La nave sotto bandiera
francese, con il precedente nome di Algérie
(da www.pages14-18.mesdiscussions.net)
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Piroscafo da carico
da 3386 tsl, 2151 tsn e 4920 tpl, lungo 100,9 metri, largo 14,2 e pescante 6,4,
con velocità di 10,5 nodi.
Ex Algérie, era un altro dei tanti
mercantili francesi catturati dalle forze dell’Asse nel novembre 1942 (con
l’occupazione della Francia di Vichy in risposta agli sbarchi Alleati nel
Nordafrica francese) e posti in servizio sotto bandiera italiana o tedesca.
Breve e parziale cronologia.
25 giugno 1910
Varato come Algérie negli Ateliers et Chantiers de
France di Dunkerque (numero di cantiere 70).
Luglio 1910
Completato per la
Compagnie des Bateaux à Vapeur du Nord, con sede a Dunkerque.
8 agosto 1917
Mentre è in
navigazione in zavorra da Calais a Cardiff, l’Algérie viene attaccato e danneggiato dal sommergibile tedesco UB 31 (tenente di vascello Thomas
Bieber), due miglia a sudovest di Portland Bill. Nell’attacco perdono la vita
due membri dell’equipaggio, i marinai Pierre Marie Liard e Louis Étienne Grenet
(poi sepolti nello Strangers Cemetery di Portland).
Alla fine della prima
guerra mondiale, l’Algérie sarà uno
dei soli quattro superstiti su 19 piroscafi che componevano la flotta della
Compagnie des Bateaux à Vapeur du Nord.
4 novembre 1939
Parte da Casablanca
con il convoglio «23. KS» (composto in tutto da 11 piroscafi francesi, 4
britannici ed uno jugoslavo, senza scorta).
10 novembre 1939
Giunge a Brest con il
convoglio «23. KS».
20 novembre 1939
Salpa da Southend
insieme al convoglio «OA. 38» (formato in tutto da 13 piroscafi britannici e 2
francesi, con la scorta dei cacciatorpediniere britannici Witch e Wren).
23 novembre 1939
Il convoglio viene
disperso ed i singoli mercantili proseguono verso le rispettive destinazioni.
3 dicembre 1939
Parte da Liverpool
con un carico di carbone.
5 dicembre 1939
Forma con altre navi
il convoglio «OG. 9» (26 piroscafi britannici ed uno norvegese, oltre all’Algérie, scortati dal cacciatorpediniere
britannico Volunteer e dallo sloop Deptford). Successivamente si separa dal
convoglio e raggiunge Casablanca.
24 dicembre 1939
Parte da Casablanca
con il convoglio «KS. 43» (7 piroscafi francesi, 5 britannici ed un belga,
privi di scorta).
30 dicembre 1939
Arriva a Brest con il
convoglio «KS. 43».
17 gennaio 1940
Lascia Brest con il
convoglio «21. BS» (14 mercantili francesi e due britannici, scortati dall’avviso
francese Elan e dai pescherecci
armati Minerva, L’Ajaccienne e La Toulonnaise).
23 gennaio 1940
Arriva a Casablanca
con il convoglio «KS. 43».
16 marzo 1940
Parte da Casablanca
insieme al convoglio «76. KS» (oltre all’Algérie,
i piroscafi francesi Cap El Hank, Marcel Schiaffino ed Ophelie, il greco Mount Prionas ed il britannico Paul
Emile Javary, senza scorta).
22 marzo 1940
Arriva a Brest con il
convoglio «76. KS».
7 aprile 1940
Salpa da Le Verdon
insieme al convoglio «46. XS» (5 mercantili francesi, uno britannico ed uno
norvegese, scortati dall’avviso Elan
e dal peschereccio armato Président
Houduce, ambedue francesi).
13 aprile 1940
Arriva a Casablanca
con il con il convoglio «46. XS».
1° maggio 1940
Parte da Casablanca
con il convoglio «KS. 92» (16 mercantili francesi, 6 britannici, uno greco ed
uno polacco, senza scorta) e raggiunge Brest.
12 giugno 1940
Parte da Brest
insieme al convoglio «49. B» (5 mercantili francesi, 4 britannici, uno
norvegese ed uno olandese, scortati dall’avviso francese La Batailleuse e dal peschereccio armato, pure francese, Terre-Neuve).
19 giugno 1940
Giunge a Casablanca
con il convoglio «49. B».
Estate 1942
Al servizio della
Francia di Vichy, salpa da Algeri trasportando 2460 tonnellate di manganese per
le forze dell’Asse, nascoste sotto un carico di pesce e verdura.
Dicembre 1942
A seguito degli
accordi Laval-Kaufmann per la cessione all’Asse di 159 navi mercantili francesi
presenti nei porti della Francia mediterranea e del Nordafrica francese, l’Algérie, consegnato al governo italiano
e ribattezzato Aquila, entra in
servizio sotto bandiera italiana, senza essere requisito dalla Regia Marina (né
tanto meno iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato).
Incaglio
Come tanti altri
piroscafi ex francesi, l’Aquila ebbe
vita brevissima sulle rotte del Canale di Sicilia: il suo primo viaggio per la
Tunisia fu anche l’ultimo. Ma non furono i sempre più agguerriti nemici a porre
fine alla sua storia, quanto un catastrofico incidente.
Alle 18 del 29 marzo
1943, infatti, l’Aquila salpò da
Napoli insieme ai piroscafi Giacomo C.
(italiano) e Charles Le Borgne
(tedesco) ed alla nave cisterna Bivona.
Solo il Giacomo C. apparteneva alla
flotta mercantile italiana d’anteguerra: le altre navi erano, al pari dell’Aquila, mercantili ex francesi. Il
carico dell’Aquila consisteva in
automezzi, bombe d’aereo e munizioni.
Il convoglio, diretto
a Biserta e denominato «SS», era scortato dal cacciatorpediniere Lubiana (capitano di fregata Luigi
Caneschi, caposcorta), altra unità di provenienza estera (ex jugoslavo), dalla
moderna torpediniera di scorta Tifone
(capitano di corvetta Stefano Baccarini), dalla vetusta torpediniera Giuseppe Dezza (tenente di vascello Aldo
Cecchi) e da due cacciasommergibili tedeschi, l’UJ 2205 e l’UJ 2208
(questi ultimi due posizionati in retroguardia).
Alle 19 le navi
furono in franchia ed ebbe inizio la navigazione.
Raggiunto e superato
alle dieci del mattino del 30 dal convoglio «GG», anch’esso composto da
piroscafi ex francesi (Nuoro, Crema e Benevento, tutti affondati prima di giungere a destinazione), il
convoglio «SS» non ebbe una navigazione fortunata. Dopo neanche ventiquattr’ore
di navigazione, infatti, cominciò a perdere pezzi: alle 17.50 del 30 marzo il Giacomo C., troppo lento per proseguire
insieme alle altre navi, dovette essere dirottato su Palermo. La Dezza fu distaccata per scortarlo (le
due navi giunsero nel porto siciliano alle due di notte del 31).
Il resto del
convoglio proseguì nella navigazione, che non fu molestata, cosa quasi
incredibile in quel tormentato periodo, da alcun attacco angloamericano. La
velocità dei mercantili era esasperantemente bassa, solo sette nodi, ed il mare
burrascoso causò forti ritardi che fecero sì che il convoglio doppiasse Capo
Bon solo dopo che fu calato il buio.
Atterrate a Ras
Mustafà, le sette navi si disposero in linea di fila, su ordine del caposcorta,
e proseguirono lungo la costa tunisina (tenendosi molti vicine alla costa, per
il pericolo costituito dai campi minati), ma alle 20.45 del 31 marzo, subito
dopo che il convoglio aveva superato Capo Bon, il caposcorta Caneschi ordinò di
passare in linea di fronte nel seguente ordine, dal largo verso la costa: un
cacciasommergibili tedesco, la Bivona,
il Le Borgne, l’Aquila ed infine l’altro cacciasommergibili. La Tifone doveva posizionarsi a proravia
della Bivona, mentre il Lubiana avrebbe preceduto tutto il
convoglio, trovandosi a 2 km per 40° dalla prora sinistra della Tifone (verso terra).
Il tempo non era dei
migliori: soffiava un vento fresco da nordovest, in aumento, e la visibilità
era scarsa. Ciononostante, comunque, risultava visibile il fanale di Zembretta,
l’unico in zona che fosse acceso; il Lubiana
cercò di regolare la navigazione con rilevamenti successivi di questo fanale,
ma alle 21.42 il cacciatorpediniere s’incagliò all’improvviso presso Ras Ahmer,
otto miglia ad ovest di Capo Bon.
Il sinistro era già
grave di per sé, ma il peggio fu che i danni subiti fecero mancare la corrente
a bordo del Lubiana: così, il
caposcorta non poté contattare il convoglio che lo seguiva per avvertirlo del
pericolo. Intanto, il vento spirava sempre più forte ed il mare diveniva sempre
più burrascoso, peggiorando la situazione.
Solo quando la Tifone passò a portata di voce dalla
nave incagliata, Caneschi poté dirle col megafono di accostare a dritta; la
torpediniera fece in tempo a fermare anche la Bivona, che la seguì nell’accostata (di 20° a dritta) ed evitò
l’incaglio, ma gli altri due piroscafi non risposero alle chiamate che la Tifone effettuava col fanale di
segnalazione (Baccarini pensò anche di sparar col cannone poppiero per far
capir loro che dovevano allargare, ma alla fine decise di non farlo per non
aumentare la confusione), e proseguirono verso la loro rovina.
Il Charles Le Borgne, non capendo quello
che Caneschi gli gridava al megafono, s’incagliò circa ottanta metri a dritta
del Lubiana; l’Aquila, che lo seguiva nella scia, manovrò per evitare il piroscafo
tedesco, ma non ci riuscì e lo speronò a poppa, sul lato sinistro.
Tifone e Bivona, che avevano
perso di vista le altre navi nel buio della notte, ridussero la velocità al
minimo per aspettarle; alle 22.30 l’Aquila,
che aveva almeno evitato l’incaglio, riuscì faticosamente a raggiungere le
altre due navi. Arrancava, visibilmente appruato, e la Tifone gli chiese cosa fosse successo, ma non ebbe risposta. A quel
punto il comandante della torpediniera, non volendo sostare ancora in acque
pericolose, riprese la navigazione verso Biserta senza attendere il Le Borgne (attesa d’altra parte inutile,
visto che si era incagliato; di questo, però, Baccarini era all’oscuro).
Il viaggio dell’Aquila, che nella collisione con il Le Borgne – benché questa non fosse
stata violenta – aveva riportato uno squarcio a prua, era però giunto al
capolinea: il piroscafo imbarcava molta acqua e, per non affondare, dovette
portarsi all’incaglio presso Capo Zebib (dove si trovava incagliato anche il
piroscafo Benevento del convoglio
«GG», danneggiato da motosiluranti poche ore prima) poco dopo le otto del
mattino del 1° aprile. La Tifone
distaccò uno dei cacciasommergibili tedeschi per assisterlo, poi proseguì per
Biserta con la Bivona.
Il sottocapo Alberto
Ferrari della Tifone ricordò poi:
«Per fortuna il Bivona ci seguiva a
vista: le petroliere erano sempre state il nostro debole… Dovevamo attardarci
per cercare gli altri (…) finalmente, avvistammo l’Aquila tutto appruato. Il comandante Baccarini pensò che, se quella
era in simili condizioni, il Le Borgne
non doveva essere da meno. L’Aquila
non rispose ai nostri segnali: non sapevamo cosa fosse accaduto: mina, siluro,
sinistro a bordo? Ci passò accanto un CSMG [cacciasommergibili, nda; uno dei
due UJ tedeschi] (…) Il nostro comandante gli ordinò di assistere l’Aquila e rintracciare l’altro suo
collega, se era ancora a galla. (…) L’Aquila
arrancava penosamente finché, esausta, andò anch’essa ad arenarsi presso Capo
Zebib.»
Non vi furono perdite
tra l’equipaggio dell’Aquila.
L’Aquila ed il Benevento, essendo entrambi incagliati a Capo Zebib, alle 16.09 del
4 aprile vennero anche attaccati da aerei: mentre il Benevento fu colpito a prua da alcune bombe, l’Aquila venne mancato. I successivi tentativi di disincagliare la
nave, tuttavia, fallirono, ed alla fine l’Aquila
– al pari del Benevento – dovette
essere abbandonato dov’era (fu ufficialmente considerato perduto il 9 maggio
1943, data dell’occupazione nemica dell’area di Zebib). Parte dei carichi dell’Aquila e del Benevento poté essere recuperata dopo che il mare si fu calmato, ma
l’11 aprile, durante le operazioni di trasbordo, andarono perduti per maltempo
ben quattro pontoni semoventi (Siebelfähre) tedeschi (SF 211, SF 212, SF 218 e SF 221).
Anche Lubiana e Le Borgne, che non poterono essere più disincagliati, dovettero
essere abbandonati sul posto e considerati perduti.
Merita menzione il
fatto che i movimenti del convoglio «SS» non sfuggirono affatto a “ULTRA”: i
decrittatori britannici svelarono il programma di viaggio del convoglio e ne
seguirono le vicende con continuità dal 29 al 31 marzo, ma il disastro colpì
prima delle loro forze aeronavali.
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