lunedì 30 maggio 2016

Berillo

Il Berillo (da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone Miozzi, USMM, Roma 1999)

Sommergibile di piccola crociera della classe Perla (dislocamento di 695 tonnellate in superficie e 855 in immersione). Svolse in guerra quattro missioni offensive ed una di trasferimento, percorrendo complessivamente 3978 miglia in superficie e 320 in immersione, e passando un mese ai lavori.

Breve e parziale cronologia.

14 settembre 1935
Impostazione nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di cantiere 1141).
14 giugno 1936
Varo nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. Ne è madrina Alma Antonimi Laudati, moglie del comandante in seconda della base navale di Pola, capitano di fregata Guglielmo Laudati.

Berillo in allestimento (da “I sommergibili di Monfalcone” di Alessandro Turrini, supplemento alla “Rivista Marittima” n. 11 del novembre 1998)

5 agosto 1936
Entrata in servizio. Assegnato alla XXXV Squadriglia Sommergibili (di base a Messina) e dislocato ad Augusta.
1936
Compie una lunga crociera addestrativa nel Mediterraneo centrale, toccando Tobruk, Bengasi, Marsa el Hilal, Porto Bardia, Lero e Napoli.
Gennaio-Settembre 1937
Partecipa clandestinamente alla guerra civile spagnola, svolgendo in tutto tre missioni.
1° gennaio 1937
Salpa da Napoli al comando del capitano di corvetta Vittorio Prato, per la prima missione della guerra di Spagna (da effettuarsi al largo di Cartagena). A bordo, quale ufficiale di collegamento, è il capitano di corvetta Bobadilla della Marina spagnola nazionalista.
17 o 18 gennaio 1937
Rientra alla base a mani vuote.
5 agosto 1937
Salpa da Augusta, al comando del capitano di corvetta Andrea Gasparini, per la seconda missione della guerra civile spagnola. Raggiunta la zona assegnata (Canale di Sicilia, a nordovest di Pantelleria, tra Capo Lilibeo e Capo Bon), vi rimane per undici giorni, durante i quali si verificano 45 tra avvistamenti e manovre d’attacco (ma solo in una lancerà dei siluri).
14 agosto 1937
Lancia infruttuosamente due siluri contro un piroscafo.
16 agosto 1937
Rientra alla base.

Il Berillo (g.c. STORIA militare)

28 agosto 1937
Parte per la terza missione nell’ambito della guerra di Spagna, stavolta al largo di Cartagena.
6 settembre 1937
Rientra alla base senza aver avvistato navi sospette.
1938
Dislocato a Massaua (Eritrea), in Mar Rosso, insieme ai gemelli Iride ed Onice.
Primavera 1939
Torna in Mediterraneo, a Taranto. Successivamente trasferito ad Augusta.
Gennaio 1940
Assume il comando del Berillo il tenente di vascello Camillo Milesi Ferretti.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Berillo fa parte della XIII Squadriglia Sommergibili (insieme a Gemma ed Onice), avente base a La Spezia (I Grupsom); viene però dislocato ad Augusta. Effettua alcune missioni nel Mediterraneo centrale, senza incontrare navi nemiche.
13 luglio 1940
Inviato in pattugliamento a levante di Gibilterra, insieme ai più grandi sommergibili Morosini, Nani e Faà di Bruno. Non incontra alcuna nave nemica.
In una successiva missione è inviato nelle acque di Malta, ma di nuovo non avvista nulla.

Il Berillo passa sotto il ponte girevole di Taranto (g.c. Valerio Civetta)

L’affondamento

Il 17 settembre 1940 il Comando del Gruppo Sommergibili di Messina telefonò al tenente  di vascello Camillo Milesi Ferretti, comandante del Berillo, per chiedere se il sommergibile fosse pronto a partire; Milesi Ferretti rispose che il battello era pronto in attesa di ordini da settimane, e la mattina del 18 giunse l’ordine di passare dall’approntamento in due ore all’essere pronti a partire non appena fosse stato ordinato. Un fuochista, avendo la febbre alta, dovette essere lasciato a terra, contro la sua volontà (disse di non voler sbarcare e che si trattasse di un male passeggero, ma Milesi Ferretti dovette lasciarlo a terra).
Verso le 16, l’equipaggio venne richiamato a bordo e messo al corrente della missione.
Arrivò poi l’ordine d’operazioni, in busta sigillata, portata da un ufficiale in motocicletta: agguato offensivo al largo di Sidi el Barrani e Marsa Matruh, fino al limite dell’autonomia, anche a supporto dell’offensiva italiana in Egitto. Milesi Ferretti venne anche informato della presenza di un sommergibile avversario lungo la sua rotta, subito fuori dalla base.
Mezz’ora più tardi, alle otto di sera del 18 settembre 1940, il Berillo, salutato da uomini degli equipaggi di altre unità presenti ad Augusta, salpò dalla base siciliana diretto nel settore ad esso assegnato, al largo di Alessandria d’Egitto, a sud di Creta ed a sudovest della Turchia.
Dopo aver navigato in superficie per tutta la notte, il battello s’immerse l’indomani alle undici di mattina, per evitare l’avvistamento da parte di un ricognitore britannico; riemerse solo dieci ore dopo, col favore del buio, per cambiare aria e ricaricare le batterie, proseguendo verso la zona assegnata per la missione. All’alba s’immerse di nuovo; trascorse la giornata in ascolto idrofonico alla quota di 50 metri, per poi riemergere alle 18. Durante la navigazione si verificarono alcune avarie; alle 24, infatti, la pompa di poppa dovette essere fermata per avaria, ma venne riparata dal fuochista Giovanni Barcaro e da un collega, dopo alcune ore di scomodo lavoro sotto i tubi di lancio.
Con l’alba il Berillo s’immerse di nuovo, e di nuovo passò la giornata in agguato a profondità variabili (nessuna traccia di navi) per poi riemergere con il buio e proseguire verso la propria destinazione. Nuova immersione alle quattro del mattino successivo, e nuova avaria: dopo poche ore, i timoni elettrici di profondità di poppa smisero di rispondere ai comandi, costringendo a passare alla manovra manuale mentre si provvedeva a laboriose riparazioni che si conclusero solo alle 17, senza che il problema fosse risolto in modo definitivo (i timoni non funzionavano più in modo ottimale, ed erano seriamente esposti al rischio di una nuova avaria). Giunta la sera, altra emersione per ricarica accumulatori e ricambio d’aria. Nella notte, procedendo ad una decina di miglia dalla costa, si videro gli incendi dei bombardamenti ed il fuoco della contraerea in direzione di Marsa Matruh; il bagliore era tale che il sommergibile si dovette allontanare, perché rischiava di diventare troppo visibile.
Alle quattro del mattino del 25 settembre (altra fonte parla del 21 settembre) il Berillo raggiunse il settore da pattugliare, a nord di Ras Ultima; due ore dopo s’immerse a 50 metri di profondità, ponendosi in agguato in ascolto idrofonico.

Due giorni trascorsero senza che niente accadesse (vennero avvistate di prora delle ombre che sembravano quelle di navi in fila, ma il sommergibile, avvicinatosi per attaccare, scoprì che si trattava di scogli), e la sera del 27 settembre, come sempre alle 21, il Berillo riemerse per cambiare aria, ricaricare le batterie e gettare in mare i rifiuti. Quando però fu ordinato di mettere in moto i motori, questi non partirono (ciò secondo il motorista Gian Battista Civetta, mentre il fuochista Barcaro affermò invece che i motori, prima quello di dritta e poi quello di sinistra, si fermarono dopo qualche ora di navigazione), per interruzione della circolazione dell’olio; nonostante l’immediato intervento dell’equipaggio, che lavorò tutta la notte per rimettere in funzione i motori – quello di sinistra poté essere rimesso in moto, ma solo a due cilindri, mentre per quello di dritta non si riuscì ad ottenere nulla –, il sommergibile rimase immobilizzato per tutta la notte, e non poté perlustrare l’area assegnata.
Giunta l’alba, alle sei del mattino del 28, il Berillo si immerse di nuovo, tenendosi poi in agguato, cambiando di quando in quando la quota, ma sempre senza notare alcuna traccia di navi nemiche. Alle 21, solita emersione per cambio aria e ricarica batterie; il motore di sinistra era ancora malfunzionante, mentre rinnovati sforzi per riattivare il motore di dritta non portarono ad alcun risultato.
Trascorse un altro giorno, come al solito in immersione (con un solo motore elettrico funzionante: l’altro era in avaria perché rimasto ingranato con il motore diesel, a causa della viratrice), ed alle 21.30 del 29 settembre il Berillo riemerse, in condizioni di navigabilità sempre più precarie per via dello stato dei suoi motori. Appena emerso (secondo Civetta; secondo Barcaro, invece, verso le 23), il sommergibile ricevette un messaggio cifrato da Roma: «Prolungata missione 5 giorni – stop – zona = ALFA = 60 miglia N.O. zona attuale – stop – Avvistamento formazioni nemiche rotta N.O. a sud di Candia = stop – Operare in collaborazione coi sommergibili zone 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – stop = eventuali informazioni da Supermarina ore X = stop = Super Marina ore 0,01 – per conoscenza a tutte le navi in rotta per il Mediterraneo Orientale». Il messaggio precisava inoltre la composizione della forza navale avvistata: una corazzata, una portaerei, cinque incrociatori e 19 cacciatorpediniere. Erano in mare per l’operazione «MB. 5», un (riuscito) tentativo di rifornire Malta; la reale consistenza della formazione britannica era di due corazzate (Valiant e Warspite), una portaerei (Illustrious), due incrociatori leggeri (Orion e Sydney), un incrociatore pesante (York) ed undici cacciatorpediniere. Le navi incaricate di rifornire Malta erano gli incrociatori leggeri Liverpool e Gloucester, su cui erano stati imbarcati 1200 uomini più un carico di materiali; inoltre sarebbe stato in mare durante l’operazione il convoglio «AN. 4», partito da Port Said e diretto al Pireo, con la scorta dell’incrociatore antiaereo Calcutta e di quattro cacciatorpediniere. La prospettiva di un tale potenziale “bottino” non mancò di destare entusiasmo tra l’equipaggio.

Trascinandosi alla esasperante velocità di cinque nodi, il Berillo riuscì egualmente a raggiungere il nuovo settore assegnato (al largo di Sidi el Barrani, 60 miglia più a nord rispetto al settore precedente) alle sette del mattino del 30 settembre. L’equipaggio, desideroso di scontrarsi con le navi britanniche dopo tanti giorni trascorsi senza avvistare nulla, lavorò ancor più alacremente alla riparazione del motore di dritta: non solo i motoristi, ma anche gli elettricisti si unirono ai lavori, e quando a sera il battello riemerse, finalmente il motore di dritta ritornò a funzionare. All’alba del 1° ottobre, il sommergibile tornò ad immergersi, per poi restare in agguato a quota periscopica per il resto del giorno. Ancora una volta, nessuna nave avversaria entrò nel raggio visivo del Berillo.
Il mare era calmo; la vita a bordo, durante le ore diurne di immersione (una quindicina al giorno), era alquanto monotona. Era fatto divieto di parlare o produrre altri rumori (che sarebbero stati rilevati dagli idrofoni di eventuali unità nemiche), dunque gli uomini stavano ognuno per proprio conto, leggendo, dormendo, o scambiandosi le proprie foto per vederle e farle vedere. All’interno del sommergibile faceva terribilmente caldo – 50° C – e la trasudazione era tale che dal soffitto gocciolava continuamente sudore condensato. Nonostante tutto, nessuno si lamentava.
Alle 21 del 1° ottobre, una volta di più – sarebbe stata l’ultima –, il Berillo tornò in superficie per il solito ricambio d’aria e ricarica batterie. Quando però il comandante ordinò di mettere in moto, i motori ricominciarono a dare noie: questa volta fu la pompa dell’olio ad andare in avaria, ma gli elettricisti, lavorando a lungo nel piccolo spazio disponibile, riuscirono infine a ripararla; i motoristi, intanto, lavoravano al motore di sinistra, ancora malfunzionante (smontarono gli stantuffi per pulire i canali di circolazione dell’olio sulle loro testate). Verso l’una di notte del 2 ottobre il motorista Gian Battista Civetta, sfinito (era sveglio e al lavoro ormai da sessanta ore), unto e sporco di nafta (l’acqua a bordo era razionata, tanto da non potersi nemmeno lavare), andò a dormire in cuccetta, mentre il fuochista Giovanni Barcaro lo sostituì tra quanti stavano lavorando ai motori (ma secondo il racconto di Barcaro, sembrerebbe che anche lui andò a riposare all’una, dopo lungo lavoro, nelle stesse condizioni di Civetta).

Il sonno di Civetta durò poco: verso le tre di notte il nemico tanto atteso venne avvistato, ed a tutto l’equipaggio venne ordinato di andare ai posti di combattimento. Le navi avversarie, che avevano rotta verso Alessandria e distavano 6000 metri, erano i cacciatorpediniere Havock (capitano di fregata Rafe Edward Courage) ed Hasty (capitano di corvetta Lionel Rupert Knyvet Tyrwhitt), che stavano rientrando al Pireo dopo aver scortato il convoglio «AN. 4» (fonti britanniche indicano l’orario dell’incontro tra il Berillo ed i cacciatorpediniere italiani come le cinque del mattino del 2 ottobre, però dicono anche che s’immerse subito: la discrepanza di orario potrebbe quindi spiegarsi con l’avvistamento del Berillo, da parte dei britannici, solo dopo che questo aveva lanciato i siluri, dunque molto più tardi dell’avvistamento dei cacciatorpediniere da parte dei sommergibili).
Restando in superficie (per via del malfunzionamento dei motori diesel, vennero utilizzati i motori elettrici), il comandante Milesi Ferretti fece assumere rotta perpendicolare alla direzione di avvistamento; il profilo della prima nave avvistata venne identificato come quello di un cacciatorpediniere quando la distanza fu calata a 4000 metri, mentre la seconda  nave, che seguiva la prima a 2000 metri, rimase un’ombra indistinta, tanto che Milesi Ferretti pensò che potesse trattarsi di un piroscafo (in quanto la distanza tra le due navi era superiore a quella che normalmente tenevano tra loro due cacciatorpediniere in linea di fila in navigazione notturna). La velocità della prima nave venne stimata in circa 25 nodi; quando la distanza fu calata, anche la seconda nave venne riconosciuta come un cacciatorpediniere.
Il Berillo, non visto dalle navi britanniche (che invece Milesi Ferretti distingueva ormai benissimo anche ad occhio nudo), serrò le distanze fino a 800 metri; il comandante ordinò di preparare dapprima il tubo numero 1 e poi anche il 2 ed il 3, quindi attese che il bersaglio assumesse un’angolazione favorevole al lancio ed ordinò di preparare al lancio il tubo numero 2; infine, diede l’ordine di lanciare. L’ennesima avaria colpì stavolta il sistema di lancio elettrico dei siluri, impedendo il lancio, così i siluristi dovettero procedere al lancio manuale; passarono i secondi, mentre a bordo del Berillo tutti fremevano in attesa dello scoppio, ma non si udì nessuna esplosione che confermasse il buon esito del lancio. Sulla coperta del cacciatorpediniere di testa si generò un certo movimento, e la nave iniziò a trasmettere un segnale alla sezionaria, mediante il fanale azzurro di poppa.
Milesi Ferretti diede allora ordine di lanciare altri due siluri – la distanza era frattanto calata a 600 metri –, ma nemmeno questi andarono a segno; ordinò allora tutta la barra a sinistra, per presentare la poppa al secondo cacciatorpediniere, e lanciargli due siluri con i tubi poppieri (dato che a prua era rimasto un solo siluro). Uno dei siluri già lanciati, però, percorse in superficie (anziché alla quota regolata) i primi cento metri, sollevano una vistosa scia, che ne permise l’avvistamento. (Per altra fonte Havock ed Hasty avvistarono il primo siluro ed evitarono gli altri due; per altra ancora, il secondo ed il terzo siluro passarono sotto lo scafo di uno dei cacciatorpediniere, senza esplodere).
A questo punto, le navi britanniche illuminarono simultaneamente il Berillo con quattro proiettori, ed al contempo spararono una salva d’artiglieria, che non colpì il sommergibile, ma lo inquadrò alla perfezione. Prima che il battello potesse lanciare sul secondo cacciatorpediniere, il primo accostò fortemente a sinistra (evitando il siluro di pochi metri), accelerò fortemente e mise la prua sul Berillo, con l’evidente intenzione di speronarlo; a Milesi Ferretti non rimase che ordinare l’immersione rapida.

Il Berillo in navigazione (g.c. Valerio Civetta)

In trentadue secondi, il Berillo s’immerse a 90 metri di profondità, mentre i cacciatorpediniere iniziavano il lancio delle bombe di profondità. Una dopo l’altra, ne esplosero cinque, sopra la coperta del sommergibile; l’equipaggio rimase calmo, il comandante seguitò impassibile a dare ordini. I manometri vennero messi fuori uso, così come bussola e telefoni. Seguirono altre cinque bombe di profondità, sempre a quota di poco superiore a quella a cui si trovava il sommergibile; questa volta tutto lo scafo venne scosso violentemente e venne a mancare la luce, costringendo all’uso delle lampade d’emergenza. Intanto, il battello stava sprofondando rapidamente; le continue esplosioni delle bombe di profondità rendevano molto difficile mantenerne il controllo, continuando a farlo appruare od appoppare, facendo scricchiolare e deformare lo scafo.
Milesi Ferretti ordinò di fermare le macchine e mettere tutti i timoni in alto, ma il timoniere rispose che i timoni non funzionavano; allora il comandante trasmise a prua ed a poppa, mediante interfonico, telefono e trasmettitore di ordini, di fermare le macchine e mettere tutti i timoni in alto con manovra manuale, ma tutti i sistemi di trasmissione erano fuori uso. A questo punto, ordinò di aprire le porte stagne e passare l’ordine a voce; poi dispose «Un filo d'aria a prora, un filo d'aria al centro». Il Berillo continuò a sprofondare, anche se più lentamente: superata la quota di collaudo di 80 metri, raggiunse presto i 110, mentre il comandante dava ordini per arrestare questa caduta con opportuno dosaggio dell’aria; il sommergibile arrivò fino a 135 metri di profondità, prima di fermarsi ed iniziare lentamente a risalire. Arrivò a 40 metri di profondità, poi di nuovo ricominciò a precipitare verso l’abisso: 130 metri. Poi, di nuovo, la risalita.
Il comandante Milesi Ferretti diede ordine di sfogare i doppi fondi verso l’interno; ciò ebbe però l’effetto di far salire la pressione nei locali a 3,5 kg/cm2, con notevole sensazione di “schiacciamento” sugli uomini, specie sui timpani.
Da poppa venne riferito che si sentivano delle specie di “guizzi” sullo scafo: i cacciatorpediniere stavano usando i periteri per localizzare il Berillo. Dato che fermare i motori non serviva a niente contro un nemico dotato di peritero (sarebbe stato invece utile nel caso in cui avessero avuto solo degli idrofoni, che potevano solo rilevare i rumori), Milesi Ferretti ordinò di mettere il motore di dritta avanti a mezza forza, per muoversi e rendere più difficile la “mira” dei lanci di bombe di profondità.
Il Berillo si era fortemente appruato (almeno 18°); il motorista Civetta, con altri uomini, si recò nella camera di lancio poppiera per tentare di ripristinare l’assetto.
L’idrofonista informò Milesi Ferretti che una delle navi britanniche si stava avvicinando (si sentiva il rumore delle sue eliche); poi il rumore delle eliche divenne così forte da potersi sentire ad orecchio. Il Berillo stava nuovamente scendendo; era a 70 metri quando il cacciatorpediniere passò sulla sua verticale, poi – otto minuti dopo la prima scarica di bombe – seguì una nuova serie di violentissime esplosioni, con cadenza regolare.
Questa volta i danni furono ingenti: caddero lampade, si staccarono strumenti fissati alle paratie, motori vennero divelti dai basamenti, a poppa scoppiò un incendio. La detonazione di una bomba investì in pieno l’asse motore di sinistra, rendendo inutilizzabile quel motore (ciò secondo Civetta; secondo Barcaro il motore di sinistra si fermò perché saltarono i massimi, mentre ad essere deformato fu l’asse dell’elica di dritta, e l’attrito causato dal pressatrecce fu all’origine dell’incendio) e provocando una prima via d’acqua nello scafo; fu necessario fermare anche il motore di dritta e domare le fiamme con gli estintori, dopo che Barcaro aveva infruttuosamente tentato di raffreddare l’attrito gettandovi sopra dell’acqua. L’acqua entrata si accumulò in camera di manovra, poi prese a scorrere da prora a poppa e viceversa, ogni volta che il battello si appruava o si appoppava.
Nonostante i tentativi del comandante di ripristinare l’assetto, il Berillo continuava in uno snervante saliscendi; ogni otto minuti un cacciatorpediniere ripassava e lanciava un’altra scarica di bombe di profondità, ogni volta più violenta e più vicina.
Spento l’incendio, Milesi Ferretti ordinò di mettere in moto un’elica, ma il motore non partì, essendo «andato a massa». Ancora saliscendi: per due volte il Berillo fu ad un passo dall’affiorare in superficie, nonostante i tentativi di fermarlo, ma ogni volta ritornò a scendere. Anche le cassette degli accumulatori si erano rotte.
Intanto il sommergibile era sceso a più di 120 metri di profondità, oltre quaranta metri in più rispetto alla quota di collaudo, e continuava a sprofondare, a causa dell’acqua imbarcata: 130 metri, e ancora più giù.
Milesi Ferretti riuscì finalmente a ridurre l’ampiezza dei “saliscendi”, mantenendosi tra 50 e 90-100 metri, ma ogni otto minuti il cacciatorpediniere si ripresentava con la sua pioggia di cariche di profondità. Vennero accese due o tre lampade portatili ad accumulatore; tutte le apparecchiature erano ormai a pezzi, tranne l’idrofono.

Verso le 5.30, subito dopo un’altra scarica di bombe, il Berillo si fermò finalmente a 90 metri, ma subito dopo arrivò la ventesima scarica di bombe di profondità: stavolta esplosero ancora più vicine, tanto da deformare vistosamente lo scafo, e la discesa del sommergibile riprese più veloce di prima, molto più veloce. Milesi Ferretti ordinò “Aria per tutto” al direttore di macchina Bassi, ma la pressione dell’aria era minore di quella dell’acqua: non restava più nulla da fare per arrestare la caduta verso l’abisso.
Gli uomini erano sdraiati nelle loro cuccette, ormai disperando di poterne uscire vivi, qualcuno già rassegnato; il motorista Civetta guardò negli occhi il collega Loris Petrolini, sdraiato accanto a lui, e gli strinse le mani; sentì un altro giovane marinaio pregare ed invocare sottovoce la madre. Ricacciò le lacrime. Il fuochista Barcato strinse al petto le foto dei cari. Un guardiamarina, Maggio, chiese al comandante in seconda, sottotenente di vascello Vittorio Nordio: “Non c’è proprio speranza?”, e questi rispose semplicemente “No”.
Nonostante i timoni a salire, il Berillo era sprofondato forse alla quota di 170 metri, forse addirittura 200 (i manometri a giro completo erano arrivati al massimo della loro scala, 150 metri, ma il sommergibile aveva continuato a scendere); quasi tutta l’aria era stata consumata nelle manovre precedenti. Il sommergibile era sbandato su un fianco per l’acqua imbarcata, molte apparecchiature erano divelte. Milesi Ferretti chiese quanta aria fosse rimasta e, quando gli fu risposto che ce n’erano solo 40 kg, ordinò di aprirla comunque ed aspettare.
Quando tutto sembrava perduto, il Berillo arrestò la sua interminabile discesa verso l’abisso e poi, quasi impercettibilmente, iniziò lentamente a risalire; prima lentamente, poi via via più velocemente. Non si sentivano più le navi britanniche, tanto da destare l’illusione che se ne fossero andate. In ogni caso, Milesi Ferretti si preparò ad un combattimento in superficie: diede ordine di preparare in torretta le casse contenenti l’archivio segreto, pronte ad essere gettate in mare, ed ai serventi del cannone di prepararsi a salire in coperta appena fossero emersi; sarebbe stato Nordio a dirigere il tiro, dalla torretta, mirando al cacciatorpediniere più vicino. Il resto dell’equipaggio avrebbe atteso sottocoperta, in prossimità dei portelli, ed avrebbe abbandonato il battello solo al suo ordine. Milesi Ferretti decise di restare sottocoperta, per provvedere all’autoaffondamento qualora vi fosse stato pericolo di cattura; disse a Nordio di aprire subito il fuoco e che lui, se non avesse sentito sparare né ricevuto comunicazioni di Nordio entro tre minuti dall’emersione, avrebbe avviato l’autoaffondamento. A quel punto, Nordio avrebbe dovuto ordinare l’abbandono nave, non appena avesse sentito a prua gli sfoghi d’aria.
La risalita fu lenta fino a circa 40 metri, poi accelerò di colpo; gli ultimi 40 metri furono risaliti “a pallone”.
Alla fine – alle 5.30 del 2 ottobre, due ore dopo l’inizio del bombardamento con cariche di profondità – il sommergibile riaffiorò in superficie, sbandato di 45° su un fianco (tanto da far cadere tutti a terra); a causa del contatto delle batterie con l’acqua di mare, si produsse del cloro, che bruciava i piedi e dava fastidio alla respirazione.
Dalla camera di comando, il sergente cannoniere puntatore scelto volontario Sebastiano Parodi ed il secondo capo nocchiere volontario Alberto Maya salirono in torretta per aprire il portello ed uscire, ma il volantino era andato distrutto nel bombardamento, impedendo l’apertura. Milesi Ferretti ordinò di aprirlo con una chiave, ed al contempo dispose l’apertura dei portelli di prua e di poppa; ma anche qui i volantini erano spariti, i perni tranciati: l’equipaggio era intrappolato dentro il sommergibile, ed intanto fuori si sentivano già i boati delle prime cannonate sparate dai cacciatorpediniere britannici.
L’Havock e l’Hasty, infatti, non si erano affatto allontanati: quando videro il Berillo emergere e poi restare fermo in superficie, non tardarono ad aprire il fuoco coi loro cannoni.

Sul Berillo i membri dell’equipaggio, impazienti di uscire dopo il lungo bombardamento e soprattutto per via del pericoloso cloro e della pressione insopportabile, si accalcavano intorno ai portelli, generando una certa confusione. Il comandante Milesi Ferretti invitò alla calma, mentre Maya e Parodi lavoravano all’apertura dei portelli. Deciso ad impedire la cattura del suo sommergibile, Milesi Ferretti, calcolando che i cacciatorpediniere avrebbero impiegato almeno una decina di minuti per ammainare un’imbarcazione e mandarla verso il Berillo, fece scattare il cronometro e decise che avrebbe atteso quattro minuti, poi, se ancora non si fosse riusciti ad aprire i portelli, avrebbe aperto gli sfoghi d’aria ed autoaffondato il sommergibile, a costo di condannare tutto l’equipaggio.
Due minuti erano passati, quando un proiettile sparato dai cacciatorpediniere centrò la torretta del sommergibile, passandola da parte a parte, ed investì in pieno proprio Maya – che si era appena rivolto a chi era di sotto per chiedere che gli porgessero un volantino – e Parodi, uccidendoli sul colpo: Parodi, ucciso da una grossa scheggia allo stomaco, rimase appoggiato al controportello; Maya, senza più la parte posteriore della testa, cadde ai piedi di Milesi Ferretti e di Barcaro, suo intimo amico, che lo chiamò vanamente più volte prima di rassegnarsi alla triste evidenza. Un altro marinaio rimase ferito leggermente. La cannonata, fatale per Maya e Parodi, salvò invece la vita al resto dell’equipaggio: spalancò infatti il portello, permettendo finalmente di uscire.
Subito Milesi Ferretti ordinò di gettare a mare la cassetta con l’archivio segreto, ed ai serventi del cannone di raggiungere il pezzo.
Passando attraverso il foro della cannonata, gli uomini salirono in coperta, mentre i due cacciatorpediniere si avvicinavano. Il cannone era incatastato, reso inutilizzabile dalle esplosioni delle bombe, con l’otturatore bloccato ed il portello della riservetta contorto: impossibile rispondere al fuoco. Agli uomini del Berillo non rimase che gettarsi in mare, e mettersi a nuotare in direzione dei cacciatorpediniere.
Milesi Ferretti, rimasto da solo sottocoperta (anche il controportello venne richiuso), aspettò per due minuti, sentendo le cannonate dei cacciatorpediniere, ma nessun rumore che indicasse che anche il cannone del Berillo avesse aperto il fuoco. Attese ancora per altri due minuti, tenendosi sulla bocca un fazzoletto per non essere soffocato dal gas di cloro che si era diffuso ovunque, poi aprì gli sfoghi d’aria, per affondare il suo sommergibile.
Diede un’occhiata ai manovri, per vedere se segnavano una perdita di quota, ma erano deformati e bloccati sul valore di 40 metri, a causa dell’eccesso di pressione dell’ultima caduta.
Dato che il Berillo non sembrava affondare, Milesi Ferretti decise di salire in coperta per vedere cosa stesse succedendo; dopo essere faticosamente riuscito ad aprire uno spiragli spingendo sul controportello, uscì in plancia sotto la luce dei proiettori dei cacciatorpediniere, distanti forse cinquecento metri. Il Berillo era appruato ed affondava lentamente; a bordo non c’era più nessuno, ad un centinaio di metri si vedeva una macchia scura e si sentivano voci, l’equipaggio.
Milesi Ferretti vide l’acqua venirgli incontro, ed istintivamente aprì la cintura per togliersi i pantaloni; poi, ricordando che aveva deciso di affondare col suo battello, riallacciò la cintura e si appoggiò all’affusto di una mitragliera contraerea, ritenendo che il gorgo dell’affondamento lo avrebbe risucchiato con sé. Dopo aver guardato un’ultima volta il suo Berillo, incrociò le braccia ed attese, mentre l’acqua saliva.
Poi – erano le sei del mattino del 2 ottobre (altra fonte parla delle 5.15: orario incompatibile con quanto sopra riportato, forse le 6.15) –, il sommergibile s’inabissò per sempre nel punto 33°09’ N e 26°24’ E (o 33°10’ N e 26°24’ E), ad est di Sollum, 50 miglia a sud di Creta e 120 miglia a nord di Sidi el Barrani.
Civetta, il motorista, si era allontanato di una ventina di metri quando vide il Berillo colare a picco, portando con sé le salme di Maya e Parodi, unici caduti nell’azione. Il sommergibile sarebbe stato il loro sepolcro.

Il comandante Milesi Ferretti non riuscì nell’intento di affondare col sommergibile. Una bolla d’aria, fuoriuscita dalla torretta, lo portò a galla, e si ritrovò in acqua, poco distante da altri naufraghi; sentendoli chiamare “Comandante, comandante”, rispose. Ormai non aveva più molto senso cercare la morte. I pesanti pantaloni e le scarpe alte gli intralciavano i movimenti in acqua; tentò infruttuosamente di slacciare le scarpe e di levarsi i pantaloni, che però rimasero attorcigliati attorno alle ginocchia, poi venne raggiunto da due uomini, uno dei quali gli offrì di appoggiarsi a lui; lo aiutarono a liberarsi di scarpe e pantaloni, poi il primo dei due uomini disse che sarebbe andato a cercare un’imbarcazione. Milesi Ferretti rispose “Lascia perdere, vai tu, non voglio niente” e l’uomo si allontanò a nuoto; quanto a lui, non essendo un gran nuotatore, ed avendo già esaurito le forze, si girò sulla schiena e nuotò lentamente, il necessario a restare a galla. Dopo circa un’ora si ritrovò sottobordo ad uno dei cacciatorpediniere, da dove gli venne lanciata una cima; dopo che ebbe vanamente tentato di issarsi a bordo con le sue forze, gli fu avvolta la cima intorno alla vita, e venne issato sul cacciatorpediniere.
Affondato il Berillo, l’Havock e l’Hasty misero a mare delle lance, che provvidero al recupero dei 45 naufraghi (5 ufficiali e 40 sottufficiali e marinai; per altra fonte, probabilmente erronea, 47 tra cui 7 ufficiali). Sette membri dell’equipaggio (i marinai Antonio Casole, Ambrosino e Barberi, il sergente segnalatore Appoggi, il sottocapo silurista Manes, il secondo capo elettricista Diofebi ed il motorista navale Rosario Cavallero) erano rimasti feriti (secondo un elenco compilato da un superstite, uno di essi, Diofebi, morì per le ferite; non vi è però traccia di questo nome negli elenchi dei caduti in guerra della Marina, né vi è menzione della morte di membri dell’equipaggio del Berillo oltre a Maya e Parodi).
Sbarcati ad Alessandria la sera successiva, scortati da sentinelle armate, gli uomini del Berillo vennero condotti nel campo di prigionia di Geneifa, in Egitto (dove già si trovavano i superstiti di altre navi italiane affondate dai britannici: l’incrociatore Colleoni, il cacciatorpediniere Espero, i sommergibili Rubino, Gondar, Console Generale Liuzzi e Uebi Scebeli, oltre a militari dell’Esercito e dell’Aeronautica catturati in Nordafrica), dove sarebbe iniziata la lunga prigionia che li avrebbe successivamente portati a Ramgarh, nella lontana India, nel 1941, ed in seguito a Yol, anch’esso in India.
Il comandante Milesi Ferretti non si rassegnò all’idea della prigionia: tentò di fuggire già da Geneifa, senza successo; poi ritentò a Yol, insieme ad altri due ufficiali (il capitano armi navali Elios Toschi ed il tenente Luigi Faggioni, entrambi della X Flottiglia MAS), stavolta con successo. I tre ufficiali, travestiti da indiani (su di loro, le autorità britanniche avevano messo una taglia di 20.000 rupie), vissero per due mesi con i pastori locali, poi si divisero, e Milesi Ferretti raggiunse Goa, nella colonia dell’India portoghese.

Il Berillo in porto (g.c. Valerio Civetta)


La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al motorista navale Giovanni Civetta:


“Imbarcato su sommergibile durante impari combattimento contro due siluranti avversarie, si prodigava nella riparazione di un motore termico in avaria, sotto la violenta prolungata caccia nemica, desisteva dal suo lavoro solo quando per  l’imminente affondamento, ne riceveva esplicito ordine. Salito in coperta affrontava impavido il ravvicinato tiro delle navi avversarie, dando prova, nelle difficili circostanze,

della massima calma e del più sereno coraggio.

(Mediterraneo Centrale, 2 ottobre 1940).”




Sopra, tre foto del motorista Giovanni Civetta; sotto, la medaglia del Berillo (per g.c. di Valerio Civetta, figlio di Giovanni Civetta).



domenica 29 maggio 2016

V 276 Baicin

Il Baicin fotografato a Mazara del Vallo, con il precedente nome di Maria Leonarda (g.c. Mauro Millefiorini)

Il Baicin era un motoveliero da carico, un brigantino goletta di 173 tsl, costruito nel 1900 (in origine il suo nome era stato Maria Leonarda) ed appartenente all’armatore genovese Giovanni Fenzo, che l’aveva iscritto con matricola 1107 al Compartimento Marittimo di Genova.
Il 13 settembre 1941 il Baicin venne requisito a La Spezia dalla Regia Marina, che lo iscrisse con sigla V 276 nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, impiegandolo nella vigilanza foranea.

All’1.30 del 27 febbraio 1943 il Baicin era in navigazione nel Mar Ligure quando, in posizione 47°37’ N e 09°25’ E, venne avvistato verso oriente dal sommergibile britannico Torbay (tenente di vascello Robert Julian Clutterbuck). Il comandante britannico identificò la nave italiana come una goletta della vigilanza antisommergibili, ferma e con le vele ammainate; il Torbay si avvicinò lentamente fino ad appena una novantina di metri, ma ciò non provocò alcuna reazione da parte del Baicin, né alcun altro segno di vita a bordo del motoveliero. A questo punto, all’1.50, il sommergibile aprì il fuoco col cannone da 100 mm e con una mitragliatrice Vickers da 7,7 mm; il tiro del cannone risultò estremamente impreciso, mettendo a segno un solo colpo su dieci sparati. L’equipaggio del Baicin abbandonò immediatamente la nave, dopo di che gli uomini del Torbay abbordarono il motoveliero e ricuperarono un sacco pieno di libri documenti, già provvisto di pesi per l’affondamento e pronto ad essere gettato in mare. I marinai britannici procedettero ad ispezionare la nave, che sottostimarono in un’ottantina di tsl; notarono che il motore sembrava nuovo, e che sul castello di prua vi era “rilevatore sonoro” (forse un aerofono, visti i compiti assegnati alle vedette foranee, cioè avvistare e segnalare gli aerei nemici in avvicinamento alla costa). Videro inoltre che le mitragliere di cui la nave era armata non erano state montate sui loro supporti.

Prima di andarsene, gli uomini del Torbay piazzarono una carica esplosiva sotto il motore ed appiccarono il fuoco in vari punti, poi il sommergibile mitragliò il Baicin anche con una mitragliera Oerlikon da 20 mm, dopo di che si allontanò verso sud, alle 2.40. Poco dopo (ma le fonti italiane, in questo discordanti, indicano le 2.10 come orario dell’affondamento) il Baicin esplose ed affondò circa 36 miglia a sudovest dell’isola del Tino (e 35 miglia a sudovest di La Spezia).
Non vi furono vittime tra l’equipaggio.


L’affondamento del Baicin nel giornale di bordo del Torbay (da Uboat.net):

“0130 hours - In position 47°37'N, 09°25'E sighted a darkened ship to the Eastward. The target was identified as an A/S schooner. The ship was stopped and no sails were set. Crept closer to 100 yards on the motors without stirring up any signs of life on board.
0150 hours - Opened fire with the Vickers gun and the 4" gun. the 4" gunfire was extremely inaccurate, 10 rounds being fired for only one hit. The crew of the schooner wasted no time in abandoning their ship. The schooner was boarded and a sack of books weighted and ready for dumping overboard was recovered. The vessel was inspected and was found to be a brigantine of about 80 tons had a new looking engine and a sound detector on the forecastle. The machine guns were not in their mountings. A demolition charge was set under the engine and fire was set in several places. Several rounds of Oerlikon fire were also fired in the schooner.
0240 hours - Torbay proceeded southward. The vessel was later soon to blow up.”



giovedì 26 maggio 2016

Emma

Non sembrano esistere immagini dell’Emma, probabilmente per via della sua brevissima vita; qui è visibile un disegno della motonave Apuania, sua gemella.

L’Emma era una motonave da carico da 7391 tsl. Appartenente all’armatore genovese Andrea Zanchi, non aveva nemmeno fatto in tempo ad essere iscritta ad un Compartimento Marittimo quando venne affondata.
Completata nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano, a La Spezia (numero di cantiere 257), alla fine del 1942, il 19 dicembre di quello stesso anno la motonave venne requisita a La Spezia dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato; come tutte le moderne motonavi di nuova costruzione, venne immediatamente destinata al trasporto di rifornimenti sulle rotte per la Tunisia.
La vita dell’Emma s’interruppe prematuramente, a poche ore dall’inizio del suo primo viaggio sulla “rotta della morte”.
Alle 17 del 15 gennaio 1943, infatti, la nave (che aveva a bordo circa 350 uomini, tra equipaggio e militari italiani e tedeschi, ed un carico che consisteva in dieci carri armati tedeschi – sei Panzer IV e quattro Panzer II –, 300 tonnellate di munizioni e 650 tonnellate di altri materiali) salpò da Napoli per Biserta in convoglio con la motonave tedesca Ankara, fruendo della scorta della torpediniera Clio (tenente di vascello Carlo Brambilla) e delle moderne torpediniere di scorta Groppo (capitano di corvetta Beniamino Farina, caposcorta) ed Uragano (capitano di corvetta Luigi Zamboni). Il tempo non era dei migliori: vento e mare molto grosso da ponente-maestro.
Tra le 19.40 e le 19.45, una decina di miglia a sud/sudovest di Ischia (per altra fonte, cinque miglia a sud dell’isola), l’Emma fu colpita nella stiva situata a poppavia della sala macchine da un siluro lanciato dal sommergibile britannico P 228 (poi Splendid; al comando del tenente di vascello Ian Lachland Mackay McGeogh).
Il sommergibile aveva avvistato il convoglio alle 19.10, a poppavia sinistra, quando si trovava 30° a prora dritta dell’Emma. In quel momento, due delle torpediniere si trovavano a proravia del convoglio, mentre la terza si trovava vicino al secondo mercantile della fila; restando in superficie, lo Splendid si era avvicinato e, alle 19.27, aveva lanciato cinque siluri da 1830 metri, per poi immergersi subito dopo.
Grazie alla sua solida costruzione, la motonave rimase a galla; mentre l’Uragano proseguì nella scorta all’Ankara, che tirò dritto sulla sua rotta (per ordine del caposcorta), Groppo e Clio rimasero con l’Emma, per prenderla a rimorchio.
Intanto, non avendo subito danni per le poche e lontane bombe di profondità gettate dopo l’attacco, lo Splendid si era allontanato per mezz’ora, indi era riemerso, constatando la presenza della nave danneggiata e ferma con due torpediniere che l’assistevano. Dopo aver ricaricato le batterie, il sommergibile s’immerse alle 20.37, essendo la luna uscita dalle nubi, e McGeogh decise di finire la preda ferita. Si avvicinò in immersione, ma la velocità di avvicinamento era tanto bassa che dopo un’ora la distanza tra lo Splendid e le navi italiane era ancora superiore a 2740 metri; per giunta, l’oscurità divenne più fitta, al punto da impedire di vedere il bersaglio, così alle 21.50 lo Splendid riemerse temporaneamente per cercare l’Emma, la trovò, e s’immerse di nuovo. A questo punto una delle torpediniere localizzò lo Splendid con l’ecogoniometro, ma, non appena accelerò per avvicinarsi ad esso, perse il contatto.
Alle 23.50 lo Splendid lanciò un siluro dai tubi prodieri – l’ultimo – da circa 2290 metri di distanza: l’arma mancò il bersaglio, ed il sommergibile si allontanò di nuovo, per ricaricare le batterie ed i tubi lanciasiluri.
Il mare grosso vanificò i tentativi delle torpediniere di prendere l’Emma a rimorchio per portarla a Napoli: sia la Clio che la Groppo tentarono inutilmente, e durante l’ultimo tentativo la Clio venne scagliata da un’onda contro il mercantile, subendo vasti danni all’opera morta, che la costrinsero a rientrare a Napoli alle tre di notte del 16.
Trascorse così una notte d’angoscia per gli uomini dell’Emma, bloccati sulla nave danneggiata, immobilizzata ed in balia del mare, che impediva ogni trasbordo o rimorchio. Nel corso della notte, la motonave andò alla deriva verso sud/sudest.
All’1.15, intanto, lo Splendid era riemerso per la ricarica: l’Emma, assistita da una torpediniera, era visibile circa 7315 metri a sudest, mentre altre due torpediniere stavano conducendo un rastrello a nordovest.
All’alba del 16 gennaio sopraggiunsero due rimorchiatori d’alto mare inviati da Napoli, l’Ursus ed il Titano, che diedero inizio alle operazioni per prendere a rimorchio l’Emma.
Sembrava che tutto potesse concludersi per il meglio, ma lo Splendid non se ne era andato, ed era rimasto sul posto in attesa dell’occasione per poter attaccare.
Dopo aver mantenuto il contatto visivo con la motonave per tutta la notte, alle sei del mattino il sommergibile si era immerso in profondità, aveva caricato due siluri ed aveva iniziato la manovra di avvicinamento. Salito a quota periscopica alle 7.15, McGeogh aveva visto il bersaglio alla distanza di 2290 metri, con una torpediniera ancora nei suoi pressi (per altra fonte, però, tutte le torpediniere erano rientrate a Napoli nel corso della notte) ed un rimorchiatore affiancato. Fatalmente, il rimorchio dell’Emma verso Napoli avrebbe portato le navi italiane proprio ad avvicinarsi inconsapevolmente allo Splendid, che alle 8.35 del 16 gennaio lanciò un siluro da soli 685 metri.
Dopo meno di un minuto, quando si stava per completare la presa a rimorchio dell’Emma, la motonave venne centrata dal siluro (sul momento, da parte italiana, si pensò che i siluri fossero due).
Lo scoppio delle armi coinvolse le trecento tonnellate di munizioni che si trovavano a bordo, e l’Emma si disintegrò in una terrificante esplosione nel punto 40°25’ N e 13°56’ E (per altra fonte 40°37’ N e 13°47’ E), 17 miglia a sudovest di Capri (per altra fonte, a 12 miglia per 240° da Capri).
Anche i due rimorchiatori vennero investiti dall’esplosione: l’Ursus, che aveva già teso il cavo di rimorchio, venne colpito da dei rottami che uccisero un uomo e ne ferirono due; ancor peggio andò al Titano, che si trovava accanto all’Emma per prendere un altro cavo e fu travolto dall’onda generata dall’esplosione, che uccise sette uomini del suo equipaggio e ne ferì altri venti.
Le torpediniere e vari mezzi salpati da Napoli e guidati da aerei da ricognizione – ora il tempo stava rapidamente migliorando – perlustrarono a lungo lo specchio di mare in cui l’Emma era saltata in aria, ma riuscirono a salvare soltanto sette sopravvissuti, dei circa 350 uomini che erano a bordo.
La lunga e pesante caccia antisommergibile (lo Splendid, tornato a quota periscopica alle 8.45, aveva constatato il risultato del lancio – la nave era scomparsa – e poi era sceso a 21 metri, allontanandosi verso nordovest) non portò alcun risultato: una bomba di profondità esplose vicina al sommergibile alle 10.07, poco dopo che un’accidentale perdita di quota l’aveva quasi portato ad affiorare, e poco più tardi, dopo che lo Splendid era sceso a 107 metri, un pacchetto di dieci bombe era esploso poco a poppavia; dopo quest’attacco, però, le unità impegnate nella caccia avevano perso il contatto.
Lo Splendid avrebbe incontrato la sua fine in quelle stesse acque tre mesi più tardi, per mano del cacciatorpediniere tedesco Hermes.


L’affondamento dell’Emma nel diario di bordo dello Splendid (da Uboat.net):

“15 January 1943
1910 hours - A lookout sighted ships on the starboard quarter. P 228 was 30 degrees on the starboard bow of the target, a 6000 tons merchant ship. She was in convoy with one other merchant ship. They were escorted by three destroyers. Two of the destroyers were ahead of the leading merchant ships. The third destroyer was near the second merchant ship. Started a surface attack.

1927 hours - Fired five torpedoes from 2000 yards. Dived immediately afterwards. One explosion was heard that was thought to be a hit. A few depth charges were dropped following this attack but these were not close. After withdrawing for 30 minutes P 228 surfaced. One merchant ship was seen to lay stopped with two destroyers standing by. The starboard engine was out of action. Kept the damaged merchant ship in sight while charging the depleted battery on the port engine.
2037 hours - Dived as the moon came from behind the clouds. Decided to finish off the damaged merchant ship. An hour after diving the range was still over 3000 yards when the darkness became more intense so that the target could no longer be seen.
2150 hours - Surfaced to locate the target. Successfully did so and submerged again. When the range closed one of the destroyers obtained contact with her Asdic on P 228 but when the destroyer picked up speed she lost contact again.
2350 hours - Fired the last remaining bow torpedo in the tubes from a range of about 2500 yards. It missed. P 228 then retired from the scene to charge the battery and reload the torpedo tubes.
16 January 1943
0115 hours - Surfaced to charge. The target could be seen at a range of 8000 yards to the South-East. One destroyer was still standing by. Two other destroyers were to the North-West, sweeping. During the rest of the night the target was kept in sight.

0600 hours - Dived deep and loaded two torpedoes. Also started to close the target.
0715 hours - Came to periscope depth. Saw the target at a range of 2500 yards. One destroyer was still with her. A tug was seen alongside the target and soon afterwards the tow towards Naples began. Fortunately the target had to be towed towards P 228 to get there. Started attack.
0835 hours - Fired one torpedo from 750 yards. It hit. Breaking up noises were heard immediately afterwards.
0845 hours - Returned to periscope depth. A destroyer and two tugs were in sight but the merchant ship had gone so it must have sunk. P 228 then went to 70 feet and withdrew to the North-West. No immediate counter attack followed.
1005 hours - Depth control was lost and P 228 broached. She dived immediately again.
1007 hours - A depth charge exploded fairly near. HE and Asdic impulses were also picked up coming nearer. P 228 went to 350 feet. A pattern of 10 depth charges were dropped which exploded close astern. After this attack the enemy lost contact. P 228 meanwhile continued to retire to the North-West.
1400 hours - Returned to periscope depth. No ship or aircraft in sight.”



sabato 21 maggio 2016

Strale

Lo Strale (da “Cacciatorpediniere in guerra” di Carlo De Risio, supplemento alla Rivista Marittima dell’ottobre 2009, via Marcello Risolo)

Cacciatorpediniere della classe Dardo (dislocamento standard di 1520 tonnellate, 2200 a pieno carico). Effettuò in guerra 5 missioni di squadra, 4 di caccia antisommergibili, 58 di scorta convogli, 5 per esercitazioni e 34 di trasferimento o di altro tipo, percorrendo 45.143 miglia e trascorrendo 235 giorni ai lavori.

Breve e parziale cronologia.

20 febbraio 1929
Impostazione nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
26 marzo 1931
Varo nei cantieri Odero di Sestri Ponente.
6 febbraio 1932
Entrata in servizio.
Insieme al capoclasse Dardo, lo Strale sarà una delle due sole, su otto unità similari delle classi Freccia-Folgore, ad avere la prora dritta; le altre navi, infatti, saranno modificate durante la costruzione per avere una prua arcuata, modifica non più effettuabile su Dardo e Strale, essendo ormai la costruzione già troppo avanzata.
1934
Lo Strale fa parte della I Squadriglia Cacciatorpediniere con i gemelli Dardo, Freccia e Saetta. La I Squadriglia, insieme alla II (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) forma la 1a Flottiglia Cacciatorpediniere (conduttore l’esploratore Antonio Pigafetta), inquadrata nella I Squadra Navale.
In questo periodo presta servizio sullo Strale il marinaio Pietro Venuti, futura Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Lo Strale (primo da sinistra) ed i similari (andando in ordine, verso destra) Freccia, Fulmine, Lampo, Folgore e Baleno, ormeggiati a Gaeta nel 1935 (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net

7 settembre 1936
Assume il comando dello Strale il capitano di corvetta Roberto Ferrari.
1937
Durante la guerra civile spagnola, lo Strale partecipa, con altre unità (incrociatori leggeri Luigi Cadorna ed Armando Diaz, cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Borea, Ostro, Espero, Zeffiro e Saetta, torpediniere Cigno, Climene, Centauro, Castore, Altair, Aldebaran, Andromeda, Antares) al blocco del Canale di Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti alle forze repubblicane spagnole.
1938-1939
Forma la VII Squadriglia Cacciatorpediniere, assieme a Dardo, Freccia e Saetta. Viene temporaneamente messo a disposizione del principe Umberto.
In seguito a nuovi lavori viene installata un’“unghia” sopra al fumaiolo, per impedire al fumo di recare disturbo all’equipaggio; vengono inoltre eliminate (1939-1940) le due mitragliere singole da 40/39 mm e le due binate da 13,2/76 mm, sostituite con 5-6 mitragliere singole da 20/65 mm Breda Mod. 1939-1940 e da due scaricabombe di profondità.

Lo Strale nel 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

Aprile 1939
Partecipa all’invasione dell’Albania, a protezione delle forze da sbarco inviate a Durazzo.
Luglio 1939
Lo Strale si reca a Mahon (Minorca) facendo parte di una squadra navale (al comando dell’ammiraglio Oscar Di Giamberardino) che comprende gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Dardo, Freccia, Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno.
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, lo Strale forma la VII Squadriglia Cacciatorpediniere con i gemelli Dardo, Freccia e Saetta. Assieme alla VIII Squadriglia, la VII è assegnata alla V Divisione Navale (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) della 1a Squadra.
13 giugno 1940
Alle 23.21 lo Strale (capitano di corvetta Andrea Fé D’Ostiani), impegnato – con altre unità della VII, VIII e XV Squadriglia Cacciatorpediniere – in un rastrello antisommergibili nel Golfo di Taranto (tra Capo Colonne e Capo Santa Maria di Leuca), sorprende in superficie il sommergibile britannico Odin (capitano di corvetta Kenneth Maciver Woods), inviato in agguato al largo della base navale. Lo Strale dapprima aumenta subito la velocità e lancia infruttuosamente un siluro contro il sommergibile (in posizione 39°42’ N e 17°21’ E), poi apre il fuoco con i cannoni contro la torretta del sommergibile e manovra per speronare l’Odin, che lancia un siluro dai tubi di poppa ed intanto s’immerge rapidamente, evitando appena in tempo lo speronamento. Evitato il siluro, lo Strale getta due salve di bombe di profondità sul punto in cui l’Odin si è immerso, ma – ritenendo di aver affondato il bersaglio – non persevera a lungo nella caccia, e torna a pattugliare la zona assegnata. Probabilmente l’Odin è stato danneggiato (dato che l’indomani mattina dei ricognitori italiani avvisteranno una chiazza di nafta nella posizione dell’attacco dello Strale); poche ore dopo, il sommergibile s’imbatte in un altro cacciatorpediniere italiano, il Baleno, e viene affondato con tutto l’equipaggio, 40 miglia a sud di Capo San Vito.
Per la sua parte nell’affondamento dell’Odin, lo Strale riceve l’elogio del Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari.

Lo Strale in manovra a Napoli nel 1940 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

7-9 luglio 1940
Alle 14.10 del 7 luglio lo Strale salpa da Taranto con i tre gemelli, la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno) e le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (nonché la IV e VIII Divisione Navale, con sei incrociatori leggeri, e le Squadriglie Cacciatorpediniere XV e XVI con otto unità) per fornire sostegno a distanza ad un convoglio di quattro mercantili carichi di truppe rifornimenti (i trasporti truppe Esperia e Calitea e le moderne motonavi da carico Marco Foscarini, Vettor Pisani e Francesco Barbaro) in navigazione verso la Libia con la scorta diretta della II Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e di sei torpediniere (le moderne Orsa, Procione, Orione e Pegaso e le vetuste Rosolino Pilo e Giuseppe Cesare Abba) e la scorta a distanza dell’incrociatore pesante Pola, delle Divisioni Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI, XII e XIII.
Il mattino dell’8 luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour, scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
Giunto il convoglio a destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro, ma viene informata che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi dirige per riunirsi ed incontrare il nemico, in quella che diverrà l’inconclusiva battaglia di Punta Stilo.
Lo Strale, così come il Dardo ed il più grande Antonio Da Noli della XIV Squadriglia, viene però colto da avarie di macchina nel mattino del 9 luglio (tra le 10.30 e le 12.30), ed è così costretto a tornare a Taranto senza poter partecipare alla battaglia.
(Per altra fonte, però, lo Strale avrebbe invece partecipato alla battaglia ed in particolare all’attacco finale dei cacciatorpediniere italiani, durante la manovra di sganciamento della flotta italiana seguita al danneggiamento della Cesare, lanciando i propri siluri contro le navi britanniche).
1-2 settembre 1940
Partecipa all’uscita in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats». La VII Squadriglia cui appartiene (con Dardo, Freccia e Saetta) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9, che verso le 13 costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
29 settembre-1° ottobre 1940
Lascia Taranto la sera del 29 settembre, insieme ai gemelli Dardo e Saetta nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie Cacciatorpediniere X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano) e XVI (Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare) (il Pola con la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5». La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 ottobre 1940
Dato che alle 8.45 dell’11 ottobre un velivolo di linea italiano ha avvistato 20 navi britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) in posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta – si tratta dell’intera Mediterranean Fleet, uscita in mare l’8 ottobre per fornire scorta a distanza ad un convoglio diretto a Malta ed ora, dopo l’arrivo in porto dei mercantili (avvenuto l’11 ottobre), in attesa di assumere la scorta di tre piroscafi scarichi di ritorno ad Alessandria d’Egitto – Supermarina, tra le diverse contromisure ordinate (ricognizioni con aerei, invio di MAS in agguato notturno al largo della Valletta, approntamento delle due squadre navali, messa in allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e della Libia, interruzione del traffico tra Italia e Libia), decide di inviare numerose siluranti a controllare e, in caso di avvistamento di unità avversarie, attaccare (ricerca offensiva, da svolgersi nottetempo). La VII Squadriglia esegue, nella notte tra l’11 ed il 12, una ricerca a rastrello sulla congiungente Marettimo-Zembra al largo di Capo Bon (nell’ipotesi di transito di navi provenienti o dirette a Malta), ma non trova nulla. A trovare il nemico saranno la I Squadriglia Torpediniere e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate più ad est, scatenando un combattimento nel quale affonderanno il cacciatorpediniere Artigliere e le torpediniere Airone ed Ariel.
22 ottobre 1940
Strale, Dardo, Freccia (caposquadriglia e caposcorta) e Saetta salpano da Palermo sostituendo le torpediniere Clio e Calliope nella scorta dei trasporti truppe Esperia e Marco Polo, provenienti da Napoli e diretti a Tripoli. Alle 17 lo Strale, per avarie di macchina, deve raggiungere Trapani; riparata l’avaria, ne riparte l’indomani alle 13.
23 ottobre 1940
Il convoglio arriva a Tripoli alle 13.30.
24 ottobre 1940
Strale, Dardo, Freccia e Saetta ripartono da Tripoli alle 9.15, sempre scortando Esperia e Marco Polo, ora diretti a Bengasi.
25 ottobre 1940
Il convoglio arriva a Bengasi alle 9.30, e poi riparte per tornare a Tripoli alle 17, dopo che i piroscafi hanno sbarcato le truppe.
26 ottobre 1940
Il convoglio giunge a Tripoli alle 16.
27 ottobre 1940
Esperia e Marco Polo, sempre scortati dalla VII Squadriglia, ripartono da Tripoli alle 21 per tornare in Italia.
28 ottobre 1940
La VII Squadriglia lascia la scorta alle 18.15, in prossimità di Trapani, venendo sostituita dalla torpediniera Alcione, che accompagna i due piroscafi nell’ultimo tratto di navigazione (fino a Napoli).
11-12 novembre 1940
Insieme al resto della VII Squadriglia, è tra le unità presenti a Taranto (ormeggiato in Mar Piccolo, con numerose altre siluranti, alla banchina torpediniere od alla banchina di Porta Ponente) durante la tristemente nota “notte di Taranto”, l’attacco di aerosiluranti britannici che causa l’affondamento della corazzata Conte di Cavour ed il grave danneggiamento delle corazzate Littorio e Duilio, ma non viene colpito.
5 dicembre 1940
Durante un’esercitazione congiunta della VII e della VIII Squadriglia Cacciatorpediniere nel Golfo di Taranto, il Dardo ed il Saetta, per errori di manovra, rischiano di entrare in collisione con lo Strale, che riesce ad evitarli di stretta misura.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 la VII Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XIII, alle corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto ed agli incrociatori pesanti Zara e Gorizia, lascia Napoli diretto a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle settimane precedenti, vari bombardamenti hanno causato vari danni. Le unità rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per l’annebbiamento del porto).

Lo Strale ed il gemello Dardo (Naval History and Heritage Command, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Fine dicembre 1940
Trasporta da Augusta a Lero, insieme al gemello Dardo, otto Motoscafi da Turismo Modificati, i cosiddetti “barchini esplosivi” ed i relativi equipaggi, che saranno poi impiegati con successo in un attacco contro la base cretese di Suda (26 marzo 1941, affondamento dell’incrociatore pesante York e grave danneggiamento della nave cisterna Pericles).
Inverno 1940-1941
Partecipa, con altre unità (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Attendolo e Montecuccoli della VII Divisione, incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi dell’VIII Divisione, cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno della VIII Squadriglia nonché i suoi compagni di squadriglia Freccia, Dardo e Saetta), a crociere notturne (tra i paralleli 39°45’ N e 40°18’ N, con l’impiego di due incrociatori ed una squadriglia di cacciatorpediniere ogni volta) a protezione dei convogli che trasportano in Albania i rifornimenti per le truppe italiane impegnate sul fronte greco-albanese, nonché ad azioni di bombardamento navale a supporto delle stesse operazioni.
6 gennaio 1941
Strale (caposcorta), Dardo e la vecchia torpediniera Generale Achille Papa salpano da Tripoli alle 19.30 per scortare a Palermo la motonave Marco Foscarini
7 gennaio 1941
Strale e Foscarini si incagliano sulle secche di Kerkennah. Dopo lunghi sforzi, la Foscarini riesce a disincagliarsi da sola, mentre lo Strale si disincaglia con l'aiuto della Papa.
9 gennaio 1941
Alle 10 Strale, Dardo, Papa e Foscarini arrivano a Palermo.
In serata la VIII Squadriglia e la XIII Squadriglia lasciano Napoli e si trasferiscono a La Spezia scortando le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, fatte partire da Napoli per sottrarle ad eventuali attacchi aerei (per maggior sicurezza) dopo la scoperta che le forze navali britanniche sono impegnate nell’operazione «Excess».
Inizio 1941
Subisce lavori di modifica a seguito dei quali le mitragliere binate Breda Mod. 31 da 13,2 mm in plancia vengono sostituite con due mitragliere singole Breda da 20/65 mm Mod. 1935, ed i due obici illuminanti da 120 mm vengono sostituiti con due mitragliere binate da 20 mm. (Per altra fonte, dopo il 1940 vengono sbarcati i tubi lanciasiluri poppieri per installare 4 mitragliere da 37 mm e due lanciabombe antisommergibili).
27 marzo 1941
Strale, Dardo e Folgore (caposcorta, capitano di fregata Giuriati) partono da Napoli alle 23.45 per scortare a Tripoli i mercantili tedeschi Galilea, Heraklea, Ruhr, Adana e Samos. Il convoglio procede ad una velocità di 9 nodi, ed imbocca la rotta del Canale di Sicilia.
28 marzo 1941
Alle 9.45, al traverso di Capo Bon, il convoglio assume rotta sud. Cala poi la notte, molto buia, tanto da ridurre di molto la visibilità. Il mare è calmo.
Alle 21.58 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), dopo aver avvistato il convoglio – con rotta 150° e velocità 12 nodi, a 8230 metri per 330° – nel punto 35°40’ N e 11°19’ E (al largo delle Kerkennah e 22 miglia a sudest di Kuriat), lancia quattro siluri contro tre dei mercantili, per poi scendere più in profondità e ritirarsi verso est. Ad essere colpite sono l’Heraklea (avente a bordo 212 soldati tedeschi e 100 automezzi) e la Ruhr (che trasporta 585 soldati tedeschi e 160 veicoli), le navi che procedono in testa alle due colonne del convoglio (lo Strale sta invece zigzagando sul fianco del convoglio, mentre il Dardo è sul fianco opposto ed il Folgore in testa). Mentre l’Heraklea affonda con 78 dei 212 uomini a bordo, il Samos e l’Adana accostano e manovrano in base alle istruzioni precedentemente impartite, ma il Galilea si ferma per parecchio tempo a raccogliere i naufraghi, nonostante l’ordine del caposcorta di rimettersi in rotta. Anche lo Strale ripete al Galilea l’ordine del caposcorta, e poi, dato che il piroscafo non ascolta e rimane separato dal resto del convoglio, lo Strale stesso viene distaccato dal caposcorta per scortarlo. La Ruhr, danneggiata ma galleggiante, viene assistita e presa a rimorchio dal Dardo, che la rimorchia a Trapani con l’assistenza delle torpediniere Circe, Alcione e Sagittario e di due MAS.
I gruppi Galilea-Strale e Folgore-Samos-Adana navigano separati per tutta la notte, poi si riuniranno all’alba del 29.
30 marzo 1941
Strale e Folgore arrivano a Tripoli alle otto del mattino con Adana, Samos e Galilea.
2 aprile 1941
Strale, Folgore (caposcorta) e la vecchia torpediniera Giuseppe Missori lasciano Tripoli alle 21.30 per scortare Adana e Samos che rientrano a Napoli.
3 aprile 1941
Causa allarme navale nel Mediterraneo centrale, il convoglio viene fatto tornare a Tripoli.
4 aprile 1941
Il convoglio riparte alle 20.30.
5 aprile 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 12.30.
7 aprile 1941
Strale e Folgore (caposcorta), tornati a Tripoli, salpano per Napoli alle 21.30, scortando i piroscafi Nirvo ed Adana (tedesco).
10 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Napoli all’una.
13 aprile 1941
Lo Strale viene assegnato, insieme al cacciatorpediniere Euro, quale scorta al convoglio «Tarigo», formato dai piroscafi Arta, Adana, Aegina, Iserlohn e Sabaudia (tutti tedeschi, tranne quest’ultimo) ed avente per caposcorta il cacciatorpediniere Luca Tarigo. Prima della partenza, Strale ed Euro vengono però sostituiti dai cacciatorpediniere Lampo e Baleno. Una sostituzione provvidenziale per lo Strale: l’intero convoglio, infatti, verrà distrutto da un attacco britannico nella notte del 16 aprile.
21 aprile 1941
Strale, Saetta, Folgore (caposcorta) ed un altro cacciatorpediniere, il Turbine, salpano da Napoli alle 2.30 (per altra fonte, alle 17) scortando i piroscafi tedeschi Arcturus, Castellon e Leverkusen e la motonave italiana Giulia (convoglio «Arcturus»). Al convoglio si aggrega poi anche il piroscafo tedesco Wachtfels, partito da Palermo; le navi sono poi avviate a Tripoli lungo la rotta delle Kerkennah.
Nel pomeriggio – a seguito dell’avvistamento, da parte della ricognizione aerea, di unità leggere di superficie a Malta – il convoglio viene momentaneamente dirottato a Palermo, poi viene fatto proseguire ma, per fornire scorta a distanza nel Canale di Sicilia, vengono fatti uscire in mare anche gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (nave di bandiera dell’ammiraglio Porzio Giovanola) e Luigi Cadorna, ed i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco.
22 aprile 1941
Alle 22.50 il Turbine avvista un sommergibile emerso sulla dritta del convoglio, al largo di Marettimo, tenta vanamente di speronarlo e, dopo che questi si è immerso, lo bombarda, ancora infruttuosamente, con bombe di profondità.
23 aprile 1941
Alle 15.41, a 2,9 miglia per 320° dalla boa n. 1 delle secche di Kerkennah, il Turbine avvista il periscopio di un sommergibile e lo attacca con bombe di profondità, senza risultato.
Sempre nei pressi delle boe delle Kerkennah vengono incontrate delle barche, che il caposcorta sospetterà appartenere al «servizio informazioni del nemico» per il loro atteggiamento (pressoché ferme sulla rotta Pantelleria-boa n. 1), per quanto un’ispezione non porti a trovare radio od altre prove.
Nel tardo pomeriggio, presso le boe 3 e 4 delle secche di Kerkennah (cioè ad est delle Kerkennah), il convoglio viene raggiunto dal gruppo di scorta in diretta, che manda lo Scirocco per prendere accordi circa le rotte da percorrere nella notte, e si posiziona a poppavia del convoglio.
24 aprile 1941
Alle 00.44 si vedono chiaramente, su rilevamento 80°, proiettili illuminanti e poi violento tiro battente, ad una distanza di almeno 30 miglia. Convoglio e scorta diretta ed indiretta deviano dalla rotta dirigendo verso ponente, in modo da allontanarsi dal potenziale pericolo. Entrambi i gruppi incrociano poi al largo di Ras Turgoeness, del quale non si fede il faro, in attesa del giorno, per poter atterrare; tutti si tengono pronti a reagire ad eventuali attacchi.
Durante la notte, salpa da Malta per intercettare il convoglio la 14th Destroyer Flotilla britannica, con i cacciatorpediniere Jervis, Janus, Jaguar e Juno; i cacciatorpediniere britannici non riescono a trovare il convoglio ed incontrano invece l’incrociatore ausiliario Egeo, che verrà affondato dopo un impari combattimento.
Il convoglio arriva a Tripoli alle 17. Durante tutto il viaggio, aerei della Regia Aeronautica e del X Corpo Aereo Tedesco provvedono continuamente a sorvegliare i cieli del convoglio.
30 aprile 1941
Strale, Saetta, Turbine e Folgore (caposcorta, capitano di fregata Giuriati) partono da Tripoli alle 18 per scortare a Napoli un convoglio di cinque mercantili, quattro tedeschi (Arcturus, Leverkusen, Castellon e Wachtfels) ed uno italiano (Giulia). Il convoglio fruisce anche della scorta indiretta della III e VIII Divisione Navale.
1° maggio 1941
Alle 11.08 il convoglio viene avvistato, in posizione 34°38’ N e 11°39’ E, dal sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) che si avvicina a tutta forza in immersione, per attaccare. Alle 11.32, due miglia a sud di Kerkennah, l’Upholder lancia quattro siluri da 2560 metri: tre vanno a segno (l’orario indicato dalle fonti italiane sono le 11.50, discordante dunque da quello indicato dal sommergibile), colpendo l’Arcturus ed il Leverkusen (capofila delle due colonne su cui il convoglio è disposto, che sono precedute dal Folgore e dallo Strale impegnati nel dragaggio), mentre il convoglio si trova presso la boa n. 5 delle Kerkennah. L’Arcturus affonda quasi subito, mentre il Leverkusen si apprua, ma riesce poi a tornare in assetto, procedendo a bassa velocità e venendo preso a rimorchio dal Saetta (che tenta di riportarlo a Tripoli). La scorta attribuisce erroneamente le esplosioni a mine magnetiche, anziché siluri lanciati da sommergibile.
Dopo essere emerso alle 17.30 ed aver lanciato un segnale di scoperta, l’Upholder torna ad immergersi alle 17.55, si avvicina nuovamente al convoglio ed alle 19.01 lancia altri due siluri, da 1100 metri. Il Leverkusen viene colpito ancora, ed affonda di prua quattro miglia a sud di Kerkennah. A recuperare i naufraghi di entrambe le navi, che saranno poi sbarcati a Tripoli, è il Saetta, mentre Strale, Folgore e Turbine proseguono con il resto del convoglio.
Il convoglio ripara temporaneamente a Trapani.
5 maggio 1941
Lasciata Trapani, il convoglio giunge a Napoli alle 7. A differenza che nel viaggio di andata, durante questo viaggio la vigilanza aerea italiana e tedesca è mancato per diverse ore sia nel Canale di Sicilia che nel Tirreno, quando gli aerei (ricognitori e bombardieri), trattenutisi per poco sul cielo del convoglio, se ne sono andati senza essere sostituiti.
16 maggio 1941
Lascia Napoli alle 18.30 insieme ai cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Fulmine, Turbine ed Euro, scortando in Libia il «26. Seetransport Konvoi», composto dai mercantili tedeschi Preussen e Sparta, dagli italiani Motia, Capo Orso e Castelverde.
17 maggio 1941
Il convoglio viene dirottato a Palermo per allarme navale, giungendovi alle 19.
19 maggio 1941
Il convoglio riparte da Palermo alle 9.30; ad esso si sono unite le navi cisterna Panuco e Superga.
Alle 19 salpa da Palermo anche una forza di copertura, costituita dagli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi con i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Alpino.
Alle 11.30 un sommergibile lancia una salva di siluri contro il convoglio; per evitarli, Preussen e Panuco entrano in collisione, ma non riportano danni di rilievo e possono proseguire entrambe.
20 maggio 1941
Tra le 9.32 e le 9.34 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista la forza di copertura del convoglio, e poi, alle 9.47, il convoglio stesso, che procede a dodici nodi con rotta 135°. L’Urge passa quindi all’attacco (in posizione 35°44’ N e 11°59’ E), lanciando quattro siluri contro il Capo Orso e la Superga, poi s’immerge a maggiore profondità, subendo il contrattacco dell’Euro. Tanto le rivendicazioni dell’Urge (di aver affondato una o due navi) quanto quelle dell’Euro (di aver affondato il sommergibile attaccante) risulteranno errate: nessuna unità riporta in realtà alcun danno.
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a destinazione alle 11.
7 giugno 1941
Lo Strale, insieme ai cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta e Vincenzo Gioberti, salpa da Napoli alle 2.50 per scortare a Tripoli i trasporti truppe Esperia, Victoria e Marco Polo.
Tra l’8 ed il 9 giugno il convoglio (che procede sulla rotta di levante di Malta) fruisce anche della scorta a distanza degli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) e dei cacciatorpediniere Ascari, Lanciere e Corazziere.
9 giugno 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 15.
12 giugno 1941
Strale, Saetta, Freccia (caposcorta) e Gioberti ripartono da Tripoli per Napoli alle 15, scortando Esperia, Marco Polo e Victoria che tornano scarichi.
14 giugno 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 2.30.
30 giugno 1941
Strale, Turbine, Dardo e Freccia (caposcorta) salpano da Napoli per Tripoli alle 18, scortando un convoglio composto dalle motonavi italiane Francesco Barbaro, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Barbarigo e Rialto e dalla tedesca Ankara.
2 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 18.
27 luglio 1941
Strale, Dardo e Freccia (caposcorta) salpano da Napoli alle 13.45, scortando i piroscafi Spezia, Bainsizza ed Amsterdam e la motonave Col di Lana. Il convoglio è scortato a distanza anche dagli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai cacciatorpediniere Granatiere e Bersagliere.
28 luglio 1941
Si unisce alla scorta diretta, alle 3.40, il cacciatorpediniere Turbine, mentre alle 19 la scorta indiretta rientra in porto.
29 luglio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 19.15.
4 agosto 1941
Strale, Freccia (caposcorta, capitano di fregata Ghè), Turbine ed il più grosso Lanzerotto Malocello, insieme alla torpediniera Pegaso, lasciano Tripoli alle 9.30 (per altra fonte, alle 8) per scortare a Napoli i piroscafi Amsterdam, Bainsizza e Maddalena Odero e la motonave Col di Lana, che tornano vuote. Il convoglio procede a 10 nodi.
5-6 agosto 1941
Nella notte, al largo di Pantelleria, il convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei. La scorta emette cortine nebbiogene, che però non sono molto utili, perché le navi scorta che la emettono sono troppo distanti dai mercantili e procedono a zig zag; di fatto le cortine nebbiogene rendono così il convoglio più visibile, come osserverà il caposcorta.
7 agosto 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 2.30.
13 agosto 1941
Lo Strale lascia Napoli alle 17 insieme ai cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Ugolino Vivaldi (caposcorta, capitano di vascello Giovanni Galati) e Lanzerotto Malocello ed alla torpediniera Orsa, per scortare a Tripoli le motonavi Rialto, Andrea Gritti, Francesco Barbaro, Vettor Pisani e Sebastiano Venier.
Il convoglio viene più volte attaccato da aerei e sommergibili, ma senza mai riportare danni.
Poco dopo la partenza si verifica un presunto attacco di sommergibile, senza risultato (in realtà, si tratta probabilmente di un falso allarme); la scorta reagisce prontamente.
14 agosto 1941
Poco dopo la partenza (per altra fonte, durante un attacco aereo), un cannone da 120 mm del Vivaldi scoppia accidentalmente, costringendo la nave al rientro a Napoli (al suo posto, assume il ruolo di caposcorta il Folgore, al comando del capitano di fregata Giuriati).
Poco dopo mezzanotte, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti che lanciano bengala, a sud di Lampione. Nessuna nave viene colpita, grazie alla reazione della scorta.

(Naval History and Heritage Command, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

15 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli senza danni, alle 14.
16 agosto 1941
Strale, Fulmine, Folgore (caposcorta), Orsa e Malocello ripartono da Tripoli alle 20.20 per scortare a Napoli i piroscafi scarichi Ernesto, Nirvo, Castelverde, Ninuccia ed Aquitania e la nave cisterna Pozarica.
Durante il viaggio vengono avvistati aerei nemici ed anche sommergibili, cui viene data limitata caccia (per non allontanare per troppo tempo le navi della scorta), ma non si verificano eventi di rilievo.
20 agosto 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 3.30.
24 agosto 1941
Lo Strale, insieme a Freccia, Dardo, Folgore e Fulmine ed alla VIII Divisione Navale (Duca degli Abruzzi, Montecuccoli ed Attendolo) esce da Palermo alle 5.30 a contrasto dell’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’invio del posamine Manxman, camuffato da cacciatorpediniere francese classe Leopard, a posare mine al largo di Livorno, con azione diversiva della Forza H al largo della Sardegna ed attacco aereo su Tempio Pausania. Altre aliquote delle forze navali italiane sono uscite il 23 da Taranto (IX Divisione con Littorio e Vittorio Veneto, XI Squadriglia Cacciatorpediniere con Aviere e Geniere, XIII Squadriglia con Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino), Messina (III Divisione con Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia, X Squadriglia con Maestrale e Scirocco, XII Squadriglia con Corazziere, Carabiniere, Ascari e Lanciere), Napoli (cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia e Nicoloso Da Recco della XVI Squadriglia) e Trapani (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano della XV Squadriglia). L’VIII Divisione e le due squadriglie di cacciatorpediniere con essa dovrebbero effettuare una crociera verso La Galite per intercettare un eventuale convoglio. Alle 16, dato che la ricognizione aerea, spintasi sino al meridiano 3° E, non ha trovato alcun convoglio, l’VIII Divisione ed i relativi cacciatorpediniere ricevono ordine di non proseguire più verso La Galite (ormai in vista) dopo le 17, ma di assumere invece rotta 30° per riunirsi, se del caso, al gruppo «Littorio». Alle 16.56 la Divisione inizia ad accostare di conseguenza alla velocità di 22 nodi, ma all’1.25 giungerà l’ordine di rientrare a Palermo – essendo la Forza H già tornata a Gibilterra – dove le navi arriveranno alle 8.45.
1° settembre 1941
Lascia Napoli per Tripoli alle 22 (per altra fonte alle 24) scortando, insieme ai cacciatorpediniere Dardo, Folgore e Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), un convoglio composto dalle motonavi Andrea Gritti, Vettor Pisani, Rialto, Sebastiano Venier e Francesco Barbaro. Il convoglio attraversa lo Stretto di Messina ed imbocca la rotta di levante, per tenersi il più possibile al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta.
2 settembre 1941
Durante la notte sul 2 settembre, in Tirreno, il convoglio, informato della probabile presenza di un sommergibile nemico, devia dalla rotta, manovra che lo farà passare nello stretto di Messina con tre ore di ritardo. Passato lo stretto, il convoglio si divide in due colonne, con Rialto e Pisani a dritta, Gritti e Barbaro a sinistra, Venier più a poppavia, tra le due colonne, e la scorta tutt’intorno (Da Recco in testa, Freccia e Strale a dritta, Folgore e Dardo a sinistra). La deviazione compiuta in precedenza fa però sì che il convoglio si trovi in acque pericolose – nel raggio d’azione degli aerei britannici di base a Malta – in acque notturne (senza cioè poter fruire della scorta aerea italiana, che vi è solo di giorno), contrariamente alle previsioni iniziali. Al calare della notte, come al solito, la scorta aerea se ne va.
3 settembre 1941
Non appena in franchia dello stretto di Messina, il convoglio assume rotta 116° (mettendo la prua sulla Morea), cioè verso est, per uscire dal cerchio di raggio 160 miglia con centro su Malta (che corrisponde al raggio d’azione dei suoi aerei, che possono colpire nella zona dello stretto e fino a sud di Capo Spartivento, ma non più ad est) prima di assumere rotta sud. Il ritardo accumulato nello stretto di Messina fa sì che il convoglio si trovi nella zona pericolosa (entro il raggio d’azione degli aerei di Malta) nelle ore notturne, quando non è disponibile la scorta aerea.
Alle 00.25-00.30, 26 miglia a sud/sudest (per 140°) di Capo Spartivento (nel punto 37°33’ N e 16°26 E), cioè mentre ancora si trova – per poche miglia – entro il raggio d’azione degli aerei di Malta, il convoglio viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron F.A.A. decollati da Malta. Gli aerei, provenienti dal lato sinistro, nonostante la reazione delle artiglierie contraeree delle navi (il Folgore abbatte un aerosilurante), colpiscono Gritti e Barbaro con un siluro ciascuna. La prima, incendiata, esplode dopo pochi minuti uccidendo tutti i 349 uomini a bordo tranne due, mentre la Barbaro viene immobilizzata ma rimane a galla. È il Dardo a dare assistenza alla Barbaro, avvicinandosi all’1.05 ed imbarcandone il personale di passaggio (9 ufficiali e 294 sottufficiali e soldati del Regio Esercito) tra l’1.40 e le 7 (l’operazione viene interrotta per alcune ore, dalle 3.30 alle 5.15, per via del pericoloso stato del mare), dopo di che viene teso un cavo di rimorchio tra le due navi. In questo frangente sopraggiunge lo Strale, che comunica col Dardo, vi trasborda del personale e poi si allontana a tutta forza verso sudest, ricongiungendosi al resto del convoglio. Il Dardo, rimorchiando la Barbaro, con la scorta dei cacciatorpediniere Ascari e Lanciere appositamente (e successivamente rilevato, nel rimorchio, dai rimorchiatori Titano e Porto Recanati), riuscirà a portarla a Messina, giungendovi alle 18.30 dello stesso giorno.
4 settembre 1941
Lo Strale ed il resto del convoglio arriva a Tripoli il 4 settembre alle 18.30.
5 settembre 1941
Strale, Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), Freccia e Folgore partono da Tripoli alle 14 per scortare un convoglio formato dal piroscafo Ernesto, dalla nave cisterna Pozarica e dalla motonave Col di Lana, dirette a Napoli.
6 settembre 1941
Alle 23.55 iniziano attacchi di aerosiluranti britannici. I cacciatorpediniere iniziano manovre evasive e distendono cortine nebbiogene per nascondere i mercantili; Col di Lana e Pozarica riescono ad evitare i siluri, ma non così l’Ernesto, che viene colpito a prua. Lo Strale (capitano di corvetta Angelotti) lo raggiunge subito e gli fornisce assistenza, tentando di prenderlo a rimorchio; a causa del tempo fortemente avverso e della forte inclinazione del piroscafo, tali ripetuti tentativi dello Strale falliscono, ed il cacciatorpediniere deve passare il cavo ai rimorchiatori Costante, Marsigli e Montecristo, frattanto inviati da Trapani. Lo Strale rimane con essi per scortarli, mentre il resto del convoglio prosegue.
7 settembre 1941
Alle 11 si unisce allo Strale la torpediniera Circe.
8 settembre 1941
Strale, Circe ed Ernesto arrivano a Trapani all’1.30.
23 settembre 1941
Lo Strale ed i cacciatorpediniere Fulmine, Alfredo Oriani ed Alpino (caposcorta) partono da Napoli alle quattro del mattino per scortare a Tripoli i piroscafi Amsterdam, Perla e Castelverde.
24 settembre 1941
Alle 13 il convoglio viene infruttuosamente attaccato da sommergibili al largo di Pantelleria (ma non vi è conferma di tale attacco da parte britannica).
25 settembre 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 12.30.
1° ottobre 1941
Lo Strale salpa da Tripoli per scortare a Napoli, insieme ai cacciatorpediniere Alpino ed Alfredo Oriani, il convoglio «H», formato dal piroscafo Caterina, dalla motonave Marin Sanudo e dalla nave cisterna Minatitland.
2 ottobre 1941
All’1.19 il convoglio viene avvistato, a 6 miglia per 130° ed in posizione 37°53’ N e 12°05’ E (mentre ha rotta 330°), al largo di Marettimo, dal sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetto Richard Douglas Cayley), che lancia un siluro contro di esso; Cayley vorrebbe in realtà lanciarne tre, ma subito dopo il lancio l’Oriani, che l’Utmost non aveva visto, lancia un razzo Very verde nella sua direzione, costringendolo ad immergersi e ritirarsi. L’Oriani lancia poi 22 bombe di profondità, delle quali nessuna, tuttavia, esplode abbastanza vicino da danneggiare il sommergibile.
20 ottobre 1941
Parte da Brindisi alle 13.50, scortando i piroscafi Iseo e Bolsena diretti a Bengasi.
22 ottobre 1941
Il convoglio viene dirottato a Navarino, dove giunge alle 10.50, per allarme navale: il giorno precedente la ricognizione aerea ha infatti avvistato la Forza K britannica – incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively – in arrivo a Malta, e Supermarina ha disposto per misura precauzionale la temporanea sospensione del traffico da e per la Libia.
23 ottobre 1941
Dato che la rotta Brindisi-Bengasi passa ad oltre 300 miglia da Malta, rendendo fortemente improbabile che una formazione navale possa attaccare le navi su quella rotta senza essere prima avvistata, Supermarina dispone la ripresa dei collegamenti con Bengasi. Strale, Iseo e Bolsena ripartono alle 20.50 diretti a Bengasi.
25 ottobre 1941
Il convoglio giunge a Bengasi alle 13.30. Cinque ore più tardi, lo Strale lascia Bengasi per scortare in Italia i piroscafi scarichi Tinos (tedesco) e Capo Orso.
La Forza K (incrociatori leggeri Aurora e Penelope, cacciatorpediniere Lance e Lively) salpa da Malta per intercettare il convoglio, ma non ci riesce, e rientra alla base il giorno seguente.
28 ottobre 1941
Il convoglio giunge a Brindisi alle 12.30.
21 novembre 1941
Alle 15.39 il sommergibile polacco Sokol (tenente di vascello Borys Karnicki) lancia tre siluri, da 4000 metri, contro lo Strale, nel Golfo di Navarino; nessuno va a segno.
Lo Strale (capitano di corvetta Goretti) salpa da Navarino alle 19, quale rinforzo ad un convoglio (piroscafi Bolsena e Tinos e torpediniera Orione) proveniente da Brindisi e diretto a Bengasi (il convoglio è stato dirottato momentaneamente a Navarino a causa di un attacco aereo).
Alle 23.38 il Sokol, nel punto 36°35’ N e 21°28’ E (ancora nel Golfo di Navarino), lancia tre siluri da 6000 metri contro il Tinos, che viene mancato.
23 novembre 1941
Il convoglio arriva a Bengasi alle 8.15.
Già alle 17.20 (o 17.30) lo Strale (capitano di corvetta Stefano Palmas) riparte scortando il piroscafo Bosforo, diretto in Italia.
24 novembre 1941   
Mentre Strale e Bosforo sono in navigazione verso Brindisi, il sommergibile Luigi Settembrini rileva agli idrofoni, a 105 miglia per 125° da Malta, la Forza K britannica – incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively – uscita in mare da Malta per intercettare convogli italiani. Lo Strale intercetta il segnale di scoperta lanciato dal sommergibile, ma il comandante Palmas ritiene correttamente che il suo convoglio, avendo già una velocità maggiore del previsto, non può essere raggiunto dalla Forza K, considerate le posizioni reciproche; per maggior sicurezza, comunque, Palmas ordina di smettere di zigzagare, in modo da poter incrementare la velocità un altro po’.
Supermarina, avvisata dal Settembrini, ordina il dirottamento di tutti i convogli in zona; al convoglio formato da Bosforo e Strale viene ordinato di rifugiarsi a Suda, ma le due navi non ricevono il messaggio contenente tale ordine, perché lo Strale, contrariamente alle disposizioni generali, non sta facendo ascolto sull’onda prevista per la zona e l’ora in cui il convoglio si trova, avendo male interpretato le complesse norme in vigore.
A cadere vittima della Forza K sarà invece il convoglio «Maritza», in navigazione dal Pireo a Bengasi, con l’affondamento dei piroscafi tedeschi Maritza e Procida nonostante la difesa opposta dalle torpediniere di scorta Lupo e Cassiopea.
25 novembre 1941
Nel tardo pomeriggio, mentre Strale e Bosforo sono già in prossimità di Brindisi, lo Strale riceve il segnale di soccorso lanciato dall’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu, silurato, alle 17.15, dal sommergibile britannico Thrasher. Il cacciatorpediniere ordina al Bosforo di proseguire alla massima velocità sulla rotta di sicurezza per poi aspettarlo presso le Pedagne (Brindisi), dopo di che si dirige verso la posizione indicata nel messaggio. All’arrivo, lo Strale trova il Deffenu ancora galleggiante, ma abbandonato da quasi tutto l’equipaggio; quando le imbarcazioni cariche di naufraghi giungono sottobordo al cacciatorpediniere, il comandante Palmas prende a bordo soltanto i feriti, mentre ordina agli altri di tornare sulla loro nave per tentarne il salvataggio. Poco dopo sopraggiunge un MAS inviato da Brindisi, e lo Strale se ne va e si ricongiunge al Bosforo, riprendendo la navigazione. (Il Deffenu affonderà egualmente dopo qualche ora, prima che due rimorchiatori inviati da Brindisi possano giungere sul posto).
Strale e Bosforo giungono indenni a Brindisi alle 22.30, senza aver subito attacchi.
Dicembre 1941
Sostituendo il capitano di corvetta Stefano Palmas, assume il comando dello Strale il capitano di corvetta Enea Picchio.
12 dicembre 1941
Lo Strale (caposcorta) ed il cacciatorpediniere Turbine salpano da Taranto alle 11 diretti ad Argostoli, scortando i piroscafi Iseo e Capo Orso.
13 dicembre 1941
Il convoglio arriva ad Argostoli in mattinata, ma ne riparte alle 15.30 (o 18) per Bengasi, nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41» (ora è caposcorta il Turbine). Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, infatti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed Urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito da Strale, Turbine, Iseo e Capo Orso cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Il gruppo assegnato al convoglio «N» è composto dalla corazzata Andrea Doria e dalla VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) con gli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni: durante la notte, il sommergibile britannico Urge silurerà la Vittorio Veneto, danneggiandola gravemente.
Alle 22.50 il Turbine ordina ad Iseo e Capo Orso, che procedono in linea di fronte, d’invertire la rotta: durante la manovra, a coronamento di una delle notti più funeste della guerra per la Marina italiana, l’Iseo sperona il Capo Orso, ed entrambe le navi riportano seri danni.
14 dicembre 1941
Entrambi i piroscafi e la loro scorta riescono a raggiungere Argostoli alle nove-dieci del mattino.
22 dicembre 1941
Il sommergibile britannico Torbay (capitano di corvetta Anthony Cecil Capel Miers) avvista in mattinata (intorno alle dieci) lo Strale ed un altro cacciatorpediniere, lo Scirocco, mentre escono dalla baia di Navarino; il sommergibile si prepara ad attaccarli, ma deve rinunciare dopo un improvviso cambiamento di rotta da parte dei cacciatorpediniere.
21 febbraio 1942
Alle 17.30 lo Strale salpa da Messina insieme ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta), Lanzerotto Malocello, Nicolò Zeno e Premuda ed alla torpediniera Pallade, scortando un convoglio (il numero 1) composto dalle moderne motonavi Monginevro, Ravello ed Unione nell’ambito dell’operazione di traffico «K. 7».
I convogli fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia» (ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Alfredo Oriani ed Antonio Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera).
Alle 23.15, la divisione «Gorizia» si unisce al convoglio n. 1, che prosegue per Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio», che lo segue a breve distanza.
Intorno alle 12.45 (per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, il convoglio numero 1 si congiunge con il convoglio numero 2 della «K. 7», proveniente da Corfù e formato dalle motonavi Lerici e Monviso e dalla nave cisterna Giulio Giordani, con la scorta dei cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Maestrale e Scirocco e della torpediniera Circe.
Il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo Misurata, la Circe localizza con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi ulteriori attacchi, la Circe effettua un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Intanto, alle 11.25, il sommergibile P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) avvista su rilevamento 040° il convoglio formato da Ravello, Unione e Monginevro e scortato da Strale, Vivaldi, Malocello, Zeno, Pallade e Premuda, che procede su rotta 250°. Alle 11.49, in posizione 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli), il P 34 lancia quattro siluri da 4150 metri di distanza; nessuna nave è colpita, e la scorta inizia alle 11.58 un contrattacco nel quale sono lanciate 57 bome di profondità, alcune delle quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad allontanarsi.
Nel frattempo, alle 10.30, lo Scirocco, come stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia», che – essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie – si avvia sulla rotta di rientro.
I convogli giungono indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23.
27 febbraio 1942
Lo Strale (capitano di corvetta Enea Picchio) lascia Tripoli alle 15.50 (o 16) diretto a Palermo, scortando il piroscafo Tembien, che ha a bordo 137 tra marittimi e militari italiani, 20 militari tedeschi e 498 prigionieri britannici. Le due navi seguono le rotte costiere.
Alle 18.45 il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista le due navi in posizione 32°55’ N e 12°42’ E, ed alle 19.05 lancia tre siluri contro il Tembien.
Alle 19.06 il Tembien viene colpito da due siluri e sbanda subito di 40°, impedendo di mettere a mare le imbarcazioni, poi si abbatte sul fianco sinistro ed affonda alle 19.20, 24 ad ovest miglia di Tripoli. Lo Strale dapprima lancia nove bombe di profondità senza riuscire a danneggiare l’Upholder, poi inizia a recuperare i naufraghi. Lo Strale, le torpediniere Clio e Generale Antonio Cantore (inviate da Tripoli per i soccorsi ed arrivate sul posto alle 22) e la nave soccorso Laurana (fatta salpare da Tripoli per partecipare ai soccorsi) riescono a salvare solo 147 sopravvissuti. Muoiono 68 italiani, 10 tedeschi e 419 prigionieri. Da Tripoli sono inviate anche le torpediniere Pallade e Circe, che danno infruttuosamente la caccia al sommergibile.

Lo Strale con colorazione mimetica, in una foto risalente alla fine del febbraio 1942 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

8 marzo 1942
Lo Strale e le torpediniere Cigno e Procione partono da Tripoli alle 21, scortando un convoglio di ritorno formato dalle moderne motonavi Unione, Lerici e Ravello (la Lerici trasporta 110 «indesiderabili», le altre due 470 prigionieri britannici) e dalla grossa motonave cisterna Giulio Giordani.
9 marzo 1942
Alle 7.30 il convoglio s’incontra con un altro proveniente dall’Italia e diretto a Tripoli, nell’ambito dell’operazione «V. 5»; i cacciatorpediniere Scirocco ed Antonio Pigafetta, appartenenti alla scorta di quest’ultimo, lo lasciano e si uniscono alla scorta del convoglio dello Strale (il Pigafetta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle, ne diviene anzi il caposcorta). Il convoglio gode inoltre dell’appoggio del gruppo di scorta «Garibaldi» (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi – nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante superiore in mare –, Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli, cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Oriani ed Ascari).
In mattinata l’ammiraglio De Courten, avendo intercettato comunicazioni di aerei britannici che seguono la formazione italiana e ne riportano la presenza (il convoglio è stato avvistato), ordina che il convoglio ed il gruppo di scorta compiano una deviazione verso est, per allontanarsi da Malta, da dove si presume che arriveranno gli attacchi aerei. Ciononostante, tra le 16.40 e le 17.20, mentre la scorta aerea è più ridotta, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti Bristol Beaufort, che De Courten ritiene provenire dalla Marmarica. In realtà sono decollati da Malta; comunque, nessuna nave subisce danni.
Durante la notte, il gruppo di scorta s’incorpora nel convoglio; per tutta la notte le navi sono sorvolate da bengalieri che chiamano più volte altri aerei all’attacco, ma non ci sono conseguenze (un primo gruppo di aerei non trova le navi; del secondo, venti bombardieri Vickers Wellington decollano per attaccare il convoglio, ma solo in tre riescono a trovarlo, e le loro bombe mancano le navi).
10 marzo 1942
Di nuovo il convoglio è tallonato da ricognitori. Da Alessandria, in seguito all’errata notizia che un incrociatore italiano sarebbe stato colpito durante gli attacchi di Beaufort del pomeriggio precedente, prende il mare una formazione al comando del viceammiraglio Philip Vian, per intercettarlo; naturalmente non troveranno nulla e l’indomani, durante il ritorno, l’incrociatore leggero Naiad (nave ammiraglia di Vian) sarà affondata dal sommergibile tedesco U 565, con la perdita di 82 uomini.
Alle 17.30 la scorta è rinforzata dall’arrivo della torpediniera Aretusa.
11 marzo 1942
Il convoglio si divide in due gruppi. Strale, Procione ed Unione giungono a Brindisi alle 14, mentre le altre navi raggiungono Taranto.
18 marzo 1942
Salpa da Napoli per Bengasi alle 18, scortando il piroscafo tedesco Brook (convoglio «B»).
20 marzo 1942
Strale e Brook arrivano a Messina alle otto del mattino, e vi sostano per alcune ore.
21 marzo 1942
Le due navi ripartono all’una di notte.
23-27 marzo 1942
A seguito di allarme navale, il convoglio viene dirottato ad Argostoli e Navarino tra le 9.15 del 23 e le 19.30 del 27.
29 marzo 1942
Strale e Brook arrivano a Bengasi alle 11.
Alle 18.30 (19.45 per altre fonti) dello stesso giorno lo Strale (capitano di corvetta Enea Picchio) riparte di scorta al piroscafo scarico Bosforo, diretto a Brindisi.
Decrittazioni da parte di “ULTRA”, però, permettono ai comandi britannici di apprendere che le due navi sono partite da Bengasi nel pomeriggio, procedendo a 10 nodi per arrivare a Brindisi alle otto del mattino del 1° aprile; il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip Stewart Francis), che si trova sulla rotta seguita dal convoglio, ne viene informato.
30 marzo 1942
Per un giorno la navigazione, alla velocità di dieci nodi, procede tranquilla, ma alle 20.34 il Proteus, in posizione 36°25’ N e 21°16’ E, avvista le due navi – che procedono nel mare lungo da sud-sudest tra i saltuari piovaschi ed il vento teso da ovest – a 4,5 miglia per 140°, quindi s’immerge alle 21.20, per poi lanciare due siluri dai tubi di poppa alle 21.49, da soli 410 metri di distanza.
Alle 21.53, mentre Strale e Bosforo stanno virando e si trovano in posizione 36°35’ N e 21°15’ E, circa 24 miglia ad ovest dell’isola di Sapienza, il Bosforo viene colpito a poppa da uno dei siluri. Mentre il Bosforo inizia ad affondare, abbandonato da parte dell’equipaggio, lo Strale inizia alle 21.55 una breve caccia antisommergibile, lanciando in tutto cinque bombe di profondità che però non danneggiano il Proteus (il quale, dopo il lancio, è sceso in profondità e si è allontanato verso ovest). Sullo Strale si ha dapprincipio l’impressione che il Bosforo galleggi bene, così ci si prepara a prenderlo a rimorchio; l’abbandono del Bosforo da parte di parte dell’equipaggio, e le condizioni del mare, impediscono tuttavia di stendere un cavo da rimorchio. Dopo aver ricevuto una richiesta d’aiuto dal Bosforo, lo Strale invia sottobordo al piroscafo una lancia con un ufficiale che chiede se sia possibile tentare il rimorchio, ma lo sbandamento della nave – 40 gradi, con la coperta che sta già cominciando ad immergersi – lo rende impossibile. L’imbarcazione dello Strale prende allora a bordo quanti ancora si trovano sul Bosforo, mentre il cacciatorpediniere provvede al recupero degli uomini che hanno abbandonato la nave in precedenza; in tutto vengono tratti in salvo 90 uomini, mentre i dispersi saranno 13. L’invio da Patrasso dei rimorchiatori Teseo e Valente, del quale Marimorea informa lo Strale, sarà troppo tardivo: il Bosforo colerà a picco alle 7.42 del 31 marzo nel punto 36°54’ N e 21°18’ E.
1° aprile 1942
Lo Strale arriva a Brindisi alle 3.05, e vi sbarca i naufraghi.
Aprile 1942
Il capitano di corvetta Enea Picchio lascia il comando dello Strale per assumere quello del gemello Saetta.
17 aprile 1942
Lo Strale (capitano di fregata Luigi Cei Martini) salpa da Brindisi per Bengasi alle 13, scortando il piroscafo tedesco Bellona, carico di 9 automezzi e rimorchi, 510 tonnellate di carburante e 410 tonnellate di materiali. Il mercantile procede ad una velocità esasperantemente – e pericolosamente – bassa, mai superiore ai cinque nodi e mezzo. Già dal 16 aprile i comandi britannici, per mezzo delle decrittazioni di “ULTRA”, hanno appreso i dati su rotta ed orari del convoglio Strale-Bellona.
18 aprile 1942
Alle 3.56 il sommergibile britannico Torbay (capitano di corvetta Anthony Cecil Capel Miers) avvista lo Strale in posizione 38°58’ N e 18°17’ E, diretto verso sud. Il sommergibile s’immerge alle 6.18, essendo ormai prossimo il sorgere del sole, ed alle 6.58 avvista di nuovo lo Strale ed ora anche il Bellona; alle 7.25, in posizione 38°46’ N e 18°17’ E, lancia due siluri contro il Bellona, per poi scendere in profondità ed allontanarsi in direzione di Suda.
Alle 7.28 il Bellona viene colpito a poppa da uno dei siluri; dopo essersi appoppato, il piroscafo affonda alle 7.45 nel punto 38°30’ N e 18°10’ E (in Mar Ionio, una cinquantina di miglia ad est-sud-est di Capo Colonna). Lo Strale trae in salvo 45 dei 46 membri del suo equipaggio (il nostromo è morto mentre ammainava una lancia), poi dà la caccia al sommergibile fino a pomeriggio inoltrato, ma senza riuscire a danneggiarlo.
29 aprile 1942
Assume il comando dello Strale il capitano di corvetta Oderisio Maresca, 38 anni, da Piano di Sorrento.

Il capitano di corvetta Oderisio Maresca, ultimo comandante dello Strale (g.c. Giovanni Pinna)

30 aprile 1942
Lo Strale salpa da Brindisi alle 8.30 insieme al gemello Saetta (caposcorta) ed alla torpediniera Orsa, scortando le moderne motonavi Ankara (tedesca) e Monviso.
2 maggio 1942
Tra le 10 e le 15.15 il convoglio entra a Bengasi.
Alle 20 dello stesso giorno, lo Strale (ora caposcorta) riparte da Bengasi insieme alla torpediniera Castore, scortando la motonave cisterna Panuco, che ritorna vuota a Napoli.
3 maggio 1942
Dopo aver percorso le rotte costiere, il convoglio giunge al largo di Sfax, dove si unisce ad esso la motonave Giulia, proveniente da quel porto con un carico di fosfati.
5 maggio 1942
Il convoglio arriva a Napoli alle 9.30.
 
Lo Strale a Venezia negli anni Trenta (da it.wikipedia.org)

Incaglio

Dopo due anni di infaticabile servizio sulle pericolose rotte per la Libia, lo Strale si perse a causa di un banalissimo incidente.
Alle due di notte (2.30 per altra versione) del 20 giugno 1942, la nave (al comando del capitano di corvetta Oderisio Maresca) salpò da Napoli alla volta di Tripoli, scortando, insieme al cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Aldo Cocchia) ed alla torpediniera Centauro, un convoglio veloce composto dalle moderne motonavi Rosolino Pilo e Reichenfels (tedesca). Le due motonavi trasportavano un carico che consisteva in quattro carri armati, 376 veicoli, 638 tonnellate di carburante e 7117 tonnellate di altri materiali, oltre a 290 militari di passaggio.
Il caposcorta Cocchia ricordò poi: “Quando la notte sul 20 giugno partii da Napoli avevo un preciso presentimento che questa volta le cose non sarebbero andate bene. Presentimento motivato (…) da un elemento preciso e tangibile: la composizione della scorta. Mi avevano assegnato il Centauro, buona torpediniera, e lo Strale, brutto cacciatorpediniere. Il comandante dello Strale, capitano di corvetta M. [Maresca], era stato per lungo tempo destinato a terra e pareva che dovesse essere definitivamente escluso dal comando navale quando dal ministero, cedendo alle domande che egli, mosso da nobile impulso, aveva reiteratamente avanzate, finì col nominarlo comandante dello Strale. Era questa la prima missione che M. faceva con la sua unità e mi parve molto perplesso sin da quando lo convocai per la consueta riunione dei comandanti. A bordo aveva tutti ufficiali di complemento poco pratici e anche, a quanto potei capire, scarsamente affiatati tra di loro e con il comandante.”
In base agli ordini di Supermarina, il convoglio doveva seguire una rotta che sarebbe passata tra Zembra e la costa della Tunisia, avrebbe prolungato Capo Bon tenendosi ad un miglio dalla riva, e poi avrebbe percorso il Canale di Sicilia sino a giungere a destinazione.
Così fu fatto, e durante la giornata del 20 giugno non si verificarono inconvenienti, né si manifestarono attacchi nemici. Lo Strale, però, non tardò a confermare le preoccupazioni di Cocchia: “Lo Strale mi diede subito misura delle sue scarse possibilità stentando ad uscire, accendendo il proiettore quasi per aprirsi una via, chiedendo infine più volte l’accensione dei fanali di via mentre, come è ovvio, dovevamo navigare a fanali spenti. La sua posizione era su uno dei fianchi del convoglio, ma lo vidi così incerto che lo mandai di poppa e ve lo tenni fino all’alba. In quella posizione non serviva a niente, ma almeno non poteva causare danni. Di giorno lo rimisi al suo posto”.
Fino alle 00.47 del 21 giugno, il convoglio procedette su rotta vera 88° (con prua sul faro di Capo Bon) con Da Recco in testa, seguito dal Reichenfels e poi dalla Pilo in linea di fila, lo Strale in scorta laterale sulla dritta e la Centauro in scorta laterale sulla sinistra, ad una distanza di circa 700 metri dai mercantili. Alle 00.47, il caposcorta Cocchia ordinò – come d’altro canto previsto – di assumere rotta vera 68°, ed allo Strale di accodarsi alla Pilo, in modo da non passare troppo vicino alla costa. Ciò significava che il cacciatorpediniere avrebbe dovuto accostare a sinistra; invece, per ragioni sconosciute, lo Strale virò a dritta e – secondo una fonte, anche a causa del mare grosso – andò ad incagliarsi sulle secche di Ras el Ahmar (non lontano da Capo Bon), tre chilometri fuori rotta rispetto al convoglio. Era l’una di notte del 21 giugno.
Lo Strale comunicò la situazione via radio, ed il Da Recco distaccò la Centauro per assisterlo, proseguendo poi da solo nella scorta alle due motonavi.
Ancora Cocchia: “Lasciai lo Strale sul fianco finché fummo lontani da terra, poi, a scanso di equivoci, come la notte precedente, gli diedi ordine di mettersi a poppa. Per un pezzo non mi rispose, né io, nell’oscurità, riuscivo a vedere dove fosse, infine mi segnalò per radio che era incagliato a Ras el Amar. Lì per lì non seppi assolutamente capire come fosse andato a finire su quella punta dalla quale il convoglio era distante almeno due miglia (…)”.
Né gli sforzi della Centauro e della torpediniera Cigno poi inviata a sostituirla, né quelli di due rimorchiatori, appositamente inviati da Trapani, riuscirono a disincagliare lo Strale. Alla fine, la Centauro dovette imbarcare parte dell’equipaggio del cacciatorpediniere ed abbandonare la nave sul posto.

Vi fu, purtroppo, una vittima, morta per annegamento: il capo elettricista di seconda classe Domenico Autiero, 37 anni, da Napoli.
Degli altri 222 uomini dell’equipaggio – 10 ufficiali e 212 tra sottufficiali e marinai – 136 vennero sbarcati immediatamente, mentre gli altri rimasero a bordo per tentare ancora di disincagliare la nave. Non ebbero successo; tra i danni subiti nell’incaglio e quelli provocati dall’azione del mare, il recupero dello Strale venne giudicato inattuabile, ed il cacciatorpediniere considerato perduto (dichiarato ufficialmente perduto dal 5 agosto 1942) ed abbandonato sul posto.
 

Il relitto dello Strale incagliato a Ras el Ahmar, a fine giugno 1942 (A. Barili via M. Brescia e www.associazione-venus.it

Viene spesso riportato che il relitto abbandonato dello Strale venne silurato il 6 agosto 1942 dal sommergibile britannico Turbulent, che ne causò così il definitivo affondamento. In realtà, però, il Turbulent era partito da Beirut il giorno precedente, 5 agosto (e ben difficilmente avrebbe potuto raggiungere Ras el Ahmar in sole ventiquattr’ore), e la sua missione si svolse tra Mar Egeo e coste della Grecia, senza mai nemmeno avvicinarsi alla Tunisia. Sembra quindi che il siluramento non abbia mai avuto luogo, e sia frutto di qualche errore poi perpetuato da “copincolla” tra fonti. 
Ricerche da parte di Platon Alexiades ne danno conferma, mostrando che nei documenti di Supermarina e nelle varie storie ufficiali non si cita nessun siluramento della nave dopo il suo incaglio.
In ogni caso, lo Strale non rimase incagliato a Capo Bon per sempre: in un’epoca imprecisata, forse per la semplice azione distruttiva del mare, il cacciatorpediniere s’inabissò in acque più profonde. Il suo relitto giace oggi a 72 metri di profondità, presso Capo Bon.

Una foto aerea dello Strale (www.marina.difesa.it via Marcello Risolo)