L’Adriatico in tempo di pace (foto USMM).
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Incrociatore
ausiliario, già motonave mista di 1976 tsl, 1069 tsn e 1240 tpl, lunga 78,5
metri (per altre fonti 76 o 81,5), larga 12,20 e pescante 5 o 7,45, con
velocità massima di 14 nodi (ma all’epoca della sua perdita, superava di poco i
12 nodi). Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Adriatica (con sede
a Venezia), iscritto con matricola 51 al Compartimento Marittimo di Bari, nominativo
di chiamata IBFB.
Come le gemelle, era
stato costruito come nave mercantile, ma fin dalla progettazione era stata
prevista la possibilità di armarlo, all’occorrenza, per impiegarlo in guerra.
Breve e parziale cronologia.
27 novembre 1930
Impostata nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 244).
4 aprile 1931
Varata nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
18 giugno 1931
Completata per la
Puglia Società Anonima di Navigazione a Vapore, con sede a Bari. Può
trasportare 22 passeggeri in prima classe, 24 in seconda e 22 in terza (per
altra fonte 72 in tutto); fa parte di una serie di sette motonavi gemelle (tipo
«Brioni») costruite dai CRDA per la società Puglia (le altre sono Barletta, Brindisi, Brioni, Zara, Lero e Monte
Gargano).
Alle prove raggiunge
la velocità di 15,8 nodi.
1932
Trasferita alla
Società di Navigazione San Marco (con sede a Venezia), compagnia nella quale il
21 marzo 1932 è confluita con altre compagnie adriatiche la società Puglia, che
il 4 aprile cambia nome in Compagnia Adriatica di Navigazione .
1935
Noleggiata per
trasportare truppe e rifornimenti in Africa Orientale nel corso della guerra
d’Etiopia.
15 settembre 1936
Requisita dalla Regia
Marina, riceve il nominativo fittizio di Lago
e viene impiegata in quattro missioni (nella prima, partendo da La Spezia e
giungendo a Lisbona e Huelva; nelle altre tre, partendo da La Spezia e Cagliari
e raggiungendo Siviglia e Melilla) durante la guerra civile spagnola.
1° gennaio 1937
La compagnia
armatrice muta nome in Società Anonima di Navigazione Adriatica.
13 febbraio 1937
Ultimate le missioni
in Spagna, torna al servizio civile, venendo impiegata sulla linea
Venezia-Trieste-Pola-Lussino-Zara-Sebenico-Spalato-Ragusa-Cattaro-Antivari-San
Giovanni di Medua-Durazzo-Valona-Brindisi-Bari-Macedonia-Barletta-Bari.
1° marzo 1937
Nuovamente requisita
dalla Regia Marina, viene armata.
1° aprile 1937
Iscritta nel ruolo
del naviglio ausiliario dello Stato come incrociatore ausiliario.
19 aprile 1937
Torna ad operare
nell’ambito della guerra civile spagnola: nuovamente sotto il falso nome di Lago, si alterna con la gemella Barletta (avente anch’essa un nome
fittizio, Rio) in missioni di
pattugliamento delle coste mediterranee spagnole e nel Mediterraneo
occidentale. Successivamente, issata temporaneamente bandiera spagnola, viene
dislocata a Favignana per partecipare al blocco del Canale di Sicilia, fino al
7 settembre 1937. Durante il periodo a Favignana Adriatico e Barletta, con
i loro finti nomi spagnoli e bandiere anch’esse spagnole, compiono crociere di
ricerca e contrasto al traffico mercantile repubblicano, specie nel Canale di
Tunisi e nello Stretto di Messina, punti obbligati di passaggio per le navi
provenienti dai porti sovietici in Mar Nero. Per rifornire di nafta i due
incrociatori ausiliari, nonché alcune “navi corsare” nazionaliste cui è stato
concesso l’uso della base, viene inviata a Favignana la petroliera spagnola Mina Piquera (anche questa sotto falso
nome: Ariane).
16 luglio 1937
L’Adriatico, scortato dal
cacciatorpediniere Carlo Mirabello,
trasporta a Ceuta un contingente di militari italiani inviati in aiuto alle
truppe franchiste.
10 novembre 1937
Tornata sotto
bandiera italiana, ma ancora requisita, l’Adriatico
viene assegnata alla Forza Navale di Tobruk, per il controllo del Mediterraneo
centro-orientale.
18 giugno 1938
Dopo essere stata
disarmata (nel suo servizio come incrociatore ausiliario non ha colto alcun
risultato), inizia la prima di tredici missioni di trasporto da Gaeta a Cadice,
con rifornimenti per le forze nazionaliste spagnole.
Marzo 1939
Torna a prestare
servizio per la società Adriatica.
6-7 aprile 1939
L’Adriatico partecipa alle operazioni di
occupazione dell’Albania, assegnata al II Gruppo Navale, quello principale,
incaricato dello sbarco a Durazzo: oltre all’Adriatico, impiegata come trasporto, lo compongono altri cinque
mercantili (la gemella Barletta, i
piroscafi Aquitania, Palatino, Toscana e Valsavoia), gli
incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia, i
cacciatorpediniere Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti e Giosuè Carducci, le torpediniere Lupo, Lince, Libra e Lira, la nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia – carica di carri
armati –, la nave officina Quarnaro
e le cisterne militari Tirso ed Adige. Il II Gruppo (ammiraglio di
divisione Sportiello; truppe da sbarco al comando del generale Guzzoni) deve
sbarcare il grosso delle forze, incaricate di conquistare Tirana. Le navi da
guerra giungono a Durazzo già nel pomeriggio del 6 aprile, mentre quelle
mercantili ed ausiliarie (ossia le navi con le truppe ed i materiali da sbarcare)
solo alle 4.50 del 7, con mezz’ora di ritardo a causa della nebbia incontrata.
Alle 5.25 ha inizio lo sbarco, che procede pur con qualche inconveniente
(ordini di precedenza non rispettati per il ritardo di alcuni trasporti,
impossibilità per alcuni di essi di entrare in porto a causa dell’eccessivo
pescaggio).
6 aprile 1939
Compie un viaggio
straordinario da Trieste a Bari via Venezia, Fiume e Valona.
24 aprile 1939
Terminata l’ultima
missione di trasporto truppe d’occupazione da Brindisi a Durazzo, fa ritorno a
Napoli.
2 maggio 1939
Torna in servizio
civile, sulla linea Adriatico-Soria-Alessandria.
6 giugno 1939
Trasferita sulla
linea Bari-Brindisi-Valona-Brindisi-Bari-Brindisi-Porto Edda-Brindisi-Bari,
alternata alla linea per la Dalmazia e l’Albania.
29 agosto 1939
Nuovamente requisita,
a Venezia, dalla Regia Marina.
5 novembre 1939
Derequisita ed
avviata a lavori a Venezia.
14 novembre 1939
Ultimazione dei
lavori.
15 novembre 1939
Lascia Venezia
diretta a Bari. Verrà impiegata dall’Adriatica sulla linea n. 54 (Adriatico-Pireo-Istanbul).
8-11 aprile 1940
Sottoposta a nuovi
lavori, sempre a Venezia.
1° maggio 1940
Durante la neutralità
italiana, l’Adriatico viene fermata
ed ispezionata da navi britanniche nelle acque territoriali della Turchia.
11 maggio 1940
Requisita dalla Regia
Marina a Venezia.
1° giugno 1940
Iscritta nel ruolo
del naviglio ausiliario dello Stato come posamine, e dotata di ferroguide per
il trasporto e la posa di 90 mine.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia, l’Adriatico fa parte del
Gruppo Navi Ausiliarie Dipartimentali del Comando Militare Marittimo Sicilia,
insieme al gemello Brioni, al
posamine Buccari, alla cisterna per
nafta Prometeo, alle cisterne per
acqua Brenta, Bormida e Verde ed alla
nave servizio fari Scilla.
6 giugno-10 luglio 1940
L’Adriatico partecipa alla posa di
numerosi campi minati nelle acque della Sicilia: due sbarramenti
antisommergibili di 45 mine ciascuno (tipo Elia) al largo di Palermo (insieme
alle torpediniere Andromeda ed Aldebaran); due sbarramenti antinave,
anch’essi di 45 mine tipo Elia, al largo di Castellammare del Golfo (sempre
insieme ad Andromeda ed Aldebaran); due sbarramenti antinave ed
uno antisommergibile, tutti di 45 mine tipo Elia o tipo Bollo, a nord di
Trapani, uno antinave di 50 mine e due antisommergibile (uno di 45 mine e
l’altro di 50) tra Marettimo e Levanzo, e due sbarramenti antisom di 50 mine
ciascuno tra Marettimo e Favignana, tutti con mine tipo Elia o tipo Bollo
(insieme, di volta in volta, alle torpediniere Andromeda, Alcione, Aldebaran, Aretusa, Airone ed Ariel); tre sbarramenti antinave di 50
mine ciascuno (tipo Bollo) al largo di Porto Empedocle.
1940
Trasformato in
incrociatore ausiliario, armato con due cannoni da 120/45 mm e due mitragliere
binate da 13,2 mm (ciò secondo il volume dell’USMM sulla difesa del traffico
con l’Africa Settentrionale; per altra fonte, invece, l’armamento originario fu
di due pezzi da 102/45 mm e quattro mitragliere singole da 13,2 mm, divenuto
nel 1941 due pezzi da 100/45 mm, due mitragliere singole da 13,2 mm e due
mitragliere singole da 20/65 mm; sarebbero stati presenti anche due
scaricabombe per bombe di profondità).
Adibito a compiti di
scorta convogli, principalmente lungo le coste italiane e nel Mare Adriatico.
28 luglio 1941
Alle 18.35 il
sommergibile britannico Utmost
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avvista, a 9 miglia per 330° (con
rotta stimata 160° e velocità 8 nodi), l’Adriatico
ed il piroscafo Federico, che questi sta scortando da Napoli a Messina, al largo
della costa occidentale della Calabria.
Avvicinatosi a soli
640 metri, l’Utmost lancia due siluri
contro il Federico, che viene colpito
ed affonda immediatamente nel punto 39°28’ N e 15°52’ E. L’Adriatico, dopo aver vanamente contrattaccato con venti bombe di profondità
(nessuna delle quali esplode vicina al sommergibile), procede al recupero dei
naufraghi; tutti gli uomini del Federico
vengono tratti in salvo, tranne uno.
10 agosto 1941
Scorta da Patrasso a
Brindisi il piroscafo Zena e la
motonave Città di Alessandria, con
personale militare che rimpatria.
7 ottobre 1941
Dislocato ad Augusta
per scortare i posamine ausiliari (ex traghetti ferroviari) Reggio ed Aspromonte, incaricati di posare tre campi minati antisommergibili
a nord dello stretto di Messina. Assieme all’Adriatico, scorterà i due posamine la torpediniera Cigno (capitano di corvetta Nicola
Riccardi), avente la direzione dell’operazione.
Le quattro navi
salpano da Augusta per la posa dei primi due sbarramenti il 7 ottobre.
8 ottobre 1941
Posa dei primi due
sbarramenti. Subito le navi tornano ad Augusta, dove Reggio ed Aspromonte
imbarcano le mine del terzo sbarramento.
10 ottobre 1941
Posa del terzo
sbarramento, sempre con Adriatico e Cigno come scorta.
14 ottobre 1941
Alle 12.10, mentre l’Adriatico sta scortando la nave cisterna
Cassala in navigazione da Napoli a
Messina, il fumo prodotto dalle due navi viene avvistato (su rilevamento 350°),
in posizione 40°27’ N e 14°21’E (a sud della baia di Napoli), dal sommergibile
britannico Unique (tenente di vascello
Anthony Foster Collett). Alle 12.36 il sommergibile avvista le due navi, a otto
miglia per 335°, mentre stanno cambiando rotta per attraversare la Bocca
Piccola. Portatosi in posizione d’attacco, l’Unique lancia quattro siluri da 3200 metri, alle 13.14; le navi
italiane, però, avvistano le armi e manovrano di conseguenza: l’Adriatico evita un siluro, la Cassala due, e nessuno di essi va così a
segno. La vecchia torpediniera Giuseppe
Missori e le unità del III Gruppo Antisom vengono inviate a dare la caccia
all’Unique, senza risultato (intanto
è sceso in profondità e si è allontanato verso sudest).
23 novembre 1941
L’Adriatico salpa da Reggio Calabria alle
17.30 (17 per altra fonte), diretto a Bengasi; dovrà seguire una rotta che lo
tenga ad almeno 190 miglia di distanza da Malta. Prima di partire da Reggio
Calabria, il suo armamento è stato rafforzato da due mitragliere da 20 mm del
Regio Esercito.
24 novembre 1941
Mentre l’Adriatico è in navigazione, il
sommergibile Luigi Settembrini rileva
agli idrofoni, a 105 miglia per 125° da Malta, la Forza K britannica –
incrociatori leggeri Aurora e
Penelope e
cacciatorpediniere Lance e Lively –
uscita in mare da Malta per intercettare convogli italiani. Supermarina,
avvisata dal Settembrini, ordina il dirottamento di tutti i convogli in zona;
l’Adriatico, ricevuto l’ordine (che è
per esso di rifugiarsi ad Argostoli), dirige per Argostoli.
25 novembre 1941
Arriva ad Argostoli
alle dieci del mattino.
A cadere vittima
della Forza K sarà il convoglio «Maritza», in navigazione dal Pireo a Bengasi
(e che non ha ricevuto l’ordine di dirottamento perché aventi le radio
sintonizzate sulla frequenza sbagliata), con l’affondamento dei piroscafi
tedeschi Maritza e Procida nonostante la difesa
opposta dalle torpediniere di scorta Lupo e Cassiopea.
L’affondamento
Dopo la distruzione
del convoglio «Maritza» da parte della Forza K, Supermarina sospese temporaneamente
ogni partenza per la Libia, per verificare quali errori avessero permesso tale
accadimento. L’offensiva britannica in Nordafrica (operazione «Crusader») era
però in pieno svolgimento, ed urgeva l’invio di rifornimenti alle forze
italo-tedesche che dovevano affrontarla; per questo motivo, dopo pochi giorni
si decise di far proseguire per la Libia tutte le navi che erano state
dirottate in porti greci ed italiani il 24 novembre. Tra queste anche l’Adriatico, che era al suo primo viaggio
verso la Libia.
L’incrociatore
ausiliario, al comando del capitano di corvetta Emanuele Campagnoli, lasciò
Argostoli alle 23 del 29 novembre 1941, diretto a Bengasi. A bordo vi erano 98
uomini, tra equipaggio (che comprendeva 33 marittimi della società Adriatica e
40 militari della Regia Marina) e pochi militari del Regio Esercito di
passaggio, ed un carico di 366 tonnellate di carburante in fusti per il Regio
Esercito, la Regia Aeronautica e l’AGIP.
A protezione dei
numerosi convogli in mare tra Italia e Libia (tra il 28 ed il 30 novembre
presero il mare quattro convogli, nonché quattro cacciatorpediniere ed un
sommergibile in missione di trasporto) fu disposta l’uscita in mare di un
consistente gruppo di supporto, che comprendeva la corazzata Duilio, le Divisioni Navali VII
(incrociatori leggeri Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli) e VIII
(incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi)
e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XIII.
Al contempo, il fitto
traffico navale italiano nel Mediterraneo centrale non sfuggì né agli
avvistamenti da parte di ricognitori e sommergibili britannici (uno di questi
ultimi, il Thunderbolt del capitano
di corvetta Cecil Bernard Crouch, avvistò proprio l’Adriatico diretto verso sud – in posizione 36°06’ N e 19°19’ E, pur
sovrastimandone la stazza in 6000 tsl – il mattino del 30 novembre, ma non
riuscì ad avvicinarsi abbastanza da poter attaccare), né alle decrittazioni di
“ULTRA”.
Nel mattino del 30
novembre salparono pertanto da Malta la Forza K (capitano di vascello William
Gladstone Agnew), formata dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del comandante Agnew) e Penelope (capitano di vascello Angus
Dacres Nicholl) e dal cacciatorpediniere Lively
(capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey), e la Forza B
(contrammiraglio Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley.
La partenza della
Forza B e della Forza K fu notata e segnalata prima dal sommergibile Tricheco e poi da ricognitori della
Regia Aeronautica, ma nel pomeriggio del 30 il Garibaldi venne immobilizzato da una grave avaria alle caldaie, e dopo
qualche ora – dato che l’incrociatore avariato necessitava della protezione
della Duilio, il che avrebbe lasciato
in mare la sola VII Divisione, numericamente inferiore alle Forze B e K se
queste si fossero riunite – tutto il gruppo di protezione ricevette ordine di
rientrare a Taranto.
Ai convogli in mare
non rimase che affidarsi alla buona sorte: risorsa scarsissima, da parte
italiana, in quell’autunno del 1941.
Il primo giorno di
viaggio trascorse, per l’Adriatico,
senza particolari problemi; il tempo avverso costringeva a mantenere una
velocità leggermente inferiore ai 12 nodi.
Quando il comandante
Campagnoli ricevette i segnali di scoperta della Forza B e della Forza K,
calcolò che sarebbe passato di prora rispetto ad esse, al di fuori del loro raggio
visivo.
A guidare la ricerca
della Forza K, però, era un ricognitore Vickers Wellington munito di radar.
Questi, nella notte tra il 30 novembre ed il 1° dicembre, rilevò due possibili
obiettivi: uno era il convoglio formato dalla moderna motonave Sebastiano Venier e dal
cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano;
l’altro era l’Adriatico.
Inizialmente la
formazione del capitano di vascello Agnew cercò il convoglio formato da Venier e Da Verrazzano, di maggiore importanza; non riuscendo però a
trovarlo (era stato dirottato proprio per evitare un incontro con la Forza K),
dopo qualche ora il comandante britannico si mise invece sulle tracce dell’Adriatico, pedinato continuamente dal
Wellington.
L’aereo britannico
aveva comunicato per la prima volta l’avvistamento alle 00.52 del 1° dicembre:
riferì ad Agnew di essere in vista di una nave mercantile, a 30 miglia per 120°
dalla posizione occupata in quel momento dall’Aurora. Più o meno a quell’ora – l’una di notte – l’Adriatico (che alle 22.30 del 30
novembre aveva intercettato un marconigramma del Da Verrazzano, con cui questi riferiva della presenza di un
ricognitore sul proprio cielo) avvistò a sua volta l’aereo britannico, lontano,
verso est. Poco dopo il velivolo si dileguò nell’oscurità, e la nave italiana
non lo vide più.
Un’ora dopo, il
Wellington aggiornò sulla situazione, comunicando la nuova posizione dell’Adriatico rispetto alla nave di bandiera
di Agnew.
Seguendo le
indicazioni del Wellington, l’Aurora
avvistò l’Adriatico alle 2.25 del 1°
dicembre. La notte era chiara, illuminata dalla luna; la nave italiana si
trovava di prora a quelle britanniche, ad una distanza di dodici miglia.
Come spesso fecero in
altri casi del genere, i britannici non attaccarono subito, ma manovrarono
invece per ridurre le distanze e portarsi contro luna, in modo da attaccare
nella posizione più favorevole per colpire con rapidità e sicurezza: Agnew
intendeva ridurre le distanze a 5500 metri.
Quando la Forza K
(più precisamente, il solo Aurora)
aprì infine il fuoco, alle 3.04, da 5030 metri di distanza, la prima salva da
152 mm cadde corta. Agnew fece segnalare all'Adriatico l'intimazione di abbandonare la nave, ma
l’incrociatore ausiliario non se ne avvide, e proseguì sulla sua rotta. Allora
l’Aurora sparò una seconda salva:
questa volta raggiunse il bersaglio, centrando il cannone poppiero da 120 mm
dell’Adriatico e rendendolo
inservibile. Il comandante Campagnoli fece lanciare subito il segnale di
scoperta; poco dopo avvistò, circa 4 km a poppavia del traverso a sinistra, una
nave mimetizzata. L’Adriatico si
trovava tra la Forza K e la luna – che ne evidenziava così la sagoma,
rendendolo un bersaglio perfetto – ed ad una cinquantina di miglia per 350° da
Bengasi.
Dopo le prime due
salve, l’Aurora cessò il fuoco ed
intimò di nuovo – con segnalazione ottica – all’equipaggio dell’Adriatico di abbandonare la nave, per
evitare un inutile spargimento di sangue. Il comandante Campagnoli, però, non
vide i segnali effettuati dalla nave britannica, ed ordinò invece di aprire il
fuoco: essendo la sua una nave militare, per quanto scarsamente armata,
riteneva suo dovere rispondere al fuoco, anche se assalito da una forza nemica
preponderante.
Erano le 3.15. Dato
che il cannone di poppa era stato messo subito fuori uso, sparò solo quello di
prua; dopo che questo ebbe sparato due colpi, però, l’Adriatico venne raggiunto da un’altra salva nemica da 152 mm, che
incendiò la stiva poppiera e la sala macchine.
Qua e là in coperta
si scatenarono degli incendi; alte fiamme salivano anche dalla sala macchine,
attraverso gli osteriggi, e poco dopo le macchine stesse si fermarono. A poppa,
le munizioni delle riservette detonavano in continui scoppi.
La Forza K cessò di
nuovo il fuoco, e questa volta fu Campagnoli ad ordinare spontaneamente di
abbandonare la nave: immobilizzato ed in fiamme, con un cannone fuori uso, l’Adriatico non era più in condizione di
combattere.
Mentre l’equipaggio
calava le imbarcazioni come ordinato, rimasero a bordo il comandante
Campagnoli, il comandante in seconda, tenente di vascello Massardo, il
direttore di macchina, capitano del Genio Navale Millin, ed il capo cannoniere
Benvenuti.
L’archivio segreto,
già chiuso parte in una cassa di ferro e parte in un sacco appesantito, venne
gettato in acqua; le cartelle e le carte in plancia furono buttate nelle fiamme
che divampavano furiose a bordo. Campagnoli ordinò al capo cannoniere Benvenuti
di buttare in mare un salvagente anulare, che era rimasto a prua.
Ormai l’Adriatico era in fiamme da poppa fino al
locale di prima classe, che il fumo aveva riempito; le riservette di munizioni
in coperta continuavano ad esplodere.
Il comandante
Campangoli fu l’ultimo ad abbandonare la nave, scendendo su una delle
scialuppe; poco dopo, alle quattro del mattino del 1° dicembre, l’Adriatico esplose ed affondò nel punto
32°52’ N e 20°35’ E, 56 miglia a nord di Bengasi.
La maggior parte
dell’equipaggio si era imbarcata sulle lance, ma altri uomini si erano gettati
in mare con indosso solo i salvagente, e galleggiavano aggrappati a rottami, od
a bordo di alcuni zatterini.
Sopraggiunse il Lively (che Agnew aveva distaccato per
finire l’Adriatico alle 3.40, mentre Aurora e Penelope si erano allontanati per non trovarsi nel raggio operativo
degli aerei dell’Asse con il sorgere del sole), che passò tra i naufraghi offrendosi
di recuperare tutti: gli occupanti delle lance, però, rifiutarono recisamente
il salvataggio, per non essere fatti prigionieri. Ventuno uomini (due ufficiali
e 19 tra sottufficiali e marinai), che si trovavano in acqua senza alcun
sostegno, accettarono invece di essere salvati, e furono così recuperati dal Lively, che si allontanò poi dalla zona
dello scontro insieme al resto della Forza K (prima di rientrare a Malta, le
navi britanniche intercettarono ed affondarono anche la nave cisterna Iridio Mantovani ed il
cacciatorpediniere Alvise Da Mosto,
che la scortava).
A soccorrere i superstiti
furono mandate la nave ospedale Aquileia
ed il cacciatorpediniere Giovanni Da
Verrazzano, salpato da Bengasi il mattino del 1° dicembre; per tutta la
mattina il luogo dell’affondamento dell’Adriatico
fu sorvolato da idrovolanti CANT Z. 501 e CANT Z. 506, con il duplice compito
di assistere nella ricerca dei naufraghi e di fornire scorta antisommergibile
al Da Verrazzano.
Giunto sul posto, il
cacciatorpediniere recuperò altri 66 sopravvissuti. In tutto undici uomini, tra
membri dell’equipaggio e militari di passaggio dell’Esercito, risultarono morti
(tre) o dispersi (otto). Per altra fonte, invece, il numero totale di imbarcati
era di 96 uomini, dei quali 9 morirono e 87 sopravvissero (21 recuperati dal Lively e 66 dal Da Verrazzano).
I caduti tra l’equipaggio dell’Adriatico:
Salvatore Cavallaro, marinaio, disperso
Giuseppe Cicognani, marinaio fuochista,
disperso
Domenico Covacich, sottocapo furiere, disperso
Attilio Di Costanzo, marinaio cannoniere,
disperso
Goriano Fulceri, sergente radiotelegrafista,
deceduto
Luigi Germani, sottocapo cannoniere, disperso
Giorgio Maraspin, capo elettricista di prima
classe, deceduto
Giovanni Sannino, secondo capo meccanico,
deceduto
Fabrizio Santucci, marinaio radiotelegrafista,
disperso
La nave in una cartolina ufficiale della società Adriatica (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net) |
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