnellate.
Febbraio-Marzo 1922
Il Mosto visita Rapallo.
Dicembre 1925
Il Mosto, insieme ai gemelli Fratelli Cairoli, Simone Schiaffino, Rosolino
Pilo e Giuseppe Dezza,
forma la VI Squadriglia Cacciatorpediniere della 3a Flottiglia
della Divisione Siluranti, formata inoltre dall’esploratore Falco e dalla V Squadriglia
Cacciatorpediniere (Giuseppe Sirtori, Giuseppe Missori, Giovanni Acerbi e Vincenzo Giordano Orsini). La Divisione
Siluranti comprende anche l’esploratore Quarto (nave ammiraglia), la 1a Flottiglia
Cacciatorpediniere (esploratore Carlo
Mirabello; cacciatorpediniere Giuseppe
La Masa, Giuseppe La Farina, Nicola Fabrizi, Giacomo Medici della I Squadriglia; cacciatorpediniere Generale Antonio Cantore, Generale Antonino Cascino, Generale Carlo
Montanari, Generale Marcello
Prestinari e Generale
Achille Papa della II Squadriglia) e la 2a Flottiglia
Cacciatorpediniere (esploratore Aquila;
cacciatorpediniere Confienza, San Martino, Solferino ed Enrico
Cosenz della III Squadriglia; cacciatorpediniere Castelfidardo, Curtatone, Calatafimi, Monzambano e Giacinto Carini della IV
Squadriglia).
2.jpg) |
Il Mosto con altri “tre pipe” a Palermo nel
1927; sullo sfondo è visibile la nave reale Savoia
(Coll. Franco Bargoni, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) |
1929
Il Mosto, con i gemelli Dezza, Abba, Missori e Cairoli, forma la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere, che, insieme alla X Squadriglia (Giovanni Acerbi, Giuseppe
Sirtori, Francesco Stocco, Ippolito Nievo) ed all'esploratore Aquila, compone la 5a Flottiglia
della Divisione Speciale, che comprende anche l'esploratore Brindisi, nave comando.
1° ottobre 1929
Declassato a
torpediniera, come tutti i vecchi “tre pipe”.
 |
La Mosto, in primo piano, ormeggiata a
Cagliari nel 1936 insieme alle quattro unità della X Squadriglia Esploratori |
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, la Mosto forma la IX Squadriglia Torpediniere, di base a La Maddalena,
insieme alla gemella Fratelli Cairoli
ed alle più moderne torpediniere Canopo
e Cassiopea (caposquadriglia).
21 settembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi a mezzogiorno per
scortare a Tripoli i piroscafi Priaruggia
ed Ezilda Croce.
23 settembre 1940
Il piccolo convoglio
giunge a Tripoli alle 23.
5 ottobre 1940
La Mosto salpa da Ain-el-Gazala alle 20.15
per scortare a Bengasi la motonave Col di
Lana.
6 ottobre 1940
Mosto
e Col di Lana arrivano a Tripoli alle
18.
12 ottobre 1940
La Mosto salpa da Bengasi alle 18.30 per
scortare a Tobruk i piroscafi Maddalena,
Ezilda Croce e Goggiam.
13 ottobre 1940
Il convoglio giunge a
Tobruk alle 8.15.
6 novembre 1940
La Mosto salpa da Ain-el-Gazala alle otto
del mattino per scortare a Bengasi il piroscafo Pallade.
8 novembre 1940
Mosto
e Pallade arrivano a Bengasi alle
12.30.
7 novembre 1940
La Mosto salpa da Tobruk alle 18 per
scortare a Tripoli i piroscafi Amba Alagi
e Priaruggia (evidente discrepanza
con le date e gli orari della traversata precedente).
9 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Bengasi alle 8.30 e vi sosta prima di proseguire per Tripoli.
11 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli in mattinata.
13 novembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi per Tripoli alle
15.45, scortando i piroscafi Pallade
ed Amba Alagi.
16 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 11.15.
29 novembre 1940
La Mosto lascia Tripoli per Bengasi alle
18, scortando il piroscafo Capo Orso.
1° dicembre 1940
Mosto
e Capo Orso arrivano a Bengasi alle
due del pomeriggio.
13 dicembre 1940
La Mosto salpa da Bengasi alle sette per
scortare a Tobruk i piroscafi Sturla
e Costantino.
15 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Tobruk alle 16.
22 dicembre 1940
La Mosto salpa da Tobruk per Tripoli alle
18, di scorta ai piroscafi Prospero, Sturla e Costantina. Il convoglio è però successivamente costretto a tornare
in porto. (Ne ripartirà il 2 gennaio, senza il Costantina, raggiungendo Tripoli alle dieci).
24 dicembre 1940
La Mosto lascia Tripoli alle 14.30 per
scortare a Bengasi la motonave Assiria.
25 dicembre 1940
Mosto
ed Assiria giungono a Bengasi alle
15.
30 dicembre 1940
Mosto
ed Assiria lasciano Bengasi alle otto
per raggiungere Tobruk.
31 dicembre 1940
Raggiunto dalla
torpediniera Generale Antonio Chinotto,
uscita da Tobruk in rinforzo alla scorta, il piccolo convoglio giunge a Tobruk
alle 18.
4 gennaio 1941
La Mosto salpa da Bengasi alle 7.30 per
scortare a Tripoli il piroscafo Capo Vita.
7 gennaio 1941
Raggiunto dalla
torpediniera Centauro, uscita da
Tripoli in rinforzo, il piccolo convoglio giunge a destinazione alle dieci.
19 gennaio 1941
La Mosto salpa da Tripoli alle 18.30 per
scortare in Italia le motonavi Rialto
e Calitea.
21 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Palermo alle otto del mattino. Successivamente prosegue per Napoli.
22 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 13.30.
.jpg) |
La Mosto (in primo piano) ormeggiata in Mar
Piccolo a Taranto negli anni Trenta. Dietro di essa sono riconoscibili, nell’ordine,
la torpediniera Francesco Stocco ed i
cacciatorpediniere Folgore, Baleno, Lampo e Fulmine (g.c.
Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net) |
19 marzo 1941
La Mosto salpa da Palermo per Tripoli alle
9, di scorta ai piroscafi Agata e Securitas.
22 marzo 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 10.30.
26 marzo 1941
La Mosto lascia Tripoli a mezzogiorno per
scortare a Napoli il piroscafo tedesco Leverkusen.
28 marzo 1941
Raggiunto dalla
torpediniera Generale Antonino Cascino,
uscita da Napoli in rinforzo alla scorta, il piccolo convoglio giunge a Napoli
a mezzogiorno.
18 aprile 1941
Alle 23 la Mosto lascia Palermo insieme alla
torpediniera Giuseppe La Farina
(caposcorta), per scortare a Tripoli un convoglio composto dai piroscafi Isarco, Nicolò Odero e Maddalena
Odero.
19 aprile 1941
Si aggregano al
convoglio la torpediniera Calliope e
le pirocisterne Alberto Fassio,
partita da Trapani con la scorta della torpediniera Climene, e Luisiano,
scortata dalla torpediniera Orione.
Successivamente si unisce alla scorta anche una torpediniera di Marilibia.
21 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli tra le 18 e le 22, senza aver incontrato problemi sul
percorso.
30 aprile 1941
La Mosto salpa da Tripoli per Trapani alle
16, di scorta alla pirocisterna Alberto
Fassio.
2 maggio 1941
Mosto
e Fassio arrivano a Trapani alle
20.30.
12 giugno 1941
Alle undici del
mattino la Mosto e la più moderna
torpediniera Calliope (caposcorta) salpano
da Tripoli per scortare a Napoli la motonave Barbarigo.
Alle 23.20 il
sommergibile britannico Regent
(capitano di corvetta Hugh Christopher Browne) avvista il convoglio in
posizione 36°25’ N e 11°53’ E (venti miglia a sud di Pantelleria).
13 giugno 1941
Alle 2.28 il Regent lancia contro il convoglio
italiano un siluro (Browne avrebbe voluto lanciarne due, ma a causa di un
disguido ne parte solo uno) che però manca il bersaglio e non viene neanche
notato.
14 giugno 1941
Mosto,
Calliope e Barbarigo arrivano a Napoli alle sette.
20 giugno 1941
La Mosto salpa da Palermo alle 13.30 per
scortare a Tripoli la nave cisterna Ardor.
Una volta in mare
aperto, le due navi si aggregano ad un convoglio salpato da Napoli la sera
precedente, formato dai piroscafi Preussen
(tedesco), Motia, Bainsizza, Nicolò Odero e Maddalena Odero e dai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Euro e Saetta.
22 giugno 1941
Dopo aver superato
diversi attacchi aerei, il convoglio giunge indenne a Tripoli alle 19.30.
9 luglio 1941
Durante un’incursione
aerea britannica su Tripoli, effettuata nel tardo pomeriggio (17.20), un
bombardiere Bristol Blenheim del 110th Squadron della RAF (decollato
dalla base maltese di Luqa), colpito dal tiro contraereo, precipita sulla coperta
della Mosto (tenente di vascello Aldo
Crugnola) che si trova all’ormeggio in porto. Schiantatosi a centro nave,
l’aereo scatena un incendio che provoca l’esplosione del siluro contenuto nel
tubo lanciasiluri prodiero di dritta, aggravando ulteriormente i già pesanti
danni provocati dallo schianto. Muore il marinaio Angelo Ravanello, di 22 anni,
da Villadose.
La torpediniera dev’essere
portata all’incaglio per scongiurarne l’affondamento.
Nel corso della
stessa incursione viene danneggiata anche la nave ospedale Virgilio, colpita da bombe che causano
quattro morti e dodici feriti.
Tre
immagini della Mosto danneggiata a
Tripoli dopo l’incursione britannica del 9 luglio 1941 (sopra: g.c. STORIA
militare; sotto: foto Pozzar e figlio – Trieste, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it) 27 luglio 1941
Rimessa in condizioni
di galleggiabilità, la Mosto lascia
Tripoli a mezzogiorno a rimorchio della motonave Francesco Barbaro, e con la scorta della torpediniera Clio, per trasferirsi a Napoli per le
riparazioni.
28 luglio 1941
Lasciata in sosta
temporanea all’imboccatura del porticciolo di Lampedusa alle 18.30.
29 luglio 1941
Alle 21.30 giunge a
Napoli, dove hanno inizio i lavori di riparazione, che si protrarranno per
diversi mesi.
Durante i lavori
viene anche modificato l’armamento: tre dei cinque cannoni da 102/35 mm vengono
sbarcati, così come le due vecchie mitragliere Vickers-Terni da 40/39 mm e due
dei quattro tubi lanciasiluri da 450 mm, mentre l’armamento contraereo viene
potenziato con l’installazione di sei moderne mitragliere singole Breda Mod.
1940 da 20/65 mm, e quello antisommergibili con l’installazione di due
lanciabombe per bombe di profondità.
2.jpg) |
La Mosto nel gennaio 1942 (g.c. STORIA
militare) |
13 febbraio 1942
La Mosto, la più moderna torpediniera Antares e l’incrociatore
ausiliario Città di Genova
scortano da Bari a Durazzo un convoglio composto dai piroscafi Aventino, Italia e Città di
Catania con truppe e materiali. Alle 11.40 un sommergibile lancia due
siluri contro le navi italiane, ma nessuna arma va a segno.
15 febbraio 1942
Mosto,
Antares e Città di Genova scortano da Durazzo
a Bari gli stessi tre piroscafi del viaggio precedente, ora carichi di truppe
rimpatrianti.
26 febbraio 1942
La Mosto salpa da Taranto per scortare a
Patrasso la nave cisterna Proserpina.
27 febbraio 1942
Alle due di notte il
sommergibile britannico Torbay (capitano
di fregata Anthony Cecil Capel Miers), preavvisato del passaggio del piccolo
convoglio, avvista la Proserpina al
largo di Capo Dukato, mentre questa dirige verso il vicino canale, in
condizioni di tempo avverso. Il sommergibile, avvistata la petroliera su
rilevamento 275° (trovandosi a proravia sinistra rispetto ad essa) e stimatane
la stazza in 7000-8000 tsl, si avvicina per attaccare, ma alle 2.07 avvista
anche la Mosto: la torpediniera,
che si trova circa un miglio a proravia sinistra della Proserpina e che Miers identifica erroneamente come un’unità classe
Curtatone, procede a zig zag con una rotta media che la porta proprio verso
il Torbay. Il comandante
britannico, avendo frattanto smesso di piovere ed essendo uscita la luna dalle
nuvole, con conseguente miglioramento della visibilità, ritiene troppo
pericoloso – anzi, “suicida” – proseguire l’attacco tagliando la rotta alla
torpediniera italiana; è inoltre troppo tardi per portarsi sulla dritta della Proserpina (dove comunque, per quanto
può saperne Miers, potrebbe esserci un’altra unità di scorta) e le condizioni
meteomarine, pur migliorate, non sono Abbastanza
buone per condurre un attacco in immersione, a quota periscopica. Scartata
anche l’opzione di attaccare in immersione sulla base dei dati rilevati dal
sonar, il comandante del Torbay
decide dunque di seguire il bersaglio (la nave procede a velocità piuttosto
bassa) ed attaccare più tardi, in superficie, da poppavia. Immersosi alle 2.18
a 2,4 miglia per 282° da Capo Dukato, il Torbay riemerge alle 2.32 e segue il convoglio a tutta forza
attraverso il canale, tenendosi a dritta della Proserpina per non essere avvistato dalla Mosto. La visibilità continuamente cangiante
rende difficile per Miers l’accertamento della reale distanza, ed ad un certo
punto il Torbay deve fermare i motori
perché ha sopravanzato eccessivamente il bersaglio, finendo in una posizione
sfavorevole per lanciare.
Alle 3.08, a 2,4
miglia per 144° (cioè a sudest) da Capo Dukato, il Torbay lancia un primo siluro da 365 metri, su rotta 270°; a
causa del mare lungo, il beccheggio del sommergibile fa sì che la prua si
sposti a sinistra proprio nel momento del lancio, così il siluro manca il
bersaglio, passando appena quattro o cinque metri a poppavia della Proserpina. La petroliera avvista il
siluro, così dà la poppa al Torbay,
vanificando ulteriori lanci, e segnala immediatamente il pericolo alla Mosto, che alle 3.12 accosta a sinistra,
attraversando la rotta della petroliera; il Torbay
accosta a sua volta a sinistra per ridurre al minimo il suo profilo nel
tentativo di non essere visto, ma non riesce a virare abbastanza in fretta, ed
alle 3.16 la Mosto – distante meno di
mille metri – lo avvista e gli dirige incontro, costringendolo ad immergersi
precipitosamente. Così precipitosamente che Miers non riesce nemmeno a chiudere
ermeticamente il portello esterno della torretta; l’equipaggio è così costretto
a chiudere il portello interno e lasciare che la torretta sia inondata dal
mare, che manda in cortocircuito i circuiti del clacson e della sirena
d’allarme, che si azionano da soli, obbligando l’equipaggio a disattivarli del
tutto.
Tra le 3.20 e le 4
la Mosto lancia undici
bombe di profondità, ma solo le prime esplodono vicine, senza causare danni
al Torbay. Alle 4.48,
allontanatesi le navi italiane, il sommergibile riemerge a 4,3 miglia per 232°
da Capo Dukato; l’equipaggio scopre così che ad impedire la chiusura del
portello della torretta era il cuscino usato da Miers per dormire quando si
trova in plancia, dimenticato ed incastratosi nel portello durante la
frettolosa manovra d’immersione.
4 marzo 1942
La Mosto, il cacciatorpediniere Turbine e la torpediniera Generale Carlo Montanari scortano i piroscafi Piemonte, Crispi e Galilea e la motonave Viminale, carichi di truppe rimpatrianti
dalla Grecia, da Patrasso a Bari, con scalo intermedio a Corfù.
Alle 9.25 il Torbay, sempre in agguato al largo delle
Isole Ionie, avvista a 27,2 miglia per 330° da Capo Dukato il convoglio di cui
fa parte la Mosto (che Miers
identifica come quattro grossi trasporti truppe, scortati da tre
cacciatorpediniere e due aerei), in navigazione verso nord. Avendo lasciato la
posizione assegnata per il pattugliamento dagli ordini d’operazione per
inseguire (senza successo) un altro più piccolo convoglio, il Torbay si trova adesso in posizione
inidonea per attaccare; Miers decide allora di seguire il nuovo convoglio fin
nella rada di Corfù per poterlo attaccare. La manovra si protrae per tutto il
giorno e la notte successiva, e solo all’alba del 5 marzo il Torbay giunge davanti al porto di Corfù:
arrivatovi, però, scopre che il convoglio non c’è. Si rifarà silurando un altro
piroscafo che si trova in porto, il Maddalena
G.
7 marzo 1942
La Mosto scorta da Bari a Valona la nave
cisterna Dora C.
15 marzo 1942
La Mosto scorta il piroscafo Sant’Agata da Bari a Patrasso.
19 marzo 1942
Scorta i piroscafi Hermada, Salvatore e Città di Bergamo
da Patrasso a Prevesa, via Valona.
.jpg) |
La Mosto ormeggiata tra la moderna
torpediniera di scorta Tifone (in
primo piano) ed il cacciatorpediniere Augusto
Riboty in una foto scattata a Brindisi nel 1942 (Coll. Guido Alfano, via
Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
28 marzo 1942
Alle dieci del
mattino (per altra fonte, le 13) la Mosto
(capitano di corvetta Gerolamo Delfino), insieme alle torpediniere Castelfidardo ed Angelo Bassini ed all’incrociatore ausiliario Città di Napoli (capitano di
fregata Luigi Ciani, caposcorta), salpa da Patrasso per scortare a Bari, via
Brindisi, un convoglio formato dai trasporti truppe Piemonte (capoconvoglio), Francesco Crispi, Galilea, Viminale, Italia ed Aventino,
aventi a bordo in tutto 8300 uomini. Italia ed Aventino trasportano uomini delle
guarnigioni del Dodecanso che rientrano in Italia per licenza, mentre le altre
navi trasportano truppe della 3a Divisione Alpina "Julia"
in trasferimento dalla Grecia all’Italia, dove entrerà a far parte del Corpo
d’Armata Alpino destinato al fronte orientale: sul Galilea è imbarcato il battaglione "Gemona", sul Piemonte il battaglione "Tolmezzo",
sull’Italia il battaglione "Cividale".
La formazione procede
in linea di fila, con il Città di
Napoli in testa, seguito nell’ordine da Mosto, Castelfidardo, Viminale, Piemonte, Aventino, Galilea, Crispi, Italia e
per ultima la Bassini, che
chiude la fila; la velocità è di dieci nodi.
Alle 14, oltrepassato
Capo Papas, Mosto e Castelfidardo si portano in
posizione protettiva a dritta (Mosto)
e sinistra (Castelfidardo) del
convoglio.
Alle 17.15 il
cacciatorpediniere Sebenico,
salpato da Brindisi, si aggrega alla scorta in mare aperto, dopo il traverso di
San Nicolò d’Itaca (insieme ad esso giungono anche alcuni dragamine che devono
accompagnare il convoglio fin oltre Capo Dukato), posizionandosi sulla sinistra
del convoglio. Un ricognitore sorvola intanto la zona.
La torpediniera San Martino, dotata di ecogoniometro e
proveniente da Argostoli, passa il pomeriggio effettuando perlustrazione
antisommergibile da Capo Dukato per le prime 20 miglia della rotta che il
convoglio dovrà percorrere, senza rilevare nulla (la ricerca ha però dovuto
essere alquanto sommaria, perché la nave, fatta ripartire in tutta fretta,
senza potersi rifornire, poco dopo essere giunta ad Argostoli al termine di una
missione di scorta, ha i serbatoi quasi vuoti e deve centellinare il carburante
rimasto); alle 19 si unisce anch’essa al convoglio, portandosi in testa e
riprendendo la ricerca antisom, sempre con risultato negativo.
Nemmeno la
ricognizione aerea (è prevista copertura aerea dalle 15 al tramonto, assicurata
da una squadriglia di base a Prevesa) avvista sommergibili. Sempre quale misura
antisom, Marimorea ha fatto salpare da Guiscardo (vicino ad Argostoli) la
motovedetta Caron della
Guardia di Finanza ed il motoveliero Regina
Vincitrice affinché effettuino ascolto idrofonico; ma le due minuscole
navi, a causa delle pessime condizioni del mare (che peraltro impediscono di
usare efficacemente gli idrofoni), devono tornare in porto poco dopo la partenza,
senza poter espletare il loro compito.
Per il primo tratto
della navigazione il convoglio si trova in una zona di mare relativamente
sicura, in quanto racchiusa dalle isole di Zacinto, Argostoli e Santa Maura
(Lefkàda); dopo le 20 (per altra fonte, alle 22), doppiato Capo Ducato
(all’estremità meridionale di Santa Maura), uscirà invece in mare aperto,
dirigerà per il punto 39°11’ N e 20°00’ E, raggiungerà le isole di Paxo ed
Antipaxo e da lì dirigerà verso l’Italia, passando per la posizione 39°58’ N e
18°47’30” E, facendo il punto dinanzi a Gagliano del Capo, doppiando Capo
d’Otranto verso le otto del mattino del 29 marzo, e seguendo poi la costa fino
a Bari.
Verso le 18.30,
passato Capo Dukato, il convoglio entra nella zona di pericolo per attacchi subacquei,
e le unità della scorta iniziano ad eseguire lanci di bombe di profondità a
scopo intimidatorio, dato che non si ottiene alcun reale contatto.
Il tempo, già
instabile per tutta la giornata (calma di mare e di vento, ma con cielo
coperto, e le previsioni parlano di un peggioramento in arrivo dal secondo
quadrante), va via via peggiorando durante la serata: raffiche di vento e di
pioggia prendono a sferzare le navi, che procedono tra la foschia a tratti più
o meno spessa.
Il convoglio esce dal
passo di Capo Dukato senza che si verifichino inconvenienti; alle 19.12,
lasciato Capo Dukato di poppa al traverso, si cambia formazione dalla linea di
fila a quella su quattro colonne, due interne di trasporti truppe e due esterne
di navi scorta. Il Città di Napoli rimane
in testa alla formazione, procedendo a proravia rispetto alle due colonne
centrali (a distanza più o meno uguale da entrambe), mentre la Bassini la chiude.
La colonna interna di
dritta è guidata dal Galilea,
seguito dal Crispi al
centro e dall’Italia in coda; la
colonna interna di sinistra è formata da Viminale (in testa, a circa 600-700 metri di distanza
dal Galilea), Piemonte (al centro) ed Aventino (in coda); la colonna
esterna di dritta è costituita da Mosto (in
testa, sulla dritta del Galilea)
e Sebenico (dietro
alla Mosto, all’altezza
del Crispi), quella di sinistra
da San Martino (all’altezza
della Viminale) e Castelfidardo (all’altezza
del Piemonte). Viene assunta
rotta 330°, mantenendo una velocità di 10 nodi. (Per altra fonte, Città di Napoli e Mosto si sarebbero invece
posizionati in coda al convoglio, rispettivamente a dritta ed a sinistra,
con Sebenico e Castelfidardo in testa e Bassini e San Martino sui lati, quest’ultima a dritta e l’altra a
sinistra. Dopo la partenza della San
Martino, la Bassini sarebbe
passata in coda insieme alla Mosto,
mentre il Città di Napoli si
sarebbe spostato sul fianco destro del convoglio).
Le navi della scorta
procedono a zig zag; sul cielo del convoglio volano aerei da caccia ed
antisommergibili, che rimangono in volo fino all’imbrunire. Gli ultimi due
velivoli di scorta aerea, due caccia, se ne vanno al tramonto.
Alle 21 la San Martino è costretta a rientrare
ad Argostoli, perché ha quasi finito il carburante; ciò comporta alcune
modifiche nella formazione del convoglio. Il Città di Napoli torna ad essere la nave di testa; mentre i
trasporti non variarono le loro posizioni, la Bassini si porta sul fianco di dritta del convoglio,
all’altezza dell’Italia, e la Castelfidardo indietreggia di una
posizione, portandosi all’altezza dell’Aventino.
Il Sebenico passa dal lato
di dritta a quello di sinistra, posizionandosi all’altezza della Viminale. Solo la Mosto mantiene la sua posizione
originaria sulla dritta del Galilea.
Durante la
serata, Crispi e Piemonte segnalano di essere stati
sfiorati da due siluri, determinando un’intensificazione nei lanci “dissuasivi”
di bombe di profondità da parte della scorta; probabilmente si è trattato di un
falso allarme.
Alle 21.20 il
sommergibile britannico Proteus (capitano
di corvetta Philip Stewart Francis) avvista numerose sagome scure in posizione
38°55’ N e 20°21’ E, a cinque miglia di distanza, su rilevamento 200°; virando
per avvicinarsi e vedere di che cosa si tratta, Francis vede che le sagome
appartengono alle navi di un convoglio di sette navi mercantili, scortate da
due o più cacciatorpediniere. C’è troppa luce lunare per poter attaccare in
superficie, così alle 22.25 il Proteus s’immerge
per continuare l’avvicinamento; alle 22.32 Francis vede cinque navi attraverso
il periscopio. Alle 22.42 il Proteus lancia
due siluri contro un mercantile distante circa 1830 metri; un minuto dopo il
sommergibile lancia altri quattro siluri contro due mercantili distanti
rispettivamente 915 e 1830 metri, che appaiono “sovrapposti” nel periscopio.
Subito dopo, il battello britannico scende in profondità. In quel momento il
convoglio sta passando al largo delle isolette di Paxo ed Antipaxo (a sud di
Corfù).
La notte è buia,
piove ed il mare è agitato: le navi della scorta non avvistano le scie dei
siluri né tanto meno il sommergibile. Verso le 22.45, in posizione 39°03’ N e
20°06’ E (o 39°04’ N e 20°05’ E, nove miglia a sudovest di Antipaxo), il Galilea viene colpito da un siluro
a prua ed inizia a rallentare e sbandare sulla sinistra; si arresterà del tutto
nel giro di una decina di minuti.
La Mosto, unità più vicina alla nave
silurata, reagisce con il lancio di tre bombe di profondità alle 22.53, che
però esplodono lontane dal Proteus
(mentre sulla Mosto si ritiene di
aver danneggiato l’avversario); il sommergibile ne avverte le esplosioni ed
anche i rumori di una nave in affondamento.
Dopo il siluramento,
tutte le navi del convoglio (per altra fonte, probabilmente erronea, solo
quelle della scorta) accostano di 90° a sinistra, verso il lato esterno, ad
alta velocità, allontanandosi a tutta forza dal luogo dell’attacco. Alle
23.10 il convoglio, riordinata la formazione, riprende la navigazione verso
Capo d’Otranto.
In base agli ordini
diramati dal caposcorta prima della partenza, Mosto e Castelfidardo avrebbero
l’incarico di restare sul posto per dare assistenza al Galilea, mentre il resto del convoglio deve
proseguire: ma alle 23.55 il Città
di Napoli ripete tale ordine, via radiosegnalatore (per altra fonte,
con i segnali), soltanto alla Mosto (perché
il suo comandante è il più anziano tra i due, ergo destinato alla direzione
delle operazioni di soccorso), così che il comandante della Castelfidardo, che l’ha intercettato e
lo ritiene specificamente diretto alla sola Mosto, crede che le istruzioni impartite alla partenza siano
da considerarsi annullate e di non doversi fermare anch’esso, ma di dover
proseguire invece con il convoglio, senza chiedere conferma di tale
interpretazione al caposcorta. (Risulta dunque erronea la versione, riportata
da alcuni siti, secondo cui la Mosto,
per prestare soccorso al Galilea,
avrebbe contravvenuto ad un ordine di proseguire senza fermarsi in caso di
siluramento, ed il comandante Delfino sarebbe stato per questo deferito alla
corte marziale, pur venendo prosciolto grazie alla sua azione antisommergibili
che ne avrebbe giustificato la “sosta”: in realtà egli aveva ricevuto prima
della partenza proprio il compito di prestare soccorso ad eventuali navi
silurate, ordine ribadito dal caposcorta dopo il siluramento del Galilea, ed agì pertanto in piena
conformità con le disposizioni ricevute).
La Castelfidardo, dopo essersi trattenuta
sul luogo del siluramento per pochissimo tempo, si riunisce dunque al
convoglio già verso mezzanotte (il Città
di Napoli si accorgerà della sua presenza in formazione soltanto alle
6.50, quando ormai il convoglio si è allontanato di ottanta miglia dal luogo
dell’attacco), e soltanto la Mosto rimane
ad assistere il Galilea.
Il Città di Napoli informa
il Comando Marina di Brindisi dell’accaduto alle 23.55, dando anche la
posizione del piroscafo silurato; Marina Brindisi ritrasmetterà la notizia a
Supermarina alle 00.14.
Dopo il siluramento
ed un tentativo di dirigere verso la costa, frustrato dall’inutilizzazione del
timone, il Galilea, fermate le
macchine per ordine del primo ufficiale e rimasto privo di governo, ha ruotato
su sé stesso fino a ritrovarsi con il lato sinistro sopravvento; a bordo è
scoppiato il caos tra gli alpini, poco o per niente abituati al mare e per
niente preparati all’eventualità di un naufragio. Le scialuppe sono prese
d’assalto, venendo calate troppo frettolosamente e finendo quasi tutte con il
capovolgersi o lo sfasciarsi; molti uomini si gettano in mare senza neanche
saper nuotare, venendo risucchiati dalle eliche della nave – prima che le
macchine siano fermate – o soccombendo rapidamente all’ipotermia.
Dileguatosi nella
notte il resto del convoglio, la Mosto
rimane da sola vicino al piroscafo agonizzante, unica spettatrice dell’immane
tragedia che si va consumando. Le condizioni meteomarine ostacolano i soccorsi:
il mare è molto agitato, piove e c’è foschia; già prima del siluramento il
vento era forza 3 in aumento, da est-sudest, e va poi peggiorando, così come il
mare (anch’esso forza 3 prima dell’attacco). Verso mezzanotte le condizioni
meteorologiche sono descritte come “pessime”,
con “mare incrociato da SSE e SSW,
piovaschi e forte foschia”. La necessità di zigzagare e non fermarsi troppo
a lungo in un punto per il rischio di nuovi attacchi subacquei contribuisce a
sua volta ad ostacolare i soccorsi, al pari della notte estremamente buia. Di
tanto in tanto vengono lanciate bombe di profondità, per scoraggiare nuovi
attacchi.
29 marzo 1942
Mantenendosi vicino
al piroscafo in lento affondamento, la Mosto
si prodiga nel salvataggio di quanti più naufraghi possibile: dapprima recupera
dal mare gli uomini tuffatisi in preda al panico subito dopo il siluramento;
poi prende a bordo gli occupanti delle scialuppe, tutte danneggiate e quasi
tutte prive di remi, che vengono prese a rimorchio. Verso le 00.30 la Mosto, che fino a quel momento si è
tenuta ad una certa distanza dal piroscafo, impegnata, secondo il primo
ufficiale del Galilea Licinio
Schivitz, “in un continuo andirivieni
nell'intento di recuperare i naufraghi allontanatisi a nuoto o con le
imbarcazioni” (secondo il tenente degli alpini Antonio Ferrante di Ruffano,
la Mosto non poté affiancare il Galilea per trasbordarne le truppe a
causa del mare troppo mosso), si avvicina a portata di voce ed informa gli uomini
del Galilea di aver lanciato via
radio i segnali di soccorso, esortandoli a mantenere la calma; domanda inoltre
quale sia lo stato della nave e degli uomini ancora a bordo, e viene risposto
che il Galilea ha raggiunto uno
sbandamento di 17 gradi e sta inesorabilmente affondando. La Mosto torna ad allontanarsi, mentre lo
sbandamento del piroscafo raggiunge i 19 gradi; il comandante del Galilea, Emanuele Stagnaro, data la
vicinanza della torpediniera ordina il “Si salvi chi può”, ma quasi nessuno dei
soldati esegue l’ordine, ed alcuni ufficiali degli alpini si recano anzi in
plancia a chiedergli conto dell’ordine e domandarne l’annullamento. Stagnaro
cede, ma all’1.45, con lo sbandamento che ha ormai raggiunto i 22 gradi, ripete
nuovamente l’ordine; di nuovo gli alpini esitano a gettarsi in mare, e soltanto
l’esempio del primo ufficiale Schivitz, calatosi lungo una cima su ordine di
Stagnaro, li induce finalmente ad iniziare l’abbandono della nave. Alle 2.40
Schivitz viene recuperato dalla Mosto:
sarà il superstite più alto in grado tra l’equipaggio del piroscafo; così
descriverà il suo salvataggio nella relazione stesa in seguito: “Mi imbattei prima, nei Sottotenenti ZANELLI
e BONICELLI, filatisi subito da bordo e poi, in uno zatterino sul quale
riuscimmo a risalire. Dopo circa una mezz'ora fummo raccolti dalla
Torpediniera, prontamente e fraternamente assistiti. Ricordo di aver perso le
forze, mi ripresi nella cuccetta del Secondo di bordo, il quale mi prestò pure
dei vestiti. Salii in plancia dove fui accolto dal Comandante Sig. DELFINO, il
quale mi informò che alle ore 03.40 la GALILEA era affondata. La Torpediniera
continuò instancabilmente il recupero dei naufraghi, ed alla fine ne recuperò
150, spesso con manovre difficili per riprendere a bordo uno ad uno. Verso le
ore 14.00 fummo raggiunti dall'incrociatore ausiliario ZARA, ma in mare
non si vedeva più nessuno. Più tardi in zona sopraggiunsero anche dei M.A.S.,
dei dragamine e degli idrovolanti”.
Qualcuno tenta anche
di organizzare una spola tra Mosto e Galilea con una delle poche scialuppe
sane: si tratta del tenente degli alpini Antonio Ferrante di Ruffano,
imbarcatosi su una lancia carica di alpini. Incaricato un alpino
radiotelegrafista, Angelo Forte, di attirare l’attenzione della Mosto – avvistata dagli occupanti della
scialuppa nella foschia poco distante – effettuando segnali luminosi di SOS con
la sua torcia, Ferrante ha cercato di dirigere la scialuppa verso la
torpediniera con l’unico remo a disposizione; la Mosto ha avvistato l’imbarcazione e gli si è diretta incontro,
affiancandola e prendendone a bordo gli alpini. Rimasto solo sulla scialuppa
vuota, Ferrante chiede che un volontario lo accompagni con un altro remo nel
tentativo di tornare verso il Galilea
per cercare di recuperare altri uomini: alla fine si fa avanti un marinaio
della Mosto, ed i due lasciano la
torpediniera e remano verso il piroscafo, che però non riescono a raggiungere a
causa del maltempo e dei crampi che colgono Ferrante. Recuperano invece altri
dodici uomini dal mare, trasbordandoli sulla Mosto che intanto li ha seguiti, dopo di che Ferrante sviene per la
stanchezza e viene portato nella cuccetta del comandante Delfino.
Solo alle 2.12 il
Comando Militare Marittimo della Grecia Occidentale (Marimorea, con sede a
Patrasso) apprende dalla Mosto che il
Galilea è stato silurato, galleggia
ancora e necessita di soccorso; a quel punto ordina a Marina Prevesa di inviare
sul posto dragamine ed un MAS (l’unico presente in quel porto) ed a Marina
Argostoli di mandare i dragamine ed i cacciasommergibili di base a Fiscardo
(questi ultimi, però, saranno costretti a tornare indietro dal maltempo).
Vengono anche approntati alla partenza i rimorchiatori Teseo e Tenax, nella
speranza che sia ancora possibile prendere a rimorchio il piroscafo danneggiato
e portarlo in salvo.
Vana speranza: dopo
una lunghissima agonia, il Galilea
s’inabissa alle 3.50 nel punto 39°03’ N e 20°06’ E. Nel suo rapporto il
comandante Delfino descriverà così gli ultimi atti dello sfortunato bastimento:
“Trovandomi nelle vicinanze osservo che
nel risucchio dell’affondamento molte persone vengono inghiottite dai vortici”.
La Mosto comunica la notizia
dell’affondamento a Marimorea, che sospende così l’approntamento di Teseo e Tenax.
L’opera di
salvataggio continua, i naufraghi vengono recuperati dalle zattere e dal mare. Alle
cinque del mattino il comandante Delfino è costretto a richiamare a bordo la
piccola lancia messa a mare per recuperare naufraghi, a casa delle “condizioni del mare in aumento”.
Nel corso della notte,
la Mosto trae in salvo
complessivamente tra i 187 ed i 210 uomini del Galilea, a seconda delle fonti; le richieste trasmesse alle basi di
Corfù e Prevesa per sollecitare l’invio di altre unità di soccorso cadono nel
vuoto a causa di fraindentimenti e malfunzionamenti nei mezzi di comunicazione.
I piroscafetti Eolo e Mariska, all’ancora a Corfù, vi
rimangono assurdamente, mentre a poche miglia la Mosto è sola a dover lottare contro il freddo e l’oscurità per
salvare quanti più possibile tra le centinaia di naufraghi che si dibattono tra
le onde. I naufraghi semiassiderati, una volta a bordo, vengono avvolti in
coperte e portati in sala macchine per scaldarsi, ricevendo inoltre abiti
asciutti; alcuni muoiono. Alle 6.58 la Mosto
comunica a Marimorea di stare recuperando gli ultimi naufraghi.
Solo alle 7.45 giunge
finalmente sul posto una seconda unità: non si tratta che di un minuscolo MAS,
il 518 (per altra fonte, 516) della XXI Squadriglia di base a
Prevesa, in grado di ospitare soltanto un pugno di naufraghi nei suoi
ristrettissimi spazi. Compiendo due viaggi tra Prevesa ed il luogo
dell’affondamento, il MAS 518
recupera in tutto 44 (per altra fonte 47) superstiti del Galilea; con le luci del mattino ed il miglioramento del tempo
arrivano anche alcuni aerei decollati da Prevesa, che con le loro segnalazioni
agevolano il salvataggio degli ultimi superstiti. Alle 8.08 sopraggiunge da
Brindisi un idrovolante CANT Z. 506 della Croce Rossa, che però si ribalta
tentando di ammarare (l’intero equipaggio può essere tratto in salvo). Alle
9.45 il presunto avvistamento del periscopio di un sommergibile da parte di un
altro aereo, poi rivelatosi un falso allarme (dopo che il MAS lo ha bombardato
con bombe di profondità), porta ad una momentanea sospensione dell’opera di
salvataggio, con nefaste conseguenze per chi ancora è in acqua. (Secondo
Antonio Ferrante di Ruffano, all’alba la Mosto
avvistò un periscopio e tentò di speronare il presunto sommergibile, salvo
accorgersi una volta serrate le distanze che si trattava di una piccola lancia
sbandata con a bordo il tenente degli alpini Minini, vestito con una maglietta
bianca e delle mutande, che aveva sollevato un remo per farsi avvistare:
evitata di stretta misura la collisione, la torpediniera trasse in salvo
l’ufficiale).
Alle 10.30, ripresi i
soccorsi, arrivano da Prevesa i motopescherecci Antonia Madre ed Avanguardista, requisiti come dragamine
ausiliari, cui la Mosto indica la
zona in cui si trovano ancora dei naufraghi: le due piccole unità ne recuperano
in tutto 33. Tra mezzogiorno e mezzo e l’una viene avvistato l’incrociatore
ausiliario Zara (capitano di fregata
Luigi Martini), salpato da Patrasso per partecipare ai soccorsi; la Mosto, con numerosi naufraghi visibili
in coperta, si avvicina a portata di voce e riferisce di aver recuperato tutti
i sopravvissuti, chiedendo se ci siano ordini per lei, e dopo aver ricevuto
risposta negativa replica che rientrerà a Prevesa per sbarcare i naufraghi. Il
comandante dello Zara domanda quanti
siano gli uomini tratti in salvo, e la Mosto risponde
che sono 220, inclusi 33 recuperati dai pescherecci, che ha già perlustrato
tutta l’area, e che non c’è più nessuno da salvare. Mosto, Antonia Madre ed Avanguardista dirigono quindi per
rientrare in porto (poco prima se n’è andato definitivamente anche il MAS 518, mentre verso le due del
pomeriggio giungono in zona altre unità minori, tra cui i dragamine Saetta e Luigi III, che recuperano altri 33 naufraghi e 47 cadaveri), mentre
lo Zara rimane sul posto per
continuare le ricerche; alle 14.03 avvista quello che sembra un cadavere su uno
zatterino ma che si rivela poi essere un naufrago ancora in vita: è l’alpino
friulano Ugo Pittin. Si tratta dell’ultimo superstite del Galilea a venire tratto in salvo,
nonché dell’unico salvato dallo Zara,
che continuerà senza successo le ricerche fino alle sette di sera del 30 marzo
(Pittin riferirà poi che verso le 7.30 la Mosto
era passata ad una ventina di metri dallo zatterino su cui lui ed un altro
naufrago, un ufficiale degli alpini deceduto poco dopo, si trovavano, tanto
vicina che aveva potuto leggerne le lettere identificative dipinte sullo scafo,
senza però avvistarli né sentire le sue grida di aiuto).
Alla fine, i morti
saranno 1050, su 1329 presenti a bordo del piroscafo. La Mosto ha salvato la maggioranza dei sopravvissuti, sbarcandoli a
Prevesa alle 17 del 29 marzo; per la sua opera di salvataggio, il comandante
Delfino verrà insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare (già la
terza concessione, per lui), con motivazione "Comandante di torpediniera, di scorta ad un importante convoglio,
attaccato da sommergibile nemico, accorreva prontamente in aiuto di una nave
colpita da siluro, dirigendo con slancio, perizia e coraggio le operazioni di
recupero dei naufraghi prolungatesi per più ore in acque ancora insidiate dal
nemico ed in difficili condizioni atmosferiche e di mare particolarmente
difficili. Con ardimento e spirito aggressivo, dava in pari tempo caccia
all'unità subacquea avversaria e portava efficace assistenza all'equipaggio di
un idrosoccorso infortunatosi nel tentativo di contribuire al recupero dei
naufraghi, dando prova di elevate qualità militari e marinaresche".
Le altre navi del
convoglio giungono a Bari lo stesso 29 marzo.
Il
tenente degli alpini Erasmo Frisacco, tra i pochi ufficiali superstiti (salvato
proprio dalla Mosto insieme ad altri
due alpini, Onorino Pietrobon e Luigi Borgna: gli unici superstiti di un gruppo
di una trentina di uomini arrampicatisi sul loro zatterino), scriverà nella sua
relazione “Si ritiene doveroso segnalare
il contributo valoroso ed instancabile offerto dai comandanti della
torpediniera "Antonio Mosto" e dal MAS inviato in soccorso, nonché
l'opera infaticabile prestata dai tenaci equipaggi che si sono prodigati fino
al limite delle possibilità anche per un periodo oltre l'affondamento alla
ricerca ed al possibile recupero di naufraghi superstiti”. L’alpino
friulano Bruno Galet ricorda così il salvataggio da parte della Mosto: “Ci allontanammo dalla nave remando, anche per scaldarci. La torpediniera
Antonio Mosto, di scorta al convoglio, invertì la rotta e venne in soccorso dei
naufraghi. (…) Noi vedemmo la nave e
tutti gridammo per farci notare, ma non ci sentirono, solo al secondo
passaggio, finalmente, ci issarono a bordo. Il salvataggio avvenne quando era
quasi mattina e durò parecchio tempo perché il mare aveva disperso le varie
scialuppe e la nave era costretta a girare intorno. I marinai che ci
soccorrevano issandoci a bordo della torpediniera ci facevano coraggio
dicendoci: “Bravi alpini, bravi”. Io mi ritenevo ormai salvo, non mi passava
per la testa che avremmo potuto essere silurati un’altra volta”. Un altro
alpino, il sergente Luciano Papinutto, descrive così il suo salvataggio ed il
ricongiungimento, a bordo della Mosto,
con il suo tenente, Ferrante di Ruffano: “Me
ne stavo a dondolare sullo zatterino, pensando che, se avessi resistito al
freddo almeno fino al mattino, qualche aereo o nave mi avrebbe visto, quando mi
si stagliò di fronte una grande ombra nera. Era il cacciatorpediniere “Antonio
Mosto”. Presi a gridare e l’equipaggio mi individuò. Fecero un “telemax” dopo
aver ben capito dove mi trovavo. Ricordo che mi chiesero chi fossi. Fecero
mille domande per potermi individuare per mezzo della voce. Alla fine, mi
videro e gettarono una corda. Un’onda, però, mi portò a una cinquantina di
metri lontano. Il caccia, allora, manovrò di nuovo e la fune mi venne tirata
una seconda volta [in un’altra versione, Papinutto parla invece di una rete
che sarebbe stata calata dalla Mosto,
e che sarebbe riuscito ad aggrappare al terzo tentativo]. Questo giro le onde violente rischiarono di farmi sbattere sulla
fiancata della nave. Ricordo le urla dei marinai che mi dicevano di fare
attenzione a quel pericolo. Me ne accorsi appena in tempo, tanto da riuscire ad
aggrapparmi alla fune con forza. Nel farlo mollai lo zatterino e finii
sott’acqua, ma oramai mi stavo tenendo alla fune. Subito fui tirato su e tratto
in salvo. Portavo ancora al collo il binocolo di plotone e al fianco il pugnale
del Tenente. Mi chiesero chi fossi. Risposi che ero un alpino della “Julia”.
Allora mi diedero un maglione pesante, mi trasferirono in punta alla nave e mi
fecero scendere in un boccaporto. Dentro vi trovai Forte e quelli della
scialuppa. Lì c’era anche un alpino che poi morì a causa del freddo e dello
sforzo. Una volta lì, presi a stare male e, siccome il caccia ballava molto,
cercai una ritirata muovendomi a gattoni negli stretti corridoi. Trovando un
marinaio, chiesi se per caso non vi fossero a bordo dei nostri ufficiali. Mi
rispose che uno c’era, in una saletta vicino alla sala macchine. La raggiunsi
carponi. Era buia. Sul fondo vidi una brandina su cui giaceva qualcuno. I
nostri sguardi si incrociarono. “Ferrante!”, dissi. “Papinutto! Cosa fai
qui!?”, rispose lui piacevolmente sorpreso. “Aveva promesso di venire a
prendermi…”, risposi canzonatorio, “…non è venuto e, pertanto, m’è toccato
raggiungerLa da solo!”. Siccome avevo veramente un aspetto che lasciava intuire
di cosa avessi più bisogno in quel momento, indicando con il dito, Ferrante
disse: “Papinutto, il gabinetto è da quella parte!”. Fu così che io, Ferrante e
Forte godemmo del bene di ritrovarci anche quella volta”.
L’inchiesta sulla
perdita del Galilea, condotta
dall’ammiraglio di squadra Antonio Pasetti e conclusa dopo due mesi,
considererà l’equivoco relativo ai compiti della Castelfidardo conseguenza di una serie di fraintendimenti tra
i diversi soggetti che hanno scambiato messaggi dopo l’attacco (ad esempio,
alle 22.57 la Mosto aveva
informato il Sebenico per
radiosegnalatore che il Galilea era
fortemente sbandato e bisognoso di soccorso, mentre avrebbe dovuto comunicarlo
al caposcorta sul Città di Napoli),
e di problemi tecnici verificatisi nelle comunicazioni (ad esempio il Sebenico, alle 23.30, aveva cercato di
contattare il Città di Napoli,
che però non era stato raggiunto dal segnale rds: si era dovuto ricorrere alla
segnalazione ottica, e solo alle 23.50 il caposcorta Ciani era stato reso
edotto della situazione). Altro grave problema messo in luce dall’inchiesta,
insieme alla mancata effettuazione di alcune comunicazioni, è che le unità di
scorta non sapessero chi fosse il caposcorta, confusione alimentata dal
comandante del Sebenico che
ha adottato iniziative non di sua competenza, come contattare via radio altre
unità della scorta per ordinare il lancio di bombe di profondità, inducendo
diversi comandanti a ritenere erroneamente che il caposcorta fosse lui.
In riconoscenza per
la sua opera di salvataggio, nel dopoguerra il comandante Delfino sarà
frequentemente invitato dai reduci del "Gemona" alle commemorazioni
tenute in Friuli, terra di origine degli alpini del "Gemona" (e più
precisamente a Chions, paese che ebbe il più alto numero di vittime
nell’affondamento) nell’anniversario della tragedia (dopo la sua morte, sarà la
figlia Caterina ad essere invitata alle commemorazioni, ricordando la figura
del padre); considerato quasi un “secondo papà” da molti degli alpini salvati,
nel 1982 riceverà dai reduci del "Gemona" una targa commemorativa ed
un cappello di un alpino superstite. Varazze, sua città natale, gli dedicherà
un molo, mentre il Comune di Gemona gli conferirà la cittadinanza onoraria e
gli alpini la qualifica di “alpino onorario”.
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Antonio
Ferrante ed Angelo Forte, superstiti del Galilea,
a bordo della Mosto dopo il
salvataggio (da “Mai daur” di Antonio Ferrante) |
1° maggio 1942
Mosto, Città di Napoli ed il cacciatorpediniere Euro scortano i piroscafi Rosandra e Città di Catania, carichi di truppe e
materiali, da Bari a Durazzo.
3 maggio 1942
Mosto
e Città di Napoli scortano i
piroscafi Italia e Quirinale, carichi di munizioni e
materiali vari, da Durazzo a Bari.
4 maggio 1942
La Mosto e l’incrociatore ausiliario Lorenzo Marcello scortano il trasporto
truppe Crispi da Brindisi a Corfù.
5 maggio 1942
Mosto
e Marcello scortano il Crispi da Corfù a Bari.
9 maggio 1942
La Mosto e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano il piroscafo Città di Catania, carico di truppe e
materiali vari, da Bari a Santa Maura, e poi di nuovo a Bari con truppe
rimpatrianti.
15 maggio 1942
La Mosto salpa da Patrasso per scortare a
Bari, insieme all’incrociatore ausiliario Brioni,
il piroscafo Ivorea.
16 maggio 1942
Alle 14.14, in
posizione 40°50’ N e 17°40’ E (al largo di Bari), il sommergibile britannico Thrasher (tenente di vascello Hugh
Stirling Mackenzie) avvista il convoglio, in avvicinamento da Brindisi a
notevole distanza dalla costa: la Mosto
procede in testa, seguita dall’Ivorea
(di cui Mackenzie valuta correttamente la stazza in 3500 tsl), con il Brioni (la cui stazza è sovrastimata da
Mackenzie in 5000 tsl) in coda alla formazione. Il comandante britannico
giudica che sia Brioni che Ivorea
siano due mercantili carichi per metà, e che la Mosto sia l’unica unità di scorta.
Alle 14.47, in posizione
40°50’ N e 17°40’ E, il Thrasher
lancia tre siluri contro il Brioni da
2100 metri di distanza; subito dopo accosta per lanciare anche contro l’Ivorea, ma due minuti più tardi,
l’incrociatore ausiliario avvista i siluri e riesce così ad evitarli, dopo di
che ne risale la scia, costringendo il Thrasher
a scendere a 24 metri di profondità e ritirarsi verso nordovest, abbandonando
l’attacco. Portatosi sulla verticale del sommergibile attaccante, il Brioni lancia tre bombe di profondità
alle 14.53; anche la Mosto si unisce
alla caccia, lanciando tre bombe di profondità qualche minuto più tardi (gli
ordigni esplodono però piuttosto lontani dal Thrasher, che non subisce danni).
Alle 15.15 Mosto e Brioni abbandonano la caccia e si riuniscono all’Ivorea,
proseguendo la navigazione.
7 giugno 1942
La Mosto e la similare Stocco scortano la nave cisterna Sanandrea da Taranto a Patrasso.
6 luglio 1942
La Mosto e la torpediniera Solferino scortano il trasporto militare
Enrichetta, con un dragamine a
rimorchio, da Taranto a Navarino.
8-9 luglio 1942
La Mosto scorta a Navarino il trasporto
militare Enrichetta, la cisterna
militare Po ed i dragamine Magnxet e Persiglia. Alle quattro del mattino del 9 luglio, al largo di
Zante, la scorta viene rinforzata dalla torpediniera Calliope, uscita da Navarino, dove il piccolo convoglio giunge a
mezzogiorno.
17 luglio 1942
La Mosto scorta il trasporto militare Tripoli da Taranto a Navarino.
25 luglio 1942
Alle quattro del
mattino la Mosto, il vecchio
cacciatorpediniere Riboty, il
più moderno cacciatorpediniere Lampo
e l’incrociatore ausiliario Zara partono
da Bari per scortare a Patrasso i piroscafi Aventino e Milano,
diretti in Nordafrica con 1871 soldati, 15 tra automezzi e rimorchi e 213
tonnellate di munizioni, artiglieria e materiali vari. Fa parte del convoglio
anche la motonave Donizetti, che
però è diretta a Corfù; quando il convoglio giunge al largo dell’isola, Donizetti e Mosto se ne separano e raggiungono
pertanto Corfù.
Da Patrasso i due
piroscafi proseguiranno per Bengasi, via il Pireo e Suda, con la scorta di
altre unità (cacciatorpediniere Saetta e Bersagliere, torpediniere Lince e Sagittario); giungeranno a destinazione, nonostante ripetuti
attacchi aerei che causeranno alcuni danni all’Aventino.
29 luglio 1942
Mosto
e Riboty scortano da Brindisi a
Patrasso i piroscafi Orsolina Bottiglieri
e Tagliamento, carichi di materiali
vari, e la nave cisterna Arca.
3 agosto 1942
La Mosto scorta la cisterna militare Devoli da Navarino a Valona.
11 agosto 1942
Mosto
e Zara scortano il piroscafo Argentina, carico di truppe e materiali,
da Taranto a Patrasso.
30 agosto 1942
Mosto
e Zara scortano la motonave Puccini, con truppe e materiali, da Bari
ad Argostoli.
4 settembre 1942
Mosto
e Città di Genova scortano da Bari a
Prevesa i piroscafi Aventino ed Ivorea, con truppe e materiali.
Lo stesso giorno la Mosto, insieme ad un rimorchiatore dei
pompieri, salpa da Bari per andare in soccorso della torpediniera di scorta Tifone, danneggiata a poppa
dall’esplosione di una mina. Mosto e
rimorchiatore, procedendo a tutta forza, giungono sul posto, dopo di che la Mosto prende a rimorchio la Tifone e la porta a Brindisi, dove la
torpediniera danneggiata sarà immessa in bacino.
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Tifone, Mosto e Riboty (da sinistra a destra) a Brindisi nel 1942 (da www.steelnavy.net) |
13 settembre 1942
Mosto, Zara, Stocco ed il cacciatorpediniere Premuda scortano da Bari a Durazzo i piroscafi Rosandra, Chisone e Quirinale, con
truppe e rifornimenti.
4 ottobre 1942
La Mosto viene inviata a dare la caccia al
sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin
Bryant), che ha infruttuosamente attaccato con quattro siluri e con il cannone
il piroscafo Valentino Coda a sud di
Vieste, in posizione 41°48’ N e 16°13’ E (il piroscafo ha reagito aprendo a sua
volta il fuoco con il suo cannone: né il Safari
né il Valentino Coda hanno ottenuto
centri nel successivo duello d’artiglieria). Non riesce a trovarlo.
21 ottobre 1942
La Mosto lascia Bari per scortare a
Patrasso la motonave Calino. Il piccolo
convoglio fruisce inoltre della protezione di due aerei.
22 ottobre 1942
Alle dieci del
mattino (ora di bordo del Sahib)
Mosto (identificata come un’unità
classe Generali) e Calino, insieme a
due aerei che le sorvolano, vengono avvistate nel punto 38°46’ N e 20°04’ E, a
25 miglia per 295° da Capo Dukato, dal sommergibile britannico Sahib (tenente di vascello John
Henry Bromage), a 5500 metri di distanza. Alle 10.21 (11.20 ora italiana)
il Sahib lancia quattro
siluri, da 3900 metri, contro la motonave; alle 11.23 (ora italiana) la Mosto viene mancata da un siluro, ed
avverte subito la Calino di iniziare
manovre evasive: la motonave riesce così ad evitare i quattro siluri,
nel punto 38°45’ N e 20°05’ E (posizione indicata dalla Calino; il comandante della Mosto
nel rapporto di missione indicherà invece 39°35’ N e 19°13’ E, mentre nel
messaggio inviato alla base durante l’azione aveva indicato 38°42’ N e 20°11’
E). Un aereo della scorta, un CANT Z. 506 con a bordo il guardiamarina Paolo Budini,
scende in picchiata, mitraglia il punto in cui approssimativamente si trova il
sommergibile (per indicarlo alla Mosto)
e sgancia due cariche di profondità, ed alle 11.31 la Mosto getta a sua volta due bombe di profondità regolate per
esplodere rispettivamente a 50 e 75 metri di profondità, seguite alle 11.36 da
altre due regolate per 100 metri. Il Sahib non
viene tuttavia danneggiato (le bombe esplodono lontane). La Mosto si riunisce poi alla Calino, che riferisce di essere stata
mancata da quattro siluri; una volta ricomposto, il piccolo convoglio riprende
la navigazione.
26 ottobre 1942
Scorta il piroscafo Salvatore da Patrasso a Brindisi.
2 novembre 1942
La Mosto salpa da Brindisi alle otto di
mattina scortando il piroscafo tedesco Hans
Harp, diretto a Bengasi, e l’italiano Goffredo
Mameli. All’altezza di Capo Papas l’Hans
Harp si separa dal convoglio prosegue da solo (a Suda ne assumerà la scorta
la torpediniera Orsa); la Mosto scorta il Mameli fino a Patrasso.
6 novembre 1942
La Mosto e le torpediniere Castore ed Angelo Bassini salpano da Taranto
per scortare a Suda la pirocisterna Giorgio; Mosto e Bassini scortano la Giorgio solo
fino a Patrasso, poi è la sola Castore a
proseguire con la petroliera.
8 novembre 1942
La Mosto scorta la piccola motonave
frigorifera Genepesca I da Patrasso a
Brindisi.
15 novembre 1942
La Mosto scorta la motonave Unione da Patrasso a Corfù.
20 novembre 1942
Scorta di nuovo l’Unione, adesso da Corfù a Taranto.
30 novembre 1942
Alle 17.10 la Mosto salpa da Trapani per scortare a
Tunisi il piroscafo Valdirosa.
1° dicembre 1942
Mosto
e Valdirosa arrivano a Tunisi alle
17.20.
3 dicembre 1942
A mezzogiorno la Mosto, salpata da Tunisi per andare a
rinforzare la scorta del convoglio “Arlesiana” (o “B”: lo compongono i
piroscafi italiani Arlesiana, Achille Lauro e Campania ed i tedeschi Menes
e Lisboa, scortati dalle torpediniere
Groppo, Orione, Sirio, Uragano ed Animoso), viene avvistata dal sommergibile britannico P 45 (poi ribattezzato Unrivalled; tenente di vascello Hugh
Bentley Turner) in posizione 37°16’ N e 10°22’ E (nel Golfo di Tunisi).
Identificata la nave italiana come un “cacciatorpediniere classe Odero”, Turner
lancia un siluro contro di essa alle 12.21, in posizione 37°14’ N e 10°27’ E;
la Mosto avvista la scia ma non
riesce ad evitare il siluro, che tuttavia colpisce il suo lato sinistro senza
esplodere e causando danni minimi (una falla nel deposito di nafta numero 4 e
lo scardinamento di un componente dell’elica sinistra). Alle 12.31 la Mosto reagisce con il lancio di sette
bombe di profondità; si unisce poi alla caccia una seconda unità, ed alle 14.30
il P 45 è oggetto di un lancio
piuttosto preciso in cui sei bombe di profondità esplodono alquanto vicine,
causando alcuni danni sebbene non gravi. Terminata la caccia, il sommergibile
riuscirà a tornare a quota periscopica alle 15.45.
15 dicembre 1942
La Mosto scorta da Taranto a Messina la
motonave Unione, insieme al
rimorchiatore militare Titano. Tra le
11.20 e le 12.20, nei pressi di Taranto, il piccolo convoglio incontra il
sommergibile Delfino (capitano di
corvetta Alberto Avogadro di Cerrione), di ritorno da una missione di trasporto
a Buerat el Hsum, col quale scambia il segnale di riconoscimento.
24 dicembre 1942
La Mosto salpa da Taranto alle 7.30
scortando il piroscafo Iseo ed una
motozattera tedesca.
25 dicembre 1942
Il piccolo convoglio
giunge a Messina nel pomeriggio.
23 marzo 1943
La Mosto (tenente di vascello di
complemento Mario Trisolini) salpa da Taranto insieme alla similare Angelo Bassini (tenente di vascello
Beniamino Mancuso, caposcorta) per scortare a Messina la pirocisterna Zeila ed il piroscafo per recuperi Artiglio; alla scorta si uniscono anche
i cacciasommergibili tedeschi UJ
2201 e UJ 2204 (salpati
da Crotone la sera precedente) e diverse vedette antisommergibili italiane tipo
VAS.
Alle 12.45 i fumi del
convoglio vengono avvistati su rilevamento 060° dal sommergibile
britannico Unison (tenente
di vascello Anthony Robert Daniell), che manovra per attaccare. Identificate,
alle 13.22, le unità del convoglio come «due
navi mercantili scortate da una torpediniera vecchio tipo, due grossi
pescherecci armati e due MAS», e notato che nel cielo vi sono diversi aerei
che pattugliavano la zona, Daniell lancia quattro siluri dalle 14.09, dalla
distanza di 1830 metri. La Zeila viene
colpita da due delle armi, ed affonda in un minuto (l’orario riportato dalle
fonti italiane sono però le 14.20, discordante rispetto a quello dell’Unison) nel punto 37°57’ N e 16°10’
E, a quattro miglia per 100° da Capo Spartivento Calabro. Dieci uomini perdono
la vita, mentre vengono recuperati quattordici superstiti, tra cui sei feriti.
Dopo l’attacco l’Unison scende in profondità (anche
troppo: Daniell intendeva scendere a 27 metri, ma il profondimetro viene
erroneamente chiuso e quando viene riaperto il battello è sceso a 85 metri di
profondità; continua a scendere fino ad urtare il fondale a 105 metri alle
14.12 e “rimbalzare” fino a 30 metri, quando finalmente l’equipaggio riesce a
riguadagnare il controllo dell’assetto), e dalle 14.17 alle 17.45 viene
sottoposto a pesantissima caccia, con il lancio di ben 133 bombe di profondità
da parte dell’UJ 2201 e dell’UJ 2204. Nonostante le impressioni dei
due cacciasommergibili tedeschi, che riterranno di aver affondato il
sommergibile, quasi nessuna delle bombe esplode particolarmente vicina, così
gli unici danni che l’Unison deve
lamentare consistono nella la rottura di alcune lampadine.
Lo stesso giorno il
convoglio viene anche attaccato da aerosiluranti, che mitragliano la Mosto e lanciano contro di essa dei
siluri: la torpediniera non subisce danni di rilievo, ma rimane ucciso il capo
meccanico di prima classe Guglielmo Guglielmi, di 41 anni, da Capua. Sarà
decorato alla memoria con la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con
motivazione “Imbarcato su torpediniera,
attaccata con mitraglia e siluro da aerei nemici, restava Impavido al suo posto
di combattimento, assolvendo il compito affidatogli sotto l’intensa azione di
fuoco avversaria. Gravemente colpito da una raffica di mitraglia, si Abbatteva
in coperta senza un lamento e, solo ad azione ultimata, consentiva di essere
trasportato in luogo più ridossato. Decedeva poco dopo, offrendo esempio di
elevato attaccamento al dovere e consapevole spirito di sacrificio”.
4 aprile 1943
La Mosto, insieme alle torpediniere Climene ed Angelo Bassini ed al
cacciatorpediniere Augusto Riboty,
salpa da Brindisi per scortare a Messina la motonave italiana Carbonello A. e la nave cisterna
tedesca Regina.
Alle 12.35 dello
stesso giorno la Mosto lascia
il convoglio per raggiungere Taranto.
13 maggio 1943
La Mosto salpa da Olbia alle 8.45 per
scortare a Sant’Antioco il piroscafo Singe, al comando del capitano di lungo
corso Vincenzo Palomba, carico di provviste per il presidio militare di
Sant’Antioco.
Alle 15.55 lo Sfinge urta un corpo sommerso in
posizione 40°24’50” N e 09°49'10” E, con conseguente apertura di una falla
dalla quale l’acqua entra ad un ritmo maggiore di quanto le pompe non riescano ad
espellere; tuttavia, dal momento che le paratie stagne della stiva reggono alla
pressione dell’acqua e gli altri doppi fondi sono intatti, il comandante del
piroscafo decide di proseguire, decisione che comunica per megafono alla Mosto.
14 maggio 1943
Alle 14.55, al largo
di Capo Malfatano, il piccolo convoglio viene attaccato da aerei angloamericani
che effettuano più passaggi di mitragliamento: lo Sfinge viene colpito più volte, con la morte del comandante Palomba
e di tre marinai ed il grave ferimento del nostromo, ed i proiettili incendiari
appiccano vari principi d’incendio. Il piroscafo dà fondo vicino alla costa per
domare le fiamme, dopo di che riprende la navigazione alle 15.40, ormeggiandosi
a Sant’Antioco alle 20.45.
28 maggio 1943
La Mosto si trova in porto a Livorno quando
la città subisce il primo bombardamento della guerra, effettuato da 92
“Fortezze Volanti” (quadrimotori Boeing B-17) della 12th USAAF,
su 100 originariamente decollati dalle basi dell’Algeria.
L’incursione, che ha
come obiettivo proprio il porto e le navi ivi ormeggiate, oltre allo scalo
ferroviario ed alle raffinerie, si protrae dalle 11.35 alle 12.26, con effetti
devastanti: vengono duramente colpiti gli obiettivi prescelti, ma anche il
centro cittadino, con immani distruzioni soprattutto nel quartiere Venezia e
nelle zone del Voltone, di Piazza Magenta, Via Baiocchi e Via Marrani. Le bombe
distruggono 170 edifici, tra cui il Duomo, la grande Sinagoga (la seconda in
Europa per dimensioni), i teatri San Marco e Rossini ed il Mercato Centrale.
Decine di becolini, piccole imbarcazioni a fondo piatto e vela latina tipiche
di Livorno, vengono frantumate dalle bombe nei canali del porto Mediceo; i
malsicuri ricoveri antiaerei ricavati nelle cantine dell’Unione Canottieri
Livornesi, centrati dalle bombe, crollano seppellendo decine di occupanti
(cento persone rimangono sepolte nel crollo di un singolo rifugio, centrato da
una bomba in zona Scali d’Azeglio; in un caso, non essendo possibile recuperare
i cadaveri, si deciderà di murare il ricovero dopo aver gettato calce viva per
evitare epidemie). La seconda ondata di bombardieri coglie i pompieri intenti
ai soccorsi dopo la prima ed innumerevoli civili in fuga lungo le vie della
città, aumentando le perdite. In tutto muoiono sotto le bombe almeno 212 civili
e 13 militari, altri 232 rimangono feriti (entro il 3 giugno, con il decesso di
molti feriti, il numero delle vittime salirà a 280). Molte delle vittime sono
operai dei cantieri Odero Terni Orlando, nonché abitanti del centro e delle
zone limitrofe al porto, alla zona industriale ed all’Accademia Navale.
Decine di migliaia di
livornesi abbandoneranno la città nei giorni successivi, rifugiandosi nelle
campagne e negli altri centri della costa toscana: nella sola cittadina di
Rosignano, che conta circa 20.000 abitanti, piomberanno in un sol giorno
ottomila livornesi sfollati.
Tra le navi
ormeggiate in porto, mercantili e militari, che rappresentano uno degli
obiettivi principali, il bombardamento fa un vero scempio: affondano sotto le
bombe le torpediniere Antares
ed Angelo Bassini, la
corvetta FR 52, i piroscafi Lercara e Tiziano, l’incrociatore ausiliario Caralis, il piroscafetto Maralunga,
i motovelieri Alas (vedetta
foranea V 84), Luciano, Maria Concetta M., Sandro e Sandrina (dragamine
ausiliario DM 33), i
rimorchiatori Alcione, Artigliere e Francesca Neri (quest’ultimo
requisito come dragamine ausiliario B
404); subiscono gravi danni il cacciatorpediniere Velite e la corvetta Antilope,
entrambi ai lavori nei cantieri Odero-Terni-Orlando, che subisce esso stesso
pesanti distruzioni, rimanendo pressoché paralizzato dalle conseguenze dirette
e indirette del bombardamento (la corvetta Stambecco, colpita sullo scalo dove si trova in costruzione, viene
danneggiata tanto gravemente che se ne decide la demolizione senza che mai
abbia neanche toccato il mare).
Anche la Mosto viene gravemente danneggiata dal
bombardamento; un membro del suo equipaggio, il capo silurista di seconda
classe Umberto Del Chierico di 32 anni, da Castel Focognano, morirà per le
ferite riportate il successivo 30 maggio.
8 settembre 1943
Alla data della
proclamazione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, la Mosto fa parte del I Gruppo
Torpediniere di stanza a La Spezia, alle dipendenze del Dipartimento Militare
Marittimo Alto Tirreno, insieme alle “tre pipe” Generale Antonino Cascino, Giacinto Carini e Generale Carlo Montanari
(caposquadriglia; le due “Generali” all’atto dell’armistizio sono
impossibilitate a muovere perché ai lavori).
Da La Spezia la Mosto, insieme alla ben più moderna
torpediniera di scorta Ardimentoso,
si trasferisce a Portoferraio, nell’Isola d’Elba; qui convergono infatti tutte
le siluranti provenienti dai porti dell’Alto Tirreno: le torpediniere Impavido ed Indomito (la prima delle quali ha a bordo gli ammiragli Aimone di
Savoia-Aosta ed Amedeo Nomis di Pollone, rispettivamente ispettore generale dei
MAS e comandante superiore delle siluranti) da Lerici, Ardente ed Animoso da
Genova, Fortunale, Calliope e Nicola Fabrizi da Pozzuoli, Aliseo,
Ardito e Giacinto Carini da Bastia e le corvette Ape (già presente a Portoferraio all’annuncio dell’armistizio), Folaga (da La Spezia), Cormorano (da Bastia), Danaide e Minerva (da La Maddalena), nonché i sommergibili Axum (da Gaeta), Filippo Corridoni (da La Maddalena), H 1, H 2 e H 4 (tutti da Ajaccio), la motosilurante
MS 55 (da Gaeta), i MAS 544 (da La Spezia) e 551 (da Lerici), due cannoniere (da La
Spezia e da Genova), il rimorchiatore militare Porto Palo (da La Spezia) ed una decina di vedette antisommergibili
provenienti da La Spezia. L’ammiraglio Nomis di Pollone, per ordine di
Supermarina, assume il comando di questa eterogenea flottiglia, denominata
Divisione siluranti.
Da Portoferraio la Divisione
siluranti proseguirà poi verso sud, con l’eccezione di Ardito (impossibilitata a proseguire per i danni subiti in un
attacco tedesco a Bastia), Impavido
(immobilizzata da un’avaria), i due MAS (anch’essi immobilizzati da avarie), il
Porto Palo ed alcune VAS.
12 settembre 1943
La flottiglia di cui
fa parte la Mosto giunge a Palermo,
porto sotto controllo Alleato. Qui le navi italiane sostano per alcuni giorni, risultando
un incomodo non da poco per i locali comandi statunitensi; il comandante della
locale base della US Navy, capitano di vascello Leonard Doughty, annuncerà ai
suoi superiori l’arrivo della flottiglia di Nomis di Pollone parafrasando
sarcasticamente il messaggio inviato in precedenza dall’ammiraglio Andrew
Browne Cunningham (capo di Stato Maggiore della Royal Navy e comandante in capo
della Mediterranean Fleet britannica) relativamente all’arrivo a Malta della
flotta da battaglia italiana in seguito all’armistizio (“Mi compiaccio di
informare le loro signorie che la flotta italiana è all’ancora sotto i cannoni
della fortezza di Malta”): “Mi compiaccio di informare le loro signorie che
Palermo è sotto i cannoni di una flotta italiana”.
L’ammiraglio
Cunningham ha già deciso di utilizzare le siluranti italiane per la scorta ai
convogli Alleati nel Mediterraneo, in modo da liberare un eguale numero di
siluranti angloamericane per altri impieghi; non avendo però ancora concordato
tale collaborazione con l’ammiraglio Raffaele De Courten (capo di Stato
Maggiore della Marina italiana) e non essendo del tutto certo della
realizzabilità di un accordo del genere con l’ex nemico, decide per il momento
di trasferire le navi di Nomis di Pollone a Malta (dove già è confluito, in
base alle disposizioni armistiziali, il grosso della flotta italiana), dove
potrà, nel peggiore dei casi, impossessarsene con la forza qualora non
risultasse possibile raggiungere un accordo per il loro utilizzo.
Incontrati i due
ammiragli italiani a bordo dell’Aliseo,
il capitano di vascello Doughty e due suoi sottoposti organizzano il
rifornimento delle navi italiane con provviste e medicinali, in modo da
consentirne la prosecuzione verso Malta.
19-20 settembre 1943
La flottiglia di
Nomis di Pollone inizia a lasciare Palermo all’alba del 19, raggiungendo Malta
tra quel giorno ed il 23 settembre. La Mosto
arriva a Malta il 20 settembre, insieme alle torpediniere Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Ariete, Indomito, Fortunale e Calliope,
alle corvette Minerva, Danaide, Gabbiano, Ape e Cormorano, ai sommergibili Filippo Corridoni, Axum, Nichelio, H 1, H
2 e H 4, al cacciasommergibili
ausiliario AS 121 Regina Elena, alle
motosiluranti MS 35, MS 55 e MS 64, alle vedette antisommergibili VAS 201, VAS 204, VAS 224, VAS 233, VAS 237, VAS 240, VAS 241, VAS 246 e VAS 248. Le ha precedute, il 19, la
corvetta Pellicano, e le seguiranno, nei giorni successivi, le torpediniere Carini e Fabrizi (giunte il 21), il rimorchiatore militare Liscanera e le motosiluranti MS 54, MS 56 e MS 61 (tutte
giunte il 23).
La Mosto va ad ormeggiarsi a Marsa
Scirocco, insieme alle altre torpediniere e corvette.
Lo stesso giorno (20
settembre) muore in Italia il sottocapo meccanico Marco Luparia, di 21 anni, da
Casale Monferrato, facente parte dell’equipaggio della Mosto, in circostanze che non è stato possibile appurare (è
possibile che, rimasto a terra forse perché in licenza, abbia perso la vita in
conseguenza delle vicende armistiziali nel quadro dell’occupazione tedesca
dell’Italia).
5 ottobre 1943
La Mosto lascia Malta e ritorna in Italia,
insieme ad Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Indomito, Fortunale, Carini e Fabrizi.
26 ottobre 1943
La Mosto e la similare Nicola Fabrizi scortano un convoglio britannico: si tratta di una
delle primissime missioni di scorta svolte da unità italiane nell’ambito della
cobelligeranza, in seguito ad accordi tra gli ammiragli De Courten e Cunningham
(capo di Stato Maggiore della Royal Navy e già comandante in capo della Mediterranean
Fleet) per la cooperazione tra le due Marine in seguito all’armistizio ed allo
stato di guerra frattanto sorto tra Italia e Germania.
1943-1945
Durante la
cobelligeranza con gli Alleati, la Mosto
viene impiegata principalmente nella scorta di convogli nelle acque della
Tunisia.
Dicembre 1944
Secondo una “pink
list” (lista pubblicata settimanalmente, che indicava la posizione di ciascuna
unità della Royal Navy e delle Marine alleate o cobelligeranti) della Royal
Navy, in questo periodo la Mosto si sarebbe
trovata in riparazione a Taranto.
24 aprile 1945
La Mosto partecipa ad un’esercitazione
nelle acque di Taranto (tra le 6.20 e le 13.10) insieme al cacciatorpediniere Fuciliere, alla torpediniera di scorta Animoso, alla corvetta Minerva, al sommergibile Platino ed al cacciasommergibili
ausiliario AS 121 Regina Elena.Nel trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10
febbraio, la Mosto viene inclusa
nell’"Elenco delle navi che l’Italia potrà conservare" (Allegato
XII): rimane così in servizio nella Marina Militare, non più regia.
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La Mosto (a sinistra) e la similare Nicola Fabrizi in bacino a Taranto nel 1946-1947. Sullo sfondo sono riconoscibili i cacciatorpediniere Mitragliere e Velite e, in lontananza, lo scafo incompleto del sommergibile R 3 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
1947
Nel trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10
febbraio, la Mosto viene inclusa
nell’"Elenco delle navi che l’Italia potrà conservare" (Allegato
XII): rimane così in servizio nella Marina Militare, non più regia.
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La Mosto fotografata a Taranto nel 1948 con
un’inusuale colorazione a due tonalità di grigio, in pessime condizioni – tanto
da poter appena distinguere le lettere identificative “MT” dipinte sulla prua –
per via della scarsità di vernice. L’albero a proravia del fumaiolo prodiero è
stato ridotto a mezza altezza per consentire di transitare nel canale
navigabile senza dover aprire il ponte girevole (Coll. Giorgio Parodi, via
Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
1950
La nave ha base a
Taranto.
1952 o 1953
Ormai antiquata ed
usurata dalla pluritrentennale carriera che l’ha vista attraversare due
conflitti mondiali, la Mosto viene riclassificata
dragamine meccanico costiero (o dragamine veloce), con sigla M 5353. L’armamento viene ridotto ad un
cannone da 102/35 mm, due (o quattro) mitragliere singole da 20/65 mm e due
tubi lanciasiluri da 450 mm. Viene installato anche un radar, oltre ovviamente
ad attrezzatura per il dragaggio meccanico.
15 dicembre 1958
Radiata dai quadri
del naviglio militare (atto formalizzato con decreto 73436 del presidente della
Repubblica del 7 aprile 1959). Successivamente demolita.