Il Felce (Coll. Staatsarchiv, Brema – da www.ddghansa-shipspotos.de)
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Piroscafo da carico
da 5639 tsl, 3518 tsn e 8600 tpl, lungo 128,36-132,59 metri, largo 16,76 e
pescante 7,63-8,7, con una velocità di 11,5 nodi. Appartenente all’armatore
Achille Lauro, di Napoli, ed iscritto con matricola 336 al Compartimento
Marittimo di Napoli.
Breve e parziale cronologia.
20 settembre 1910
Varato dai cantieri
Tecklenborg J. C. – Johannes Carlo Teclenborg A. G. di Geestemunde come Freienfels (numero di cantiere 237).
Il varo del Freienfels (Coll. Peter Kiehlmann, da www.ddghansa-shipspotos.de)
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22 novembre 1910
Completato per la
compagnia Deutsche Dampfschifffahrts Gesellschaft Hansa, con sede a Brema.
Nominativo di chiamata QJVC; le caratteristiche originarie sono 5633 tsl, 3545
tsn, 8705 tpl. Ha sette gemelle: Ockenfels,
Birkenfels, Kandelfels, Sturmfels, Huberfels, Lauterfels e Spitzfels.
5 agosto 1914
Lo scoppio della
prima guerra mondiale sorprende il Freienfels
a Calcutta, nell’India controllata dai britannici: essendo di una nazione
nemica, il piroscafo viene catturato ed affidato all’Ammiragliato (Royal Navy),
che lo dà in gestione alla compagnia Grahams & Co. Ltd. La nave viene
registrata a Londra; il nominativo di chiamata viene cambiato in JLGB.
Armato con equipaggio
britannico, il Freienfels viene
trasferito a Bombay e sottoposto a lavori di modifica per imbarcare uomini ed animali
del Camel Corps, per un’operazione programmata nel Golfo Persico.
1919 o 1920
Finita la guerra, il Freienfels viene trasferito sotto il
controllo della Segreteria di Stato per l’India, che lo dà in gestione
all’India Office Shipping Director.
Assieme ad altri
quattro mercantili della DDG Hansa, il Freienfels
è una delle sole navi tedesche catturate che, sebbene confiscate, non sono
considerate prede di guerra; a seguito del trattato di Versailles, ne viene
disposta la vendita.
Giugno 1925
Posto in vendita;
dapprima rimane a Dunkerque dal 6 al 18 giugno, per poter essere ispezionato da
potenziali acquirenti, poi è disarmato a Falmouth in attesa della vendita. Nel
parlamento britannico si è già valutata la possibilità di vendere le cinque
navi della DDG Hansa (il cui utilizzo ha permesso un guadagno di 1.700.000
sterline) alla Grecia.
1925
Venduto agli armatori
greci Pnevmaticos, Rethymnis, Yannaghas & Co. di Sira e ribattezzato Hadiotis (nominativo di chiamata NPCL).
1927
Trasferito alla
Kassos Steam Navigation Company, anch’essa avente sede a Sira, senza cambiare
nome. Rimane sotto la gestione di Pnevmaticos, Rethymnis, Yannaghas & Co.
Settembre 1928
Acquistato
dall’armatore napoletano Achille Lauro e ribattezzato Felce (nominativo di chiamata IBVL).
Dicembre 1933
Partito da Cuddalore
con 150 lavoratori asiatici a bordo, il Felce
scampa ad un ciclone che provoca un centinaio di morti nella provincia di
Madras.
La nave fotografata a
Capetown tra il 1934 ed il 1936 (g.c. John H. Marsh Marittime Research Centre
di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net)
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18 gennaio 1937
Il Felce s’incaglia a Gibuti, ma, dopo
essere stato alleggerito del carico, può essere disincagliato con l’aiuto di un
rimorchiatore.
30 giugno 1938
Una bomba, inesplosa,
viene scoperta a bordo del Felce nel
porto di Taranto. L’ordigno è stato piazzato a bordo durante una sosta in un
porto scandinavo, ad opera di un membro della rete di sabotatori organizzata da
Ernst Wollweber, comunista tedesco in esilio che ha pianificato una serie di
sabotaggi ai danni di navi appartenenti alle nazioni che riforniscono i
nazionalisti di Francisco Franco nella guerra civile spagnola.
Marzo 1940
A guerra mondiale già
scoppiata, ma durante la non belligeranza italiana, il Felce finisce al centro di un incidente internazionale:
partito da Rotterdam e diretto in Italia con un carico di carbone tedesco,
viene sequestrato e dirottato da cacciatorpediniere britannici nella rada delle
Downs (al largo di Deal, nel Kent, dove è stata stabilita una base britannica
per i controlli sul contrabbando) dalle unità britanniche che assicurano il
blocco navale contro la Germania (dal 1° marzo è entrato in vigore il divieto,
imposto dal Regno Unito, dell’esportazione di carbone tedesco da Rotterdam in
Italia, pena l’intercettazione in alto mare e conseguente sequestro delle navi
e confisca dei carichi come preda bellica), per effettuare controlli. Stessa
sorte subiscono anche altre sette navi italiane anch’esse cariche di carbone: i
piroscafi Orata, Absirtea, Liana, Rapido, Ernesto e Caterina
e la motonave Loasso, ed entro l’8
marzo il numero salirà a 15, tra cui i mercantili Pozzuoli, Ischia, Integritas, Pamia, Semien e
San Luigi (in tutto in quei
giorni vi sono a Rotterdam 17 navi intente a caricare carbone: l’Italia, per
questa risorsa di energia, dipende infatti dalle importazioni, ed il 60 % del
carbone importato – 11.000.000 di tonnellate – viene dalla Germania). In tutto
più di 100.000 tonnellate di carbone vengono confiscate. Il governo italiano
invia a Londra una forte nota di protesta, dicendo che l’accaduto mette in
discussione le relazioni politiche ed economiche stabilite tra i due paesi, e
la notizia viene riportata da numerosi giornali tedeschi (che parlano di
pirateria e furto ai danni dell’Italia), britannici (alcuni dei quali
rivendicano il diritto del Regno Unito di interdire le esportazioni di carbone
della Germania, mentre altri prospettano una crisi con l’Italia ed ipotizzano i
suoi risvolti), italiani (tra i quali “Il popolo d’Italia” denuncia l’accaduto
come imperdonabile, mentre altre testate auspicano una soluzione che non
nuoccia ai rapporti anglo-italiani), australiani, americani. A Venezia un folto
gruppo di studenti universitari organizza una manifestazione di protesta (la
prima manifestazione antibritannica dai tempi della guerra d’Etiopia) contro il
blocco navale britannico sotto il consolato del Regno Unito, venendo disperso
da polizia e carabinieri. L’accaduto sconcerta anche molti circoli italiani
usualmente favorevoli ai britannici.
Tutte le navi, tranne
la Loasso (che ha caricato il suo
carbone prima che il divieto entrasse in vigore), vengono rilasciate solo dopo
la confisca del carico.
Il Felce nel 1930 (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net) |
Da Haifa alla Tunisia
Il destino, posto che
esista, giocò più di uno strano scherzo alla nave chiamata Felce.
Questo piroscafo,
infatti, fu una delle pochissime navi che poterono annoverare di essere state
sorprese dallo scoppio di entrambe le guerre mondiali in un porto nemico: come
il Freienfels era stato sorpreso
dallo scoppio della prima guerra mondiale a Calcutta, nella colonia britannica
dell’India, così il Felce, quando
l’Italia dichiarò guerra al Regno Unito (10 giugno 1940) iniziando così la propria
partecipazione al secondo conflitto mondiale, si trovava nel porto di Haifa,
nella Palestina sotto mandato britannico.
La conseguenza
naturalmente fu, come 26 anni prima, la cattura. Confiscata dalla Corte delle
Prede della Palestina con decreto del 16 giugno 1940 ed affidata al Ministry of
War Transport, la nave venne di nuovo registrata a Londra, ribattezzata Empire Defender e ricevette il nuovo
nominativo di chiamata GPJG; fu data in gestione alla City Line Ltd.
L’equipaggio italiano
del Felce, che aveva dichiarato di
non essere al corrente dell’entrata in guerra dell’Italia, venne internato. Uno
dei suoi componenti, l’ufficiale di macchina Antonio Tenze, triestino, morì in
prigionia il 21 aprile 1943.
Sotto bandiera
britannica, l’Empire Defender navigò
nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Indiano.
Il 4 novembre 1940 il piroscafo salpò da Suez con il convoglio BS 8 (composto
da 18 mercantili britannici, due norvegesi, due indiani ed uno egiziano,
scortati dall’incrociatore leggero HMS Leander,
dal cacciatorpediniere HMS Kingston e dagli sloops Flamingo, Grimsby, Indus e Clive, questi ultimi due indiani), dal quale poi si separò e
diresse per Port Sudan, arrivandovi l’8 novembre; da qui ripartì il 22 novembre
unendosi al convoglio BS 9 (salpato da Suez il 18 novembre con 14 mercantili
britannici, 3 norvegesi, 2 greci, uno olandese, uno indiano ed uno sudafricano,
scortati dagli incrociatori HMS Leander,
HMAS Hobart e HMS Carlisle, dal Kingston e dagli sloops HMS Auckland,
HMIS Clive, HMS Grimsby e HMIS Hindustan),
e quando questo si disperse il 26 novembre (in posizione 12°30’ N e 48°23’ E)
l’Empire Defender fece rotta per
Mombasa, dove giunse l’8 dicembre. Lasciata Mombasa il 15 dicembre, la nave
raggiunse Durban undici giorni dopo.
Nel 1941 la gestione
dell’Empire Defender fu trasferita
alla Stanhope Steamship Company Ltd, che armò la nave con ufficiali britannici
ed un equipaggio di lascari (indiani).
Il 6 aprile 1941 la
nave salpò da Durban per Capetown, dove giunse l’11 aprile; ripartita il 17
aprile, tornò indietro dopo due giorni per poi ripartire il 3 maggio per
Freetown, dove arrivò il 22 maggio. Da qui il piroscafo riprese il mare il 15
giugno per Santa Lucia (Piccole Antille), che raggiunse il 5 luglio, e cinque giorni
dopo ripartì verso Hampton Roads, in Virginia, dove arrivò il 21 luglio. Il 10
agosto lasciò Hampton Roads, giungendo ad Halifax il 14, per poi partire da lì
il 16 agosto con il convoglio HX 145 (56 mercantili britannici, 7 norvegesi, 6
olandesi, un greco ed un belga, scortati dall’incrociatore ausiliario HMS California e seguiti dalla nave soccorso
britannica Zaardam), diretto a
Liverpool, con un carico di merci varie. Il 30 agosto l’Empire Defender lasciò il convoglio HX 145 a Loch Ewe e si unì al convoglio
WN 175 (43 mercantili britannici, 7 norvegesi, 4 olandesi, 3 greci, un estone
ed uno svedese, senza scorta), col quale giunse a Methil il 3 settembre; qui si
unì al convoglio FS 585 (15 mercantili britannici e 5 norvegesi, nessuna
scorta) ed arrivò con esso a Southend-on-Sea il 6 settembre.
Ripartito da Southend
il 27 settembre con il convoglio FN 524 (7 mercantili britannici ed un
olandese, privi di scorta), il piroscafo giunse a Methil il 29 settembre, e
l’indomani si unì al convoglio EC 79 (16 mercantili britannici, 3 norvegesi ed
un olandese, senza scorta), col quale giunse ad Oban il 3 ottobre; l’Empire Defender proseguì e raggiunse Glasgow
lo stesso giorno.
L’altro scherzo che
il destino giocò al Felce consisté
nella sua fine: nave italiana catturata ed impiegata in guerra dai britannici,
infatti, finì affondata proprio dai precedenti “proprietari”.
Dopo l’arrivo a
Glasgow, infatti, l’Empire Defender
fu caricato di 9000 tonnellate di munizioni ed altri rifornimenti (con la
massima segretezza possibile) e destinato a partecipare all’operazione
«Astrologer»: un tentativo di rifornire Malta con due sole navi mercantili
(l’altra era l’Empire Pelican), che
avrebbero viaggiato isolate e senza scorta nel tentativo di non dare
nell’occhio. Allo scopo, il piroscafo venne ridipinto con uno scafo nero, le
sovrastrutture bianche ed il fumaiolo marrone chiaro, come in tempo di pace e diversamente
dalla colorazione adottata in guerra dalla maggior parte dei mercantili;
l’armamento (tranne sei mitragliatrici) venne rimosso, per far sembrare che la
nave appartenesse ad una nazione neutrale. Per ingannare eventuali osservatori
sulla destinazione del carico, sulle casse furono scritti i nomi di Durban e
Capetown; dell’equipaggio, solo il comandante conosceva la vera destinazione
del viaggio. La partenza era prevista per il 23 ottobre.
Il mattino del 20
ottobre, però, il «serang» (nostromo) dei lascari si recò dal comandante e gli
disse che nessuno dei lascari era pronto a partire; spiegò che aveva avuto dei
sogni per due notti successive, e che in entrambi la nave era stata affondata
prima del prossimo novilunio. Concluse che l’equipaggio sarebbe salpato
volentieri su una qualunque altra nave, da Glasgow o da un altro porto, per
qualsiasi destinazione, ma che non sarebbero partiti con l’Empire Defender.
Né promesse (di
permessi aggiuntivi, paghe supplementari, visita del mullah alla loro moschea
locale), né suppliche, né l’invio della polizia con minacce di carcerazione e
deportazione servirono a convincere i 60 lascari dell’equipaggio a partire; l’unica
risposta che continuarono a ripetere fu “Ni jao” (“no andare”) e dopo due ore
di tentativi per convincerli dissero tutti che avrebbero preferito finire in
carcere ed essere deportati che partire con l’Empire Defender. Quando l’imbarco del carico giunse verso il
termine, i lascari trasferirono i loro effetti personali in un vicino magazzino
e si prepararono a dormirvi, per evitare che la nave potesse salpare di notte,
con loro a bordo, mentre dormivano. A questo punto la compagnia cedette e si
mise a cercare un altro equipaggio; ma gli altri lascari presenti nel porto di
Glasgow non vollero nemmeno sentir parlare dell’Empire Defender.
Alla fine fu
necessario ingaggiare altrettanti marittimi bianchi, pagando ciascuno di loro
dieci sterline in contanti perché accettassero di viaggiare nelle sistemazioni
dei lascari, ben più spartane di quelle dei marinai europei.
Il mattino del 27
ottobre, alle cinque, l’Empire Defender
partì finalmente da Glasgow. Mentre la nave mollava gli ormeggi, il gruppo dei
lascari la osservò silenziosamente dal magazzino. Il viaggio del piroscafo
sembrò davvero cominciare sotto una cattiva stella: nel partire la poppa della
nave urtò un’altra nave ormeggiata vicino, strappandola dagli ormeggi, e nel discendere
il Clyde l’Empire Defender ebbe
un’avaria al timone che provocò una collisione con un’altra nave che stava
venendo rimorchiata verso il molo, con seri danni ad entrambe (d’altra parte,
però, queste due collisioni potrebbero essere il frutto di una successiva
“infiorettatura” per rendere la “profezia” dei lascari ancora più evidente: nel
resoconto del secondo ufficiale dell’Empire
Defender, infatti, non si fa parola di questo duplice incidente, ed anzi si
dice che il viaggio si svolse senza incidenti fino all’11 novembre). Riparate
le avarie, l’Empire Defender ripartì
si unì al convoglio OG 76, salpato tre giorni prima da Milford Haven e che giunse a Gibilterra l’11
novembre. Trenta miglia prima di giungere a Gibilterra, tuttavia, l’Empire Defender e l’Empire Pelican si separarono dal convoglio e proseguirono con la
scorta di un solo cacciatorpediniere. Superato lo stretto di Gibilterra quello
stesso giorno, i due mercantili si separarono (l’Empire Defender rallentò per fare in modo che l’Empire Pelican avesse un giorno di
vantaggio, come programmato; poi assunse una velocità di dieci nodi) ed
iniziarono la navigazione verso Malta; mentre era nelle acque della Spagna, l’Empire Defender assunse il nome fittizio
di Josina fu verniciata sulle sue
murate la bandiera spagnola. Nelle acque della Francia il nome fasullo fu
cambiato in Nevada, e sullo scafo fu
verniciata la bandiera francese; tutte le mitragliatrici furono rimosse dal
ponte. Analogamente cambiarono le bandiere che sventolavano sulla poppa della
nave.
Questo stratagemma
non trasse però in inganno i comandi italiani. Alle 11 del 14 un aereo avvistò
il piroscafo, seguendolo per tutto il giorno, ed al tramonto del 15 novembre l’Empire Defender venne attaccato da un
aerosilurante Savoia Marchetti S. 84, pilotato dal maggiore Buri della 256a
Squadriglia (108° Gruppo, 36° Stormo) della Regia Aeronautica (altre fonti,
probabilmente errate, parlano di aerosiluranti Savoia Marchetti S. 79 del 130°
o 132° Gruppo). L’aereo dapprima mitragliò i ponti del piroscafo, poi si
allontanò e tornò dopo dieci minuti. Alle 16.40 il velivolo centrò il piroscafo
con un siluro, incendiandolo; l’equipaggio fece appena in tempo ad abbandonarlo
su due lance, prima che questi esplodesse ed affondasse alle 16.55, 18 miglia a
sud dell’isola La Galite (a nordovest della Tunisia). Quattro dei 64 membri del
suo equipaggio persero la vita, mentre gli altri 60 (tra cui un ferito) sbarcarono
alle sei del mattino seguente a Tabarca, in Tunisia; qui i superstiti dell’Empire Defender furono internati nel
campo di El Kef, così condividendo la sorte del precedente equipaggio italiano
di quella stessa nave, dall’altra parte del Mediterraneo.
Nemmeno l’Empire Pelican giunse a Malta: era già
stato affondato da aerosiluranti italiani il giorno precedente. Delle sette
navi mercantili inviate a Malta isolate e senza scorta nel corso del 1941, solo
una giunse a destinazione; l’affondamento di Empire Pelican ed Empire
Defender diede il colpo di grazia a questo genere di tentativi. Da quel
momento in poi, i britannici inviarono rifornimenti a Malta solo in convogli
fortemente scortati o con navi da guerra veloci.
La nave quando portava il nome di Freienfels, con i colori della DDG Hansa (Coll. Holger Patzer, da www.ddghansa-shipspotos.de) |
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